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Anno VII - Numero 67 pro-manuscripto 6/98 Luglio-Agosto IL ... · Il Nicodemo - Luglio/Agosto1998 -...

Date post: 18-Aug-2020
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IL NICODEMO Anno VII - Numero 67 pro-manuscripto 6/98 Luglio-Agosto v Ø S ANTA L UCIA NON e’ SEMPRE STATA DOV’E’ Una notizia del Perdichizzi, finora trascurata, trova riscontro nei documenti P adre Francesco Perdichizzi, sacerdote cappuccino mor- to a Milazzo nel 1730, in un manoscritto del 1692 inti- tolato Melazzo sacro che solo di recen- te è stato dato alle stampe, ha voluto lasciare memoria della religione dei milazzesi. Tra le altre preziosissime notizie da lui fornite, ne troviamo una che riguarda il sito di S. Lucia di Mi- lazzo (oggi del Mela). Egli scrive: “Nella valle di Mangarrone sotto S. Fi- lippo vi fu una volta una chiesa sotto gli auspici di S. Lucia vergine e martire siciliana...Federico II d'Aragona, es- sendo stato Milazzo espugnato e preso dal re di Napoli, suo nemico, volendo impedire che questi non passasse più oltre, trasportò la Santa dal detto Ca- sale nel luogo ove oggi è S. Lucia, for- mando ivi un buon castello”. Il Perdichizzi, che per un certo periodo fu anche priore del Convento dei Cap- puccini di S. Lucia, precisa che la valle di Mangarrone era “sei miglia distante da Milazzo” e che la fondazione del Castello di S. Lucia avvenne “l'anno 1324". La notizia fornita dal cappuccino milazzese, se rispondente al vero, mo- dificherebbe radicalmente le nostre conoscenze su S. Lucia, il cui sito at- tuale risalirebbe quindi al XIV secolo. Prima di quella data, sempre a dire del Perdichizzi, il casale di S. Lucia si tro- RENATO CALDERONE GIUDICE GENERALE DI ROMA A bbiamo appreso dalla stampa la notizia che il nostro concittadino Re- nato Calderone, magi- strato di Cassazione, ha ricevuto nei mesi scorsi la nomina ad Avvocato Generale presso la Corte di Appello di Roma. Nel congratularci col giu- dice Ninni, come lo chiamano gli amici, riteniamo opportuno offrire ai nostri lettori un suo breve curricu- lum. Carmelo Renato Calderone è nato, primo di tre figli, a Messina il 2 gennaio 1936. Ha frequentato le scuole elementari a Pace del Mela, quindi la media inferiore e il liceo classico a Milazzo. Si è laureato in giurisprudenza presso l'ateneo di Messina. La sua carriera giudiziaria è iniziata il 31 ottobre 1961, quando è stato destinato alla Pretura di Roma. Successivamente è passato alla Pretura di Dolo. Il 25 maggio 1970 venne trasferito al Tribunale di Roma, il 22 gennaio 1982 è stato no- minato Consigliere della Corte di Appello di Roma e il 10 gennaio 1992 è passato alla Procura Genera- le presso la Corte di Cassazione. E' stato componente del Consiglio Su- periore della Magistratura nel quin- quennio 1976-1980. In tutti gli incarichi affidatigli ha dato sempre prova di solida preparazione, grande competenza ed eccezionale laborio- sità. Ha fatto parte delle Commissio- ni per la riforma del Codice penale e di procedura penale. La sua vasta preparazione in campo dottrinario è dimostrata dalla pubblicazione di pregevoli ed apprezzate trattazioni monografiche e dalla collaborazione ad importanti riviste giuridiche. Egli può essere considerato un innovato- re giurisprudenziale e un propugna- tore di dottrine giuridiche. Molte sue sentenze ed ordinanze, per le que- stioni originali trattate, sono state pubblicate sulle riviste specializzate con note favorevoli di giuristi e di cultori del diritto. Collabora alle rivi- ste “Cassazione penale. Massimario annotato”, “Giurisprudenza di me- rito”, “Rivista trimestrale di diritto penale dell'economia”. Ha presiedu- to, come giudice anziano, la seconda e l'ottava sezione penale presso il Tri- bunale di Roma. Tra i processi a lui affidati ricordiamo in particolare quello a carico di Agostino Panetta (1987), detto “dell'arancia meccani- ca” e quello sui fondi bianchi del- l'Italcasse, particolarmente seguiti dalla stampa e dall'opinione pubbli- ca. Arrivederci I bambini del “Progetto Chernobyl ‘98”, venti in tutto, sono in partenza. Han- no trascorso tra noi un mese intenso di controlli della salute, di esperienze gioio- se. Grazie a loro, grazie alle famiglie ospi- ti. Tutti siamo cresciuti nell’Amore!
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Parrocchia

S. Maria

della Visitazione

Pace del Mela IL NICODEMO

Anno VII - Numero 67 pro-manuscripto 6/98 Luglio-Agosto

v

Fogli della Comunità

Ø

SANTA LUCIA NON e’SEMPRE STATA DOV’E’

Una notizia delPerdichizzi, finoratrascurata, trovariscontro neidocumenti

di Franco Biviano

Padre Francesco Perdichizzi,sacerdote cappuccino mor-to a Milazzo nel 1730, in unmanoscritto del 1692 inti-

tolato Melazzo sacro che solo di recen-te è stato dato alle stampe, ha volutolasciare memoria della religione deimilazzesi. Tra le altre preziosissimenotizie da lui fornite, ne troviamo unache riguarda il sito di S. Lucia di Mi-lazzo (oggi del Mela). Egli scrive:“Nella valle di Mangarrone sotto S. Fi-lippo vi fu una volta una chiesa sottogli auspici di S. Lucia vergine e martiresiciliana...Federico II d'Aragona, es-sendo stato Milazzo espugnato e presodal re di Napoli, suo nemico, volendoimpedire che questi non passasse piùoltre, trasportò la Santa dal detto Ca-sale nel luogo ove oggi è S. Lucia, for-mando ivi un buon castello”. IlPerdichizzi, che per un certo periodofu anche priore del Convento dei Cap-puccini di S. Lucia, precisa che la valledi Mangarrone era “sei miglia distanteda Milazzo” e che la fondazione delCastello di S. Lucia avvenne “l'anno1324".

La notizia fornita dal cappuccinomilazzese, se rispondente al vero, mo-dificherebbe radicalmente le nostreconoscenze su S. Lucia, il cui sito at-tuale risalirebbe quindi al XIV secolo.Prima di quella data, sempre a dire delPerdichizzi, il casale di S. Lucia si tro-

RENATO CALDERONE

GIUDICE GENERALE DI ROMA

Abbiamo appreso dallastampa la notizia che ilnostro concittadino Re-nato Calderone, magi-

strato di Cassazione, ha ricevuto neimesi scorsi la nomina ad AvvocatoGenerale presso la Corte di Appellodi Roma. Nel congratularci col giu-dice Ninni, come lo chiamano gliamici, riteniamo opportuno offrireai nostri lettori un suo breve curricu-lum.

Carmelo Renato Calderone ènato, primo di tre figli, a Messina il 2gennaio 1936. Ha frequentato lescuole elementari a Pace del Mela,quindi la media inferiore e il liceoclassico a Milazzo. Si è laureato ingiurisprudenza presso l'ateneo diMessina. La sua carriera giudiziariaè iniziata il 31 ottobre 1961, quandoè stato destinato alla Pretura diRoma. Successivamente è passatoalla Pretura di Dolo. Il 25 maggio1970 venne trasferito al Tribunale diRoma, il 22 gennaio 1982 è stato no-minato Consigliere della Corte diAppello di Roma e il 10 gennaio1992 è passato alla Procura Genera-le presso la Corte di Cassazione. E'stato componente del Consiglio Su-periore della Magistratura nel quin-quennio 1976-1980. In tutti gliincarichi affidatigli ha dato sempreprova di solida preparazione, grandecompetenza ed eccezionale laborio-sità. Ha fatto parte delle Commissio-ni per la riforma del Codice penale e

di procedura penale. La sua vastapreparazione in campo dottrinario èdimostrata dalla pubblicazione dipregevoli ed apprezzate trattazionimonografiche e dalla collaborazionead importanti riviste giuridiche. Eglipuò essere considerato un innovato-re giurisprudenziale e un propugna-tore di dottrine giuridiche. Molte suesentenze ed ordinanze, per le que-stioni originali trattate, sono statepubblicate sulle riviste specializzatecon note favorevoli di giuristi e dicultori del diritto. Collabora alle rivi-ste “Cassazione penale. Massimarioannotato”, “Giurisprudenza di me-rito”, “Rivista trimestrale di dirittopenale dell'economia”. Ha presiedu-to, come giudice anziano, la secondae l'ottava sezione penale presso il Tri-bunale di Roma. Tra i processi a luiaffidati ricordiamo in particolarequello a carico di Agostino Panetta(1987), detto “dell'arancia meccani-ca” e quello sui fondi bianchi del-l'Italcasse, particolarmente seguitidalla stampa e dall'opinione pubbli-ca. q

ArrivederciI bambini del “Progetto Chernobyl

‘98”, venti in tutto, sono in partenza. Han-no trascorso tra noi un mese intenso dicontrolli della salute, di esperienze gioio-se. Grazie a loro, grazie alle famiglie ospi-ti. Tutti siamo cresciuti nell’Amore!

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vava a sei miglia da Milazzo, sotto S.Filippo, nella valle (e non sul colle) diMangarrone. Ma allora, viene sponta-neo chiedersi, che ne è della PrelaturaNullius, la cui istituzione viene collo-cata nell'anno 1206? E che ne è del ca-stello “arabo-normanno-svevo”, chesecondo alcuni risalirebbe addiritturaal periodo bizantino?

Il minimo che uno storico possafare è di verificare l'affermazione delPerdichizzi con la documentazioneche ci è stata tramandata. Il primo spi-raglio ci viene offerto da un documen-to ben noto agli storiografi luciesi, mafinora non tenuto nella dovuta consi-derazione. Si tratta di un accordo, sti-pulato il 6 dicembre 1323 e relativo aidiritti che l'università di S. Lucia dove-va pagare al suo Beneficiale (ancoranon si chiamava né Abate, né Cappel-lano Maggiore, né Prelato). Al benefi-ciale, chierico Alfonso Federico, chelamentava il mancato pagamento dellesue spettanze, i due sindaci (cioè rap-presentanti) dell'università della Terra(oggi diremmo “Comune”) di S. Lu-cia “de plano Melatii” rispondevano dinon dovergli nulla perché alla loro“Terra” era stato concesso il godimen-to degli stessi privilegi di cui godevanoi cittadini di Messina. Questa sovranaconcessione derivava dalla circostan-za che “la detta Terra di S. Lucia” era“de novo habitata” (cioè “abitata perla prima volta”) da persone provenien-ti da un precedente casale abbandona-to e da altri casali vicini della stessapiana di Milazzo. Il documento preci-sa che lo spostamento degli abitantinella nuova sede era stato disposto dalre (“ex mandato regio”) a causa dellecontinue devastazioni alle quali essiandavano annualmente soggetti in se-guito alle incursioni delle soldatescheangioine (cfr. DE CHIARA, doc.XXXVIII). In effetti Federico II d'Ara-gona nel gennaio del 1322 aveva ema-nato un proclama dando facoltà achiunque lo volesse di trasferirsi “contutte le sostanze ed averi” nel nuovoCasale di S. Lucia, nei cui pressi egliaveva disposto la costruzione di unfortilizio per le esigenze di difesa deinuovi abitanti (“quoddam fortili-tium...de novo...construi Nostra man-davit Serenitas et fundari”). Il testo diquesto proclama (che non mi risultaancora pubblicato integralmente), se-condo la testimonianza di p. Giovanni

Parisi, sarebbe interamente trascrittonel Libro del Sindaco di S. Lucia delMela, ma purtroppo di questa prezio-sissima raccolta manoscritta non vi èpiù traccia nell'Archivio Comunale diquella città. Lo stesso padre GiovanniParisi riporta un'altra notizia, tratta daun manoscritto del luciese SilvestroPuleio in data 3 dicembre 1813, se-condo la quale i casali che accolsero

l'invito del sovrano furono: Grazia, S.Nicolò, Murmuka, S. Biagio, SantoCono, Agrilla, S. Pier Trifone ( que-st'ultimo nome potrebbe essere un'er-rata lettura per S. Pier Trisino, cioèl'antico casale esistente nel sito del-l'odierna Pace del Mela).

Conferma più chiara della notiziafornita dal Perdichizzi, mi pare, nonpotevamo trovare. Rimane da scioglie-re l'enigma del castello.Gli storici lo-cali che se ne sono occupati (da ultimop. Giovanni Parisi) sostengono la suaorigine “araba” e quindi sono costrettiad attribuire a Federico II d'Aragona laricostruzione di un castello preesisten-te. Ma i documenti, che gli stessi stu-diosi citano senza arrendersiall'evidenza, parlano con estremachiarezza di una costruzione dallefondamenta (“fundari”). D'altro can-to il castello di S. Lucia non si trovamai citato in epoca precedente. Essonon è compreso, per fare solo unesempio, nell'elenco “Castrorum Sici-liae”, redatto il 3 maggio 1272 su ordi-ne di Carlo d'Angiò, nel qualecompaiono, invece, Rametta (oggiRometta), Monforte, Milazzo, S.Marco, S. Filadelfo (oggi S. Fratello) (cfr. DE CHIARA, doc. XXXIII). Direcente, per dirne un'altra, uno stu-dioso serio come Ferdinando Maurici,non ha inserito il castello di S. Lucianel suo “inventario delle fortificazioni

normanne”. Aggiungo che il castellocome noi oggi lo vediamo non è nem-meno quello fatto costruire da Federi-co II d'Aragona. Mons. SilvioCucinotta, trattando della chiesa dellaMadonna della Neve, cita l'atto, stipu-lato dal notaio Pizzo il 12 marzo 1675,col quale Francesco Morra, principedi Buccheri, cedette l'area del castelloal Prelato Simone Impellizzeri. Il do-cumento, conservato nell'archivio ab-baziale (oggi purtroppoinaccessibile!!), precisa che del castel-lo a quell'epoca non rimaneva altro che“circuitus murorum” (cioè i muri peri-metrali). Anche ammesso, dunque,che la costruzione mostri caratteriarabi, normanni o svevi, essi non sa-rebbero altro che sovrapposizioni deiricostruttori che operarono in epoca anoi molto vicina.

Dov'era ubicata, allora, S. Luciaprima del 1322? Qualche dettaglio,come abbiamo visto lo fornisce lo stes-so Perdichizzi. Oltre a precisare la di-stanza da Milazzo (sei miglia), egliafferma che esisteva un collegamentotra la chiesa di S. Lucia e quella dellaMadonna del Boschetto (tutt'oggi esi-stente in località Parco Nuovo di Mi-lazzo), posta - scrive lo stessoPerdichizzi - “a meno di due migliadalla Città”. La distanza dalla Madon-na del Boschetto a S. Lucia era, dun-que, poco più di quattro miglia. Unaattenta rilettura delle fonti potrebbe si-curamente aiutarci nella identificazio-ne dell'antico sito del Casaleabbandonato, ma è lavoro che richiedetempo e competenza. Un primo ap-proccio potrebbe essere costituito dal-l'esame dell'inchiesta effettuata il 20luglio1249, per ordine di Federico IIdi Svevia, allo scopo di valutare la con-sistenza del Casale di S. Lucia che do-veva essere permutato con un altro divalore equivalente, ma più comodoper il vescovo di Patti, poi individuatonel Casale di Sinagra. Il documentooriginale è conservato nell'ArchivioCapitolare di Patti ed è stato pubblica-to da due studiosi tedeschi, DieterGirgensohn e Norbert Kamp.Riporto,per comodità di chi volesse effettuareulteriori ricerche, la traduzione delbrano in cui sono contenuti i confini diS. Filippo e S. Lucia, situati - dice il te-sto - l'uno accanto all'altro (unum pro-pe aliud): “I confini di essi casalisono questi, cioè cominciano dal te-

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nimento di Gaidara, tenuto da Rai-naldo di Amato, che si trova adoriente, e quindi scendono alla vi-gna, detta Patha, poi sale lungo ilcolle fino almonte, detto Viglo, scen-de attraverso una scala (?) di alberidi castagno fino al fiume del suddet-to casale di S. Lucia, da dove scendo-no lungo il fiume fino alla stradellache si trova sotto la grande pietrabianca, poi sale lungo il vallone chesi trova inmezzo alle vigne dei casalidi S. Lucia e di S. Filippo, fine allaparte inferiore della vigna della sud-detta chiesa di S. Lucia e scende at-traverso la vigna di MicheleAbruzzese, quindi scendono fino almulino, detto di Calogero, sale quin-di lungo il fiume, detto del casale delfiume, fino al confine di Pancaldo,quindi sale per la chiesa di S. Zacca-ria, corrono lungo la via pubblicadetta di Agrilla, fino alle pietre rosse,e quindi sale lungo la via pubblicafino al predetto tenimento di Gaida-ra, sotto Bellomonte, e così si chiu-de�.

Purtroppo la descrizione, pur es-sendo dettagliata, non ci aiuta molto,sia perché riporta contemporanea-mente i limiti territoriali di due casali(S. Filippo e S. Lucia), sia perchémol-ti toponimi sono oggi scomparsi. Uni-ci punti fermi sono Gaidara (oggiSoccorso) e Pancaldo. Per il resto, tut-ta la serie di vigneti, castagneti, fiumi,mulini, strade pubbliche, pietre bian-che e pietre rosse non ci dicono, alme-no a prima vista, nulla di preciso. Se,come dice il Perdichizzi, S. Lucia sitrovava sotto S. Filippo, bisogna cerca-re il suo antico sito nel territorio fra S.Filippo e Milazzo, forse dalle parti diOlivarella o di Corriolo o di Archi.

BIBLIOGRAFIASILVIO CUCINOTTA, La Ma-

donna della Neve e le sue vicende. Do-cumenti e Notizie luciesi, Messina1926.

FRANCESCO CUPANE, DellaCappellaniaMaggiore del Regno di Si-cilia e sua relazione alla Chiesa diSanta Lucia, Palermo 1809.

STEFANO DE CHIARA, De Ca-pella Regis Siciliae, Palermo 1815.

VINCENZO DI GIOVANNI, Al-cuni ricordi storici e artistici di SantaLucia de Plano Milatii oggi del Mela,Palermo 1898.

DISTRETTO SCOLASTICO MI-LAZZO, I castelli peloritani del ver-sante tirrenico, schede a cura dell'arch.Pietro Cono Terranova, Milazzo1991.

GIUSEPPE GANCI BATTAGLIA-GIOVANNI VACCARO, Aquile sullerocce (Castelli di Sicilia), Palermo1968.

DIETER GIRGENSOHN-NOR-BERT KAMP, Urkunden und Inquisi-tionen des 12. und 13. Jahrhundertsaus Patti, estratto da �Quellen undForschungen aus italienischen Archi-ven und Bibliotheken�, 45, Tubingen1965.

FERDINANDO MAURICI, Ca-stellimedievali in Sicilia.Dai bizantiniai normanni, Palermo 1992.

FERDINANDO MAURICI, Fede-rico II e la Sicilia. I castelli dell'impe-ratore, Palermo 1998 (non consultatoperché ancora non disponibile nelle li-brerie di Messina)

GIOVANNI PARISI,Alla ricerca diDiana Facellina. S. Lucia e il �Melan�nel mito e nella storia, S.Lucia delMela 1973.

GIOVANNI PARISI, Tutto sul ca-stello di S. Lucia del Mela, Messina1987.

FRANCESCO PERDICHIZZI,Milazzo sacro, a cura di Antonio Bravi,Milazzo 1996

RODO SANTORO, La Sicilia deicastelli. La difesa dell'isola dal VI alXVIII secolo. Storia e architettura, Pa-lermo 1986. q

Una festa per sperare

Martedì 28 luglio, un gruppodella nostra comunità parrocchialeha condiviso un momento di festacon gli ammalati di mente dellanuova struttura terapeutica sita invia della Libertà a Giammoro.

La tentazione di �passare oltre�è forte, ma la voce di Gesù �sama-ritano� ci sollecita a �passare ac-canto�, a prenderci cura, a farciprossimo.

Unuomo,mezzomorto, aspettadi essere riconosciuto, accolto,amato come uomo.

Saprà la nostra comunità cri-stiana parrocchiale accorgersi diquest�uomo?

IL GIORNO

DEL

SIGNOREdi Anna Cavallaro

�Il settimo giorno, però, non ha serané tramonto, perché tu l�hai santificatoaffinché rimanesse in eterno; così, ilfatto che tu, dopo compiute le tue operemolto buone, il settimo giorno volestiriposare benché le avessi compiute sen-za fatica, è un annuncio che ci vienedalla voce del tuo libro: anche noi,compiute le nostre opere, molto buoneperché tu ce lo consenti, riposeremo inte nel sabato della vita eterna�.

(S. Agostino)

Papa Giovanni Paolo II, inoccasione della solennità diPentecoste 1998, ha indi-rizzato all�Episcopato, al

Clero ed ai Fedeli una Lettera Aposto-lica sulla santificazione della domeni-ca. Il documento è suddiviso in cinquecapitoli. Nell�introduzione si richiamal�attenzione dei lettori sulla risurrezio-ne di Gesù, �evento mirabile che nonsolo si distingue inmodo assolutamen-te singolare nella storia degli uomini,ma si colloca al centro del mistero deltempo�, si sottolinea che il fondamen-to della fede cristiana è proprio la vit-toria di Cristo sul peccato e sullamorte �... se Cristo non fu risuscita-to, è vana la nostra predicazione,vana la nostra fede” (1Cor 15,14) esi esortano i credenti a «...riscoprirecon nuovo vigore il senso della dome-nica: il suo �mistero�, il valore dellasua celebrazione, il suo significato perl�esistenza cristiana ed umana». Edancora nella prefazione, mentre, vienerivolto a tutti un pressante invito:�Non abbiate paura di dare il vostrotempo a Cristo� si mette in risalto lagioia che ha investito coloro che, in unmodo o nell�altro, hanno fatto espe-rienza del Risorto.

Il Papa, per farci comprendere l�im-portanza della domenica - giorno incui il cristiano celebra la Pasqua setti-manale, la salvezza sua e dell�interaumanità - ci induce a riflettere sul rac-

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conto biblico della creazione e adapprofondire la teologia del “saba-to”: «Dio benedisse il settimo gior-no e lo santificò» (Gn 2,3). IlVescovo di Roma chiarisce che “Ilprecetto del sabato, che nella pri-ma Alleanza prepara la domenicadella nuova ed eterna Alleanza ...non è collocato accanto ad ordina-menti semplicemente cultuali,come è il caso di tanti altri precetti,ma all’interno del Decalogo ...Israele e poi la Chiesa mostrano dinon considerarlo una semplice di-sposizione di disciplina religiosacomunitaria, ma un’espressionequalificante e irrinunciabiledel rapporto con Dio ... Se essoha pure una naturale convergenzacon il bisogno umano del riposo, ètuttavia alla fede che bisogna farcapo per coglierne il senso profon-do e non rischiare di banalizzarlo etradirlo ... Il riposo assume cosìuna tipica valenza sacra: il fedele èinvitato a riposare non solo come Dioha riposato, ma a riposare nel Signo-re, riportando a lui tutta la creazio-ne, nella lode, nel rendimento digrazie, nell’intimità filiale e nell’a-micizia sponsale” e spiega che, suc-cessivamente, i cristiani “...percependo l’originalità del temponuovo e definitivo inaugurato da Cri-sto, hanno assunto come festivo, il pri-mo giorno dopo il sabato, perché inesso è avvenuta la risurrezione del Si-gnore”.

Nel secondo capitolo GiovanniPaolo II, nel fare riferimento alla do-menica «“Pentecoste della settima-na”, nella quale i cristiani rivivonol’esperienza gioiosa dell’incontro degliApostoli col Risorto, lasciandosi vivifi-care dal soffio del suo Spirito» , eviden-zia la funzione che assume la recita delCredo nell’azione liturgica festiva.

Il terzo capitolo ha come sottotitolo“L’assemblea eucaristica cuore delladomenica”. Quest’ultima “... non èsolo la memoria di un evento passa-to: è celebrazione della viva presenzadel Risorto in mezzo ai suoi” «Iosono con voi tutti i giorni, fino alla finedel mondo» (Mt 28,20). La partecipa-zione alla mensa della Parola e delPane spezzato “... è sempre comunionecon il Cristo, che si offre per noi in sa-crificio al Padre”, è “... profondamentelegata alla comunione con i fratelli” e

costituisce un impegno per il fedeleche, nel quotidiano, è chiamato ad an-nunciare ed a testimoniare il Risorto.Il Papa precisa, inoltre, che i cristiani“... in virtù del sacerdozio comune rice-vuto nel battesimo ... pur nella distin-zione dei ruoli, ... offrono a Dio lavittima divina e se stessi”. Questa partedella Lettera Apostolica termina conalcuni suggerimenti per la santifica-zione di questo giorno di festa me-diante la preghiera, le opere di carità el’astensione dal lavoro.

Nel quarto capitolo il Vicario diCristo pone l’accento sul fatto che «...il settimo giorno benedetto e consacra-to da Dio, mentre chiude l’intera operadella creazione, si lega immediata-mente all’opera del sesto giorno, in cuiDio fece l’uomo a sua immagine esomiglianza ... “Il giorno di Dio”avrà così per sempre un collegamentodiretto con “il giorno dell’uomo”» eci ricorda che la domenica “... non èaffatto, per l’uomo, un’imposizioneonerosa, ma piuttosto un aiuto per-ché egli avverta la sua vitale e libe-rante dipendenza dal Creatore, einsieme la vocazione a collaborarealla sua opera e ad accogliere la suagrazia”. La domenica è anche il gior-no propizio per “... educarsi alla gioiariscoprendone i tratti autentici e le ra-dici profonde ... non c’è contrapposi-zione tra la gioia cristiana e le veregioie umane. Queste anzi vengono

esaltate e trovano il loro fonda-mesnto ultimo proprio nellagioia di Cristo glorificato, im-magine perfetta e rivelazionedell’uomo secondo il disegno diDio” e per la solidarietà “... chesi oppone alla mentalità dell’o-bolo” ma fa “... appello a unaesigente cultura della condivi-sione attuata, sia tra i membristessi della comunità che inrapporto all’intera società”perché “... occorre che il cri-stiano dica con i suoi concretiatteggiamenti che non si puòessere felici da soli ... Vissutacosì , non solo l’Eucarestia do-menicale, ma l’intera domenicadiventa una grande scuola di ca-rità, di giustizia e di pace ... Lapresenza del Risorto in mezzo aisuoi si fa progetto di solidarietà,urgenza di rinnovamento inte-riore, spinta a cambiare le strut-ture di peccato in cui i singoli, le

comunità, talvolta i popoli interi sonoirretiti. Lungi dall’essere evasione, ladomenica cristiana è piuttosto profe-zia iscritta nel tempo”.

Nel quinto capitolo il successore diPietro ribadisce che Cristo Risorto è ilSignore del tempo “Principio e Fine,Alfa e Omega”, che la domenica “... ri-vela il senso del tempo” e rammentache la Chiesa: “... ha voluto distribuirenel corso dell’anno tutto il mistero diCristo, dall’Incarnazione e Nativitàfino all’Ascensione, al giorno di Pente-coste e all’attesa del ... ritorno del Si-gnore”. Nel contesto dell’annoliturgico, quindi, di domenica in do-menica, “... l’impegno ecclesiale e spi-rituale del cristiano vieneprofondamente incardinato in Cristo,nel quale trova la sua ragione d’essere edal quale trae alimento e stimolo”.

Il Papa conclude la Lettera Aposto-lica dicendo che la domenica, intesanel giusto significato e vissuta in pie-nezza, è: “... l’anima degli altri giorni.... l’opportunità che ci viene dataper trasformare i momenti fugaci diquesta vita in semi di eternità ... è in-vito a guardare in avanti, è il giorno incui la comunità cristiana grida a Cristoil suo ... vieni o Signore ... e camminaverso la domenica senza fine della Ge-rusalemme celeste, quando sarà com-piuta in tutti i suoi lineamenti lamistica Città di Dio ...”. q

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I Santi: questi sconosciutiA che servono i santi?Qual è il loro ruolonell'itinerario diognuno di noi verso ilRegno di Dio?

di Franco Biviano

Un vecchio detto ancora fre-quentemente citato,“Scherza coi fanti, ma la-scia stare i santi”, ha reso e

rende tuttora tabù qualsiasi discorsosulla devozione e sul culto dedicati aqueste figure significative della Storiadella Chiesa. Da cristiani impegnati ri-teniamo opportuno, tuttavia, affron-tare l'argomento, sperando di nonintaccare la suscettibilità di nessuno. Eper andare direttamente alla radice delproblema, ci chiediamo innanzitutto:A che servono i santi? Qual è il loro

A colloquio conpadre RéginaldGrégoire, massimoagiologo vivente

Patti è senza dub-bia una cittàculturalmentevivace. La pre-

senza di diverse associa-zioni e di cittadiniimpegnati fa sì che nel cor-so dell'anno vengano offertial pubblico convegni di studio dialto livello. L'ultimo in ordine di tem-po si è tenuto il 18 luglio nella VillaPisani di Patti Marina ed è stato dedi-cato alla ricerca della vera identitàdella patrona della città, Santa Fe-bronia. Tra i numerosi luminari chehanno dato il loro contributo, spicca-va la presenza del sacerdote e mona-co benedettino Réginald Grégoire,considerato la massima autoritàmondiale nel campo dell'agiologia,cioè dello studio delle vite dei santi.

Nato a Bruxelles il 13 luglio 1935,Grégoire insegna storia del Cristia-nesimo e storia della liturgia all'Uni-versità di Urbino ed è autore di un“Manuale di Agiologia” consideratofondamentale e giunto già alla secon-da edizione. Affabile oltre ogni aspet-

tativa e disponibilissimo alcolloquio, il prof. Grégoire ha

gentilmente acconsentito arispondere ad alcune nostredomande.

“Un santo - affermaGrégoire - ha molteplici fun-

zioni. Viene proposto comemodello alla comunità cristiana,

serve alla comunità stessa come sim-bolo di appartenenza, dà modo al cle-ro di effettuare un controllo. Perquesto le vite dei santi sono costruiteseguendo precisi modelli. Possonoanche contenere notizie storicamen-te imprecise, ma attestano comunquel'esistenza di un culto in seno a unadeterminata comunità. Molti biogra-fi hanno trasformato la vera identitàdei santi. E' il caso di S. Francescod'Assisi, che fu molto impegnato incampo sociale, e ci viene presentato

come un santo sdolcinato che predi-ca agli uccellini”.

Parlando in particolare delle reli-quie, Grégoire ha detto: “Certe reli-quie sono evidentemente false. LaMadonna avrebbe dovuto produrretonnellate di latte per quanto ”latte diMaria" si venera nel mondo. In realtàsi trattava di calcare che i pellegriniprelevavano nelle grotte della Palesti-na. Il sangue di S. Gennaro, per fareun altro esempio, compare soltantonel XIV secolo. Ma la falsità delle reli-quie non implica automaticamenteche il santo non sia storicamente esi-stito. Significa solo che in un deter-minato contesto storico la pietà deifedeli si manifestava in quel modo".

Su alcune particolari espressionidella fede popolare, come il ballo diS. Vito a Condrò, Grégoire si è di-chiarato favorevole: “Sono favorevo-le al mantenimento di questemanifestazioni, perché sono legatealla biografia del santo e servono a ri-cordare episodi particolari della suavita. Quello che non si deve tolleraresono certe pratiche pagane, cometoccare, baciare, eccetera”. q

Agostino Scilla(1629-1700)

S. Benedettodistruggegli idoli

MessinaMuseo Regionale

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ruolo nell'itinerario di ognuno di noiverso il Regno di Dio?

La prima cosa da tenere presente èche la Chiesa non è formata da tantiindividui che vivono l'uno accanto al-l'altro. Essa è piuttosto un “corpo mi-stico”, al cui interno si realizza la“comunione dei santi”. Solo partendoda questa base potremo comprendereil ruolo di “intercessione” assegnato aisanti, i cui meriti fecondano come unapioggia salutare tutta la comunità deifedeli, dato che essi “non cessano diintercedere per noi presso il Padre, of-frendo i meriti acquistati in terra me-diante Gesù Cristo, unico mediatoretra Dio e gli uomini” (Lumen Gen-tium, 49). In altre parole, non potendonoi chiedere alcunché a Dio in forzadei nostri meriti (che sono zero), ap-poggiamo la nostra richiesta con i me-riti dei santi ( la Chiesa “implora per iloro meriti i benefici di Dio”, Sacro-sanctum concilium, 111). Da questonasce la nostra fede nella presenza ditutti i santi e di tutte le sante alla cele-brazione del sacrificio eucaristico(Catechismo della Chiesa cattolica,1370).

I santi sono soprattutto testimoni disantità, servono a dare credibilità allanostra speranza. Sono coloro che,messisi alla sequela di Cristo, hannoraggiunto prima di noi la meta a cuitutti siamo chiamati. Uomini e donnecome noi, essi sono arrivati alla perfe-zione, quindi anche noi possiamo far-cela, ognuno nella nostra particolaresituazione di vita. Conseguentementeessi costituiscono dei modelli da imi-tare. Per arrivare dove essi sono arri-vati, dobbiamo comportarci comeloro, seguirne l'esempio. Di fronte atanti modelli fuorvianti che ci vengonoproposti ad ogni istante dai mass me-dia, la Chiesa va in controtendenzaproponendo le vite dei santi. Ogni san-to è la dimostrazione concreta che se-guire Gesù non è un'utopiairrealizzabile. Ogni uomo può arrivarealla santità. Non per virtù propria, ov-viamente, ma per dono divino. La san-tità non si raggiunge con le soleproprie forze, ma con l'aiuto che Dionon nega a chi lo chiede. Dio dà a tuttila possibilità di raggiungere la santità,la quale non dipende dallo sforzo au-tonomo dell'uomo, ma dalla rispostaumana all'iniziativa di Dio. Anche lascelta del nome di battesimo dovrebbe

avere il significato di dare al bambinoun modello di virtù cristiane da segui-re ed imitare. Le stesse immagini deisanti esposte nelle nostre chiese hannouna funzione didattica, servono cioè aricordarci qualche episodio della lorovita. Si tratta tuttavia pur sempre dimodelli secondari, perché il modelloprimario, quello che gli stessi santihanno sempre avuto davanti agli oc-chi, è Gesù Cristo: Imparate da me(Matteo 11, 29); Amatevi gli uni gli al-tri come io vi ho amati (Giovanni15,12). La santità, infatti, consiste es-senzialmente nell'imitazione di Gesù,nel lasciare che Cristo viva in noi(“Non sono più io che vivo; è Cristo chevive in me”: Galati 2, 20).

Dai santi ci viene, inoltre, un con-creto aiuto nel quotidiano sforzo dicombattere la nostra naturale inclina-zione al peccato. Ci aiutano a non sen-tirci soli. Essi, infatti, “realizzando laloro salvezza, hanno anche cooperatoalla salvezza dei propri fratelli nell'uni-tà del Corpo mistico” (Indulgentia-rum doctrina, 5).

I santi sono anche il nostro stendar-do e il nostro vanto, sono l'immagineche la Chiesa proietta all'esterno perdire quello che alcuni suoi componentisono stati capaci di essere e di fare.

Alla luce di queste considerazioni sifa impellente la necessità di una revi-sione dei nostri comportamenti, per-ché la Chiesa, mentre da un lato ha ilcompito di conservare un depositoinalterabile, deve al tempo stesso pro-cedere a continue correzioni di rottanei propri comportamenti al fine di eli-minare qualsiasi macchia dal propriovolto. Di tanto in tanto è necessarioverificare se, a furia di seguire delle“abitudini” inveterate, i cristiani nonabbiano piano piano perduto di vista ilvero oggetto della propria fede.

Guardandoci intorno ci accorgia-mo che nella pratica comune i santi

sono considerati come una sorta di av-vocati difensori e creano una specie diintercapedine fra noi e Dio, quandonon prendono essi stessi il posto diDio, diventando interlocutori direttidella nostra preghiera e dispensatoriper virtù propria di grazie e favori (ingenere di natura materiale: superareun esame, trovare marito, vincere allotto, riuscire in un concorso, guarireda una malattia, ecc.). Eppure Gesù ciha fatto conoscere un Dio che non èpiù l'inaccessibile dell'Antico Testa-mento, ma è un Padre, al quale siamoinvitati a rivolgerci direttamente(“Quando pregate, dite: Padre”, Luca11, 2).

Quando in una comunità, nellaquale la povertà si taglia col coltello,per uno stupido orgoglio campanili-stico travestito da devozione per ilproprio patrono, si mandano in fumoqualcosa come cinquanta milioni, laChiesa non può continuare a nascon-dere la testa sotto la sabbia, ma deveinterrogarsi sul valore della propriastessa presenza. Bisogna chiedersi,cioè, se la Chiesa che esprime se stessacon queste manifestazioni sia la Chie-sa voluta e fondata da Gesù Cristo o seessa non sia diventata piuttosto un pa-ravento per coprire mentalità e com-portamenti di natura prettamentepagana.

Per non parlare delle “trattative”che si impogono ai santi ( se mi conce-di questo, ti prometto quest'altro) odegli “sdebitamenti” rappresentatisempre da oggetti materiali, mai dacomportamenti aderenti al vangelo:ceri, lampade votive, mortaretti, og-getti d'oro, grandi camminate a piedi(chiamarle “pellegrinaggi” è una be-stemmia). Come se i santi, che godonola pienezza della presenza divina e chesono “sazi” di Dio, avessero bisognodel nostro tributo per sentirsi più sod-disfatti. Abbiamo creato un paradiso“terra terra”, dove i santi entrano incompetizione tra di loro per conqui-starsi l'ultimo devoto o un fuoco d'arti-ficio in più. E se qualche prete, neltentativo di riportare la propria comu-nità alla genuina sequela di Cristo, ten-ta di mettere fine alle nostre inveterateabitudini pagane, noi ci ribelliamo im-mediatamente con tutte le nostre forzeai tentativi di cambiare questa NO-STRA religione, alla quale abbiamo at-taccato l'etichetta di “cristiana”. q

Fr.Laurana(attr.)MadonnacolBambinoMessinaMuseoRegionale

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Ø

I CARRETTI DEI TEMPI

CHE FURONOdi Mimmo Parisi

Aprima vista sembrano cosemolto lontane nel tempo,eppure fino agli anni cin-quanta si poteva ancora in-

contrare per Pace qualche carrettoche, trainato da un cavallo, da unmulo o da un somaro, trasportava imateriali più vari. E sì, mai come inquesto mezzo secolo c'è stato unosconvolgimento tale da proiettare dalmezzo a trazione animale a quello mo-torizzato in una sempre crescentegamma di versioni e perdi più alla portata di quasitutti. Quelli della mia etàe quelli con qualche an-netto in più sulle spalle nesono stati testimoni.

I carretti rappresenta-vano allora per Pace (eaggiungerei pure per tuttii paesi della Sicilia e dibuona parte del conti-nente) il mezzo più usatoper il trasporto delle mer-ci. La maggior parte deimateriali necessari allacostruzione degli edificisorti a Pace nel periodoprebellico, è stata tra-sportata dai carretti. Essiprelevavano la sabbia direttamente dalgreto dei torrenti e caricavano le tego-le, i mattoni e la calce presso le cosid-dette “carcare”, sostituite oggi daimoderni impianti per la produzionedei laterizi. Mattoni e tegole venivanoallora costruiti a mano spalmando l'ar-gilla su di un rettangolino o su di unaforma in legno, e staccati da questotramite uno spago che scorreva attor-no.Poi, dopo essere stati messi a sec-care al sole, venivano cotti nellefornaci alimentate a legna. Dell'ultimagenerazione di carrettieri, i più giova-ni, con l'avvento della motorizzazionecompirono il salto di qualità divenen-do camionisti. E come oggi esistonoalcuni di loro che si limitano al tra-sporto locale, mentre altri si spingonoin tutto il territorio nazionale ed oltre

frontiera, anche allora tra i carrettieric'erano quelli che operavano esclusi-vamente nel territorio di Pace, ed altriche raggiungevano Messina o altre lo-calità all'interno della Sicilia. I locali,oltre ai materiali necessari all'edilizia,trasportavano tutto ciò che si produ-ceva nelle campagne, compresa la le-gna da ardere. Gli altri, invece,rifornivano generalmente di olio, vinoe frutta la città di Messina. Per rag-giungerla da Pace, percorrendo lastrada Statale attraverso i colli Sarriz-zo, occorrevano in media sette ore di

cavallo o carretto. Quando invece sisceglieva, per ragioni di sovraccarico,la litoranea attraverso Torre Faro, itempi si allungavano. La portata me-dia di un carretto si aggirava sui settequintali su percorsi vari con salite e di-scese, mentre in pianura poteva pureavvicinarsi alla tonnellata. I carrettieriche percorrevano la Statale per Messi-na, specie di notte, si portavano ap-presso, legato sotto l'asse del carretto,un cane di piccola taglia che, oltre a farloro compagnia, serviva come sistemad'allarme in caso di tentativi di furto.Ad avvalersi di questo ausilio erano inmaggior parte i carrettieri di Gualtierie di S. Pier Niceto che in genere tra-sportavano frutta ai mercati generalidi Messina e che, entrando in città alleprime luci dell'alba, venivano spessoalleggeriti del loro carico dai soliti ma-

riuoli molto lesti nel tagliare le funi eportare via i cesti di frutta situati nellaparte terminale del carretto. Così an-che i piccoli animali percorrevano inmedia i settanta chilometri necessariper andare e tornare da Messina. Lun-go il percorso esistevano pure i fonda-ci o locande, antenati degli attualimotels, dove il carrettiere poteva so-stare e trovare una stalla per il cavallo,un giaciglio per sé e qualche spaghet-tata a base di aglio, olio e peperoncinopreparata quasi sempre dalla mogliedel locandiere. I fondaci e le locande

erano dislocati nellazona di Bauso (oggiVillafranca Tirrena) enella zona di Gesso.Alcuni carrettieri, nonvolendo o non potendosostare per vari motivi,continuavano il tragittoaddormentandosi sulcarretto, ed il cavallo,che conosceva la stra-da, proseguiva il suocammino riuscendoperfino a scansare lerare macchine che in-contrava. Addormen-tarsi oggi alla guida diun mezzo ha conse-guenze ben più gravi ed

il risveglio può pure avvenire in un'al-tra dimensione. Una volta un nostrocarrettiere, tornando da Messina, in-vece di risvegliarsi a Pace, come avevapensato, si trovò nella zona di Spada-fora con il cavallo rivolto verso orienteche ammirava estasiato l'aurora na-scente. Qualche volta, evidentemente,anche i cavalli possono essere roman-tici.

Durante le vendemmie i carrettierirappresentavano il principale mezzoper il trasporto dell'uva dal vigneto aipalmenti. In queste occasioni i mezzivenivano dotati di tre piccole mezzebotti, in modo che l'uva veniva parzial-mente pigiata prima di approdare aipalmenti, dove continuava la pigiaturae la torchiatura per tramutarla in mo-sto. Il carretto arrivava fin dove esiste-

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vano strade rotabili, in veritàpochissime a quei tempi, dal momentoche nessuno voleva rinunciare a qual-che albero o a qualche filare di viti e diconseguenza erano generalmente ledonne che, con enorme ceste d'uvasulla testa, facevano la spola tra il vi-gneto e il carretto. Quando il vignetorimaneva distante da qualsiasi stradacarrozzabile, allora interveniva il so-maro che, dotato d'un pesante bastodetto “baddùni”, al quale venivano ap-pese due robuste ceste dette “còfina”,svolgeva in parte le funzioni del carret-to. Nonostante la fatica, la vendemmiaveniva allora sentita come una festa ele donne allietavano l'atmosfera concanti particolari detti “a vinnignara”.Memoria storica di queste manifesta-zioni rimane oggi, tra le poche altre, lasignora Francesca Perrone ved. Fru-cella, intesa come “Ciccia Cardillo”.

Per tornare ai somari, sostituiti oggidalle moderne motoapi, dirò che ilpaese di Pace ne era pieno, essendo ineffetti questi piccoli quadrupedi unvalido aiuto per qualsiasi attività agri-cola. Alcuni di questi trainavano pureun carrettino, quasi sempre ad usoesclusivo del proprietario. Qualcunofra i più robusti, lavorando anche perconto terzi, aumentava il numero deicarrettieri di professione, ma data lasua lentezza aveva contribuito a farnascere il detto, che suonava come unproverbio, “Cu scecchi caccia e fimmi-ni cridi, faccia di Paradisu non ni vidi”.Tutto ciò a causa evidentemente delleimprecazioni che il conducente lan-ciava all'indirizzo dell'animale per ac-celerarne il passo. Il riferimento alledonne è puramente casuale.

Di questi carrettini, uno in partico-lare aveva colpito la fantasia di noi ra-gazzini che lo avevamo battezzato “lalittorina”. Passava da Pace tutte lemattine, prima ancora che albeggias-se, puntuale come un treno svizzero,diretto verso Giammoro. Per quelliche sono venuti al mondo molto tem-po dopo di me, dirò che la “littorina”era un locomotore diesel, fabbricato aitempi del fascismo e che, oltre ad arri-vare puntuale nelle stazioni, era quan-to di più moderno potessero offrireallora le Ferrovie dello Stato. Il soma-rello era piccolo ed il carrettino, ade-guato alla sua stazza, sembrava fattoin miniatura, mentre i proprietari, ma-rito e moglie, di statura più alta del

normale, quando stavano seduti sulcarrettino con le gambe penzoloni, da-vano l'impressione di lasciare sullastrada, a fondo naturale, la scia delleloro scarpe.

Per tornare all'argomento principa-le, dirò che il cavallo con relativo car-retto rappresentava allora per tantefamiglie di Pace l'unico mezzo di so-stentamento, tant'è che tra i carrettiericircolava un detto che recitava press'apoco così: “Si voi mali a un nimicu, di-sidiracci o a mugghieri o u cavaddumalatu”. Mettere la moglie sullo stes-so piano del cavallo potrebbe sembra-re oggi un paradosso, ma non c'èdubbio che il malcapitato di allora,qualora fosse stato raggiunto da simileimprecazione, si sarebbe trovato co-munque in seri guai. Ricordo chequando qualche cavallo si ammalavaed arrivava al punto di non potersi piùreggere sulle proprie zampe, gli si co-struiva una specie di sostegno detto“naca”, che consisteva in un telo stesosotto la pancia dell'animale ed assicu-rato alle travi del soffitto mediantequattro funi. Tutta la famiglia era lì inapprensione come se si fosse trattatodi un parente prossimo e fra i compo-nenti della famiglia stessa si stabiliva-no dei turni affinché l'assistenza fossecontinua, anche di notte. La morte diun cavallo poteva anche determinarela fine del mestiere di carrettiere perun capofamiglia, dal momento chenon sempre erano reperibili le millelire necessarie per l'acquisto di un al-tro cavallo (Erano i tempi in cui anda-va in voga la canzone “Se potessi avere

mille lire al mese”).I cavalli erano anche impiegati per il

trasporto delle persone con i calessinie le carrozze, comprese quelle da mor-to, che in tal caso venivano trainate dauna pariglia. Una cosa è certa: il mon-do poteva pure sembrare peggiore, maalmeno era meno inquinato ed il viag-gio verso l'aldi là poteva pure apparirepiù romantico.

I carrettieri che io ricordo, a partiredall'inizio di Via Camastrà verso ilcentro e sulla strada per Giammoroerano i seguenti:

- Eugenio, Carmelo e Nicola Vacca-rino (inizio Via Camastrà e Via Bonfi-glio);

- Peppino, Rico e Rocco Fumia (ViaBonfiglio);

- Andrea Parisi e Sebastiano Capilli(Via Bonfiglio-Via Mazzini):

- Nicolino e Angelo Stroscio (ViaBonfiglio):

- Santo, Nino e Saro Parisi (Via Re-gina Margherita, di fronte Confrater-nita di S. Giuseppe);

- Nino Rizzo (Vicolo Levante):- Nino Gallo (Via Regina Marghe-

rita, di fronte sign.na Maria Alessi);- Francesco Parisi (detto “Cicciu

Pipa”) (Via Marconi):- Vincenzo Gallo (Via Ficarelle):- Giovanni Parisi (detto “u crapa-

reddu”) (Via Menabove);- Nunzio e Giuseppe Lucchesi (Via

Roma)- Nino Lucchesi (Via Roma; oggi

noto autotrasportatore).- Angelo Amendolia (via Roma).q

1958: corteo funebre con carrozza, via Regina Margherita.

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Ø

Oltre allepensioni,flessibilità

di R. V.

Con la solita estenuante len-tezza di un Paese che nonama prendere le cose di pet-to e considera la “proroga”

un atto di suprema saggezza politica,anche l’Italia discute di pensioni. Chiha ancora qualche dubbio sull’urgen-za del problema, scoprirà che il rap-porto tra lavoratori e pensionati è oggidi 100 a 93. Praticamente ogni lavora-tore ha a suo carico una pensione daversare. E il deficit dell’INPS sale ine-sorabilmente. Era di 75.000 miliardil’anno scorso, sarà di 80.000 que-st’anno, di 85.000 fra due anni.

Nessuno ha ancora osservato chel’allungamento dell’età lavorativa po-trebbe rendere ancor più grave, in unaprima fase, il problema della disoccu-pazione. Non corriamo il rischio, se gliitaliani si trattengono al lavoro per unperiodo più lungo, di prolungare l’at-tesa dei giovani che aspettano un im-piego? Il rischio, in realtà, ènell’ipotesi che la classe politica si oc-cupi di pensioni senza affrontare con-temporaneamente il problema delmercato del lavoro. Se ritardiamo ilmomento in cui gli italiani cesserannodi lavorare, ma non facciamo nulla perincoraggiare gli imprenditori ad assu-mere nuovi dipendenti, avremo forseaggiustato i conti dello Stato, ma ag-giunto qualche punto percentuale allestatistiche della disoccupazione italia-na.

Pensioni e flessibilità del mercatonon sono problemi distinti, da trattarsiin stanze separate. Sono aspetti com-plementari di una stessa questione. Sela società italiana invecchia e il gover-no decide di ritardare l’età del riposo,occorre risolversi ad ammettere che ilmaggior ostacolo sulla strada dell’oc-cupazione è rappresentato dall’idea,fortemente radicata nel mondo sinda-cale, che il lavoro debba essere neces-sariamente stabile e il salario caricatodi oneri sociali economicamente intol-

lerabili.Questa pretesa, insieme allo statuto

dei lavoratori, ha avuto l’effetto di queidazi doganali che dovrebbero riempirele casse dello Stato e finiscono per in-coraggiare il contrabbando. Ha pro-dotto lavoro nero, ha scaricato sullespalle degli extracomunitari i lavorisgradevoli, ha favorito l’esodo delleindustrie italiane verso i Balcani, hacreato un mercato di immigrati clan-destini.

Parlare di disoccupazione, in que-ste circostanze, è assurdo. Nelle indu-strie venete gli operai sono spessosloveni. Nelle campagne del Brescia-no, i mungitori sono quasi tutti india-ni. Nel Chianti vi sono contadinialbanesi, vietnamiti, nepalesi. E’ di-soccupazione questa?

Non basta quindi riformare il regi-me previdenziale. Occorre chiedersise lo statuto dei lavoratori e i vecchicontratti sindacali rispondano ancoraalle esigenze del Paese. Se consentire-mo agli imprenditori di assumere e li-cenziare con maggiore libertà e minorioneri, raggiungeremo due obiettivi:daremo una risposta al problema delladisoccupazione, metteremo fine aduna distinzione (quella fra “lavoratoria vita” e precari) che sta spaccando l’I-talia in due. Qualcuno, a questo pun-to, si chiederà perché si parli molto dipensioni e molto poco di mercato dellavoro. Perché la classe politica italia-na non ha né la forza né il coraggio diaffrontare, con franchezza e realismo,due problemi alla volta. I nostri politi-ci, quando sono alle prese con unaquestione difficile, cercano di nascon-derla, di tagliarla a fette, di sminuzzar-la, di polverizzarla. La responsabilità èin parte del sistema costituzionale, inparte di una cultura politica che ha si-stematicamente deprezzato il valoredella leadership e della responsabilità.I governi di coalizione, nei quali il po-tere di veto è inversamente proporzio-nale alla forza del socio, e i presidentidel consiglio costretti a guardarsi lespalle dagli alleati infedeli, sono pocoadatti per somministrare al Paese lemedicine di cui ha bisogno. Non ba-sta. Con saccenza e presunzione l’Ita-lia politica ha persino la sfrontatezzadi compiacersi di quanti, come il can-celliere Kohl, cercano di convincere illoro Paese ad accettare un nuovo statosociale e a sostenere le sfide della glo-

balizzazione.Gli uomini politici italiani non han-

no compreso che l’impopolarità èspesso il prezzo necessario della pre-veggenza e che quella di Kohl è unaprova di coraggio. Si augurano chefallisca, probabilmente perché sannoche la sua vittoria metterebbe in mag-giore evidenza la loro mediocrità. In-capaci di trasportare l’Italia nellamodernità, vorrebbero che tutto ilmondo ci assomigliasse. q

Alla “Marconi”

di Pace del Mela

SCUOLA &TERRITORIOINSIEME VERSOL’EUROPA.LA SCUOLA ALSERVIZIO DELLAPICCOLA E MEDIAIMPRESA

di Antonio Catalfamo

Venerdì dieci di luglionell’aula magna dellaScuola Media Statale diPace del Mela, patrocinata

dai comuni di Pace del Mela e Milazzo,si è tenuta una interessante Tavola Ro-tonda per illustrare il progetto “Scuola& Territorio” che si pone come obiet-tivo lo sviluppo di un dialogo produtti-vo tra la Scuola e il territorio.

L’iniziativa voluta dalla Scuola Me-dia “G. Marconi” (definita “Scuolapolo di riferimento per i servizi inno-vativi alle imprese e al territorio”) siinquadra nel contesto di una scuolache, considerato l’avvicinarsi del tantoatteso momento dell’Autonomia, cer-ca di stabilire una serie di rapporti conil Territorio per sviluppare una siner-gica collaborazione tra la Scuola, gliEnti Locali, le Associazioni d’Impresae gli Organismi Sindacali.

Il progetto, redatto da un Comitatodi lavoro composto da un gruppo di

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Docenti ed Esperti in rappresentanzadella Scuola Media, dal prof. NinoVersaci per il Centro Studi &kon Italiadi Firenze e dai due Assessori compe-tenti dei comuni di Pace del Mela e Mi-lazzo, si articola su cinque moduli: 1)Costituzione del Comitato e program-mazione dell’attività, 2) Attività di in-formazione relazionale con ilTerritorio, 3) Monitoraggio del Terri-torio, 4) Attività di informazione rela-zionale con il Territorio, 5)Individuazione delle Aree di Consu-lenza e delle tipologie di servizi che laScuola potrà erogare sul Territorio.

Quello della presentazione del pro-getto e quindi della Tavola Rotonda èrisultato un momento importante inquanto si è stabilito un primo approc-cio e si è avviato un interessante con-fronto tra la Scuola e il Territorio.

All’incontro hanno partecipatooperatori del mondo della scuola, ope-ratori delle aziende del comprensorioe rappresentanti delle varie categorieassociative, rappresentanti sindacali ediversi amministratori locali.

Dopo l’introduzione del Preside,prof. Antonino Isgrò, il quale ha illu-strato le motivazioni e la fase prepara-toria del progetto, i Sindaci di Pace delMela e di Milazzo hanno inteso appro-fondire la problematica più generaledella politica economica del territoriocon i relativi risvolti occupazionali edambientali.

C’è stata quindi la presentazionevera e propria del progetto, curata dalprof. Nino Versaci del Centro Studi&kon, il quale oltre ad evidenziarnel’iter e gli obiettivi, ha richiamato legrandi potenzialità del nostro territo-rio sottolineando nel contempo l’am-bizione della Scuola di diventarepunto di riferimento per la sua cresci-ta.

Sono seguiti una serie di interventitecnici delle varie rappresentanze invi-tate che hanno arricchito il dibattito dispunti importantissimi al fine dellarealizzazione del progetto.

La prof.ssa Franca Carrozza, Presi-de dell’I.T.C.G. “Minutoli” di Messi-na, intervenuta in rappresentanza delProvveditore agli Studi, ha rimarcatoil ruolo propositivo che la Scuola stavia via assumendo in un contesto diacquisita autonomia, mettendo co-munque in evidenza la necessità che ilTerritorio non si dimentichi di essa.

Il dott. Antonio Cusumano, perconto della Sicindustria, ha approfon-dito la problematica della riqualifica-zione degli operatori di cui l’impresaspesso ha bisogno e che non trova ri-scontro nel comprensorio. Ciò risultatra l’altro collegato alla necessità dicreare una adeguata “Cultura d’im-presa”, che significa anche “Culturadel lavoro” e quindi “Cultura dell’im-pegno e della competenza”. Gli inve-stimenti nel Sud da parte delle aziendepossono dipendere anche da questifattori.

L’avvocato Cosimo Genovese, Pre-sidente dell’Ass. Prov. Piccola e MediaIndustria, intervenuto anche nella ve-ste di Amministratore del comune diBarcellona Pozzo di Gotto, ha eviden-ziato tra l’altro come un “Nuovo Svi-luppo” è demandato a tutti i soggettidel Territorio, tanto è vero che l’EnteLocale è diventato un partner impor-tante per le aziende che vogliono inve-stire nel sud. Lo stesso hapuntualizzato che una adeguata orga-nizzazione dei Patti Territoriali ci po-trà portare ad un più adeguatosfruttamento delle risorse comunita-rie.

Il Preside prof. Giuseppe Capilli,intervenuto per conto dall’Associazio-ne Nazionale Presidi, ha voluto sotto-lineare che nella Scuola, in base adalcune leggi di riforma ormai operati-ve, è fattivamente avviata la tanto atte-sa Autonomia e ciò dimostra che laScuola sta davvero cambiando; adessoè necessario che cambi l’impresa, checambi il governo degli EE.LL., checambi la politica, che cambi in partico-lare la politica d’impresa.

Sono ancora intervenuti il prof. At-tilio Mannino del comune di GualtieriSicaminò, la prof.ssa Cirino Lidia Vel-la del comune di Santa Lucia del Melae la signora Ninetta Alfino nella vestedi Rappresentante delle Associazionidei Sindacati.

Le conclusioni sono state tratte dalprof. Antonino Gelo che nel ringrazia-re tutti per il contributo offerto e per lacollaborazione, ha fissato il prossimoappuntamento che consiste nella rea-lizzazione del terzo modulo del pro-getto: a partire dal mese di settembreinfatti ci si dovrà ritrovare tutti impe-gnati al fine di permettere il raggiungi-mento degli obiettivi prefissati dalprogetto. q

In nomedell’Amore:adottiamo unfiglio

di Emanuela Fiore

Quando un bambino ti sorri-de, ti trasferisce la gioia in-contenibile della suainfanzia e anche tu sei più

felice… E’ la proiezione di un Amoreche viene dall’alto e quindi di un amo-re poi più umano che cresce nella fa-miglia voluta da Dio. Ma ahimè la vitapuò anche non apparire “un giardinotutto verde” e quel fiore che nasce,può trovarsi di fronte a situazioni diffi-cili per sopravvivere, ha bisogno quin-di ancor di più di aiuto, di sostegno,della forza magica che deriva dall’a-more mai sperimentato.

Veniamo infatti a conoscenza dibambini messi a dura prova dalla vita eche quindi hanno smesso di sorridere,anche fin dai primi momenti. Questa ècosì una grande “miseria” del nostrotempo che ci portiamo dietro senzaavvedercene. Non tutti però siamouguali, c’è chi ha un coraggio piùgrande della paura di amare, che donagioia a chi non ne ha. E’ il caso di quel-le famiglie umane e cristiane che di-ventano più sensibili, solidali,responsabili, vivono l’amore come ildovere di accogliere un bambino. Misembra qui d’obbligo quella frase “Chiavrà accolto il più piccolo dei miei fra-telli nel mio nome avrà accolto me”.Infatti anche quest’anno il nostro pae-se ha ospitato per il terzo anno conse-cutivo venti bambini della Bielorussia,bisognosi di cure e soprattutto di nuo-va vita. E come sempre tanti sono statipronti a riceverli, a contribuire a que-sto soggiorno salutare “disintossican-te”, pieno di festa e di gioia. Ed è in talmodo che ci si rende conto di quel chesi riceve, che è molto di più di quel chesi dà.

A riguardo domenica 19 luglio ’98,a del Borno in Valcamonica, il Papadurante l’Angelus, pur essendo in fe-

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rie, non ha tralasciato di dare il suo af-fettuoso benvenuto a tutti i bambiniBielorussi arrivati in Italia. Mi chiedoadesso, se un bambino può “rinasce-re” anche solo per un mese di acco-glienza quanto più grande sarà lapossibilità che è data, da altre famiglie

con l’adozione? A questo proposito hovoluto parlare con una coppia sposatadella propria esperienza prima di sem-plice accoglienza, di una bimba diChernobyl, e ora di un’adozione inter-nazionale a tutti gli effetti. Questi duegiovani, M. e F. di Milazzo, hanno di-mostrato con la loro testimonianzache non si tratta di dare una bambinoad una famiglia, ma una famiglia ad unbambino (nel loro caso una bambinacolombiana).

La prima domanda che mi viene inmente è: come definite questa vostraesperienza?

Premetto che ogni esperienza è sog-gettiva: la nostra è stata voluta, deside-rata, direi bramata. Il pensierodell’adozione era ricorrente sempre,eravamo convinti di viverla, anche seavessimo avuto figli “biologicamentenostri”. Descriverla a parole è poco,anzi non è proprio possibile, la si devevivere; sono momenti bellissimi, tuttoun insieme di sensazioni belle e brutte,allo stesso momento, di emozione e an-che di paura, insicurezza all’inizio, masenz’altro poi in un’unica parola mera-vigliosa.

So che prima ancora dell’adozio-ne avete avuto per qualche mese unabimba di Chernobyl. Cosa ha signifi-cato per voi? Ha forse inciso sul vo-stro desiderio di adottare?

Noi, come avevamo detto, abbiamosempre pensato che avremmo adottato,

anche prima di accogliere la bimbabielorussa, che comunque è stata forseun “preludio” all’adozione vera e pro-pria. Ha significato tanto, sicuramen-te, ma si deve però partire dalpresupposto che solo temporaneamen-te che ti è affidato qualcuno, sei consa-

pevole che andrà via,che non puoi farci nien-te, anche se inevitabil-mente ti ci affezioni. E’un’esperienza che tigratifica come persona,perché niente si fa con ildesiderio egoistico difarsi piacere ma di gio-vare agli altri. E’ unobiettivo che accomunatutte le famiglie cheaderiscono al progetto,dandoti la possibilità dicondividere con personenuove questa gioia.

La legge n.184 del 4maggio 1983 si è rivelata vincente.L’adozione funziona bene solo quan-do si sente l’urgenza di dare qualco-sa di sé, senza pensare e senzaaspettarsi nulla in cambio. Voi cosavi aspettate?

Assolutamente nulla, non abbiamoadottato per avere il classico bastonedella vecchiaia, anzi la bambina ci stadando già tanto. Quando è entrata afar parte della nostra vita, l’ha riempi-ta tutta. Non abbiamo mai desideratonulla di più, per cui non ci aspettiamoniente, deciderà lei quando sarà, noisperiamo solo che cresca bene e semprein grazia di Dio.

Ha diritto all’amore chi ne hamolto dentro e ne può e vuole daremolto a chi neha bisogno. E’il vostro caso?

Sì, noi senti-vamo che pote-vamo darequalcosa di noia chi non cono-sceva l’essereamati da mam-ma e papà ecosa significas-se sorridere ve-r a m e n t e .Purtroppo l’iterburocratico èun po’ lungo:dopo cinque

anni di matrimonio, che sono obbliga-tori, due anni di disbrigo pratiche e dueanni di lista d’attesa (sempre meno cheper l’adozione italiana, per questo ab-biamo scelto quella internazionale),ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Noivolevamo dare a qualcuno il nostromodo di essere, la nostra educazione, ilmodo di vivere una vera vita, l’amore.Cosa poter dare di più, penso sia ciòche più importa nella vita.

I costi specialmente internaziona-li fanno sospettare interessi sporchie motivi di guadagno. C’è qualcosadi vero in questo?

Per quanto riguarda la nostra espe-rienza, assolutamente no. Ci sono si-curamente dei costi di viaggio,soggiorno, il legale che ti segue, l’inter-prete che collabora per la difficoltà del-la lingua, più le altre spese ordinarie,ma niente di più.

L’adottato diventa figlio del geni-tore che lo ama, si dice. Io credo in-vece, oltre questo, che ci si adotta avicenda. La vostra opinione?

Anche se solo noi abbiamo preso co-scienza dell’adozione perché da adulti,abbiamo scelto di adottare e nostra fi-glia ha trovato una famiglia, la nostrafamiglia quasi senza rendersene contoall’inizio, siamo d’accordo che ci siadotta a vicenda, è chiaro perché è unoscambio d’amore, amore con amore,sempre, dal primo momento.

Nel frattempo la bimba mi sorridecompiaciuta, è felice adesso… E sì,l’adozione è una atto d’amore, è solouna delle tante strade per avvicinarsi aibambini che hanno bisogno di prote-zione e d’affetto, per riempire così disignificato la propria esistenza. q

XXXIII Coppa del Mondo di Baseball: Russia - USAMessina 25 luglio �98 - I �nostri� bambini russi in campo.

IntervistaadIgor

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Squatter, sassi, lavoroIL TEMPO INQUIETO: VIAGGIO NEI PERCHE’ DELL’ETA’ BUIA

di Paolo Orifici

L’Età buia. La fine del 1900 el’inizio del 2000 costituisceun autentico enigma per lascienza. L’età buia. La crisi

della civiltà. Il rovesciamento della ci-viltà.

E chi meglio degli squatter può rap-presentare l’età buia? Chi meglio diloro, che mostrano di esistere sfre-giando le opere d’arte. Certo, non civuole poi molto a “trasgredire”, ad ac-quistare notorietà rovinando la faccia-ta dell’Oratorio di San Bernardino. Ecosa volete che gli importi di aver dan-neggiato una fra le più importanti ope-re di scultura del Rinascimentoitaliano.

Volete confrontare l’opera di Ago-stino Di Duccio, terminata nel 1461(quella sì, l’età Chiara) con il “brivi-do” di fare il tiro a segno con bottiglie elattine contro la facciata policroma.

Ed ancora, valga come ulteriore –triste – testimonianza dell’Età Buia ciòche è avvenuto a Viterbo.

A S. Maria dove i nuovi vandali (an-che se forse è più corretto chiamarliteppisti e basta) hanno sporcato l’or-gano e gli affreschi del ‘400 e del ‘600,addobbando una Trinità con falce emartello, aggiungendo (con dubbiogusto..) un cerchio con saetta (il sim-bolo dei centri sociali) sulla Madonnacon Bambino. Fortuna vuole che glianarchici siano tali anche nei confron-ti della cultura, dell’arte, ed hanno –quindi - lasciato indenne l’affresco piùprezioso: lo “Sposalizio della Vergine”di Lorenzo da Viterbo. Ma il niente, ilvuoto, giocano di questi scherzi.

Gli squatter (termine che letteral-

mente significa “abitante abusivo”, deiCentri Sociali) hanno preso di miraanche la Chiesa di San Giovanni: sulpolittico del 1441 (Madonna conBambino e Santi) di Francesco d’An-tonio Zacchi, più noto come “il Ballet-ta”, è comparsa la scritta “Sole”,inneggiante a Soledad, la giovanesquatter accusata degli attentati all’Al-ta Velocità e suicidatasi in Comunità.

E ancora: sui muri la A cerchiatadell’anarchia, falce e martello.

Ciò detto, sebbene chi scrive diffi-cilmente possa essere considerato unsimpatizzante della “sinistra” (anzi),ritengo doveroso fare una precisazio-ne. Personalmente, infatti, ritengoprofondamente sbagliato classificareideologicamente il fenomeno “squat-ter”, i Centri Sociali. Gli anarchici,purtroppo (per quello che sono ed inparte sono stati, da Lotta Continua inpoi), non hanno ideologie, pensieri.Oggi meno che mai. La mia opinione(che come tale si potrà prestare a con-fronti) è che essi rappresentino il nien-te, siano testimoni inconsapevoli delnichilismo che sta drammaticamentepermeando la nostra società, soprat-tutto nella sua componente più giova-ne.

Mi chiedo, anche, se questi nuovianarchici perseguono l’Utopia – comeavvenne per Sofri, Pietrostefani e tuttaLotta Continua.

Personalmente sono convinto chequi non si stia vagheggiando nulla.Non il sogno, dunque, ma la sconfittadella realtà, la testimonianza – questavera – della pochezza del loro pensareche sconfina nell’inadeguatezzadell’agire.

Il vuoto non costruisce, distruggesemmai.

Ed il vuoto, ci tengo a dirlo, non è disinistra perché non è di destra. Non è,e basta.

Chissà come ci giudicheranno dalfuturo. Chissà cosa diranno della Ver-gine imbrattata. Certo del 1300 cono-sceranno tutto: tele, pergamene,buoni libri saranno lì a rappresentarlo.L’età chiara insomma, cui fatalmentesi contrappone la nostra, l’età buia.

La nostra arte è rappresentata dachilometri di muraglia, da vecchi va-goni ferroviari, coperti da graffiti co-lorati rigorosamente da spray. Per nondire delle scritte. Wow, Gulp, Help, al-tre indecifrabili. Non l’espressione diidee ma solo monosillabi. Urli, brevi,che le tribù che vivono l’età buia si lan-ciano contro in guerra. Perché deveessere chiaro a tutti che quella chestiamo vivendo è una guerra, quella ditutti contro tutti.

Alla fine ci scopriremo, però, tuttisconfitti: non ci saranno vincitori.

Dicevamo del futuro. Capirannobene, allora, che chi ha coperto chilo-metri di muri con quelli orrendi graffi-ti non poteva amare la vergine delBalletta, anzi la odiava, se ne sentivaoffeso. Offeso dalla bellezza! Ecco,dunque, la necessità di cancellare letracce dell’Età Chiara, magari instau-rando il “nuovo” culto del Sole. Eccoperché le scritte “Sole Vive” (quelli su-gli affreschi…), e perciò la Vergine“deve” sparire.

Certo questi episodi contrastanocon le parole pronunciate dal Papa aBorno (BS): “Ragazzi non sprecate laVita”!

Ma la vita non la spreca chi la sa vi-vere, chi sa vivere, soprattutto con sestesso prima ancora che con gli altri.Chi capisce che non ha senso preten-dere ma che è più opportuno investire,spendere su se stessi, sulla propriapreparazione, sulla propria cultura.

Solo così sarà possibile ottenerequalcosa per sé, ristabilire rapporti so-ciali e forme di convivenza.

Il rifiuto di tutto ciò porta conse-guenze nefaste e sfocia – fatalmente –in atti criminali. Violenza, paura, ten-sione. È quello che sta vivendo in que-sti giorni Torino. E la paura provocapolemiche. Lo stato d’animo di moltipuò essere racchiuso in una frase delpapà del bambino travolto con la ma-dre da uno scippatore in fuga, proprioa Torino, Alberto Galasso: “Siamo inuna situazione in cui il cittadino non sisente più sicuro, non si è più liberi digirare per le strade serenamente”.

Men che meno per le autostrade

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dove degli “idioti” (scusatemi la brut-tezza del termine ma non saprei comealtro definirli) si sono rimessi a lancia-re sassi contro le auto. Una nuovabanda di “assassini” che sta terroriz-zando il mantovano, immemori (mal’ignoranza non ha memoria) dellamorte di Maria Letizia Berdini. In seigiorni hanno fatto nove feriti, alcunigravi, sette auto colpite, molte solosfiorate, mancate per un soffio in atte-sa di capire perché la Società Auto-strade ha da diversi mesi appaltato ilavori per innalzare delle reti di prote-zione sui cavalcavia e finora ci si è li-mitati a numerare i cavalcavia,proviamo a capire chi sono questinuovi criminali nell’agghiaccianteidentikit del Procuratore capo di Man-tova, Mario Luberto: “Ragazzi tra i 20ed i 30 anni, imbottiti di alcol e droga.Ecstasy, LSD, soggetti che agisconodopo una serata in discoteca.

Purtroppo restano, a margine diquesta storia, paura ed impotenza,uniti a tanta amarezza.

Chiedersi, a questo punto, dov’è ilproblema è superfluo poiché siamo difronte ad una situazione grave e dallemolte sfaccettature, non tutte facil-mente comprensibili.

Certo l’emergenza lavoro offre l’ali-bi a molte nostre mancanze.

Ma, purtroppo, non è nei tavoli,nella concertazione a tutti i costi che illavoro salta fuori. Il discorso è quasinoioso ma non si può non esigere unasana e coerente programmazione poli-tica che si ottiene solo abbandonandoquella “Logica della Pagnotta” a cuitanti sono affezionati.

Voglio capire il senso di manifesta-zioni per il lavoro come quelle orga-nizzate da Rifondazione Comunista.Una bella vignetta è apparsa sulla “se-condapagina” del Corriere della Seradi Domenica 26 luglio 1998, mostraun poliziotto che sta “manganellando”un manifestante. Il testo della vignettarecita: “Disoccupato, cassintegratodell’Ulivo, mostra l’altra guancia alsuo Collega governativo”.

Rifondazione mantiene in vita, “po-liticamente”, il governo Prodi. E nellecose della politica che ciò accada manon venga poi in Piazza da opposizio-ne al Governo. Proponga al Consigliodei Ministri che – detto per inciso –non manca di ascoltarla ed acconten-tarla, supinamente.

Credo sia giunto il momento di direbasta con il populismo, con le manife-stazioni di Piazza pochi giorni dopo la“fiducia critica” al governo.

Dell’Europa ci importa pochissimoquando in casa nostra si vive così.

Non mi va più di essere preso in girodai “professionisti della politica”, da

chi parla di lavoro, di misure per il la-voro non avendo mai lavorato in vitasua.

Cominciano da questo paradosso imali d’Italia.

Cominciano dalla disaffezione civi-ca molti guai. Il resto lo fa la mancanzadi sale in zucca. q

Un campo

per la

catechesidi Mimmo Reitano

Da alcune settimane si è con-cluso il campo estivo dei ca-techisti. Nei giorni 8-9-10luglio presso i padri Ventu-

rini, a Barcellona, i catechisti dei vica-riati di Santa Lucia del Mela,Barcellona, Milazzo, Montalbano,Novara Sicilia, si sono ritrovati per ilconsueto incontro di formazione chequest’anno ha avuto come tema e nonpoteva essere diversamente “Cammi-nando secondo lo Spirito”.

A guidare gli incontri è stato comesempre padre Aliquò che ha anchescritto lo strumento di lavoro. Questostrumento presenta tre temi fonda-mentali: lo Spirito Santo nel tempodella promessa (lo Spirito che si rivelanell’Antico Testamento), lo SpiritoSanto nella Pienezza del Tempo (Nuo-vo Testamento tempo di Gesù), lo Spi-rito Santo e la vita della Chiesa.

Ogni incontro iniziava con il mo-mento dell’accoglienza attraverso ildono di un segno: per il primo giornodi un segnalibro di color verde con in-serita una frase della Bibbia “Se per-tanto viviamo nello Spirito,camminiamo anche secondo lo Spiri-to” (Gal 5, 25); nel secondo giorno diun cartoncino con la frase del Vangelo“Lo Spirito del Signore è sopra dime…” (Lc 4, 18), hanno dato con unfiocco sempre di color verde; il terzoed ultimo giorno il dono di una pietraspruzzata di color verde, simbolo deicredenti pietre vive, che formano l’edi-ficio di Dio, cioè la Chiesa. Tutti i segnisono stati caratterizzati dal color ver-

de che rappresenta la speranza che civiene sempre data dallo Spirito.

L’incontro continua con un mo-mento di preghiera tra canti e la letturadi un brano del Vangelo a cui seguivauna breve riflessione da parte del sa-cerdote che presiedeva questo mo-mento. Il primo giorno il vicario diMilazzo, il secondo Padre Aliquò e ilterzo il vicario di Barcellona.

Ultimo momento della giornata eradedicato alla riflessione, momentocioè dove ognuno dei presenti, conl’aiuto dello strumento di lavoro, me-dita, studia e confronta le proprie co-noscenze sul tema trattato. Confrontoche si è sviluppato soprattutto nel la-voro di gruppo dove tutti hanno potu-to portare la loro esperienza econoscenza ed anche le loro incertez-ze, con approfondimenti su temi forsepoco trattati ma che finalmente si èpotuto in qualche modo sviluppare.

Certo, tre pomeriggi non sono statisufficienti a poter approfondire la va-sta tematica trattata ma almeno è ser-vito, magari su linee approssimative,ad accrescere, per chi aveva già delleconoscenze sull’argomento, e a stimo-lare gli altri affinché anche dopo ilcampo e sempre con l’aiuto dello stru-mento continui il loro studio.

Rendiamo grazie al Signore dellagrande Grazia che Egli ci dà, il donodello Spirito Santo e preghiamo affin-ché tutti noi possiamo sempre più as-saporare, valorizzare, concretizzarequesto grande ed immenso gesto diamore che Dio ha verso di noi. q

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Il bandolo della matassa perla centrale Eneldi Carmelo Parisi

Non credo sia errato dire chesullo stato e sul futuro dellacentrale Enel di S. Filippodel Mela regni una gran

confusione, a livello almeno di popola-zioni residenti e di lavoratori ivi impie-gati.

Il problema dell’impatto ambientaleprodotto dal mega impianto è statocertamente dibattuto in lungo ed inlargo e su di esso si è anche scrittomolto. Ci sono state numerose mani-festazioni anche popolari e se non ri-cordo male si è tenuto anche una sortadi referendum consultivo, che non haperò prodotto risultati tangibili. E i di-battiti continuano con la speranza diuna soluzione definitiva del problema.

Recentemente, il 20 giugno scorso,anche nel nostro Comune, se ne è te-nuto uno, organizzato dall’associazio-ne ambientalista “Amici della terra”club Messina Tirreno, sezione di S. Fi-lippo del Mela, con il patrocinio dellanostra Amministrazione Comunale.

Nel convegno-dibattito è statomesso a fuoco, ancora una volta, ovece ne fosse stato bisogno, il problemadella qualità della vita nel nostro com-prensorio con particolare attenzione aquella che, a torto od a ragione, vieneconsiderata la fonte principale di in-quinamento dell’aria che respiriamo edell’ambiente in cui viviamo, vale adire la centrale elettrica dell’Enel.

Anche il nostro sindaco ha tenuto aribadire, a conclusione dei lavori, cheil problema dell’inquinamento am-bientale è al primo punto del program-ma della sua amministrazione e che sibatterà con tutte le sue forze per la sa-lute e lo sviluppo futuro del nostropaese. Non avevamo dubbi in proposi-to e ci trova pienamente d’accordo e suquesto punto avrà in noi un pungolopositivo.

Il nodo della questione è sul tipo dicombustibile usato dall’Enel per farfunzionare la centrale, in quanto che,a giudicare da quello che sostengonogli ambientalisti, viene usato un com-

bustibile contenente un’alta percen-tuale di zolfo e di altre sostanze nociveche comporterebbe un aumentonell’atmosfera di sostanze altamentedannose tra cui l’anidride solforosa eduna ricaduta nel territorio di ceneri epolveri contenenti metalli pesanti alta-mente tossici per la salute pubblica.

Il condizionale è d’obbligo poichésiamo ancora in attesa, noi cittadini ditutto l’hinterland, che vengano final-mente istallate le famose centraline dirilevamento dell’inquinamento atmo-sferico per verificare e far riscontrare anoi tutti quello che effettivamente re-spiriamo e le sostanze che si deposita-no, ad esempio, sugli ortaggi cheproduciamo e mangiamo noi della val-le del Mela.

La questione si fa più complessa poiquando l’Enel dichiara di usare uncombustibile che è nella norma inquanto le emissioni prodotte non ol-trepasserebbero i limiti previsti dalleleggi vigenti in materia.

E qua il problema si fa più incom-prensibile: ma se inquina e fa danno,come mai è nella norma e perché glielo fanno usare, si domandano i più?

Non è un caso però se la regione Si-cilia è intervenuta, recentissimamen-te, con un decreto dell’Assessoreregionale al Territorio ed Ambiente,per imporre all’Enel l’uso di un com-bustibile a bassissimo tenore di zolfo eper agevolare il processo di metaniz-zazione auspicato a stragrande mag-

gioranza dalle popolazioni residenti.A questo punto la questione si è

complicata ancora di più in quantol’Enel sostiene, nelle parole del diret-tore compartimentale della Sicilia,ing. Vittorio Vagliasindi, che “la pro-duzione di energia elettrica, come altraattività industriale, deve rispondere acriteri di economicità ed efficienza e sel’insediamento diviene passivo alloranon resta altro che regolarsi secondo leleggi di mercato” ; che è come dire, ag-giungiamo noi; per chiarezza: vistoche non si guadagna, chiudiamo l’im-pianto e mettiamo sul lastrico millepersone, vale a dire mille famiglie checampano con quel lavoro.

Certamente l’opinione pubblica egli stessi lavoratori rimangono diso-rientati di fronte a questo stato di in-certezze e di illazioni che produconopreoccupazione e smarrimento.

Non si può ridurre la questione aquesto: o lavoro o ambiente. Questapretesa incompatibilità tra le due esi-genze, entrambe primarie, non ci tro-va consenzienti. Anche il nostroArcivescovo, mons. Giovanni Marra,dopo aver ricevuto una delegazione dilavoratori giustamente preoccupatiper la salvaguardia del loro posto di la-voro, è intervenuto sull’argomento,inviando una lettera aperta al presi-dente della Regione ed al presidentedell’Enel. Condividiamo pienamente ilcontenuto di essa quando rivolge loro“accorato appello perché, assieme aivostri validi collaboratori, possiate tro-vare le giuste soluzioni per superare leobiettive difficoltà che hanno portatoall’imminente pericolo di chiusuradella Centrale in questione”.

E’ imperativo a questo punto, persuperare l’impasse, rivedere le recentinorme del decreto regionale che, no-nostante le buone intenzioni, ha por-tato all’Enel, senza gradualità, limitirigidi ed oneri pesanti e nello stessotempo dare garanzie perché la stessasocietà possa proseguire e possibil-mente accelerare il processo di am-bientalizzazione dei gruppitermoelettrici. q

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I FATTI

NOSTRIa cura di Franco Biviano

L'Associazione Scacchisticadel Mela ha organizzato il IItorneo sociale di scacchiche si è svolto nei locali del-

la Scuola Media “G. Marconi” il 26 lu-glio scorso. I primi posti sono staticonquistati da Vincenzo Catalano(adulti), Giuseppe Chillè (under 14),Paola Zarzaca (under 12) e VincenzoZarzaca (under 10). L'impegno del-l'Associazione pacese è ammirevole,soprattutto perché mira a costituire unvivaio di giovani scacchisti in grado difarsi onore anche fuori dell'ambito lo-cale (Vincenzo e Paola Zarzaca sonoattualmente detentori del titolo pro-vinciale under 10 e under 12).

***La Giunta Municipale ha deliberato

l'aumento delle indennità di carica. Lenuove misure, decorrenti dal 1° giu-gno 1998, sono le seguenti (al lordo):

Sindaco 2.450.000Vice Sindaco 1.500.000Assessori 930.000Pres. Cons. 930.000Il gettone di presenza dei Consiglie-

ri Comunali è stato portato, a decorre-re dal 1° gennaio 1998, a lire 32.940per ogni seduta.

***L'Amministrazione Comunale ha

rilevato, per quanto riguarda l'impostacomunale arti e professioni (ICIAP)relativa al 1997, un minore accerta-mento di £. 134.382.000 rispetto allostanziamento definitivo. Si tratta di at-tività cessate, di minori redditi conse-guiti o di pura e semplice evasione?Sono in corso accertamenti da partedell'Ufficio Tributi.

***Diversi lavori e forniture sono stati

assegnati ultimamente con il sistemadell'affidamento diretto, previsto dal-l'art. 19 del Regolamento Contratti. Sitratta di una procedura che consente,per importi fino a 5 milioni e per moti-vi di urgenza o di particolare specializ-zazione richiesta, l'individuazionedella ditta assegnataria da parte della

Giunta, senza ricorrere alla trattativaprivata. Segnaliamo, in particolare, lafornitura di disinfettante per i casso-netti dei R.S.U (£. 2.400.000), la puli-zia straordinaria del territorio (£.5.568.000), la fornitura di segnaleticaper divieto di balneazione (£.2.640.000), il soggiorno vacanza perminori ed anziani (£. 9.925.000), lacollettiva di pittura (£. 10.000.000).Ci auguriamo che questa proceduravenga adottata solo nei casi di effettivaurgenza, in maniera che la selezionedella ditta assegnataria venga fatta inbase alla migliore offerta presentata.

***Ci permettiamo di segnalare agli

amministratori comunali che l'atriodel palazzo municipale è spesso tenutoin uno stato indecoroso. Da mesi, pro-prio in corrispondenza della bachecadell'albo comunale, giace depositatovario materiale fuori uso (computers,macchine per scrivere, carpette, scaf-fali) che non consentono ai cittadini lacomoda visione degli atti pubblicati.Segnaliamo, inoltre, che il pannelloindicante l'ubicazione dei vari ufficicomunali, in seguito agli spostamentieffettuati, non è più rispondente allarealtà. q

A spassoper l’isola

di Sara Pontuale

Spesso troppo presi dai no-stri impegni, non ci soffer-miamo abbastanza sullabellezza della nostra isola e

sulla sua ricchezza culturale. In parti-colare, quando abbiamo la possibilitàdi uscire dal nostro paese scegliamosempre itinerari lontani, sperando ditrovarvi ciò che abbiamo a portata dimano, ma che non conosciamo. In unrecente viaggio ho potuto appurarequanto belli siano i territori della no-stra regione.

Nei luoghi che ho visitato sono ri-masta esterrefatta dalla bellezza dellanatura che, in alcuni casi, riveste ilcompito di cornice per i monumentiche caratterizzano i vari paesi.

Basta spostarsi di poco, sulla Mes-sina-Palermo, per trovarsi di fronte abellissime e imponenti montagne chenascondono uno sconfinato territorioche sembra unirsi al cielo in un puntolontanissimo. Tantissimi altri luoghinella nostra amata isola offrono ai visi-tatori immagini bellissime di una re-gione considerata in decadenza dalpunto di vista socio-economico, manon certo dal punto di vista naturaleed artistico.

La Sicilia è una regione ricchissimadi testimonianze storico-artistiche:molti luoghi conservano la memoriamonumentale della venuta di conqui-statori che hanno lasciato il loro “zam-pino”, rendendo culturalmentevariegata l’isola. Uno dei luoghi chepiù mi ha colpito dal punto di vista ar-tistico è Monreale che, con il suo duo-

mo, attrae molti visitatori. L’immensacostruzione è dovuta a Guglielmo I eGuglielmo II, entrambi re di Francia,le cui salme in sarcofagi, uno in mar-mo bianco e l’altro in granito, all’in-terno dell’edificio.

Il duomo è diviso in tre navate dacolonne di ordine corinzio; sulle paretiper tutta la lunghezza del duomo unmosaico continuo racconta la storiasacra. Ma ciò che mi è rimasto impres-so nella mente del duomo è l’enormeimmagine musiva dell’abside centrale,il Cristo Pantocratore che con la destrabenedice e con la sinistra sorregge unlibro aperto con l’iscrizione in greco ein latino: “Io sono la luce del mondo,chi mi segue non cammina nelle tene-bre”.

L’immagine sembra accogliere e av-volgere i fedeli che entrano nel duomo.Vedere Gesù che ti abbraccia fa affio-rare, tra una confusione di pensiericreata dalla bellezza dell’insieme, unsolo pensiero: “Il Signore accoglienella propria casa, senza distinzione,tutti con immenso amore”. q

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V Edizione

La Collettiva di Pitturadi Paolo Orifici

Anche quest’anno, puntua-lissima, si è svolta in PiazzaMaria SS. Della Visitazio-ne a Pace del Mela la “Col-

lettiva di Pittura”.L’appuntamento, ormai divenuto

usuale, ripropone una formula che giàtante soddisfazioni ha dato in passatoe che ancor oggi risulta vincente. Ed adecretarne il successo è stato il pubbli-co presente in Piazza nelle tre serate(dal 24 al 26 luglio).

È singolare che la Mostra si sia te-nuta proprio nei giorni in cui l’Italia siè interrogata – inorridita – su quan-to avvenuto a Perugiacon lo sfregio della fac-ciata dell’oratorio di S.Bernardino ed a Viterbo.Stride l’accostamento frachi l’arte vuole distrug-gerla - inopinatamente - echi invece la porta in Piaz-za, fa sì che diventi quelloche realmente è: un patri-monio di tutti.

Dicevamo della colletti-va. L’edizione 1998 è statacaratterizzata dalla presen-za di tantissimi artisti, unaquarantina, ma soprattut-to ha fatto registrare unanotevole affluenza di pub-blico segno chiaro che lagente si è ormai abituataalla manifestazione ed hamostrato di gradirla appieno.

È piacevole infatti constatare la pre-senza di tante persone che si sono ri-trovate a discutere attorno a deiquadri, guidati dalla musica che ha ac-compagnato le tre serate.

La formula. Ne abbiamo già accen-nato ma ritengo opportuno sottoli-nearne la validità. Coniugare arte efolklore è importante perché il panecaldo, per intenderci, è un buon stru-mento per raccogliere gente in Piazza.È la Piazza in questi tre giorni è torna-ta a vivere, si è popolata, è tornata unsalotto, il salotto di Pace del Mela. Èuna Piazza viva è una bella cosa per un

Paese, tanto importante è l’aggrega-zione, il dialogo, la comunione, nellasperanza – viva – che questi aspetti“sociali” che si concretizzano in occa-sione della “Collettiva” si trasferisca-no totalmente nella vita di tutti i giorni.

La “Collettiva” h aeviden-z i a t o ,inoltre,la pre-senza aP a c ed e lMela dimolti

ta-lenti, di

p e r s o n eche lavora-no sodoanche se

soltanto perhobby. Questi

talenti li abbia-mo ritrovaticon piacere fracoloro chee s p o n e v a n o ,sintomo evi-dente della pre-senza a Pacedel Mela di untessuto fertile.

Giovani e meno giovani,tutti accomunati da un grande passio-ne per l’arte.

Pace del Mela esprime, tutt’oggipotenzialità grosse anche nel campomusicale. Abbiamo già detto che laMostra è stata accompagnata da esibi-zioni musicali, esibizioni fornite da ar-tisti “pacesi”. Ecco quindi – la primaserata – il Piano Bar di Pippo Mollurae Teresa Marino; il “Pianoforte” diAlba Sofia, Serena Schepis e OrianaImbesi e la voce di Antonella Trifirò,nella seconda serata.

La Corale “Cantica Nova” ha allie-tato, infine, la terza serata. In questo

caso non si trattava di una corale di“Pace”, tuttavia le cose belle non ap-partengono a nessuno, sono tesoro ditutti.

Questa constatazione ci offre lasponda per la chiusura: la “Collettivadi Pittura” è diventato un patrimoniodi tutta Pace del Mela, ha acquisitouna forza ed un prestigio che solo l’ar-te, le cose belle sanno dare. L’unicaforza capace di rendere un qualcosa

immortale, capace di sopravvive-re agli eventi.

In conclusione, vorrei rivol-gere, anche a nome della Reda-

zione de “Il Nicodemo”, unringraziamento a tutti quelli chehanno lavorato – dietro le quinte, inombra – alla buona riuscita della

mostra, primi fra tutti i dipendenticomunali. A tutti loro va il nostro rin-graziamento e l’augurio che la manife-stazione possa essere anche nel futurociò che già è: L’appuntamento. q

VILLAGGIOCAMASTRA’

(don Silvio Cucinotta)

«Posano le casucce in contro al sole,come un branco di pecore pascenti,mentre discorre sotto lentamenteplacida l’onda, come fare suole.

Da l’alto, a cavalier de l’imminentecolle, torreggia la pensosa mole,profumata di rose e di viole,muto terror de la campestre gente.

Del mar laggiù, di vele seminato,l’azzurra tela si svolge e confondecon l’estremo orizzonte imporporato.

Romita pace qui lusinga, in tantoche sull’ali de’l vento si diffondel’arcana nota di un femineo canto».

Il posto di contemplazione è ai piedi

del Serro, presso il perenne e vigoroso

sbocco d�acqua che s�incontra sul

cammino e donde cupa si intravede la

mole del diruto palazzo baronale.


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