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Anno XVIII · N. 53 · Settembre 2010€¦ · ANNO XVIII · N. 53 · SETTEMBRE 2010 Quadrimestrale...

Date post: 21-Jul-2020
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Nuove iniziative di Marca Solidale Vecchi quaderni di scuola L’ultimo barcàro del Sile Arte e storia locale Periodico quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca Credito Cooperativo Società Cooperativa. Anno XVIII · N. 53 · Settembre 2010 Poste Italiane spa · Spedizione in abbonamento postale, 70% · DCB TV. 53
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Nuove iniziative

di Marca SolidaleVecchi quaderni

di scuola

L’ultimo barcàro

del Sile

Arte e storia

locale

Periodico quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura localedella Banca della MarcaCredito CooperativoSocietà Cooperativa.

Anno XVIII · N. 53 · Settembre 2010

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som

mar

io2 Tra statistiche e previsioni

3 B.C.C. una nuova struttura per il territorio

4 Notizie in breve

7 Marca Solidale

10 Giovani a Shanghai

11 Paesi, storie, bambini

13 Scoprire il mondo vegetale: la quercia

16 Fondazione di Comunità: iniziative sociali

18 Vecchi quaderni di scuola

21 Stile di vita: ecco lo Slow Food

24 Montagna: il coraggio di avere paura

26 Montagna: i custodi del turismo alpino

28 Il Soccorso Alpino in cifre

29 Un’idea per un semaforo

30 L’ultimo barcàro

33 I nostri anziani raccontano

34 Un viale per Gina Roma

36 El vin del prete

38 Monumento di storia, arte e fede

ANNO XVIII · N. 53 · SETTEMBRE 2010

Quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca

Le opinioni esposte in articoli firmati o siglati esprimono il punto di vista dei singoli autori e non quellodell’Amministra zione della Banca. Gli articoli inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non si restituiscono.È consentita la riproduzione dei testi purché venga citata la fonte. L’Editore si rende disponibile ad assolvere agliobblighi in materia di diritto d’autore con i soggetti interessati non individuati che avanzino legittima richiesta.

Garanzia di riservatezza. I dati personali dei destinatari della rivista saranno utilizzati dall’Editore, titolare del trat-tamento, unicamente per l’invio della pubblicazione e di eventuali offerte commerciali secondo le finalità e imodi consentiti dalla D. Lgs. n. 196/2003. Pertanto, i dati potranno essere trattati con mezzi informatici o ma-nualmente anche da parte di terzi che svolgono attività strumentali (etichettatura, spedizione) e potranno essereconsultati, modificati, integrati o cancellati in ogni momento dagli interessati inoltrando richiesta al responsabi-le, nominato per la carica, sig. Patrizio Pillon all’indirizzo della redazione.

Internet: www.bancadellamarca.it · e-mail: [email protected]

Direzione e redazioneVia Garibaldi, 46 · 31010 Orsago/Tv

Direttore responsabileAngelo Roman

Segretaria di redazioneMariapia Biscaro

In redazioneFabrizio Bertazzon, Claudio Bortolotto,Sergio Dugone, Piergiovanni Mariano,Giuseppe Maset, Mario Meneghetti,Gianpiero Michielin, Vittorio Janna,Enrico Travaini, Gino Zanatta

ProgettoJanna/Pn

Stampa Tipolitografia Carlet Giuseppe s.r.l.Orsago/Tv

Registrazione TribunaleTreviso n. 911 del 27 maggio 1993

In copertina. Bosco del Cansiglio (foto di Silvio Vicenzi).

Foto. Archivio Banca della Marca, Studio Janna, Norma Grafica.

SOTTOVOCE

Il mondo è veramente ridotto ad una grande eternastatistica: si disquisisce su tutto e tutto ormai vieneespresso in percentuali. In queste settimane ci ha colpitouna statistica dell’Istat riguardante i «figli naturali»,ovvero i nati al di fuori di un regolare matrimonio,che rappresenterebbero oggi il 20% di tutte le nascitedel nostro Paese. Il fenomeno sociale è per altro in fase di forteaccelerazione se consideriamo che solo nel 2000i bambini di coppie non sposate erano poco piùdi 50mila mentre nel 2007 erano ben 117mila.Con questo passo – deducono le proiezioni –il fenomeno in dieci anni raddoppierà per cui nel 2020potrebbe verificarsi in Italia che una nascita su dueavvenga fuori dal matrimonio. Il cambiamento saràall’inizio più evidente nelle regioni del Nord ma entroil 2025 sarà totale anche nel Sud dove le coppie di fattosono meno numerose e dunque il matrimonio resistecon forza.La crescita delle nascite extraconiugali segue l’evolversidi un costume che non considera più il matrimonio comeil fondamento di una unione; da qui il conseguente calodelle nozze, il cui numero è passato da 392mila del1972 alle 212mila del 2008. Ma non sarà la finedel matrimonio come istituzione – ci dicono i sociologi –anche perché dopo la nascita del figlio i genitoritendono a legalizzare la loro unione.In fatto di previsioni invece c’è da segnalare che ci sonoanche coloro che sulla fine del mondo, previstaper il 2012, proprio non ci credono e anzi rilancianola loro sfida domandandosi «Come saremo nel 2050?».A questa domanda infatti proverà a rispondereun convegno organizzato dalla Fondazione Nardinidi Bassano del Grappa nei giorni 10 e 11 novembreprossimi. Il convegno dal titolo «Benvenuti alCapodanno 2050» sarà coordinato da Gianni Riotta,direttore del Sole24Ore, e raccoglierà interventi diesperti sul futuro del nostro satellite.Sono previsti in platea centocinquanta giovaniappositamente selezionati dagli atenei italiani.Che siano questi il nostro futuro?

Tra statistichee previsioni

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È sorta di recente la Fondazione del CreditoCooperativo, associazione costituita dalle sei B.C.C.che operano in provincia di Treviso. Lo scopo èquello di armonizzare le iniziative che questebanche intendono svolgere nei confronti dei varienti provinciali (pubblici, economici, servizi,categorie, ecc.) in modo che – sotto un unicomarchio – il Credito Cooperativo possa riflettereuna immagine univoca nel presidio dell’interaprovincia secondo le proprie finalità istituzionali.

A Gianpiero Michielin, presidente della Banca dellaMarca, abbiamo chiesto alcune delucidazioni sullanatura della Fondazione, anche perché il termine«fondazione» richiama nell’immaginario collettivodisponibilità di fondi spesso cospicui.«È chiaro che il nome Fondazione lascia spazio adimmaginare un certo tipo di attività per la qualeancora non siamo completamente pronti, tuttavianoi abbiamo voluto chiamarla così soprattuttopensando alle prospettive future. Il primo compitoinfatti che le viene affidato è quello di meglioindirizzare le risorse, che fin ora tutte le B.C.C.trevigiane hanno messo a disposizionesingolarmente per supportare eventi a carattereprovinciale, creando un ulteriore strumento dicondivisione ed un unico punto di coordinamentofunzionale anche ad una maggiore valorizzazionedegli sforzi che vengono profusi.

Con l’istituzione di questa Fondazione puòsussistere il pericolo di perdita di autonomia delleB.C.C. locali?«Assolutamente no. Resta inteso che le Banche siriservano di essere presenti nei rispettivi territori diloro competenza esattamente come nel passato.Tutto rimane come prima: nella Fondazionefiniranno le iniziative comuni, nelle quali lo sponsornon figurerà più con i sei marchi delle B.C.C.trevigiane ma con quello unico della Fondazione.Chiaramente essa si prefigge per il futuro dicompiere un salto di qualità rispetto a quello chele Banche ora possono svolgere a livello provinciale.Ma al momento nessuno si aspetti «voli pindarici»:per le iniziative di largo respiro dovremo attenderetempi migliori. Attualmente dobbiamo cercare dirodare la Fondazione con quegli strumenti esoprattutto con le risorse che la situazionecontingente ci consente di utilizzare».

Ci sembra di capire che la Fondazione siaveramente uno strumento che consente alle B.C.C.di incidere maggiormente sul territorio.«Sicuramente sì. Questa è una iniziativa proficua eopportuna. L’importante è che essa sia statacondivisa da tutte le B.C.C., come del resto èaltrettanto importante, agli occhi esterni, poterpresentare il Credito Cooperativo sotto questo tipodi intesa e di collaborazione. Non sono molte leiniziative di questo genere nelle Regioni; qui nelVeneto siamo il secondo caso dopo Vicenza.Ovviamente ogni provincia ha la sue peculiarità percui anche sotto questo profilo le singole Fondazionipotranno adottare gli strumenti più adatti affinchéil Credito Cooperativo abbia nel loro territorio unavisibilità e un gradimento complessivo sempre piùimportante».

Non è che – come si suol dire – è stato fatto il passopiù lungo della gamba?«Abbiamo parlato chiaro: siamo consapevoli diquello che si può fare ora e di ciò che potremorealizzare in futuro. Sono certo che, individuandogli obiettivi immediati e urgenti, la nostraFondazione potrà diventare da subito qualcosa diimportante, come il nome lascia immaginare. Magià da ora, in questa situazione economica difficilee nella quale non è più possibile trovare facilmentedegli sponsor, il Credito Cooperato continua atenere aperti i «rubinetti» delle disponibilità anchese le sue risorse non solo illimitate e debbonoessere oculatamente impiegate».

Gestire la Fondazione in questa situazione di crisinazionale non sarà facile.«È vero, ma è doveroso cimentarsi in questaimportante avventura; tra le tante iniziative disuccesso che ci fanno ben sperare per il futuroanche di essa, per esempio, c’è quella creata dellanostra Banca della Marca con la costituzione edil risultato ottenuto dalla sua creatura: «MarcaSolidale» una società di mutuo soccorso moltoapprezzata dai soci e dai clienti del nostro Istitutodi Credito.La Fondazione di cui in questa intervista parliamonon è altro che un ulteriore passo in avanti,nel caso specifico, collettivo delle B.C.C. trevigianeverso una sempre migliore presenza nel comuneterritorio provinciale».

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UNA NUOVA STRUTTURA PER IL TERRITORIO

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MEDIOEVO A CANEVA

RICORDATI GLI ANTICHI STATUTIQuest’anno le tradizionali giornate medievali diCaneva tenute nel luglio scorso, si sono svolteall’insegna della rievocazione storica centratasugli antichi statuti comunali. Nel corso del periodopatriarcale aquileiese, anche la comunità di Caneva,come era avvenuto per altre realtà cittadinedel Friuli, non aveva mancato di raccogliere inun unico testo i propri regolamenti nonché normee consuetudini locali, purtroppo poi andatoirrimediabilmente perduto. La manifestazionesvoltasi al castello – all’insegna di una stupendacoreografia in costume – ha voluto ricordare quellontano giorno d’aprile del 1360 allorchéil patriarca d’Aquileia Raimondo della Torre arrivavaa Caneva per approvare ufficialmente gli statuti.

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4 INSIEMECON FIDUCIA

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AL MUSEO DIOCESANO

IMMAGINI DELLA VERITÀ CRISTIANAÈ stata inaugurata il 18 settembre nelle sale delMuseo di arte sacra «Albino Luciani» di VittorioVeneto la mostra «Immagini della verità cristiana»,una rassegna di icone dell’artista Nikla FadelliDe Polo. La mostra è stata concepita sulla basedi un criterio tematico o «sostanziale» che aiutail visitatore a leggere e a capire le icone (dal grecoeikon immagine) non solo come forma d’arte, masoprattutto come riflessione teologica sui principalieventi della Storia Sacra o della vita dei Santi,sempre presenti in mezzo a noi.Articolata attraverso un itinerario sezionale permeglio comprendere il fascino di questa forma d’artee insieme la profondità dei contenuti teologicie culturali, la mostra riserva anche un approcciodidattico: in una apposita sala il visitatore vieneintrodotto alla lettura del linguaggio specificodell’icona riguardante sia gli elementi tecnicisia soprattutto i simboli e l’uso dei colori, penetratida una luce che non proietta ombra.

NEL 4° CENTENARIO DELLA MORTE

PADRE MATTEO RICCIL’11 maggio 1610, a 57 anni, moriva a Pechinoil gesuita Matteo Ricci, originario di Macerata.Era nato nel 1552 in una famiglia patrizia; dopoaver studiato nella natale Macerata e a Roma,fu ordinato sacerdote nel 1580; in precedenza dal1577 fu prescelto dai Superiori per una missionein Portogallo e poi in India. Arrivò a Macao in Cinanel 1583 e nel 1601 si stabilì a Pechino ed inseguito divenne Gran Segretario dell’Impero (caricaidentificabile oggi con quella di primo ministro),grazie ad un letterato convertitosi al cristianesimo.Matteo Ricci fu un uomo di grande cultura cheseppe far convivere il cristianesimo con il pensiero

e le tradizioni dell’Estremo Oriente. Fu capacedi farsi apprezzare perché riuscì ad approfondirela conoscenza della cultura cinese e delle tradizionireligiose e filosofiche locali e perché seppe evitareogni senso di superiorità della cultura europea.Padre Matteo Ricci e Marco Polo sono duedei pochi occidentali che sono riusciti ad ottenereuna vasta notorietà in Cina, e che sono tutt’oggifamosi.

AL CREDITO TREVIGIANO

IL GREEN GLOBE BANKING AWARDLa consorella di Vedelago – Banca di CreditoCooperativo Trevigiano – ha vinto la terza edizionedel Green Globe Banking Award, premio promossodalla Società Globiz con il patrocinio del Ministero

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LIBRO DI SILVANO PICCOLI

NUOVI EPIGRAMMISi intitola «La nostra part» (De Bastiani Editore)il nuovo libro del poeta Silvano Piccoli, una secondaraccolta di epigrammi parte scritti in lingua e partein dialetto pedemontano di Villa di Villa, frazionedel Comune di Cordignano. Anche questi, comei precedenti, rappresentano alcuni momenti di vitadell’autore, aspetti ed episodi di una quotidianitàche egli media attraverso la fantasia e più spessola memoria, che non è mai malinconia, ma unaprofonda scavata e amara ironia. Rispetto aglielaborati precedenti, questi nuovi epigrammi

DIRETTIVA EUROPEA PER LE BANCHE

I SERVIZI DI PAGAMENTOIl 5 luglio scorso è entrata a pieno regime la direttivaeuropea, detta PSD «Payments Services Directive»,che si applica a tutti i servizi di pagamento dispostida imprese e privati. Ha l’obiettivo di standardizzareil quadro normativo sui servizi di pagamento,di garantire tempi di esecuzione più velocie dare la possibilità di conoscerne l’esito in modopiù rapido.A questa innovazione sono interessati: i bonificieseguiti con destinazione Italia e Spazio EconomicoEuropeo; gli incassi commerciali Italia come Ri.Ba.,MAV, R.I.D., e bollettini bancari; i prelievi edi pagamenti con carta di pagamento nei paesiEuropei; il versamento di contanti, i bollettini postalied altri servizi di pagamento accessori.Non sono interessati dalla innovazione: gli assegnibancari e circolari; gli effetti cartacei come le cambiali;i girofondi tra banche; le «carte fedeltà» utilizzatenelle catene di esercizi commerciali; i pagamentieffettuati nella divisa di paesi extra lo SpazioEconomico Europeo. La nuova Direttiva impattaanche sui servizi di pagamento che riguardano laPubblica Amministrazione, in particolare per quantoattiene le deleghe fiscali ed i servizi di tesoreria.

dell’Ambiente. Per l’assegnazione di questo premiovengono prese in considerazione e premiatele banche che pongono particolare attenzionea fare il loro mestiere con un occhio di riguardoall’ambiente; il Credito Trevigiano ha primeggiatodi fronte ai più importanti colossi bancari nazionali.La motivazione del premio recita: «Il Progetto delCredito Trevigiano presenta con eccezionalechiarezza la capacità della Banca di creareuna leadership del territorio guidando le impresee i privati verso comportamenti ecoefficienti.Attraverso l’intelligente valorizzazione deiprotocolli internazionali, un sistema di offerta diprodotti e servizi per l’ambiente eccellentementestrutturato e una originale relazione con il territoriocarica di valori e di iniziative, il Progetto del CreditoTrevigiano esprime una genuina volontà di tuteladell’ambiente con la quale ha raggiunto significativiavanzamenti nella qualità della vita per clientie cittadini ed eccellenti risultati economiciper la Banca».

GRASSI, OBESI, MAGRI O IN LINEA?

UN MODO SEMPLICE PER CAPIRLOAl rientro dalle ferie o dopo il tradizionale periodo diriposo estivo è facile ritrovarsi con qualche chiloin più. In realtà l’eccesso di peso è divenuto unacaratteristica delle persone che vivono nell’opulentomondo occidentale, Italia compresa. Nel nostro Paeseben oltre un quarto della popolazione (circa 16milioni) sono soggetti in sovrappeso e ben oltre5 milioni sono obesi. La differenza tra maschi efemmine incide sul fenomeno, infatti, le donnetendono ad avere più grasso così come gli anzianirispetto ai giovani. L’Organizzazione Mondiale dellaSanità ha ideato una classificazione della patologia,utilizzando l’indice di massa corporea calcolatodividendo il peso in chilogrammi per il quadratodell’altezza in metri. Questo indice è il Bmi, acronimodi Body mass index.La classificazione è la seguente: Sottopeso < 18,5 –Normopeso 18,5/24,9 – Soprappeso 25/29,9 –Obesità lieve 30/34,9 – Obesità moderata 35/39,9 –Obesità grave > 40.Una verifica personale, tra le mura domestiche, puòpermettere di fare le scelte opportune, l’obesità èspesso associata a complicanze di salute che èopportuno curare assistiti da un medico specialista enon affidarsi a diete «fai da te», sempre sconsigliate.

AUMENTANO GLI IMPIANTI

IL NORD EST E L’ENERGIA PULITAIl Nordest in questi ultimi mesi ha investito conconvinzione nell’energia solare. Rispetto allo scorsoanno, nei primi sette mesi del 2010 gli impianti

in esercizio sono cresciuti del 52%. Al 31.12.2009nelle Tre Venezie erano attivi 10.552 impiantisui 56.285 esistenti in Italia (il 18,70%); al 31 luglioscorso erano saliti a ben 17.044 impianti suun totale Italia di 83.893 (pari al 20,30%).Anche la produzione di energia «pulita» èconsiderevole: 112.883 chilowattora su 700.653prodotti a fine 2009 (il 16,10%) divenuti 189.250su 1.252.240 totali a fine luglio 2010 (il 15,11%).Gli impianti censiti sono così distribuiti: 4.184in Trentino Alto Adige, 4.236 in Friuli VeneziaGiulia e 8.624 in Veneto.

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ANZIANI DELLA NOSTRA CASSA RURALE

RICORDO DI REMO POLLESEL

l’innata discrezione, la disponibilità senzalimiti: «sior Remo» era l’amico di tutti,in particolare dei meno avvezzi al mondo dellafinanza che in lui riponevano la totale fiducia.La sua presenza diede la spinta iniziale chepermise poi all’Istituto, con l’inserimento dinuove figure professionali, di diveniregradualmente una delle Banche di riferimentodel Credito Cooperativo Nazionale.Remo Pollesel fu Socio della Cassa Rurale edArtigiana di Orsago e il Suo impegno civilelo portò a far parte attiva anche del ConsiglioComunale di Orsago e ad essere una figuradi spicco nelle molte cooperative agricolesorte in zona.Gli ex colleghi ricordano in lui un esempio dicorrettezza e dedizione, un amico vero, unapersona sempre disponibile al consiglio mirato,al suggerimento più adatto per superaregli inevitabili momenti di difficoltà.Da tutti: Consiglio di Amministrazione, CollegioSindacale, Soci, Direzione Generale, ex colleghi,Comitato di Redazione del Giornale un grazieal signor Remo ed una vicinanza forte allafamiglia.

Il giorno 10 agosto scorso, dopo aversopportato le tribolazioni causate da una gravemalattia, Remo Pollesel ci ha lasciati, all’etàdi 80 anni, con la discrezione che ha semprecaratterizzato il suo stile di vita. Remo Polleselè stata una figura determinante per la vita el’attività dell’allora Cassa Rurale ed Artigianadi Orsago: fu infatti un pioniere, il primodipendente e colui che fu artefice dellasua salvezza nei momenti in cui tutto il vecchiodoveva essere cancellato per lasciare spazioalle innovazioni.Dopo essersi diplomato geometra ed aversperimentato altre esperienze lavorative, entròin Banca nel 1960 dopo aver frequentato aTreviso un percorso formativo per tecnici diCassa Rurale, organizzati dal mondo dellaCooperazione.Con il suo inserimento, la Cassa Rurale iniziòa diventare operativa a tutti gli effetti,ad aprire gli sportelli regolarmente, ad esseregradualmente un punto di riferimento perOrsago e poi per il territorio contermine.Remo Pollesel rimase in Cassa Ruraleper trent’anni; era proverbiale la sua cortesia,

PROTAGONISTA IL VINO

A BORGO MALANOTTEIl 10 agosto scorso, notte di San Lorenzo, tra le viedell’antico Borgo Malanotte ed i giardini di Villa Dircea Tezze di Piave, si è svolta la manifestazione «Calicidi Stelle», appuntamento promosso dall’AssociazioneNazionale Città del Vino. L’evento era statoorganizzato dalle amministrazioni comunalidi Vazzola e San Polo di Piave, in collaborazione conl’Associazione Gruppo Borgo Malanotte, la Pro Locodi San Gregorio di Tezze, la Pro Loco di San Polo diPiave, la Confraternita del Raboso Piave, il ConsorzioTutela Vini del Piave e la Strada dei Vini del Piave.

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INSIEMECON FIDUCIA6

Hanno partecipato trenta aziende vinicole locali e treaziende produttrici di grappe e liquori, prodotti chei circa 3.000 convenuti hanno potuto degustareliberamente abbinandoli ai piatti tipici della zona.Erano possibili anche degustazioni guidate di tre vinilocali: Incrocio Manzoni, Carmenère e Raboso Piave.Una nota coreografica alla manifestazione è statadata dal «Divin Corteo», con i tamburini e glisbandieratori della Dama Castellana di Conegliano.Nella notte è stato possibile scrutare le stelle conil telescopio guidati dall’Associazione Astrofili diVittorio Veneto. Durante la serata c’è stata anchela consegna di riconoscimenti alle cantine premiateper l’eccellenza dei vini presentati al ConcorsoNazionale «La Selezione del Sindaco 2010».

prestano molta attenzione alla vita pubblica,ai problemi sociali, politici e religiosi della nostrasocietà; ma vi regna anche una maggioreinclinazione all’introspezione e all’intimo, facendosicarico che egli stesso è partecipe di questacontroversa società. Trovo anche che il Piccoli nondisdegna talvolta la boutade, secca e perentoriacome quando scrive: «Forse fu confusione,//un attimo di smarrimento,// ma quandoil demoscopico mi chiese di stilare/ in tutta frettal’indice personale di gradimento// dei ministri,risposi: «Mi piace la brunetta».

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Solidale

Nell’annuale assemblea dei soci diMarca Solidale tenuta il 9 maggio2010, sempre presso il Palaingressodel quartiere Fiera di Godega di S.U.(TV), si è svolto un convegno dal tito-lo «Alimentazione e stili di vita». I la-vori sono stati curati dal Dott. An-drea Fenato, pediatra di famiglia, re-ferente provinciale del progetto«Alimentinsalute» della Regione Ve-neto e dalla Dott.ssa Patrizia Chia-mulera dietista presso il Dipartimentodi Prevenzione ULSS7 e docente didietetica al corso di laurea di Assi-stente Sanitaria.I temi trattati sono stati molto impor-tanti, apprezzati dai numerosi sociche hanno seguito con notevole in-teresse l’esposizione dei vari argo-menti.Con l’Assemblea 2010, si è chiuso ilprimo triennio di attività di MarcaSolidale. I risultati ottenuti sono statipiù che lusinghieri. I Soci attivi alladata dell’assemblea stessa erano ol-tre 3100, una cifra notevole che ciha permesso di promuovere varie ini-ziative, alcune delle quali sono diven-

tate «routinarie» come, ad esempio,lo Screening Cardiologico.Anche nel campo dell’attività mutua-listica vera e propria, i rimborsi sonosempre più numerosi, i Soci hannoacquisito consapevolezza delle age-volazioni sviluppate, sia in terminieconomici, sia in termini di utilizzo distrutture convenzionate disponibili ingran numero sul territorio.Come al solito, all’inizio anno è sta-to diffuso il programma delle attivitàcon le relative scadenze, integraterecentemente con l’inserimento diulteriori iniziative che ri guardano so-prattutto i giovani. In particolarenell’ambito delle attività sportive so-no state attivate visite mediche fina-lizzate a controlli sullo stato di salu-te prima di affrontare discipline, sepur amatoriali, comunque sempreimpegnative per quanto riguardasforzi fisici.Altra proposta consolidata, fuori dalcampo sanitario, che sta avendo no-tevole utilizzo da parte dei nostri So-ci, è il prestito a costo zero di seicen-to euro per spese scolastiche, au-

CONSOLIDAMENTO DELLE ATTIVITÀ E NUOVE INIZIATIVE

mentato quest’anno ad ottocentoeu ro in presenza di più figli in etàscolare, per chi ne fa richiesta. Inol-tre è stata attivata una simpatica ini-ziativa, con la distribuzione di un«Kit Scuola» per gli scolari delle ele-mentari, contenente i semplici stru-menti di comune utilizzo nei primianni di scuola. Questo è un segno diattenzione, già iniziato con la distri-buzione gratuita per i nuovi nati delSeggiolino Auto, per tutti i giovanis-simi, nostri futuri potenziali nuoviassociati.Attualmente lo Staff di Marca Soli-dale sta studiando e sviluppando ul-teriori iniziative soprattutto nel cam-po sociale, in modo da creare mo-menti di partecipazione ed incontrifra Soci che ne consolidino ed am-plifichino il senso di appartenenza.In questo ambito sono in corso distudio iniziative quali l’organizzazio-ne di gite sociali con annesse visite amostre, musei, ecc. e agevolazioniper l’utilizzo di strutture sportive eculturali, mentre prosegue semprecon successo la convenzione persog giorni termali.Continua la collaborazione con ilCRO di Aviano, e pubblichiamo sem-pre con grande piacere in questa rivi-sta, gli interessanti articoli che di vol-ta in volta ci vengono inviati.L’assemblea dei Soci di quest’anno,ha eletto i nuovi consiglieri e sindacidi pertinenza di Marca Solidale. Suc-cessivamente si è provveduto allanomina ufficiale e formale del nuo-vo Consiglio e del nuovo Comitatodei Sindaci che dureranno in caricaper i prossimi tre anni. Sono stati ri-confermati i nominativi e le carichedella precedente amministrazione.

ADRIANO CEOLIN

Marca

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INSIEMECON FIDUCIA8

È ormai accertato che l’infezione daalcuni tipi di papillomavirus – HPV –è responsabile, anche se non da so-la, non solo dei tumori del collo del -l’utero, ma anche di circa metà deitumori della vulva, di parte dei tu-mori dell’ano e del pene, oltre chedi tu mori del cavo orale e del rinofa-

circa 8-10 anni; di queste, tra 6 e 11avranno un cancro del collo del l’ute -ro, e circa 2 ne moriranno. Com -ples sivamente in Italia muoiono ognianno circa 1100 donne di questaneo plasia: ricordiamo che ci sonoperò circa 2000 morti sul lavoro ecir ca 7000 per incidenti stradali.

colposcopia. Nelle donne più giova-ni, al di sotto dei 35 anni, solitamen-te una lesione di bas so grado (di-splasia lieve – CIN1) non viene trat-tata se non quando persiste peralcuni anni, in quanto soli tamenteregredisce, mentre nelle don ne dietà superiore viene ge ne ralmentecurata. Vengono sempre trattate lelesioni di alto grado (di splasie mediae grave-CIN2 e 3) per la possibilitànel 15-30% dei casi di progressioneverso il cancro. La cura di questi casiconsiste nell’escissione della zonadel collo dell’utero colpita, con unintervento ambulatoriale, ese guito inanestesia locale, che si chi ama co-nizzazione, e che non incide di solitosulla possibilità di avere poi gravi-danze. L’asportazione dell’utero si fasolo in casi particolari, o in meno-pausa. Lo screening nel suo complesso, neipaesi dove è presente, è stato ingrado, con le procedure ricordate, diabbattere la mortalità da tumori del-la cervice uterina di oltre il 90%. Ov -viamente questi risultati si possonoavere quando lo screening è orga -nizzato, a chiamata attiva, dove tuttigli operatori sono accreditati e dovetutte le tappe del processo sono sot-to controllo di qualità.Questo tipo di prevenzione è chia -mata secondaria, ed è costituita dal-la diagnosi precoce delle forme pre -invasive. La prevenzione primariacon siste nella protezione dall’agentepatogeno, e nel caso dell’ HPV im -pedisce che si instauri l’infezione equindi le lesioni pretumorali. Da al -cuni anni è stato introdotto anche inItalia un vaccino contro i due prin -cipali ceppi oncogeni di HPV, il 16ed il 18, responsabili del 70% deitumori del collo dell’utero: questovaccino si è dimostrato in grado difornire un’alta protezione nelle per-sone non venute ancora in contattocon questi ceppi virali, una protezio-ne della durata, ad oggi, di almeno8 anni dalla som ministrazione delle

LA PREVENZIONE DEI TUMORI GENITALICAUSATI DA HPV: DAL PAP TEST AL VACCINO

ringe. In realtà l’infezione anche daceppi oncogeni di HPV è molto dif-fusa, si trasmette per via sessuale,spesso è asintomatica e transitorianei giovani, e solo in alcuni casi –quando persiste e quando il sistemaimmunitario non è in grado di elimi-narla, ad esempio per l’abitudine alfumo – può causare lesioni pretu-morali (chiamate di spla sie). Questelesioni nella maggior parte dei casire gre discono, ma in alcuni casi pos-sono evolvere da lievi a medie a gra-vi, in una scala che può portare alcancro. In Italia, in media, è statocalcolato che su 100.000 donne cir-ca 16.000 si infettano con HPV ognianno; tra queste circa 1600-3200mani fe ste ran no delle lesioni lievi inun periodo variabile tra 3 e 5 anni,mentre 80 manifesteranno una le-sione medio/grave in un periodo di

Il lungo periodo necessario perl’evo luzione verso il tumore ha per-messo di realizzare dei sistemi discreening: poiché l’infezione in sénon è una pa tologia, si è cercato diindividuare le donne che presentava-no lesioni pre tu morali, per curarle(quasi sempre senza dover asportarel’utero), inter rompendo il percorsoche porta al cancro. Proprio per l’al-ta frequenza di infezione e la bassafrequenza di tumori in età giovanilelo screening mediante il pap testogni tre anni è in tutti i paesi euro-pei eseguito tra i 25 ed i 64 anni. Inpresenza di un pap test positivo ledonne eseguono un accertamentoulteriore, la colpo scopia, che studiail collo dell’utero, le pa reti vaginali ela vulva con dei co loranti specifici: incaso di dubbio vie ne eseguita unabiopsia sulle aree segnalate dalla

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tre dosi di vaccino necessarie per im -munizzarsi. Esistono due formulazio-ni commerciali, una costituita da unvaccino bivalente contro i ceppi 16 e18 e un’altra da un vaccino qua -drivalente contro i ceppi 16, 18, 6 e11, questi ultimi responsabili deicondilomi genitali, una patologia be-nigna a trasmissione sessuale chepuò essere particolarmente fastidio-sa. Per entrambi i vaccini è necessa-rio somministrare tre dosi a tempipre stabiliti per ottenere una im mu -niz zazione efficace.Il vaccino è costituito da particellefatte con la parete del virus senzaperò il DNA all’interno, capaci quindidi stimolare il sistema immunitariosenza essere infettanti. La rispostaimmunitaria è tanto più alta quantopiù si è giovani, ed il vaccino è effi-cace soprattutto quando non si èvenuti a contatto con il virus: questoil motivo per cui l’OMS suggerisce divaccinare le bambine tra i 9 e i 13anni, quando la possibilità che ab-biano iniziato i rapporti sessuali èmolto scarsa. In Italia l’offerta pub -blica del vaccino è rivolta alle do -dicenni (tra 11 anni e 1 giorno e 12anni), anche perché in età scolare lebambine sono tutte raggiungibili, inun sistema di equità sociale.Nel mondo sono state somministra-te ormai più di 50 milioni di dosi, edi dati dimostrano che il vaccino è si -curo, con effetti collaterali e reazioniavverse simili a quelle di tutti gli altrivaccini.L’obiettivo è vaccinare le bambine, enon i maschi, perché le femmine –se protette – non si contageranno seavranno rapporti con maschi affettida in fezione dovuta a quei ceppi vi-rali presenti nel vaccino.Il vaccino è molto costoso (lo statostan zia per questo 75 milioni di eurol’anno), e molti hanno criticato que -sta scelta pubblica in quanto lo stessostanziamento, volto verso patologieche causano una più alta mortalità,avrebbe potuto far ottenere miglioririsultati alla spesa sanitaria: in ognicaso lo stanziamento è stato fatto, edora i risultati si possono ottimizzaresolo cercando di vaccinare il maggiornumero di bambine possibili.Va sottolineato che i risultati si po -tran no vedere solo tra molti anni, e

che una diminuzione di mortalità dacancro del collo dell’utero si potràve dere solo tra 30-40 anni, mentrein tempi molto più brevi (5-6 annidalla vaccinazione) si potrà notareuna di mi nuzione dei casi di condilo-mi ge nitali qualora si utilizzi il vacci-no qua drivalente.Per ottenere i migliori risultati allavaccinazione dovrà accompagnarsiuna adeguata opera di informazio-ne. Deve essere ben chiaro che an-che le donne che sono state vacci-nate do vranno sottoporsi regolar-mente al pap test, perché il vaccinoprotegge solo dalle lesioni da ceppi16 e 18, mentre il 30% dei casi ditumore sono causati da altri ceppivirali, ed in questi casi sarà possibilesolo la pre venzione secondaria.Tutti, ed in particolar modo i giovanie gli adolescenti, debbono sapereche il vaccino non protegge da altrema lattie sessualmente trasmesse: ilri schio di contagiarsi con il virus HIVo con quello dell’epatite C, in casodi rapporti non protetti, resta ovvia -mente identico a quello delle perso-ne non vaccinate. Medici, operatorisanitari e genitori sono chiamati acon tribuire tutti all’educazione sani -taria degli adolescenti: il grande pe -ricolo è che questi si possano sentireerroneamente protetti da ogni tipodi infezione genitale, e abbassino laguardia proprio verso situazioni dipossibile contagio verso malattieestremamente gravi quali l’AIDS.Il futuro prossimo vedrà la realiz -zazione di vaccini contro 7-8 ceppivirali, che daranno una coperturapiù ampia, e sono già allo studio ivaccini terapeutici, in grado cioè dicon trastare le lesioni causatedall’HPV anche quando queste sianogià in atto. È una sfida per il futuro,che però in ogni caso non deve farciperdere di vista l’immenso valoredella prevenzione, che oggi, nell’in-tegrazione tra vaccino (pre venzioneprimaria) e pap test (pre venzione se-condaria), è in grado di ridurre dra-sticamente il rischio per le donne diammalarsi di tumore del collodell’utero.

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10 INSIEMECON FIDUCIA

GIOVANI

a ShanghaiSOC

IETÀ

OG

GI

A CURA DEL COMUNEDI CONEGLIANO

UNA SETTIMANA ALL’EXPO 2010PER ESPORRE

I LORO PROGETTISULLA VITA FUTURA

Come i nostri lettori ricorderan-no, lo scorso anno l’Assessoratoalle politiche giovanili del Comu-ne di Conegliano aveva avviatoun progetto, denominato Lab-Inn, indirizzato ai giovani dai 18ai 25 anni residenti nei Comunidell’area coneglianese. L’iniziati-va, che chiedeva a dei giovani dielaborare idee originali e innova-tive capaci di migliorare la vitaquotidiana nel prossimo futuro,ha selezionato trenta migliori au-tori, quelli con le proposte piùvalide, i quali, messi a contattocon gli esperti dei vari settori,hanno partecipato gratuitamenteil mese scorso al World Expo2010 di Shanghai in Cina. Quihan no potuto esporre i loro pro-getti e le loro idee in un appositopadiglione «Better Future, BetterLife» dedicato alle nuove genera-zioni. La apprezzabile iniziativa haavuto il sostegno della RegioneVeneto, di un gruppo di aziende

locali e della Banca della Marca.Una settimana a Shanghai, cen-tro fi nanziario tra i più attivi delmon do dopo Singapore e Rotter-dam, è stata – a detta di tutti ipartecipanti – una esperienza ir-ripetibile non solo per le dimen-sioni della città o del padiglionedell’Expo, quanto perché i nostritrenta corregionali hanno potutoincontrare altri giovani di tutto ilmondo che avevano interpretatolo stesso tema secondo la pro-pria cultura e tradizione. So nostati giorni di entusiasmo e di fi-ducia, trascorsi in un clima di re-ciproca sincerità e rispetto dellapropria creatività e del proprioingegno.Ma negli occhi i più si sono por-tati le immagini di questa gran-diosa città «dalle forti contraddi-zioni, dove moderno e antico sifon dono e si scontrano. Una cit -tà affollata, invasa da un trafficocaotico. Quello che non scorderò

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Lupi simpatici, un treno caricodi valige con le loro storie curiose,un tenero pifferaio magico,un topolino viaggiatore, sonosolo alcuni dei protagonisti di«Paesi, storie e bambini», larassegna itinerante di spettacoliper bambini che ha animatol’estate trevigiana. Migliaia dipiccoli spettatori accompagnatidai genitori hanno assistito,anche quest’anno, ad uno deglieventi più interessanti, tra quelliche nella nostra provincia sonodedicati ai bimbi: una maratona

RASSEGNAITINERANTE DI SPETTACOLIPER BAMBINI

bambiniPAESI, STORIE,

A CURA DELLE AMMINISTRAZIONI LOCALI

saranno gli odori, le bancarellead ogni angolo di strada chepro pongono prodotti da cuci-na». Altri sono stati impressiona-ti dal fiume Huangpu; altri «dallavelocità di costruire, operai al la-voro nelle strade giorno e notte,da questa veloce capacità del po-polo cinese di aprirsi al mondo eal futuro». Per altri ancora «Shan-ghai è più avanti dei suoi stes sicittadini» mentre per altri tutto ilprogresso raggiunto «ha sradica-to le radici profonde della tradi-zione». Ma non sono mancateosservazioni critiche riferite ai«milioni di appartamenti di pochi

metri quadri, dove ospitare unapopolazione costantemente increscita»; oppure «le incognitedei diritti umani, il rispetto deiprincipi del commercio interna-

di spettacoli per i più piccoli,allestiti nelle piazze, nei parchie nei giardini pubblici. Promossadalle amministrazioni localiinsieme a Provincia e Regione,l’iniziativa è frutto di una strettacollaborazione con il Teatrostabile «Alcuni» di Treviso, notoper le innumerevoli attivitàdidattiche e ludiche che animanoil «Parco degli alberi parlanti»nonché per i fantasiosi cartoonche produce. La rassegna si èsvolta da metà giugno ai primi diagosto nei comuni di:

zionale». Un’espe rienza dunqueche rimarrà nella memoria e chesicuramente potrà tornare utilenel cammino lavorativo di questiragazzi.

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INSIEMECON FIDUCIA12

Fratelli di taglia (Riccione) enaturalmente Gli Alcuni (Treviso).Un’iniziativa che ha permesso amolti bambini di trascorrere orespensierate, divertendosi coni loro coetanei e le loro famiglie,in un periodo come quello estivo

in cui la pausa scolastica talvoltaè motivo di noia.Insomma divertimento per i piùpiccoli e forse anche per i grandiche li hanno accompagnati,facendo un tuffo nelle fantasiedella loro infanzia.

INGRID FELTRIN

SOC

IETÀ

OG

GI

Cordignano, Maserada, Roncade,Follina, Ponzano Veneto, Paese,Conegliano, Castello di Godego,Salgareda, Arcade, Cornuda,Mansuè, Treviso, Villorba e Silea.Burattinai e attori hanno portatole loro storie nelle località dellaMarca, mettendo in scenarappresentazioni innovative come«La valigia» del Teatrodel Canguro di Ancona o «Storiedi lupi» del Teatro dei Burattinidi Alberto de Bastiani di VittorioVeneto, ma anche racconti piùtradizionali, pur se rivisitati come«Il pifferaio magico» o «La bellaera addormentata nel bosco,ma …» del Teatro stabile diInnovazione gli Alcuni di Treviso.Le compagnie che si sonosuccedute sui vari palcoscenicisono state numerosee provenienti da diverse città:La Contrada (Trieste), TeatroOmbria (Firenze), PaoloPapparotto Burattinaio (Treviso),Teatro del Canguro (Ancona),Il Teatro dei Burattini di Albertode Bastiani (Vittorio Veneto),Artisti Associati (Gorizia),

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la querciaSCOPRIRE IL MONDO VEGETALE

ALBERO SACRO AGLI DEI,HA ACCOMPAGNATOLE VICENDE DELL’UOMO

TERR

ITO

RIO

il proprio fascio di legna senzaavvertire il pianto «d’una capine-ra che cerca il nido che non tro-verà». Oppure è l’albero dell’in-fanzia, la quercia dove Pinocchiofu impiccato dal Gatto e dallaVolpe, oppure le mitiche piantedella Selva Fetontea delle meta-morfosi ovidiane, o ancora l’al-bero sacro ai greci, ai romani ealle culture celtiche dei paesinordici.Ma della quercia ci resta soprat-tutto quella eredità di ricordi chesi snodano nelle nostre contradee che rispondono a nomi di loca-lità che attestano un suo anticostanziamento territoriale: Cerèa,Cerreto e Cerèda (da cerrus), Far -nello e Farnèdolo (da farnus),Querceto (da quercus), Lissòn eLisser (da ilex) e i molti toponimirispondenti alle località di Rovere,Roverbasso, Camporovere, Ro -

Regina delle foreste, ma anchematura e isolata signora delle ra-dure, nonché umile sorelladell’uomo al quale ha fornito permil lenni di tutto: pensare allaquer cia è come riandare alla sto-ria della nostra civiltà. Ci ha sfa-mato, protetto, riscaldato e pro-curato lavoro e attrezzi da lavorofino a diventare il simbolo pereccellenza di quella civiltà del le-gno che oggi sta lentamente se-gnando il passo, sopraffatta daluna modernità che usa il gas e isurrogati petroliferi del legno.Per questo alla quercia resta or-mai solo una eredità di ricordiche partono dalla notte dei tem-pi, ma che a noi – cittadini pocoavvezzi alla campagna – richiamapiuttosto la poesia pascolianache la descrive come «grande ebuona», con l’uomo «che loda etaglia» ma che ritorna a casa con

vereto, Rorai... ecc., tutti derivatida robur. Se poi ci inoltriamo neimodi di dire dovremmo riempirequasi un quaderno di colorite etradizionali espressioni idiomati-che, avendo però l’accortezza dilasciare opportunamente qualchepagina per trascrivere i vari co-

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costruire mobili, tetti, navi, botti,combustibile, ne ha ricavato ilsu ghero ed estratti di tanninoper la concia delle pelli. Il legnodella quercia è sempre stato ap-prezzato in quanto elastico emolto compatto, pesante e resi-stente anche a lungo nel l’acqua;e questo ha provocato nei secolipassati un saccheggio di foreste eboschi di cui, appunto, oggi ci ri-mangono le indicazioni topono-

gnomi nostrani legati alla piantae talvolta alla lavorazione del suolegno. Tutto questo per ribadireche tra la quercia e l’uomo esisteun legame ancestrale, un percor-so comune che agli albori dellaciviltà costrinse l’uomo a fermarsinei pressi dei boschi e, con il di-sboscamento, dare inizio alla ci-viltà stanziale. Della quercia l’uomo ha fatto unuso massiccio: se ne è servito per

mastiche. Infine, dei suoi frutti(ghiande) l’uomo si è servito intempi remoti come man gime per imaiali e, in tempi di carestia, perricavarne farina per un impastosenza gusto ma nutriente. Ma è ora di conoscerla meglio.La quercia appartiene alla fami-glia delle fagacee composta daigeneri fagus (faggio), castanea(castagno) e quercus: quest’ulti-mo genere ha la capacità pro -

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caratteristici frutti, degli achenioblunghi chiamati ghiande, prov-visti alla base di una cupola oscodella a squame embricate, di-versa da specie a specie per gros-sezza e striature. Quella che più sovente chiamia-mo quercia è un albero alto,mae stoso, dalla chioma ampia edi forma globosa ben ramificata.La corteccia scura si presenta ruvi-da e solcata, tale da apparire tal-volta come tassellata e screpolata;nell’inverno essa ospita molte va-rietà di larve, un microcosmo vita-le in attesa della primavera. Lefoglie sono ge neralmente lobatee possono avere margine liscio odentato; i fiori sono costituiti daun’inflorescenza unisessuale,maschili e femminili.Un albero di questa portata po-trebbe essere una Farnia (Quer-cus robur) o Quercia peduncola-

fonda di combinarsi-mischiarsi-ibridarsi con altre specie per cuioggi si possono contare (tra ar-bustive e arboree) oltre trecentovarietà difficilmente distinguibilitra loro, anche se alcune di que-ste – per nostra ignoranza – ven-gono genericamente chiamatequer ce pur avendo nomi e pro-prietà diverse. Ma per un primogenerico riconoscimento del ge-nere quercus basterà rivolgersi ai

15INSIEMECON FIDUCIA

TERR

ITO

RIOta che si può ancora incontrare

nel nostro territorio sia in collina,unita ai boschi di latifoglie, sianei terreni freschi e fertili dellapianura o in prossimità dei corsid’acqua (c’è nel parco del Sileuna imponente Farnia detta lagrande quercia; la mitica querciapietrificata di Fontanelle era sicu-ramente una Farnia). Simile allaFarnia è la Rovere (Quer cus pe-traea) o Quercia sessiliflora chedalla prima si distingue per laforma più slanciata, il tronco ge-neralmente più dritto e una ra-mificazione più regolare. Fre-quente su tutto il nostro territo-rio, vive isolata ai margini deicampi, presso le case coloniche,ai crocicchi di campagna dove untempo si piantava come punto diriferimento viario, né più né me-no come le moderne indicazionistradali. È la quercia per eccellen-

Nel medioevo sotto la sua chiomasi radunavano i capifamigliadei villaggi‘

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16 INSIEMECON FIDUCIA

TERR

ITO

RIO

UN LABORATORIO SOLIDALE PER IL TERRITORIO DELLA ULSS 7

iniziative socialiFONDAZIONE DI COMUNITÀ

responsabilità civile.Sorta tre anni fa per volontà delle28 amministrazioni comunali delterritorio dell’ULSS 7, trovaval’adesione della stessa Aziendasocio-sanitaria e il sostegnogeneroso della Banca dellaMarca. La caratteristica piùsignificativa di questo tipo difondazione consiste di dare allacollettività la possibilità diinvestire nella qualità del propriosviluppo, utilizzando risorseproprie e garantendo che talirisorse servano veramente

Una grande azione di volontariatosul territorio che coinvolgacittadini, associazioni, banche,amministrazioni pubbliche conil fine di produrre progetti e servizinei confronti di quei bisogni chenon trovano risposte o cherappresentano nuove emergenzeper le quali è necessariol’intervento della Comunitàlocale: questo è il compito chela Fondazione di Comunità dellaSinistra Piave si è dato perpromuovere appunto la culturadella solidarietà e della

za, la più conosciuta, la più sfrut-tata in passato, ma anche la piùamata per i molti impieghi cheoffriva e offre tuttora il suo le-gno, ancor più pregiato di quellodella Farnia. Storicamente eral’albero della «vicinia» sotto ilquale si radunavano nel medioe-vo i capifamiglia dei borghi.Nell’areale delle nostre Prealpi,sui terreni aridi, argillosi e roccio-si regna la Roverella (Quercuspubescens) un alberello dal tron-co tortuoso e nero, molto spessoin formazione arbustiva, mol todiffusa e abbastanza conosciuta.

Tra le specie nostrane vanno ri-cordati anche il Cerro (Quercuscerris) un tempo presente nelter ritorio ma ora non più comu-ne, così pure il Leccio (Quercusilex) ora piantato in par chi e vialiper la sua chioma sempreverde,ma ambedue sono ormai princi-pali componenti della macchiamediterranea insieme alla Quer-cia da sughero (Quercus suber).Si possono inoltre vedere, soprat-tutto nei giardini e parchi, laQuercia rossa e la Quercia scar -latta importate dall’America per imeravigliosi colori che assume il

loro fogliame in autunno. Incon-trando una quercia, dunque,dob biamo pensare non tanto allasua forza («tenzona coi turbini»scrive il Pascoli), non ai simboliaraldici, non al legno pregiato,ma piuttosto alla vita che essa hain sé. Vediamola come simbolo diuna trasmissione generazionalecon tutto il suo carico di senti-menti – palesi e nascosti – che siporta appresso, dentro questoprofondo universo naturale chealtro non ci chiede che di essereamato e rispettato.

ELISABETTA DAL COL

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a realizzare i progetti proposti.In occasione del rinnovo delconsiglio di amministrazione dellaFondazione siamo andatia parlare con il neo elettopresidente, Fiorenzo Fantinel,per conoscere i punti essenzialidel suo programma sociale.Ma l’attivo presidente ci fa subitocapire che – più cheil programma – gli sta a cuore farconoscere l’obiettivo di base dellaFondazione che consiste anchenell’ampliare il concetto diamministrazione pubblica perché,come subito ci dice, «oggi non sitratta più di amministrare unComune ma un territorio, e ciò èpossibile superando concezioniantiquate e ristrette. In questomomento di difficoltà occorresposare progetti più ambiziosiche vadano oltre il proprio

comune, che siano espressione diun’intesa allargata e rispondanoa problemi collettivi».Bisogna incominciare a ragionareper il territorio – ribadisceFantinel – e subito si rende contoche su questo principio occorreràlavorare molto, in quanto tuttoquesto rappresenta un passaggioculturale di alto livello, nonfacilmente assimilabile ancheper la millenaria tradizionecomunale delle nostre località.Ma intanto vediamo i dueprogetti più prossimi e già in fasedi avvio. Il primo riguardal’appoggio dato alla cooperativa«Insieme si può» per larealizzazione di una Comunitàterapeutica riabilitativa protettaper minori e adolescenti (C.T.R.P.)che sta sorgendo in localitàBorgo Casoni in Comune diSusegana. La struttura ha finalitàterapeutiche-riabilitative ed èfinalizzata ad accogliere minori indimissione da strutture ospedaliereo comunque in condizioni cherichiedono interventi diprotezione e contenimento.Il secondo è più finalizzato allaraccolta di fondi tramite lavendita delle noci. Come giàavviene per altre realtà no profit,si tratta di promuovere con leassociazioni di volontariato deivari Comuni la vendita di unsacchetto di noci (in confezionida due chili) in una o più giornateautunnali, da ripetersi ogni annoin modo da avviare nel tempo unappuntamento preciso ecaratteristico. Le noci sono quelleprovenienti dal noceto diCessalto, di proprietà delladiocesi di Vittorio Veneto: inquesto modo – anche attraversouna vendita soft che non intralciquella dei commercianti –il singolo che vorrà acquistare lenoci potrà aiutare non solo laFondazione di Comunità maanche contribuire alsostentamento del clero.

OCCORRE SPOSARE

PROGETTI PIÙ AMBIZIOSI

CHE VADANO

OLTRE IL TERRITORIO

COMUNALE

“„

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In fatto di collezionismo bisognasottolineare che la grande vogliadi memoria di cui esso si impre-gna non è una novità di oggi,ma una caratteristica semprepre sente nei singoli collezionisti,con l’aggiunta di curiosità e, piùo meno, con una vaga speranzadi guadagno. Il collezionismo ri-mane una vera mania per buonaparte degli italiani, mania chel’attuale crisi economica hasmorzato ma non sconfitto; anzitra i singoli collezionisti: si èrafforzato il baratto che continuaa tener viva la passione anche senon più con le grandi disponibi-lità economiche del passato.Ma c’è anche chi fa o ha fattodel collezionismo senza ritenersiun vero collezionista ma un sem-plice raccoglitore di oggetti versoi quali ha sempre avuto sponta-neamente simpatia o ai quali èlegato da particolari ricordi o af-

finità elettive. Proprio per scopri-re quella linea sottile che divide ilcollezionismo dalla voglia di me-moria, mi sono portato sul limi-tare delle nostre Prealpi, dove icampi sono ancora segnati dafossi di risorgive, per incontrare,grazie a un comune conoscente,il maestro Giovanni Rigo. Quasinovantenne, Giovanni possiededecine e decine di quaderni ap-partenuti a schiere di suoi alunnidi scuola elementare – prima edopo la seconda guerra mondia-le – raccolti in quarant’anni pas-sati dentro la scuola come mae-stro e poi come direttore. «Mene sono andato giusto in tempoper non assistere a tutte le inno-vazioni che da decenni ormai in-vadono la scuola come uno tsu-nami», ridacchia Giovanni quasidi nascosto, come se avesse com -messo una marachella; la suasemplicità è disarmante, piena di

INCONTRO CON UN ANZIANO MAESTRO

TERR

ITO

RIO

vecchi quaderniDI SCUOLA LA RISCOPERTA DEL PASSATO

NEI DIMENTICATI OGGETTI COMPAGNI DI UN’INFANZIA

DENTRO I QUADRETTI E LE RIGHE

INSIEMECON FIDUCIA18

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o forse di vecchio che mi inducea pensare che il luogo non è perniente una serena esposizione –come si potrebbe supporre – diuna parte della storia della scuo-la della seconda metà del Nove-cento ma un ammasso di ricordisui quali aleggiano sentimentipersonali e famigliari.«Come le ho detto al telefononon sono un collezionista – af-ferma – perché la conservazionedi questi quaderni non è statadettata da un motivo logico o dauno studio analitico, ma sola-mente da un ricordo, una contin-genza particolare, un momentodella mia lunga carriera scolasti-ca». Scopro così che non sono lecopertine illustrate che interessa-no il maestro Giovanni (e che fa-rebbero la gioia di un collezioni-sta) ma il contenuto dei quader-ni, quelle pagine d’inchiostroaccatastate come le stesse coper-

tine, altrettanto invisibili, paginenote solo al maestro che le hacosì ordinatamente suddivise esulle quali forse egli ogni tantoritorna a sfogliare. Quei quadernirappresentano il suo labirinto vi-tale, la sua memoria, un suo inti-mo segreto che quasi mi turbadoverlo violare.«In alcuni di questi sono già trac-ciati i caratteri, le personalità inembrione di alcuni dei miei alun-ni di allora. In quei tempi, senzatelevisione, la crescita dei ragazzicoincideva con l’attenzione allostudio, l’intelligenza era più viva,fresca, più pronta ad apprende-re». Al vecchio maestro pongouna domanda apparentementerischiosa, proprio ricordando imiei lontani trascorsi scolastici:se cioè, a determinare la riuscitadi un alunno non pesasse, oltrealla capacità di apprendimento,la condizione sociale della sua fa-miglia. Ci pensa un po’ per poidirmi che «sì, allora questo con-tava molto per il prosieguo deglistudi, ma non era certo un para-metro per giudicare i miei alunni.Mi sono invece dato da fare conle famiglie perché i meritevoli,pur se poveri, potessero accede-re alle scuole superiori. Per il re-sto ho smesso presto di pensarea quello che sarebbe stato il lorofuturo e ho conservato quei qua-derni nei quali c’era qualcosa dibuono, di genuino, direi quasipoe tico». Giovanni prende un quadernoap partenuto a un ragazzo di

una bonarietà che mette allegria. In un seminterrato della sua casami fa vedere i quaderni accata-stati in un mobile degli anni qua-ranta, dentro due grandi vetrinesmerigliate dove altri forse con-serverebbero dei libri vecchi e rari.Ma qui ci sono solo quaderni unosull’altro come non farebbe maiun vero collezionista particolar-mente interessato alle immaginidella copertine; qui ci sono soloquaderni accatastati e contrasse-gnati da etichette che ri mar canol’anno scolastico, la classe o lascuola. Sono quaderni con le ri-ghe differenziate a seconda dellaclasse, quaderni a quadretti pienidi operazioni aritmetiche, altripieni di coniugazioni di verbi re-golari e irregolari, quaderni deidettati e dei temi, questi ultimi ipiù cari al cuore e alla memoriadel maestro Giovanni.C’è nella stanza un’aria d’antico

UN MONDO LONTANO DIETRO

LE COPERTINE

DEI VECCHI QUADERNI

In questa e nella pagina seguente, alcuni quaderni del periodotra le due guerre mondiali. Prodotti da note cartiere, erano illustrati da disegnidi Bonelli, Vichi, Dudovic, Boccasile e altri famosi disegnatori.

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quin ta elementare dei primi an-ni settanta, lo sfoglia e mi leggeun tema, uno scritto steso conproprietà e correttezza quali nep-pure uno studente delle medieoggi saprebbe compilare. È la de-scrizione del compleanno dellasorellina, colta nel calore di unagioia famigliare e, quel che subi-to si avverte, è il riflesso di untempo che sembra lontano, unmondo che, pure da noi vissuto,neppure pensiamo possa essereesistito. Curiosamente chiedo co-sa ne è stato di questo ragazzo emestamente mi risponde di nonsaperlo: «Di troppi ho perduto letracce e ormai raramente mi vie-ne di incontrarli come mi capita-va invece decenni addietro. Vera-mente erano loro che mi ricono-scevano, ma quando mi di cevanoil loro nome, scattava la mia me-moria fotografica ed era come seli avessi sempre seguiti». Guardiamo i quaderni o meglio

le loro copertine demodé targateCartiere Pigna, Opera NazionaleBallilla, Ente Forniture Scolasti-che, Cartiere Burgo, AmbrogioBinda. Le più vecchie risalgono alperiodo tra il 1939 e il 1942,emblemi del fascio littorio dap-pertutto e sequenze di immaginidella guerra d’Africa, del raid Pa-rigi-Pechino, delle escursioni delDuca degli Abruzzi, dei campionisportivi del tempo. Della vastaproduzione di quegli anni riflet-tenti situazioni economiche, vi-cende e personaggi storici c’èperò poca cosa. Prendo invecebuona nota di alcuni illustratoriquali Bonelli, Rigorini, Vichi, Du-dovic e riconosco dal tratto Boc -casile con un paio di copertinecon le «giovinezze eroiche» pro-tagoniste nelle nostre colonieafricane. Vedo una copertina –dell’immediato dopoguerra –con dei bambini tra le macerie econ una didascalia che invita loro

a fare attenzione nel raccogliereda terra oggetti che non si cono-scono; e mi viene in mente lestesse raccomandazioni che mifacevano i miei genitori a propo-sito delle «bombe farfalla».Da ultimo, forse più numerosi,siamo a metà degli anni cin-quanta, i quaderni con le imma-gini delle regioni italiane e deimo numenti delle nostre grandicittà. Ma sono ormai riproduzio-ni fotografiche e non più disegnicome quelle degli anni venti, or-mai introvabili. «Vede – mi fa no-tare il maestro – un vero collezio-nista avrebbe conservato tutte lecopertine di questa serie sullecittà, ma io a questo non homai pensato, neanche quandosono stati introdotti quadernicon le copertine nere o mono-colore. Erano belli, costavano dipiù, e sono diventati purtroppouno status symbol dentro unascuola che era ancora fortemen-te classista».Ci lasciamo sul limitare del giardi-no e non ho il coraggio di chie-dergli che fine faranno quelle de-cine di quaderni accatastati,quan do lui non ci sarà più. Forsefiniranno al macero o forse almercatino dell’usato, facendoma gari contento qualche altroraccoglitore, come vuole la ruotadella vita. Così, perduto l’intimoretaggio dei sentimenti, questivecchi quaderni di scuola torne-ranno ad essere solamente il ba-nale soggetto di uno scialbo col-lezionismo.

(N.R.)

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INSIEMECON FIDUCIA20

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INSIEMECON FIDUCIA 21

ecco lo Slow FoodSTILE DI VITA

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UNA GASTRONOMIAALL’INSEGNADEL RECUPERO CULTURALEE ALIMENTARE

I sapori di un tempo spesso siperdono con le consuetudini diun’alimentazione veloce. Il ritmodella moderna quotidianitàimpone scelte dietetiche pocotradizionali ed ecco che si vannodimenticando cibi antichi epietanze genuine. L’associazioneSlow Food (letteralmente cibolento), fondata a Bra nel 1986 daCarlo Petrini, si popone divalorizzare questi alimentiattraverso dei pre sidi territoriali.Quest’organizzazioneattualmente conta 86.000 iscritti.I presidi in Italia sono 177 di cui

12 in Veneto, che sono: Agnellod’Alpago, Asiago Stravecchio,Carciofo Violetto di Sant’Erasmo,Formaggio agordino di malga,Gallina Padovana, MaisBiancoperla, Moleche, MonteVeronese di malga, Morlacco delGrappa di malga, Oca in onto,Orzo delle valli bellunesi ed il Risodi Grumolo delle Abbadesse.Alimenti non conosciuti da tutti,in particolare quelli che ciriguardano da vicino, perchéfrutto della tradizione contadinapiù antica della nostraPedemontana, come l’Oca

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in onto che si può degustare solonella località di Arfanta nelcomune di Tarzo oppure il MaisBianco perla coltivato unicamentea Godega di Sant’Urbano,Vedelago e Castelfranco Veneto;viceversa il formaggio Morlaccodel Grappa di malga, gode dimaggiore notorietà. Originariamente nelle campagnenon si allevavano le grandi ocheromagnole bianche ma viceversale oramai introvabili bigie oppurele pezzate grigie e bianche,animali da cortile che venivanodefiniti il «maiale dei poveri»perché destinati alla medesimasorte del suino: ogni partedell’oca veniva utilizzata, perpreparare salumi e prosciuttinonché una conserva di carneche durava fino a due anni,chiamata per l’appunto oca inonto (oppure oca in pignatto).Un prodotto che ricorda il confitfrancese: «Le oche sono separatedalle loro parti grasse e tagliate apezzetti – si legge nel decalogo diSlow Food –. Le carni riposanosotto sale per alcuni giornioppure, sono cotte con erbe,aromi e un poco di vino rosso esuccessivamente si ripongonodirettamente in un orcio diterracotta o vetro. Nella versionecruda si alternano pezzetti dicarne a grasso d’oca fuso e foglied’alloro, nella versione cottainvece si completa l’ultimo stratocon il gras so fuso e si chiude

Recuperare la tradizionalecucina contadinadella nostra Pedemontana

<

il vaso. Un ultimo strato di grassocompletava il vasetto che venivachiuso ermeticamente». Realizzata inizialmente dallecomunità ebraiche, per ovvieragioni alimentari, l’oca in ontoera preparata nel periodoinvernale, solitamente in

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L’oca in onto era servita a tavolaanche con la polenta ed a talproposito va ricordato l’altroimportante presidio trevigiano diSlow Food, quello del MaisBiancoperla, un cereale che harischiato l’estinzione ma che untempo era l’emblemagastronomico della nostraprovincia. Va detto, infatti, chetradizionalmente la polentabianca, oramai soppiantata daquella gialla, era definita «diTreviso» perché è proprio inquest’angolo del Veneto cheveniva prodotta in grandiquantità, impiegando le sementidel Biancoperla: «Le pannocchiesono affusolate, allungate, congrandi chicchi bianco perlacei ebrillanti, vitrei, si ricava la polentabianca detta anche «di Treviso»,fine, delicata e saporita –si legge nelle note del presidioSlow Food –.Nel 1950 si contavano oltre 50mila ettari di coltivi. La polentabianca si accompagnava a diversipiatti e nelle campagne si usavaconsumarla con il latte freddo,ottenendo una sorta di semolino:i patugoi o pestarei nell’areacollinare e pedemontana, i tacoidella pianura. Ideale einsuperabile il suo abbinamentocon i piatti di pesce povero difiume e di laguna: marson, schie,moeche, masonete, gamberi,baccalà nelle sue diversepreparazioni. Sono quasi fattori

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di identità culturale, specie nellearee collinari, due piatti: polentae speo e polenta e osei». A riprova della lunga storia diquesto cereale va ricordato chealla fine del Seicento l’agronomodi Cimadolmo, GiacomoAgostinetti, nei suoi «Cento edieci ricordi che formano il buonfattor di villa», descriveva il MaisBiancoperla definendolo«sorgoturco bianco» precisandoche era maggiormente diffusonei «quartieri della Piave». Vasottolineato che il merito di averscongiurato l’estinzione di questoprodotto agricolo va anche allavoro di selezione dell’Istituto diGenetica e SperimentazioneAgraria Strampelli di Lonigo, cheha recuperato e nuovamentecoltivato gli ecotipi originari diBiancoperla. Consultando il sitowww.presidislowfood.itsi possono attingere molte altreindicazioni e trovare l’elencocompleto di chi mantiene vivequeste tradizioni, con dedizione epassione per la propria cultura.

INGRID FELTRIN

coincidenza con la festività diSan Martino, quindi consumatanel tempo, come sugo o secondopiatto, magari accompagnatadalla salsa di cren o da patate.Nella Marca la si può degustaresolo all’agriturismo Mondragondi Arfanta.

Prodotti e cibi della nostra Pedemontana.

23INSIEMECON FIDUCIA

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«La gente è sempre meno co-sciente di quello che va a fare inmontagna». Matteo Marchesin,volontario del Soccorso Alpino,lo tocca con mano di frequente,sia d’inverno sulle piste da scidella Val Zoldana dove prestaservizio, sia d’estate quando nonc’è giorno in cui la cronaca nonregistri qualche incidente tra levette. Oggi la montagna, grazie anchealla tecnologia dei materiali chemigliora le prestazioni, è accessi-bile come mai prima d’ora. Inpiù, l’uomo contemporaneo haperduto quel timore riverenzialeper la natura ostile e selvaggia

che un tempo teneva lontano imeno esperti e risparmiava tantiguai. Così tutto sembra possibilea tutti, e va fatto a qualunquecosto. Ecco il motivo per cui suisentieri d’alta quota, specie inestate, se ne vedono di tutti i co-lori: gente che scende da ghiaio-ni impervi in scarpette da tenniso intraprende escursioni lunghee impegnative nel tardo pome-riggio (quando sarebbe bene es-sere già arrivati in rifugio) o, an-cora, famigliole con tanto dibimbi a seguito appese a vie fer-rate da brivido. «È un dato: la gente oggi non sarinunciare – rileva Marchesin, che

è vicecapo della stazione del Soc-corso Alpino delle Prealpi Trevigia-ne –. Invece, la miglior prevenzio-ne sta proprio nella capacità ditornare sui propri passi quando ènecessario. Moltissimi grandi alpi-nisti si sono salvati perché hannosaputo fermarsi e tornare indietroanche se erano a poche centinaiadi metri dalla vetta». Grandi alpi-nisti, appunto, in grado di valutarei tanti fattori che in montagnaamplificano il rischio: il maltempoche s’avvicina, il terreno che si fainsidioso, le forze che scemano…Valutazioni puntuali che, assiemealla forma fisica e alla preparazio-ne tecnica, possono salvare la vita.

TERR

ITO

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IL CORAGGIO DI AVERE PAURAmontagnaCONOSCERE L’AMBIENTE DOVE CI SI MUOVE

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Un dato sugli altri fotografa lapoca avvedutezza con cui molti siavventurano (è il verbo più cal-zante) in montagna: una delleprime cause di intervento delSoccorso Alpino è dovuta allaperdita di orientamento. Ci siperde nei boschi e si chiama il118 per farsi dire dove si è, recu-perare e riportare all’auto par-cheggiata in fondo valle. Nel2009, gli interventi dovuti a que-sta causa sono stati l’11% (621),pari a quelli per scivolata (624) eappena inferiori a quelli per ma-lore (713). La prima causa rima-ne, invece, la caduta (1998), il35,5% del totale. «È una delle

cose che continua a colpirmi dipiù – afferma il volontario –. Mol-ti quando ci chiamano non sannodirci nemmeno da dove sonopartiti e dove avevano intenzionedi arrivare.» Tale incredibile insi-pienza mette in seria difficoltà chideve organizzare e compiere leoperazioni di soccorso. Andare in montagna senza ri-schiare la pelle (e farla rischiareagli altri) ovviamente si può. Ba-sta affrontare ogni impresa, an-che le escursioni che sembranopiù banali, con metodo e rigore.È importante, ad esempio, docu-mentarsi a fondo sulle caratteri-stiche dell’itinerario prescelto, ca-

pirne il grado di difficoltà, valuta-re l’adeguatezza della propriapreparazione tecnica e fisica,chiedere dettagli a gente piùesperta, informarsi sull’evoluzio-ne della situazione meteorologi-ca, utilizzare abbigliamento emateriali adatti….La conoscenzadell’ambiente in cui si intendemuoversi, infatti, è la miglioreprevenzione.Non è un caso, forse, se dei5.502 infortunati su cui nel 2009è intervenuto il Soccorso Alpino,5.228 erano persone non iscritteal Club Alpino Italiano e solo274 persone iscritte al CAI.

FRANCESCA NICASTRO

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Occorre sapere valutarei tanti fattoriche in montagnaamplificano il rischio

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«Ho tempo e ho le facoltà perfarlo, quindi lo faccio». Rispondecosì Matteo Marchesin, 33 anni,coneglianese, da otto operatoredel Soccorso Alpino, a chi glichiede perché si sia scelto un«hobby» così impegnativo. Un«hobby» che lo porta a doveressere reperibile, a turno con glialtri volontari, 24 ore al giornoper sei settimane l’anno, e aprestare servizio sulle piste dellaVal Zoldana tutti i fine settimanainvernali, festività natalizie epasquali comprese. Un «hobby»che comporta studio eaggiornamento continuo nonchénumerose esercitazioni, almenootto all’anno. La sua passione per la montagnainizia all’epoca dei campi scuolaparrocchiali in Candaglia in

Cansiglio. Ma la «svolta» arriva a25 anni, quando si iscrive a uncorso di roccia e conosce unoperatore CNSAS (CorpoNazionale Soccorso Alpino eSpeleologico) di Pordenone.«Ci raccontò cos’era il SoccorsoAlpino e mi sono detto subito:«Vado anch’io»». Detto fatto, e asettembre dello stesso anno fadomanda per entrare nel Corpo,a novembre supera gli esami. Oggi Matteo è vice capo stazionedella stazione delle PrealpiTrevigiane, che ha sede a RevineLago. Istituita nel 2005, contaattualmente 22 volontari e haall’attivo 160 interventi (prima diquella data tutta l’areaPedemontana era servita dallestazioni di Crespano del Grappa edi Belluno).26 INSIEME

CON FIDUCIA

I CUSTODI DEL TURISMO ALPINOmontagnaSOCCORSO ALPINO IN MONTAGNA VUOL DIRE ANCHE AMORE PER IL PROSSIMO

Matteo Marchesin del Soccorso Alpino.

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Di storie da raccontare ne hatante. Con finali lieti e, a volte,tragici. «Di fronte alla morte si rimanesempre spiazzati – riflette –.Ma la cosa più difficile daaffrontare per me è la sofferenzadei familiari, quando li sentidietro le spalle chiamare: «Papà,papà!» e il papà non si trova.E io penso a mio padre, a miopadre che va in montagna». Con la morte, chi fail soccorritore, si confrontaspesso. La morte degli altri,quella che riesci a tenere fuori dalcuore. E la morte dei tuoi amici,quella che invece ti entra dentroe s’annida nell’anima, non tilascia più. Il 22 agosto cadevail primo anniversario della mortedei quattro colleghi del SoccorsoAlpino bellunese e del Suem diPieve di Cadore, Dario De Filip,Marco Zago, Fabrizio Spaziani eStefano Da Forno, precipitati abordo del Falco sul monteCristallo mentre sorvolavano la

zona. Matteo, domenica 22,assieme a tanti altri, era a RioGere a ricordarli. «Erano amiciveri, di quelli che si fanno inmontagna – dice –. Ed eranoi migliori che avevamo, quelli piùin gamba, più preparati.Con la loro morte è cambiatoqualcosa dentro di noi, dentroil Soccorso Alpino della nostradelegazione. Non ci siamoancora ripresi». Il Soccorso Alpino è una grandefamiglia e chi entra sposala causa, spinto da amore perla montagna e per il prossimo.Sono in tutto e per tutto

volontari che prestano serviziogratuitamente. «Sì, noi siamovolontari in tutto – confermaMatteo –. Lo facciamo perché cel’abbiamo nel sangue. E spessoci mettiamo di nostro, oltreil tempo, anche i materiali, l’auto,la benzina… Le risorse adisposizione infatti sono semprepoche». Di questi «eroi» ci siricorda quando la cronacaregistra qualche disgrazia. Maloro sono in servizio sempre, 365giorni all’anno, sette giornila settimana, 24 ore al giorno.

FRANCESCA NICASTRO

UN SERVIZIO DI 24 ORE

AL GIORNO E SETTE GIORNI

ALLA SETTIMANA

>>

Esercitazioni del Soccorso Alpino con l’elicottero.

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Nel corso del 1955 il Corpo

Nazionale del Soccorso Alpino e

Speleologico (CNSAS) fece 106

interventi, impiegando 925

volontari. Da allora gli incidenti in

montagna (e in grotta) sono

incrementati di anno in anno,

raddoppiando ogni due lustri.

Nel 1965 furono 202, nel 1975 631,

nel 1985 1.176, nel 1995 2.867, nel

2005 5.563 fino ai 5.013 del 2009.

Gli operatori annualmente coinvolti

in operazioni di soccorso oggi sono

oltre 25 mila. Dalla nascita del

CNSAS sono stati compiuti 102.248

interventi con l’impiego di 563.470

soccorritori e il salvataggio di

118.701 persone, di cui 36.527 illesi,

68.667 feriti, 11.768 morti e 1.735

dispersi. Il picco degli interventi si

ha nel mese di agosto. Dei 593

effettuati dalla delegazione delle

Dolomiti Bellunesi (di cui fa parte

la stazione delle Prealpi Trevigiane)

nel corso del 2009, 134 hanno

avuto luogo nell’ottavo mese

dell’anno. Segue luglio con 79.

Il mese con meno chiamate è in

genere novembre. In montagna

quando ci si fa male ci si fa male sul

serio. Delle 5.502 persone soccorse

nel 2009 (dato nazionale), 2.315

rientravano tra i deceduti, dispersi,

feriti gravi e feriti con

compromesse le funzioni vitali,

il 42% del totale.

(F.N.)

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Esercitazioni di Soccorso Alpino in Cansiglio.

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PENSATO DA UN INVENTOREDI PEDEROBBAPER TUTELARE I PEDONI

PER UN SEMAFOROun’idea

Il crescente fenomeno del mancato rispetto dellestrisce pedonali ha indotto un inventore a studiaree brevettare un innovativo «dispositivo ausiliario ditipo semaforico», per tutelare i pedoni. L’aumentodel traffico inevitabilmente ha portato anche ad unincremento degli incidenti, soprattutto a scapito dichi è più indifeso, per questo Fabrizio De Poli, unbrillante inventore di Pederobba, ha pensato diideare un’apparecchiatura volta a tutelare i pedoniche, sempre più di frequente, vedono minacciata laloro incolumità anche attraversando le strisce ze-brate. «L’idea da cui è nata questa invenzione è di dotareambo i lati della strada, nei pressi degli attraversa-menti pedonali, di un dispositivo utile al pedone permanifestare inequivocabilmente l’intenzione d’attra-versare la stra da» spiega Fabrizio De Poli che per larealizzazione di questo dispositivo si è fatto aiutareanche dal l’amico Franco Benincà di Crocetta delMontello. «Abbassando la leva con l’apposita mani-glia oppure premendone il pedale è possibile solle-vare una specie di paletta, avente ad ambo i lati undisco rosso riflettente, simile per forma e colore allepalette che utilizzano le forze dell’ordine».Il brevetto ha suscitato un notevole interesse, alpunto da esser oggetto anche di servizi televisivi alivello nazionale, ma anche le aziende produttrici disegnaletica stradale hanno manifestato la loro at-tenzione. «Il dispositivo anche quando non è inazione, essendo costituito da un supporto con inambo i lati delle strisce gialle riflettenti – concludeDe Poli – è già di per se un ottimo segnalatore dellapresenza del passaggio pedonale. Infatti, le strisceorizzontali spesso sono difficili da vedere in lonta-

nanza, per questioni di prospettiva, mentre i cartelliverticali talvolta passano inosservati, per la loro al-tezza. «In un futuro non lontano, quindi, i classicipassaggi pedonali, potrebbero cambiare volto enon avere più l’aspetto delle celebri «zebra cros-sing» immortalate sulla copertina del disco AbbeyRoad dei Beatles. Una maggiore sicurezza d’altron-de impone dei cambiamenti quando a rischiare so-no soprattutto coloro che hanno più difficoltà a di-fendersi, come gli anziani, i bambini, i disabili o igenitori che spingono una carrozzina.

INGRID FELTRIN

L’invenzione di Fabrizio De Poli.

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INSIEMECON FIDUCIA30

dràcio, lo jagomàre, il caròsso, ilmarapòn... – oggi solo suonismaltati di magia.Chi non ha potuto, saputo, volu-to abbandonare il Sile è statoGlau co Stefanato, figlio di figli dibarcàri. A 63 anni continua a sol-

tro le case e i capannoni a vivereuna vita di minori tribolazioni.Assieme ai vecchi mestieri delfiu me sono andate perdute an-che centinaia di parole e signifi-cati – l’andàna, il bailòn, le beàs-se, il caresìn, la ganzèga, il man-

Tanto tempo fa il Sile non eramuto come oggi. Le acque e lerive vibravano di parole e rumori,risuonavano di canti, erano in-crocio di genti e di lingue, fulcrodi scambi commerciali. I lavoridel Sile erano tanti, l’economiadelle popolazioni rivierasche sipraticava lì. Vivere del fiume enel fiume era il destino di molti. Con l’arrivo delle fabbriche e deltrasporto su strada, l’epopea del-la civiltà fluviale finì. L’economiasi spostò altrove. I pescatori ab-bandonarono le lenze, i barcaioliaffondarono i burci, gli impaglia-tori smisero di raccogliere lo stra-me, le lavandaie di chinarsi sullampòr, chiusero gli squeri. Gliuomini e le donne del Sile, con laloro allegria e sfrontatezza, la di-gnità irrinunciabile della gentepovera ma libera, sparirono den-

Glauco Stefanato

l’ultimobarcàro

TERR

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carne le acque, a respirarne l’umi -do sudore, a godere degli impa-gabili scorci. Quando, a metà anniSettanta, il trasporto fluviale ven-ne soppiantato da quello su ca-mion, lui non si arrese.Sulla barca del padre Vittorio erasalito per la prima volta a setteanni, e a dodici aveva lasciatode finitivamente la scuola deci-dendo che quella del barcàro,dello zingaro d’acqua, sarebbestata anche la sua vita. «La scuola non era per me – ri-corda – io vedevo le barche pas-

LE MOLTE FATICHE

PERDUTE SUGLI APPRODI

DEL SILE:

UN MONDO ANTICO

INGOIATO DAL PASSATO

sare, mio papà, mio fratello…non era per me la scuola. Cosìall’inizio del secondo anno di av-viamento non ho più voluto con-tinuare e ho iniziato a insistereper andare in barca. Per un po’mio padre si è rifiutato di tener-mi con lui, ma poi, vista la miainsistenza, mi ha ripetuto la stes-sa frase che a suo tempo gli ave-va detto suo padre: «Vàrda cheanca ti, se te vien a lavorar qua,dopo, da a barca no te smòntipiù». E così è stato. Del suo battesimo di barcàro ri-corda con precisione il mese el’anno: dicembre 1959. «Eravamo un convoglio di trebar che che, per conto dell’arma-tore Dante Bernardi di Venezia,doveva andare a caricare di fru-mento a Scardovari, su un ramodel Po di Tolle, per poi portarloalla Chiari & Forti di Porto Mar-ghera. C’era mio zio Emilio Parpi-nel con la Maria Luisa, che qual -che anno dopo, quando mio ziosi annegò, abbiamo comprato

papà, Renzo ed io, con il Piave,un barcone di Renosto, perché ilnostro Ticino l’aveva preso miofratello Leo, per andare a caricarelatte in polvere a Ferrara». Il Na-tale del ’59 il dodicenne Glaucolo passò sul Po, in barca, la suanuova casa.I viaggi dei barcaioli duravanogiorni, settimane. Trasportavanocolza, sabbia, grano, zucchero,legname, carbone, ghiaia... Lavo-ravano duro e condividevanomolto. Dietro la ruvidezza dei ge-sti, c’erano sentimenti forti, ami-cizie vere, solidarietà inaffonda-bili. «Quando approdavi in paesiforesti come Chioggia o Pellestri-na ti venivano a trovare gli amicidel papà e ti invitavano a man-giare a casa loro. Noi lasciavamoin cambio un po’ di quello chetrasportavamo, fosse carbone ozucchero, attingendo dalla partedel carico che per accordo cispettava». La barca per Glauco fu palestradi vita. «Se c’era dei giorni da

Alcuni momenti di vita dei barcaioli del Sile edel trasporto di merci lungo il fiume.Da tempo Glauco Stefanato, invece di merci,trasporta turisti rievocando in ogni viaggioi miti e i riti della civiltà fluviale per chi non sao ha dimenticato.

noi chiamandola Roberta. C’eramio zio Ottorino Gibin, con ilSanto Stefano comprato dai Pio-vesan di Fiera, un burcio di 2400quintali costruito dal «Dèto»,maestro d’ascia di San Pietro inVolta. E poi c’eravamo noi, mio

star fermi perché era festa o per-ché c’era da attendere il nostroturno di carico, tornava a casamio papà e noi restavamo in bar-ca. Prima di partire mio padre midava un po’ di soldi e dovevanobastare fino al suo ritorno. Allora

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noi dovevamo arrangiarci, si im-parava la vita, si andava a fare laspesa, ci si faceva da mangiare. Siviveva anche con la pesca perchése prendevi il pesce i soldi non lispendevi e li mettevi nel salvada-naio. Si andava al cinema a sco-prire i paesi e le città. Ferrara? Mipareva di andare a Nuova York. Itredici anni li ho compiuti lì». Quando, a metà anni Sessanta, illavoro cominciò a scarseggiareVittorio spinse il figlio a rifarsiuna vita in terraferma, come sta-vano facendo tanti suoi coetanei.Glauco andò a lavorare nella ve-

treria di Perziano. Resistette qual-che mese, giusto il tempo pertro vare la morosa, la Luisa Nor-dio, figlia di barcàri anche lei, chepoi divenne sua moglie. «Non era un lavoro faticoso, pu-livo le macchine del padrone, la-voravo con il tornietto, ma io eroabituato a vedere il sole, vederela luna, sentire il profumo dellanebbia al mattino presto, farmida mangiare. Io sono nato libero.Così mi sono licenziato e sonotornato in barca». Durò quel che durò perché lemer ci ormai correvano sull’asfal-to, avevano tradito il Sile. Loscan dalo della colza che nel1974 investì la Chiari & Forti feceperdere ai barcàri l’ultimo deicommittenti più importanti. Pur di non lasciare la barca, Glau -co e il fratello Leo emigrarono sulPo. E fu a Pontelagoscuro, nel1977, che un giorno lo videro edebbero l’intuizione che li avrebberiportati al Sile. «Il Po era alto,eravamo fermi con la nostra bar-ca, si è aperta la conca e abbia-mo visto avanzare un battello tu-ristico, piccolino, si chiamava Eri-dano. Lì c’è venuta l’idea: invecedi merci, portare persone». Detto, fatto. Luisa si licenzia econ i soldi della liquidazione ac-quistano il vaporetto Marte efan no la licenza per il trasportodi persone. Nasce la NavigazioneStefanato, che ha sede ancor og-

gi a Casale sul Sile. Glauco è te-stimone di un mondo che nonc’è più e profeta di un mondoche deve venire. Fa di più chetrasportare turisti: li porta indie-tro nel tempo, rievocando inogni viaggio i miti e i riti della ci-viltà fluviale, facendola vivere an-cora a beneficio di chi non sa onon ricorda. «Sto mestiero ‘ncoxè morto e da on toco sepeìo»scriveva Luciano Rosada, barcàroe poeta. È vero, ma anche no.Quel mestiere antico, quel mon-do ingoiato dal passato, vive an-cora ogni volta che Glauco mollagli ormeggi, imbraccia il remo daparando, fa scivolare il suo bar-cone lungo Sile, dolcemente,mentre cala la sera, e inizia a rac-contare… È anche profeta di un futuro do-ve la valorizzazione delle vied’acqua e la loro riapertura ascopo culturale e turistico possa-no diventare realtà. Dal Sile, untempo, si poteva arrivare attra-verso corsi d’acqua e canali finoa Ferrara, a sud, e fino a Grado,a nord-est. Riaprire le vie d’ac-qua è una scommessa che il ter-ritorio dovrà vincere se vorrà ave-re una attrattiva in più per chiviene da fuori e un’opportunitàdi lavoro per le sue genti. Ilbarcàro figlio di bàrcari – potetegiurarci – fino ad allora non or-meggerà la sua barca.

FRANCESCA NICASTRO

TERR

ITO

RIO

Nella foto sopra Glauco Stefanato, l’ultimo barcàro del Sile, ma anche profetadella valorizzazione delle vie d’acqua come nuova attrattiva, culturale e turistica,del nostro territorio.

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anzianianzianiR A C C O N T A N O

I N O S T R I

Nessuno lo riconosce più ora il mio paese o forse sono ioche non lo riconosco perché i miei ricordi noncombaciano con la realtà di oggi. In questi plumbeigiorni autunnali il mio pensiero vola al suo piccolocimitero, che era sempre in uno stato di abbandono cherasentava lo squallore o forse era nello stato di naturaleplacido oblio che dovrebbe avvolgere ogni cosa delpassato, ogni cosa perduta senza possibilità di poterlaritrovare. Crescevano le erbe tra le tombe segnate, nontutte, da croci di legno non verniciato, alcune delle qualierano già marce. Il becchino, una o due volte l’anno,aveva l’occasione di scavare una fossa: pochi erano gliabitanti e pochi morivano. Ricordo chela gente non usava la parola tomba, troppolinguisticamente ricercata o forse addiritturasconosciuta. Si diceva semplicemente la busa de pore mepare, la busa de pore me fradel o de pore me mare,e così via.

I funerali assumevano un tono di tragedia greca, quandoil corteo stava per entrare nel cimitero, dopo le esequiecelebrate in chiesa. Al momento in cui la bara – di poverolegno d’abete appena scurito da una pennellata divernice – stava per essere calata nella busa, si levavail coro dei lamenti dei familiari.Era un piangere accorato e selvaggio, con grida dallesfumature rauche e prolungate, con singhiozzi cheinterrompevano l’ululante richiamo al defunto e chescuotevano quelle creature accosciate vicino, per star piùvicine alla terra che tra poco avrebbe accolto nella busapreparata il loro caro.Tutti gli abitanti partecipavano a questi riti, certo perumana solidarietà, per dovere religioso, per omaggioal morto, ma io credo anche perché la famiglia distribuivaa ciascuno dei parenti – o per lo menoalle persone più vicine per amicizia e parentela –una di quelle lunghe candele da altare con la base rossa,che si accendeva per qualche momento durante la messafunebre e poi si conservava, si portava a casa e servivaper illuminare per un po’, senza spesa, le tenebrenotturne non ancora fugate, a quel tempo al mio paese,dalla luce elettrica. Non mancava certo nella mia gente il culto dei morti, unaforma rituale che si espletava una volta l’anno, l’uno e ildue novembre. Il cimitero si trasformava.I tumuli venivano liberati da ogni traccia di erba ele donne ricoprivano la busa del loro morto con finesabbia che poi livellavano pazientemente finoa far apparire un basso tronco di piramide irregolare.Su quel rivestimento di sabbia si disegnavano coni crisantemi – piccoli e stenti, cresciuti ai margini di poveriorti – croci e fregi di vivaci colori. Ecco: il cimitero contutti quei preparativi, con il caldo brillare dei piccolicrisantemi, che chiamavamo utunai, sembrava unaspiaggia sulla quale tanti bimbetti in vacanza avesserocostruito castelli di sabbia adorni di strane, morbide,multicolori conchiglie.Poi veniva il freddo, la pioggia subito invernale e la neve,tanta neve a ricoprire quelle piccole fosse vestite a festacon uno strato bianco, uniforme, che a primaverascompariva per lasciar vedere nuovamente la nascentee presto invadente erbaccia.

ADELE DA BROI

CULTO DEI MORTINovembre

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A TEZZE DI PIAVE RICORDATA LA PITTRICE CHE TANTO HA AMATO LA SUA TERRA NATIA

per Gina RomaUN VIALE

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Nelle settimane di giugno scorsol’Amministrazione comunale diVazzola ha mantenuto la pro-messa fatta a Gina Roma in oc-casione della festa per inovant’anni della pittrice: quelladi ricordarla con una strada a leidedicata. Gina amava in modoparticolare questa sua terra d’ori-gine, essendo nata nella frazionedi Tezze nel 1914. La titolazionedella via è avvenuta il cinque giu-gno nel corso di una simpaticacerimonia a coronamento delpre zioso interessamento del l’ami -

ca Barbara Brugnerotto. Quasicontemporaneamente avvenival’inaugurazione di una mostradella pittrice presso la villa Dircesempre a Tezze di Piave. La carriera di Gina Roma è statamolto brillante: diplomatasiall’Accademia delle Belle Arti diVenezia sotto la guida di BrunoSaetti per la pittura, e di Giovan-ni Giuliani per l’incisione, si posesubito all’attenzione dei criticipiù qualificati.Per rimanere vicina al marito e alfiglio, Gina, ancor giovane, aveva

Penso in colore;se c’è un’emozione penso subito al colore;il colore ci esalta, ci emoziona;anche se chiudo gli occhi vedo colore.

GINA ROMA

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Gina Roma.

Volti rossi e fiori gialli, 1974.

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mista, passionale e ne sonoespressione i suoi dipinti ricchi dicolori forti, intensi dai quali tra-spare sempre la forza dell’amoreper la natura, per gli animali, perle persone e per la sua terrad’origine che ha sempre avutonel cuore. E questa terra e il suoComune le hanno dedicato moltimomenti significativi: ricordiamouna personale nella Cantina so-ciale di Tezze, un’altra in SalaTiepolo, una mostra in Villa Dir-ce, la presentazione del libro a leidedicato dal titolo «Sensazionicoloranti», scritto dalla criticad’arte Orietta Ponessi. Infine, nel

rinunciato all’allettante offerta diPeggy Guggenheim che la volevaa New York assieme ai più beinomi della pittura contempora-nea e, ancora per restare vicinaalla sua famiglia aveva rifiutatol’invito all’Ecole de Paris. Grandeartista, ma anche grande mogliee madre; negli anni in cui nonc’era molto spazio per le donne,Gina seppe affermarsi con leproprie forze sulla scena interna-zionale. Fin dagli anni Cinquantapartecipò a ben quattro edizionidella Quadriennale di Roma e al-la Biennale di San Paolo del Bra-sile, prima donna ad essere invi-tata. Da allora Gina non ha maismesso la sua attività portataavanti con passione, impegno edentusiasmo.Ha esposto in numerosissimegallerie italiane ed estere, e nel1987 fu nominata Cavaliere dellaRepubblica per meriti artistici.Grazie alle sue opere d’arte sacrafu ricevuta in udienza privata daben quattro papi. Hanno scrittodi lei artisti come Guidi, Carena,Sassu; le sono state dedicatedozzine di monografie e ancheun video documentario.Gina era una donna solare, otti-

dicembre del 2004, i festeggia-menti nella Sede municipale perfesteggiare i novant’anni dell’ar-tista. Quella calorosa serata, riccadi affetto e di colori – quale era ilcarattere dell’artista – è statouno tra gli ultimi momenti felicidi Gina che nel 2005 si sarebbeammalata fino a cessare di viverequalche giorno dopo il suo no-vantunesimo compleanno.Così, anche in virtù di quellosplendido dipinto dal titolo «Lun-ga strada» che Gina ha donatoall’Amministrazione comunale –e che oggi trionfa vicino alla Salaconsiliare – è stato deciso di chia-mare la strada a lei dedicata Via-le, anche se nell’accezione piùcomune il viale è una strada albe-rata. Ma quella bellissima tela,che lei ha voluto regalare a tuttinoi rappresenta il Viale della Vita,come diceva lei: un viale pieno digente, con una strada lunga cheva lontano verso il futuro, un via-le positivo che dà speranza.È un viale che al posto degli al-beri ha le persone: anziani, adultie bambini che guardano insiemea un orizzonte migliore perché lesensazioni coloranti e le passionipennellate di Gina trasmettono etrasmetteranno per sempre l’otti-mismo di vivere.

ALBERTA BELLUSSI

Case lungo il fiume, 1957. Ragazza alla finestra con fiori, 1950.

Il viale, dove ha sede la nostra filiale di Tezze, ora è intestato a Gina Roma.

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del preteEL VINCRONACHE DEL TEMPO PASSATO

COME PROCEDERE PER FARE UN «VIN GENEROSO» E DI «BELLA MACCHIA»

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e per giunta sostenuti da piantedi gelso il cui fogliame eradestinato ai bachi da seta.La produzione di vino era quindiassai limitata non soltanto perla ridotta coltivazione, ma ancheper le numerose malattieparassitarie.Poi, lentamente, la vite conquistaun posto di rilievo: intere zone siricoprono di vigneti e, a seguitodi uno studio attento del terreno,i vitigni di prosecco, tocai,raboso, merlot e cabernettrovano spazio nei campi cheprima erano destinati a pratostabile.Il breve e sintetico excursusstorico non deve trarre ininganno: la coltivazione della vitee la produzione di vino in quel diPovegliano hanno veramenteun’autentica tradizione ed unastoria che si sta raccogliendo

Una cantina vinicola sortaqualche anno fa e la riconversionedi molti terreni agricoli in vignetinel Comune di Povegliano citornano a proposito per ricordarela tradizione vinicola di questoterritorio che si estende a nord diTreviso, tra il Montello e il Piave.È il risultato di un profondomutamento agricolo che, avviatonella seconda metà del secoloscorso, si può dire oggi giunto acompimento. Qui infatti, in questafertile pianura, si coltivavanosoprattutto granoturco efrumento unitamente allaproduzione dell’erba medica,del trifoglio, dei ravizzoniper l’allevamento del bestiame.Assai rari erano i vigneti e i filaridi vitigni misti (clinton, bacò,merlot, negron, raboso…) altronon erano che dei sempliciconfini tra un campo e l’altro,

attraverso manoscritti e vecchiecarte parrocchiali e comunali,testimonianze di usi e costumi diun modo lontano. Tra le piùcuriose, abbiamo raccolto quelladel pievano di PoveglianoMelchiorre Novello.Costui nel lontano settembre1697 raccontavadettagliatamente il procedimentoper fare «un buon vino» conesperimenti fatti nella cantinadella sua casa canonica (localeandato distrutto negli anni ’50del secolo scorso). Accantoall’abitazione vi era allora lacantina, la stalla per il cavallo,il fienile, il portico per la carrozzae altri attrezzi; oltre il cortile vi erail brolo, un campo destinato alleviti e agli alberi da frutto, mentreun piccolo angolo di terra erariservato per l’orto. Ebbene, donNovello lascia ai posteri una

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giorno, la seconda pilattala mattina et la sera la terzapilatta; e poi cavarlo e botarlo,quando dessiste da boiere, e cosìriesce nero di bella machia;ho fatto molte esperienze maquesta è la più propria».Ma don Novello va anche oltre:dopo aver accennato di averceduto «le zarpe dopo cavattala prima acqua», scrive diun secondo metodo consistentenel «levare e romperlo due o trevolte prima della seconda pilatta»ma aggiunge quasi sconsolatoche il vino «riuscirà più generosoma il colore non sarà così negro eben forte».

PIETRO POLON

Ma è ora di far parlare lui: «Nottol’ordine proprio di far il vino nerodi bella machia et è: seguittala vendemia de uve il lasciarleper due giorni in circa nel tinazzoa scaldarsi; e poi far una folata,detta prima pilatta, e ponerlala acqua che voi; il seguente

propria esperienza descrivendole varie fasi della vendemmia,specificando altresì come – dopoprove e riprove – quella descrittasia la strada migliore per fareil vino, la «strada più propria»perché sia «più generoso» e di«bella macchia».

Due immagini del centro di Povegliano e, sotto, le nuove colture con filari di viti.

ANNOTAZIONI DEL 1697

DEL PARROCO

DI POVEGLIANO

SU COME FARE DEL BUON VINO

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Nella convinzione che la chiesa diSan Giorgio in San Polo di Piavecostituisca un bene affidabile perl’intera comunità, da vari anni uncomitato di cittadini del borgoopera con grande responsabilitàe dedizione allo scopo di salva-guardare e valorizzare, nel mi-glior modo possibile, questo au-tentico monumento di storia, ar-te e fede, fra i più interessanti interritorio opitergino-mottense.Costruita su un’area di insedia-menti molto antichi – un sarcofa-go di epoca romana è ora utiliz-zato come altare – l’edificio sa-cro è attestato come cappellacampestre fin dal 1147, anche seha assunto la struttura attuale apartire dal XV secolo: lo confer-ma il ciclo degli affreschi che de-

cora la pareti interne, dipinto nel1466 come risulta da una lungaiscrizione in latino posta sottol’Ultima Cena, sulla parete nord,recante i nomi del pievano Fran-cesco a Quarteriis da Venezia edel cappellano Giovanni de Rug-geri da Altino, oltre ai commit-tenti Giacomo da Campiluno eFrancesco Peruzzi.Purtroppo non figura il nome delpittore, definito «Maestro di SanGiorgio» in una «Breve guida peril visitatore» stesa nel 1985 daSergio Molesi per conto della Proloco e del Comune di San Polo diPiave; chi scrive però ancora nel1989 in «Santi nell’arte fra Pia vee Livenza» (pp. 91, 109) li rende-va noti come opera di Giovannidi Francia, un pittore la cui per-

sonalità umana ed artistica pro-prio in quegli anni si andava deli-neando grazie alle ricerche docu-mentali di Biasuz (1976), Faldon(1982) e Lucco (1990).Originario da Feltre, ma citato inun documento del 7 luglio 1467come figlio del quondam Deside-rii de civitate Methis de Lorenaprovincia France, all’inizio del1462 si era stabilito a Coneglia-no con la famiglia, presentandouna supplica al Consiglio dellacittà per l’esenzione decennaledalle tasse, voluta dalla munici-palità per favorire il ripopola-mento. Prima della sua venuta aConegliano aveva decorato adaffresco la parrocchiale di Porcenpresso Feltre (1451), di Rasai(1455), di Santa Giustina a Pede-38 INSIEME

CON FIDUCIA

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A SAN POLO DI PIAVE IL RESTAURO DELLA CHIESA DI SAN GIORGIO

Ultima Cena (1466). Chiesa di San Giorgio a San Polo di Piave.

di storia, Monumento

arte e fede

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salto (1457), di Servo di Sovra-monte, Fol di Mel e Tiago nelBellunese, San Vigilio a Col SanMartin (1458). Da Coneglianocontinuò a svolgere una intensaattività come pittore (notevole ilciclo affrescato nella chiesa diSan Pietro in Vincoli a Zoppé diSan Vendemiano, ora custoditonel Museo civico di Conegliano)fino al 1485, anno in cui in undocumento riguardante il figlioDesiderio viene citato comequon dam, ossia già defunto.A San Giorgio di San Polo di Pia-ve, accanto alla citata Ultima Ce-na, resa celeberrima dalla pre-senza dei gamberi e dei bicchieridi vino rosso sulla tavola imban-dita, compaiono anche una Ma-donna col Bambino e San Fran-cesco d’Assisi con le stimmate,due quadri con i Santi Sebastia-no e Bernardino ed i Santi Giaco-mo Maggiore e Antonio Abatesulla parete sud; qui anche dueepisodi della vita del santo titola-re sulla parete di fondo: SanGiorgio e la principessa a sinistradell’arco trionfale (dal sapore ti-picamente cortese cavalleresco)ed a sinistra il Battesimo dellaprincipessa, dei genitori e del po-polo pagano.

Purtroppo altri due episodi cen-trali sono andati distrutti in occa-sione dell’allargamento dell’arcoche immette nell’attuale zonapresbiterale, dove il 1 luglio1520 ser Chinno (di) ser Zando-menego q. ser Paschailo ha fatto

dipingere da un pittore localeuna Madonna con il Bambino eser Francesco Andreeta un SanRocco.

GIORGIO MIES

Interno della chiesa di San Giorgio (XV sec.) a San Polo di Piave.Sotto. San Giorgio e la principessa (1466).

Affreschi del XV secoloattribuiti al pittoreGiovanni di Francia

residentea Conegliano

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