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“Il Mulo n°45” Mulo 45.pdf · alla tirannia turca e ad ogni modo limitate all'estremità...

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morale di nazione che cinquant'anni di unità politica non erano riusciti a creare. Come sentì prima di tutti noi il poeta delle battaglie dell'Isonzo e del Carso, Giuseppe Ungaretti: Di che reggimento siete fratelli ? Parola tremante nella notte Foglia appena nata Nell'aria spasimante involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità Fratelli Pacifista convinto come tutti coloro che le guerre le hanno corporalmente sofferte, rievocando la nostra guerra del 1915-18 mi verrà naturale metterne in rilievo l'umanità, la cavalleria, la giustificazione morale di parteciparvi con il corpo e con il sacrificio. E subito fin dall'inizio voglio celebrarne i più umili combattenti; quei Fanti che la guerra patirono assai più di ogni altra specialità dell'esercito, nello stesso modo di quei ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI SEZIONE DI VENEZIA GRUPPO ALPINI DI VENEZIA “S. TEN. GIACINTO AGOSTINI” “MAGGIO 1915, L’ITALIA ENTRA IN GUERRA” “Il Mulo n°45” Notiziario del Gruppo Alpini di Venezia Anno 26, Numero 45 - Giugno 2015 (note tratte dalla rievocazione fatta da Paolo Monelli nel 1965, per il Touring Club Italiano. La Nostra Guerra 1915 - 1918 nel cinquantenario). In noi c'era la certezza di combattere per una giusta causa, la coscienza di cementare la Patria giovane nell'urto contro stati assai più solidi e antichi, il senso che nei crogioli ardenti dell'Isonzo e degli altipiani si preparava quella unità Edizione speciale dedicata al 100° anniversario della Grande Guerra
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morale di nazione che

cinquant'anni di unità

politica non erano riusciti a

creare. Come sentì prima di

tutti noi il poeta delle

battaglie dell'Isonzo e del

Carso, Giuseppe Ungaretti:

Di che reggimento siete

fratelli ?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli

Pacifista convinto come

tutti coloro che le guerre

le hanno corporalmente

sofferte, rievocando la

nostra guerra del 1915-18

mi verrà naturale metterne

in rilievo l'umanità, la

cavalleria, la

giustificazione morale di

parteciparvi con il corpo e

con il sacrificio. E subito

fin dall'inizio voglio

celebrarne i più umili

combattenti; quei Fanti

che la guerra patirono

assai più di ogni altra

specialità dell'esercito,

nello stesso modo di quei

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“MAGGIO 1915, L’ITALIA ENTRA IN GUERRA”

“Il Mulo n°45” Notiziar io del Gr uppo Alpini d i Venezia

Anno 26, Numero 45 - Giugno 2015

(note tratte dalla

rievocazione fatta da

Paolo Monelli nel 1965,

per il Touring Club

Italiano. La Nostra

Guerra 1915 - 1918 nel

cinquantenario). In noi c'era la certezza di

combattere per una giusta

causa, la coscienza di

cementare la Patria

giovane nell'urto contro

stati assai più solidi e

antichi, il senso che nei

crogioli ardenti dell'Isonzo

e degli altipiani

si preparava quella unità

Ediz

ione s

peciale

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fanti specializzati che sono i

Granatieri, i Bersaglieri, gli

Alpini, gli Arditi (o forse più,

perchè un certo sollievo anche

nel rischio più grave poteva

venire al soldato scelto

dall'orgoglio di essere appunto

tale). Eroi oscuri della guerra

scomoda senza altri aggettivi,

del giaciglio improvvisato, del

rancio freddo, dell'acqua scarsa,

delle scarpe rotte, delle coperte

fradicie, della posta che non

arrivava, degli ordini incoerenti

o nefasti, delle circolari pignole

dei superiori comandi.

Bersaglio quotidiano delle

artiglierie nemiche sulle linee

avanzate e nelle marcie di

avvicinamento e spesso anche

quando erano a riposo,

delle mitragliatrici imboscate

dei tiratori solitari all'agguato;

esposti all'insidia delle mine e

dei gas; sgrananti un rosario

continuo di stenti, di sacrifici, di

rinunce; schiavi di una

disciplina imposta da necessità

naturali o tattiche, di non far

luce, di non farsi vedere, di non

far fuoco per riscaldarsi; sempre

in ansiosa attesa dell'ordine,

improvviso come la pallottola o

la granata, di cambiare

posizione e settore, di uscire

all'attacco, di avanzare allo

scoperto, di resistere ad

oltranza.

Una retorica piagnona li offese

spesso, nel corso di quella

prima guerra, chiamandoli

"soldatini", quasi fossero

innocenti od ottusi bambocci;

mentre fu qualità precipua della

massima parte di quei nostri

combattenti dal 1915 al '18

la virile accettazione di una

condizione disperante, un civile

senso del dovere che li fece

spesso animosi, e ad ogni modo

non mai inferiori ad un nemico

che affrontavano senza odio e

senza crudeltà; trasportando con

naturalezza nella vita di guerra

la serietà e l'impegno della dura

vita borghese.

Si giunse alla prima guerra

mondiale dopo tre generazioni

di pace.

Le guerre coloniali ci erano

parse avventure fuori di casa,

più che compensate dai

vantaggi che si contava di

averne e soprattutto dalle

ricchezze che si sperava di

trarre da quelle terre deserte e

doviziose; le guerre balcaniche

ci parvero la naturale e

lungamente maturata ribellione

alla tirannia turca e ad ogni

modo limitate all'estremità sud-

orientale del continente; in

margine ad una Europa

benestante raffinata e civile ove

lo scambio delle idee, delle

invenzioni, delle comodità della

vita, dei prodotti dell'ingegno e

dell'arte era facile e frequente. Praticamente le frontiere non

esistevano più, si passava in

Francia, in Svizzera, in Austria,

in Germania, in Gran Bretagna

senza passaporto, senza

problemi di valuta. La nostra

lira, alla pari col franco francese

e svizzero e col fiorino

austriaco, faceva aggio sull'oro.

Quell'Europa unita che così

faticosamente oggi si cerca di

mettere insieme era allora già

una realtà, anche se non ce ne

rendevamo conto. Più volte

negli anni dal principio del

secolo al 1914 si aveva avuto il

timore di una guerra europea,

ma tutte le volte quelle

apprensioni si erano rivelate

vane; e non si vedeva motivo

ora, nel 1914, di darsi eccessivo

pensiero per un contrasto fra

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l'impero austro-ungarico e la

debole Serbia. "Lasciate che

l'Austria schiacci la Serbia. Si

potrà sempre localizzare il

conflitto", dicevano scettici

uomini di stato. Francesi,

Tedeschi, Inglesi, Russi,

precipitarono d'un colpo, senza

alcuna preparazione spirituale,

da tanta spensierata dolcezza di

vita in una conflagrazione

mondiale. Le cose andarono

diversamente per noi Italiani,

rimasti per quasi un anno

spettatori della guerra degli altri.

Noi la nostra preparazione

morale la avemmo, leggendo

con passione le cronache

bellicose della seconda metà del

1914 e dei primi mesi del '15 in

Francia e sulle frontiere orientali

dell'Austria e della Germania.

Sentimmo subito che questa

guerra mondiale era una cosa

diversa da quella dei secoli

precedenti di cui avevamo

studiato le vicende a scuola;

nella quale scomparivano le

qualità individuali del

combattente divenuto elemento

di una massa anonima, si moriva

senza previsione, spesso senza

vedere l'avversario, sotto

bombarda-

menti a

tappeto che

giungevano

d'oltre la

curva dell'

orizzonte.

(Ci accor-

gemmo do-

po che virtù

assai mag-

giori, di

adattamen-

to, di sop-

portazione,

di pazienza,

di fermezza,

ci volevano

per soppor-

tare quella

condizione di vittime predestina-

te). Pur prevedendo che nella caldaia

saremmo stati buttati anche noi,

vedevamo venire la nostra ora

con serenità; gli studenti

universitari andavano ad urlare

Trento e Trieste davanti ai

consolati austriaci e si

azzuffavano con la polizia

cantando la canzone di Oberdan,

"a morte Franz, viva Oberdan" o

i canti del Risorgimento,

"all'armi, all'armi, ondeggiano le

insegne gialle e nere, fuoco per

Dio sui barbari, sulle vendute

schiere". Le primissime

settimane, che anche la nostra

guerra aveva preso un volto

severo sul Carso e sul

fronte alpino del Monte Nero e

della Carnia, mi trovai ad istrui-

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re presso il deposito di un

battaglione Alpino del Settimo

reclute delle terze categorie

inquadrate da richiamati delle

vecchie classi. E conversando

alla buona con i miei uomini

trovavo in essi, anche nei più

vecchi, un'attesa rassegnata e

serena della sorte che li

attendeva; la coscienza

di un'oscura necessità

a cui bisognava conformarsi

per concetti di cui molti

apprendevano ora soltanto il

significato perentorio, Patria,

Dovere; e soprattutto per

Dignità di uomini. Così dunque

ci si preparava alla guerra,

ufficiali di complemento e

soldati; con molta dignità e

confidenza, non conoscendo

altri superiori che il nostro

Capitano, serio quarantenne che

aveva fatto la Libia, e il nostro

Maggiore, un barbone paterno e

grigio; e pensavamo che tutto

l'olimpo dei comandi superiori

su su fino al Cadorna fosse

composto di gente che sapeva il

fatto suo, ai quali eravamo

disposti ad affidarci con fiducia.

Quanto tempo doveva passare

perchè apprendessimo con

postumo raccapriccio che gli

ufficiali dello Stato Maggiore e

del Comando Supremo non

avevano profittato per nulla

degli insegnamenti di un anno

di guerra sul fronte francese; e

chissà come ci saremmo

meravigliati se avessimo saputo

che il Generalissimo Luigi

Cadorna alla vigilia di portare

alla guerra un esercito composto

di richiamati di venti classi, un

milione e mezzo di uomini di

cui novecentomila appartenenti

all'esercito di campagna, ne

dava questo poco tranquillante

giudizio: "scarsezza della forza

bilanciata, deficienti i nuclei di

milizia mobile, manchevole

istruzione delle classi in

congedo, anemici i quadri degli

ufficiali, insufficienza dei

servizi e delle munizioni,

inadeguatezza dell'artiglieria in

qualità e quantità, carreggio di

tipo antiquato, sezioni

mitragliatrici poche e

incomplete". Infine "la

campagna di Libia ha prodotto

effetti non buoni nella

compagine morale dei corpi e

non ne ha avvantaggiato

l'istruzione". Le prime settimane gli ufficiali

andavano al fuoco con

l'uniforme da passeggio, la

diagonale grigia con le stellette

del grado sulle maniche, e i

fregi d'argento sul berretto o sul

cappello, e la sciabola

sguainata. Poi ci si accorse che

erano troppo cospicui e nei

combattimenti da vicino erano

presi di mira da tiratori scelti.

Allora venne l'ordine di brunire

la lama delle sciabole e annerire

i fregi. Infine fu prescritta per

tutti, dal Generale al Sergente,

la stessa francescana uniforme

di panno grigioverde della

truppa, senza tasche, con le

controspalline dette salamini, le

grosse stellette di metallo al

bavero, la giubba abbottonata

stretta sotto il mento e le fasce,

dette mollettiere alla francese,

che i soldati chiamavano

"mulattiere", tormento dei

Fanti; solo gli Alpini sapevano

portarle per tutta una giornata

senza che si disfacessero.

Settemila studenti universitari,

che avevano ritardato il servizio

militare per la durata degli

studi, immediatamente chiamati

alle armi furono spediti a

due corsi accelerati di due mesi

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ciascuno alla scuola militare di

Modena da cui uscirono

Sottotenenti delle varie

specialità della Fanteria.

Erano il fiore della borghesia.

Cantavano una canzone nuova:

"Si batterà la carica sull'Alpi, su

coi cannoni su con le mani, le

baionette nella schiena ai cani,

le pianteremo senza pietà".

Appena nominati Sottotenenti

furono spediti allo sbaraglio,

sulle Alpi, sull'Isonzo, sul

Carso; quando due anni dopo,

l'ottobre del '17, uscì il

bollettino che li promoveva

Capitani, non ce n'era più che

la metà. A tanto bello e generoso impeto

non corrisposero, all'inizio, le

operazioni militari.

Il Comando Supremo sembrò

mancare di audacia e di

risolutezza.

Una più rapida avanzata delle

truppe di copertura contro i

quindici battaglioni austriaci

che difendevano il fronte dal

Monte Nero al mare ci avrebbe

dato certamente il possesso del

primo ciglione del Carso.

Invece occupammo soltanto la

zona che il nemico ci aveva

volontariamente abbandonata, e

ci fermammo contro la linea

Sabotino-Podgora-Monte San

Michele-Sei Busi-mare, sulla

quale intanto, già munita di

trincee e di reticolati, erano

venuti ad attestarsi due corpi

d'armata austriaci. Altra zona

fortificata contro cui si

infransero lungamente i nostri

attacchi fu quella di Santa

Maria e Santa Lucia di

Tolmino.

Il Generalissimo austriaco

Conrad aveva capito subito il

suo avversario. Diceva di lui:

"Cadorna non dà l'ordine

dell’azione prima che l’ultima

carretta di munizioni non sia

arrivata dove deve arrivare…...

E' un organizzatore di

prim'ordine, e in questo campo

ha reso grandi servizi all'Italia.

Ma è soprattutto un caparbio. E

manca assolutamente di slancio.

Se ne avesse, Dio solo sa dove

potrebbe arrivare".

"Di là dal fiume Isonzo ci sta

Santa Lucia, se stanco sei di

vivere t'insegnerò la via".

Cominciarono verso la fine di

giugno quelle truculente

battaglie che presero il nome

dal fiume Isonzo, che si

susseguirono per settimane e

per mesi senza che si riuscisse a

guadagnar terreno, o portando

avanti la nostra linea, qua di

cento, là di cinquecento metri; il

massimo del progresso fu di un

chilometro e mezzo in alcuni

punti. Un progresso di quattro

metri al giorno che ci costò

poco meno di duecentomila fra

morti e feriti. Fu, da parte del

Comando Supremo, un ottuso

insistere a lanciare il fiore

dell'esercito in attacchi frontali

a poderose posizioni avversarie

che non cedevano o si

ricomponevano poche dozzine,

poche centinaia di metri più

addietro; considerando i soldati

come un'inerte materia prima da

usare senza badare alle perdite,

pur che ce ne fossero sempre

dell’altra. Da parte dei soldati

fu, quei primi mesi, la guerra

1917, fante sul Monte Grappa. (Da “La nostra guerra 1915 -

1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).

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della generosa inesperienza, del

sacrificio accettato come una

necessità contro cui non valeva

nè fortuna nè furberia. Si

susseguivano all'assalto di vette

catafratte, di colli, di costoni irti

di reticolati e di trappole, spesso

partendo sempre dallo stesso

punto, le Brigate che avevano i

nomi di tutte le città e le regioni

d'Italia, Abruzzi, Acqui,

Alessandria, Alpi, Ancona,

Aosta, Avellino, Bari,

Basilicata, Bergamo, Bisagno,

Bologna, Brescia, Cagliari,

Calabria, Casale, Catanzaro,

Como, Cremona, Cuneo, Etna,

Ferrara, Firenze, Forlì, Friuli,

Lario, Lecce, Liguria, Livorno,

Lombardia, Macerata, Mantova,

Marche, Messina, Milano,

Modena, Napoli, Novara,

Padova, Palermo, Parma, Pavia,

Perugia, Pesaro, Pescara,

Piacenza, Piemonte, Pinerolo,

Pisa, Pistoia, Puglie, Ravenna,

Reggio, Roma, Salerno, Sassari,

Savona, Sicilia, Siena, Spezia,

Torino, Toscana, Trapani,

Treviso, Umbria, Valtellina,

Venezia, Verona, Volturno, Re,

Regina, Carabinieri.

Con impeto fresco e giovanile

ogni volta, come non avessero

nell'animo l'esperienza dei

rovinosi assalti precedenti, e la

certezza dell'insuccesso, arde-

vano, si disfacevano in poche

ore contro difese che nessuna

preparazione d'artiglieria aveva

indebolito, contro reticolati che

dovevano tagliarsi con forbici

da giardiniere, o sotto i quali

pattuglie suicide infilavano tubi

di gelatina esplosiva.

"Il Genio te combina l'inven-

zione, de fà saltà li fili e li

paletti, consuma gelatina a

profusione, e dopo li aritrovi più

perfetti". Quei Fanti, figli di una nazione

vissuta per cinquant'anni in

sicura pace, quei vecchi ufficiali

intristiti fino allora nelle

caserme e sulle carte d'ufficio,

credevano ancora che la guerra

fosse soltanto questo, un

rassegnato immolarsi per

l'onore e per il dovere, in nome d'una Patria che era per i più

una parola scolastica, e

accettare senza bestemmiare

stupidi ordini di morte. ("I miei

Bersaglieri strapperanno i

reticolati con i denti e col

fegato", "Passeremo su un ponte

di cadaveri", "Il soldato lavori

finchè non cade affranto"). Uscivano dalle trincee scavate

in fretta, da tane di sassi

crollanti per conquistarne altre

altrettanto instabili; combatte-

vano giornate per impadronirsi

di una trincea delle Frasche, di

una trincea dei Ratti, di una

trincea dei Morti, di una dolina,

di una piccola elevazione

chiamata quota che prendeva

nome da un albero smozzicato

o era indicata dall'altezza sul

livello del mare, 208, 285,

numeri che si incidevano nella

memoria tante volte ci si era

andati all'attacco; o d'un bivio di

strade cancellate, o di quattro

rocce in bilico su dalla sassaia

frantumata e arsa, colma di

sangue in ogni ruga.

Dividevano con gli Austriaci

sassi e muretti con atroce

minuzia, si scambiavano dal-

l'alba al tramonto il possesso di

un camminamento o della buca

scavata da una mina. I nomi di

quegli accidenti del terreno

diventarono personificazione di

mostri insaziabili. Doberdò e il suo altipiano, che i

nostri e gli Austriaci chiama-

vano concordemente l'inferno.

San Michele, funebre monte

scavato da valloni aridi, da

buche fosche da aspri crepacci,

fatto di quattro cime; una di

queste fu chiamata dai Magiari

il monte dei cadaveri tanti ce ne

avevano lasciati dei loro

ammonticchiati sì da alterarne il

profilo. Il Vallone, trista conca

intorno alla palude morta di

Doberdò ove sorgevano cimiteri

come funghi dopo le battaglie.

Quanti sono ora i superstiti

(scriveva Monelli nel 1965), i

sopravvissuti per miracolo, che

si ricordano ancora di questi

nomi che avevano tanta forza di

evocazione allora per chi ne

sbigottì il giorno che l'uno o

l'altro gli fu indicato come meta

dell'azione dopo un breve

riposo, in quei giorni eterni che

la vita e la morte avevano lo

stesso fiato di dissoluzione? Anche nelle soste dei

combattimenti la vigilia era

angosciosa. Fra gli ultimi posti

avanzati nostri e quelli nemici

intercorrevano spesso poche

decine di metri; una verminaia

di sassi spezzati dal bombarda-

mento, una pattumiera di

schegge, di armi troncate, di

lembi di panno, di scatolette, di

vanghette, di ossame, di

cadaveri freschi nell'uniforme

grigioverde nostra o turchina

degli Austriaci, sotto un

continuo basso volo di corvi. Per tutta l'estate la petraia fu

aspra, secca, difficile interrarsi

in quel duro, si che le trincee

erano semplicemente un canale

poco cupo con sponde di sassi.

Ma quando l'autunno portò le

nebbie, la pioggia e il colera,

trincee e camminamenti diven-

nero un melma sanguigna. Bisognava aspettare il buio per

muoversi dal posto dove s'era

stati sorpresi dall'alba, per

ricevere un rancio portato da

cucinieri frettolosi di tornare

all'angolo morto delle cucine,

pagnotta e carne fredda e vino,

e un pò di brodo e di caffè

appena tiepidi; per l'acqua

bisognava fare fino a mezz'ora

di cammino, andava un Fante

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Anno 26, numero 45 Pagina 7

per tutta la squadra con una collana di gavette intorno al corpo infilate nella cinghia che strepitavano

durante la marcia e la vedetta austriaca più vicina sgranava un caricatore contro quel tintinnio.

Il poeta Ungaretti giacendo su questa pietra del San Michele, "fredda dura prosciugata totalmente

disanimata" sotto una volta appannata di cielo, chiuso nella sua uniforme di soldato di Fanteria "come

nella cuna di mio padre" recitò a se stesso lievi altissime parole, la sorte sua e dei suoi compagni di

pena:

“Si sta

come d'autunno

sugli alberi

le foglie”.

Paolo Monelli

Capitano degli Alpini

1890 - 1980

Rapporto: un generale

comandante di brigata (a sin.) a

colloquio con un comandante di

Reggimento.

(Dal volume “Il Piave

mormorava. Dopo

cinquant’anni la verità sulla

Grande Guerra”, di F. Bandini

- Longanesi Editore).

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Anno 26, numero 45 Pagina 8

LA NOSTRA PREPARAZIONE, O IMPREPARAZIONE A DIR SI VOGLIA, PER

IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE

Non volendo cimentarmi in

occasione del centenario della

nostra entrata in guerra con i

"media" che letteralmente hanno

cominciato a "bombardarci",

spiegando i precedenti, le cause,

gli attriti fra nazioni, ecc., ho

pensato di esaminare invece

quale e a che punto fosse la

nostra preparazione nel 1914 e

nel 1915, dato che non

potevamo esimerci dal

partecipare a quel conflitto che

per la prima volta coinvolgeva

moltissime nazioni del mondo

intero.

Nel 1914 possiamo dire che

praticamente non avevamo un

esercito, anche perchè quel poco

che era stato fatto dai governi

che avevamo avuto dal 1900 in

poi, era stato consumato con la

guerra di Libia. Nel periodo

agosto 1914 - maggio 1915,

pochi mesi quindi, Cadorna,

capo di Stato Maggiore del

nostro esercito, e il generale

Zupelli, ministro della guerra,

in parte riuscirono a dare un

po' di capacità operativa e di

preparazione alle nostre esigue

truppe.

Si potè aumentare di 11

divisioni quanto precedente-

mente previsto dallo Stato

Maggiore; così fu possibile

mobilitare circa 1 milione di

uomini per le prime linee e

mezzo milione per le seconde.

Chiaramente tutto ciò comportò

l'aumento direi esponenziale

della nostra produzione

industriale con la riconversione

di molte aziende alle nuove

esigenze: armi, munizioni,

automezzi, areoplani, cibi in

scatola (la Cirio aumentò il

proprio personale di parecchie

migliaia di unità). Se pensiamo

che nel 1914 avevamo solo 12

batterie di cannoni da 75 mm,

48 pezzi, calibro maggiormente

usato da tutti i contendenti, 14

batterie da 149, 56 pezzi,

300.000 fucili '91 e soprattutto

pochissime mitragliatrici, ci

possiamo rendere conto della

nostra situazione e della

conseguente impossibilità di

entrare subito in guerra.

I 9 mesi di neutralità ci fecero

veramente compiere un

miracolo. Quando fu completata la

mobilitazione l'Italia potè

schierare 53 divisioni di

Fanteria, 1 di Bersaglieri, 4 di

Cavalleria, 52 battaglioni di

Alpini, 14 del Genio, 3 di Reali

Carabinieri, 18 di Guardie di

Finanza, 207 di Milizia

Territoriale e 113 compagnie

presidiarie. Inoltre avevamo 371

batterie da campagna, 28 di

obici pesanti, 68 da montagna e

someggiate, 15 squadriglie di

areoplani e 5 dirigibili. In

definitiva c'erano pronti

900.000 uomini, 216.000

quadrupedi, quasi 2.000 pezzi

campali e 132 d'assedio, 618

mitragliatrici (sempre pochissi-

me rispetto agli austriaci e ai

germanici). Ma a questo punto sorge una

domanda: eravamo pronti

tecnicamente a offendere, dato

che la nostra doveva essere una

guerra d'attacco e non di difesa?

Assolutamente no!

La concezione di guerra era

ancora quella di battaglie in

campo aperto e non di guerra di

posizione: ogni nazione era

convinta che la guerra dovesse

durare molto poco e che lo

stabilizzarsi del fronte fosse una

cosa transitoria. A tal proposito

ricordo come i chilometri di

sbarramenti di filo spinato

abbiano contribuito alla staticità

della linea del fronte. Questo

nuovo modo di combattere

sconcertò tutti. La nuova

imprevista situazione trovò tutti

impreparati.

Nei secoli precedenti una

nazione vinceva la guerra

quando il proprio esercito

avesse sbaragliato in campo

aperto l'esercito dei nemici.

Comunque non ci volle molto

per gli eserciti contrapposti per

capire che i tempi erano

cambiati. Il fronte nostro, per la maggior

parte montano, non permetteva

una celere manovra e nemmeno

lo schieramento di grandi masse

di uomini. Solo sul fronte giulio

la cosa fu possibile, col risultato

di macelli inenarrabili, come

era già e sarebbe successo sul

fronte occidentale.

In Cadore poi, come si sarebbe

potuto velocemente sfondare

una linea abbarbicata, per forza

di cose, sulle creste

dolomitiche? L'andamento del

conflitto dimostrò l'impossi-

bilità di un simile

atteggiamento. Però sappiamo che se (non è

"se mia nonna avesse le

ruote...") la IV Armata al

comando del generale Nava,

uno dei primi alti ufficiale

silurati da Cadorna, avesse

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Anno 26, numero 45 Pagina 9

subito preso l'iniziativa con

azioni ficcanti, cosa temutissima

dagli austriaci, avrebbe potuto

conseguire risultati notevoli su

un velo di truppe - anziani e

giovanissimi -, dato che il grosso

dell'esercito AU era impegnato in

Galizia contro i Russi. E tutto

questo anche se, come ho già

detto, tecnicamente non eravamo

ancora pronti a sostenere

quest'ultima guerra di

indipendenza il 24 maggio 1915.

Socio Aggregato

Marino Michieli

1915: Volontari ciclisti in partenza per il fronte. (Da “La nostra guerra

1915 - 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).

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Anno 26, numero 45 Pagina 10

LA GUERRA NEI CIELI

Aereo Macchi - Nieuport “Bebè” dell’aviazione italiana; sulla carlinga la scritta “ocio fiol d’un

can!” rivolta al nemico.

(Dal volume “Il Piave mormorava. Dopo cinquant’anni la verità sulla Grande Guerra”, di F.

Bandini - Longanesi Editore).

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Anno 26, numero 45 Pagina 11

“EL VINTIQUATRO MAGIO LA GUERA È DICHIARATA”

LA GRANDE GUERRA A VENEZIA , NEI RICORDI FAMIGLIARI

Mirate! Fuoco!

Poi la scarica potente di quaranta

fucili che sparavano all'unisono e

subito dopo la voce urlata!

A posto! Caricate! Fuoco! Sparavano così dalle numerose

altane sopra i tetti di Venezia, i

soldati della Milizia Territoriale

e i Marinai.

I Territoriali, richiamati

"anziani", sparavano con il

vecchio fucile a quattro colpi, il

Vetterli-Vitali 1870/87. I Marinai sparavano con il mitico

'91 arma allora sicuramente

all'altezza, precisa ed efficace.

Soltanto in tempi successivi i

soldati dotati finalmente di

elmetto (l'Adrian di ideazione

francese), si vedono nelle foto

d'epoca, manovrare anche la

mitragliatrice Colt (con la quale

erano armati anche i MAS). Le

incursioni aeree sulla nostra città

si susseguirono per tutto il

conflitto e furono ben

quarantadue, più volte i velivoli

vennero abbattuti dal fuoco

contraereo, e la grande fortuna fu

che moltissime bombe caddero in

acqua, nei canali o in laguna. Di

giorno e di notte si vegliava sulle

altane e nel silenzio notturno le

sentinelle si scambiavano alla

voce la consegna "Per l'aria,

buona guardia!". L'ottimo

Sindaco di allora Filippo

Grimani, aveva operato da subito

con grande determinazione per

coordinare i servizi di assistenza

e di protezione nella città. Erano

stati predisposti i rifugi ed

evacuate o protette efficacemente

tutte le opere d'arte.

bombe anche di notevoli

dimensioni e le incendiarie,

provocavano comunque danni

distruggendo abitazioni,

depositi, fabbriche, e sempre

causando vittime. La

popolazione non preparata a

questo tipo di attacchi ne era

impressionata!

Anche Mestre, importante nodo

ferroviario, punto strategico

delle retrovie con i suoi forti,

caserme, stabilimenti militari,

fabbriche, e gli hangars dei

dirigibili a Campalto, viene

ripetutamente bombardata con

numerose vittime.

Nei miei ricordi famigliari, c'è

quello dello zio Paolo (cl. 1893)

che durante una di quelle prime

incursioni aeree, aveva visto ai

Giardini, davanti al monumento

di Garibaldi mentre la gente

fuggiva impaurita, un Finanziere

che con tutta calma estratta la

pistola d'ordinanza aveva poi

mirando in alto al velivolo,

scaricato tutto il caricatore. Ma

anche mio papà che all'epoca

aveva otto anni aveva

conservato nel tempo ricordi

nitidissimi!

Durante un allarme aereo era

fuggito con la mamma e tante

altre donne e bambini verso il

rifugio. I rifugi erano poi

semplici magazzini a piano

terra, rinforzati con alcune travi

e protetti da sacchetti di sabbia e

coperte antischegge imbottite di

alghe. Nella corsa concitata

aveva sentito netta la voce

dell'ufficiale che in alto

sull'altana dava gli ordini.

“El vintiquatro magio la guera è

dichiarata, ai sinque de matina

Venessia bombardata". Così si

cantava a Venezia l'indomani

della prima incursione aerea

degli Austriaci sulla città. Alle

ore 4,10 del 24 maggio erano

arrivati gli aeroplani, i Veneziani

svegliati di soprassalto da quel

rumore insolito di motori,

avevano spalancato i balconi,

preoccupati. Ma subito qualcuno

aveva detto: "Xe i nostri che i fa

e prove"! Così non era, fin da

subito l'Austria voleva lanciare il

suo chiaro messaggio e

impressionare fortemente la

popolazione.

Potevano in qualsiasi momento

arrivare dal cielo e seminare

morte e disperazione!

L'impressione tra la gente era

forte, anche se solo due aerei

avevano lanciato in totale

quindici bombe e provocato

soltanto quattro feriti.

Conoscevano in modo

millimetrico la topografia della

città e con la massima precisione

tutti gli obiettivi da colpire, per il

fatto di aver governato a Venezia

per tanto tempo. Rimane quindi

non credibile la giustificazione

postuma di aver colpito per

errore l'ospedale civile a

S. Giovanni e Paolo, con

distruzioni nei reparti e diverse

vittime tra i ricoverati!

Certo, quei primi bombardamenti

aerei erano soprattutto simbolici

se confrontati con i

bombardamenti a tappeto,

tremendi, drammatici, della

seconda guerra mondiale. Le

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Anno 26, numero 45 Pagina 12

saldamente e a regola d'arte.

Quello che si scuciva veniva

scartato e messo da parte!

Risuonavano allora i pianti e la

"disperazione" di quelle sarte,

specialmente le più giovani, che

vedevano in un attimo vanificato

tutto il loro lavoro!

Geniere Alpino

Sandro Vio

quindici anni nel cantiere navale

dove lavorava, gli aveva

prodotto una grave

menomazione alla mano sinistra.

Dopo Caporetto però riceve la

cartolina e viene subito arruolato

nella Milizia Territoriale! Tra i tanti ricordi, infine, c'è

quello della cara zia Rita (cl.

1889), la Santola di mio papà.

La zia Rita era una brava sarta e

come moltissime altre era stata

precettata per fornire il vestiario

necessario all'Esercito. Dobbia-

mo ricordare che per la massa

enorme di uomini alle armi, era

necessario un continuo

approvvigionamento di oggetti

di vestiario di ogni tipo:

"Camicie, maglie, giubbe,

pantaloni, fasce, berretti,

mantelline, maglioni, guanti,

calzettoni, passamontagna e

altro".

Nei locali comunali gestiti dalle

"Patronesse", di solito signore

della nobiltà veneziana,

venivano distribuiti i tessuti, la

lana, e impartite precise direttive

su come confezionare il

vestiario. A lavoro ultimato

queste sarte, donne giovani e

anziane, si presentavano dalle

Patronesse per consegnare tutto

quanto avevano preparato con

giorni e giorni di pesante

impegno e di fatiche.

Era anche il sospirato momento

in cui ricevevano il compenso

previsto!

Mio papà aveva più volte

accompagnato la zia Rita

aiutandola a trasportare i

numerosi pacchi e involti. In

quel momento però le

Patronesse, con cipiglio

militaresco e la massima severità

sottoponevano quel vestiario ad

un vero collaudo. I capi

venivano controllati uno ad uno,

tirati con forza, quasi strappati

per verificare che le cuciture, i

bottoni e tutto fosse fissato

Dopo Caporetto poi, con la

minaccia incombente sulla città

( gli Austriaci "spavaldi"

avevano già predisposto i timbri

con la scritta Venedig-

Kommandantur ) gran parte della

popolazione era stata trasferita

"profuga" in altre località lontane

dal fronte (mio papà a Firenze).

Tra i miei famigliari, mio nonno

paterno già anziano era operaio

"militarizzato" all'Arsenale dove

si lavorava a ritmo continuo. Mio

nonno materno di professione

oste era rimasto al suo posto,

credo perchè svolgeva un lavoro

ritenuto utile al sostentamento

della popolazione rimasta in

città.

Tra i miei zii, Giovanni (cl.

1898) fratello più vecchio di mia

mamma, era imbarcato sulla

Regia Nave Corsini e poi sulla

Regia Nave Stocco (dalla R.N.

Stocco venne sparata nel 1919, la

cannonata che colpì la facciata

del municipio di Fiume dove era

alloggiato l'Imaginifico, il

Comandante D'Annunzio).

Guido, era uno dei famosi

"Ragazzi del '99", ultima riserva

di uomini che il Regio Esercito

Italiano aveva messo in campo

nel '17 contro il potente Imperial-

Regio Esercito Austro Ungarico.

Arruolato in Marina e imbarcato

sulla leggendaria corazzata

"Andrea Doria" dopo pochi mesi

era stato sbarcato e inquadrato

tra i Marò del Reggimento

Marina, destinato a combattere

sul basso Piave e alle grave di

Papadopoli. In realtà i Ragazzi

del '99 non furono gli ultimi

chiamati alle armi, come mi

raccontava mio papà, gli ultimi

precettati per la guerra furono i

giovani nati entro il 1° semestre

del 1900. Lo zio Paolo che ho

citato all'inizio, pur essendo un

giovane di "sana e robusta

costituzione" non era stato fatto

abile perchè un grave incidente a

Nella pagina a fianco, in

alto, case colpite in campo

Rialto Novo.

In basso, Fondamenta del

ferro e la birreria Spiess

distrutta.

(Dal volume “Il martirio

di Venezia durante la

Grande Guerra - vol. 1”,

di G. Scarabello).

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Anno 26, numero 45 Pagina 14

passando in silenzio per il passo

Zagradan.

Ma i quattordici gendarmi

austriaci che presidiavano il

valico, li videro ed aprirono il

fuoco colpendo il Di Giusto alla

nuca, dopo che il proiettile era

rimbalzato sulla vanghetta

metallica appesa al suo zaino.

Erano le quattro del mattino.

Riccardo Di Giusto morì dopo

pochi istanti, avendo solo il

tempo di pronunciare il nome

della mamma. L'Alpino Riccardo Di

Giusto è ricordato con

un cippo eretto sul

monte Colovrat e la sua

salma dal 1923 riposa

nel cimitero monu-

mentale di Udine.

Un altro monumento

che ricorda il suo

sacrificio si trova sul

passo Solarie, dove ogni

anno, la prima domenica

di giugno gli Alpini

rendono onore e

rivolgono il loro

pensiero a questo

ragazzo di vent'anni,

Primo Caduto Italiano

della Grande Guerra.

Artigliere Alpino

Sandro Vescovi

650.000 morti) il suo reparto alle

due di notte penetrò in territorio

nemico per alcune centinaia di

metri sul monte Colovrat, nel

comune di Drenchia (UD) che

segnava il confine tra il Regno

d'Italia e l'Impero Austria-

Ungarico. Riccardo Di Giusto,

Alpino esploratore, precedeva

con la sua pattuglia la colonna di

Alpini che aveva il compito di

occupare la cima del monte

Natpriciar davanti a Tolmino,

Non tutti sanno che il primo

soldato italiano caduto nella 1^

guerra mondiale è stato l'Alpino

Riccardo Di Giusto (Udine 10

febbraio 1895 - Drenchia 24

maggio 1915), della 16^

Compagnia del Btg. Cividale

dell'8° Reggimento Alpini,

inquadrato nella 2^ Armata di

stanza nella zona del monte

Colovrat.

Il 24 maggio 1915 (primo giorno

di una guerra che ci costò

L’ALPINO RICCARDO DI GIUSTO, IL PRIMO CADUTO

“Aprite le porte che passano…”. Fanfara in testa il Battaglione

Alpini parte per il fronte. Edizioni Tipografiche Miani - Udine.

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Anno 26, numero 45 Pagina 15

Giugno 1918.

“A Nervesa, a Nervesa,

c’è una croce

mio fratello è sepolto là

io ci ho scritto su

Nineto

e la mamma lo ritroverà….”

(foto tratta dal volume “Il Piave mormorava. Dopo cinquant’anni la verità sulla Grande Guerra”, di

F. Bandini - Longanesi Editore).

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Anno 26, numero 45 Pagina 16

LA GUERRA SUI MONTI

Il Battaglione “Val d’Intelvi” sale al Passo Brizio quale truppa di rincalzo.

Sullo sfondo la parete nord dell’Adamello (foto Bonacossa).

Dal libro “Guerra bianca” di Robbiati/Viazzi, Mursia Editore.

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Anno 26, numero 45 Pagina 17

1917, sul Monte Santo la

bandiera del 43° Rgt.

Fanteria della Brigata

Forlì.

(Da “La nostra guerra

1915 - 1918 nel

cinquantenario” - ed.

Touring Club Italiano).

Estate del 1916. Alpini sulla Tofana III.

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Anno 26, numero 45 Pagina 18

la sentinella e la uccise. Un altro

austriaco, affacciatosi al

parapetto, venne colpito dal '91

di Revel. Un terzo fu afferrato e

lanciato nel vuoto dal caporale.

La pattuglia, ringalluzzita, con

un poderoso "Savoia", scalò gli

ultimi metri di parete e fece

sgombrare gli AU dalla

posizione. Tre medaglie

d'argento al valore furono

concesse per questa operazione.

Altri attacchi furono tentati tra il

20 e il 21 ottobre e tra l'11 e il 12

novembre con ampio

spargimento di sangue, ma senza

apprezzabili risultati.

Si giunse così all'inizio

dell'inverno con la situazione

immutata. Forti nevicate resero

impossibile ogni operazione.

Solo le pattuglie si mossero

faticosamente in perlustrazione.

Da ricordare che il 15 settembre

giunse il nuovo comandante del

battaglione a sostituire il

Maggiore Dalmasso: il Maggiore

Ernesto Umberto Testa Fochi,

che doveva legare il suo nome a

tante pagine gloriose dell'

"Aosta".

Ma qui mi fermo. La storia del

battaglione continuerà l'anno

prossimo, analizzando gli

avvenimenti del 1916.

Socio Aggregato

Marino Michieli

attaccò le trincee di quota 1270,

conquistandole.

Ai primi di luglio fu sullo Sleme

assieme ai battaglioni "Intra" e

"Val Toce" del 4°. Dieci giorni

di riposo e salì sul Vrata donde

infruttuosamente tentò la

conquista del Lemez. Qui cadde

il suo primo ufficiale, un

Sottotenente romano della 42a.

Il battaglione tornò al Vrata e

poi a riposo a Ravna. Fino a

questo momento ebbe 15 caduti

e 114 feriti. E siamo così giunti all'agosto

1915, quando la 43a e la 103a

furono inviate a Monte Nero a

rincalzo della Brigata Emilia;

poi tutto il battaglione presidiò il

Vrsic, già in parte nostro: gli AU

tenevano la parte settentrionale

della cresta. L'incarico era

quello di sorvegliare e di cercare

di demoralizzare il nemico con

una continua attività di disturbo.

A ferragosto vi fu la prima

azione: la 42a, con 150 uomini,

attaccò a fondo la trincea-

osservatorio austriaca,

conquistandola con largo bottino

di armi e materiali. Purtroppo

ebbe un centinaio di morti e

feriti, tra cui due Sottotenenti.

Tentativi di riconquista furono

fatti, senza esito però. La stessa

cosa avvenne per i nostri

tentativi di avanzata verso le

nuove posizioni austriache. Arriviamo così al 13 settembre,

data in cui una nostra pattuglia

salì la parete di un contrafforte

tra il Vrata e il Vrsic. Un

Caporalmaggiore, tale Revel,

scalò da solo la parete portando

una corda per aiutare poi i

compagni. Arrivato poco sotto la

trincea avversaria, prese di mira

Ho pensato per il centenario

della nostra entrata in guerra di

scrivere anno per anno, con un

breve cenno sulla formazione e

la storia prebellica, le vicende di

un battaglione alpino. Ho scelto

il battaglione "Aosta" per il fatto

che fu uno dei battaglioni che,

tranne in Dolomiti, praticamente

fu presente lungo tutto il nostro

fronte: Globocak, Jeza, Sleme,

Vrata, Vrsic, Stelvio, Scorluzzo,

Adamello, Zugna, Pasubio,

Vodice, Solaroli, Fontana Secca,

Palòn.

Nel brano che segue illustrerò le

vicende del battaglione nell'anno

1915, dal 24 maggio al 31

dicembre. Nei prossimi tre anni

ricorderò le imprese dell'Aosta di

cento anni prima.

Nel 1873 in Aosta vi era una 8a

Compagnia Alpina dipendente

dal distretto di Torino. Nell'82 vi

era un Battaglione "Val d'Aosta"

del 6° Reggimento; nell'85 il

battaglione passava al 4°

Reggimento; due anni dopo perse

il nome di "Valle" e divenne

"Aosta", con 3 compagnie: 41a,

42a e 43a.

Partecipò nel '96 alla Guerra

d'Africa. Nel 1915 aveva 2 compagnie in

più: la 87a e la 103a, passate poi

al Battaglione Monte Cervino

quando fu formato. E 2 sezioni

mitragliatrici! Pensate, 4 armi

per 5 compagnie!

Subito varcò il confine ed

occupò il Globocak, monte di

circa 800 metri. Di lì fu spostato

nella zona di Tolmino e

Caporetto; poi fu di rincalzo al 5°

Bersaglieri sullo Jeza. Infine,

nella zona di Monte Nero, sotto

il Vrata, la 42a compagnia

STORIA DEL BATTAGLIONE ALPINI AOSTA “CH'A COUSTA LON CH'A COUSTA, VIVA

L'AOUSTA!”

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Anno 26, numero 45 Pagina 19

Sei Alpini resistono per cinque ore a più di duecento austriaci, Disegno di A. Beltrame tratto da

“La Domenica del Corriere”, luglio 1915. Direzione de “L’Alpino” A.N.A. - Milano

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Anno 26, numero 45 Pagina 20

“I GARIBALDINI DELLE ARGONNE”

Ricciotti Garibaldi (1847 -

1924) patriota e soldato, figlio

di Anita e Giuseppe Garibaldi,

ebbe otto figli.

Un'unica figlia femmina Anita

Italia e sette figli maschi: Pep-

pino, Ricciotti jr., Menotti jr.,

Sante, Bruno, Costante, Ezio.

Peppino Garibaldi (1879 -

1950) allo scoppio della prima

guerra mondiale, forte della tra-

dizione famigliare, sull'esempio

del nonno e del padre, nell'au-

tunno del 1914 a Parigi da vita

alla Legione

Garibaldina.

Al suo appel-

lo accorrono

con entusia-

smo molti

giovani italia-

ni, repubbli-

cani, Mazzi-

niani, sinda-

calisti, e an-

che veterani

delle numero-

se spedizioni

garibaldine

effettuate in

ogni area del

mondo in di-

fesa dei popoli oppressi.

Con 57 ufficiali e circa 2.100

uomini di truppa, molti dei qua-

li emigrati già residenti in Fran-

cia, viene formato un reggimen-

to incorporato nella Legione

Straniera, denominato IV° Reg-

gimento di Marcia. I volontari

indossano l'uniforme tipica del-

la Legione Straniera, ma porta-

no la camicia rossa sotto la

giubba!

Dopo un rapido addestramento

a Montelimar , Nimes e Mònt-

boucher, la Legione Garibaldi-

na viene trasferita l'11 novem-

bre a Mailly, dove il Tenente

Colonnello Peppino Garibaldi

ne assume formalmente il co-

mando. I Garibaldini inviati al

fronte nella foresta delle Argon-

ne, compiono numerose azioni

di pattuglia e temerari colpi di

mano, fino al 26 dicembre 1914

quando a Belle Etoile nei pressi

di Bois de Bolante, ingaggiano

una sanguinosa battaglia

e vincono! Nello scontro cade

uno dei fratelli, il Sottotenente

Bruno Garibaldi (1889 - 1914).

Il 5 gennaio 1915 a Four de Pa-

ris, sostengono un altro duro

combattimento e subiscono gra-

vi perdite. Muore in battaglia

anche Costante Garibaldi (1892

- 1915), Sergente dei Garibaldi-

ni. La Legione Garibaldina ebbe

trecento Caduti, quattrocento

feriti, e molti ammalati a causa

della durissima vita di trincea.

Tra gli ufficiali caduti vengono

anche ricordati: il Tenente Lam-

berto Duranti, il Tenente Grego-

rio Trombetta, il Sottotenente

Paolo Muracciole, il Sottotenen-

te Marino Pasquale.

Il 6 marzo 1915, la Legione,

data la mobilitazione generale

tacitamente già iniziata in

Italia, viene disciolta e il IV°

Reggimento di Marcia rientra

al deposito di Avignone. Tutti i

Volontari Garibaldini fanno

ritorno in Italia per arruolarsi

nel Regio Esercito.

Nel maggio 1915 su "Il Gaz-

zettino" compare un trafiletto

dove si comunica che: "Quasi

sicuramente agli ufficiali della

Legione Garibaldina verrà

mantenuto il grado acquisito

nell'esercito francese". Molti

dei Garibaldini in Italia vengo-

no incorporati nella Brigata

"Alpi" (51° e

52° Rgt. Fan-

teria) dove

sotto la giub-

ba grigiover-

de continua-

no orgoglio-

samente ad

indossare la

camicia ros-

sa! Peppino Ga-

ribaldi assu-

me come Co-

lonnello il

comando di

uno dei Reg-

gimenti della

Brigata "Alpi" e nel 1918 ritor-

na in Francia con la Brigata

inserita nel Corpo di Spedizio-

ne Italiano. A fine guerra viene

congedato con il grado di Ge-

nerale di Brigata. Il Garibaldi-

no Lazzaro Ponticelli, emigrato

in Francia e

volontario all'epoca sedicenne,

negli anni trenta diventa citta-

dino francese. E' ricordato in

Francia come le Dernier Poilu

(l'ultimo Fante), l'ultimo dei

veterani della Grande Guerra.

Al suo funerale avvenuto in

anni recenti, erano presenti uf-

ficiali superiori della Legione

Straniera e anche degli Alpini,

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Anno 26, numero 45 Pagina 21

Primo a destra, Luigi Bravin (classe 1892, fratello della nonna

paterna di Giovanni Dal Maschio) negli anni ‘30 a Caprera, alla

tomba di Garibaldi, con i commilitoni della Brigata “Alpi”.

perchè Lazzaro (Lazar) una

volta rientrato in Italia era stato

arruolato negli Alpini. Altro

giovanissimo Volontario Gari-

baldino, anche lui sedicenne,

era stato lo scrittore Curzio

Malaparte (Kurt Erich Suc-

kert). Al cimitero italiano di

Bligny, una stele in marmo e

bronzo, è dedicata al sacrificio

dei volontari italiani, Garibal-

dini delle Argonne!

Geniere Alpino

Sandro Vio

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Anno 26, numero 45 Pagina 22

LA GUERRA SUL MARE

La corazzata austriaca “Santo Stefano” affonda, colpita dal M.A.S. 15 del comandante Luigi Rizzo,

decorato con 2 medaglie d’oro al valor militare (Da “La nostra guerra 1915 - 1918 nel

cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).

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Anno 26, numero 45 Pagina 23

Una squadriglia di M.A.S. (motoscafi armati siluranti); piccole imbarcazioni militari utilizzate come

mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante la prima e seconda guerra mondiale, in alcuni casi

assumevano la denominazione di “motobarca armata SVAN” dal nome del cantiere veneziano che li

produceva.

Fondamentalmente si trattava di motoscafi da 20 - 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della

classe) con una decina di uomini di equipaggio ed armamento costituito da due siluri ed alcune bombe

di profondità, oltre ad una mitragliatrice o un cannoncino.

Erano dotati di motori entro-fuoribordo a benzina, a combustione interna, di grande potenza ed

efficacia.

(Da “La nostra guerra 1915 - 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).

Dettaglio del

cannoncino di un

M.A.S., da “La

Lettura” (rivista

mensile del Corriere

della Sera) del 1°

gennaio 1917.

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Anno 26, numero 45 Pagina 24

sio sopra Timau, mentre con la

sua gerla stava trasportando i

rifornimenti per i nostri soldati.

Si era fermata un istante per

prendere fiato, aveva trentadue

anni e a casa la stavano

aspettando quattro piccoli bimbi.

Il marito era lontano, al fronte

sul Carso, Fante del 9°

Reggimento della Brigata

"Regina". Durante il funerale a

Maria vennero tributati gli onori

militari. Nel 1997 il Presidente

Oscar Luigi Scalfaro concesse a

Maria Plozner Mentil la

medaglia d'Oro al Valor Militare

e la croce di Cavaliere alle

portatrici reduci. Un monu-

mento dedicato a Maria Plozner

Mentil ed alle Portatrici Carniche

è stato eretto nel 1992 a Timau

nell'Alto But ed un altro si trova

nell'Agro Pontino vicino Latina,

dove si trova una numerosa

comunità friulana. La salma di Maria Plozner

Mentil riposa nel

tempio ossario di

Timau ed a Lei è

stata intitolata una

caserma della

"Julia" a Paluzza

(unica donna italiana

ad avere questo

onore). Anche la

Batteria Comando e

Supporto Logistico

del 3° Reggimento

Artiglieria (ter-

restre) da Montagna

porta il suo nome.

Artigliere alpino

Sandro Vescovi

molte volte nel viaggio di

ritorno, le portatrici traspor-

tavano i feriti con le barelle ed

anche i morti che poi loro stesse

seppellivano nel cimitero

militare di Timau. Nelle

emergenze venivano affiancate

nel loro compito anche dai

vecchi e dai bambini. La loro

missione iniziò nell'agosto del

1915 e finì nell'ottobre del 1917

e più di mille donne (1.454) dai

quindici ai sessant'anni,

prestarono servizio sul fronte

carnico provenendo da tutti i

paesi della zona. Le più

numerose venivano da Paluzza

(223 portatrici) e Paularo (229) e

tre di loro rimasero ferite: Maria

Muser Olivotto e Maria Silverio

Matiz di Timau e Rosalia

Primus di Cleulis. Il 15 febbraio 1916, la portatrice

Maria Plozner Mentil morì in

servizio colpita da un cecchino

austriaco al Malpasso di Pramo-

Le Portatrici Carniche erano

quelle donne che nel corso della

prima guerra mondiale operarono

lungo il fronte della Carnia,

trasportando con le loro gerle

rifornimenti, materiali e

munizioni fino alle prime linee

italiane, dove molto spesso

combattevano i loro uomini nei

reparti alpini. Le portatrici erano

dotate di un libretto personale

con numero di matricola dove

venivano registrati i trasporti

effettuati e portavano un

bracciale rosso con il numero del

reparto. Potevano essere

chiamate in qualsiasi momento,

sia di giorno che di notte, per

partire con le loro gerle ed il

peso di trenta, quaranta chili, e

dover affrontare anche mille

metri di dislivello per raggiun-

gere le linee italiane.

Ogni viaggio veniva retribuito

con una lira e cinquanta

centesimi (euro 3,50 di oggi) e

LE PORTATRICI CARNICHE , SUI MONTI CON CORAGGIO

Un gruppo di portatrici carniche. Coraggiose ed infaticabili, trasportavano in prima

linea le loro gerle cariche di rifornimenti. Musei Provinciali di Gorizia.

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Anno 26, numero 45 Pagina 25

CRISTALLI DI ROCCIA (BREVI NOTIZIE SULL ’ATTUALITA ’ DEL GRUPPO)

ULTIME INIZIATIVE NEL CAMPO DELLA SOLIDARIETA’

Libro verde ANA - consuntivo 2014: anche quest’anno il Gruppo Alpini “Sten. Giacinto

Agostini” figura all’interno del paragrafo dedicato alla Sezione di Venezia nel novero dei

sodalizi alpini che hanno contribuito a rendere possibili iniziative nel campo della solidarietà.

Complessivamente, nel corso dell’anno 2014 i soci hanno donato circa centossessanta ore e

contributi economici per alcune centinaia di euro ad iniziative di volontariato.

Anche quest’anno il Gruppo ha deciso devolvere un contributo economico in favore della

Benemerita Associazione “Via di Natale” Onlus di Pordenone, che si occupa sia di

promuovere e sostenere programmi di studio, ricerca scientifica, istruzione e diffusione delle

conoscenze nel campo della salute e della cura alle patologie oncologiche in particolare, sia di

gestire la struttura “Casa Via di Natale” presso il Centro Oncologico di Aviano, destinata ad

accogliere i malati con i loro familiari in assistenza.

PROSSIMI PELLEGRINAGGIO AL COL DI LANA

E RIEVOCAZIONE STORICA SULLE 5 TORRI

Domenica 2 agosto, come ogni anno, vi sarà il pellegrinaggio alla cima del Col di Lana, al

quale parteciperanno alpini e kaiserjaeger e una folta rappresentanza di eugubini, in quanto la

Brigata Alpi era in prevalenza formata da giovani di Gubbio. Sarà celebrata la Messa in cima.

normalmente officiata dal vescovo di Belluno e funzionerà un posto di ristoro gestito dagli

Alpini della Sezione di Livinallongo del Col di Lana.

Sabato e domenica 8 e 9 agosto vi sarà la consueta rievocazione storica alle 5 Torri, alla

quale parteciperanno fanti, bersaglieri, alpini, kaiserjaeger e soldati tedeschi in divisa della

Prima Guerra Mondiale. Sparerà a salve anche il cannone da 75 mm in bronzo che ha fatto la

guerra di Libia. Orario dalle 9 alle 16; consigliato il pranzo al sacco, oppure nei vari rifugi a

valle dove parte la seggiovia o in quota.

DEVOLVI IL TUO 5 PER MILLE ALL’ANA VENEZIA ONLUS

Destina anche tu il tuo 5 per mille dell’Irpef all’Associazione denominata ANA Venezia Onlus!!

Si porta a conoscenza dei soci che, come ogni anno, in linea con i provvedimenti in materia di

legislazione finanziaria, è possibile destinare, oltre all’8 per mille (allo Stato, alla Chiesa Cattolica, ecc.)

un ulteriore 5 per mille dell’Irpef all’Associazione denominata ANA Venezia Onlus, pienamente

titolata a ricevere questo tipo di contributo.

Chiunque, iscritto all’ANA o anche non iscritto, può destinare questo ulteriore contributo indicando,

nelle sua prossima dichiarazione dei redditi, il numero di codice fiscale dell’Associazione:

94072810271.

SE VUOI sostenere le attività del Nucleo di Protezione Civile della Sezione di Ve-

nezia nei suoi interventi in Italia e all’estero

SE DESIDERI supportare le attività di volontariato, di beneficenza e gli interventi

preventivi volti al riassetto ambientale e recupero del territorio

SE VUOI contribuire alla tutela ed alla valorizzazione dei manufatti storici legati

alla storia ed alle tradizioni degli Alpini

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Ricordiamo che “Il Mulo” è

il notiziario di tutti i Soci del

Gruppo di Venezia, pertanto

ogni Socio Alpino ed ogni

Socio Aggregato (Amico de-

gli Alpini) è calorosamente

invitato a collaborare per la

realizzazione del giornale:

saremo ben lieti di pubblica-

re le Vostre storie

o le Vostre fotografie.

Comunichiamo a tutti i nostri Soci che presso la Segreteria del

Gruppo sono già a disposizione i bollini relativi all’anno sociale

2015, con le seguenti, invariate quote:

Soci Alpini € 28,00

Soci Aggregati € 28,00

Rinnovando la propria iscrizione al più presto non si incorrerà

nel rischio di una spiacevole interruzione dell’abbonamento alle

riviste “L’Alpino” e “Quota Zero”.

INDICE

“Maggio 1915, l’Italia entra in guerra” (P. Monelli) pag. 1

“La nostra preparazione per il primo conflitto” (M. Michieli) pag. 8

“La guerra nei cieli” pag. 10

“El vintiquatro magio, la guera è dichiarata” (S. Vio) pag. 11

“L’alpino Riccardo Giusto, il primo caduto” (S. Vescovi) pag. 14

“La guerra sui monti” pag. 16

“Storia del Battaglione Alpini Aosta” (M. Michieli) pag. 18

“I Garibaldini delle Argonne” (S. Vio) pag. 20

“La guerra sul mare” pag. 22

“Le portatrici carniche ” (S. Vescovi) pag. 24

Cristalli di roccia - notizie sull’attualità del Gruppo pag. 25

PROSSIMI APPUNTAMENTI

Segreteria di redazione ,

grafica e impaginazione

Alvise Romanelli

Comitato di Redazione

Sandro Vio, Alvise Romanelli,

Sandro Vescovi, Marino Michieli,

Vittorio Casagrande e Giovanni

Prospero.

Redatto e stampato

Raccomandiamo ai nostri Soci di partecipare alla vita associativa ed alle manifestazioni

programmate:

Domenica 31 maggio 2015: a Tessera (VE), presso il Forte Bazzera, terza edizione del

Family Day sezionale.

Martedì 2 giugno 2015: a Venezia, in occasione della Festa della Repubblica,

alzabandiera solenne in p.zza San Marco, in collaborazione con il Comitato di

Coordinamento delle Associazioni d’Arma di Venezia.

Domenica 14 giugno 2015: a Conegliano (TV), Raduno Triveneto delle Sezioni del 3°

Raggruppamento.

Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Venezia

Gruppo Alpini di Venezia

"S. Ten. Giacinto Agostini"

San Marco, n° 1260 - 30124 Venezia (VE) Tel./fax: 041. 5237854


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