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Approfondimento Atipicità e precarietà del lavoro in · PDF fileI contratti...

Date post: 06-Feb-2018
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83 Approfondimento Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto In un mondo del lavoro caratterizzato dal cosiddetto “posto fisso”, a partire dagli anni Ottanta il sistema ha preso le misure di una nuova di- mensione dell’occupazione: la flessibilità. La persistenza di elevati tassi di disoccupazione giovanile e di lunga durata e la bassa partecipazione del- le donne e degli over 50 hanno indotto molti paesi europei a introdurre importanti riforme, che fossero capaci di superare le rigidità e le criticità dei mercati occupazionali, facendo della flessibilità la nuova parola chiave dell’economia. Dalla prima legge dell’84 che istituiva i contratti di inserimen- to formativo dei giovani, alla cosiddetta “legge Biagi”, passando attraverso la “riforma Dini” e il “pacchetto Treu”, le condizioni lavorative hanno subito ampie trasformazioni all’insegna della flessibilità. Nei cosiddetti contratti atipici sono stati individuati i volani di quella flessibilità positiva che doveva segnare un inevitabile “passaggio alla modernità”, invocata come bisogno urgente e inevitabile, connaturato allo sviluppo di un nuovo sistema econo- mico, produttivo, organizzativo postfordista (Di Nicola). Negli ultimi anni, la crescita dell’impiego dei contratti atipici da parte delle imprese private e delle aziende pubbliche ha suscitato particolare at- tenzione tra studiosi e amministratori, oltre che tra occupati e disoccupati. La bontà delle forme contrattuali atipiche, infatti, dipende dall’uso: possono essere efficaci strumenti di flessibilità ma possono anche innescare la pe- ricolosa “trappola della precarietà”. Infatti, nonostante l’assenza di identità tra la componente atipico-flessibile e la componente precaria dell’occupa- zione, la prima – in presenza di alcune condizioni d’uso – può trasformarsi nella seconda (Mandrone). I contratti atipici, cioè, risultano essere strumenti “positivi” quando re- almente concorrono alla flessibilità, quando contribuiscono a processi di mutuo aggiustamento tra esigenze individuali dei lavoratori e istanze dei datori di lavoro. Diventano “negativi” - forieri di precarietà - quando usati in maniera impropria o ripetutamente e tendenti a dilatare a dismisura i tempi di inserimento in una occupazione tipica, vale a dire a tempo indetermina- to.
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Approfondimento Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

In un mondo del lavoro caratterizzato dal cosiddetto “posto fisso”, a partire dagli anni Ottanta il sistema ha preso le misure di una nuova di-mensione dell’occupazione: la flessibilità. La persistenza di elevati tassi di disoccupazione giovanile e di lunga durata e la bassa partecipazione del-le donne e degli over 50 hanno indotto molti paesi europei a introdurre importanti riforme, che fossero capaci di superare le rigidità e le criticità dei mercati occupazionali, facendo della flessibilità la nuova parola chiave dell’economia. Dalla prima legge dell’84 che istituiva i contratti di inserimen-to formativo dei giovani, alla cosiddetta “legge Biagi”, passando attraverso la “riforma Dini” e il “pacchetto Treu”, le condizioni lavorative hanno subito ampie trasformazioni all’insegna della flessibilità. Nei cosiddetti contratti atipici sono stati individuati i volani di quella flessibilità positiva che doveva segnare un inevitabile “passaggio alla modernità”, invocata come bisogno urgente e inevitabile, connaturato allo sviluppo di un nuovo sistema econo-mico, produttivo, organizzativo postfordista (Di Nicola).

Negli ultimi anni, la crescita dell’impiego dei contratti atipici da parte delle imprese private e delle aziende pubbliche ha suscitato particolare at-tenzione tra studiosi e amministratori, oltre che tra occupati e disoccupati. La bontà delle forme contrattuali atipiche, infatti, dipende dall’uso: possono essere efficaci strumenti di flessibilità ma possono anche innescare la pe-ricolosa “trappola della precarietà”. Infatti, nonostante l’assenza di identità tra la componente atipico-flessibile e la componente precaria dell’occupa-zione, la prima – in presenza di alcune condizioni d’uso – può trasformarsi nella seconda (Mandrone).

I contratti atipici, cioè, risultano essere strumenti “positivi” quando re-almente concorrono alla flessibilità, quando contribuiscono a processi di mutuo aggiustamento tra esigenze individuali dei lavoratori e istanze dei datori di lavoro. Diventano “negativi” - forieri di precarietà - quando usati in maniera impropria o ripetutamente e tendenti a dilatare a dismisura i tempi di inserimento in una occupazione tipica, vale a dire a tempo indetermina-to.

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In particolare, quando la condizione di flessibilità perdura oltre i 12 mesi viene identificata la condizione di precarietà, ovvero la permanenza ogget-tiva di condizioni di lavoro atipico. Si stima che in Italia siano 40 su 100 i lavoratori che vivono in simile condizione da oltre 3 anni. Alla condizione di precarietà occupazionale va a sommarsi un grave senso di disagio indi-viduale. I contratti atipici, anziché traghettare i lavoratori verso un’occupa-zione stabile, vanno a configurarsi come una trappola. La precarietà si fa freno all’affermazione sociale, perde le caratteristiche – positive – di porta d’inserimento e assume quelle – negative – dell’emarginazione, definendo lavoratori atipici di lunga durata (Mandrone).

La condizione di precarietà che affligge molti dei lavoratori regolati da forme contrattuali atipiche è inoltre aggravata o moltiplicata dalle conse-guenze negative della crisi internazionale che sta interessando l’economia reale. Di fronte alla fragilità di una simile congiuntura economica, ove le aziende italiane fanno fatica a sopravvivere, i precari sono i lavoratori più a rischio: ad essi infatti è precluso l’accesso a un adeguato sistema di am-mortizzatori sociali capace di abbattere i rischi di vulnerabilità e di esclusio-ne sociale (Di Nicola).

Le diverse riforme del mercato del lavoro italiano hanno sì accompagna-to un processo di flessibilizzazione delle forme contrattuali, fortemente in-vocato dalla parte imprenditoriale, ma hanno tralasciato tuttavia di attivare sincronicamente un processo di riforma del welfare – ancorato alla tutela dei lavoratori standard – che fosse capace di sostenere le fasce deboli, a rischio di precarietà e di esclusione sociale, di arginare, cioè, la cosiddetta flex-insecurity.

Alla luce delle numerose questioni sollevate dalla catena “flessibilità-atipicità-precarietà”, abbiamo voluto dedicare alla materia particolare at-tenzione, applicando un carotaggio sullo stato delle cose nella nostra re-gione.

Prima di procedere all’analisi dello status quo dell’occupazione atipi-ca, flessibile, precaria in Veneto, dobbiamo ai lettori una precisazione sulla chiave di lettura ivi utilizzata. Data la difficoltà – da molti lamentata – di isolare la componente della precarietà dall’insieme dei lavoratori atipici (in quanto trattasi di una condizione esistenziale che coniuga elementi e og-gettivi e soggettivi) si è deciso di utilizzare la definizione più ampia di “lavo-ratore precario” elaborata dall’Isfol.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Va detto che in Italia sono atipiche le forme di occupazione regolate da contratti a termine, di formazione, di apprendistato, di inserimento, di lavoro interinale, di lavoro intermittente o a chiamata, di lavoro ripartito o job sharing, a tempo indeterminato part time, i co.co.co., i co.co.pro. e le collaborazioni occasionali. In sintesi, i contratti dipendenti a durata definita (fixed term contract).

La precarietà è intesa come una misura della qualità della flessibilità: solo una parte della atipicità confluisce nella flessibilità contrattuale e solo una parte della flessibilità contrattuale si trasforma in precarietà. Ecco che precari sono i lavoratori atipici la cui forma contrattuale è impropria – cela, cioè, una condizione lavorativa che differisce dalla forma contrattuale – o reiterata a lungo (in genere oltre i 12 mesi).

Un’interpretazione utile per definire l’atipicità (e la sua possibile evolu-zione in flessibilità o involuzione in precarietà) deve farsi a partire da nuovi interrogativi, giacché gli indicatori standard di occupazione e di disoccu-pazione sono insufficienti a identificare la reale natura della prestazione lavorativa e a valutare la questione nella sua complessità. Introduce allo scopo un nuovo concetto: “falsi positivi” sono i contratti atipici che, anziché concorrere alla flessibilità (anziché essere veri positivi), celano condizioni di precarietà o di sottoccupazione.

Falsi positivi sono i cosiddetti “finti collaboratori”: ovvero quei collabora-tori o lavoratori autonomi che, quanto a condizioni e prospettive lavorative, sono assimilabili ai dipendenti a termine. In altre parole, essi sono impiega-ti impropriamente seguendo modalità lavorative tipiche della occupazione subordinata.

La determinazione dei “finti collaboratori” e delle “finte partite Iva” avvie-ne quando si riscontrano i cosiddetti “vincoli di subordinazione”: l’imposi-zione datoriale di quella forma contrattuale, l’obbligatorietà della presenza, l’utilizzazione degli strumenti o delle strutture aziendali, la monocommitten-za, la volontà e la valutazione della reale possibilità di convertire la forma contrattuale attuale in un contratto a tempo indeterminato. Se permangono queste condizioni la modalità di lavoro è da considerarsi subordinata e i lavoratori sono da considerarsi precari.

Falsi positivi sono anche i part time involontari. L’occupazione part time è stata introdotta per venire incontro alle necessità di conciliazione dei tempi della vita lavorativa e di quella familiare. È da considerarsi quale strumento positivo di flessibilità quando volontaria. Come bisogna quindi considerare

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i lavoratori che, anziché scegliere una simile forma contrattuale, la subisco-no? Sono anch’essi da contemplare nella categoria dei precari. È una con-dizione che riguarda circa la metà degli uomini occupati part time in Italia: essi subiscono un contratto part time esclusivamente in quanto imposto dalla parte datoriale. Di nuovo, natura e qualità effettive dell’occupazione servono a capire quanto i contratti part time siano strumento di conciliazio-ne o invece indicatori di sottoccupazione.

Secondo la definizione, precaria è anche la dark side of the moon: ossia le persone in cerca o immediatamente disponibili, che hanno chiuso un rapporto di lavoro a termine o parasubordinato. In altri termini, le persone che conoscono una condizione di inoccupazione direttamente imputabile a una precedente occupazione flessibile. Va ribadita infatti una ulteriore dimensione della trappola della precarietà: la discontinuità lavorativa, ossia la produzione di “vuoti” occupazionali a causa della continua reiterazione di contratti atipici. Un lavoratore impiegato a intermittenza impara a conosce-re, tra un impiego e un altro, lunghi periodi di inoccupazione, alimentando la condizione di precarietà e di disagio individuale.

Ecco che un’analisi attenta della catena di fenomeni “flessibilità-atipici-tà-precarietà” deve aggiungere alla più tradizionale lettura sezionale della flessibilità una lettura longitudinale della precarietà. Dopo aver calcolato quanti lavoratori siano coinvolti in impieghi atipici, è necessario andare a valutare quanta parte di quella atipicità sezionale consegue un esito positi-vo nello stesso periodo. La domanda è: quanti dei lavoratori atipici riescono in un anno a convertire i propri contratti in contratti standard?

Si è cercato di dare una risposta a questa domanda facendo attenzione alla realtà della nostra regione e arrivando a individuare, inoltre, i “fattori di rischio di precarietà”, definendo categorie e classi di età ove la condizione di precarietà lavorativa ha maggiore incidenza.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Le posizioni occupazionali in Veneto tra tipicità e atipicità

In Veneto si contano nel 200817 2,1 milioni di occupati, ossia il 9,2% di tutti i lavoratori italiani, i quali ammontano a oltre 23 milioni di unità.

Le forme contrattuali più diffuse nel territorio nazionale e regionale sono quelle relative al tempo indeterminato. Infatti tra tutti gli occupati quasi il 67,5% in Veneto è dipendente con contratto a tempo indeterminato, mentre a livello nazionale la quota raggiunge il 64,0%. Di questi, il 56,6% lavora a tempo pieno, mentre il 10,9% part time. Ad avere il tempo determinato è invece il 9,6% degli occupati, con incidenze che raggiungono il 10,1% nel territorio nazionale. Maggiormente diffusi sono i cosiddetti contratti indivi-duali di lavoro a termine (6,4%), seguiti dagli apprendisti (1,4%), dai lavora-tori interinali (0,6%) e dai contratti di formazione e lavoro (0,6%).

I lavoratori autonomi (nella cui definizione rientrano gli imprenditori, i libe-ri professionisti, i lavoratori in proprio, i soci di cooperativa e i collaboratori familiari) rappresentano il 21,6% degli occupati, contro una media naziona-le del 23,9%. La presenza dei collaboratori è invece molto modesta, infatti nella nostra regione se ne contano appena 30 mila unità, pari all’1,4% degli occupati; la quota si attesta al 2% se si fa riferimento al dato nazionale, con quasi 500 mila soggetti. Tra questi si annoverano le cosiddette collabora-zioni coordinate e continuative e le prestazioni d’opera occasionali.

Tale suddivisione permette di definire la tipologia di lavoro in base al li-vello di atipicità. Diverse sono le definizioni che vengono date all’atipicità. In questo studio è stata utilizzata un’accezione che sintetizza le diverse clas-sificazioni: ad esempio l’Inps per atipicità intende “tutte le forme di impiego che non presentano le caratteristiche di stabilità del rapporto di lavoro e/o dell’orario pieno”. Il Cnel definisce “lavoratori atipici i dipendenti a tempo determinato, gli interinali, i lavoratori con contratti a chiamata ma anche i lavori parasubordinati (i co.co.co)”. L’Isfol invece definisce “l’atipicità del lavoro come l’incidenza regolare con almeno un aspetto difforme dal lavoro permanente full time…Si conteggiano anche le forme atipiche presenti nel lavoro autonomo”.

17 Tutti i dati r iportati nel presente capitolo fanno riferimento al 2008, ma data l’incompletezza delle informazioni disponibil i al momento della stesura del rapporto (i dati disponibil i r isultano aggiornati al terzo tr imestre 2008) si è uti l izzato i l dato ottenuto dalla media dei primi tre tr imestri del 2008.

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Data la pluralità e la difformità di contratti inseriti in tale definizione in questo studio si identificano come lavoratori atipici i soggetti che hanno contratti di lavoro dipendente a tempo determinato, i lavoratori a tempo indeterminato part time e i collaboratori. Tutti gli altri contratti rientrano nella definizione di tipicità. Utilizzando questa classificazione, in Veneto il lavoro atipico rappresenta il 21,8% del totale, mentre a livello nazionale tale inci-denza si attesta al 20,8%. Complessivamente l’atipicità coinvolge 470 mila lavoratori veneti e quasi 5 milioni di italiani.

Le posizioni occupazionali e i contratti degli occupati in Veneto e in Italia, anno 2008*

Veneto Italia

Valore assoluto

(in migliaia)

Incidenza %

Valore assoluto

(in migliaia)

Incidenza %

Dipendenti tempo indeterminato 1.453 67,5% 15.007 64,0%

di cui tempo pieno 1.218 56,6% 12.967 55,3%

di cui tempo parziale 235 10,9% 2.039 8,7%

Dipendenti tempo determinato 206 9,6% 2.358 10,1%

Cfl 13 0,6% 143 0,6%

Apprendistato 30 1,4% 279 1,2%

Contratto individuale di lavoro a termine 137 6,4% 1.560 6,7%

Interinale o somministrazione lavoro 14 0,6% 128 0,5%

Altro** 11 0,5% 247 1,1%

Autonomi 464 21,6% 5.600 23,9%

Collaboratori 30 1,4% 479 2,0%

Collaborazione coordinata e continuativa 20 1,0% 378 1,6%

Prestazione d’opera occasionale 9 0,4% 101 0,4%

Totale 2.153 100,0% 23.444 100,0%

Lavoro tipico 1.683 78,2% 18.567 79,2%

Lavoro atipico 470 21,8% 4.877 20,8%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008

** per “altro” si intende coloro che hanno contratti diversi e che non rispondono alla domanda sulla tipologia di contratto a tempo determinato

Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Osservando la distribuzione dei contratti secondo il loro grado di ati-picità e secondo le classi di età, si evince come in Veneto siano le classi più giovani a mostrare le maggiori incidenze di atipicità. Infatti di tutti gli occupati con età compresa tra i 15 e i 24 anni il 46,9% ha un contratto di lavoro atipico, mentre è il 53,1% ad avere contratti più stabili. Con l’avan-zare dell’età dei lavoratori, cresce l’incidenza di coloro che sono occupati con contratti tipici e decresce, contestualmente, la parte di lavoratori con contratti atipici. Il grafico mette in evidenza proprio questo fenomeno attra-verso le cosiddette linee di tendenza: più aumenta l’età, più probabilità si ha di essere inquadrati con contratti tipici. La linea relativa ai contratti atipici invece decresce con l’aumentare dell’età.

Incidenza % per classi di età dei lavoratori tipici e atipici in Veneto, anno 2008*

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Il lavoro atipico

Il lavoro atipico rappresenta il 21,8% dell’intero mondo occupaziona-le veneto, all’interno del quale rientrano i collaboratori (1,4%), i dipendenti part time (10,9%) e i dipendenti a tempo determinato (9,6%). Tra questi si annoverano i contratti di formazione e lavoro, gli apprendisti, gli interinali e coloro che hanno contratti individuali di lavoro a termine.

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Nel seguito si vanno a identificare le diverse tipologie di atipicità, se-guendo la definizione ufficiale, suddivdendole tra i dipendenti a tempo de-terminato, collaboratori e dipendenti a tempo parziale nel contesto regio-nale veneto partendo dai dati del 2008 (intesi come media dei primi tre trimestri).

I dipendenti a tempo determinato

Non tutti i lavoratori a tempo determinato hanno deciso volontariamente di essere inquadrati con questa tipologia contrattuale: essi rappresentano appena il 9,9% del totale dei dipendenti aventi tali contratti. Il rimanente 90,1% è stato “obbligato” a scegliere tale inquadramento, pur preferendo, se fosse stato possibile, essere occupato con un lavoro fisso.

Mediamente i contratti a tempo determinato in essere hanno una durata di poco superiore ai 15 mesi.

Il maggior numero di dipendenti a tempo determinato è localizzato nel settore manifatturiero (24,2%), seguito dai settori della sanità e dell’istru-zione (16,6%) e dagli alberghi e ristoranti (14,6%). Se invece si considera la totalità dei dipendenti per settore, il maggior utilizzo del tempo determinato si concentra nel comparto turistico e della ristorazione (32,3%) e negli altri servizi pubblici e sociali (19,8%). Il primo determinato da una forte compo-nente stagionale dell’occupazione, il secondo da una maggiore predisposi-zione di alcune attività a occupare i dipendenti con contratti più flessibili.

I lavoratori a tempo determinato hanno per la maggior parte un diploma di scuola superiore (43,9%), ma questo dato è influenzato ovviamente dalla numerosità di soggetti con tali caratteristiche. Per percepire quale sia il livello di studio più a “rischio” bisogna considerare quanti soggetti con uno specifico livello di occupazione abbiano un contratto di lavoro a tempo de-terminato. Leggendo i dati in quest’ottica si evidenzia come i laureati siano maggiormente inquadrati con tali contratti con incidenze superiori al 17%, quando la media complessiva risulta essere pari al 12,4%.

Per quanto riguarda l’età, i giovani sono coloro che evidenziano la mag-giore propensione ad essere assunti a termine, sia in rapporto al totale dei lavoratori, sia in relazione alla singole classi: gli occupati tra i 15 e i 24 anni hanno per il 43,5% contratti a tempo determinato, mentre per quelli tra i 25 e i 34 anni si tratta del 13,1%.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Vi sono delle differenze anche in base al sesso dei lavoratori: le donne, oltre a mostrare un’incidenza superiore (59,3%), mostrano anche una mag-giore predisposizione a tali contratti rispetto al sesso maschile: infatti su ogni cento donne dipendenti quasi sedici hanno contratti a tempo determi-nato, mentre gli uomini non sono neanche dieci.

Motivi dell’accettazione del tempo determinato, anno 2008*

Non vuole lavoro a tempo indeterminato 9,9%

Non ha trovato lavoro a tempo indeterminato 90,1%

Totale 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Durata media del contratto 15,1 mesi

Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Occupati a tempo determinato per settore di attività, anno 2008*

Distribuzione % per settore

Dip. t. determ. / tot. dip.

Agricoltura, caccia e pesca 2,0% 22,3%

Industria della trasformazione 24,2% 8,7%

Industria delle costruzioni 5,2% 10,4%

Commercio 10,7% 12,0%

Alberghi e ristoranti 14,6% 32,3%

Trasporti e comunicazioni 4,4% 9,9%

Intermediazione monetaria e finanziaria 2,2% 8,8%

Servizi alle imprese 8,7% 13,8%

Pubblica amministrazione 2,9% 7,1%

Istruzione, sanità ed altri servizi sociali 16,6% 14,7%

Altri servizi pubblici e sociali 8,4% 19,8%

Totale 100,0% 12,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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Occupati a tempo determinato per titolo di studio, anno 2008*

Titolo di studio Distribuzione %Dip. t. determ. /

tot. dip.

Nessuno 0,3% 13,2%

Licenza elementare 2,9% 8,6%

Licenza media 35,2% 13,3%

Diploma superiore 43,9% 10,9%

Laurea 17,2% 17,7%

Post laurea 0,5% 8,3%

Totale 100,0% 12,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Occupati a tempo determinato per classe di età, anno 2008*

Distribuzione % Dip. t. determ. / tot. dip.

15-24 anni 28,2% 43,5%

25-34 anni 28,6% 13,1%

35-44 anni 27,7% 10,5%

45-54 anni 12,3% 6,1%

55-64 anni 3,0% 5,4%

65-74 anni 0,2% 8,5%

Totale 100,0% 12,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Occupati a tempo determinato per genere, anno 2008*

Sesso Distribuzione % Dip. t. determ. / tot. dip.

Maschio 40,7% 9,2%

Femmina 59,3% 16,2%

Totale 100,0% 12,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Occupati a tempo determinato per genere e classi di età, anno 2008*

Maschi Femmine

15-24 anni 33,6% 24,4%

25-34 anni 23,2% 32,3%

35-44 anni 26,1% 28,8%

45-54 anni 12,7% 12,0%

55-64 anni 3,8% 2,4%

65-74 anni 0,6% 0,0%

Totale 100,0% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

I collaboratori… come attività principale

La collaborazione, insieme al lavoro a tempo determinato, rientra nella definizione di lavoro atipico. Esistono diverse forme di collaborazione, che vanno dalla collaborazione coordinata e continuativa, alla collaborazione occasionale, a quella a progetto… Sono contratti che sono a metà strada tra il lavoro autonomo e quello dipendente e che fanno riferimento ad un accordo tra collaboratore e committente che ha per oggetto una prestazio-ne d’opera. Le modalità di applicazione sono diverse e per alcuni contratti il rischio è la reiterazione dell’accordo con la possibilità che sia confuso con un vero e proprio contratto di subordinazione. Per regolare tali abusi è stato introdotto quindi il lavoro a progetto che prevede l’individuazione di un progetto o programma di lavoro.

I collaboratori veneti rappresentano l’1,4% dei lavoratori totali, con con-tratti che mediamente durano quasi 12 mensilità e che impegnano i colla-boratori per oltre 30 ore settimanali.

Anche in questo caso spesso l’accettazione della collaborazione è av-venuta per motivi non dipendenti dalla volontà del lavoratore dal momento che non è stato trovato alcun lavoro a tempo indeterminato, sottintendendo l’involontarietà del contratto (68,2%). Il 31,8%, invece, ha optato per questa tipologia contrattuale perché consona alle proprie esigenze.

Per quanto riguarda i settori di attività, le collaborazioni sono concen-trate maggiormente nei servizi alle imprese, sia in termini di distribuzione

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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percentuale che in rapporto al totale degli occupati, e le incidenze sono infatti pari, rispettivamente, al 25,8% e al 3,8%. Il ricorso alla collaborazio-ne avviene in maniera sostanziale anche negli altri servizi pubblici e sociali dove il 3,6% degli occupati sono collaboratori.

Anche in questo caso i diplomati superiori sono inquadrati maggiormen-te con tali tipologie contrattuali (40,1%), sebbene, considerando i singoli titoli di studio, sembrino essere gli specializzati post laurea i soggetti più atipici (11,6%).

La collaborazione, a differenza dei contratti a tempo determinato, è estesa anche ai soggetti più maturi: nonostante se la maggior parte dei collaboratori abbia un’età compresa tra i 25 e i 34 anni (37,6%), vi sono sog-getti che hanno questi contratti anche nelle classi più avanzate, 55-64 anni per il 20,8% e 35-44 anni per il 15,6%. Se si leggono i dati per singola fascia di età, si osserva come tra gli occupati più anziani la quota di collaboratori ammonti al 3,9% quando la media regionale si attesta all’1,4%.

Come nel lavoro a tempo determinato, anche nella collaborazione le donne sembrano essere maggiormente inquadrate con questa tipologia di contratto atipico rispetto ai colleghi dell’altro sesso.

Durata media del contratto 11,9 mesi

Numero medio di ore lavorate alla settimana 30,1

Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Motivi dell’accettazione della collaborazione, anno 2008*

Non vuole lavoro a tempo indeterminato 31,8%

Non ha trovato lavoro a tempo indeterminato 68,2%

Totale 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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Occupati collaboratori per settore di attività, anno 2008*

Settore di attivitàDistribuzione %

per settoreCollaboratori / tot. occupati

Agricoltura, caccia e pesca 1,7% 0,8%

Industria della trasformazione 15,4% 0,7%

Industria delle costruzioni 0,6% 0,1%

Commercio 11,7% 1,2%

Alberghi e ristoranti 3,9% 0,9%

Trasporti e comunicazioni 5,2% 1,3%

Intermediazione monetaria e finanziaria 4,1% 1,9%

Servizi alle imprese 25,8% 3,8%

Pubblica amministrazione 3,1% 1,0%

Istruzione, sanità ed altri servizi sociali 14,5% 1,7%

Altri servizi pubblici e sociali 13,9% 3,6%

Totale 100,0% 1,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Occupati collaboratori per titolo di studio, anno 2008*

Distribuzione % Collaboratori / tot. occupati

Nessuno 0,0% 0,0%

Licenza elementare 6,3% 1,7%

Licenza media 19,0% 0,8%

Diploma superiore 40,1% 1,2%

Laurea 26,4% 2,9%

Post laurea 8,2% 11,6%

Totale 100,0% 1,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

96

Occupati collaboratori per classe di età, anno 2008*

Distribuzione % Collaboratori / tot. occupati

15-24 anni 10,4% 2,1%

25-34 anni 37,6% 2,0%

35-44 anni 15,6% 0,7%

45-54 anni 11,5% 0,6%

55-64 anni 20,8% 3,4%

65-74 anni 4,1% 3,9%

Totale 100,0% 1,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Occupati collaboratori per genere, anno 2008*

Distribuzione % Collaboratori / tot. occupati

Maschio 47,3% 1,1%

Femmina 52,7% 1,8%

Totale 100,0% 1,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Occupati collaboratori per genere e classe di età, anno 2008*

Maschi Femmine

15-24 anni 18,9% 19,1%

25-34 anni 19,7% 43,5%

35-44 anni 8,6% 17,4%

45-54 anni 18,0% 14,2%

55-64 anni 18,7% 7,2%

65-74 anni 33,8% 35,6%

Totale 100,0% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Per i contratti di collaborazione, si possono identificare dei “vincoli di su-bordinazione” che evidenziano delle modalità e delle situazioni specifiche di lavoro. In particolare, l’Istat fornisce delle indicazioni in merito alla mono/

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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pluricommittenza, all’utilizzo dei mezzi del datore di lavoro e all’imposizione o meno dell’orario di lavoro.

Nello specifico, più dell’80% dei collaboratori lavora per un’unica azien-da identificando in questo modo un’elevata propensione alla monocom-mittenza, inoltre il 74,2% lavora presso l’azienda con cui ha contratto la collaborazione. Non vi sono grosse differenze invece tra quanti possono decidere in autonomia l’orario di lavoro e quanti devono rispettare i tempi imposti dall’azienda.

Queste indicazioni non solo sono utili per identificare alcuni caratteri qualitativi della collaborazione, ma sono necessarie per poi individuare quei soggetti che possono essere inquadrati come lavoratori precari. Infatti, la concomitanza dei tre vincoli di subordinazione (monocommittenza, utilizzo dei mezzi del datore di lavoro e imposizione dell’orario) sarà il presupposto per classificarli come tali.

I vincoli di subordinazione nel 2008*

Una sola azienda/cliente 81,9%

Più aziende/clienti 18,1%

100,0%

Decide dove lavorare 25,9%

Lavora presso azienda 74,1%

100,0%

Decide autonomamente l’orario 50,2%

Non decide l’orario 49,8%

100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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I collaboratori… come attività secondaria

La collaborazione è relativa non solo ad un’attività di lavoro principale ma anche ad un secondo lavoro. In particolare il secondo caso riguarda il 19,4% di tutti i collaboratori. Al contempo la collaborazione è svolta come attività principale nell’80,6% dei casi.

Gli occupati che effettuano una collaborazione come secondo lavoro ricoprono il ruolo di dipendenza come attività principale nel 72,4% dei casi, mentre gli autonomi sono il 10,2%. I collaboratori invece, che effettuano la collaborazione sia come primo che come secondo lavoro sono il 17,4%.

La collaborazione come…anno 2008*

Attività principale 80,6%

Attività secondaria 19,4%

100,0%

* Il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

L’attività principale se la secondaria è una collaborazione anno 2008*

Dipendente 72,4%

Collaboratore 17,4%

Autonomo 10,2%

100,0%

* Il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

I dipendenti part time

Il contratto di lavoro a tempo parziale è un accordo tra le parti che pre-vede lo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata con un orario gior-naliero, settimanale, mensile o annuale inferiore rispetto a quello ordinario stabilito dai contratti collettivi. La riduzione dell’orario può essere di tipo orizzontale (quando si ha una riduzione rispetto alle ore ordinarie), verticale

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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(quando l’attività viene svolta a tempo pieno ma solo in alcuni giorni della settimana) e misto (che è la combinazione delle due precedenti).

I contratti di dipendenza a tempo parziale (i cosiddetti part time), a tem-po determinato o indeterminato, rappresentano anch’essi una modalità di atipicità. Essi coinvolgono il 17,4% dei dipendenti veneti, mentre il rimanen-te 82,6% risulta essere occupato a tempo pieno.

Distinguendo i contratti di dipendenza, si osserva come quelli a tempo determinato mostrino le maggiori percentuali di lavoratori con contratti part time, nell’ordine del 25,8%. Inferiori sono invece le quote riferite al tempo indeterminato, con incidenze del 16,2%.

Analizzando i singoli settori di attività si osserva come il tempo parzia-le sia maggiormente distribuito nei comparti dell’istruzione e della sanità (21,3%), nella manifattura (15,7%) e nel commercio (13%). Se si rapporta invece il numero di dipendenti part time con il totale dei dipendenti si os-serva come la riduzione di orario sia concessa maggiormente negli “altri servizi pubblici” (40,6%), negli alberghi e ristoranti (39,8%) e nei servizi alle imprese (28,7%).

Le donne sono coloro che maggiormente fanno ricorso al part time (33,9% del totale delle dipendenti contro il 3,6% degli uomini) per riuscire soprattutto a conciliare i tempi della vita lavorativa con quelli familiari. Nel nostro sistema, infatti, le donne si trovano a fare i conti con una struttura sociale ancora debole che le obbliga a provvedere da sole alle cure paren-tali. Nel 60% dei casi le donne hanno deciso di lavorare a tempo parziale per seguire la propria famiglia, per quel che riguarda la cura sia dei figli che delle persone anziane o disabili. Una parte marginale dei dipendenti dichia-ra invece di aver deciso di lavorare di meno per avere più tempo libero a disposizione o per seguire corsi di formazione o aggiornamento.

Il ricorso al part time non sempre è voluto, infatti oltre un quarto dei dipendenti inquadrati con questa tipologia di orario dichiara di non aver trovato un lavoro a tempo pieno. L’involontarietà del tempo parziale sarà un elemento fondamentale per l’identificazione di questi soggetti come veri e propri precari, dal momento che questa situazione individua uno stato di sottoccupazione.

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

100

Dipendenti per tipologia di orario, anno 2008*

Tempo pieno Tempo parziale

Tempo determinato 74,2% 25,8% 100,0%

Tempo indeterminato 83,8% 16,2% 100,0%

Totale 82,6% 17,4% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Dipendenti part time per settore di attività, anno 2008*

Distribuzione %Dip. tempo parziale /

tot. dip.

Agricoltura, caccia e pesca 1,4% 22,2%

Industria dell’energia 0,2% 4,6%

Industria della trasformazione 15,7% 7,9%

Industria delle costruzioni 1,8% 5,1%

Commercio 13,0% 20,4%

Alberghi e ristoranti 12,9% 39,8%

Trasporti e comunicazioni 3,2% 9,9%

Intermediazione monetaria e finanziaria 3,0% 17,2%

Servizi alle imprese 12,8% 28,7%

Pubblica amministrazione 2,3% 7,9%

Istruzione, sanità ed altri servizi sociali 21,3% 26,4%

Altri servizi pubblici e sociali 12,4% 40,6%

Totale 100,0% 17,4%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Dipendenti part time per genere, anno 2008*

Tempo pieno Tempo parziale

Maschio 96,4% 3,6% 100,0%

Femmina 66,1% 33,9% 100,0%

Totale 82,6% 17,4% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Motivo per la scelta del part time, anno 2008*

Totale Donne

Studio o corsi formazione 6,1% 3,3%

Problemi salute 3,1% 2,5%

Cure parentali 54,8% 60,0%

Secondo lavoro 1,5% 1,1%

Altri motivi familiari 17,0% 17,4%

Più tempo libero 14,3% 13,2%

Altro 3,3% 2,6%

Totale 100,0% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Motivo del part time, anno 2008*

Non vuole lavoro a tempo pieno 63,0%

Non ha trovato lavoro a tempo pieno 25,6%

Altro 11,5%

Totale 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Il lavoro precario

Mentre l’identificazione e la quantificazione dei lavoratori atipici è un procedimento immediato, non si può dire altrettanto per i lavoratori precari. La precarietà è infatti un concetto arduo da definire perché riguarda non solo l’inquadramento contrattuale del lavoratore, ma anche elementi di tipo individuale e soggettivo. È quindi una condizione sfumata che deve tener conto della complessità e delle opportunità che fornisce il mercato del la-voro. Infatti lavoratori precari non solo sono soggetti che hanno una deter-minata forma contrattuale più o meno stabile, ma anche coloro che sono in condizione di disoccupazione perché è scaduto il contratto temporaneo e sono alla ricerca di nuova occupazione.

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Per fornire una stima dei lavoratori precari nel Veneto si è fatto riferimen-to alla metodologia adottata dall’Isfol che fornisce una definizione operativa di precarietà.

Per lavoratore precario occupato si intende:

I dipendenti a termine involontari, ossia quei soggetti che sono •inquadrati con contratti a tempo determinato, ma che avrebbero preferito avere un contratto a tempo indeterminato e che sono sta-ti “costretti” a scegliere questa tipologia contrattuale. Quindi dai lavoratori a termine sono stati esclusi coloro che hanno accettato liberamente tale occupazione.

I dipendenti part time involontari, ossia quei soggetti ai quali è stato •“imposto” il tempo parziale nonostante lavorino con contratti a tem-po indeterminato o determinato.

I collaboratori che presentano contemporaneamente i tre vincoli •di subordinazione individuati dall’Istat che consistono nella mono-committenza, nell’imposizione dell’orario di lavoro e nell’utilizzo dei mezzi dell’azienda. Inoltre tra i precari sono annoverati anche i col-laboratori involontari, cioè quei lavoratori che sono stati costretti ad accettare questo contratto, pur desiderando un’occupazione più stabile.

Le cosiddette “partite Iva” che mostrano i precedenti tre vincoli di •subordinazione. Dal momento che nelle Rcfl non viene fatta alcuna domanda specifica sull’appartenenza o meno a questa categoria poiché è difficile definirne i contorni, nel “popolo delle partite Iva” vengono classificati quei lavoratori autonomi tra i professionisti e i lavoratori in proprio che dichiarano di essere soggetti ai tre vincoli di subordinazione.

Tra i disoccupati precari si considerano i lavoratori dipendenti, i colla-boratori e le partite Iva non occupati che hanno smesso di lavorare a causa della conclusione del contratto di lavoro a termine e che stanno ricercando una nuova occupazione.

Nel Veneto i precari così definiti ammontano a quasi 300 mila unità e rappresentano il 57,9% dei lavoratori atipici. I precari si suddividono tra il 91,8% di occupati e il rimanente 8,2% di disoccupati. Tra gli occupati 185 mila soggetti hanno un contratto di dipendenza a tempo determinato invo-lontario, mentre i part time involontari ammontano a 73 mila. I collaboratori

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

103

e le partite Iva che mostrano in contemporanea i tre vincoli di subordinazio-ne sono complessivamente quasi 14 mila lavoratori.

Da questi dati si può calcolare come la percentuale di occupati precari sul totale degli occupati sia il 12,6% a livello regionale, contro un valore di atipicità pari al 21,8%. La precarietà quindi è un sottoinsieme dell’atipicità dal momento che non tutti i lavoratori con contratti non standard sono stati costretti ad essere inquadrati con tali tipologie contrattuali.

Per quanto riguarda invece i livelli di disoccupazione, è importante nota-re come il 31,1% della forza lavoro non occupata sia rappresentato proprio da ex lavoratori precari che sono attualmente disoccupati perché è scaduto il contratto di lavoro.

I precari in Veneto distinti tra occupati e disoccupati, anno 2008*

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

La maggior parte dei precari è distribuita nel settore della produzione con incidenze pari al 20,2%, seguito dall’istruzione e dalla sanità (18,8%) e da alberghi e ristoranti (14,2%). Se si considera invece il peso del precariato all’interno di ciascun settore si osservano alcune peculiarità: nel settore degli alberghi e ristoranti, tra tutti gli occupati, il 31,5% è precario (anche a causa della tipologia stagionale dei contratti stipulati con i lavoratori), men-tre nel comparto degli altri settori pubblici si tratta del 26,0%. Incidenze superiori alla media regionale si osservano ancora una volta nell’istruzione e nella sanità (20,0%) e nei servizi alle imprese (14,5%).

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Con contratti precari risultano essere maggiormente i lavoratori laureati, con incidenze percentuali sul totale degli occupati con tale titolo di studio pari al 16,8%, mentre sembrano più stabili i lavoratori con istruzione supe-riore (11,2%) e post laurea (10,2%).

Influisce molto sulla precarietà l’età dei lavoratori. Come si è potuto ri-scontrare per l’atipicità, anche la situazione di precarietà è propria dei lavo-ratori più giovani, con incidenze pari al 41%. Proseguendo con l’età la quota di precari diminuisce, passando dal 15,3% degli occupati dai 25 ai 34 anni al 10,6% di chi ha tra i 35 e i 44 anni.

In merito al genere, le donne sono i soggetti che di più sono inquadra-ti con contratti precari. In particolare, su cinque donne occupate una è precaria. Se si fa riferimento al sesso maschile, la probabilità di avere tali tipologie di contratto è molto più bassa, raggiunge appena il 7,4%, contro la media regionale del 12,6%.

I precari per settore, anno 2008*

% precari Precari / tot. occupati

Agricoltura, caccia e pesca 2,0% 9,1%

Industria dell’energia ed estrattiva 0,0% 0,7%

Industria della trasformazione 20,2% 8,4%

Industria delle costruzioni 4,1% 6,5%

Commercio 10,7% 9,9%

Alberghi e ristoranti 14,2% 31,4%

Trasporti e comunicazioni 4,5% 10,5%

Intermediazione monetaria e finanziaria 1,9% 7,8%

Servizi alle imprese 10,7% 14,5%

Pubblica amministrazione 2,0% 6,4%

Istruzione, sanità ed altri servizi sociali 18,8% 20,0%

Altri servizi pubblici e sociali 10,9% 26,0%

Totale 100,0% 12,6%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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I precari per titolo di studio, anno 2008*

% precari Precari / tot. occupati

Nessun titolo 0,4% 20,9%

Licenza elementare 3,3% 8,0%

Licenza media 36,2% 13,8%

Diploma superiore 42,5% 11,2%

Laurea 16,8% 16,8%

Post laurea 0,8% 10,2%

Totale 100,0% 12,6%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

I precari per classe d’età, anno 2008*

% precari Precari / tot. occupati

15-24 anni 22,1% 41,0%

25-34 anni 30,4% 15,3%

35-44 anni 27,4% 10,6%

45-54 anni 15,3% 7,7%

55-64 anni 4,5% 6,7%

65-74 anni 0,3% 2,3%

>75 anni 0,0% 0,0%

Totale 100,0% 12,6%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

I precari per sesso, anno 2008*

% precari Precari / tot. occupati

Uomini 34,5% 7,4%

Donne 65,5% 20,2%

Totale 100,0% 12,6%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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I fattori di rischio della precarietà

Una volta determinata la dimensione del precariato nel contesto veneto in base alle caratteristiche dei lavoratori, in questa parte dell’Osservatorio si vuole presentare uno studio sui fattori di rischio della precarietà.

Partendo dai dati sulle rilevazioni continue della forza lavoro18 e deter-minando per ciascun individuo lo stato di precarietà o stabilità lavorativa (individuato applicando la metodologia descritta precedentemente) si indi-viduano quelle caratteristiche personali che maggiormente incidono sulla probabilità di essere inquadrato con contratti di tipo precario nella regione veneta.

L’analisi dei rischi è la ricerca delle determinanti di un evento di inte-resse, nel nostro caso la condizione di precariato. Questo tipo di analisi si estrinseca nella ricerca delle variabili associate a valori critici della probabi-lità di contrarre l’evento in un intervallo di tempo definito19.

In questo caso viene analizzata la relazione tra la variabile “lavoratore precario” ed alcune variabili che individuano le caratteristiche dei soggetti: genere, classe d’età, titolo di studio, settore lavorativo di appartenenza, cit-tadinanza, nucleo familiare. In questo modo vengono determinati i fattori di rischio, ossia le variabili che fanno aumentare la probabilità di avere un lavoro precario, e i fattori protettivi, che, al contrario, la fanno diminuire.

I fattori di rischio/protettivi vengono individuati attraverso l’odds ratio ovvero il rapporto tra la probabilità di successo e la probabilità di insuc-cesso, nel nostro caso tra la probabilità di avere un lavoro precario con una determinata caratteristica e la probabilità di averlo data l’assenza della stessa. Ad esempio, se consideriamo il “genere” come variabile in esame si metterà a confronto la probabilità di avere un lavoro precario se si è donna piuttosto che uomo.

Un odds ratio superiore a 1 indicherà che le donne, in questo caso, han-no un rischio di precarietà maggiore rispetto agli uomini. Il significato sarà opposto per un valore inferiore a 1 (riduzione del rischio nel caso di essere

18 Istat, con riferimento al terzo tr imestre 2008.19 Il fenomeno di r ischio è applicabile a qualsiasi campo, dall’analisi dei fenomeni economici (per esempio, i l r ischio giornaliero di sciopero in un’azienda), all’analisi di quell i demografici ( i l r ischio di morte) e sociali in senso ampio (i l r ischio che una famiglia cada nello stato di indigenza).

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

107

donna). Infine se il valore è pari a 1 non vi è alcuna differenza di rischio tra i generi20.

Seguendo questa metodologia, nel grafico seguente vengono riportati i fattori di rischio e i fattori di protezione per l’individuazione della “variabile precariato”. Vengono evidenziate in rosso le caratteristiche strutturali di un individuo che comportano una possibilità significativa di instabilità lavorati-va, in grigio i fattori protettivi.

20 Si r imanda all’appendice per una definizione più adeguata della metodologia uti l izzata.

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Fattori di rischio / protettivi della precarietà (odds ratio)21

Il grafico ha il solo scopo di essere illustrativo, per gli approfondimenti si veda l’appendice Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

S21

21 Vengono riportate le sole variabil i che sono risultate signif icative rispetto alla variabile precarietà.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

109

Dai risultati emerge che il rischio di avere un contratto precario, se si è donna, è superiore di quasi tre volte rispetto a quello relativo al genere ma-schile. Passando ad analizzare il titolo di studio si rileva come la detenzione del diploma di scuola superiore sia un fattore protettivo mentre, viceversa, aumenta il rischio con titoli di studio superiori come la laurea. L’analisi per classi d’età rivela la maggiore propensione dei giovani ad essere inseriti nel mondo del lavoro con contratti precari, dal momento che il rischio è molto elevato fino ai 34 anni: i soggetti più maturi sembrano essere maggiormen-te inquadrati con contratti stabili. Questo risultato va letto in base al cam-biamento contrattuale avvenuto negli ultimi anni; l’introduzione dei contratti atipici è piuttosto recente, quindi sono i nuovi assunti, ovvero i lavoratori più giovani, ad avere presumibilmente più possibilità di essere inquadrati con tali contratti. Le classi di età più avanzate e già inserite nel mercato del lavoro hanno contratti standard e quindi stabili.

Sono risultate significative nell’analisi anche alcune variabili che identi-ficano lo stato civile e la tipologia familiare: il fatto di essere celibe/nubile o monogenitore influisce negativamente sulla probabilità di avere contrat-ti stabili rispetto agli altri stati. Questo risultato però è condizionato dal fatto che molti soggetti sono donne, specie se unici genitori; nell’analisi seguente, in cui vengono analizzate tutte le variabili contemporaneamente eliminando i fattori confondenti, queste condizioni non risultano essere più significative e quindi non verranno considerate.

Risulta rilevante anche la variabile cittadinanza: essere straniero au-menta di 2,6 volte la possibilità di essere precario rispetto ad un cittadino italiano. Infine, anche il settore lavorativo di appartenenza incide sulla tipo-logia di contratto: ambiti come quello industriale e edile danno maggiore stabilità, mentre lavorare negli alberghi e ristoranti è più rischioso anche per la natura stagionale dei contratti di questo settore. I servizi alla persona, strettamente legati alla presenza femminile (i servizi sociali, l’assistenza, le imprese di pulizie, le attività estetiche…) rilevano una maggiore possibilità di rientrare nella definizione di precario.

Le interazioni di tutte variabili con la variabile dipendente “lavoratore precario” vengono analizzate tramite l’analisi di regressione logistica che

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

110

permette di identificare gli odss ratio di tutte le variabili al netto degli effetti delle altre variabili esplicative presenti nell’equazione di regressione22.

La regressione logistica è molto simile alla regressione lineare e viene utilizzata nel caso in cui la variabile dipendente sia di natura dicotomica (nel nostro caso lavoratore precario/lavoratore non precario).

Anche in questo caso nella tabella successiva vengono riportati i risultati delle variabili significative dell’analisi logistica. In rosso i fattori di rischio, in grigio i fattori protettivi.

L’analisi congiunta di tutte le variabili evidenzia, ancora una volta, come i soggetti che hanno una maggiore possibilità di essere precari siano le donne, i giovani, i laureati, gli stranieri e coloro che lavorano negli alberghi e ristoranti e nei servizi alla persona.

A rischiare di meno sono invece i lavoratori delle classi di età intermedie (45-54 anni), i diplomati, i soggetti coniugati e chi opera nel settore indu-striale. In tale comparto infatti il contratto standard tende ad essere mag-giormente utilizzato per rispondere all’esigenza di continuità lavorativa.

Data la richiesta di flessibilità a causa della natura stagionale dell’atti-vità, negli alberghi e ristoranti si fa un maggior ricorso al lavoro precario. L’unica variabile relativa allo stato civile che rimane significativa in questa seconda analisi è il fattore “coniugato”: infatti si tende a formare una fami-glia in presenza di una certezza lavorativa che dia sicurezza di continuità e di redditività.

22 La funzione di regressione risulta essere la medesima: Logit (variabile precario)=-0,43+0,97(donne)+0,46(laurea)-0,49(diploma)+1,03(tra 15 e 24 anni)-0,34(tra 45 e 54 anni)+0,99(straniero)+0,58(lavora negli alberghi/r istoranti)-0,44(lavora nell’industria)-0,70(coniugato)+0,50(lavora nei servizi alla persona).

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Fattori di rischio / protettivi della precarietà (odds ratio) derivanti dall’analisi logistica23

Il grafico ha il solo scopo di essere illustrativo, per gli approfondimenti si veda l’appendice Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Alcuni esempi tipo

23Per comprendere la valenza di questo approccio viene calcolata per tre lavoratori tipo la possibilità di essere precario. In base alle caratteri-stiche scelte per identificare tali soggetti, aumenta o diminuisce il rischio (odds ratio) di lavorare in condizioni tipiche del precariato. I risultati illustrati nel seguito dipendono quindi dalle variabili perse in esame.

Come primo soggetto di analisi è stata individuata una donna lavoratri-ce, single, italiana, giovane, laureata e che lavora nel settore dei servizi alla persona: essa ha una possibilità di quasi tredici volte superiore rispetto agli altri soggetti di essere precaria. A incidere maggiormente sul rischio è la condizione relativa all’età e al titolo di studio. Infatti se si eliminasse la varia-

23 Vengono riportate le sole variabil i che sono risultate signif icative rispetto alla variabile precarietà.

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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bile classe di età (mantenendo costanti le altre) il rischio si abbasserebbe a quattro volte; se si eliminasse invece la condizione relativa al titolo di studio il rischio sarebbe pari a otto.

Se si considera invece un uomo coniugato, italiano, di età media, diplo-mato e occupato nella manifattura il rischio è quasi nullo. In questo caso è stato ideato un soggetto caratterizzato da alcuni fattori protettivi preceden-temente individuati e che quindi mostra una minore possibilità di rientrare nella precarietà.

Il terzo soggetto analizzato è invece un lavoratore straniero, uomo, gio-vane e addetto nell’industria. In questo caso la possibilità di essere un precario è comunque elevata (oltre tre volte quella di un altro lavoratore) ma nettamente inferiore rispetto a quella del primo soggetto considerato, cioè donna, giovane, istruita e italiana.

Attraverso questa analisi si può pervenire al calcolo della possibilità di es-sere precario in base ad una serie di caratteristiche individuali. La conco-mitanza di elementi rischiosi (come ad esempio essere donna, giovane ed istruita) permette di fare delle valutazioni in merito alla qualità del mercato

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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del lavoro. La precarietà quindi sembra essere prerogativa per alcuni grup-pi di lavoratori che, in assenza di politiche strutturali, rischiano di occupare posizioni lavorative instabili evidenziando contestualmente situazioni di di-sagio economico ma soprattutto sociale.

Le transizioni contrattuali nel mercato del lavoro veneto

Un importante elemento per descrivere in maniera più approfondita le caratteristiche del mercato del lavoro veneto parte dallo studio dei modelli di mobilità, ossia dalle dinamiche di transizione tra occupazione e non oc-cupazione e dalle trasformazioni tra forme di contratto da un anno all’al-tro.

L’introduzione di forme contrattuali flessibili ha da una parte permesso una maggiore facilità nell’ingresso del mercato del lavoro, dall’altra ha faci-litato le imprese nel contenimento dei costi del lavoro.

La diffusione di tali contratti e il rallentamento economico degli ultimi anni ha introdotto per alcuni profili un aumento nel rischio di instabilità e di frammentazione del mercato del lavoro: si è osservato un certo rallenta-mento nei processi di stabilizzazione dell’occupazione e un aumento delle transizioni tra lavoro e non lavoro. Secondo alcune indagini del Cnel, negli ultimi anni i tassi di conversione dei contratti non standard in contratti sta-bili sono diminuiti ed è aumentata l’esposizione delle donne e dei giovani alle variazioni negative della congiuntura economica.

L’analisi che segue mette in evidenza i flussi di transizione dei contratti e dello stato occupazionale dal 2007 al 2008 nel Veneto. Si osserva come solo una parte delle occupazioni atipiche (dipendenti a tempo determinato e collaboratori) non siano state convertite in lavori standard: infatti appena il 26,2% dei lavoratori che nel 2007 erano a termine sono stati inquadrati con contratti a tempo indeterminato, mentre per i co.co.co si tratta del 16,5%. La maggior parte inoltre non ha cambiato il proprio profilo occupazionale, mantenendo la condizione di atipicità (il 58,8% sono rimasti con contratti a tempo determinato, il 59,4% come co.co.co e il 57,6% come prestatori d’opera).

Risulta interessante analizzare poi le transizioni tra stati occupazionali. Chi nel 2007 era in cerca di occupazione non ha avuto grandi possibilità di rientrare nel mercato del lavoro: in particolare, addirittura il 30,8% è risultato inattivo, ossia è uscito dalla forza lavoro e non è più in cerca di occupazio-

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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ne. Il 23,2% è rimasto disoccupato, mentre appena il 17,3% è stato assunto con contratto standard contro un’incidenza del 26,5% di lavoro atipico.

Infine, si è osservato che si ha maggiore probabilità di uscire dal mer-cato del lavoro se si ha un contratto di dipendenza a tempo determinato (5,2%) o se si è prestatori d’opera (3,7%). Il rischio di perdere il lavoro è invece molto più basso se si considerano i lavoratori a tempo indeterminato (0,8%) e gli autonomi (0,5%).

Flussi di transizione dei contratti dal 2007 al 2008*

Condizione del 2008

Dip. tempo

indeterm.

Dip. tempo

determ.Co.co.co.

Prestatore d’opera

AutonomoIn cerca occup.

Inattivo Totale

Co

ndiz

ione

del

20

07

Dip. tempo indeterm.

93,7% 2,2% 0,0% 0,1% 0,7% 0,8% 2,6% 100,0%

Dip. tempo determ.

26,2% 58,8% 0,8% 0,4% 1,7% 5,2% 7,0% 100,0%

Co.co.co. 16,5% 5,4% 59,4% 0,9% 5,1% 2,2% 10,4% 100,0%

Prestatore d’opera

0,0% 25,6% 0,0% 57,6% 0,0% 3,7% 13,0% 100,0%

Autonomo 5,0% 0,6% 0,1% 0,1% 91,6% 0,5% 2,1% 100,0%

In cerca di occupazione

17,3% 24,9% 1,0% 0,6% 2,2% 23,2% 30,8% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Per quanto riguarda l’universo occupazionale femminile si osserva una dinamica di transizione molto simile a quella precedente. Infatti, di tutte le donne che nel 2007 erano disoccupate il 31% non cerca neppure una nuova occupazione, mentre il 22,2% continua ad essere senza lavoro. La componente femminile evidenzia quindi dei segnali di criticità dal momento che permangono delle difficoltà legate alla conciliazione lavoro-famiglia24, evidenti in modo particolare nella fase di rientro dai periodi di maternità e legate in modo strutturale ad un modello di welfare fondato prevalentemen-te sulle reti di assistenza informale e parentale.

24 Per approfondire l’argomento si faccia riferimento all’edizione 2008 dell’Osservatorio sulla occupazione italia-na e straniera nella piccola impresa veneta realizzata dalla Fondazione Leone Moressa, e in particolare all’appro-fondimento relativo al mercato del lavoro femminile.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Per quanto riguarda i giovani si osserva un diverso comportamento nei flussi di transizione contrattuale. In particolare, quasi la metà di coloro che nel 2007 erano collaboratori sono rimasti tali, mentre la propensione a rimanere con contratti a termine è superiore rispetto alle altre categorie (64,9%). Anche chi poteva vantare un lavoro stabile è stato a volte inqua-drato nell’anno successivo con un nuovo contratto a tempo determinato (7,5%) a dimostrazione del maggiore turn over per questa coorte di occu-pati. Diminuisce tra i giovani l’inattività a seguito di una condizione di disoc-cupazione pregressa rispetto all’andamento complessivo (7,4%), mentre contestualmente aumenta la probabilità di trovare un’occupazione, anche a tempo indeterminato (22,7%).

Flussi di transizione dei contratti dal 2007 al 2008* delle occupate donne

Condizione del 2008

Dip. tempo

indeterm.

Dip. tempo

determ.Co.co.co.

Prestatore d’opera

AutonomoIn cerca occup.

Inattivo Totale

Co

ndiz

ione

del

20

07

Dip. tempo indeterm.

93,6% 1,9% 0,0% 0,1% 0,3% 0,8% 3,2% 100,0%

Dip. tempo determ.

24,0% 60,7% 1,1% 0,2% 1,4% 5,8% 6,9% 100,0%

Co.co.co. 17,4% 6,4% 61,6% 1,7% 0,0% 4,2% 8,8% 100,0%

Prestatore d’opera

0,0% 32,0% 0,0% 47,2% 0,0% 4,7% 16,2% 100,0%

Autonomo 10,5% 1,4% 0,4% 0,0% 80,7% 1,5% 5,5% 100,0%

In cerca di occupazione

17,9% 25,8% 1,2% 0,8% 1,0% 22,2% 31,0% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Flussi di transizione dei contratti dal 2007 al 2008* dei giovani occupati (15-24 anni)

Condizione del 2008

Dip. tempo indeterm.

Dip. tempo determ.

Co.co.co. AutonomoIn cerca occup.

Inattivo Totale

Co

ndiz

ione

del

20

07 Dip. tempo indeterm.

88,0% 7,5% 0,0% 2,7% 0,8% 1,0% 100,0%

Dip. tempo determ.

25,5% 64,9% 0,0% 0,6% 2,7% 6,3% 100,0%

Co.co.co. 0,0% 49,4% 50,6% 0,0% 0,0% 0,0% 100,0%

Autonomo 6,4% 2,9% 0,0% 90,8% 0,0% 0,0% 100,0%

In cerca di occupazione

22,7% 40,5% 1,8% 2,0% 25,6% 7,4% 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Una parte dei cambiamenti rilevati nel modello di mobilità tra il 2007 e il 2008 (riferito agli occupati totali) è dovuto ad un mutamento nella dinamica della trasformazione dei contratti atipici in contratti standard o permanenti: la fase di stagnazione dell’economia e le riforme del mercato del lavoro hanno orientato le attività produttive verso un allungamento dei percorsi di transizione verso forme di occupazione stabile (Cnel).

In particolare nel Veneto i tassi di conversione25 dei contratti atipici in contratti permanenti (relativi a coloro che nel 2008 avevano contratti di col-laborazione o a tempo determinato e che ora hanno il tempo indeterminato) sono appena il 24,8%. Chi aveva un contratto di dipendenza a termine ha più probabilità di trasformarlo in un contratto stabile (26,3%), contro un 14,1% riferito ai collaboratori.

25 Il tasso di conversione è dato dal rapporto tra i l numero di lavoratori che nel 2007 avevano contratti a tempo determinato, di collaborazione o entrambi che si sono trasformati in contratti a tempo indeterminato nel 2008 e i l numero di lavoratori che nel 2007 avevano contratti a tempo determinato, di collaborazione o entrambi.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Tassi di conversione dei contratti atipici in contratti permanenti in Veneto tra il 2007 e il 2008*

Tasso di conversione dei contratti a tempo determinato con contratti permanenti

26,2%

Tasso di conversione dei contratti di collaborazione con contratti permanenti

14,1%

Tasso di conversione dei contratti a tempo determinato e di collaborazione con contratti permanenti

24,8%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Se si osserva la suddivisione per settore di attività produttiva, la mag-giore propensione a convertire i contratti di lavoro atipici in contratti perma-nenti è data dall’industria (38,6%), e in particolare dall’industria manifattu-riera (39,5%), seguita dai servizi alle imprese (34,5%) e dall’intermediazione monetaria e finanziaria (38,3%). Chi invece lavora come atipico (inteso come dipendente a tempo determinato e collaboratore) ha meno probabilità di avere un contratto stabile se opera nel settore degli alberghi e dei ristoranti (12,1%) e nella pubblica amministrazione (20,4%).

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Tassi di conversione per settore dei contratti atipici in contratti permanenti in Veneto tra il 2007 e il 2008*

Tasso conversione tempo determinato

in contratti permanenti

Tasso conversione collaborazione

in contratti permanenti

Tasso conversione tempo

determinato + collaborazione

Agricoltura, caccia e pesca 23,2% 0,0% 22,8%

Industria 39,8% 26,7% 38,6%

Industria estrattiva e dell’energia 100,0% 0,0% 44,8%

Industria della trasformazione 40,2% 31,8% 39,5%

Industria delle costruzioni 32,5% 0,0% 31,6%

Servizi 25,9% 13,6% 24,2%

Commercio 30,2% 6,9% 28,1%

Alberghi e ristoranti 10,6% 100,0% 12,1%

Trasporti e comunicazioni 24,2% 34,4% 26,1%

Intermediazione monetaria e finanziaria

51,9% 0,0% 38,3%

Servizi alle imprese e altre attività profess.

40,2% 16,6% 34,5%

Pubblica amministrazione 22,5% 0,0% 20,4%

Istruzione, sanità 21,3% 16,5% 20,8%

Altri servizi pubblici, sociali e alle persone

24,3% 0,0% 19,5%

Totale 26,2% 14,1% 24,8%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

Significativo è il dato relativo alla tasso di uscita26 dal mercato del lavoro verso lo stato di disoccupazione o di inattività per coloro che nel 2007 ave-vano contratti non standard: il 12,5% di essi attualmente non ha un lavoro e l’incidenza aumenta se si considerano coloro che hanno contratti di colla-borazione rispetto ai dipendenti a tempo determinato (13,1% vs 12,4%).

26 Il tasso di uscita è dato dal rapporto tra i l numero di lavoratori che nel 2007 avevano contratti a tempo deter-minato, di collaborazione o entrambi e che sono usciti dallo stato di occupazione nel 2008 (che sono cioè disoc-cupati e inattivi) e i l numero di lavoratori che nel 2007 avevano contratti a tempo determinato, di collaborazione o entrambi.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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Tassi di uscita dei contratti atipici in Veneto tra il 2007 e il 2008*

Tasso di uscita degli occupati a tempo determinato 12,4%

Tasso di uscita dei collaboratori 13,1%

Tasso di uscita del tempo determinato e dei collaboratori 12,5%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

In merito ai flussi inversi, ossia da uno stato di non occupazione a uno stato di occupazione da un anno all’altro, si osservano dei risultati partico-lari.

In Veneto chi nel 2008 è rientrato nel mondo del lavoro da disoccupa-to viene inquadrato prevalentemente con contratti di lavoro atipico: nello specifico, i lavoratori a tempo determinato sono il 45,2%, il 7,1% sono col-laboratori e il 17,4% a tempo indeterminato ma part time. Chi è riuscito ad ottenere un “posto fisso” di tipo standard è appena il 19,1%, mentre chi è diventato autonomo è il 11,2%.

Questo evidenzia una certa difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro con contratti standard se si era in uno stato pregresso di disoccupazione. Chi non era occupato ha quindi più probabilità di essere inquadrato in ma-niera atipica, protraendo una situazione di precarietà.

Composizione dei flussi da non-occupazione a occupazione nel Veneto dal 2007 al 2008*

Dipendenti a tempo indeterminato 36,5%

di cui a tempo pieno 19,1%

di cui a tempo parziale 17,4%

Dipendenti a tempo determinato 45,2%

di cui a tempo pieno 28,0%

di cui a tempo parziale 17,2%

Autonomi 11,2%

Collaboratori 7,1%

Totale 100,0%

* il dato 2008 è calcolato come media dei primi tre trimestri 2008 Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Spunti conclusivi

Negli ultimi anni in Italia e in Veneto l’occupazione stabile a tempo pieno si è andata sempre più riducendo, lasciando il posto ad un’occupazione più flessibile, fatta di lavori diversi, che andasse a rispondere ad esigenze individuali dei lavoratori e delle imprese.

La maggiore flessibilità del mercato del lavoro rischia però di innescare la pericolosa “trappola della precarietà”: questo avviene quando i cosiddet-ti contratti atipici vengono utilizzati in maniera impropria e ripetutamente, tendendo a dilatare i tempi di inserimento in un’occupazione stabile.

Lo stato di precarietà pone i lavoratori in una situazione di insicurezza generale che non è solo lavorativa, ma che diventa anche economica e sociale.

Dallo studio emerge come nel Veneto si contino quasi 300 mila precari, che rappresentano il 13% di tutti gli occupati. Tra le fila dei precari, inoltre, quasi 24 mila sono disoccupati: questo vuol dire che oltre il 30% di coloro che cercano un’occupazione erano lavoratori precari ai quali era scaduto il termine del contratto. La situazione di precarietà non riguarda quindi solo la parte attiva del mercato del lavoro, ma anche persone che riconoscono nel precedente contratto flessibile la causa della loro inoccupazione.

Effettuando una lettura longitudinale dei flussi di transizione dei contratti dal 2007 al 2008, si osserva come la maggior parte dei contratti atipici rimanga tale anche nell’anno successivo e solo in pochissimi casi si tra-sformano in tempo indeterminato. In particolare, il tasso di conversione dei contratti a tempo determinato con contratti permanenti è del 26,2%, men-tre se si tratta delle collaborazioni il valore si riduce al 14,1%.

È interessante inoltre notare come, rispetto ai lavoratori standard, gli atipici abbiano più probabilità di diventare disoccupati o addirittura inattivi (ossia soggetti che non cercano più nuova occupazione). Chi rientra invece nel mercato del lavoro dopo un periodo di disoccupazione, viene inquadra-to prevalentemente con contratti di dipendenza a termine e di collaborazio-ne (ossia diventano atipici), mentre sono appena il 20% coloro che possono beneficiare del tempo indeterminato.

Le donne, i giovani (tra i 15 e i 24 anni), i laureati, gli stranieri e coloro che lavorano negli alberghi/ristoranti e nel comparto dei servizi alla persona, sono i soggetti che hanno più possibilità di essere precari.

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Atipicità e precarietà del lavoro in Veneto

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La riflessione e la lettura di questi dati diventa fondamentale, specie in quest’ultimo periodo caratterizzato da uno stato di grave difficoltà econo-mica. Occorre chiedersi se e in quale impatto avrà la crisi sulla dimensione lavorativa. I dati a disposizione mostrano nel Veneto un aumento del tasso di disoccupazione (anche se rimane comunque su livelli molto bassi) e un maggior ricorso agli ammortizzatori sociali (come la Cassa Integrazione). Ma solo una parte dei lavoratori allontanati dal loro posto di lavoro, quella protetta da sussidi e garanzie, riuscirà a mantenere per lo meno parte del proprio reddito. Le maggiori difficoltà verranno invece affrontate dai lavora-tori più deboli: i precari. Purtroppo per questi soggetti, in questa particolare situazione, non è necessario il licenziamento tout court dal momento che basterebbe non rinnovare più il contratto. La crisi rischia di trasformare la flessibilità da punto di forza a punto di debolezza, poiché si fa leva sul suo elemento più naturale: la temporaneità del contratto di lavoro. Se questa situazione non viene gestita in maniera seria e competente, la flessibilità tenderà a tramutarsi in precariato, e il precariato nell’anticamera della di-soccupazione senza però alcun giubbotto di salvataggio.

Per evitare la creazione di occupati di serie A e di serie B, occorre stu-diare delle forme adeguate di sostegno per i lavoratori precari che siano condivise dagli operatori economici e politici; la crisi sta facendo emergere dei forti limiti alla struttura del mercato flessibile ed è per questo motivo che è necessaria una revisione del processo di stabilizzazione occupazionale che passa anche attraverso processi di concertazione tra le parti sociali.

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Metodologia di indagine e struttura del campione

L’importanza di un’analisi sulla struttura occupazionale della piccola im-presa deriva dalla necessità non solo di rilevare quantità e qualità della forza lavoro impiegata, ma anche di monitorare l’evoluzione occupazionale, offrendo informazioni adeguate e tempestive per le esigenze di governance del mondo produttivo.

Grazie ad un monitoraggio annuale, questo studio fornisce preziose in-dicazioni relative alle tipologie contrattuali, al turn over aziendale e quant’al-tro possa essere utile al fine di delineare la dinamica occupazionale per le imprese di minori dimensioni. È bene precisare che, nonostante il rilevante numero di occupati, non sono molte le informazioni relative al mondo della piccola impresa reperibili nelle fonti ufficiali; è importante, dunque, attuare iniziative specifiche volte a colmare tale lacuna.

La possibilità di seguire i processi occupazionali in una determinata area, consentendo di conoscere in modo tempestivo i settori in espan-sione e quelli che manifestano alcune difficoltà, arricchisce l’interesse per questa indagine, che diventa strumento per una efficace programmazione economica.

L’andamento occupazionale delle piccole imprese è stato rilevato at-traverso le opinioni di 2 campioni di circa 800 aziende ciascuno la cui nu-merosità è tale da poter essere considerati rappresentativi delle piccole imprese del Veneto. I campioni sono stati selezionati a distanza di sei mesi. Le interviste per il primo campione sono state realizzate dal 3 al 14 giugno 2008, per il secondo dal 17 al 28 novembre 2008; questa metodologia permette di rilevare attraverso il confronto temporale le variazioni dell’oc-cupazione nel medio periodo. Le indagini sono state realizzate da Aes, Analisi Economiche e Sociali, azienda specializzata che effettuata indagini di opinione e osservatori dei principali fenomeni economici e sociali (www.indaginiaes.com).

L’indagine è stata condotta per via telefonica da intervistatori esperti ed adeguatamente formati sui contenuti della ricerca; inoltre, grazie alla me-todologia di registrazione utilizzata e al software adottato, è stato possibile garantire un’adeguata verifica telefonica, escludendo tutte le imprese che non rispettavano i parametri determinanti l’appartenenza alla popolazione

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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oggetto d’indagine (ovvero cessazione/inattività dell’azienda, dimensione superiore a 19 addetti, non appartenenza ai settori d’interesse).

Le imprese interpellate sono state selezionate grazie ad un campiona-mento che tiene conto sia della provincia di localizzazione, sia del settore di attività economica. Infatti è stato adottato un disegno di campionamento stratificato della popolazione (in particolare con estrazione proporzionale di ampiezza degli strati) e gli strati considerati sono i quattro macrosettori economici (produzione, edilizia/costruzioni, servizi alle imprese e servizi alla persona) e la provincia di riferimento.

Nell’ipotesi di un campione casuale semplice, dato l’universo di imprese di interesse pari a quasi 200 mila unità, si è stimato che un campione di circa 800 aziende permettesse di ottenere un errore di campionamento inferiore al 4%. In realtà, l’utilizzo di un disegno campionario stratificato aumenta l’efficienza del campione e mantiene l’errore complessivo di rile-vazione (dovuto non solo all’errore campionario ma anche ad altri fattori, quali le non risposte) nell’ordine di grandezza sopra riportato.

Attraverso un campionamento stratificato infatti si possono sfruttare in-formazioni eventualmente disponibili a priori sulla popolazione indagata per migliorare il disegno di campionamento ed aumentarne l’efficienza. Nello specifico è facile ipotizzare che le variabili indagate dipendano sia dal set-tore che dalla provincia, variabili conosciute nella popolazione e che, per questo, hanno costituito i nostri strati. Le imprese sono state dunque sud-divise per strati in base alla provincia di localizzazione e al settore econo-mico di appartenenza, e sono state selezionate casualmente da ogni strato, conservando la medesima proporzione presente all’interno dell’universo di riferimento.

Questo procedimento ha consentito una maggiore efficienza del cam-pione, ovvero una sicura riduzione complessiva dell’errore di campiona-mento rispetto ad un campione casuale semplice.

È importante sottolineare che il campione è statisticamente rappresen-tativo a livello regionale e per i singoli settori economici, mentre per quanto riguarda i contesti provinciali le informazioni fornite nel rapporto non hanno la pretesa di descrivere scientificamente la realtà dei singoli ambiti territo-riali quanto piuttosto l’obiettivo di illustrare le tendenze e le peculiarità delle diverse aree del Veneto. Per questo motivo, alcune tabelle di incrocio tra variabili occupazionali e province possono risultare scarsamente informati-ve per le province di minori dimensioni.

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Metodologia di indagine e struttura del campione

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Come in ogni indagine, anche in questa sono intervenuti altri fattori por-tatori di potenziali errori, legati alla mancata disponibilità delle imprese a rispondere o all’impossibilità di reperire in tempi utili i responsabili di que-ste, tali per cui il campione indagato si discosta da quello ipotizzato. Pur essendo nel nostro caso minime le differenze nella distribuzione del cam-pione rilevato e teorico relativamente alle variabili conosciute a priori, si è ritenuto in ogni caso conveniente “pesare” le unità rilevate in modo tale che il campione rilevato, almeno relativamente alle variabili provincia e settore, corrispondesse perfettamente al campione teorico, ovvero alla distribuzio-ne di queste variabili nella popolazione indagata.

La metodologia di registrazione utilizzata e il software adottato garan-tiscono il controllo della qualità e della coerenza delle risposte, predispo-nendo a priori i “flussi” che devono essere seguiti nella compilazione del questionario. Non si possono pertanto verificare errori derivanti da risposte non dovute.

Calcolo del rischio di precarietà

Viene definito come Odds Ratio misura la forza di associazione tra il fattore rischio (precarietà in questo caso e la variabile in esame). L’Odds Ratio (OR) viene ricavato dal rapporto tra due Odds, a loro volta ottenuti dal rischio di entrare in un determinato gruppo (in questo caso essere precario) in due distinte popolazioni (tipicamente presenza della variabile in esame e non presenza), si può dire che è dato dal rischio di essere precari in due distinte popolazioni (tipicamente esposti e non-esposti);

Se stiamo analizzando una variabile X dicotomica, odds è il rapporto fra il odds nei soggetti esposti a X(X=1) e in soggetti non esposti (X=0) al fattore X.

Variabile dipendente (Y) Precario/non precario

Variabile esplicativa (X)

1 (presente) 0 (assente) Totale

1 (presente) a b a+b

0 (assente) c d c+d

Totale a+c b+d

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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Odds relativo

Questo rapporto (sempre positivo) può essere considerato una misu-ra di associazione tra la variabile esplicativa e l’evento in considerazione. Quando il fattore considerato non ha influenza sull’evento il rischio è pari ad 1; tende a valori tanto più grandi di 1 quanto più il rischio del gruppo X=1 è superiore al gruppo X=0. Se invece il fattore esercita un’azione preventiva nei confronti dell’evento, il rapporto assume un valore inferiore ad 1.

Tabella riassuntiva degli Odds Ratio delle variabili risultate significative rispetto la variabile precarietà

Variabile in esame Odds Ratio95,0% C.I.for Odds Ratio

Sig.Lower Upper

Donne rispetto Uomini 2,70 2,18 3,36 2,5859E-19

Diploma rispetto altri titoli di studio 0,63 0,50 0,80 0,00014682

Laurea rispetto altri titoli di studio 1,90 1,46 2,45 1,2426E-06

15-24 anni rispetto altre classi d’età 4,07 2,99 5,52 2,773E-19

25-34 anni rispetto altre classi d’età 1,34 1,06 1,69 0,01412869

45-54 anni rispetto altre classi d’età 0,54 0,41 0,72 1,7127E-05

Oltre 54 anni rispetto altre classi d’età 0,55 0,35 0,85 0,00735852

Celibi nubili rispetto altri stati civili 2,27 1,83 2,80 5,0318E-14

Coniugati rispetto altri stati civili 0,41 0,33 0,50 2,5229E-16

Stranieri rispetti Italiani 2,62 1,99 3,47 1,0152E-11

Industria rispetto altri settori 0,55 0,43 0,71 3,9058E-06

Costruzioni rispetto altri settori 0,54 0,33 0,88 0,0131514

Alberghi/ristoranti rispetto altri settori 2,78 1,96 3,93 7,7591E-09

Servizi alla persona rispetto altri settori 2,80 1,97 3,99 1,0602E-08

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Metodologia di indagine e struttura del campione

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Analisi di regressione logistica

L’analisi di regressione logistica permette di stimare la funzione di re-gressione di una variabile dicotomica, che meglio collega la probabilità del possesso di un attributo con un insieme di variabili esplicative. Attraverso questa metodologia si possono individuare le determinanti della probabili-tà, o rischio, della variabile di risposta che nella nostra analisi è la presenza o meno di un contratto precario. Entrano nell’equazione le variabili rilevanti in base alle relazioni con gli altri predittori.

Il processo di selezione continua fino a quando sono entrate nel modello tutte le variabili significative per l’analisi.

I risultati ottenuti da questa analisi sono riportati nella tabella sottostan-te.

Risultati ottenuti dall’analisi logistica

Variabile in esame B Sig. Exp(B)95,0% C.I.for EXP(B)

Lower Upper

Donne rispetto Uomini 0,972286717 2,6889E-16 2,64398359 2,094905 3,336977

coniugati rispetto altri stati civili -0,70689448 8,8318E-09 0,49317338 0,387602 0,627499

Stranieri rispetti Italiani 0,998564718 3,0402E-10 2,71438313 1,989222 3,703898

industria rispetto altri settori -0,44704754 0,0021555 0,63951351 0,480635 0,85091

Alberghi/ristoranti rispetto altri settori

0,585369446 0,00336793 1,79565426 1,214175 2,655609

Servizi alla persona rispetto altri settori

0,503290156 0,01452033 1,65415475 1,104837 2,476589

Diploma rispetto altri titoli di studio

-0,49812993 0,00024424 0,60766597 0,465667 0,792966

Laurea rispetto altri titoli di studio

0,468926412 0,00221837 1,59827738 1,183537 2,158353

15-24 anni rispetto altre classi d’età

1,03661589 7,1584E-09 2,81965882 1,984845 4,00559

45-54 anni rispetto altre classi d’età

-0,342484 0,02432191 0,71000448 0,527 0,956558

Constant -0,43252481 0,36869609 0,64886876

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Glossario

Addetto Persona occupata in un’unità giuridico-economica, come lavo-ratore indipendente o dipendente (a tempo pieno, a tempo parziale o con contratto di formazione e lavoro), anche se temporaneamente assente (per servizio, ferie, malattia, sospensione dal lavoro, cassa integrazione gua-dagni ecc.). Comprende titolare/i dell’impresa partecipante/i direttamente alla gestione, cooperatori (soci di cooperative che come corrispettivo della loro prestazione percepiscono un compenso proporzionato all’opera resa ed una quota degli utili dell’impresa), coadiuvanti familiari (parenti o affini del titolare che prestano lavoro manuale senza una prefissata retribuzione contrattuale), dirigenti, quadri, impiegati, operai e apprendisti.

Collaboratore coordinato e continuativo Persona che presta la propria opera presso un’impresa o istituzione con rapporto di lavoro non soggetto a vincolo di subordinazione e che fornisce una prestazione dal contenuto intrinsecamente professionale o artistico, svolta in modo unitario e conti-nuativo per un tempo predeterminato, ricevendo un compenso a carattere periodico e prestabilito.

Dipendente Persona che svolge la propria attività lavorativa in un’unità giuridico-economica e che è iscritta nei libri paga dell’impresa o istituzio-ne, anche se responsabile della sua gestione. Sono considerati lavoratori dipendenti: i soci di cooperativa iscritti nei libri paga; i dirigenti, i quadri, gli impiegati e gli operai, a tempo pieno o parziale; gli apprendisti; i lavoratori a domicilio iscritti nei libri paga; i lavoratori stagionali; i lavoratori con con-tratto di formazione e lavoro; i lavoratori con contratto a termine; i lavoratori in cassa integrazione guadagni; gli studenti che hanno un impegno formale per contribuire al processo produttivo in cambio di una remunerazione e/o formazione.

Forza lavoro Comprende le persone occupate e quelle in cerca di occu-pazione (disoccupate).

Inattivi Comprendono le persone che non fanno parte della forza lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o in cerca di occupazione.

Indipendente Persona che svolge la propria attività lavorativa in un’unità giuridico-economica senza vincoli di subordinazione. Sono considerati la-voratori indipendenti: i titolari, soci e amministratori di impresa o istituzio-

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OSSERVATORIO SULL’OCCUPAZIONE

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ne, a condizione che effettivamente lavorino nell’impresa o istituzione, non siano iscritti nei libri paga, non siano remunerati con fattura, non abbiano un contratto di collaborazione coordinata e continuativa; i soci di coope-rativa che effettivamente lavorano nell’impresa e non sono iscritti nei libri paga; i parenti o affini del titolare, o dei titolari, che prestano lavoro senza il corrispettivo di una prefissata retribuzione contrattuale o il versamento di contributi.

Lavoratore interinale Persona assunta da un’impresa di fornitura di la-voro temporaneo (impresa fornitrice) la quale pone uno o più lavoratori a disposizione di un’altra unità giuridico-economica (impresa o istituzione uti-lizzatrice) per coprire un fabbisogno produttivo a carattere temporaneo.

Non forza lavoro Comprende i ritirati dal lavoro, ovvero le persone di quindici anni e più che hanno cessato un’attività lavorativa per raggiunti limiti di età, invalidità o altra causa.

Occupati Comprendono le persone di quindici anni e più che all’indagine sulla forza lavoro dichiarano: di aver svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura; di aver svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente; di essere assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occu-pati se l’assenza non supera i tre mesi, oppure se durante l’assenza conti-nuano a percepire almeno il 50% della retribuzione.

Persone in cerca di occupazione Tutti i non occupati di quindici anni e più che dichiarano al contempo: di aver cercato attivamente, nelle quattro settimane che precedono la rilevazione, un lavoro alle dipendenze o di aver predisposto i mezzi per avviare un’attività in proprio; di essere immedia-tamente disponibili, entro due settimane, ad accettare un lavoro qualora venga loro offerto.

Tasso di attività Rapporto tra le persone appartenenti alla forza lavoro e la corrispondente popolazione di riferimento. La somma del tasso di attività e del tasso di inattività è pari al 100%.

Tasso di disoccupazione Rapporto tra le persone in cerca di occupazio-ne e la forza lavoro.

Tasso di inattività Rapporto tra le persone non appartenenti alla forza lavoro e la corrispondente popolazione di riferimento. La somma del tasso di inattività e del tasso di attività è pari al 100%.

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Glossario

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Tasso di occupazione Rapporto tra gli occupati e la popolazione di quin-dici anni e più.

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