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Approfondimento: i Mercati interni del lavoro
Sommario
Approfondimento: i Mercati interni del lavoro..........................................................1 1. Fondamenti della teoria dei mercati interni .....................................................1 2. Genesi e consolidamento dei mercati interni ..................................................4
2.1 I fattori di genesi..................................................................................................5 3. Perché i mercati interni del lavoro sono efficienti .........................................7 4. Evoluzione dei modelli di mercato interno del lavoro ................................10
4.1 Modello tradizionale ..........................................................................................13 4.2 Prevalenza di transazioni individuali ..........................................................14 4.3 Il modello segmentato .....................................................................................15 4.4 Il modello terziarizzato ....................................................................................16 4.5 Il modello dualistico ..........................................................................................17 4.6 Imprese a rete ....................................................................................................19
5. Tecnologia, organizzazione del lavoro e professionalità ...........................20 5.1 Tecnologie specifiche........................................................................................22 5.2 Tecnologie generali ...........................................................................................23 5.3 Tecnologie effusive............................................................................................24 5.4 Tecnologie intrusiva ..........................................................................................25
5.5 Tecnologie codificabili...........................................................................................25 5.6 Tecnologie non codificabili..............................................................................26
6. Il mercato interno: una rivisitazione ................................................................27 7. Mercato interno del lavoro come mercato ......................................................29
1. Fondamenti della teoria dei mercati interni La prima formulazione sistematica è stata fatta da Doering e Piore nel
1973 con il loro libro Internal Labour Markets and Manpower analysis. Essi
hanno proposto una definizione e una impostazione analitica che non sono
più state messe in discussione dalla letteratura specializzata.
Il mercato interno è definito come:
Un’unità amministrativa, quale ad esempio uno stabilimento
produttivo, all’interno del quale la retribuzione e i criteri allocativi sono
governati da un complesso di norme e procedure amministrative.
Si distingue dal mercato del lavoro esterno della teoria economica
neoclassica in quanto in quel mercato le variabili quali il salario,
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l’allocazione, lo sviluppo professionale etc. sono influenzate direttamente
da variabili di tipo economico.
I due mercati sono tuttavia interconnessi e i flussi di forza lavoro
interessano ben specifiche posizioni di lavoro che potrebbero essere
definite come “porte di entrata e di uscita” del mercato del lavoro.
Sul mercato esterno, pur tenendo conto delle eventuali situazioni di
monopolio, monopsonio e segmentazione, funziona il principio
efficientistico e marginalistico che tende a uguagliare le retribuzioni alla
produttività marginale del lavoro.
Sul mercato interno, invece, l’allocazione delle risorse (umane) e la
determinazione del loro prezzo (retribuzioni) sono sottratte ai principi
competitivi e avvengono grazie a dispositivi quali i sentieri di carriera
legati alla seniority e alla job evaluation.
Questa analisi dei mercati interni del lavoro si rifaceva in prima istanza:
alla teoria del capitale umano (Becker 1964)
alle ipotesi sulla natura “quasi fissa” dei costi del lavoro (Oi 1962)
alle analisi di tipo istituzionalista degli anni ’50 (Kerr, 1954; Dunlop
1958)
tese a dimostrare che i modelli neoclassici e concorrenziali di mercato del
lavoro descrivevano accuratamente solo i mercati del lavoro di alcuni
settori economici.
Il concetto di mercato interno si enucleava principalmente in
contrapposizione a quello di mercato esterno, rifacendosi alla teoria
dualistica del mercato del lavoro. Segmenti o comparti forti o primari e
segmenti o comparti deboli o periferici del mercato del lavoro venivano
individuati a seconda delle caratteristiche della domanda e dell’offerta di
lavoro corrispondenti (dimensione di impresa, sindacalizzazione, sesso e
classi di età delle forze di lavoro…). Con gli anni settanta, a partire dalle
elaborazioni neo-istituzionaliste, la teoria dei mercati interni del lavoro
venne progressivamente integrata nella teoria economica. Gli aspetti di
“efficienza organizzativa” dei mercati interni vennero evidenziati
soprattutto da Williamson, Wachter e Harris (1975).
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Nella seconda metà degli anni settanta la ricerca sui mercati interni si è
sviluppata lungo due filoni.
Il primo ha privilegiato le implicazioni in termini di efficienza dei
mercati interni, proponendo analisi economiche formali e sofisticate
concentrate sul tema dei contratti impliciti e incompleti (Azariadis
1975) già affrontato da un fondamentale contributo di Simon (1951) e
sull’impatto delle organizzazioni sindacali sul mercato del lavoro
(Freeman e Medoff 1984).
Il secondo invece ha privilegiato gli aspetti distributivi della teoria dei
mercati interni, analizzando le implicazioni in termini di potere
organizzativo (Kanter Moss 1978; Pfeffer 1982 e 1988), utilizzando
spesso approcci radicali (Edwards 1979).
Con gli anni ’80, la letteratura sull’economia delle organizzazioni applicata
ai rapporti di lavoro si è ulteriormente sviluppata, recuperando e
sussumendo numerosi aspetti “distributivi” nei modelli di efficienza. In
questi contributi si fa infatti esplicito riferimento a concetti tipicamente
distributivi, quali:
la ripartizione asimmetrica delle informazioni tra i soggetti
l’esistenza dei costi di transazione
la rilevanza degli investimenti reciproci che gli attori devono realizzare
per entrare in rapporto.
Anche i modelli di signaling (Spence 1974), secondo cui i lavoratori
vengono selezionati sul mercato del lavoro in base a segnali come la
scolarizzazione e la teoria della job competition (Thurow 1975), cioè la
concorrenza per posizioni di lavoro particolarmente attrattive e non per
retribuzioni attrattive (wage competition), si inseriscono in questo filone.
Successivamente, seppure con una molteplicità di approcci e metodologie,
il programma di ricerca dell’economia delle organizzazioni si è a sua volta
sviluppato e articolato lungo due filoni.
Il primo è quello della teoria dei costi di transazione (Williamson
1981, 1985, 1986, Butler 1982, Barney e Ouchi 1984, Nacamulli e
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Rugiadini 1985 Manzolini 1984 Costa 1990). Questo approccio si
concentra sull’interpretazione del rapporto di lavoro come contesto
all’interno del quale lavoratori e management realizzano scambi
economici (transazioni). Esso privilegia gli aspetti delle transazioni di
lavoro legati al tipo di risorse (grado di idiosincrasia) scambiate tra
impresa e lavoratori e al contesto organizzativo (grado di incertezza,
interdipendenza e frequenza delle transazioni).
Il secondo è quello della teoria delle agenzie (Pratt e Zeckhauser
1985; Eisenhardt 1985; Levinthal 1988; Pilati Salvemini 1989). Questo
approccio concepisce invece i rapporti organizzativi tra capi e
subordinati come relazioni contrattuali complesse tra “principale” e
“agenti”. Il principale è un capo che delega attività ad un suo
collaboratore (agente) e cerca di ottenere da questo i migliori risultati
minimizzando i costi di controllo. La teoria delle agenzie privilegia gli
aspetti delle transazioni di lavoro legati ai comportamenti dei soggetti
(opportunismo, moral hazard etc), ai loro rapporti di potere (legati al
grado di asimmetria nella distribuzione delle informazioni tra principale
e agente) e alle loro interazioni (strutture di incentivi, meccanismi di
controllo reciproco etc).
2. Genesi e consolidamento dei mercati interni
La teoria dei mercati interni si compone di due nuclei principali:
perché si formano i mercati interni;
cosa giustifica la loro permanenza e consolidamento.
Il primo nucleo concerne i fattori di genesi dei mercati interni del lavoro,
mentre il secondo riguarda i vantaggi reciproci che imprese e lavoratori
hanno nella conservazione dell’assetto formatosi con i mercati interni.
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2.1 I fattori di genesi
Le condizioni che determinano il formarsi dei mercati interni del lavoro
sono (Doering e Piore 1971 pp.14-27):
la specificità delle professionalità (skill specificity);
l’addestramento sul lavoro (on the job training);
le consuetudini e le norme informali di comportamento (customary
laws).
SKILL SPECIFICITY
È definita dalle specifiche abilità richieste nello svolgimento di una data
mansione e nell’utilizzo di una data tecnologia. Essa contribuisce alla
formazione dei mercati interni in quanto le abilità sviluppate su mansioni
particolari, o operando con tecnologie o processi produttivi propri di una
data impresa, non sono trasferibili (non hanno mercato) e implicano costi
di professionalizzazione elevati.
Williamson (1975) interpreta la specificità della professionalità in termini
di transazioni di lavoro nel senso che nell’erogazione delle prestazioni
lavorative i lavoratori sviluppano determinate job specific skills e task
specific knowledges.
Gli scambi tra capo e collaboratori assumono generalmente un certo livello
di complessità legato all’incertezza del contesto e delle prestazioni,
all’interdipendenza tra le mansioni e alla frequenza delle interazioni tra i
membri dell’unità organizzativa. Ai fini della realizzazione di questi scambi
l’identità delle parti non è indifferente. Molte prestazioni lavorative sono
specifiche nel senso che sono erogabili solo da un certo lavoratore o sono
ottenibili attraverso il lavoro di un’equipe affiatata (Alchian Demsetz
1972).
In questi contesti l’applicazione di contratti espliciti tra impresa e
lavoratore sia nelle forme estreme che in quelle più complesse e articolate
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diventa estremamente costosa e difficile. È molto più efficiente per un
capo gestire i propri collaboratori attraverso rapporti di autorità, rapporti
collaborativi basati sulla fiducia reciproca e sulla delega di aree di attività
a collaboratori fidati, lasciando che siano le dinamiche di gruppo tra pari a
governare i livelli di impegno e di sforzo che non piuttosto negoziare
sistematicamente e individualmente ogni cosa.
ON THE JOB TRAINING
L’addestramento sul lavoro contribuisce anch’esso alla formazione dei
mercati interni. Esso è una modalità di training, utilizzata soprattutto per
certi tipi di posizioni operaie e impiegatizie, e consiste in un processo non
formalizzato di trasferimento di abilità professionali. La sua attuazione
avviene attraverso l’osservazione diretta dello svolgimento delle attività
lavorative, l’affiancamento successivo a lavoratori già esperti, e
l’inserimento graduale in una data mansione.
Questa modalità di professionalizzazione del lavoro è legata circolarmente
alla skill specificity, di cui è una causa (il carattere informale dell’on the
job training non consente la codifica e la formalizzazione di quelle
specificità che sono proprie di una data tecnologia e di una data
mansione), ma anche un effetto (l’idiosincrasia delle mansioni e delle
abilità necessarie a svolgerle rende non economico il training formale al di
fuori del contesto lavorativo, mentre l’addestramento sul lavoro è di
norma individuale e quindi più adattabile alle capacità di apprendimento
del singolo lavoratore).
In altri termini, la stretta connessione del learning by doing con il teaching
by doing è favorita da e nel contempo rinforza la formazione di
professionalità specifiche e favorisce il trasferimento di queste sulle
mansioni che assumono a loro volta caratteri di specificità.
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LE LEGGI CONSUETUDINARIE
Le leggi consuetudinarie (customary laws) svolgono un ruolo importante
nella genesi dei mercati interni perché costituiscono norme di
comportamento tacite e condivise non trasgredibili senza una sanzione
definita dal gruppo sociale di appartenenza. Queste regole informali sono il
risultato dell’esperienza passata e talvolta della storia aziendale. Ad
esempio, Kanter Moss (1978) sottolinea come le organizzazioni si
caratterizzano per aspetti sociali che spingono verso l’omogeneità al
conformismo nei comportamenti e alla esclusione sistematica degli
outsider. Le regole informali di comportamento possono essere veicolate
da vari media, quali lo stile di direzione, i meccanismi di coordinamento
(comitati, riunioni, gruppi di lavoro), i sistemi di significati (concetti di
equità, competenza, merito, giustizia, etc.) trasmessi dalle tecniche di
comunicazione interna e dalle altre forme di linguaggio organizzativo, e i
riti e le saghe aziendali (Gagliardi 1986).
Queste consuetudini influenzano la disciplina dei comportamenti lavorativi
nei luoghi di lavoro, la definizione delle strutture retributive e della
dinamica salariale, l’allocazione e i criteri di mobilità interna verticale e
orizzontale del personale.
3. Perché i mercati interni del lavoro sono efficienti
In un’ottica non meramente marginalistica, i costi di turnover del
personale sono rilevanti, e legati ai processi di selezione e di inserimento,
oltre che di uscita. Il costo del lavoro per l’impresa non presenta solo
componenti variabili e dirette, ma anche e soprattutto componenti fisse e
indirette, che costituiscono vere e proprie barriere di uscita dal rapporto di
lavoro.
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Per contro, anche i lavoratori sopportano costi di mobilità tra imprese e/o
posizioni lavorative. Tali costi, che rappresentano a loro volta delle
barriere all’uscita dal rapporto di lavoro, derivano dalla necessità di
replicare i costi di soluzione dei problemi di job search, inserimento,
integrazione nel contesto sociale e organizzativo etc. e dalla impossibilità
di valorizzare completamente e trasferire (in tutto o in parte) le skill
possedute.
Il mercato interno del lavoro comporta la definizione da parte dell’impresa
di un sistema di incentivi/disincentivi che renda il turnover del personale
oneroso per i lavoratori e opportuna la scelta di utilizzare e sviluppare al
meglio le potenzialità del personale limitandone il ricambio a livello
fisiologico.
I vantaggi conseguibili dalle imprese attraverso l’uso dei mercati interni
consistono nella riduzione dei (Doering e Piore, 1971):
COSTI DI FINE RAPPORTO;
COSTI DI RICERCA DI NUOVO PERSONALE (COSTI DI INFORMAZIONE A SUPPORTO DEI
PROCESSI DI RECLUTAMENTO E SELEZIONE);
COSTI DI NON TRASPARENZA DELLE QUALITÀ PROFESSIONALI DEI NEOASSUNTI
(ELUSIONE DEI TEST DI SELEZIONE, OPPORTUNISMO, ETC);
COSTI SOCIALI E ORGANIZZATIVI CONNESSI ALL’INSERIMENTO E ALL’INTEGRAZIONE
DEL NUOVO PERSONALE;
COSTI DI INEFFICACE O MANCATO FUNZIONAMENTO DEGLI ISTITUTI CHE REGOLANO IL
MERCATO ESTERNO.
Oltre alla riduzione dei costi del turnover, l’uso del mercato interno
comporta ulteriori benefici per l’impresa. Innanzitutto, una maggiore
efficienza dei processi di ricerca, selezione e sviluppo delle risorse umane
perché da un lato l’allocazione basata sui processi di mobilità interna
verticale e orizzontale e l’utilizzo dei porti di entrata a livelli gerarchici
tendenzialmente bassi consente la determinazione di standard di selezione
meno costosi e i costi di informazione necessari alle riallocazioni e al
reclutamento interno sono ampiamente abbassati (le informazioni sono già
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disponibili internamente). Secondariamente, le modalità con cui
avvengono i processi di professionalizzazione e di integrazione
(interiorizzazione della cultura, cioè dei modelli di comportamento, delle
norme e dei valori condivisi) consentono di economizzare sui costi della
conflittualità organizzativa di tipo individuale o sindacale.
Tuttavia, la permanenza e il consolidamento dei mercati interni si
verificano anche grazie alla convergenza delle strategie dei lavoratori e
delle organizzazioni sindacali che, attraverso la genesi e il consolidamento
dei mercati interni, ottengono vantaggi in termini di (Manzolini, 1984):
garanzie di stabilità occupazionale e di opportunità di carriera pur in
presenza di livelli salariali non competitivi;
equità e trasparenza dei principi e delle norme che regolano il
funzionamento del mercato interno, spesso garantite dal controllo
sindacale (si pensi all’equità interna delle strutture retributive
determinate attraverso i piani di job evaluation, alla programmazione
delle carriere basata sulle regole della seniority).
Oltre a questi vantaggi, anche i lavoratori possono ridurre i costi di
turnover e in particolare:
I COSTI DI RICERCA DI NUOVE POSIZIONI LAVORATIVE (COSTI DI INFORMAZIONE A
SUPPORTO DEI PROCESSI DI RECLUTAMENTO E SELEZIONE);
I COSTI DI NON TRASPARENZA DELLE QUALITÀ DELLE IMRPESE E DELLE POSIZIONI
DISPONIBILI SUL MERCATO;
I COSTI SOCIALI E ORGANIZZATIVI CONNESSI ALL’ABBANDONO DI UN CONTESTO
ORGANIZZATIVO E AL CAMBIAMENTO DEL GRUPPO LAVORATIVO DI RIFERIMENTO
(PROFESSIONALE E NON);
I COSTI DI INEFFICACE O MANCATO FUNZIONAMENTO DEGLI ISTITUTI CHE REGOLANO
IL MERCATO INTERNO.
In sintesi, è la contestuale e reciproca convenienza di imprese e
lavoratori, dovuta al carattere di match-specific degli investimenti che le
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parti realizzano per entrare in rapporto, a determinare la genesi e il
consolidamento dei mercati interni.
4. Evoluzione dei modelli di mercato interno del lavoro
La rigida distinzione tra mercato interno e mercato esterno sostenuta dai
primi teorici dei mercati interni del lavoro è stata messa in crisi durante gli
anni ottanta dalla proliferazione delle forme che i mercati interni del lavoro
hanno assunto (Osterman, 1987).
Si è infatti assistito alla dissoluzione, anche in tema di rapporti di lavoro,
all’antinomia tra gerarchie e mercati (Williamson 1975) tipica, fino agli
anni settanta, delle imprese industriali. Secondo questa antinomia
esistono due modi fondamentali e idealtipici attraverso cui il lavoro può
essere utilizzato nelle produzioni per aggiungere valore, diversi tra loro
per tipo di contratto utilizzato, durata del contratto, relazione tra soggetto
e oggetto dell’attività lavorativa, concezione dei contraenti.
Nella prima modalità, il lavoro viene comprato/venduto su un mercato
secondo contratti di vendita o spot. Questi contratti sono completi e in essi
sono specificati l’oggetto, il risultato e il prezzo della prestazione
scambiata. Il rapporto di lavoro generato da questi contratti ha durata
breve o brevissima e si svolge tra contraenti che possono anche essere
sempre diversi, la cui identità è sostanzialmente indifferente. Secondo
questa modalità non esiste separazione tra lavoratore (soggetto) e
prestazione lavorativa (oggetto), che vengono comprati/venduti
simultaneamente su un unico mercato retto da principi di concorrenzialità.
Lo stock di lavoro non è distinto dal flusso, la cui erogazione avviene
immediatamente senza bisogno di ulteriori negoziazioni.
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Nella seconda modalità, il lavoro viene impiegato nelle attività
produttive attraverso un rapporto di subordinazione del lavoratore
all’impresa. Esso viene cioè comprato/venduto in due tempi: lo stock, cioè
il potenziale di risorse e di energia lavorativa posseduto da un certo
soggetto viene acquisito/ceduto su un mercato (ancora esterno) secondo
contratti di impiego che possono assumere varie forme a seconda del
contesto organizzativo. Questi contratti sono incompleti, nel senso che
non specificano l’oggetto, il risultato e il prezzo della prestazione
lavorativa. Il tipo di contratto è implicito, e viene esplicitato dai contraenti
in una continuità del rapporto di lavoro, man mano che le specifiche
situazioni lavorative si presentano. Il rapporto di lavoro governato da
questi contratti è di durata lunga o lunghissima.
Una volta siglato il contratto di impiego, impresa e lavoratore non sono
più contraenti indifferenti. Anzi sono legati in un gioco multiperiodale e
ripetuto in cui tutti gli aspetti del contratto vengono definiti e negoziati.
Secondo questa modalità esiste una distinzione tra soggetto (lavoratore) e
oggetto (prestazione) lavorativo, che assicurano la loro
presenza/appartenenza (soggetto) e la loro effettiva erogazione (oggetto)
in momenti temporali differenti e su mercati diversi.
Questi mercati sono retti uno (quello esterno) dai principi di
concorrenzialità e di valorizzazione delle risorse secondo le regole della
scarsità e dell’eccedenza e l’altro (quello interno) da procedure istituzionali
e dispositivi amministrativi. La distinzione tra soggetto/oggetto e lo
sfasamento temporale tra presenza ed erogazione rendono operativa la
distinzione tra stock di lavoro (la cui presenza e appartenenza è assicurata
dal contratto di impiego) e flusso di lavoro (l’erogazione della prestazione
lavorativa avviene in un secondo momento in base al rapporto di
subordinazione e dopo eventuali ulteriori negoziazioni).
Con gli anni ottanta, l’elemento che teneva unite le dicotomie
mercati/gerarchie, mercati interni/mercati esterni del lavoro, contratti
espliciti-spot/contratti impliciti di impiego, prezzi/procedure
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amministrative, si è via via dissolto e articolato. Inoltre ricerche più
complete hanno cominciato ad evidenziare la rilevanza delle decisioni
manageriali nella scelta di configurazione di mercato interno. Insomma,
fattori esogeni ed endogeni contribuiscono ad indirizzare in modo
differenziato i sistemi di governo delle transazioni di lavoro e a
diversificare gli assetti possibili dei mercati interni.
Un esempio di diversificazione è quello portato dagli studi di Stark (1986),
secondo cui la configurazione dei mercati interni del lavoro nelle imprese
occidentali è completamente diversa (almeno fino a tutti gli anni ottanta)
rispetto a quella delle imprese a economia pianificata dell’Est europeo. In
particolare, concependo il mercato interno come un sistema per
economizzare sui costi di governo delle transazioni di lavoro, tale sistema
cambia completamente a seconda della configurazione di incertezza
ambientale. L’incertezza ambientale di mercato viene ridotta dalle imprese
capitalistiche attraverso dispositivi istituzionali e meccanismi
amministrativi di governo delle transazioni di lavoro. Vivecersa, in un
ambiente pianificato e caratterizzato dalla burocrazia, le imprese
ungheresi ad esempio, riducono l’incertezza rendendo più flessibili e
competitivi (di mercato) i meccanismi allocativi e retributivi. I carichi di
lavoro vengono negoziati, le attività allocate in base al principio di
prestazione, le retribuzioni legate esplicitamente ai risultati. E questo è
indubbiamente un tipo assai diverso di mercato interno.
Dopo gli anni ottanta è avvenuta una inversione di tendenza nelle
necessità organizzative delle imprese che presenta caratteri antitetici
rispetto a quelle che avevano favorito, negli anni sessanta e settanta, lo
sviluppo dei mercati interni del lavoro secondo il modello “tradizionale”.
Questa inversione di tendenza sembra particolarmente evidente per le
strutture allocative, per i percorsi di sviluppo e di formazione, e per i
percorsi di carriera, per i quali, nonostante la diversità delle situazioni, si
manifesta in modo diffuso il passaggio dalla cultura della rigidità, delle
“garanzie” e della seniority, alla cultura della professionalità, del merito,
della ricerca di flessibilità e della riduzione dei costi di gestione.
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Il concetto di mercato interno è stato così implementato per interpretare
nuove realtà caratterizzate da sistemi di governo delle transazioni di
lavoro diversi e più complessi.
I diversi modelli che si possono configurare sono:
1. MODELLO TRADIZIONALE
2. PREVALENZA DI TRANSAZIONI INDIVIDUALI
3. IL MODELLO SEGMENTATO
4. IL MODELLO TERZIARIZZATO
5. IL MODELLO DUALISTICO
6. IMPRESE A RETE
4.1 Modello tradizionale
Si fa riferimento alle prime specificazioni di Doering e Piore.
Si caratterizza per:
Contratti di lavoro tendenzialmente impliciti;
Rapporti organizzativi rigidamente gerarchici.
FORMA CONTRATTUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Contratto di lavoro subordinato ed è omogenea verticalmente (lungo la
gerarchia) e orizzontalmente (nelle diverse funzioni o divisioni e nei
diversi gruppi professionali)
TRANSAZIONI DI LAVORO sono collettive e mediate dai sindacati.
LE TECNOLOGIE sono tradizionali o si fa un uso tradizionale delle tecnologie
flessibili (Taylor-fordista).
ORIENTAMENTO RELAZIONALE è prevalentemente all’oggetto, sia nella
ricerca e selezione (logica della copertura della posizione) che nella
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valutazione e retribuzione (job evaluation compatibile con gli
inquadramenti sindacali).
Mobilità rigidamente e burocraticamente determinata (careers ladders), è
legata a meccanismi amministrativi e regole condivise (anzianità). Le
modalità di entrata del mercato interno sono a livelli organizzativi bassi.
Questo è stato il modello dominante in Europa e USA fino alla fine degli
anni ’70. In Italia domina ancora nei settori maturi e nel terziario
tradizionale (commercio, banche, assicurazioni); nelle dimensioni medio
piccole e nelle imprese meno dinamiche delle partecipazioni statali e PA.
4.2 Prevalenza di transazioni individuali
Prevale dove il ruolo delle organizzazioni sindacali è nullo o molto debole.
Situazioni in cui esiste una forte iniziativa imprenditoriale e manageriale
nella gestione delle risorse umane che determina una prevalenza delle
transizioni individuali.
Contratti di lavoro anche molto differenziati in termini retributivi e di
mobilità in quanto negoziati ad hoc e personalizzati.
Esistono alcuni principi unificanti depositati nelle direzioni del personale
che rendono legittimi e percepiti come equi tali contratti (Weiss 1988).
Internal marketing. È ottimizzata la gestione dei dipendenti in coerenza
con le proprie strategie e obiettivi. Esse sono centrate sui bisogni e sulle
attese dei lavoratori, ma soprattutto sulle scelte manageriali interne di
gestione del fattore lavoro e di relazione con il personale.
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4.3 Il modello segmentato
Riguarda le imprese di grandi dimensioni e internazionali che sono:
Diversificate;
Integrate verticalmente.
In cui il mercato interno non è strutturato in modo univoco ma a seconda:
Della società del gruppo
Della filiale estera
Della unità organizzativa (divisione/funzione)
Esistono diversi mercati interni relativamente IMPERMEABILI tra loro e
tuttavia INTERCONNESSI.
È verificato da diverse indagini che questi sub-mercati abbiano differenti
mercati retributivi di riferimento esterni.
Esempi classici sono:
le filiali delle imprese multinazionali, che tendono a sviluppare
(seppure con gradazioni diverse) mercati interni coerenti anche con lo
specifico contesto nazionale;
il management dei professionals e in particolare del personale delle
funzioni di ricerca e sviluppo, che richiede l’adozione di una logica
specifica;
le business units (divisioni di un’impresa o società operative di un
gruppo) relative ad aree strategiche di affari collocate a stadi diversi
del ciclo di vita dei business.
A livello internazionale le imprese giapponesi che sul mercato interno
hanno caratterizzazioni molto specifiche in termini di:
Meccanismi di promozione;
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Retribuzione;
Organizzazione del lavoro.
Hanno sperimentato notevole difficoltà nel proporre nelle subsidiarie
estere gli stessi meccanismi.
In Italia problemi come questi sorgono a seguito di fusioni, acquisizioni e
joint ventures. In questi casi le transazioni di lavoro rimangono a lungo
governate da insiemi di meccanismi differenziati configurando così mercati
interni segmentati o dualistici.
4.4 Il modello terziarizzato
Questo modello è stato anche definito “salaried” da Osterman (1987,
1988) che sottolinea le conseguenze delle esigenze di flessibilità emerse in
certi settori:
Necessità di innovazione;
Accorciamento dei cicli di vita dei prodotti;
Nuove opportunità delle tecnologie ICT.
Ovvero
Nuove professionalità;
Accentuazione del ruolo dei white collars rispetto ai blue collars;
Strutture organizzative piatte.
TRANSAZIONI DI LAVORO
Ci sono meccanismi più flessibili, infatti, pur restando i CONTRATTI IMPLICI,
questi vengono gestiti in modo meno rigido per quel che riguarda:
Le strutture retributive
o Che devono essere competitive verso l’esterno;
o Bilanciate in termini di rapporto tra il contributo del singolo e
gli incentivi erogati
La mobilità; esistono quindi una molteplicità di percorsi di carriera
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Gli aspetti normativi; orario, condizioni di lavoro.
In generale vari esempi (DELL, IBM) ci dicono che la necessità di rendere
più FLESSIBILE le strategie di business:
Accorciamento dei cicli di vita del prodotto
Cambiamenti nei mix
E l’organizzazione:
Abbassamento del rapporto diretti/indiretti;
Svecchiamento della popolazione aziendale
È stata ottenuta attraverso un programma integrato composto da
meccanismi per la MOBILITÀ VERTICALE E ORIZZONTALE del personale
di sviluppo e riprofessionalizzazione
di gestione delle uscite (outplacement).
4.5 Il modello dualistico
In alcune imprese è possibile rilevare la presenza di un mercato dualistico.
Questo mercato si caratterizza per la presenza di un NUCLEO (core) di
risorse umane e di una periferia; il nucleo centrale o primario spesso è
gestito secondo lo schema terziarizzato, mentre quello di personale
periferico o secondario, viene gestito diversamente.
TRANSAZIONI DI LAVORO
La loro gestione è duplice. Il personale della periferia è gestito spesso con:
Contratti impliciti per durata
o Part-time
o Tempo determinato
Aspetti normativi
o Orario flessibili
o Job sharing
Forma non sono contratti di lavoro subordinato ma:
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o Rapporti professionali
o Contratti a prestazione
o Contratti bilaterali
o Lavoro temporaneo
RETRIBUZIONI E MOBILITÀ
Seguono logiche diverse. Il personale periferico costituisce un bacino cui
l’impresa può attingere per il reclutamento o ovviare alle job vacancies.
La distinzione tra centro e periferia è legata al tipo di attività svolte dal
personale:
Tipo di attività svolta dal personale
Tecnologie utilizzate
Know-how richiesto
La distinzione tra centro e periferia è in genere legata al tipo di attività
svolte dal personale, nonchè alle tecnologie utilizzate e al know how
richiesto.
Management delle tecnologie;
Definizione dei confini di impresa;
Tipo e grado di segmentazione del mercato interno.
Sono strettamente correlati.
Questo è il modello tipico delle:
Imprese giapponesi e delle loro gerarchie di sub-contracting;
Grandi gruppi coreani;
High tech Silicon Valley.
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4.6 Imprese a rete
La rete costituisce una forma organizzativa emergente.
TRANSAZIONI DI LAVORO
Sono modificate radicalmente dalle relazioni cooperative tra imprese.
Prevalgono i rapporti di lavoro autonomo rispetto a quelli di lavoro
subordinato.
Si instaurano relazioni di tipo
EMPLOYER-EMPLOYER.
Rispetto alla tradizionale
EMPLOYER-EMPLOYEE.
La RETE configura un mercato interno del lavoro caratterizzato da uno o più
CLUSTER di contratto espliciti tipo:
Franchising;
Concessione esclusiva;
Licenza;
Fornitura di servizi personali;
Sub-contracting.
Il mercato interno assume forme diverse in funzione del tipo di rete:
Reti di distribuzione;
Consorzi;
Imprese cooperative;
Insiemi di attività decentrate da parte di grandi gruppi
Sono assetti organizzativi cui corrispondono sistemi innovativi di governo
delle transizioni.
Non solo il mercato del lavoro esterno è diventato un mercato di contratti
Segmentato
Dualistico
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Istituzionalizzato
Ma anche i mercati interni si adattano evolvendo le proprie forme
differenziandole a causa di
Pressioni tecnologiche
Pressioni economiche
Inoltre si affermano meso-configurazioni economiche
Imprese-rete;
Reti di imprese;
Distretti industriali
Anch’esse tendono a caratterizzarsi per la presenza di uno o più insiemi di
meccanismi di governo delle transazioni di lavoro strutturalmente diversi
per durata e forma.
L’ipotesi fondamentale è che
Il lavoro come fattore produttivo non è scindibile dell’attore sociale in
cui è incorporato
È quindi necessario considerare separatamente il momento in cui
Si negozia l’impiego o l’appartenenza ad un’azienda
Da quello in cui giorno per giorno
Viene erogata o parzialmente rinegoziata la prestazione.
5. Tecnologia, organizzazione del lavoro e professionalità
Abbiamo detto che nelle transazioni di lavoro, l’oggetto dello scambio tra
impresa e lavoratore nasce dalla professionalità che il lavoratore ha
acquisito. Questa professionalità è identificabile con un insieme di
informazioni possedute dal lavoratore e sedimentate in date skill. Dipende
cioè oltre che dalle caratteristiche innate, anche dal patrimonio di
esperienza sviluppato attraverso le interazioni tra lavoratore e specifico
contesto lavorativo.
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La professionalità di un lavoratore è concepibile come un pool di
informazioni, di skill manuali e intellettuali, di sapere tecnologico e
organizzativo, ovvero di capitale umano.
Queste skill:
RAPPRESENTANO SPESSO RISORSE E KNOW-HOW DI TIPO TACITO E IMPLICITO, CIOÈ
INCORPORATE NELLA PERSONA E QUINDI NON CODIFICABILI ED ESPLICITABILI COME
ALTRI TIPI DI “SAPERE” SECONDO LA COSIDDETTA METAFORA DEL BLUE PRINT BOOK
(NELSON WINTER 1982, POLANYI);
RAPPRESENTANO SPESSO INFORMAZIONI, CONOSCENZE E CAPITALE UMANO
SPECIFICO DI IMPRESA E DI LUOGO E DI TEMPO, ANCHE SE RELATIVAMENTE FUNGIBILE
IN TERMINI DI UTILIZZO POTENZIALE (HAYEK 1945, WILLIAMSON 1975);
RAPPRESENTANO SPESSO INFORMAZIONI, CONOSCENZE E CAPITALE UMANO
DERIVANTE DA PROCESSI DI APPRENDIMENTO (MALERBA 1988) E DI MEMORIA
ATTRAVERSO IL LORO ESERCIZIO (DOING), UTILIZZO (USING) E SCELTA
(CHOOSING), DI SOLITO LEGATI ALLE ATTIVITÀ DI PROBLEM SOLVING NELLE
ORGANIZZAZIONI (ARGYRIS E SCHOEN 1978, VON HIPPEL 1988, WARGLIEN
1989).
La matrice di questa professionalità sviluppata sul posto di lavoro è
ritrovabile nel concetto di tecnologia, ovvero quel complesso di condizioni
tecniche e organizzative che presiedono alle attività di trasformazione
delle risorse in prodotti/servizi.
In particolare sono individuabili tre tipologie di tecnologie che hanno
rilevanti conseguenze sulla formazione della professionalità dei lavoratori:
1. tecnologie generiche e specifiche;
2. tecnologie effusive e intrusive;
3. tecnologie codificabili e non codificabili.
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5.1 Tecnologie specifiche
La tecnologia è una variabile ambientale che può venire interiorizzata
dall’impresa in modi differenti. Le imprese possono classificare la
tecnologia presente nelle diverse attività in funzione del loro grado di
specificità aziendale.
Il carattere firm specific delle tecnologie dipende da una serie di fattori:
spesso le tecnologie sono sviluppate all’interno delle imprese e sono
finalizzate alla risoluzione di problemi tecnico-economici specifici; esse
possono costituire il prodotto principale o un by-product
dell’organizzazione e presentano quindi caratteri peculiari e non
direttamente applicabili ad altre realtà;
le tecnologie sono in genere finalizzate alla risoluzione di problemi
particolari, e tuttavia possono avere un potenziale di applicazione assai
ridotto o assai ampio a seconda dei soggetti che le utilizzano;
potenziale comunque con trasferibilità limitata;
spesso le tecnologie abbisognano di altre tecnologie complementari per
essere utilizzate, in particolare di codici e linguaggi di comunicazione
che sono specificatamente aziendali o addirittura peculiari di gruppi
professionali o unità organizzative;
spesso le tecnologie sono deliberatamente o involontariamente
protette (windows versus linux) e quindi non disponibili off the shelf a
chi vuole adottarle.
Le tecnologie specifiche sono pertanto quelle finalizzate alla risoluzione di
problemi particolari che l’impresa, l’unità organizzativa o il singolo si sono
trovati storicamente ad affrontare.
Esse implicano un’organizzazione del lavoro in cui le mansioni richiedono
professionalità particolari e implicano processi di apprendimento specifici,
relativi a skill almeno parzialmente infungibili.
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Le abilità relative a questo tipo di mansioni ‘non hanno un mercato’, nel
senso che non essendo riferibili a posizioni e tecnologie analoghe in altre
imprese, il loro contenuto ha un valore solo all’interno del contesto
organizzativo specifico e dell’impresa. Impresa e lavoratore sono locked in
in un rapporto in cui l’una affronta più o meno cospicui costi di
addestramento e inserimento e l’altro possiede e sviluppa una
professionalità parzialmente o totalmente non valorizzabile e non vendibile
altrove.
5.2 Tecnologie generali
Le tecnologie generali sono invece quelle:
finalizzate alla soluzione di problemi più generali che più imprese in un
settore si sono storicamente trovate ad affrontare, o di problemi che
sono comunque riconducibili a quelli presentatisi altrove;
hanno un potenziale di utilizzo più ampio;
sono acquisibili anche dall’esterno e quindi applicabili semplicemente o
convertibili a costi relativamente bassi.
Spesso implicano un’organizzazione del lavoro in cui le mansioni
richiedono professionalità di tipo generale e innescano processi di
apprendimento relativi a skill almeno parzialmente fungibili.
Le abilità relative a questo tipo di mansioni ‘hanno un mercato’ nel senso
che il loro contenuto è assimilabile (in termini di compiti, funzioni e
informazioni) a quello di posizioni analoghe (per analogia tecnologica) in
imprese diverse e quindi trasferibile.
A seconda del grado di specificità, le tecnologie influenzano il grado di
idiosincrasia delle mansioni derivante dalle scelte di organizzazione del
lavoro effettuate dal management. In altri termini, il grado di asset
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specificity delle tecnologie è legato, attraverso le scelte di job design, al
grado di specificità delle mansioni che è uno dei fattori di genesi dei
mercati interni.
5.3 Tecnologie effusive
Una tecnologia è effusiva quando le informazioni rilevanti per lo
svolgimento della mansione e delle funzioni devono essere memorizzate,
interiorizzate e parzialmente sviluppate dall’operatore. Tali informazioni
richiedono un’elaborazione in termini di ‘spazio’ e ‘tempo’ con i soggetti
che coprono altre mansioni e svolgono altre funzioni. Ciò crea una
rilevante interazione dell’operatore rispetto al processo produttivo e un
notevole investimento per l’impresa in termini di ricerca e selezione di
personale col desiderato grado di addestrabilità, in termini di formazione e
di professionalizzazione ricorrente.
In presenza di tecnologie effusive
La divisione del lavoro;
La sostituzione e il rimpiazzo degli operatori;
La turnazione;
L’assenteismo;
Il turnover e le forme flessibili (part-time, job-sharing etc)
Implicano una ripetizione dei costi di professionalizzazione e
apprendimento e comportano attività di trasferimento di informazioni con
le eventuali inefficienze a essa collegate.
Con la tecnologia effusiva l’investimento è assai più cospicuo e non è
necessariamente una conseguenza dei criteri di progettazione delle
mansioni. Infatti con le tecnologie effusive le mansioni tendono ad essere
più ampie e ricche e le rotazioni favorite.
Le tecnologie effusive richiedono un investimento in capitale umano più
cospicuo di quelle intrusive e implicano processi di professionalizzazione
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‘pregiata’ per i lavoratori che sviluppano un repertorio di skill più ricco
(per qualità e quantità).
5.4 Tecnologie intrusiva
Una tecnologia è intrusiva quando le informazioni rilevanti per il processo
produttivo sono memorizzate e incorporate nelle macchine (hardware) o
nei sistemi operativi e procedure (software). Le mansioni, funzioni o
operazioni in oggetto sono svolgibili e gestibili da un qualsiasi operatore,
qualunque sia la sua collocazione spaziale e temporale, senza che sia
necessaria una specifica interazione individuale. In questo caso esiste una
relativa indifferenza dell’operatore rispetto al processo nel senso che
l’investimento dell’impresa nei processi di professionalizzazione e
apprendimento è di entità relativa e trascurabile.
Il lavoro è più facilmente ed economicamente divisibile e la sostituzione e
il rimpiazzo degli operatori non comporta i costi rilevati per le tecnologie
effusive.
La distinzione tra tecnologie effusive e intrusive consente pertanto di
cogliere un primo elemento caratteristico delle professionalità sviluppate
nel rapporto di lavoro dai lavoratori sui processi produttivi: le tecnologie
effusive richiedono investimenti in capitale umano più cospicui di quelle
intrusive e implicano processi di professionalizzazione pregiata per i
lavoratori che sviluppano un repertorio di skill più ricco (per qualità e
quantità).
5.5 Tecnologie codificabili
La distinzione può essere fatta risalire a Nelson e Winter (1982) e alla
cosiddetta “metafora del blue print book”.
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È condivisa l’idea che le tecniche produttive sono caratterizzabili da blue-
prints, cioè da ricette come in libro di cucina. Il know-how tecnologico così
concepito si presenta sotto le forme di un sapere codificato, cioè scritto o
contenuto in un qualche file o manuale, e pertanto facilmente accessibile e
trasferibile tra lavoratore e lavoratore all’interno di un’impresa e tra
impresa e impresa all’interno di un settore.
In realtà non tutte le tecnologie sono codificabili e le informazioni che esse
utilizzano (input) o da esse emanano (output) non sono sempre articolabili
e quindi accessibili e trasferibili ad altri soggetti e altre imprese.
Polanyi (1958) ha sottolineato che il sapere individuale e quindi la
professionalità di un lavoratore hanno una rilevante componente tacita e
implicita, e che molto spesso queste skill non sono codificabili. In
particolare alcune tecnologie richiedono abilità che non sono definibili a
priori, né possono essere capite e acquisite da altri, ma il loro possesso
richiede l’esercizio e la sperimentazione personale.
Le tecnologie codificabili implicano un’organizzazione del lavoro le cui
mansioni richiedono professionalità e quindi skill esplicitabili, misurabili
(cioè comunicabili) e quindi trasferibili ad esempio ad altri lavoratori (esse
possono o meno avere un valore al di fuori del contesto organizzativo
specifico e al di fuori dell’impresa). In altri termini, le abilità necessarie
allo svolgimento della mansione, anche nel caso in cui siano sviluppate dal
lavoratore sono esplicitabili e codificabili in supporti oggettivi.
5.6 Tecnologie non codificabili
Le tecnologie non codificabili implicano un’organizzazione del lavoro in cui
le mansioni richiedono professionalità e quindi skill a forte componente
implicita o tacita. Le abilità relative a questo tipo di mansioni sono
difficilmente esplicitabili e quindi trasferibili ad altri lavoratori, anche se
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possono o meno avere valore in altri contesti organizzativi. In altri
termini, le abilità necessarie allo svolgimento della mansione restano
depositate in modo esplicito e tacito nel lavoratore.
6. Il mercato interno: una rivisitazione
Quindi come abbiamo avuto modo di vedere, la controprova più evidente
dell’esistenza dei mercati interni è basata sull’elevata durata media dei
contratti di impiego nelle imprese.
Le modalità con cui impresa e lavoratore entrano in rapporto e la durata di
questo ultimo, costituiscono un primo modo attraverso cui è valutabile in
termini operativi il concetto di mercato interno. Tanto più è lungo il
rapporto di lavoro tra un’impresa e i suoi collaboratori e tanto più ci si
allontana dal “mercato”, configurato dal “contratto di vendita” e tanto più
ci si avvicina la “mercato interno” configurato dal “contratto di impiego”.
In un’ottica economico-organizzativa, l’impresa da un lato e i lavoratori
dall’altro hanno convenienza a rendere durevole il loro rapporto (e quindi
a creare una situazione di mercato interno) minimizzando il turnover,
quando sussistono due condizioni:
UNA CONDIZIONE QUANTITATIVA; IMPRESA E LAVORATORE REALIZZANO UN
INVESTIMENTO NEL RAPPORTO IL CUI VALORE ATTUALE NETTO (CONSIDERANDO LA
SOMMATORIA DELLE DIFFERENZE ATTUALIZZATE DEI BENEFICI E DEI COSTI DERIVANTI
DAL RAPPORTO) È POSITIVO DOPO UN CERTO NUMERO DI ANNI;
UNA CONDIZIONE QUALITATIVA; IMPRESA E LAVORATORE RISULTANO LOCKED IN NEL
RAPPORTO, CIOÈ IL RECIPROCO INVESTIMENTO NEL RAPPORTO STESSO È DI TIPO
IDIOSINCRATICO E NON VALORIZZABILE AL DI FUORI DELLA LORO RELAZIONE.
Il costo del turnover rappresenta pertanto una sorta di “barriera all’uscita”
dal rapporto. Ma in cosa consiste il costo del turnover per un’impresa?
1. Il costo fisso di ricerca e selezione del personale (reclutamento,
consulenze, screening, colloqui, ecc..);
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2. Il costo fisso d’uscita del personale (outplacement, bonus, indennità
sostitutiva preavviso, ecc..);
3. Il tipo di professionalizzazione cui il lavoratore è sottoposto, che
comprende costi fissi di addestramento e formazione e costi di
apprendimento che sono variabili in funzione del tipo di posizione e di
tecnologia. In particolare, il livello di questi costi di
professionalizzazione è tendenzialmente più elevato in presenza di
tecnologie effusive, e il rischio di non recuperare tali costi è più alto se
la professionalizzazione è di tipo “forte” ed “esplicito”.
Questi costi, sostenuti lungo il periodo di permanenza in azienda del
lavoratore e soprattutto nella fase iniziale, sono prevalentemente
indipendenti dalle prestazioni (cioè dalla produttività, impegno, sforzo
ecc..) erogate dal lavoratore e rappresentano i costi che l’impresa deve
ridurre a zero per poter “entrare” in rapporto di “mercato interno” con il
lavoratore.
Tanto maggiore è il livello di questi costi, tanto più lungo tendenzialmente
dovrà essere il rapporto di lavoro, in quanto più lungo è il payback period
(o il numero degli anni in cui i flussi netti attualizzati di produttività del
lavoratore eguagliano gli investimenti iniziali in capitale umano e le
retribuzioni erogate dall’impresa).
Fondamentalmente nella considerazione dell’investimento in capitale
umano è comunque la specifica quantità della tecnologia e della relativa
organizzazione del lavoro utilizzata.
Se la professionalità del lavoratore è vendibile sul mercato e di tipo “forte”
(tecnologie effusive e generali) e se essa non è esplicita, cioè
comunicabile ad altri lavoratori (tecnologie non codificabili), l’impresa sarà
costretta a intervenire in termini retributivi (ricompense intrinseche o
estrinseche) per limitare il turnover. Sarà cioè costretta a pagare salari di
efficienza.
Considerazioni analoghe a quelle svolte fin qui per l’impresa, potrebbero
essere svolte anche per i lavoratori. Anche per essi esiste un costo di
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turnover dato dalla sommatoria dei costi di ricerca e selezione del posto di
lavoro (informazioni), dai costi di uscita e da quelli di professionalizzazione
e integrazione nel contesto socio-organizzativo dell’impresa.
7. Mercato interno del lavoro come mercato
Una volta che sono state definite le modalità di accesso al mercato interno
e l’entrata nel rapporto di lavoro, la definizione dell’assetto di mercato
interno deriva da come si svolgono le transazioni tra capi e subordinati e
quindi dalle loro caratteristiche.
I meccanismi di governo delle transazioni (selezione, sviluppo, carriera,
valutazione, retribuzione, ecc..) e quindi le eventuali soluzioni contrattuali
in cui si sono inseriti, dipendono dalle scelte strategiche e di struttura
organizzativa oltre che dai vincoli tecnologici e istituzionali.
A seconda del tipo di tecnologia utilizzata, anche l’insieme dei meccanismi
che regolano l’erogazione delle prestazioni di lavoro cambia
profondamente. Ad esempio, è solo in presenza di tecnologie intrusive e
codificabili che l’impresa ha convenienza a rendere flessibile il rapporto
usando la strumentazione contrattuale relativa ai meccanismi di gestione
dell’orario e dell’organizzazione del lavoro (part-time, job sharing, orario
flessibile, rapporto professionale o di consulenza).
I meccanismi di governo delle transazioni di lavoro non si differenziano
però solo per la forma contrattuale attraverso cui impresa e lavoratore
entrano in rapporto realizzando reciproci investimenti match-specific.
Anzi, sono proprio le relazioni tra i soggetti che determinano le modalità
dello scambio tra le prestazioni lavorative fondate sulla professionalità del
lavoratore e il pacchetto di ricompense intrinseche messo a punto
dall’impresa.
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Questo punto è particolarmente importante. Sottolineando l’esistenza di
una dimensione di scambio anche nel mercato interno se ne supera la
visione come “unità amministrativa”, come luogo cioè in cui le transazioni
sono governate esclusivamente da rigidi dispositivi istituzionali. In realtà,
pur nella sua istituzionalizzazione, anche nel mercato interno si svolge una
complessa attività di negoziazione bilaterale e multilaterale, individuale e
collettiva, in cui gli attori si comportano strategicamente a livello sia
individuale che collettivo.
Ad esempio, un manager può scambiare con i propri collaboratori una
certa flessibilità nell’orario di lavoro a fronte di una provata disponibilità a
effettuare straordinari e a lavorare in giorni festivi nei periodi di picco.
Oppure l’intervista di valutazione o il processo di direzione per obiettivi
possono diventare un momento di negoziazione importante in cui il
raggiungimento di obiettivi di risultato viene scambiato con un’allocazione
di risorse più favorevole al valutato.
Inoltre, l’effetto lock in legato al reciproco investimento match specific
effettuato da impresa e lavoratori, crea la possibilità che si generino
comportamenti di tipo elusivo o opportunistico da parte del lavoratore o
da parte dell’impresa. Questo significa ad esempio, che i manager da un
lato ed i lavoratori dall’altro ricerchino inefficienti posizioni di rendita,
caratterizzando dunque ex post il mercato interno come una situazione di
negoziazione bilaterale, cioè come un luogo in cui le prestazioni reciproche
vengono negoziate sulla base della situazione contingente e quindi anche
dei rapporti di potere.
Il mercato interno non è più quindi solo un insieme di meccanismi
amministrativi, di dispositivi istituzionali e comunque organizzativi
finalizzato ad economizzare sui costi delle transazioni di lavoro, ma è
anche, pur nelle sue peculiarità, un vero e proprio “mercato” in cui
lavoratori e impresa rinegoziano, una volta affrontati i costi per entrare in
rapporto, l’erogazione delle prestazioni reciproche. I mercati interni si
differenziano quindi anche per i meccanismi di allocazione, di controllo e di
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incentivazione necessari a far collimare gli obiettivi aziendali con quelli
individuali e collettivi, attraverso comportamenti opportuni.
Tuttavia, questa dimensione negoziabile del mercato interno non deve
indurre in equivoci. Si tratta di un mercato comunque particolare,
caratterizzato da gradi e tipi diversi di istituzionalizzazione. Ad esempio
Rosenbaum (1979) ha evidenziato che i percorsi professionali e di carriera
nelle grandi imprese possono essere interpretati in termini storici
(attraverso i cosiddetti tournments models). Nei mercati interni, la
mobilità nei periodi iniziali è correlata al tipo e alla velocità di carriera
successivamente svolta, per cui, il fatto di iniziare la propria carriera in
una certa unità organizzativa, o di avere un capo che fa carriera molto
rapidamente influenzano in modo determinante i processi di avanzamento.