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aprile 2019 In questo numero - AIMC Notes.pdf · 2019-04-16 · vazione, Cristoforo viene sollevato...

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1 notes n. 7/2019 La misericordia nelle opere di A. Manzoni La misericordia nelle opere di A. Manzoni La misericordia nelle opere di A. Manzoni La misericordia nelle opere di A. Manzoni La misericordia nelle opere di A. Manzoni I f I f I f I f I fra ra ra ra rati c i c i c i c i cappuccini n uccini n uccini n uccini n uccini ne “ e “ e “ e “ e “I p I p I p I p I promes es es es essi s si s si s si s si sposi osi osi osi osi” Il c Il c Il c Il c Il castello de lo de lo de lo de lo dell’Inn nn nn nn nnomina mina mina mina minato (l o (l o (l o (l o (la r a r a r a r a rocc cc cc cc cca s a s a s a s a soma ma ma ma masca) a) a) a) a) nell’imma imma imma imma immagina ina ina ina inario di A. M io di A. M io di A. M io di A. M io di A. Manz nz nz nz nzoni ni ni ni ni Sa Sa Sa Sa San G n G n G n G n Gio io io io iova va va va vanni X nni X nni X nni X nni XXIII, S XIII, S XIII, S XIII, S XIII, Soma ma ma ma masca, a, a, a, a, San Girolamo Emiliani San Girolamo Emiliani San Girolamo Emiliani San Girolamo Emiliani San Girolamo Emiliani Poste Italiane S. P. A. Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/04 n. 46) Art. 1, comma 1, DCB - Roma Direttore: Giuseppe Desideri - Direttore responsabile: Mariella Cagnetta Reg. Tribunale di Roma n. 8617 del 1962 - Quota annua di abbonamento euro 11,00 C. C. P. n. 37611001 Direzione - Redazione - Amministrazione - Stampa Clivo di Monte del Gallo, 48 00165 Roma Tel. 06634651-2 Fax 0639375903 [email protected] aprile 2019 I n questo numero 7 n. P resentiamo in questo nu- mero di Notes alcuni scritti dell’assi- stente nazionale, p. Oddone, frutto di conferenze e di lezioni tenute a studenti o a gruppi di studio. “Un particolare interesse – spie- ga p. Giuseppe – mi lega ad alcuni autori della letteratura italiana, in particolare ad A. Manzoni (1785- 1973), a C. Pavese (1908-1950), a D. Alighieri (1265-1321), perché essi in qualche modo sono coinvol- ti nella storia della Congregazio- ne dei Chierici Regolari di Soma- sca (Somaschi), cui appartengo. Alessandro Manzoni compì i suoi studi ininterrottamente dall’età di sei anni fino a 13 anni nei due collegi somaschi di Merate (1791- 1796) e di Lugano (1796-1798) e ricevette un’eccellente formazione culturale e religiosa. Anche se per un decennio circa dal 1800 al 1810 visse un periodo di allontanamen- to dalla religione e dalla pratica cri- stiana, tornò poi a una convinta vita di fede, che trasfuse in tutte le opere della sua maturità. Conobbe bene la vicenda biografica di San Girolamo Emiliani e, nel periodo trascorso a Lecco, visitò i luoghi ove il santo aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita: per esempio, la rocca di Somasca, un castello in ab- bandono che Girolamo adattò per un certo tempo ad abitazione per i suoi orfani, divenne nell’immagina- rio dello scrittore, per la caratteri- stica isolata e scoscesa posizione, il Castello dell’Innominato. Oltre al Manzoni mi ha appas- sionato la vicenda di Cesare Pave- se, rifugiato sotto falso nome nel periodo della guerra civile (1943- 1945) nel Collegio Trevisio di Ca- sale Monferrato e le testimonian- ze da lui lasciate di questo periodo sia nel suo diario ‘Il mestiere di vi- vere’ sia nel romanzo autobiogra- fico ‘La casa in collina’. Infine, Dante Alighieri, il som- mo poeta, è sempre stato nelle scuo- le superiori della mia Congregazio- ne autore particolarmente studia- to e amato sia nella sua poesia sia nella ricchezza del suo pensiero”. Un insolito itinerario di rifles- sione, un viaggio alla scoperta di retroscena letterari e spirituali ine- diti e di sicuro interesse.
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La misericordia nelle opere di A. ManzoniLa misericordia nelle opere di A. ManzoniLa misericordia nelle opere di A. ManzoniLa misericordia nelle opere di A. ManzoniLa misericordia nelle opere di A. Manzoni

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Direttore: Giuseppe Desideri - Direttore responsabile: Mariella CagnettaReg. Tribunale di Roma n. 8617 del 1962 - Quota annua di abbonamento euro 11,00 C. C. P. n. 37611001

Direzione - Redazione - Amministrazione - Stampa Clivo di Monte del Gallo, 48 00165 RomaTel. 06634651-2 Fax 0639375903 [email protected]

aprile

2019

In questo numero

7n.

P resentiamo in questo nu-mero di Notes alcuni scritti dell’assi-stente nazionale, p. Oddone, fruttodi conferenze e di lezioni tenute astudenti o a gruppi di studio.

“Un particolare interesse – spie-ga p. Giuseppe – mi lega ad alcuniautori della letteratura italiana, inparticolare ad A. Manzoni (1785-1973), a C. Pavese (1908-1950), aD. Alighieri (1265-1321), perchéessi in qualche modo sono coinvol-ti nella storia della Congregazio-ne dei Chierici Regolari di Soma-sca (Somaschi), cui appartengo.

Alessandro Manzoni compì isuoi studi ininterrottamente dall’etàdi sei anni fino a 13 anni nei duecollegi somaschi di Merate (1791-1796) e di Lugano (1796-1798) ericevette un’eccellente formazioneculturale e religiosa. Anche se perun decennio circa dal 1800 al 1810visse un periodo di allontanamen-to dalla religione e dalla pratica cri-stiana, tornò poi a una convintavita di fede, che trasfuse in tutte leopere della sua maturità. Conobbebene la vicenda biografica di SanGirolamo Emiliani e, nel periodo

trascorso a Lecco, visitò i luoghi oveil santo aveva trascorso gli ultimianni della sua vita: per esempio, larocca di Somasca, un castello in ab-bandono che Girolamo adattò perun certo tempo ad abitazione per isuoi orfani, divenne nell’immagina-rio dello scrittore, per la caratteri-stica isolata e scoscesa posizione, ilCastello dell’Innominato.

Oltre al Manzoni mi ha appas-sionato la vicenda di Cesare Pave-se, rifugiato sotto falso nome nelperiodo della guerra civile (1943-1945) nel Collegio Trevisio di Ca-

sale Monferrato e le testimonian-ze da lui lasciate di questo periodosia nel suo diario ‘Il mestiere di vi-vere’ sia nel romanzo autobiogra-fico ‘La casa in collina’.

Infine, Dante Alighieri, il som-mo poeta, è sempre stato nelle scuo-le superiori della mia Congregazio-ne autore particolarmente studia-to e amato sia nella sua poesia sianella ricchezza del suo pensiero”.

Un insolito itinerario di rifles-sione, un viaggio alla scoperta diretroscena letterari e spirituali ine-diti e di sicuro interesse.

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della Congregazione dei Padri Somaschi.

I grandi scrittori della letteratura italiana, inparticolare Dante e Manzoni, ci offrono spesso l’oc-casione per riflettere sulla misericordia di Dio, cheè Amore che cerca l’uomo, lo accoglie, lo perdonae lo salva.

Pensiamo, per esempio, a Dante: Manfredi tra-fitto sul campo di battaglia da due punte mortali sulciglio e sul petto, nonostante i suoi orribili peccati(aveva eliminato diversi avversari politici), morendosi abbandona piangendo a Dio, Colui che volentierperdona. Egli, benché abbia trascorso una vita dascomunicato, ricorda al Papa e ai Vescovi che le brac-cia e la faccia di Dio sono quelle della misericordia(Purg. C. III). Così Bonconte da Montefeltro, feri-to nella battaglia di Campaldino, dopo una lungafuga crolla dissanguato sulla riva dell’Arno. Nel nomedi Maria finisce la sua vita di peccatore. E l’angelo diDio lo porta alla salvezza, nonostante la rabbiosaprotesta del demonio (Purg. C. V).

Ma è soprattutto Ma è soprattutto Ma è soprattutto Ma è soprattutto Ma è soprattutto Alessandro Manzoni che, nel-le opere scritte dopo la sua conversione, presental’azione della misericordia divina e ne fa il centroispiratore delle sue opere, in particolare de I Pro-messi Sposi.

È necessario premettere che, per la suaesperienza di vita, il Manzoni stesso si sentì im-merso in quest’atmosfera divina. Egli, infatti, natonel 1785, passò da un periodo d’intensa formazio-ne letteraria e di educazione cristiana nei collegidei somaschi (1791-1798) al graduale abbandonodella fede per oltre un decennio, per tornare nel1810 con tutta la sua famiglia alla pratica religiosae a una convinta adesione alla fede, che lo sorressee illuminò per tutto il resto della sua vita fino allamorte avvenuta nel 1873.

Il ritorno alla fede convinse il Manzoni cheil cristianesimo trasmette la verità sull’uomo: “Tuttosi spiega con il Vangelo, tutto conferma il Vange-lo… e più si esamina questa religione, più si vedeche essa ha rivelato l’uomo all’uomo” (Osservazionisulla morale cattolica). In pratica, egli non fa cheriprendere un pensiero del grande filosofo cristia-

no Pascal: Cristonon solo chiari-sce la condizioneumana nella suaglobalità, ma sve-la l’uomo a sestesso.

«Non soloconosciamo Diosolo in Gesù Cri-sto, ma conosciamo noi stessi solo in Gesù Cristo.Conosciamo la morte e la vita solo per mezzo diGesù Cristo. Al di fuori di Gesù Cristo non sappia-mo né che cos’è la vita, né la morte, né Dio, né noistessi…. Cristo ha fatto capire agli uomini comefossero egoisti, induriti, asserviti alle loro passioni,ciechi riguardo a Dio e al loro destino. Ma dal mo-mento in cui si volgono a lui, i loro occhi si apronoe imparano chi sono e a chi si affidano” (Pascal).Cristo è veramente la totalità del senso dell’uomo:egli decifra la vita e la salva. È luce e misericordia,via, verità e vita.

Questa rimase la convinzione del Manzoninella sua vitae la propose, in particolare, nel suocapolavoro de I Promessi Sposi.

La misericordia di DioLa misericordia di DioLa misericordia di DioLa misericordia di DioLa misericordia di Dio aleggia su tutta la vi-cenda, porta una ventata di speranza, invita a con-siderare la possibilità di un cambiamento, di unaripresa nuova della vita.

“Dio perdona tante cose per un’opera di mi-sericordia, ripete due volte Lucia all’Innominato,mettendo in moto il processo della grazia, che por-terà questo miscredente e prepotente dalla crudel-tà alla fede. Per bocca di Lucia, Manzoni ci tra-smette una grande verità, che il Padre non aspettaaltro che perdonarci e, per farlo, si accontenta diun’opera di misericordia. “Compisca l’opera di mi-sericordia!” incalza Lucia, vedendo l’Innominatoscosso dalle sue parole. Le parole di Lucia ronzanotutta la notte nella mente dell’Innominato in unacrisi di disperazione e di morte: «Tutt’a un tratto,gli tornarono in mente parole che aveva sentite e

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risentite, poche ore prima: Dio perdona tante cose,per un’opera di misericordia!… ma con un suonopieno d’autorità e che, insieme, induceva una lon-tana speranza».

«Dio ha operato in voi il prodigio della mi-sericordia», dirà il cardinal Federigo all’Innomina-to, quando si rende conto della sua volontà di cam-biamento. Sempre la misericordia è un prodigio.Sempre è la trasformazione di una storia che sem-brava senza prospettiva, incanalata in una direzio-ne scontata, indifferente al bene e complice delmale. La misericordia è la risposta di Dio a ciò chedi sbagliato e di bloccato è presente nel mondo, èla conferma che accettando la fede la storia si riem-pie di sorprese.

MMMMMa è fa è fa è fa è fa è frarararara’ Cr’ Cr’ Cr’ Cr’ Criiiiissssstttttooooofffffooooorrrrrooooo l’auten-tico eroe della misericordia. Eglicompare solo in alcuni momentidella vicenda ma, nonostante ciò,è determinante ai fini della nar-razione.

Lodovico è il vero nome difra Cristoforo. Era figlio di unmercante della borghesia agiata.Cresciuto ed educato come unnobile, aveva più volte tentato difarsi accettare dagli ambienti al-tolocati senza riuscirci.

In una rissa con un nobi-le rivale, dopo l’assassinio del suofedele servo Cristoforo, Lodovicogià ferito uccide, vicino a unachiesa e a un convento di cappuc-cini, il prepotente che egli cordial-mente odiava.

È portato dalla folla quasi fuor sentimentonel convento. Durante la convalescenza Ludovicoesprime la volontà di farsi frate e di prendere il nomedel suo fedele servitore, alla cui famiglia lascia tutti isuoi beni. Prima di partire per il noviziato egli do-manda al padre-guardiano di poter incontrare per-sonalmente il fratello dell’ucciso, per chiedergli scusae perdono, per levargli, se possibile, il rancore dal-l’animo. La decisione è ritenuta ottima per riconci-liare sempre più la potentissima famiglia al conven-to. Fra’ Cristoforo accompagnato dal guardiano sipresenta nella casa del fratello, va diritto a lui, gli sipone ginocchioni davanti, chiede con poche efficaciparole il perdono: “Io sono l’omicida di suo fratello.Sa Iddio se vorrei restituirglielo a prezzo del mio

sangue…”; nella sala sorge un mormorio di appro-vazione, Cristoforo viene sollevato da terra dal no-bile stesso che ha cambiato il suo altezzoso atteg-giamento. Fra’ Cristoforo in piedi a capo chino sen-te le parole “Certo io le perdono di cuore” e tuttiapprovano tanto che, nella commozione generale, ilfratello dell’ucciso getta le braccia al collo di fra Cri-stoforo, “e gli diede e ne ricevette il bacio di pace”.Infine, il novizio chiese un segno, un pane del perdo-no, che mise nella sporta e in parte consumò, in parteconservò per tutta la sua vita.

Già in questa prima apparizione fra’ Cri-stoforo lascia intuire quale sarà il suo cammino disantità: essere immerso nella misericordia di Dio efare opere di misericordia; ha peccato di omicidio,

sarà sempre consapevole diquesto, ha chiesto e ottenutoil perdono e vorrà sempre chegli uomini sappiano perdona-re, nella sua sporta ha sem-pre quel pane, segno del per-dono ricevuto, legato al tra-gico ricordo dell’uccisione delsuo rivale, vivrà in spirito dipenitenza e di espiazione. Nel-lo stesso tempo, egli rivelal’energia della sua volontà, ildesiderio della giustizia tra gliuomini. La grazia eleva e mo-difica in parte la sua indole,ma non l’annulla. Egli saràsempre il santo penitente, ildifensore dei poveri e l’araldodel perdono.

Per ottenere giusti-zia affronta direttamente senza risultato Don Ro-drigo. Renzo d’altra parte, che ha subìto da partedel signorotto un atroce sopruso e ha visto fallire ilsuo matrimonio, ribolle dal desiderio di vendetta eva in cerca di amici che lo aiutino in questo compi-to, ma poi nell’incontro con il frate conclude: “Ciar-loni… vedesse come si ritirano”. Padre Cristoforosi rannuvola in volto, esplode in un rimprovero.Poi “afferrò fortemente il braccio di Renzo: il suoaspetto senza perdere d’autorità, s’atteggiò d’unacompunzione solenne gli occhi s’abbassarono, lavoce divenne lenta e come sotterranea: quandopure… è un terribile guadagno”.

La scena si ripete ancora più drammatica-mente nel lazzaretto quando Renzo ritrova PadreCristoforo e gli chiede di poter cercare Lucia. Ma

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all’ipotesi di non poterla trovare si riaccende in lui larabbia: “Se non la trovo vedrò di trovare qualche-dun altro. O a Milano, o nel suo scellerato palazzo,o in capo al mondo o a casa del diavolo, lo troveròquel furfante che ci ha separati; quel birbone, chese non fosse stato lui, Lucia sarebbe mia da ventimesi; e se eravamo destinati a morire, almeno sa-remmo morti insieme. Se c’è ancora colui, lo trove-rò”.

Terribile è la reazione di Padre Cristoforo: “Vasciagurato vattene! Io speravo… sì ho sperato che,prima della mia morte, Dio m’avrebbe dato questaconsolazione di sentir che la mia povera Lucia fos-se viva… ma tu n’hai levato la speranza… Va nonho più tempo di darti retta…” Renzo si ravvede,promette davvero di perdonare e fra Cristoforo rias-sume ancora la sua storia: “Ho odiato anch’io; ioche t’ho ripreso per un pensiero, per una parola,l’uomo ch’io odiavo cordialmente, che odiavo dagran tempo, io l’ho ucciso”.

Porta, poi, Renzo al capezzale di Don Rodri-go, “può essere castigo, può essere misericordia” dicefra’ Cristoforo e Renzo, solo con il cuore libero dal-l’odio, può aggirarsi per il lazzaretto, ritrovare Luciaviva, farla sciogliere dall’impegno del suo voto.

Prima di scomparire dalla vicenda del ro-manzo fra’ Cristoforo consegna ai promessi sposiil pane del perdono: “Qui dentro c’è il resto di quelpane… il primo che ho chiesto per carità… Lo la-scio a voi altri: serbatelo, fatelo vedere ai vostri fi-glioli. Verranno in un tristo mondo e in tempi tri-sti… dite loro che perdonino sempre, sempre tut-to, tutto! E porse la scatola a Lucia”. Qui le figurepiù sante e più pure di tutto il romanzo s’incontra-no per una consegna. Solo Padre Cristoforo pote-va capire la bellezza dell’anima di Lucia. Il Manzo-ni aveva già accostato le due creature, pure da ognimacchia, nella visione notturna di Renzo in fugada Milano, in cerca di salvezza al di là dell’Adda:“una treccia nera ed una barba bianca”.

Il tema della misericordiaIl tema della misericordiaIl tema della misericordiaIl tema della misericordiaIl tema della misericordia pervade anche lealtre opere del Manzoni. Negli Inni Sacri il poetamette in luce l'importanza e gli effetti della fedenella vita personale, familiare e sociale degli uomi-ni; in particolare nell’attenzione agli ultimi, ai pic-coli, agli offesi ed emarginati. Per la misericordiadi Dio il divino è veramente calato nell’umano.

Nel Cinque Maggio troviamo un’altra pro-fonda celebrazione della fede e della misericordiadi Dio. Quando nel luglio del 1821 il Manzoni les-

se la notizia dellamorte di Napoleo-ne, fu soprattuttocolpito dal fattoche il grande con-dottiero avesse vo-luto riconciliarsicon la Chiesa, rice-vere i sacramenti eche sul suo lettofunebre fosse po-sata la Croce.

Cadde inuna specie di tran-ce poetica e ripen-sò alla luce della fede tutta la vicenda umana e so-prannaturale dell’ex-imperatore, che aveva persempre segnato la storia dell’Europa.

Due narrazioni epiche sono a confronto,quella terrena e quella soprannaturale della graziamisericordiosa di Dio. Da una parte, la rapidità e lavastità dell’azione di guerra, la gloria militare (fuvera gloria?), il premio insperato della conquistadel potere. Poi, l’immobilità, chiuso nella brevesponda dell’isola di Sant’Elena, l’inazione, il cumu-lo dei ricordi, la disperazione. Infine, scatta l’inter-vento della misericordia divina, scende la mano dalcielo che avvia Napoleone per i floridi sentieri dellasperanza, al premio eterno, là ove tace ogni gloriaterrena. L’esaltazione della fede esplode nelle dueultime strofe: l’ex-imperatore è redento sia comeuomo sia come protagonista della storia, perchél’accettazione della grazia dà una particolare colo-ritura a tutta la sua sofferta vicenda umana e poli-tica, davanti “al massimo Fattor che volle in Lui delcreator suo spirito più vasta ombra stampar”.

Per il Manzoni la fede deve essere attiva eoperatrice di misericordia: egli respinge con forza latesi arbitraria di chi vede nella morale cattolica laresponsabile della corruzione dei costumi e dellapolitica italiana, anzi sottolinea come la fede cristia-na crea energie di carità e di promozione umana.Basti un esempio su tutti. Il Manzoni lo riporta nel-le Osservazioni sulla morale cattolica, memore del-l’educazione ricevuta dai padri somaschi: “San Car-lo, che si spogliava per vestire i poveri e che vivendotra gli appestati per dar loro ogni maniera di soccor-so, non dimenticava che il suo pericolo, quel Giro-lamo Miani che andava in traccia di orfani pezzentiper nutrirli e disciplinarli, con quell’ansia che un am-bizioso metterebbe a brigare l’educazione del figliod’un re, non pensavano dunque che all’anime loro?”.

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I biografi che hanno descritto gli anni giovanilidel Manzoni (mi riferisco in particolare ad Anto-nio Stoppani, I primi anni di Alessandro Manzoni,Milano 1874) parlano con interesse degli anni tra-scorsi dal piccolo Lisandrino assieme al padre e aduna schiera di zie nubili nella casa del Caleotto diLecco. Egli ritornava qui regolarmente d’estate,durante le vacanze dal Collegio di Merate prima edi Lugano poi. Infatti dai sei ai tredici anni il Man-zoni ebbe un’intensa educazione intellettuale emorale nelle scuole dei Padri Somaschi, sotto unadisciplina, che il piccolo Alessandro, più che orfa-no, praticamente abbandonato dalla madre GiuliaBeccaria, particolarmente soffriva. I Padri suoi pre-cettori nei due Collegi gli dettero, come lo stessoManzoni riconobbe, un’eccellente formazione cul-turale e religiosa (a undici anni componeva già versiin italiano ed in latino) e gli inculcarono una pro-fonda devozione mariana e la fiducia nella Provvi-denza, valori purtroppo travolti dalle giovanili in-clinazioni giacobine e illuministiche parigine, maripresi con vigore con il suo ritorno alla fede nel1810.

Ma l’estate era diversa, davvero diversa dai lun-ghi mesi passati in Collegio. Ah!...poter scorazzarenel parco della sua casa, contemplare i suoi montie quel ramo del lago di Como che volge a mezzo-giorno, raggiungere i piccoli borghi vicini, riper-correndo le stradicciole e le viottole della campa-gna, incuriosirsi delle piccole cappelle erette a for-ma di tabernacolo con dipinte fiamme ed animedel Purgatorio, là dove le stradine si divaricavano,scendere con dei compagni per le case e le villebiancheggianti sul pendio fino alla confluenza deltorrente Bione nel lago di Garlate a veder pescare,o a divertirsi con le reti attaccate al muro ad asciu-gare, a giocare a rimbalzello con i sassolini piattisulla superficie dell’acqua! Qualche volta gli capi-tava di incontrare qualche cappuccino con la bar-ba bianca, che gli faceva qualche carezza di simpa-tia e gli donava qualche santino.

Sì perché i Cappuccini erano ben presenti nelterritorio di Lecco ed avevano due conventi uno aPescarenico e l’altro a Castello ed il padre di Ales-

I fI fI fI fI frararararattttti ci ci ci ci caaaaappppppppppuccini nuccini nuccini nuccini nuccini ne I Pe I Pe I Pe I Pe I Prrrrrooooommmmmesesesesessi Ssi Ssi Ssi Ssi Sppppposiosiosiosiosi

sandro, il conte Pietro, era loro amico. Talvolta livisitava nei loro conventi, era loro ospite, ed a suavolta ne invitava qualcuno a pranzo a casa sua. Concadenza regolare, solitamente alla fine dei raccoltipassavano i fratelli laici cercatori a raccogliere nocio il grano o l’olio o il vino per le necessità del con-vento e dei poveri. Senza dubbio questi religiosi cosìpopolari e paterni, per tanti aspetti diversi dai suoiprecettori somaschi che esigevano da lui una vitadisciplinata, dedita allo studio ed al lavoro scolasti-co, gli riuscirono grandemente simpatici: ne fu in-curiosito, e da ragazzo intelligente qual era ne os-servò le abitudini, la mentalità, il modo di parlare ela loro spiritualità.

I conventi dei cappuccini ne I Promessi Sposi.I conventi dei cappuccini ne I Promessi Sposi.I conventi dei cappuccini ne I Promessi Sposi.I conventi dei cappuccini ne I Promessi Sposi.I conventi dei cappuccini ne I Promessi Sposi.Nel romanzo sono descritti ben quattro con-

venti dei Cappuccini: il convento in cui ripara feri-to Ludovico prima di diventare frate Cristoforo(non è detto il luogo), il convento di Pescarenicocon una comunità di sette religiosi, il convento diMonza con il suo disinvolto padre guardiano ed ilconvento di Porta Orientale di Milano con frateBonaventura da Lodi. Altri Cappuccini compaio-no ancora nella vicenda. Il P. Provinciale (non hanome, rappresenta una funzione, l’autorità checomanda sui frati della Lombardia), ed i Cappuc-cini del Lazzaretto di Milano sotto la guida di P.Felice Casati e P. Michele Pozzobonelli (personag-gi storici).

Il convento in cui si rifugia Ludovico, matu-Il convento in cui si rifugia Ludovico, matu-Il convento in cui si rifugia Ludovico, matu-Il convento in cui si rifugia Ludovico, matu-Il convento in cui si rifugia Ludovico, matu-rararararannnnndo ldo ldo ldo ldo la dea dea dea dea decicicicicisiosiosiosiosionnnnne di die di die di die di die di divvvvvenenenenentttttaaaaarrrrre fe fe fe fe frarararara’ Cr’ Cr’ Cr’ Cr’ Criiiiissssstttttooooofffffooooorrrrrooooo.....

L’uccisione del nobile prepotente dopo l’assas-sinio del fedele servo di Ludovico ed il suo feri-mento avvengono vicino ad una Chiesa e ad unconvento di Cappuccini. Ludovico è condotto dal-la folla quasi fuor sentimento ed i frati lo accolgo-no dalle mani del popolo. Chiesa e convento erano“asilo impenetrabile ai birri, a tutto quel complessodi cose e di persone che si chiamava la giustizia”.Quando rinviene Ludovico si ritrova nell’inferme-ria del convento “nelle mani del frate chirurgo (iCappuccini ne avevano ordinariamente uno in ogniconvento) che accomodava faldelle e fasce sulle dueferite, che aveva ricevuto nello scontro”.

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La comunità religiosa viene tuttavia a trovarsiin una situazione difficile. Il convento è immedia-tamente circondato dalla sbirraglia e arrivano an-che i parenti dell’ucciso, armati da capo a piedi congrande accompagnamento di bravi e fanno la ron-da intorno. La famiglia dell’ucciso, potentissima,vuole vendetta. D’altra parte i frati non vogliono,né possono dimettere Ludovico e consegnarlo aisuoi nemici. “Sarebbe stato lo stesso che rinuncia-re ai propri privilegi, screditare il convento pressoil popolo, attirarsi il biasimo di tutti i Cappuccinidell’universo, per aver lasciato violare il diritto ditutti…”. Nel frattempo dopo avere fatto testamen-to a favore della famiglia del fedele servitore Cri-stoforo, Ludovico esprime l’idea di farsi frate, ideache altre volte era balenata nelpassato nella sua mente. I fratidel convento accolgono con sim-patia questa decisione, perchépermette loro di trovare una viad’uscita. Farsi frate, pentirsi e ri-conoscere di aver sbagliato,espropriarsi di tutto, camminarescalzo, vivere di carità, dormiresu un saccone poteva parere unapunizione anche all’offeso piùborioso.

Nel contattare la famiglia sirivela tutta la diplomazia del pa-dre guardiano che con umiltà di-sinvolta si presenta al fratello dell’ucciso, fa milleproteste di rispetto per l’illustrissima casa, parla delpentimento di Ludovico e della sua decisione di farsifrate, si adatta all’ira del fratello, dicendo di tantoin tanto “È un troppo giusto dolore”, non rispondenulla all’affermazione che la famiglia saprà pren-dersi qualche soddisfazione, infine accetta l’impo-sizione che l’uccisore di suo fratello fatto frate siaimmediatamente cacciato dalla città.

A Padre Cristoforo tuttavia questa soluzionepare incompleta. Egli domanda al padre guardianodi poter incontrare personalmente il fratello del-l’ucciso, per chiedergli scusa e perdono, per levar-gli se possibile il rancore dall’animo. Il guardianoritiene la decisione ottima per riconciliare semprepiù la potentissima famiglia al convento e va im-mediatamente a concordare la cosa. Ed abbiamonel racconto una meravigliosa pagina, una verastampa del Seicento: il palazzo brulica di tutti i pa-renti, di signori di ogni età, anticamere e cortili,persino la strada formicolano di servitori, di paggi,

di curiosi, il padrone sta impettito ed armato nellasala, fra Cristoforo accompagnato dal guardianova diritto a lui, gli si pone ginocchioni davanti, chie-de con poche efficaci parole il perdono: “io sonol’omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei resti-tuirglielo a prezzo del mio sangue…”; nella salasorge un mormorio di approvazione, Cristoforoviene sollevato da terra dal nobile stesso che ha cam-biato il suo altezzoso atteggiamento ed in piedi acapo chino sente le parole...”certo io le perdono dicuore” e tutti approvano tanto che nella commo-zione generale il fratello dell’ucciso getta le brac-cia al collo di fra Cristoforo, “e gli diede e ne rice-vette il bacio di pace”. Infine il novizio chiede unsegno, un pane del perdono, che mise nella sporta

e in parte consumò, in parte con-servò per tutta la sua vita.

Già in questa prima apparizio-ne fra Cristoforo lascia intuirequale sarà il suo cammino di san-tità: ha peccato di omicidio, saràsempre consapevole di questo, hachiesto ed ottenuto il perdono evorrà sempre che gli uomini sap-piano perdonare, nella sua sportaha sempre il segno del perdonoricevuto, legato al tragico ricordodell’uccisione del suo rivale, vivràin spirito di penitenza e di espia-zione. Nello stesso tempo egli ri-

vela l’energia della sua volontà, il desiderio della giu-stizia tra gli uomini. La grazia eleva e modifica inparte la sua indole, ma non l’annulla. Egli sarà sem-pre il lottatore per la giustizia, il santo penitente,illuminato dalla fede, e l’araldo del perdono.

Come lottatore per la giustizia fra Cristoforoappare nel drammatico incontro con Don Rodri-go, che egli con un atteggiamento forte ed antidi-plomatico mette subito di fronte alle sue responsa-bilità, quella di far paura ad un povero curato e disoverchiare due innocenti. E’ tutto un crescendodi sentimenti di incomprensione e di ostilità fino aquel “Verrà un giorno…”, che riempie Don Rodri-go di un lontano e misterioso spavento, destinato ariemergere nel sogno notturno del signorotto or-mai in preda alla peste.

Renzo d’altra parte, che ha subito da parte diDon Rodrigo un atroce sopruso ed ha visto fallireil suo matrimonio, ribolle dal desiderio di vendettae va in cerca di amici che lo aiutino in questo com-pito, ma poi nell’incontro con il frate conclude

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“Ciarloni… vedesse come si ritirano!”. Padre Cri-stoforo si rannuvola in volto, esplode in un rim-provero. Poi “afferrò fortemente il braccio di Ren-zo: il suo aspetto senza perdere d’autorità, s’atteg-giò d’una compunzione solenne gli oc-chi s’abbassarono, la voce divenne lentae come sotterranea: - Quando pure… èun terribile guadagno -”. Padre Cristo-foro si porta dentro per tutta la vita il fan-tasma del suo omicidio. La scena si ripe-te ancora più drammaticamente nel laz-zaretto quando Renzo ritrova Padre Cri-stoforo e gli chiede di poter cercare Lu-cia. Ma all’ipotesi di non poterla trovaresi riaccende in lui la rabbia: “se non latrovo vedrò di trovare qualchedun altro.O a Milano, o nel suo scellerato palazzo,o in capo al mondo o a casa del diavolo,lo troverò quel furfante che ci ha sepa-rati; quel birbone, che se non fosse stato lui, Luciasarebbe mia da venti mesi; e se eravamo destinati amorire, almeno saremmo morti insieme. Se c’è an-cora colui, lo troverò.” Terribile è la reazione diPadre Cristoforo: “Va sciagurato vattene! Io spera-vo… si ho sperato che, prima della mia morte, Diom’avrebbe dato questa consolazione di sentir chela mia povera Lucia fosse viva… ma tu n’hai levatola speranza… Va non ho più tempo di darti ret-ta…” Renzo si ravvede, promette davvero di per-donare e fra Cristoforo riassume ancora la sua sto-ria: “Ho odiato anch’io; io che t’ho ripreso per unpensiero, per una parola, l’uomo ch’io odiavo cor-dialmente, che odiavo da gran tempo, io l’ho ucci-so”. Porta poi Renzo al capezzale di Don Rodrigo, esolo con il cuore libero dall’odio Renzo può ritro-vare Lucia viva, farla sciogliere dall’impegno del suovoto. Prima di scomparire dalla vicenda del romanzofra Cristoforo consegna ai promessi sposi il panedel perdono: “qui dentro c’è il resto di quel pane…il primo che ho chiesto per carità… Lo lascio a voialtri: serbatelo, fatelo vedere ai vostri figlioli. Ver-ranno in un tristo mondo ed in tempi tristi… diteloro che perdonino sempre, sempre tutto, tutto! Eporse la scatola a Lucia”. Qui le figure più sante epiù pure di tutto il romanzo si incontrano per unaconsegna. Solo Padre Cristoforo poteva capire labellezza dell’anima di Lucia. Il Manzoni aveva giàaccostato le due creature, pure da ogni macchia,nella visione notturna di Renzo in fuga da Milano,in cerca di salvezza al di là dell’Adda: “una treccianera ed una barba bianca”.

Il coIl coIl coIl coIl connnnnvvvvvenenenenenttttto di Po di Po di Po di Po di Pesesesesescccccaaaaarrrrrenicoenicoenicoenicoenico. . . . . È il punto di rife-rimento di tutta la prima parte del romanzo finoalla fuga di Renzo, Lucia ed Agnese dal loro paese.Oltre al padre guardiano e a Padre Cristoforo, che

teme il rimprovero e la punizione del suo superio-re (non uscire il giorno dopo) se rientrerà tardi inconvento, vi sono il cercatore fra Galdino, il sacri-sta fra Fazio, Padre Atanasio, Padre Girolamo ePadre Zaccaria. Una comunità di sette religiosi, cin-que sacerdoti e due fratelli laici.

Qualche breve cenno sui componenti: essi ven-gono tutti direttamente o indirettamente raffron-tati con Padre Cristoforo.

Fra Galdino è il frate cercatore che incarna inmodo semplice e riduttivo lo spirito del suo con-vento, di cui lui è un pacifico e simpatico rappre-sentante. E’ immediatamente riconosciuto duran-te la cerca da Agnese e Lucia, è curioso delle lorovicende, è sviato nella sua curiosità da Agnese chesi informa invece sulla cerca. Galdino si identificacon il suo ruolo e le sue noci, soggiunge nella suaegoistica logica conventuale che per fare tornarel’abbondanza è necessaria l’elemosina al conventoe racconta con ingenuità il miracolo delle noci inun convento di Romagna con il P. Macario, il be-nefattore ed il figlio scapestrato. Il racconto finiscecon un’immagine poetica e retorica insieme: “Noisiamo come il mare che riceve acqua da tutte leparti e le torna a distribuire a tutti i fiumi”.

L’esaltazione dei valori del convento ritor-na ancora sulla bocca di fra Galdino nel colloquiocon Agnese quando essa torna da Monza e cercadi Padre Cristoforo, che invece è partito per Rimi-ni. Fra Galdino esalta e difende l’obbedienza reli-giosa, fra Cristoforo è solo uno dei tanti predicato-ri che danno lustro all’ordine – un religioso inter-

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cambiabile - ed ipotizza che sia stato richiesto comepredicatore dal provinciale di un’altra regione edabbia spiccato il volo senza più sapere dove andrà aposarsi: “abbiamo conventi in tutte le parti delmondo”.

Di fronte alla desolazione di Agnese fra Gal-dino consiglia di ricorrere a Padre Zaccaria: “E’ unuomo di vaglia, vedete il P. Zaccaria. E non istate abadare come fanno certi ignoranti, che sia cosìmingherlino, con una vocina fessa e una barbettamisera misera: non dico per predicare, perché ognu-no ha i suoi doni; ma per dare dei pareri è un uomo,sapete?” Ma Agnese non ha bisogno di pareri, habisogno solo di Padre Cristoforo che aveva prepa-rato tutto per aiutarli. L’umorismo manzoniano èdiscreto, ma tagliente. Per aiutare i poveri non ba-sta appartenere ad un ordine religioso, dare deipareri, bisogna coinvolgersi con loro ed aiutarliconcretamente.

Un altro frate del convento è il sacrestano FraFazio che appare accanto a fra Cristoforo quandoper cercare scampo, Agnese, Renzo e Lucia entra-no nella chiesa del convento di Pescarenico. FraFazio ha fatto tutta la resistenza possibile per quel-la attesa notturna dei fuggitivi, “incomoda” perchédeve vegliare di notte, “pericolosa”, perché si accol-gono dei perseguitati da un signorotto che potreb-be vendicarsi, “irregolare” perché contro le Costi-tuzioni: “ma padre, ma padre… di notte… in Chie-sa… con donne… la regola… E tentennava la te-sta”. Ci vuole tutta l’autorità morale di Padre Cri-stoforo, la sua battuta “Omnia munda mundis” perindurlo a questa opera di carità. Il contrasto umo-ristico fra lo scrupolo di fra Fazio e l’altezza moraledi Padre Cristoforo fa risaltare bene la carità delPadre che mette il servizio dei poveri ben prima deicomodi, dei rischi personali e delle regole del con-vento.

Il convento di Monza e il padre guardianoIl convento di Monza e il padre guardianoIl convento di Monza e il padre guardianoIl convento di Monza e il padre guardianoIl convento di Monza e il padre guardianoAl convento di Monza arrivano Agnese e Lu-

cia, accompagnate dal barrocciaio. Il padre guar-diano riceve la lettera di padre Cristoforo, ricono-sce subito la scrittura del grande amico, legge constupore, interesse ed indignazione, e decide imme-diatamente di condurre le donne dalla signora, cioèdalla monaca di Monza. Appare subito il suo carat-tere: ha spirito di iniziativa, mostra simpatia per ledonne, in particolare per Lucia, con una battuta dionesta ed arguta mondanità, inconcepibile sullabocca di fra Cristoforo: “Dio sa quante belle chiac-

chiere si farebbero, se si vedesse il padre guardianoper strada, con una bella giovine…”, le invita a se-guirlo ad una certa distanza e le conduce al mona-stero, va solo a chiedere la grazia, poi presenta ledonne alla Signora dopo aver loro detto di essereumili e rispettose, le parla a capo basso e con lamano sul petto, con molto riguardo e sottile diplo-mazia, e nel raccontare le vicende di Lucia difendei cavalieri ed i grandi del mondo, facendo notareche non tutti hanno lo spirito caritatevole della Si-gnora. Poi, dopo aver ottenuto il suo scopo ed es-sersi licenziato, scrive immediatamente una lette-ra di ragguaglio al padre Cristoforo, pensando cosìdi lui: “Il mio Cristoforo non s’aspetterà certo cheio lo abbia servito così presto e bene. Quel brav’uo-mo! Non c’è rimedio: bisogna che si prenda sem-pre qualche impegno; ma lo fa per bene…”.

Fra Cristoforo è ammirato dal confratello,ma anche giudicato eccessivo per il suo zelo fuoridel convento; il padre guardiano di Monza, per al-tro attivo, generoso ed un po’ narcisista, è l’espres-sione di quella neutralità inconsapevole e comodadi tanti religiosi di fronte alle ingiustizie del mon-do, mentre padre Cristoforo è l’antagonista decisodi questa mentalità che porta ad evitare i contrastie tende al quieto vivere.

Il coIl coIl coIl coIl connnnnvvvvvenenenenenttttto di Po di Po di Po di Po di Pooooorrrrrttttta oa oa oa oa orrrrrienienienienientttttaaaaale di Mle di Mle di Mle di Mle di MiiiiilllllaaaaannnnnoooooVi arriva Renzo, anche lui con una lettera di

Padre Cristoforo, dopo la fuga dal suo paese. Il con-vento non esisteva più quando il Manzoni scrisse ilromanzo, perché nel 1812 venne demolito ed alsuo posto venne costruito il palazzo Rocca-Sapori-ti. Il complesso era formato da una bella piazzettaed in fondo a quella c’era la Chiesa e l’edificio delconvento con quattro grandi olmi davanti. Renzo

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andò diritto alla porta per poter consegnare la let-tera: Tutto il breve racconto lascia trasparire unclima teso di paura e di sospetto. E’ il primo giornodella rivolta di Milano contro la carestia. Il con-vento non si apre per Renzo. Compare il frate por-tinaio che non apre la porta, ma solo uno sportelli-no con una grata, il frate domanda subito l’identi-tà di Renzo che risponde in modo generico, uno dicampagna che deve consegnare una lettera a fraBonaventura da Lodi. Il frate è sbrigativo: “Datequi...” Ma il giovane rifiuta di consegnare la lette-ra; vuole darla lui personalmente. Purtroppo fraBonaventura non è in casa. Renzo chiede ugual-mente di entrare in convento e di attenderlo. Ma larisposta del portinaio è secca: “In convento peradesso non s’entra”. E’ aperta invece la Chiesa delconvento e Renzo è invitato ad andare là ad aspet-tare. Ascolta il consiglio, fa dieci passi verso la por-ta della Chiesa, poi cambia idea e decide di dareun’occhiata al tumulto, riattraversa la piazzetta, siferma sull’orlo della strada, poi gira a sinistra versoil centro della città, dove il vociare era più forte erumoroso.

Del convento di Porta Orientale si parla ancoranel romanzo in due occasioni: una di carattere sto-rico per dire che il soldato sventurato e portatoredi sventura che introduce la peste a Milano andò afermarsi in una casa vicina al convento dei Cap-puccini, vi morì, dopo avervi lasciato un seminio diinfezione che non tardò a germogliare; l’altra, quan-do Renzo scambiato per untore e minacciato dallafolla salta giù dal carro dei monatti sul corso diPorta Orientale, scappa via e nella sua fuga verso illazzaretto riconosce il convento dei Cappuccini,dove era passato venti mesi prima.

Il padre provinciale dei cappucciniIl padre provinciale dei cappucciniIl padre provinciale dei cappucciniIl padre provinciale dei cappucciniIl padre provinciale dei cappucciniIl p. Cristoforo nella sua lotta per la giustizia,

animato dal suo impeto antico, ponendosi controDon Rodrigo e contro la sua classe sociale, la no-biltà, viene praticamente lasciato solo, condannatoall’incomprensione ed all’isolamento.

È lo stesso fra Cristoforo all’inizio della vicen-da a capire la sua situazione quando valuta le varieipotesi per fermare Don Rodrigo: “Ah se potessi, sepotessi tirar dalla mia i frati di qui, quei di Milano.Ma! Non è un affare comune, sarei abbandona-to… Sarei solo in ballo; mi buscherei anche del-l’inquieto, dell’imbroglione, dell’attaccabrighe...”

È in sostanza un tipo scomodo, per confratellie superiori, perché non accetta lo status quo della

società del suo tempo, non evita l’urto tra le classidei poveri e dei nobili, tra le istituzioni ecclesiasti-che ed il potere civile.

Quando si configura il confronto fra i maneggidel potente conte zio, ben istruito dal conte Attilio,ed il Padre Provinciale dei Cappuccini, davanti allarichiesta di trasferire fra Cristoforo egli tenta dievitare lo scontro; ma tra la schermaglia diploma-tica e le oscure allusioni e minacce, il Provinciale,passo dopo passo, pur consapevole dell’innocenzadi fra Cristoforo e della giusta causa per cui si bat-te, si limita ad una difesa d’ufficio del suo confra-tello e finisce per cedere, purchè venga salvatol’onore dell’abito: “Colpa mia! Lo sapevo che quelbenedetto Cristoforo era un soggetto da farlo gira-re di pulpito in pulpito e non lasciarlo fermare seimesi in un luogo, specialmente in conventi di cam-pagna”. Pensa in sintesi che allontanarlo da Pesca-renico, un convento di campagna dove i soprusicontro i poveri sono più facili, sia il male minore.

Bellissima la scena dell’obbedienza, che fu uncolpo per il povero frate che pensa subito a Renzo,Lucia ed Agnese, poi si accusa di aver mancato difiducia, di essersi creduto necessario a qualche cosa.“Mise le mani in croce in segno di obbedienza e chi-nò la testa di fronte al frate guardiano… e col com-pagno prese la strada che gli era stata prescritta”.

I cappuccini nel lazzaretto di MilanoI cappuccini nel lazzaretto di MilanoI cappuccini nel lazzaretto di MilanoI cappuccini nel lazzaretto di MilanoI cappuccini nel lazzaretto di MilanoUno straordinario merito storico dei Cappuc-

cini di Milano fu di aver assunto la direzione delLazzaretto prima ingovernabile per l’indisciplina deiserventi, per la sfrenatezza di molti rinchiusi, perla confusione, per l’incapacità dei preposti. Il tri-bunale di sanità ed i decurioni non sanno più dovebattere il capo, pensano allora di rivolgersi ai Cap-

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puccini, supplicano il commissario della provinciareligiosa, che teneva il posto del Provinciale, mor-to poco prima, di assumere il governo di quel re-gno desolato.

I Cappuccini accettano inviando Padre FeliceCasati, uomo maturo e caritatevole, attivo, forte emite allo stesso tempo e lo affiancano con il giova-ne padre Michele Pozzobonelli, serio e responsabi-le. Al Padre Felice viene data la piena e supremaautorità. Anche lui sul principio è contagiato dallapeste, guarisce e riprende il suo impegno di gover-no, animando e regolando ogni cosa.

In quel luogo, per lo più volontari, v’accorseroaltri Cappuccini e furono soprintendenti, confes-sori, amministratori, infermieri, guardarobi, lavan-dai, tutto ciò che occorresse.

Il Manzoni riflette sulla paura del contagio, sulrifiuto di un compito difficile e pericoloso da partedei responsabili civili. Il vigore ed il sangue freddonecessario per questo compito l’autorità civile lotrova nei Cappuccini. “E perciò l’opera ed il cuoredi questi frati meritano che se ne faccia memoriacon ammirazione, con tenerezza, con quella spe-cie di gratitudine per i gran servizi resi da uomini auomini e più dovuta a quelli che non se la pongo-no per ricompensa”. E’ ancora Padre Felice chedurante la moria generale, con la città rigurgitantedi cadaveri, toglie dai guai le autorità pubbliche (ilpresidente di sanità disperato non sa cosa fare) eraccoglie duecento contadini e fa scavare nei pres-si del lazzaretto tre grandissime fosse, perché unaè ormai stracolma e precetta i monatti perché rac-colgano i morti insepolti. Purtroppo tra i monattisi annidavano molti birboni, risparmiati dalla pe-ste, che sguazzavano nella moria generale.

La desolazione di Milano è terribile: muoiono idue terzi della popolazione.

Quando Renzo giunge al recinto del lazzarettovi sono ricoverati sedicimila appestati in capanne,baracche, portici allineati, che convergono al cen-tro verso una grande cappella ottagonale. Egli in-contra dapprima un cappuccino con una barbabianchissima che porta in un reparto, un ospedaledegli innocenti, due bambini strillanti, uno per brac-cio, raccolti vicino alle madri spirate, poi intravedetra le capanne fra Cristoforo che da tre mesi è nellazzaretto, dopo aver fatto richiesta con grandeistanza di poter dare la sua vita per il prossimo. Ilconte zio era morto di peste e fra Cristoforo fu su-bito esaudito. Renzo lo incontra mentre è sedutodavanti ad una capanna con una scodella in mano,

dopo che aveva attinto da una caldaia un po’ diminestra. Quando riconosce Renzo, chiama P. Vit-tore, un altro cappuccino, perché lo sostituisca mo-mentaneamente, sfama Renzo, lo fa ravvedere daisuoi propositi di vendetta, lo conduce nella capan-na dove agonizza don Rodrigo e lo invita a pregareper lui, lo manda alla ricerca di Lucia; prima lo in-vita ad osservare se ella fosse tra i pochi guariti cheP. Felice condurrà fra poco alla quarantena, e gliindica anche il quartiere delle donne ove potrà con-tinuare la sua ansiosa ricerca.

Sulla bocca di Padre Felice il Manzoni pone leparole più alte della carità cristiana e dello spiritocappuccino, seguite da lacrime e singhiozzi: “Perme e per tutti i miei compagni che, senza alcun

nostro merito, sia-mo stati scelti al-l’alto privilegio diservire Cristo invoi; io vi chiedoumilmente per-dono se non ab-biamo adeguata-mente adempitoun sì gran mini-stero… perdona-teci! Così Dio ri-metta a voi ognivostro debito e vibenedica”. Renzoosserva poi la pro-

cessione: alla sua testa si mette P. Felice, scalzo,con una corda penitenziale al collo, tenendo alzatauna grande croce, avanzando a passo lento e riso-luto. In coda vi sono le donne. Il P. Michele, conun bastone in mano, chiude la comitiva. Si è giàaccennato alla conclusione del romanzo. Fra Cri-stoforo è tra i frati che lasciarono la più parte laloro vita al servizio degli appestati e tutti con alle-grezza. Il suo ricordo ritorna ancora per Renzo eLucia nel giorno del loro matrimonio. Si rammari-cano che egli non sia presente, ma sanno con cer-tezza che egli è passato a una vita migliore, in pa-radiso.

In sintesi nel romanzo il Manzoni ha affidato aPadre Cristoforo in particolare e ai frati del lazza-retto il compito di manifestare l’aspetto più alto delsuo cristianesimo attivo, la santità della vita vissutanella fede, nel perdono, nella lotta e nella speranzadi una migliore giustizia tra gli uomini, nel donototale di sé agli altri per amore di Cristo.

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Un castello al confine, conteso tra milanesi eveneziani, spesso oggetto di lotta armata, di assaltie odio, diventa luogo di carità e di misericordia.

Alessandro Manzoni conosceva molto bene ilterritorio di Lecco e dei suoi dintorni: trascorse iprimi anni di vita nella cascina Costa di Galbiate, epassò un lungo periodo della sua vita alla villa delCaleotto a Lecco, di proprietà della famiglia pater-na, una dimora a lui particolarmente cara, perchévi trascorreva le vacanze estive negli anni della suainfanzia e adolescenza, quando fu alunno dei col-legi Somaschi di Merate e di Luga-no. Ivi abitò frequentemente fino al1818 e certamente visitò la rocca diSomasca (detta anche di Vercura-go). Dopo il soggiorno parigino, lasua conversione, avvenuta nel 1810,e il ritorno in Italia, il Manzoni ebbecontatti con il beato Serafino Mo-razzone parroco di Chiuso e con ilP. Pietro Rottigni, l’eremita di Soma-sca, grande amico e penitente delbeato. La vicenda di questo religio-so somasco, conosciuto e apprezza-to come predicatore, aveva destatoal suo tempo grande scalpore, per-ché con l’arrivo di Napoleone nel1796 si era spretato, aveva abbrac-ciato l’ideologia giacobina, si eramesso al servizio della Repubblica Cisalpina, erastato esule a Lione in Francia nel 1799/1800, permolto tempo aveva lavorato al Ministero degli In-terni del Regno Italico come responsabile della cen-sura sulle opere letterarie e con quest’incarico fuconosciuto e stimato da letterati come da Ugo Fo-scolo, che scrive in terzine scherzose il Capitolo aPietro Rottigni, chiedendo l’autorizzazione di rap-presentare la sua Ricciarda, e da Ludovico di Bre-me, padre e figlio. Poi, prima ancora della cadutadi Napoleone nell’ottobre del 1813, il Rottigni ave-va chiesto di rientrare in Congregazione e di farepenitenza. Per interessamento del beato Serafinoaveva ripreso a celebrare la S. Messa il giorno diNatale del 1813; trascorse fino alla morte (26 di-

Il cIl cIl cIl cIl caaaaasssssttttteeeeellllllo delo delo delo delo dellllllllll’’’’’IIIIInnnnnnnnnnooooominaminaminaminaminattttto (lo (lo (lo (lo (la ra ra ra ra rooooocccccccccca sa sa sa sa sooooomamamamamasssssccccca)a)a)a)a)nnnnneeeeellllllllll’’’’’immaimmaimmaimmaimmaggggginainainainainarrrrrio di A. Mio di A. Mio di A. Mio di A. Mio di A. Maaaaanznznznznzoooooninininini

cembre 1821) gli ultimi anni della sua vita in unromitaggio sotto la rocca di Somasca, alla Valletta,ove accolse, confortò, confessò i pellegrini, che ve-nivano a visitare i luoghi santificati dalla carità edalla penitenza di San Girolamo Emiliani.

Alessandro Manzoni, inoltre, non poteva igno-rare la vicenda di San Girolamo Emiliani, morto aSomasca e lì sepolto: aveva festeggiato questo san-to negli anni del Collegio, sapeva della sua prigio-nia nel carcere del castello di Castelnuovo di Que-ro, della sua disperazione, dell’invocazione alla Ver-

gine Maria, della prodigiosa liberazione dal carce-re per opera della Madonna, della sua conversionee della sua opera caritativa a favore dei putti dere-litti, un esempio vivente assieme a San Carlo Bor-romeo per lo scrittore delle Osservazioni sulla mo-rale cattolica che l’amore per Cristo carica di ener-gia per aiutare i fratelli: “Quel San Carlo, che sispogliava per vestire i poveri, quel Girolamo Mianiche andava in traccia di orfani pezzenti, per nu-trirli e disciplinarli, con quell’ansia che un ambi-zioso metterebbe a brigare per l’educazione del fi-glio d’un re non pensavano dunque che all’animeloro?”.

Da attento studioso della storia locale lo scritto-re lombardo sapeva anche delle vicende secolari della

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Rocca di Somasca: la fortezza risaliva al Medioevo,nel secolo XIII era stata roccaforte dei Benaglio, si-gnori locali, nel 1454 con la pace di Lodi era diven-tata una fortificazione veneziana posta ai confini dellaRepubblica con il ducato di Milano; nel 1509, dopola disfatta ad Agnadello, era stata ruinata dalle mili-zie agli ordini dei francesi; fu ancora rimessa par-zialmente in piedi nella feroce guerra che il Mede-ghino, ossia Gian Giacomo dei Medici, deciso e spie-tato condottiero rinascimentale, anche se fratello delfuturo papa Pio IV e zio di San Carlo Borromeo,condusse dal 1528 al 1532 contro Francesco Sforzaper mantenere il possesso di Lecco e del suo territo-rio. A più riprese Lecco, Olginate, Chiuso, Vercura-go e i paesi circostanti furono terreno di battagliafino alla pace firmata tra il Duca di Milano e il Me-deghino il 23 marzo 1532.

Nel 1533 Girolamo Miani arrivò con i suoi or-fani nella valle San Martino e a Somasca, e vi trovòuna popolazione duramente provata e impoveritadalle conseguenze della guerra. Gli furono conse-gnate le chiavi della Rocca, ne prese possesso, ria-dattò come potè gli spazi per sistemarvi gli orfani,vi fabbricò “un ordine d’anguste e povere stanze, icui tramezzi erano di cannucce tessute insieme,legati con vimini di salice, e di fuori incrostate ecoperte col gesso bianco”, ricostruì la chiesetta diSant’Ambrogio per la preghiera dei suoi orfani edei suoi compagni. Qui il santo trascorse fino al1537 la sua vita, quando non era impegnato nellesue frequenti missioni di carità, e pose le basi dellaCompagnia dei Servi dei Poveri, la futura congre-gazione dei Chierici regolari di Somasca.

Possiamo ragionevolmente supporre che sia leautorità civili locali che il governo della Repubbli-ca veneta e del Ducato milanese, sempre attentialle iniziative religiose come alle questioni di con-fine, appoggiarono quest’iniziativa del gentiluomoveneziano che trasformava un luogo di guerra, diconfine e di contesa in un centro di carità per ipiccoli orfani, in sostanza in un luogo di pace.

Tutti questi elementi, ossia la perfetta conoscen-za personale del territorio, le vicende storiche dellaRocca di Somasca, la sua posizione geografica inuna zona di confine e, infine, la vicenda spiritualedella conversione di Girolamo Miani e più recen-temente di Pietro Rottigni, l’eremita di Somasca,che da religioso era diventato fervente giacobino epoi era rientrato penitente in Congregazione, in-fluirono nell’immaginario del Manzoni nel mo-mento creativo dei Promessi Sposi. Ivi egli collocò

con la sua fantasia il Castello dell’Innominato perfarne prima luogo di odio, violenza, sopraffazione,poi luogo di grazia con l’arrivo di Lucia e la conse-guente conversione dell’Innominato dopo la terri-bile notte segnata dall’inquietudine interiore, dallanausea dei delitti, dal pensiero del suicidio, ma an-che dalla supplica di Lucia, dalla sua dichiarazioneche Dio perdona tante cose per un’opera di miseri-cordia. Poi avvenne l’incontro con il Cardinal Fe-derico, l’impegno di cambiare vita e di mettere tut-te le sue energie, la sua indomita volontà a serviziodel bene.

Se teniamo presenti questi aspetti, l’ubicazionedella rocca di Somasca al confine tra i due Staticome castello dell’Innominato appare abbastanzachiara e precisa: “Il castello dell’Innominato era acavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cimad'un poggio che sporge in fuori da un’aspra gioga-ia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se con-giunto a essa o separatone, da un mucchio di mas-si e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di preci-pizi, che si prolungano anche dalle due parti” (IPromessi Sposi, cap. XX). Problematica è, invece,l’identificazione della valle angusta e uggiosa chesta sotto la giurisdizione dell’Innominato, valle fre-quentata solo dai suoi bravi e da persone amiche:essa tuttavia porta a una strada pubblica, che saràpercorsa dal padrone del castello quando si recadal Cardinale.

Questa valle è una creazione in gran parte let-teraria della fantasia del Manzoni: a leggere atten-tamente si sente l’influsso di Dante, che giungenelle Malebolge popolate di diavoli, beffardi e di-

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spettosi, dai nomi più bizzarri. Don Rodrigo è fat-to arrivare non si sa come nel bel mezzo di questavalle, all’imboccatura dell’erto e tortuoso sentiero,davanti alla taverna della Malanotte. La scena ri-chiama davvero una bolgia infernale, con il ragaz-zaccio armato come un saracino e allevato alle for-che, che si accorge del nuovo arrivato e avvisa i tresgherri che stanno giocando con carte sudice: illoro caporalaccio riconosce Don Rodrigo e inter-rogato risponde che il suo signore è al castello; se-gue l’ossequiosa obbedienza e sottomissione di DonRodrigo e dei suoi, nominati con fantasia creatricecome i diavoli danteschi: il Tiradritto, il Montana-rolo, il Tanabuso, lo Squinternotto, il Griso; vi sonoanche altri “bravacci” dell’Innominato, tra i qualiuno solo merita un nome tra i manigoldi: il Nib-bio, il rapitore materiale di Lucia. Anche il poveroDon Abbondio che sale al castello per ordine delCardinale per recuperare Lucia e che passa tra gliuomini dell’Innominato, il fiore della braveria d’Ita-lia, e ne vede due o tre a ogni svolta di strada, ri-chiama umoristicamente allo stesso Manzoni la si-tuazione di Dante, capitato tra i diavoli: “Dante nonistava peggio nel mezzo di Malebolge”.

Significativo e precisamente connotato con unaesatta visione dalla rocca di Somasca risulta il mo-mento in cui l’Innominato sente lo scampanarenella valle sottostante. Questa non può che esserese non la Valle di San Martino, la valle ai piedi delsuo castellaccio, ove sbocca l’immaginaria e esclu-siva valle del suo dominio: “Stando così immoto asedere, sentì arrivarsi all’orecchio come un’onda disuono non bene espresso, ma che pure aveva nonso che d’allegro… Saltò fuori da quel covile di pru-ni; e vestitosi a mezzo, corse ad aprire una finestra,e guardò. Le montagne eran mezze velate di neb-bia; il cielo, piuttosto che nuvoloso, era tutto unanuvola cenerognola; ma, al chiarore che pure an-dava a poco a poco crescendo, si distingueva, nellastrada in fondo alla valle, gente che passava, altrache usciva dalle case, e s’avviava, tutti dalla stessaparte, verso lo sbocco, a destra del castello, tutticol vestito delle feste, e con un’alacrità straordina-ria” (I Promessi Sposi, cap. XXI).

Qui la visione della strada sottostante, nitidis-sima, appare a distanza ravvicinata, proprio comea chi guardi oggi dalla rocca verso il lago; anchequel camminare di tutti festosamente verso la de-stra del Castello (nella stesura del Fermo e Lucia illuogo era Chiuso, proprio a destra del Castello achi guarda a valle) calza perfettamente con la vi-

sione che ancora oggi si può avere. Il Manzoni nondice quanta strada ci fosse dal castello al paese do-v’era il cardinale… non doveva essere più che unalunga passeggiata e l’Innominato la percorse tuttaa piedi, passò la sua valle, arrivò allo sbocco sullastrada principale, giunse al paese ancora di primomattino, prima dell’inizio delle funzioni e si dires-se alla casa del curato per l’incontro col CardinalFederigo.

Anche la descrizione di Don Abbondio rifugiatoal castello assieme a Perpetua e ad Agnese, duran-te la calata dei lanzichenecchi di passaggio nel ter-ritorio di Lecco si accorda bene con la posizionedella Rocca: “In tutto il tempo che Don Abbondiostette in quell’asilo, non se ne discostò mai quantoun tiro di schioppo, né mai mise piede sulla disce-sa: l’unica sua passeggiata era d’uscire sulla spia-nata, e d’andare, quando da una parte e quandodall’altra del castello, a guardar giù per le balze eper i burroni, per istudiare se ci fosse qualche pas-so un po’ praticabile, qualche po’ di sentiero, perdove andar cercando un nascondiglio in caso d’unserra serra” (I Promessi Sposi cap. XXX). Il castel-lo ha tuttora la sua spianata, che permette la vistada una parte e dall’altra.

In sintesi, la Rocca di Somasca ha davvero in-fluenzato l’immaginario del Manzoni: per la suastoria spirituale perché luogo frequentato da santie convertiti (Girolamo Miani e Pietro Rottigni); perla sua storia civile in quanto posto al confine didue Stati e, perciò, oggetto di contestazioni e dilotte sanguinose, e di usurpazione di qualche si-gnorotto locale; infine, il paesaggio aspro e sugge-stivo, la solitudine del luogo e la difficoltà di acces-so risvegliarono la sua ispirazione per la “location”della vicenda dell’Innominato. Certo non tutti i par-ticolari sono sempre realistici: subentra la fantasiadel poeta, la sua cultura letteraria nell’inventare lavalle feudo esclusivo dell’Innominato: abbiamodetto una specie di bolgia dantesca, luogo di vio-lenza e prevaricazione, ma anche occasione perl’umorismo dello scrittore che ci fa sorridere del-l’umiliata boria di Don Rodrigo e dei suoi bravi edell’inguaribile diffidenza e paura di Don Abbon-dio prima a cavallo della mula e, poi, in altra occa-sione rifugiato.

Ma come prima era avvenuto con San Girola-mo Emiliani, la conversione dell’Innominato se-gnerà ormai per sempre quel luogo e lo trasforme-rà in uno spazio della grazia divina, di rifugio pergli sventurati, di generosità e di misericordia.

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Nell’infanzia avviene spesso un fatto unicoe irripetibile, un evento mitico che si solidifica nelprofondo del cuore in un grumo di realtà che con-diziona tutta la vita: può essere positivo o negativo,può fissare in modo drammatico al passato oppuredare unità alla persona e aprire gioiosamente al fu-turo. Quando esso ha una carica positiva crea ca-lore affettivo e gioia intensa, illumina e aiuta a in-terpretare la propria esistenza, orienta e determinale scelte personali nei momenti decisivi.

Un’esperienza simile, molto bella, è capitata alpiccolo Angelo Roncalli, il futuro papa San Gio-vanni XXIII, quando venne pellegrino al santua-rio di San Girolamo con la sua buona mamma. Daallora in poi Somasca per lui si accompagna in modoindelebile al ricordo della sua infanzia, a un’inten-sa esperienza del sacro, alla valenza sociale e reli-giosa del pellegrinaggio, all’affettuoso ricordo del-la mamma che gli ha dato la vita, lo ha cresciuto ededucato e tutto si colora di un’intensa, gioiosa te-nerezza familiare.

“La prima e sola volta che mi recai lassù (a So-masca) fu con la mia buona mamma quando eropiccolino di sei o sette anni; e ricordo ancora lemie impressioni infantili”(Diario 7 settembre 1919).

Somasca è “quel luogo benedetto a cui si con-giungono i ricordi più cari e più lontani della miainfanzia. Riandando la mia vita, la mia memorianon va più in là di un piccolo pellegrinaggio che iofeci a 5 anni su un carrettino campestre con miopadre, con mia madre e con le mie prime sorelle.Oh, le impressioni di quella giornata di ottobre, cre-do del 1885, o 86! Dalla mia parrocchia a Somascaci sono 9 o 10 km in tutto. Per me ogni cosa eranuova: e fu veramente a Somasca che ebbi la pri-ma idea della vita di un Santo. Tornai lassù tantevolte: l’ultima or sono 10 anni ad accompagnarvi ilnuovo card. Laurenti” (Lettera al P. Zambarelli del31 novembre 1931).

“Le memorie del loro santo fondatore, San Gi-rolamo Miani, furono la gioia della mia infanzia,da quando la mia buona mamma mi accompagna-va a contemplarle a Somasca, così vicina al miopaesello natale” (Libro Atti comunità di Mestre 18settembre 1955).

“Cari fedeli diSomasca, io ci tor-no sempre volentie-ri in questi luoghi,perché Somasca haqualcosa di distintodagli altri paesi: iosono nato tra i vo-stri monti, tantocari al mio cuore eche ricordavo concommozione anchequando ero lontanodall’Italia. A Soma-sca c’ero stato da ra-gazzo e passandodinanzi alla casa, trasformata in cappella non ric-ca, chi allora mi accompagnava mi diceva: qui èmorto San Girolamo!” (Omelia ai fedeli di Soma-sca, 26 settembre 1953).

Somasca, così vicina al suo paesello, fa par-te del paesaggio della sua anima, dei suoi luoghifamiliari ove ha percepito la bellezza della natura,l’incanto della vita, e diventa sfondo di una terrasacra ove si avverte la presenza di Maria, capolavo-ro di Dio. È questo un ricordo che lo accompagnaanche da papa, quando il 26 agosto 1960 scrive alcard. Montini, ricordando come incoronò il 29 ago-sto 1954 la Vergine Maria nel santuario della Ma-donna del Bosco, vicino a Sotto il Monte e a Soma-sca: un ricordo che conserva “la dolcezza di un in-canto indimenticabile”.

“Oh, che spettacolo, più celeste che di terra:la figura della Madre nostra serena e maestosa, so-vrastante il vertice della Scala Santa, dallo sfondodel fiume gorgogliante tra le due rive della Brianzae del Bergamasco, in faccia al panorama deliziosocui danno ornamento le pendici aperte e tranquilledi Villa d’Adda e, verso sera, le ultime propagginidella Val San Martino, da Caprino a Celana, oltreCalolzio, oltre Somasca, ergentisi sui contrafforti delResegone magnifico e dominatore” (Lettera di PapaGiovanni al card. Montini, 28 agosto 1960).

Come un pittore del Rinascimento, Papa Gio-vanni rappresenta e rivive nella memoria l’incoro-

SaSaSaSaSan Gn Gn Gn Gn Gioioioioiovavavavavanni Xnni Xnni Xnni Xnni XXIII, SXIII, SXIII, SXIII, SXIII, Sooooomamamamamasssssccccca, Saa, Saa, Saa, Saa, San Gn Gn Gn Gn GiririririrooooolllllaaaaammmmmoooooEmilianiEmilianiEmilianiEmilianiEmiliani

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nazione della Madonna del Bosco. La Madonna èlì al centro e in alto con in braccio Gesù Bambino eintorno a lei un magnifico paesaggio sul quale sidiffondono sacralità e mistero: c’è il fiume Addache scorre in basso, con lo scenario collinare dellaBrianza e del Bergamasco; appare il fondale dellaValle San Martino, con i suoi borghi nominati unodopo l’altro, Caprino, Celana, Calolzio, Somasca,che si ergono sui contrafforti del Resegone domi-natore. È indubbiamente un passo di alta e subli-me eloquenza, che il destinatario della lettera, l’al-lora Card. Montini, uomo di straordinaria culturae finissimo letterato, non poteva non apprezzare.

Somasca, terra di San Girolamo, padre degliorfani per la liberazione di Maria, è un punto diriferimento per la spiritualità di San Giovanni XIIIed anche una specie di locus amenus, un piccoloposto carissimo, ove tornare col pensiero per ripo-sare e distrarsi dalle cure pastorali. “Eletto Cardi-nale e Patriarca di Venezia sono divenuto in uncerto senso parente di San Girolamo. E San Giro-lamo, vedete, è uno dei più grandi santi di Venezia.Nella cappella del Patriarca c’è un grande quadro,dove sono raffigurati molti santi. Di costoro chi hala mitra, chi ha la corona, chi il pastorale; San Gi-

rolamo invece è lì’ che si stringe al fianco l’orfanel-lo additandogli il cielo. Che bello, sapete il nostroSan Girolamo. Convertito a Quero per opera diMaria Madre degli orfani ha illuminato il mondocon la luce della sua carità…. avrò nel mio cuoreun piccolo posto carissimo per Somasca, che saràmotivo di dolce distrazione nelle mie cure di Pa-

triarca”. (Omelia ai fedeli di Somasca, 26 settembre1953).

Somasca, santificata dalla carità di San Girola-mo, culla della Congregazione dei Padri Somaschi,orienta anche alcune scelte pastorali di Roncalli.Egli stabilisce un immediato legame, forti vincolitra Bergamo e Venezia, tra la terra di San Marco eSomasca, lo speco di San Girolamo: “Forti vincolimi legano a Venezia. Provengo da Bergamo, terradi San Marco; dietro la mia collina è Somasca, lospeco di San Girolamo”. (Discorso durante il rito diingresso a Venezia come Patriarca, 15 marzo 1953)

Vi è nel testo una citazione manzoniana. Il Card.Roncalli ama paragonarsi sia al lombardo e man-zoniano Renzo, che varca l’Adda per raggiungerela terra di San Marco, sia al veneziano San Girola-mo, che lascia Venezia e viene in Lombardia: “Ram-mentate il buon Renzo, il quale varcato l’Adda di-ceva: terra sicura, terra di San Marco”; ma quandoil Patriarca da Venezia viene a Como si confrontacon San Girolamo, “il quale anche lui, dalle rivedell’Adriatico è stato portato verso occidente fino aSomasca, giusto alla sinistra dell’Adda, là dove ces-sa d’esser lago e riprende il suo nome di fiume”.(Omelia per il 3° centenario della parrocchia del

Crocifissodi Como,27 giugno1954).

Un’im-p o r t a n t edecisionepastoralefu quella diriportare iSomaschinella dio-cesi di Ve-nezia, o-b i e t t i v oraggiuntocon l’asse-gnazione aiSomaschi

della Parrocchia della Madonna Pellegrina di Me-stre, località Altobello, una zona allora povera e pe-riferica: “Segno questa giornata fra le più liete del-la mia vita pastorale a Venezia … per il ritorno allaloro patria di origine dei Padri Somaschi dopo unsecolo e mezzo di desolata assenza…. Appena giun-to a Venezia come Patriarca subito mi presero il

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desiderio ed il proposito di ricondurre questa dilet-ta e santa famiglia religiosa al suo punto di parten-za. Oggi tutto è compiuto!” (Libro Atti comunitàdi Mestre 18 settembre 1955) Era questo un in-tento già espresso sia a Somasca nell’omelia del 26settembre 1953: “Ho un voto nel cuore: ed è che aVenezia i figli di San Girolamo tornino a far rivive-re lo spirito di carità del loro fondatore… desideroche diventi presto realtà” ed a Como il 27 giugno1954 in occasione del 3° centenario della Parroc-chia del SS. Crocifisso: “Desidero di riaverli a Ve-nezia … io vorrei maturare sempre più il disegnoche ritornassero a Venezia, dove il loro fondatore èpartito”.

Un ulteriore interventopastorale di Papa Roncalli afavore di Somasca fu la con-cessione del titolo di BasilicaMinore al Santuario di SanGirolamo poco dopo la sua ele-zione a Romano Pontefice. Iltesto giuridico piuttosto aridoè animato all’inizio ed alla finedai ricordi personali: “Tra laregione di Bergamo, che ci ècarissima, perché patria no-stra, e il territorio di Veneziaintercorsero molteplici rap-porti sia civili che ecclesiasti-ci. Degno di ricordo è l’esem-pio di San Girolamo Emiliani:nato da famiglia veneta, quan-do nel secolo XVI si portò nelterritorio di Bergamo visse lungamente a Soma-sca, compì fatti mirabili… Noi poi che fin dallanostra giovinezza abbiamo nel profondo del cuorequella gloriosa terra, nobilitata dalla santità di sanGirolamo Emiliani, molto volentieri decretammodi accogliere tali preci…”. Alcuni suoi collaborato-ri a dire il vero sostenevano che la chiesa di Soma-sca era troppo piccola e che non meritava un taletitolo. Ma papa Giovanni che ben conosceva il san-tuario, la valletta, la scala santa, l’eremo tagliò cor-to: “Somasca è tutta una basilica”, riprendendo inqualche modo quanto aveva già affermato nel suodiscorso inaugurale a Venezia: “Somasca è lo spe-co di San Girolamo”, cioè un luogo sacro - e nonsolo una chiesa - saturo di preghiera, di contem-plazione e di penitenza.

Una osservazione conclusiva: nell’immagi-nario di Papa Roncalli Somasca è collegata all’in-

fanzia, alla figura materna, alla culla. Sulla suaagenda il 28 settembre 1947 aveva fissato i puntidella sua omelia per la celebrazione in una “festapiena di fervore, di poesia nei ricordi del grandeSanto: 1.° i ricordi della mia prima visita a Soma-sca; 2° l’esercizio della carità 3° soprattutto la caritàverso i piccoli, speranza dell’avvenire, verso gliumili, verso i lavoratori dei campi”.

Un pensiero che ritornerà ancora nella suasemplice, breve ma bellissima omelia del 26 set-tembre 1953: ”Ed ora cari figli vi do una benedi-zione, ma una benedizione grande che vada dovec’è una culla, dove c’è uno che piange, là dove c’è

una pena che si vuole nascon-dere, perché tutti conforti edaiuti. E la benedizione di Dioscenda su voi e vi rimanga sem-pre”. Concetto ripreso con si-mili parole in Piazza San Pie-tro la sera dell'11 ottobre 1962,giorno di inizio del Conciliodurante il celeberrimo "discor-so alla luna”: «Tornando a casatroverete i vostri bambini. Dateloro una carezza e dite: questaè la carezza del Papa».

Sono documentati settepellegrinaggi di San GiovanniXXIII a Somasca: una visitanella sua infanzia (forse nel lu-glio del 1887 o 1888), una se-conda visita il 7 settembre1919, ancora nel 1921 con il

Card. Laurenti, il 28 settembre 1947 nel secondocentenario della beatificazione di San Girolamo; il25-26 settembre 1953 per la consacrazione dell’al-tare della Chiesa della Mater Orphanorum, il 3agosto 1955 in forma privata, il 26 agosto 1956 as-sieme ai suoi seminaristi veneziani.

Ci auguriamo che imitando San GiovanniXXIII tanti fedeli oggi continuino a scegliere isuoi luoghi di pellegrinaggio nel territorio di Ber-gamo e nella vicina Brianza: Sotto il Monte, il suopaese nativo, dove fu battezzato e tornò spessoper riposare nelle sue vacanze, il santuario dellaMadonna del Bosco, sorriso della sua infanzia ecustodia della sua vocazione sacerdotale, e Soma-sca, “tutta una basilica, lo speco di San Girolamo”,ove il Padre degli orfani esercitò la sua carità e siimmerse nella contemplazione, nella penitenza enella preghiera.


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