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Architettura Liturgia - CRKCcrkc.be/sites/default/files/opuscolo_belgio.pdf · Servizio per...

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Arte Architettura Liturgia MOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO 17-21 GIUGNO 2014 Esperienze Internazionali Ufficio per i beni culturali ecclesiastici Servizio per l’edilizia di culto Ufficio liturgico della Conferenza Episcopale Italiana Bisschoppenconferentie van België Conférence Épiscopale de Belgique Arcidiocesi di Malines - Bruxelles CNAPPC Consiglio nazionale degli architetti pianificiatori paesaggisti e conservatori CRCK - Centrum voor Religieuze Kunst en Cultuur vzw, Leuven
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ArteArchitettura Liturgia

MOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

17-21 GIUGNO 2014

Esperienze Internazionali

Ufficio per i beni culturali ecclesiasticiServizio per l’edilizia di cultoUfficio liturgicodella Conferenza Episcopale Italiana

Bisschoppenconferentie van België Conférence Épiscopale de Belgique Arcidiocesi di Malines - Bruxelles CNAPPC

Consiglio nazionale degli architetti pianificiatori paesaggisti e conservatori

CRCK - Centrum voor Religieuze Kunst en Cultuur vzw, Leuven

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Colazione in albergo

8.00 Partenza in autobus dall’hotel

9.00-10.00 Monastère de l’Alliance, RixensartRoger Bastin, 1964-1969

10.30-13.00 Monastère Saint-André de Clerlande, OttigniesJean Cosse, 1971-2005Incontro con padre Federic Debuyst e Florence Cosse, visita del monastero e celebrazione eucaristica con la comunità monastica (ore 12.15)

A seguire, trasferimento a Louvain-la-Neuve

14.00 Pranzo presso la mensa universitaria dell’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve.Passeggiata attraverso il centro pedonale della città universitaria

[3] 15.15 Chapelle de Saint-François Louvain-la-Neuve Jean Cosse, 1984A seguire, trasferimento verso il nuovo quartiere di Bruyères a ovest della città

[4] 16.15-17:00 Chapelle Notre-Dame de l'Espérance, Louvain-la-NeuveJean-Claude Bodeux et Baudouin Libbrecht, 2003

[5] 17.30-18.15 Saint-Paul, WaterlooJean Cosse, 1968

Rientro a Bruxelles, cena libera, pernottamento in hotel.

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Centre Interdiocésain / Interdiocesaan Centrum (IC), Rue Guimard 1, 1040 BruxellesA partire dalle ore 14.00: registrazione dei partecipanti

15.30-19.00 Sessione di studio introduttiva: Movimento liturgico e architettura in Belgio

15.30 Saluto di S. Ecc. Mons. André-Joseph Léonard, Arcivescovo di Malines-Bruxelles15.45 Introduzione ai lavori di mons. Stefano Russo, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI

16.00 don Paolo Tomatis, Il Movimento Liturgico in Belgio e il suo impatto sulla liturgia in Italia.

16.30 Sven Sterken, Modernità architettonica, rinnovamento liturgico e costruzione di chiese in Belgio nel XX secolo.17.15 Pausa17.45 Paul De Clerck, La liturgia e la vita pastorale della Chiesa belga.18.15 Jan Jaspers, Il patrimonio religioso belga oggi: cura, gestione e utilizzo.

19.15 Cena presso il ristorante dell’ Interdiocesaan Centrum.Trasferimento in hotel:NH Hotel Grand-Place Arenberg, Stormstraat/Rue d'Assaut, 15 Brussel/Bruxelles

ProgrammaMERCOLEDÌ 18 GIUGNO

MARTEDÌ 17 GIUGNO

MOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

17-21 GIUGNO 2014

ArteArchitettura Liturgia Esperienze Internazionali

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Colazione in hotel

8.00 Partenza in autobus dall’hotel

9.00 - 11.30 Abbazia di Roosenberg, WaasmunsterDom Hans van der Laan, coll. Nico van der Laan, 1974-1975Visita e celebrazione eucaristica con la comunità monastica alle 10:00

12.30 pranzo a Sint-Niklaas

14.30-15.15 Christus-Koningkerk, Sint-NiklaasRaphael Verwilghen, 1938

15.45-16.45 Antico seminario vescovile di Sint-Katelijne-WaverSimon Van Craen, 1933-36

17.15-18.00: Kapel van het Niets, DuffelThierry De Cordier 2007

Visita e brindisi conclusivo degli itinerari di studio, offerto dagli organizzatori.Rientro a Bruxelles, cena in hotel e pernottamento.

Colazione in hotel 8.30-9.45 cattedrale Saint-Michel et Sainte-Gudule, BruxellesVisita e incontro con il decano.A seguire, trasferimento in autobus

10.15-11.00, Notre-Dame de Stockel, Sint-Pieters-WoluweR. Aerts, P. Ramo, 1957-67

11.15-12.30 Cappella della comunità tedesca cattolicaCatherine De Bie e Leo Zogmayer, 2001; consultente artistico: Mark DelrueVisita e celebrazione eucaristica conclusiva

Trasferimento in centro città, pranzo libero.

Colazione in hotel

8.00 Partenza in autobus dall’hotel

[6] 8.30 St.-Jean, Centro Universitario del Grand-Béguinage, LeuvenVisita della chiesa e celebrazione eucaristica10.00 Passeggiata attraverso il Grand-Béguinage (Lista del Patrimonio dell’Unesco dal 1998)

[7] 10.30 Saint-Pierre, Grote Markt, Leuven

[8] 11.30 incontro con il KADOC (Centro di documentazione e di ricerca sulla religione, la cultura e la società), centro interfacoltà dell’Università di Lovanio; intervento del prof. Jan De Maeyer, direttore del Kadoc

13.15 Pranzo nella mensa universitaria Alma

[9] 14.30-15.15 Centro parrocchiale Don Bosco, Kessel-LoMarc Dessauvage, 1966-1970

[1 15.45-16.30 Saint-Carolus, HolsbeekMarc Dessauvage, 1964-1969

[11 17.00-18.00 Onze-Lieve-Vrouw van Altijddurende Bijstand HaachtPaul Felix (coll. Jan Tanghe), 1958-1961

Rientro a Bruxelles, cena e pernottamento in hotel.

Riferimenti albergoNH Grand Place ArenbergRue d'Assaut, 15. 1000 Bruxelles (Belgio)linkReserva Tel. +32.25.011616E-mail: [email protected]

Riferimenti telefonici Segreteria: +39 346 4324249

Curatori del programma

Jan Jaspers (CRCK) Sven Sterken (KU Leuven)Andrea Longhi (Politecnico di Torino)con la collaborazione di Paul De Clerk (già Institut Catholique de Paris)

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MOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

17-21 GIUGNO 2014

ArteArchitettura Liturgia Esperienze Internazionali

Perché in Belgio, a visitare chiese? La scelta di questa nazione è motivata da ragioni composite, che oltrepassano lo stretto riferimento all’architettura: altre nazioni, come la Francia e la Germania, si muovono prima e più decisamente nella direzione della ricerca e della sperimentazione.

Il motivo principale, che rende il Belgio un centro di avanguardia, è senza dubbio il riferimento al Movi-mento Liturgico. Al di là della discus-sione su dove debba essere individua-ta la culla di tale Movimento (se in Francia, o in Belgio), è indubbia la forza propulsiva dei monasteri del Belgio (Maredsous, Mont-César, Saint-André) per la diffusione di un vero e proprio movimento, di indole spiccatamente pastorale. Non a caso, il Congresso di Malines del 1909 è dagli storici della liturgia indicato come uno dei momenti inaugurali della stagione della riscoperta della liturgia. Non a caso, uno dei grandi promotori del Movimento Liturgico non solo belga, dom Lambert Beaudu-in (1873-1960), il futuro fondatore del monastero ecumenico d’Amay-Chevetogne, approda alla scelta monastica dopo un tirocinio come prete secolare del clero di Liegi, attentissimo alla pastorale del lavoro.

È in questo carattere pastorale che si muovono i primi passi di un ripensa-mento dell’architettura, nel segno di una spiccata sensibilità liturgica. Tale è il retroterra caratterizzante la speri-mentazione architettonica novecente-sca belga sul tema delle chiese, dagli

inizi del Movimento Liturgico fino al post-concilio: “la liturgia costituisce il fattore decisivo, più dell’arte e dell’estetica, come invece è avvenuto ad esempio in Francia con padre Couturier” (Debuyst 2008, p. 53). Si pone tuttavia un problema di fondo: la ricerca liturgica necessariamente implica l’adesione a un linguaggio Moderno? La sperimentazione celebrativa si deve preferibilmente declinare con la sperimentazione formale, con l’innovazione tecnica?

La cultura architettonica belga per la prima parte del secolo non pare aver dato una risposta univoca a tale problema: i centri di ricerca liturgica si adattano a celebrare in edifici stori-ci o storicisti di fine Ottocento, mentre la sperimentazione formale tocca alcune chiese, ma senza esiti di sintesi esemplari, al contrario di quanto avviene in Germania o in Francia.

Secondo Debuyst, “l’epoca delle chiese davvero nuove comincia in Belgio verso la fine degli anni Cinquanta” (Debuyst 2008, p. 57): ancora in periodo preconciliare, alcuni architetti – aderendo in modo risoluto ai temi di ricerca dell’architettura Moderna – propon-gono soluzioni innovative per la vita religiosa e per gli spazi liturgici, definendo alcuni capisaldi sia in ambito monastico, sia in contesto parrocchiale. Paul Felix, Roger Bastin, Jacques Dupuis e Marc Dessauvage (cfr. biografie nel dossier) ragionano sulla povertà

evangelica, sulla dimensione dome-stica della liturgia e sulla convivialità delle assemblee di piccola scala, operando in conventi e monasteri (clarisse di Ostenda, abbazia Saint-André di Bruges, Suore di Maria a Jambes), chiese parrocchiali di piccoli centri (Sart-en-Fagne, Heer-Agimont), comunità specializzate (centro religioso universitario di Namur) e santuari (Beauraing).

A seguito del Concilio, le prime intuizioni relative ai nessi tra Movi-mento Liturgico e Movimento Moderno hanno potuto diffondersi e radicarsi nel territorio, grazie soprat-tutto alla committenza particolar-mente illuminata e innovatrice della diocesi di Namur e dell’arcidiocesi di Mechelen-Malines. Quest’ultima si affida alla qualità progettuale di Marc Dessauvage, architetto dioce-sano tra il 1963 e il 1974 e progettista di una quindicina di chiese, soprattut-to in centri rurali e in nuovi sobbor-ghi, ispirato dal dialogo con il gesuita critico d’arte Geert Bekaert. Il tema della casa-chiesa non è tuttavia l’unico: un ruolo importante è attribuito alla ricerca progettuale del monaco-architetto dom Hans van der Laan, che con la sua ascetica preci-sione propone un metodo progettuale fondato sulle proporzioni e sull’ordine.

Il protagonista della ricerca architet-tonica post-conciliare è senz’altro Jean Cosse, affiancato poi dalla figlia Florence, che stringe un vivace e prolifico sodalizio intellettuale con

MOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIOIntroduzione

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padre Frédéric Debuyst, monaco benedettino critico d’architettura, direttore dell’influente rivista Art d’église (1959-1980) e noto studioso dell’opera di Romano Guardini. Cosse si misura sia con l’architettura parrocchiale, sia con il tema monasti-co: laboratorio privilegiato è il mona-stero di Clerlande, dove Debuyst stesso tuttora vive e studia.

Le chiese post-conciliari belghe costituiscono un patrimonio di grande interesse, ma di evidente fragilità: si tratta di edifici concepiti a una scala domestica, per piccole assemblee raccolte attorno alle due mense, in cui gli elementi di maggio-re spicco sono la qualità del dettaglio e la cura costruttiva degli spazi per la celebrazione. La conoscenza diretta di alcuni di questi edifici consente di valutare concretamente, al di là degli

stereotipi ideologizzati e dei luoghi comuni, le realizzazioni delle case-chiese conciliari, o delle chiese intese come “lievito” non appariscente e impastato nel mondo, la cui costru-zione richiede un supplemento di attenzione e di cura.

Tale cura, per essere perseguita e mantenuta, sottintende la presenza di comunità attive e vivaci, attente alla corretta valorizzazione del proprio patrimonio. Tale presenza, tuttavia, negli ultimi anni si è diradata: le trasformazioni sociali delle città e delle periferie, la mutata pratica sacramentale, la mobilità familiare e altri ben noti fenomeni di secolariz-zazione hanno determinato la dismis-sione di numerose chiese, anche recenti, o un loro riutilizzo per usi religiosi specializzati, o per nuove destinazioni socio-culturali. In più,

l’architettura religiosa moderna, pur sposando la causa del Movimento Liturgico e dell’ecclesiologia di comunione, non sempre è stata accol-ta favorevolmente e metabolizzata dalle comunità locali, che più volen-tieri si identificano con le chiese ‘storiche’ e si dedicano al loro restau-ro, in virtù del loro scontato valore patrimoniale.

Queste dinamiche coinvolgono ormai tutto l’Occidente, e ancora una volta il Belgio si presenta come labo-ratorio, in cui la conoscenza e la tutela dell’architettura di chiese si declinano con una forte attenzione ai processi di trasformazione sociale e religiosa.

Andrea Longhi, don Paolo Tomatis

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Monastère de l’alliance (Bénédictinesses de rixensart), rixensartProgetto: Roger Bastin, 1964-1969

I punti di consonanza tra il monastero diRixensart e il convento di La Tourette diLe Corbusier, costruito pochi anni prima(1956-1960), sono troppo evidenti perpassare inosservati: la collocazione suuna collina, la strutturazione geometricadel complesso, il contrappunto tra glispazi comuni al piano terreno e le celle aipiani superiori, l’utilizzo sistematico delcemento armato a vista per ragioni eco-nomiche, ma anche come simbolo diun’etica della semplicità. Si tratta comun-que, da parte del progettista Bastin, di untentativo assolutamente particolare e in-novativo di conciliare le diverse aspetta-tive emerse nella comunità committente,composta da suore di origini differenti.Una parte delle religiose, infatti, avevavissuto in spazi stretti all’interno diun’antica villa a Uccle, e desiderava co-struire un “vero” monastero, ossia unluogo di vita contemplativa autonomo,con tutti gli spazi necessari: chiostro, cap-pella, refettorio ecc. L’altra parte della co-munità proveniva dall’abbaziabenedettina di Loppem si aspettava dicontinuare la propria missione di inse-gnamento: queste suore desideravano dipoter disporre di locali per la formazionedei giovani, come pure una foresteria. In-fine, la comunità esprimeva l’auspicio dipoter tener conto dei primi orientamentidati dal Concilio per quanto riguarda laliturgia e la clausura. Per l’architetto si

trattava dunque di cercare un equilibriotra il desiderio di spazio e la concentra-zione funzionale, nonché di anticipareimportanti cambiamenti nella vita mona-stica, senza imporli in modo repentino.Una certa esitazione è evidente nella pre-senza di un doppio chiostro (uno com-pleto, per le suore, l’altro destinato aessere uno spazio porticato di incontroper i visitatori e gli ospiti), ma è anche at-

testata dalla cappella a pianta quadrata, incui la separazione tra le religiose (suddi-vise ai due lati dell’altare) e i fedeli (difronte all’altare) è ridotta a quanto sem-brava allora il minimo. L’edificio dellaforesteria, previsto inizialmente a ovestdell’entrata principale, non è stato co-struito. Un ampliamento e alcune modi-fiche interne sono stati operati da JeanCosse nel 1999.

MERCOLEDÌ 18 GIUGNOMOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

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L’esterno nel contesto originario (da “Art d’Eglise” 159, 1972)

Planimetria del complesso Pianta del piano terreno (da “La Maison”, 25/7-9, 1969)

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Monastère saint-andré de clerlande, ottigniesProgetto: Jean Cosse, 1971-2005

Come il monastero de l’Alliance di Ba-stin [1], il monastero Saint-André diClerlande è una fondazione dell’abbaziabenedettina di Saint-André a Loppem,vicino a Bruges, che ha giocato un ruolodi primo piano nel rinnovamento del-l’arte religiosa in Belgio, sul piano sia li-turgico, sia architettonico e artistico, inparticolare tramite la sua rivista Artd’Eglise. Nei primi anni Sessanta, l’ab-bazia di Loppem si trova a dover farfronte a un insieme di circostanze esternealla sua vita. Innanzitutto, le leggi lingui-stiche del 1962 obbligano la comunità aconformarsi al regime neerlandofonodella Fiandra. Inoltre, il vento di novitàportato da Giovanni XXIII con l’aperturadel Vaticano II suscita tra alcuni membridella comunità il desiderio di tentarel’esperienza di una vita monastica bene-dettina regolare in un contesto più agile,meno solenne. Infine, il trasferimentodelle facoltà universitarie francofone dal-l’università fiamminga di Leuven al sitodi Ottignies [3] stimola l’ipotesi di un’as-sistenza spirituale dei futuri studenti gra-zie a una presenza monastica nei pressidell’ateneo. Da tali considerazioni derivala scelta di insediare un primo piccolocontingente di benedettini a Ottignies nel1966, seguito da un gruppo più consi-stente nel sito attuale di Clerlande, a par-tire dal 1971.

L’ideazione del monastero è l’esito diuna riflessione profonda, condotta dapadre Frédéric Debuyst (all’epoca redat-tore capo di Art d’Eglise) con l’architettoJean Cosse. In particolare, i due protago-nisti del dibattito architettonico sull’arte

sacra belga auspicano la riconciliazionetra il rispetto per la natura e i bisognidella vita di una comunità monastica.Entrambi influenzati dalle idee di EmilSteffan sulla “casa-chiesa”, sviluppano ilprincipio del “monastero-casa”. Nelleparole di Cosse, si tratta di “fornire unbuono strumento, economico per la co-struzione e per la manutenzione, cheporti un aiuto ai suoi abitanti nel compi-mento del loro obiettivo […] raggiun-gere una qualità che invita a unsuperamento dei propri limiti, pur re-stando familiare, vicino all’uomo, allasua misura”. Nello spirito del tempo eper economia di mezzi, la costruzione silimita all’essenziale: vengono evitati edi-fici monumentali, facciate imponenti,torri, chiostro quadrilatero o costruzionia più piani, ad eccezione dei locali di abi-

tazione. Il progetto originale consiste indue “case”: la principale costituita da duezone ben distinte, unite da un oratorio eda un luogo di meditazione (non una“chiesa”). Su un fianco di questo nucleo,16 celle sono ripartite su quattro livelli;dall’altra parte, su 3 livelli, troviamo glispazi di vita e di incontro, gli uffici e laforesteria (quattro camere). La secondacasa, detta “universitaria”, riprende ilmedesimo principio, ma su una scala ri-dotta. La cappella non è stata costruitache nel 1982; l’allestimento del refettorioe della cucina è stato realizzato nel 1986,mentre l’edificio principale è stato in-grandito di 4 camere e, nel 2005, di unanuova manica di abitazione. Anche la fo-resteria si è sviluppata grazie all’addi-zione di un magazzino con laboratorionel locale seminterrato.

Dal punto di vista dei volumi e dellaforma architettonica, la cappella si distin-gue dagli altri edifici grazie al suo tettoa falde simmetriche, al contrario deglialtri tetti che seguono il grande movi-mento ascendente della collina. Il portaledella cappella, stretto, indica un passag-gio; si tratta di un invito al silenzio, allacalma, un pellegrinaggio dal quotidianoverso l’essenziale. All’interno della cap-pella, un terzo dello spazio è vuoto,senza sedie: un silenzio visivo che invitaal raccoglimento. Le quattro snelle co-lonne in legno, con il loro gioco di travi,appaiono come mani aperte verso ilcielo. Dal punto di vista liturgico, la cap-

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Pianta dell’edificio principale (da “Art d’Eglise” 157, 1971)

Foto esterna nella situazione originaria (da “Art d’Eglise” 157, 1971)

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Esterno del monastero, stato attuale (foto Longhi, 2013)

Cappella, interno (foto Longhi, 2013)

Cantiere di costruzione di Louvain-la-Neuve (in sezione, il livello dei parcheggi interratisotto la piastra, dal web)

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ispiratori della carta del restauro di Ve-nezia. Forte della sua esperienza nel re-stauro e nella rivitalizzazione dell’anticobeghinaggio di Leuven [6], Lemaire pro-pone di reinterpretare le qualità dellacittà medievale attraverso la piccolascala, la crescita organica, la diversitàstilistica. Disegnato tra il 1968 e il 1975da un piccolo gruppo di architetti rac-colti attorno a Jean-Pierre Blonde, Ray-mond M. Lemaire e Pierre Laconte, ilprogetto che ne deriva presenta una stu-pefacente miscela tra idee moderniste(soprattutto quelle sviluppate nell’am-bito dei Congressi Internazionali di Ar-chitettura Moderna, CIAM) e un nuovointeresse per la città storica. Il principiodi base è quello del “core” (cuore), unospazio pubblico centrale destinato esclu-

sivamente ai pedoni e circondato daquartieri di abitazione, distanti pochipassi l’uno dall’altro. Secondo questirinnovati obiettivi, viene ripresa l’ideadella piastra di cemento, che permette disegregare sottoterra il traffico stradale, igarages e i servizi tecnici: in superficienon si nota nulla della complessa infra-strutturazione sotterranea. L’aspetto“armonico” e la piccola scala si impon-gono visibilmente attraverso una seriedi regole estetiche relative alla sceltadei materiali, all’altezza delle costru-zioni, alla sagoma degli edifici, ecc.Sebbene tale strategia susciti moltoscetticismo e vive critiche, Louvain-la-Neuve si è presto sviluppata in modoautonomo, e può ora essere consideratauna città a pieno titolo.

louvain-la-neuve

Dopo la riforma dello Stato nel 1962, il re-gime linguistico bilingue dell’università diLeuven (in territorio fiammingo) diventauna sfida politica cruciale, che si risolvesolamente con la creazione di una nuovauniversità francofona nella regione dellaVallonia. Al contrario di quanto avviene aLiegi, in cui nella stessa epoca si costrui-sce un nuovo campus secondo il modelloamericano (padiglioni singoli in un conte-sto verde), a Lovanio si opta per la costru-zione di una vera città universitariaautonoma, Louvain-la-Neuve. Secondo ilconsiglio dell’architetto americano VictorGruen (grande specialista di centri com-merciali), viene proposta la costruzione diun’enorme piastra in cemento, sotto cui sicolloca un parcheggio sotterraneo (situatonell’affossamento tra due colline), e sullacui superficie si sarebbe disposta unadensa collezione di torri. Questa interpre-tazione moderna della città medievale (se-condo Gruen) è presto scartata, sotto lapressione di Raymond Lemaire, grandesostenitore della città storica e uno degli

pella è organizzata a partire dalla pre-ghiera comunitaria, che assume unaforma avvolgente sia per la recita dell’uf-ficio (nella prima parte della navata), siaper la celebrazione eucaristica (attornoall’altare). Lo stesso movimento è ri-preso dall’insieme dei fedeli, sistematinel coro anche quando il loro numerosale a 200 o 250 persone. L’altare, operadi Jean Williame, costituisce il centrospaziale dell’azione; la sua posizionepermette una certa creatività liturgica. Iltabernacolo si presenta sotto forma di co-lonna bianca che ricorda l’evento del-l’Esodo. La decorazione è stata dipintadal padre Maur-Etienne van Doorslaerdell’abbazia di Saint-André di Bruges.

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san Francesco d’assisi, louvain-la-neuveProgetto: Jean Cosse, 1984

La chiesa universitaria dedicata a SanFrancesco d’Assisi, una delle rare chiesecostruite in Belgio dopo il 1975, costi-tuisce il cuore della comunità parroc-chiale studentesca di Louvain-la-Neuve.La chiesa si inserisce nel tessuto di edi-fici che la circonda, adottandonel’aspetto e i materiali da costruzione. Latorre campanaria, che si ispira ai campa-nili delle chiese italiane, apre quattromani tese verso il cielo, in un gesto dipreghiera. Situata in prossimità dellapiazza principale, la chiesa si apre versola città e le residenze, a partire da unazona di accoglienza esterna, un sagratoa gradinate che segue la pendenza delterreno, pur prevedendo spazi di sosta.Non viene proposto un portale di in-gresso: si adottano “zone fluide” che sci-volano dalla strada al sagrato, e quindidal sagrato all’interno; nello spazio diingresso è collocato il fonte battesimale,con illuminazione zenitale. La navata èorganizzata in tre spazi. Il primo, per lecelebrazioni ordinarie, si sviluppa suuna superficie piana continua al livellodel suolo. Il volume percepibile è relati-vamente basso, scelta che determina ilsuo carattere familiare; l’altare è illumi-nato da un pozzo di luce diretta. Il se-condo spazio, destinato ai giorni festivi,si impossessa dello spazio verticale uti-lizzando un mezzanino, collegato all’as-semblea da due gradonate. In terzoluogo, lo spazio si allarga in luminositàed altezza, evocando “ la comunionedella Chiesa celeste e terrestre”.

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Interno (foto Longhi, 2013) Esterno (foto Longhi, 2013)

Pianta del complesso (da “Art d’Eglise” 178, 1978)

I diversi dispositivi liturgici (da “Art d’Eglise” 178, 1978)

Sezione sulla chiesa, con l’indicazione dei tre livelli (da “Art d’Eglise” 178, 1978)

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notre-daMe d’espérance, louvain-la-neuveJean-Claude Bodeux et Baudouin Libbrecht, 2003

Il consolidamento dello sviluppo dellacittà è confermato dalla recente costru-zione di una nuova cappella, destinata alservizio del quartiere di Bruyères. Perevitare che la chiesa, di modesta dimen-sione, fosse sopraffatta dagli immobiliadiacenti, gli architetti hanno scelto unavolumetria espressiva e familiare, che ri-corda l’archetipo della chiesa di campa-gna, ma utilizzando materiali nobili,quali la muratura in pietra naturale diArkose. L’accesso alla chiesa non av-viene dal sagrato de la Cantilène (unparcheggio verso cui l’edificio manife-stamente volta la schiena), ma a partireda un “chiostro vegetale”, in cui pos-sono svolgersi anche funzioni all’ariaaperta.All’interno della chiesa, lo spazio cele-brativo – che ha una capacità di 300posti al piano terreno e 50 nella galleriasuperiore – è raccolto attorno alle duemense: quella della Parola e quelladell’Eucaristia; la sede del presidentefronteggia la comunità e l’altare. Comea Clerlande, i poli della celebrazionesono avvolti dall’assemblea, ma altempo stesso una larga parte dello spazioliturgico resta libera, offrendo cosi uncerto “vuoto sacro” dove possono tro-vare espressione le esigenze di adulti ebambini. Le dodici lampade che illumi-nano il coro fanno riferimento ai 12 apo-stoli. La custodia eucaristica è in unacappella sul fianco dell’assemblea, incomunicazione visiva con l’aula princi-pale. Al piano superiore del complessoparrocchiale si trova una sala di riunioneper 120 persone, attrezzata con cucina.

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Facciata e guglia della chiesa (dal web)

Interno absidale (foto Longhi, 2013)Esterno absidale (foto Longhi, 2013)

Pianta del complesso parrocchiale (archivio dei progettisti)

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saint-paul, WaterlooProgetto: Jean Cosse, 1968

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Interno originario (dal web, KIK-IRPA)

Esterno, stato attuale (foto Longhi, 2013)

Interno, stato attuale (foto Longhi, 2013)

Esterno e pianta, dopo l’ampliamento del 1978 (da “Art d’Eglise” 184, 1978)

La fondazione della parrocchia di SanPaolo a Waterloo rientra tra le conse-guenze di due importanti avvenimenti. Ilprimo (ancora una volta) è la definizionedella frontiera linguistica del 1962, da cuideriva una netta distinzione dei regimi lin-guistici negli affari culturali, incluse lequestioni religiose e cultuali. La secondadinamica rilevante è costituita dalla diffu-sione dei temi conciliari in un’arcidiocesidove – durante l’episcopato del cardinaleSuenens – vengono favorite le innovazioniliturgiche e pastorali. A seguito dell’inco-raggiamento del vicario generale del Bra-bante Vallone, un sacerdote si insedia neisobborghi di Waterloo per stabilirvi unanuova parrocchia destinata ai francofoniresidenti in territorio fiammingo. Nel quar-tiere incontra una popolazione giovane edinamica, che non intende tanto erigereuna chiesa nel senso tradizionale del ter-mine, ma piuttosto una “casa dell’assem-blea cristiana”, o domus ecclesiae. Pertrovare un progettista adatto, il parroconon deve andare a cercare lontano: l’archi-

tetto Jean Cosse abita nel quartiere stesso.Il suo progetto è condizionato innanzituttoda un imperativo di economicità: gli orga-nismi di curia stabiliscono infatti che ilnuovo edificio non debba costare più deldoppio della costruzione provvisoria ini-zialmente prevista. In risposta, Cosse co-struisce in soli quattro mesi un edificiomolto economico, costituito da un sem-plice spazio interno che sia per tutti “unospazio di accoglienza fraterna in un am-biente di pace, verità e gioia interiore”. Da

tale scelta deriva un’estetica architettonicadi grande semplicità, dalle forme chiare, lacui dimensione e aspetto “diventano il piùsimili possibile a quelli delle case degli uo-mini” (Cosse). Si deve infine notare che,in ragione della flessibilità d’uso richiesta,la chiesa non ha potuto essere consacrata,in quanto l’altare non è realizzato né so-lido, né inamovibile. Nel 1975 è stato co-struito un ampliamento, sotto forma di unannesso che ospita alcune camere, unanuova sacrestia e una piccola cucina.

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grand Béguinage di lovanio; san giovanni Battista

Dal XII secolo alcune donne devote, cheper ragioni diverse non avevano sceltola vita monastica, si ritirano al di fuoridella società, in comunità di “beghine”.Il Grand Béguinage di Lovanio, il piùantico e vasto dei due beghinaggi dellacittà, sarebbe stato fondato nel 1232, inun’area originariamente esterna allemura. La chiesa, costruita in gran partenel XIV secolo, costituisce l’edificio piùantico del complesso. La maggior partedelle case data al XVII secolo, momentoin cui il beghinaggio conosce unagrande effervescenza: si stima che, at-torno al 1700, il numero delle beghinearrivasse a quasi trecento. In epoca mo-derna il loro numero decresce gradual-mente: nel 1962 ne restano solo due.

Per salvaguardare tale straordinario pa-trimonio, l’università decide di acquisireil sito nella sua totalità, per sistemarvi leresidenze di studenti e professori stra-nieri. A tal fine l’insieme è completa-mente restaurato tra il 1963 e il 1972,sotto la direzione del prof. Raymond Le-maire. Si tratta di una delle prime appli-cazioni dei principi della Carta delRestauro di Venezia del 1964, che af-ferma che la conservazione di un edifi-cio ha senso solo se è accompagnata dauna previsione chiara del suo ruolo fu-

turo nella società. Secondo tale princi-pio, la cappella è oggi messa a disposi-zione della parrocchia universitaria. Talefunzione ha reso necessari alcuni adat-tamenti per quanto attiene al riscalda-mento (a pavimento), l’illuminazione(lampade sospese bianche, semplici) e ildispositivo liturgico. Gli arredi (altare,pedana, ambone, pannello per l’indica-zione dei canti) sono stati progettati nel

1985 dall’architetto Paul Van Aerschot,autore anche della biblioteca della fa-coltà di teologia e molto coinvolto nelrestauro del Beghinaggio. La via Crucis,ideata dall’artista Hilde Van Sumere,consiste in 14 blocchi di marmo che rap-presentano le stazioni in modo astratto.Il complesso è iscritto nella Lista del Pa-trimonio Mondiale dell’Unesco (WHL)dal 1998.

GIOVEDÌ 19 GIUGNOMOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

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Interno (foto Jaspers)

Esterno della chiesa di San Giovanni

(da Gotische architectur in Belgie 1997)

Altare (foto Longhi, 2013)

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san pietro, lovanio

La collegiata di San Pietro costituisce,con l’antistante municipio, il nucleocentrale della città, da cui partivano sto-ricamente tutte le strade principali versoBruxelles, Malines, Diest e Tienen,come testimoniano i nomi delle stradeche si dipartono dalla piazza. La chiesaattuale fu costruita nel XV secolo, atappe successive, sotto la direzione di di-versi capomastri, quali Sulpitius vanVorst, Jan II Keldermans e Matthys deLayens. Durante lo sviluppo del can-tiere, il corpo occidentale romanicodella chiesa precedente rimase in piedi,nonostante l’incendio che lo colpì nel1458. Nel 1505, però, Joos Metsys (fra-tello del celebre pittore Quinten) disegnaun nuovo corpo occidentale gotico, co-stituito da una torre centrale alta 168metri (un record mondiale, per l’epoca),affiancata da due torri laterali alte 136metri. I lavori, presto iniziati, devono ar-restarsi nel 1541 a causa di problemi fi-nanziari e dell’instabilità del sottosuolo.Dopo un crollo nel 1570, il corpo occi-dentale viene abbassato alla sua attuale

altezza. All’interno della chiesa, un mo-dellino testimonia l’ambizione e la va-nità del progetto iniziale.

La chiesa ha sofferto gravi danni durantele due guerre mondiali: durante l’incen-dio di Lovanio del 1914, in particolare,le ali ovest e sud sono state devastate dalfuoco, mentre nel 1945, in seguito a unbombardamento, il transetto nord è statodistrutto. I danni sono stati riparati solodurante gli anni Cinquanta sotto la dire-zione del canonico Lemaire, e i lavorinon sono stati completati che nel 1963.

La sistemazione liturgica data dellostesso periodo; l’altare in granito è statodonato da un gruppo di sopravvissuti aicampi di concentramento.

Nonostante il suo stato incompiuto, ilcampanile è iscritto nella Lista del Pa-trimonio Mondiale dell’Unesco dal1999, nel sito seriale delle torri campa-narie di Belgio e Francia. Nel coro e neljubé della chiesa sono esposte numerosestatue e quadri, con ostensori, reliquiarie suppellettili liturgiche. L’opera più ce-lebre è l’Ultima cena di Dirk Bouts.

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Pianta (da Gotische architectur in Belgie 1997)

Facciata (da Gotische architectur in Belgie 1997)

Area presbiteriale (foto Jaspers)Altare (foto Longhi, 2013)

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Kadoc, lovanio

Il Kadoc (Centro di documentazione edi ricerca sulla religione, sulla cultura esulla società) è un centro inter-facoltàdell’università di Lovanio, che ha lamissione di preservare la cultura catto-lica in Fiandra attraverso i documentid’archivio e la ricerca. Il Kadoc ha sedein un antico convento di frati Minori, co-struito verso il 1870 a fianco della cap-pella di Notre-Dame des Fièvres, in stilebarocco tardivo. Questa cappella, luogodi pellegrinaggio molto frequentato nelcorso dei secoli, fu venduta all’asta dopola rivoluzione francese; a seguito delconcordato del 1805 tra Napoleone e ilpapa, divenne chiesa parrocchiale, peressere quindi integrata nel monastero dei

frati Minori. Nel 1987 il complesso èstato acquistato dall’Università di Lova-nio per ospitarvi sale di lettura, spaziespositivi, l’amministrazione del Kadoce una parte dei suoi archivi, conservatiin un magazzino sotterrano di una capa-cità di 13 km di scaffali. Il Kadoc orga-nizza regolarmente mostre chevalorizzano il patrimonio delle propriecollezioni, come pure seminari e gior-nate di studio. Inoltre, il Kadoc pro-muove numerose collane dipubblicazioni (soprattutto di natura mo-nografica) ed ha un ruolo decisivo nelladigitalizzazione di archivi e banche datisul patrimonio culturale fiammingo(http: //kadoc.kuleuven.be ).

Negli anni del Concilio, l’arcidiocesi diMechelen-Bruxelles diventa un terrenofertile per ogni sorta di iniziative innova-trici, finalizzate a riportare la Chiesa sem-pre più in sintonia con la società. Latrasformazione della parrocchia di DonBosco a Kessel-Lo (un quartiere operaionon distante da Lovanio) in una “comunitàcristiana di base” offre un bell’esempio ditale clima. Domus Dei, il servizio dioce-sano incaricato della costruzione e del fi-nanziamento delle nuove chiesenell’arcidiocesi, coglie al volo l’opportu-nità costituita dall’ambiente progressista

di Kessel-Lo per proporre un nuovo tipodi chiesa: non più un centro di devozionee di preghiera, ma un vero e proprio centrocomunitario. Il progetto prevede una salamultifunzionale (600 posti) e alcune sa-lette per la meditazione personale, la for-mazione e le riunioni informali, spaziraccolti attorno a una sorta di “strada in-terna”, concepita come un’arteria di comu-nicazione e di attività. In tal modo, ilcomplesso può accogliere non solo cele-brazioni religiose, ma anche ogni sorta diincontro di carattere sociale, culturale e fe-stivo. Dunque, la novità non consiste tanto

nella disaggregazione in una pluralità dispazi del programma tradizionale dellachiesa e del suo complesso, ma soprattuttonelle nozioni di flessibilità e di appropria-zione (attraverso pareti mobili) che ren-dono possibile accogliere una pluralità diattività in un solo contesto spaziale: cele-brazione liturgica domenicale, riunioni diassociazioni il sabato, preghiera indivi-duale e catechismo durante gli altri giornidella settimana. Nel 2013-14 l’edificio èstato ristrutturato da LOW Architects; intale occasione, gli architetti hanno dise-gnato un nuovo altare e un nuovo ambone.

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centro parrocchiale don Bosco, Kessel-loProgettista: Marc Dessauvage, 1966-19709

KADOK, esterno della cappella

Pianta del piano terreno (archivio dell’Arcodiocesi)

Esterno (foto Sterken)

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Come il centro parrocchiale di Kessel-Lo,la chiesa di San Carlo di Holsbeek serveun quartiere suburbano, abitato all’epocada pendolari che lavoravano a Lovanio oa Bruxelles. La sfida principale per l’ar-chitetto consiste dunque nel creare un“centro” in senso sia spaziale, sia sociale.Da tale tensione deriva l’espressività dellacopertura, che mira a segnare un “luogo”in un contesto a densità abitativa moltobassa. In un suo commento, l’architetto hascritto: “in questo vuoto, in questo caos,abbiamo eretto un pilastro come un fortepunto di riferimento […]. Questo pilastro

costituisce la chiesa. Non è un luogo dipermanenza, nemmeno uno spazio sepa-rato, isolato, ma un luogo di incontro. Èla dove si ricongiungono tutte le direzioni,è la da dove partono tutte le direzioni”.Questo simbolismo, tuttavia, non dominal’espressione architettonica: il risultatoresta un caso esemplare di casa-chiesa, in-serendosi completamente nel contestograzie a dimensioni, materiali, forma ar-chitettonica e profilo. La croce e il cam-panile, che rinforzano l’identità religiosadell’edificio, sono stati realizzati in unsecondo tempo.

san carlo, holsBeeKProgettista: Marc Dessauvage, 1964-196910

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Esterno e interno (da Marc Dessauvage 1987) Esterno, stato attuale (foto Longhi, 2013)

Interno (foto Sterken) Esterno dell’area absidale (foto Longhi, 2013)

Pianta, (da Marc Dessauvage 1987)

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La chiesa di Haacht è costituita da unsolo volume, dalle nitide proporzionigeometriche (36x24x8 metri), senza so-stegni intermedi. Può ospitare circa 500fedeli, tutti con una piena visibilitàdell’altare. Come spesso accade, unatale semplicità di impianto richiede lamessa in opera di soluzioni costruttiveelaborate: la copertura, per esempio, èconcepita come una superficie piegata,realizzata con una struttura costituita da12 travoni in cemento armato prefabbri-cati, alti un metro. Sebbene si tratti diuna prodezza tecnica unica nel suo ge-nere per l’epoca, l’enorme superficiedella copertura ha posto numerosi pro-blemi di infiltrazioni d’acqua, mentre ininverno bisognava proteggersi contro legocce d’acqua di condensa che cade-vano dal solaio a causa della rilevantedifferenza di temperatura tra l’aria caldadell’interno e il clima esterno. La vetratadella facciata sud, intitolata “La Crea-zione” (2002), opera del soffiatore divetro Danny Theis, è ritenuta la vetratapiù grande del paese (22 x 7 metri, 118pannelli). La cappella feriale è stata tra-sformata in locale per la terza età, e lasua funzione originaria è stata trasferitanella cappella battesimale.

onze-lieve-vrouW van altijddurende Bijstand [nostra signora del perpetuo soccorso], haachtProgetto Paul Felix (coll. Jan Tanghe), 1958-1961

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Facciata principale e interno (archivio KIRPA)

Pianta, (da Paul Felix 1981)

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aBBazia di roosenBerg, WaasMunsterProgetto: Dom Hans van der Laan, collaboratore Nico van der Laan, 1974-1975

La fusione di due comunità monastichefemminili negli anni Sessanta costituiscel’occasione di costruire un nuovo con-vento nei dintorni di Waasmunster, neipressi di Sint-Niklaas (Fiandra Occiden-tale). Mentre sono alla ricerca di un archi-tetto adatto, le suore si imbattono inun’intervista rilasciata da dom Hans vander Laan al giornale De Standaard. Unavisita all’abbazia di Vaals, in cui van derLaan era intervenuto dalla fine degli anniCinquanta, convince la comunità a rivol-gersi al celebre monaco-architetto perchiedergli di progettare il loro nuovo rifu-gio. Il programma comporta un monasterocon cappella per 12 suore e venticinquecamere per ospiti. La forma d’insieme de-riva dai contorni del terreno, che si trovanocosì ribaditi nell’edificio stesso. Le stanzesono distribuite attorno a due corti: una dàaccesso alla chiesa, l’altra – più grande eprivata – ha la funzione di chiostro.L’omogeneità estetica, l’armonia volume-trica e la qualità spaziale dell’edificio de-rivano dall’utilizzo sistematico del sistemadi proporzioni definito come il “numeroplastico”, che ordina la conformazionedello spessore dei muri, il distanziamentodelle colonne, l’altezza dei solai ecc. Al-l’aspetto proporzionale si aggiunge ancheuna grande “tattilità” dello spazio, tramitele diverse qualità sensoriali dei differenti

materiali messi in opera: muri in mattoniricoperti da un sottile intonaco di latte dicalce, calcestruzzo a vista, legno non trat-tato o verniciato. Ne deriva una tavolozzadi colori molto parca, basata sulle varia-zioni del grigio, scelta che contribuisce inmodo decisivo a definire la quiete dell’am-biente e il carattere moderno ma atempo-rale dell’edificio. La cappella, dedicata allaVergine, si distingue dal resto dell’insiemeper la sua forma ottagonale e per la sua al-tezza. Partendo da una pianta esterna qua-

drata, lo spazio di preghiera è definito da8 pilastri piuttosto massici, ed è illuminatosolo da finestre aperte nel tiburio ottago-nale che copre l’edificio. Tutti gli arredi(banchi, tabernacolo, altare) sono stati di-segnati da Van der Laan, con l’obiettivo disalvaguardare la massima omogeneitànelle forme e nei colori. I dipinti murali diTheodore Strawinsky – che raffigurano laVergine affiancata dai santi Pietro e Paolo– costituiscono una delle rare connotazionifigurative proposte dall’architetto.

VENERDÌ 20 GIUGNOMOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

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Esterno (da Dom Hans van Der Laan 2000)

Pianta (da Dom Hans van Der Laan 2000) Interno cappella (foto Longhi, 2012)

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Esterno cappella (foto Longhi, 2012)

Spazi di vita comune (foto Longhi, 2012)

Chiostro (foto Longhi, 2012)

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christus-KoningKerK [chiesa di cristo re], sint-niKlaasProgetto: Raphael Verwilghen, 1938

Rompendo con la tradizione neogotica –ancora in vigore negli anni Trenta perquanto riguarda la costruzione di chiese –Verwilghen propone un’interpretazionemoderna della basilica romanica, realiz-zata mediante uno spazio unitario, che puòcontenere fino a 800 persone. All’epocadella sua realizzazione, il contrasto tra ilcarattere rurale dei dintorni e la nuovachiesa, evidente grazie alla sua modernitàe alla sua monumentalità, doveva essereveramente notevole. Con la chiesa di SanGiovanni di Molenbeek (Joseph Diongre,1930), si tratta di una delle prime applica-zioni evidenti del cemento armato in un

edificio ecclesiastico. All’interno, l’ac-cento è spinto sulla funzionalità: tutta l’at-tenzione è diretta verso l’altare attraversoun gioco di linee orizzontali e verticali,mentre ampie finestre assicurano un’illu-minazione eccezionale. L’assenza di de-corazione non implica, tuttavia, l’assenzadi simbolismo: il tetto è sostenuto da dueserie di sei pilastri (rimandando ai 12 apo-stoli), mentre le sette vetrate ai fianchidelle due navate, disegnate dall’artista

Staf Pijl, si riferiscono alle 14 stazionidella via Crucis. Nel piano interrato tro-vano spazio diverse sale per associazionie movimenti giovanili. Con il suo campa-nile alto 50 metri, la chiesa gioca quindianche a livello spaziale un ruolo struttu-rante nella vita del quartiere. La sua iscri-zione nel 2002 nell’elenco dei monumentistorici tutelati non ha impedito la scelta dinon utilizzare più per il culto cattolico apartire dal giugno 2014.

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antico seMinario episcopale di sint-Katelijne-WaverProgetto: Simon Van Craen, 1933-1936

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Esterno e interno (dal web Erfgoedbank Waasland)

Foto aerea (da “Monumenten en Landschappen” 2004, 2)

Durante gli anni Venti del Novecento, l’ar-cidiocesi di Mechelen conosce una fortecrescita delle vocazioni sacerdotali. Si de-cide quindi di fondare un nuovo seminarioper i primi due anni di filosofia. Su un ter-reno arido e sabbioso a nord di Mechelen,viene realizzato un ampio complesso checomprende 350 camere singole (tutte at-trezzate con acqua corrente!), chiesa, bi-blioteca, aule di lezione ecc. Il complessoè progettato e costruito in meno di dueanni e finanziato quasi interamente attra-verso donazioni. Di concezione monu-mentale, ampiamente decorato con statuee affreschi, il complesso richiama il puntoculminante del risveglio cattolico in Bel-gio tra il 1850 e la metà del Novecento. A

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livello stilistico, l’insieme rappresenta unacuriosa miscela tra stile neo romanico edelementi decorativi di ispirazione Artdéco. La cappella, con il suo campanile di40 metri di altezza, costituisce il nucleocentrale del seminario. Le vetrate lateralirappresentano una serie di santi con i loroattributi, mentre la vetrata sopra l’altare(opera di Florent Colpaert) rappresenta laTrinità. La via Crucis, poco convenzio-nale, è stata disegnata dall’architettostesso. In conseguenza del calo delle vo-cazioni successivo alla II Guerra Mon-diale, il seminario chiude le sue porte nel1965. A metà degli anni Settanta il com-plesso viene rilevato da una società non lu-crativa, Borgerstein, per allestirvi uncentro d’accoglienza di ispirazione cri-stiana per persone con disagi mentali. Interno con lo stato originario (da “Monumenten en Landschappen” 2004, 2)

cappella del nulla, duFFelArtista: Thierry De Cordier, 2007

Realizzato nel giardino di un centro psi-chiatrico, questo luogo è destinato ai pa-zienti e ai visitatori che desiderano trovareun momento di riposo. In origine, l’ideaconsisteva nel creare uno spazio di ritiro edi meditazione, ma nel corso del processocreativo il progetto ha trovato sfogo nellacreazione di un semplice “vuoto”, sottoforma di scatola di cemento dipinto innero. Questa scatola – la cui forma fa rife-rimento alla Kaaba della Mecca, ma ancheal Quadrato Nero di Malevich – è sostan-zialmente vuota, a parte una sola panca euna colonna nera davanti all’alto murotutto bianco. Lo spazio interno, aperto, ècondizionato dagli elementi e cambia al

ritmo del tempo e delle stagioni. Sebbenepriva di ogni simbolismo religioso, la cap-pella evoca nondimeno un ambiente spi-rituale. L’unico riferimento esplicitamentecattolico è la statua della Vergine: essa ècollocata all’esterno dello spazio, ma difronte al portale della cappella, con cuistabilisce una forte relazione visiva. Ilmuro bianco a sviluppo verticale incarnail Nulla, secondo il desiderio dell’artista,e deve restare sempre impeccabilmentebianco: a tal fine, è ridipinto ogni anno; lealtre parti della costruzione sono lasciateesposte alle intemperie.

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Esterno e interno (foto Sterken, 2013

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cattedrale di san Michele e santa gudula, Bruxelles

Una cappella dedicata a San Michele esi-steva già dall’IX secolo all’incrocio di dueantiche strade importanti (dalla Fiandraverso Colonia, e da Anversa verso Mons),cui la città di Bruxelles deve le sue origini.Due secoli dopo, la prima cappella vienesostituita da una chiesa romanica per ospi-tare anche le reliquie di Santa Gudula. Lacostruzione della chiesa come la si cono-sce attualmente, in stile gotico brabantino,inizia dal coro nel 1226; la navata e il tran-setto datano al XIV e XV secolo. La fac-ciata occidentale, con i suoi tre portalisormontati dalle ghimberghe e affiancatidalle due torri, si riferisce al gotico fran-cese, ma non ha il rosone, sostituito da unagrande vetrata brabantina. Le due torri,alte 64 metri, hanno coronamenti allestitia terrazzo; sono attribuite a Jan van Ruy-sbroeck (1470-1485), l’architetto della gu-glia del municipio di Bruxelles.

Fino al XIX secolo la collegiata era cir-condata da casupole e vicoli; in occasionedi diverse campagne di risanamento ur-bano, i dintorni della chiesa sono staticompletamente liberati. Restaurata unaprima volta alla metà del XIX secolo (inparticolare da parte dell’architetto Tilman-François Suys), la cattedrale è stata com-pletamente restaurata tra il 1982 e il 1999.In tale occasione, sono stati rinvenuti i resti

della chiesa romanica e la cripta sotto l’at-tuale coro. Dopo il rinvenimento e il re-stauro dei reperti, nel sottosuolo dellacattedrale è stato allestito un percorso ar-cheologico aperto al pubblico, che per-mette di visitare i resti della primitivacollegiata. Oltre ad assumere un ruolo cen-trale nella vita religiosa diocesana, la cat-tedrale resta uno spazio di risonanza permanifestazioni di rilievo della vita socialedella città e del paese. Tuttavia, è solo nelfebbraio 1962 che la collegiata acquisisceistituzionalmente il titolo di Cattedrale, af-fiancandosi alla cattedrale di Saint-Rom-

SABATO 21 GIUGNOMOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

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facciata Allestimento liturgico (foto Longhi, 2012)

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baut di Mechelen (Malines), sede dell’ar-civescovo; tale decisione dipende dallascissione dell’arcidiocesi in due parti, per-ché troppo grande (3 milioni di abitanti),avvenuta nel 1962 stesso, e dalla conse-guente riorganizzazione complessiva, con-dizionate anche da aspetti geopolitici:l’arcidiocesi di Mechelen-Bruxelles (unicaarcidiocesi belga), che copre all’incirca ilterritorio della conurbazione brussellese ele province del Brabate-Vallone e del Bra-bante-Fiammingo; la diocesi di Anversa,che copre il territorio della provincia diAnversa (a parte il cantone di Mechelen).

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notre-daMe de stocKel, sint-pieters-WoluWeProgetto: R. Aerts, P. Ramon (1957; realizzazione: 1962-67)

Per le sue dimensioni, la sua collocazionenello spazio urbano e la sua monumenta-lità architettonica il complesso parroc-chiale di Notre-Dame de Stockelcostituisce una testimonianza significa-tiva della supremazia della Chiesa catto-lica nel Belgio del Dopoguerra.L’insieme comprende una chiesa per 800persone, una cappella feriale di 200 posti(ornata dalle vetrate colorate di PierreMajeurs), diversi locali per il catechismo,i movimenti giovanili e le associazionilocali. Il tutto è disposto su due piani, dicui il superiore è occupato dalla chiesa,di impianto quadrato. La spianata el’enorme vetrata accentuano la monu-mentalità della facciata principale e sot-tolineano notevolmente il passaggio dalquotidiano alla solennità dello spazio diculto. La sacrestia è un piccolo edificioindipendente, collegato alla chiesa da unpassaggio coperto. Anche la sacrestia hadue livelli: in basso ulteriori sale di riu-nione e di catechismo; al piano superiore,la sacrestia propriamente detta.

Concepito prima della riforma liturgicaconciliare, il progetto non è stato realiz-zato secondo quanto previsto: il batti-stero, pensato originariamente come unvolume indipendente collegato al corpodella chiesa da una passerella coperta, èstato allestito nella cappella feriale. Perragioni finanziarie, il campanile non è

stato costruito, mentre la copertura pira-midale è stata abbandonata quando ci siè resi conto che le fondazioni erano in-sufficienti a reggerla, a causa di un erroredi calcolo; le campane, dunque, sonostate sistemate sul tetto. Siccome la ve-trata prevista dagli architetti nella grandefinestra di facciata non è stata realizzata,si è verificato un problema di abbaglia-mento per il sacerdote e una gran parte

dei fedeli. Tale situazione e l’ampiezzadegli spazi a disposizione hanno solleci-tato la comunità a sfruttare la flessibilitàdella pianta quadrata della chiesa, alle-stendo – all’inizio degli anni 2000 – undispositivo liturgico in forma di ellisse.L’altare e l’ambone si inscrivono oranella forma avvolgente determinatadall’assemblea, ciascuno in uno dei duepunti focali dell’ellisse.

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Modello del progetto originario (da archivio Domus Dei)

Pianta dell’aula e del piano a livello strada

(da “La Technique des Travaux” 44/7-8, 1968)

Es terno nello stato originario (dal web, KIK-IRPA)

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Interno, stato attuale (dal web, irismonument)Interno nello stato originario (dal web, KIK-IRPA)

cappella della coMunità tedesca cattolica, WoluWe-saint-pierreProgetto: Catherine De Bie; artista: Leo Zogmayer, 2001; consulente artistico: Mark Delrue

L’ingresso alla cappella avviene me-diante un lungo corridoio che attraversauna casa di abitazione in Avenue de Ter-vuren. Il percorso assume anche la va-lenza di Via Crucis, le cui stazioni sonosimbolizzate da blocchi in granito inse-riti nella pavimentazione, segnati dalinee intagliate in numero decrescente.L’altare costituisce il quindicesimoblocco di questa serie, simbolo della Re-surrezione di Cristo. Nei due spazi afianco dell’ingresso all’aula liturgicaviene collocato quanto ciascuno portacon sé per la celebrazione (a destra i libriper il canto corale, a sinistra la tavoladelle offerte), e dalla parte opposta ciò

che proviene da Dio (il Vangelo a sini-stra, il tabernacolo a destra). Non è pre-sente un Crocifisso fissato alla parete,ma viene utilizzata una sobria croceastile gemmata, portata nell’aula dal-l’accolito, all’inizio di ogni funzione.L’assenza di un simbolo religioso per-manente consente a ognuno, qualunquesia la sua convinzione, di appropriarsidello spazio per la meditazione perso-nale al di fuori delle celebrazioni catto-liche. Per abolire la separazione traprete e fedeli e per sostenere l’idea dicomunità, le sedie sono disposte in

forma ellittica attorno ai due poli cele-brativi: l’ambone (tavola della Parola) el’altare (mensa del Banchetto). Il vuototra i due poli invita alla creatività litur-gica in occasione di battesimi, matrimonie funerali, stimolando anche la medita-zione al di fuori delle funzioni. Infine, aparte le nicchie murali con specchi colo-rati, lo spazio è privo di ogni ulteriore de-corazione, riferimento al divieto degliidoli nell’Antico Testamento e all’ideaprotestante che un eccesso di decora-zione distrae i fedeli invece di avvicinarliai misteri della fede.

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Corte esterna e via crucis (dal web, KIK-IRPA)

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Allestimento liturgico e pianta dell’aula

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MOVIMENTO LITURGICO E ARCHITETTURA IN BELGIO

17-21 GIUGNO 2014

ArteArchitettura Liturgia Esperienze Internazionali

Come i paesi confinanti, le Fiandre hanno un serio problema con il proprio patrimonio religioso: la crescente secolarizzazione pone la questione di quale sorte debbano avere le chiese non utilizzate o sotto-utilizzate. Le Fiandre infatti, una regione tradizional-mente molto cattolica, hanno un patri-monio ecclesiastico di grande estensio-ne, spesso percepito come un problema in ragione del pesante costo delle opere di manutenzione e restauro. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che le chiese rappresentano anche una consi-derevole risorsa: formano un’imprescindibile parte dell’identità regionale, in quanto l’organizzazione storica dei villaggi e dei quartieri urbani ha letteralmente preso posto “attorno al campanile”. Nonostante il sempre maggior numero di edifici sviluppati in altezza, le chiese e le loro torri restano come fari nel paesaggio.

Dal punto di vista della storia ecclesia-stica, il XX secolo è stato un periodo denso di avvenimenti, che hanno intro-dotto molti cambiamenti nella liturgia. Tale dinamica è chiaramente riflessa dall’architettura ecclesiastica. Sotto l’influenza del Movimento Liturgico – che prese le mosse durante il pontifica-to di Pio X (1903-1914) – la liturgia e il suo assetto spaziale furono profonda-mente riconsiderate. Anche l’architettura fu concepita per servire la nuova concezione della liturgia. Le chiese dovevano essere sobrie e strutturalmente sincere, moderne ma al tempo stesso senza tempo, e soprattutto dovevano contribuire alla massima partecipazione dei fedeli alla liturgia. Il ruolo della devozione individuale era ridotto in favore della celebrazione comunitaria. Dal punto di vista archi-

tettonico, tali scelte si traducevano in una minor importanza delle cappelle laterali e nell’ampliamento della navata. I cori divennero più corti e le navate laterali furono ridotte a zone di circolazione. Queste innovazioni, specialmente per quanto attiene le soluzioni planimetriche, iniziarono ad affermarsi durante la prima metà del XX secolo, in chiese costruite sia in stili tradizionali, sia con linguaggi innovativi. Fino agli anni Venti, l’architettura delle chiese illustra il progressivo declino degli stili “neo-“, di impronta storicista. Ciononostante, ancora nel 1930 la chiesa di San Paolo a Gand viene costruita in un solido stile neo-romanico, secondo il progetto di Henri Valcke. Dalla fine degli anni Venti la ricerca viene diretta verso un linguaggio progettuale moderno, che mantiene tuttavia un legame con la tradizione. La scuola di architettura di Saint-Luc ha avuto un ruolo significati-vo in tale fenomeno, promuovendo costruzioni ecclesiastiche che utilizza-vano severe strutture in mattone tradi-zionale. Soprattutto i progetti e le teorie dell’architetto A.J. Kropholler erano proposte come razionali e moderne. Numerose chiese fiammin-ghe mostrano un chiaro legame con l’architettura di Kropholler e altri progettisti olandesi, quali B.T. Boeyin-ga, Jan e Theo Stuivinga, J. Uyterlin-den e C.M. Van Moorsel. Tuttavia possono essere ancora riconosciuti riferimenti letterali – o addirittura copie – di elementi stilistici storici: per una giovane generazione di intellettuali cattolici, tale modernizzazione restava ancora troppo timida. Nel periodo interbellico le chiese dal progetto più innovativo sono quelle di Flor Van Reeth, che testimoniano un’ostinata

sobrietà, tipica del movimento funzio-nalista; ma tale scelta resta più un’eccezione che la regola.

La grande attività costruttiva di chiese durante gli anni Cinquanta può essere spiegata con le distruzioni della II Guerra Mondiale e con il crescente fenomeno della sub-urbanizzazione. La costruzione di nuove chiese fu inizialmente dominata da una tendenza tradizionalista, quale quella interpreta-ta da Jos Ritzen – uno dei primi seguaci della Bosschen Schule – nella basilica in stile paleocristiano con torri campa-narie isolate, realizzata a Knokke (1952-1959). Un forte stimolo moder-nizzatore arriva solo nel 1958, con l’Esposizione universale di Bruxelles, e successivamente con l’avvicinamento al Vaticano II, quando committenti religiosi commissionaro-no progetti moderni per sostenere il proprio fervore progressista. Il conven-to Zonnelied di Paul Felix (1959) illustra la sobrietà e il carattere anti-monumentale di questo nuovo paradig-ma religioso. Con la sua limitata gamma di materiali (cemento a vista, legno e vetro) e con la sua chiara articolazione spaziale e strutturale, l’edificio diventa l’espressione archi-tettonica del voto di povertà. Questo spiega anche perché la chiesa può difficilmente essere distinta dagli edifi-ci del convento circostanti.

Un altro importante fattore di rinnova-mento viene dal lavoro di Marc Dessau-vage. In stretta collaborazione con Geert Bekaert, il più importante critico di architettura belga del dopoguerra, Dessauvage sviluppa il concetto di “casa-chiesa”: si tratta della trasposizio-ne architettonica della nuova visione

L’ARCHITETTURA RELIGIOSA DEL XX SECOLO NELLE FIANDRE: STORIA, CONOSCENZA E VALUTAZIONE 1

1 Traduzione di alcune parti dell’articolo di Sven Sterken, Leen Meganck e Yves Schoonjans, Twentieth Century Church Architecture in Flanders, in”DOCOMOMO NL Newsletter”, 8 (2008), numero monografico The Light from Above. Modern Religious Heritage in the Netherlands, pp. 22-25, aggiornato e rivisto da Sven Sterken e Jan Jaspers.

Appendice

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della liturgia, intesa come un ritorno all’esempio dei primi Cristiani, per i quali l’Eucaristia era soprattutto un evento sociale che prendeva posta in “una casa o in un’altra” (parafrasando il titolo del notissimo libro di Geert Beka-ert In een of ander huis). La chiesa di St.-Paul a Westmalle rappresenta bene la piccola scala e la deliberata “invisibi-lità” delle case-chiesa, che in modo affatto appariscente si integrano nei loro contesti. Il tipico orientamento assiale della chiesa è sostituito da una raffinata e articolata configurazione spaziale, strutturata su un attento posizionamento degli arredi liturgici. Il desiderio di semplicità nell’estetica e nell’utilizzo dei materiali (in cui calcestruzzo, legno e mattoni restano a vista) definisce l’espressione architettonica di un impe-rativo etico di integrità. Questo approc-cio reticente contrasta con soluzioni espressive spesso ancora monumentali di alcuni noti architetti fiamminghi, quali Léon Stynen, Luliaan Lampens e Josef Lantsoght. Oltre a queste figure emblematiche, un’intera generazione di architetti di importanza regionale ha lasciato il proprio segno sul paesaggio fiammingo, in quanto responsabili di un gran numero di chiese in alcune provin-ce circoscritte o città, sebbene fino ad ora tale patrimonio diffuso sia stato investigato poco sistematicamente e, di conseguenza, documentato in modo frammentario.

Nonostante si tratti di un patrimonio relativamente recente, tale patrimonio religioso – per diverse ragioni – è ora minacciato: sebbene quantitativamente consistente, l’architettura di chiese del XX secolo non è ancora percepita come bene culturale. Per tale ragione, il restauro o la trasformazione delle chiese moderne sono spesso attuati in modo negligente e gestiti senza le necessarie cautele. Inoltre, tale patri-monio non è sufficientemente cono-sciuto ed è circondato da un alone negativo, relativo alla sua espressione architettonica razionale e rigida. Sovente costruito usando tecniche e materiali da costruzione nuovi e speri-mentali – il cui comportamento a lungo termine era ignoto – queste chiese invecchiano male e sono straordinaria-mente vulnerabili. Infine, le statistiche rivelano una sempre crescente tenden-za verso la secolarizzazione; nelle

chiese moderne costruite durante il revival cattolico del secondo dopo-guerra, non è raro trovare vasti spazi che ospitano ogni settimana solo una manciata di fedeli. Chiese vuote o chiese ormai utilizzate limitatamente, ma con pesanti costi di manutenzione, riscaldamento e restauro, richiedono lo sviluppo di una cornice concettuale relativa a un metodo che permetta una valutazione critica di tale patrimonio, nel rispetto della sua importanza storico-culturale e in vista dei necessari interventi di conservazione, riconver-sione o riuso.

Si deve tuttavia ricordare che esiste una differenza tra le Fiandre e i paesi confi-nanti: la separazione tra Chiesa e Stato, sebbene registrata dalla costituzione, non è netta come in molti altri paesi europei. Il concordato del 1801 stabili-sce che i luoghi di culto per le fedi riconosciute debbano essere costruiti e mantenuti con risorse pubbliche. Questo significa che alla base di ogni costruzione di una nuova chiesa o di ogni trasformazione di una chiesa esistente c’è sempre un negoziato tra la Chiesa (autorità religiosa) e lo Stato (autorità finanziatrice). Sebbene ci si possa immaginare che, grazie a tali accordi finanziari, le chiese del XX secolo in Fiandra siano ben tutelate, paradossalmente ciò non avviene automaticamente, perché l’attenzione della Chiesa nell’identificazione delle chiese sotto-utilizzate è quasi inesi-stente, e da ciò deriva un diffuso problema di insufficiente manutenzio-ne e di rapido declino di tale patrimo-nio. Al tempo stesso, nella Fiandre non è ancora maturata una specifica competenza progettuale nel riuso delle chiese dismesse, al punto che raramen-te è individuabile un esempio positivo di redistribuzione. A causa dell’onere finanziario rappresentato da tale patri-monio decadente e sottoutilizzato, la classe politica ha iniziato a interrogarsi sulla sua rilevanza sociale, sul suo valore economico e sul suo potenziale nei futuri sviluppi culturali, sociali e urbanistici.

Dal 2004 il governo fiammingo ha orientato le sue politiche verso la creazione di un inventario tematico-tipologico per documentare lo stato della questione, e nel 2008 l’agenzia

governativa per i beni culturali fiam-minghi ha avuto l’incarico di preparare un inventario e una valutazione delle chiese del XX secolo. In seguito a tali decisioni, è stato commissionato uno studio a un consorzio costituito dal Kadoc (Centro di documentazione e ricerca su religione, cultura e società dell’Università Cattolica di Lovanio), dal Dipartimento di Architettura Sint-Lucas del college universitario Wenk e dal Dipartimento di Architettura, Urba-nistica e Pianificazione dell’Università Cattolica di Lovanio, finalizzato a realizzare l’inventario dell’architettura di chiese in Fiandra tra il 1914 e il 2000, ossia un patrimonio di circa mille chiese, conventi e cappelle. Facendo chiarezza sullo stato di questo patrimonio diffuso – in una prospettiva sia architettonica sia storica – sarà possibile definire un quadro metodolo-gico di riferimento per restauri, ristrut-turazioni e riusi. L’inventario contribu-irà allo sviluppo di una strategia per il futuro del patrimonio ecclesiastico del XX secolo.

Siccome il costo di manutenzione e rinnovo delle chiese è progressivamen-te supportato anche dalla società civile (come risultato delle particolari relazioni tra Chiesa e Stato in Belgio, e per il fatto che sempre più edifici sono vincolati), il governo fiammingo ha chiesto alle municipalità e ai consigli pastorali di sviluppare una visione a lungo termine riguardo al proprio patri-monio ecclesiastico. Ciò ha determina-to una nuova dinamica nella discussio-ne sull’uso futuro di tale patrimonio. L’esito più evidente finora è la creazio-ne di un dipartimento, a finanziamento governativo, relativo al patrimonio immobiliare storico, istituito all’interno dell’esistente Centro per il Patrimonio Religioso (www.crkc.be), ossia il centro competente sui temi dei beni culturali di interesse religioso. Una delle principali azioni finora realizzate è la stesura di un inventario di tutte le chiese parrocchiali, che documenta il loro stato attuale in termi-ni funzionali, finanziari e materiali: il CRCK ha recentemente pubblicato il volume Atlas van het religieus erfgoed in Vlaanderen [Atlante del patrimonio storico-religioso nelle Fiandre].

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Biografie (in ordine alfabetico)

Gli architetti rené aerts (1921-83) e paul ramon (1919-2000) hanno realizzato un gran numero di progetti nella regionedi Bruxelles, quali l’antica scuola coloniale (1953) e il collegioGiovanni XXIII a Woluwe St Pierre (1963). All’avanguardianell’uso di tecnologie innovative, la loro architettura privilegial’utilizzo del cemento armato. La chiesa di Stockel [17] è laloro unica realizzazione religiosa.

roger Bastin (1913-1986) studia alla scuola di architettura diLa Cambre subito prima della II Guerra Mondiale. Grande am-miratore dell’architettura tedesca (Schwarz, Böhm) e scandi-nava (Aalto, Asplund), realizza un gran numero di abitazioniin collaborazione con Jacques Dupuis. Successivamente, Bastinsi lancia in progetti più ambiziosi e diventa l’architetto preferitodella diocesi di Namur. Con il canonico André Lanotte, dà unnuovo impulso all’architettura religiosa e costruisce numerosechiese e cappelle, soprattutto nelle Ardenne, a seguito sia deidanni di guerra, sia dello sviluppo turistico della regione. Neglianni Sessanta, oltre al monastero di Rixensart [1], Bastin rea-lizza il grande seminario di Salzinne (Namur), nel 1963-1967,e l’allestimento del santuario mariano di Beauraing (1960-1963). Verso la fine della sua carriera, Bastin riceve prestigiosiincarichi pubblici, quali l’estensione del Museo d’Arte Nazio-nale sul Mont des Arts a Bruxelles. L’aspetto brutalista dellasua proposta iniziale suscita una vasta controversia, e l’archi-tetto si vede costretto a riconsiderare il suo progetto secondoun approccio più “rispettoso” e “integrato”. Il fatto che la criticasi accanisca con una tale veemenza contro un architetto mode-sto come Bastin la dice lunga sui sentimenti anti-modernisti nelBelgio degli anni Settanta.

Dopo aver studiato all’Istituto Saint-Luc di Tournai, jeancosse (1931) debutta come progettista nel 1958 con una casa-prototipo per la Petite propriété terrienne, un organismo pub-blico che mira a modernizzare i modi di vita rurali. Cossepropone un’architettura spoglia, anti-formalista ma piena diespressività, che si inserisce armoniosamente nel proprio con-testo. Cosse applica gli stessi principi formali anche con altritipi di committenza e in altre realizzazioni, come una serie difattorie sperimentali a Arville e la chiesa di Saint-Paul a Wa-terloo [5]. Questi lavori sono coronati da numerosi premi (tracui l’importante premio Vandeven nel 1961) e dall’attribuzionedi una cattedra al Politecnico di Mons alla fine degli anni Ses-santa. Nel corso del tempo, l’architettura di Cosse diventa piùmonumentale, grazie a una composizione più organica deglispazi interni, a una relazione più complessa tra l’interno el’esterno e a una espressione estetica più ricercata, fondatasull’uso della muratura laterizia faccia a vista. La chiesa di SanFrancesco d’Assisi a Louvain-la-Neuve [4] ne offre un buonesempio.

thierry de cordier (1954) si considera filosofo, performer,scultore, scrittore e poeta. Giovane artista, ha vissuto un’esi-stenza nomade, che lo ha portato a riflettere sull’architetturacome modello di relazioni sociali. La sua opera è il risultato diuna ricerca personale: sulla sua identità, sul suo rapporto conil mondo e sul suo ruolo nella società. Nel padiglione belgadella Biennale d’Arte di Venezia del 2013 gli è stata dedicataun’esposizione personale. Vive e lavora a Ostenda.

Marc dessauvage (1931-1984) studia all’Istituto Saint-Luc diGand. Nell’anno in cui completa i suoi studi (1958), vince ilprimo premio nel concorso Pro Arte Christiana con un progettodi chiesa parrocchiale di avanguardia (non realizzato), ispiratoai principi minimalisti di Mies van der Rohe. Sostenuto dall’in-

fluente critico d’architettura e padre gesuita Geert Bekaert e daDomus Dei (il servizio diocesano incaricato della costruzionee del finanziamento delle nuove chiese nell’arcidiocesi di Me-chelen-Bruxelles), Dessauvage diventa il più prolifico costrut-tore di chiese del dopoguerra in Belgio, dopo Roger Bastin.L’elemento comune delle sue realizzazioni [9, 10] è la riparti-zione dello spazio tra una zona primaria (che contiene i poli li-turgici dell’ambone, dell’altare e della sede del presidente) e diuna zona secondaria per la celebrazione del battesimo, la con-fessione e la preghiera individuale. Secondo Bekaert, l’archi-tettura di Dessauvage mantiene la promessa di un nuovoparadigma ecclesiale, capace di evocare un’esperienza religiosaattraverso mezzi puramente architettonici. Infatti, alcune suechiese non si distinguono affatto dai suoi progetti di edilizia re-sidenziale. Nella seconda metà degli anni Sessanta, Dessauvagericeve incarichi più importanti, come la facoltà di lettere del-l’Università di Lovanio, il monastero magnificat per l’Ordinedell’Annunciazione a Westmalle (1966-1970) e il centro di ri-tiro Godsheide a Hasselt (1969). Colpito dalla crisi e da pro-blemi di salute, Dessauvage si ritira dalla vita professionaledurante gli anni Settanta, e muore dimenticato nel 1984.

Il percorso di paul Felix (1913-1981), ingegnere-architetto diformazione, è segnato dall’adozione graduale nella sua attivitàdei principi dell’architettura Moderna, espressi in un’architet-tura funzionale dalle forme geometriche [11], eseguite conmolta attenzione al dettaglio costruttivo e alla qualità della posain opera dei materiali. Il suo monastero per le Clarisse diOstenda (prima fase, 1958; seconda fase, 1966-1967) segnal’inizio di un rinnovamento dell’architettura religiosa in Belgio.L’utilizzo di materiali semplici (mattoni, legno, cemento) la-sciati allo stato naturale, esprime l’idea di povertà e di ritornoall’essenziale. Negli anni Sessanta, Felix realizza progetti digrande personalità, affermando talora una forte presenza nellospazio pubblico, come nel caso della piscina aperta di Ostenda(1970). Felix ha parimenti giocato un ruolo di primo piano nellariorganizzazione dell’insegnamento architettonico nell’univer-sità di Lovanio negli anni Sessanta e Settanta.

dom hans van der laan (1904-1991) nasce a Leida in unafamiglia di architetti. Intraprende gli studi di architettura aDelft, ma li interrompe per diventare monaco benedettino al-l’abbazia di San Paolo a Oosterhout. Dopo gli studi in teologiae filosofia, è ordinato prete nel 1934. Ciò nonostante, continuaa interessarsi di architettura e si dedica alla ricerca dei principiassoluti che possano permettere di imparare l’essenza dei fe-nomeni spaziali. Contribuisce alla creazione di un corso sul-l’architettura religiosa a ‘s Hertogenbosch, che segnerà diversegenerazioni di architetti nei Paesi Bassi e in Fiandra. Nel 1960Van der Laan pubblica la sua teoria del ‘numero plastico’, unadottrina della relazione spaziale, della percezione umana e dellamisurabilità, che elabora in particolare nel suo libro “Lo spazioarchitettonico” (1977). Rese note attraverso diverse pubblica-zioni, le opere costruite di Van der Laan – per quanto poco nu-merose siano – hanno esercitato un’enorme influenza sugliarchitetti fiamminghi degli anni Ottanta e Novanta, affascinatidalla sua miscela di minimalismo modernista e sensualità ma-teriale.

Figlio primogenito di Igor, théodore strawinsky (1907-1989)è riuscito a raggiungere una propria notorietà in quanto artistapittore, specialista in dipinti murali su temi spirituali. Conver-tito al cattolicesimo, ha decorato numerose chiese cattolichenei Paesi Bassi, come la chiesa di Saint-Willibrord ad Almelo(dove realizza un affresco lungo 72 metri nel 1969) e la chiesaSaint-Martin a Gennep. Il dipinto murale di Waasmunster [12]è la sua sola opera in Belgio.

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Già collaboratore dell’architetto di Anversa Jozef Huygh,simon van craen (1900-1967) fu – tra le due guerre – l’ar-chitetto preferito dell’arcidiocesi di Mechelen-Bruxelles, pro-gettando un gran numero di collegi, chiese e attrezzatureparrocchiali nella regione attorno a Mechelen [14]. Fu membrodel gruppo De Pelgrim (Le Pélérin), che raccoglieva artisti escrittori cattolici fiamminghi che cercavano di dare un impulsomoderno alla vita intellettuale e artistica del mondo cattolico.Tra i suoi membri, possiamo citare gli scrittori Felix Timmer-mans e Marnix Gijsen, l’architetto Flor van Reeth e il pittoreAlbert Servaes.

Ingegnere di formazione, raphaël verwilghen (1885-1963) ènoto soprattutto come urbanista, avendo assunto un ruolo diprimo piano nella ricostruzione belga dopo la I Guerra Mon-diale. Grazie al contatto con il garden city movement duranteun soggiorno in Gran Bretagna, divenne uno dei più strenuipromotori di tale metodo tra gli urbanisti belgi. Come archi-tetto, collabora principalmente con Jean-Jules Eggerickx, checome lui insegna a La Cambre. Insieme, realizzano per esempioil padiglione belga all’esposizione di New York del 1935. Du-rante la II Guerra Mondiale, Verwilghen guida il servizio urba-nistico istituito dagli occupanti tedeschi, attività che rovina lasua reputazione e che gli impedirà di continuare le sue ricercheurbanistiche a livello nazionale.

leo zogmayer (1949) si diploma nel 1981 all’Università diarti applicate di Vienna, città dove vive e lavora tuttora. Impe-gnandosi su una grande varietà di media, il tema principaledella sua attività è la creazione di contesti nuovi che permettanodi rivedere i concetti ricevuti sotto punti di vista differenti. Hapartecipato a esposizioni in ogni parte del mondo, costruendoun’opera che invita alla riflessione sulla forza dell’esperienzaestetica attraverso il ruolo della religione e della politica nellavita quotidiana.

Testi di presentazione dei siti e dei progettisti: Sven Sterken

Traduzioni e curatela: Andrea Longhi

Bibliografia di riferimento:

sulla chiesa belga negli anni del concilio:

Jan Kerkhofs, Jan Van Houte, De kerk in Vlaanderen, Lan-noo, Tielt 1962.

Frédéric Debuyst, Architecture moderne et célébrationchrétienne, Publications de Saint-André, Collec-tion de Pastorale Liturgique n°74, 1966.

Geert Bekaert , In een of ander huis. Kerkbouw op eenkeerpunt, Lannoo, Tielt 1967.

Claude Soetens (a cura di), Vatican II et la Belgique, Lou-vain-la-Neuve 1996.

letteratura critica recente:

Rika Devos, Het Vaticaans paviljoen op Expo 58 en de mo-derne religieuze kunst in België, in ”Trajecta” 10(2001), pp. 244-263.

Marc Dubois, Primal Image of all Architecture. Churchesin Belgium and the Netherlands after 1950, in W.J.Stock (a cura di), Europäischer Kirchenbau 1950-2000, Prestel, München 2002, pp. 113-127.

Thomas Coomans, Les églises en Belgique. Aspects archi-tecturaux, enjeux juridiques et approche patrimo-niale, in Lucie K. Morisset, Luc Noppen, ThomasCoomans (a cura di), Quel avenir pour quelleséglises? What Future for Which Churches?, Pres-ses de l’université de Quebec, Montréal 2006, pp.41-72.

Luc Verpoest, Le patrimoine architectural religieux duXIXe et du XXe siècle en Belgique: l’inventairemonumental et les critères de protection sélective,in Céline Frémaux (a cura di), Architecture religi-euse au XXe siècle. Quel patrimoine?, Presses uni-versitaires de Rennes, Institut national d’histoirede l’art, Rennes/Paris 2006, pp. 189-196.

Sven Sterken, Leen Meganck, Yves Schoonjans, TwentiethCentury Church Architecture in Flanders, in “DO-COMOMO NL Newsletter”, 8 (2008), numerospeciale The Light from Above. Modern ReligiousHeritage in the Netherlands, pp. 22-25.

Anne-Françoise Morel, Stephanie Van de Voorde, Rethin-king the Twentieth-century Catholic Church inBelgium: the Inter-relationship between Liturgyand Architecture, in “Architectural History” 55(2012), pp. 269-297.

Caroline Voet, The poetic of order: Dom Hans van derLaan’s architectonic space, in “Architectural Re-search Quarterly” 16 (2012), pp. 137-154.

Sven Sterken, A House for God or a Home for his People?The Domus Dei Church Building Action in the Bel-gian Archbishopric, 1953-1982, in ”ArchitecturalHistory”, 56 (2013), pp. 387-425.

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letteratura critica in italiano:

Mark Delrue, Arte liturgica in Belgio nel XX secolo, in GiorgioDella Longa, Antonio Marchesi, Massimiliano Valdi-noci, Walter Zahner (a cura di), Arte e liturgia nel No-vecento. Esperienze europee a confronto, atti del 3°convegno internazionale (Venezia 2005), Nicolodi, Ro-vereto 2006, pp. 21-36 (testo a fronte in francese).

Maria Antonietta Crippa, Architettura benedettina tra XIX e XXsecolo, in Roberto Cassanelli, Edoardo López-TelloGarcìa (a cura di), Benedetto. L’eredità artistica, JacaBook, Milano 2007, pp. 407-417.

Maria Antonietta Crippa, Santi segni ed epifania del sacronell’architettura di chiese del XX secolo, in «Palladio»42 (2008), pp. 55-76.

Frédéric Debuyst, L’architettura di chiese nel XX secolo in Bel-gio, in Giorgio Della Longa, Antonio Marchesi, Massi-miliano Valdinoci, Walter Zahner (a cura di), Arte eliturgia nel Novecento. Esperienze europee a confronto,atti del 4° convegno internazionale (Venezia 2006),Stella, Rovereto 2008, pp. 53-65 (testo a fronte in fran-cese).

Andrea Longhi, Spazio sacro e architettura liturgica, in «Hu-manitas», a. LXVIII (2013), n. 6, pp. 947-956 (dossiermonografico Spazi e luoghi sacri, a cura di MariaChiara Giorda e Sara Hejazi).

Leo Zogmayer, Formazione all’arte e alla liturgia, un’espe-rienza, in Nobile semplicità. Liturgia, arte e architetturadel Vaticano II, atti dell’XI convegno liturgico interna-zionale (Bose 2013), a cura di Goffredo Boselli, Qiqa-jon, Magnano 2014, pp. 235-243.

principali testi di Frédéric debuyst disponibili in italiano

Frédéric Debuyst, Permanenza di un’architettura specifica-mente liturgica da Guardini ai giorni nostri, in PaolaGennaro (a cura di), Architettura e spazio sacro nellamodernità, catalogo della mostra (Venezia 1992-1993),AbitareSegesta, Milano 1992, pp. 54-57.

Frédéric Debuyst, Architettura e liturgia. Aspetti del dibattitointernazionale, in Cecilia de Carli (a cura di), Le nuovechiese della Diocesi di Milano. 1945-1993, Vita e Pen-siero, Milano 1994, pp. 11-22.

Frédéric Debuyst, Il genius loci cristiano, Sinai, Milano 2000(ed. orig. Paris 1997).

Frédéric Debuyst, Chiese. Arte, architettura, liturgia dal 1920al 2000, Milano 2000.

Frédéric Debuyst, L’altare: opera d’arte o mistero di pre-senza?, in L’altare. Mistero di presenza, opera dell’arte,atti del II Convegno liturgico internazionale (Bose2003), a cura di Goffredo Boselli, Qiqajon, Magnano2005, pp. 27-38.

Frédéric Debuyst, L’ambone, un luogo vivente per l’assemblea,in L’ambone. Tavola della parola di Dio, atti del IIIConvegno liturgico internazionale (Bose 2005), a curadi Goffredo Boselli, Qiqajon, Magnano 2006, pp. 17-27.

Frédéric Debuyst, Il Movimento Liturgico in Europa e la suaarchitettura, in Architettura di chiese. Liturgia e comu-nità, progetti e cantieri, a cura di Andrea Longhi, MauroSudano e Carlo Tosco, ricerca promossa dall’UfficioBeni Culturali della Conferenza Episcopale Italiana ri-masta inedita.

Frédéric Debuyst, Il “genio” cristiano del luogo: un mondo diapertura e di ospitalità, in Spazio liturgico e orienta-mento, atti del IV Convegno liturgico internazionale(Bose 2006), a cura di Goffredo Boselli, Qiqajon, Ma-gnano 2007, pp. 23-33.

Frédéric Debuyst, Il battistero: fonte di vita, di luce, di perdono,in Il battistero, atti del V Convegno liturgico internazio-nale (Bose 2007), a cura di Goffredo Boselli, Qiqajon,Magnano 2008, pp.23-33.

Frédéric Debuyst, L’assemblea vivente: una pienezza sempreincompiuta, in Assemblea santa. Forme, presenze, pre-sidenza, atti del VI Convegno liturgico internazionale(Bose 2008), a cura di Goffredo Boselli, Qiqajon, Ma-gnano 2009, pp. 25-36.

principali testi di dom hans van der laan e su dom hansvan der laan disponibili in italiano:

Hans van der Laan, Il numero plastico, Sinai, Milano 2002 (ed.orig. 1960).

Hans van der Laan, Lo spazio architettonico, Sinai, Milano2002 (ed. orig 1977).

Hans van der Laan, La forma. Natura, cultura e liturgia nellavita umana, Sinai, Milano 2000 (ed. orig, Brill, Leiden1985).

Alberto Ferlenga, Paola Verde, Dom Hans Van der Laan. Leopere e gli scritti, Electa-Mondadori, Milano 2000.

Tiziana Proietti, L’Abbazia di San Benedetto in Vaals. Lo spazioarchitettonico e la sacralizzazione dello spazio naturale,in “Thema” 3 (2014), in corso di stampa (dalla tesi didottorato Ordine e Proporzione. Dom Hans van derLaan e l’espressività dello spazio architettonico, DIAP,Università degli Studi di Roma Sapienza, Luglio 2013).

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