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Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

Date post: 29-Dec-2015
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Page 1: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

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In copertina: Aristotele raffigurato ne' La Scuola di Atene di Raffaello.

Aristotele

Sulla generazione e la corruzione

Introduzione, traduzione e note di Giovanna R. Giardina

(con testo greco edizione M. Rashed)

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Page 2: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

Copyright "' MMVIII ARACNE editrice S.r.l.

www.aracneeditrice.it [email protected]

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I t'dlzlone: fl'bbralo 2008

«Orbene, ci deve essere accordo sul fatto che sia giusto dire che siano principi o elementi i corpi primi, dal cui mutamento, o per aggregazione e disgregazione o per altro mutamento, ab­biano luogo generazione e corruzione. Ma coloro che ammet­tono l'esistenza, al di là dei suddetti elementi, di un'unica ma­teria, dicendo che questa è corporea e separata, sono· in errore: è impossibile, infatti, che esista un tale corpo sensibile, se pri­vo di contrarietà, giacché è necessario che sia o leggero o pe­sante, o freddo o caldo, un tale corpo infinito, che alcuni dico­no sia il principio».

Aristot., De gen. et corr. 329a

Page 3: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

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Indice

Introduzione

I. Autenticità e collocazione del De generatione et corruptione p. 11

2. Lo status quaestionis: Aristotele e i suoi predecessori p. 19

3. Nascita, alterazione e aumento

a) generazione e corruzione in senso assoluto p. 25

b) la questione della materia prima p. 34

c) alterazione p. 40

d) aumento p. 44

4. Toccare, agire, muovere

a) contatto p. 46

b) agire e patire p. 50

5. La mescolanza: la Chimica Fisica nell'antichità p. 57

6. La generazione degli elementi all'origine della nascita dei corpi p. 66

7. La generazione degli omeomeri p. 76

8. Causalità e necessità in GC: i cicli della vita p. 79

9. Conclusioni p. 89

Aristotele, Sulla generazione e la corruzione

Premessa

a) L'edizione di M. Rashed

b) Considerazioni sulla presente traduzione

Traduzione e note

Testo greco

Bibliografia

a) Edizioni, Traduzioni e Commentari

b) Letteratura

Indice degli autori antichi e moderni

p.97

p. 100

p. 103

p.223

p.277

p.279

p.291

Page 4: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

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Page 5: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

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1. Autenticità e collocazione del De generatione et corruptione

L'opera aristotelica pervenutaci in due libri sotto il titolo di IlEPI rENELEQL KAI <I>80PAL (normalmente citata con il ti­tolo latino De generatione et corruptione) è considerata unani­memente autentica dalla critica, ma alcune precisazioni vanno fatte a questo proposito, perché se da una parte è vero che il ma­teriale che compone l'opera è autenticamente aristotelico, dal­l'altra parte è necessario puntualizzare alcuni aspetti che riguar­dano la struttura e la distribuzione dei capitoli che costituiscono questo trattato, anche perché, come è noto, la netta divisione del Corpus Aristotelicum in trattati ben separati e distinti fra loro non sempre risale allo stesso Aristotele. 1

Alcuni capitoli o gruppi di capitoli di GC [d'ora in avanti in­dicherò il De generatione et corruptione con questa sigla] sem­brerebbero delle trattazioni autonome, che potrebbero avere a­vuto una circolazione indipendente o che potrebbero essere stati composti separatamente e uniti successivamente: I 5 riguarda, ad esempio, l'aumento, I 6 discute del contatto, I 7-9 riguardano l'agire e il patire, II 1-5 si occupano della generazione degli e­lementi. Tutto quello che si può sapere su GC dalle liste antiche degli scritti di Aristotele contribuisce peraltro ad alimentare la confusione:2 l'opera figura con il titolo e la divisione a noi noti nell'appendice al catalogo dell'Anonimo della Vita Menagiana

1 Sul problema della libertà con la quale Andronico di Rodi avrebbe orga­

nizzato i trattati aristotelici per la sua edizione si vd. l'articolo di J. Bmn­schwig, Qu 'est-ce que "La Physique" d'Aristote?, in F. De Gandt & P. Souf­frin éd. par, La Physique d'Aristote et !es Conditions d'une Science de la Na­ture, Paris 1991, pp. 21 ss.

2 Su questa ricostruzione cf. M. Migliori, Aristotele. La generazione e la

corruzione, Traduzione Introduzione e Commento, Napoli 1976, pp. 19-21 [da qui in poi citato solo come Migliori] e ora la più recente notice di B. Besnier, De Generatione et Cormptione. Tradition Grecque, in R. Goulet cur., Dic­tionnaire des Philosophes Antiques, Supplement, Paris 2003, pp. 295-296.

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12 G.R. Giardina

conservato da Esichio (al n. 149/ e nel catalogo del peripatetico Tolemeo (al n. 42),4 ma non figura nella lista di Diogene Laer­zio, nella quale invece si trovano dei titoli che potrebbero essere ricondotti a porzioni di testo di GC. 5 Al n. 25, infatti, si legge di un I1EQÌ TOÙ rcaoxt:tv ~ mmovElévm a· che potrebbe riferirsi a GC I 7-9 anche sulla base di riferimenti a un simile scritto che si leggono rispettivamente in Aristot., An. II 5, 417al e GA IV 3, 768b23.6 Al n. 39, sempre nella lista di Diogene Laerzio, si legge di un I1EQÌ <JTOlXEtrov a' W i sul quale sono stati solle­vati molti dubbi: Heitz, Zeller e Gohlke hanno identificato con questo titolo i due libri di GC,7 mentre A. Mansion8 ha pensato che possa trattarsi di Cael. III-IV più GC Il 1-8.

3 Cf. P. Moraux, Les listes anciennes des ouvrages d'Aristate, Louvain

1951, p. 252. 4

Cf. P. Moraux, Les listes anciennes cit., p. 297. 5

Cf. P. Moraux, L es listes anciennes ci t., p. 25 e L Diiring, Aristotle in the ancient Biographical tradition, Goteborg 1957, p. 47.

6 In An. II 5, 417al si legge EÌQ~XaJ.l.EV Èv To'ìç xa86ì...ou ì...6yotç 1tEQÌ

TOÙ notE'ìv xaì naaxElV, e in GA IV 3, 768b23-24 si legge ElQllTat òÈ 1tEQÌ a{m'iiv Èv To'ìç 1tEQÌ TOÙ notE'ì v xaì n&axEt v lìtWQtOJ.l.ÉVOlç. In effetti, in GC I 7, 323bl, in cui comincia la trattazione dell'agire e del patire, si legge pro­prio IlEQÌ òÈ TOÙ notE'ìv xaì n&crxEtV À.EXTÉov ÈcpEI;i'jç ... Non è possibile sapere, però, se nei riferimenti che si leggono rispettivamente in An. e GA Ari­stotele voglia richiamare una trattazione autonoma che può in un tempo suc­cessivo essere divenuta parte di GC oppure stia indicando l'intero trattato; cf. a questo proposito Ch. Mugler, Aristate. De la génération et de la corruption, Paris 1966, p. VI [da qui in poi citato solo come Mugler].

7 E. Heitz, Die verlorenen Schriften des Aristoteles, Leipzig 1865, pp. 76-

79; P. Gohlke, Die Entshehung der Natunvissenschaftlichen Schriften des Aristate/es, «Hermes», 59 (1924), pp. 274-306 e Id., Vom Werden und Verge­hen, Paderbom 1958, p. 11. Più precisamente P. Gohlke, Die Entshehung cit., ha avanzato l'ipotesi che i tre libri IlEQÌ <JTOlXEiwv rappresentassero un vec­chio corso di lezioni sulla scienza della natura corrispondenti a Cael. I-III più GC II e che in seguito GC sarebbe divenuto autonomo con l'aggiunta di I 6-10, a cui invece corrisponderebbe il titolo n. 25 della lista di Diogene Laerzio ITEQÌ. TOU nacrxEtv ~ 1tE1tov8Évm a·. In una fase posteriore ancora sarebbero stati aggiunti i capito li I 1-5, che invece originariamente avrebbero fatto parte delle lezioni Sul movimento.

Introduzione 13

Due passaggi aristotelici, precisamente An. II 11, 423b29 e Sens. 4, 441b11, rinviano a un I1EQÌ <JTOtXEtrov nel quale Ari­stotele avrebbe parlato dei quattro elementi e delle coppie di proprietà contrarie che li caratterizzano, per cui è possibile pen­sare che sia questi riferimenti di An. e di Sens. sia il I1EQÌ <JTOt­XEtrov della lista di Diogene Laerzio rimandino a GC II 1-4.9

Secondo la disposizione degli scritti aristotelici nella lista di Diogene Laerzio, tuttavia, questi due titoli di cui stiamo discu­tendo, cioè sia il I1EQÌ Toù rcaoxct v ~ rct:rcovElévm a' sia il I1EQÌ <JTOtXEtrov a' W y', dovrebbero essere, non già opere di fisica, bensì di logica e in particolare il primo potrebbe essere una versione più ampia di Cat. 9 e il secondo potrebbe corri­spondere a tre libri dei Topica, come ha anche sostenuto P. Mo­raux.10

Alessandro di Afrodisia, da parte sua, seguito da Temistio, Simplicio e Filopono, mostra di conoscere GC con il titolo con il quale è pervenuto nella tradizione manoscritta: 11 non possia­mo sapere quindi se il suo scritto intitolato I1EQÌ XQO<Jt:roc; xaì aùç~ot:roc;, ispirato probabilmente a un testo aristotelico dal ti­tolo I1EQÌ Jltçt:roc;, a cui fa riferimento anche Sens. 3, 440b3 e 13, si riferisca a un I1EQÌ Jltçt:roc; come trattatello autonomo sul problema della mescolanza oppure come parte integrante del­l 'intero GC, 12 che, come si sa, affronta appunto tecnicamente il problema della mescolanza in I 10. 13

La questione del titolo del nostro trattato, peraltro, è anch'es­sa delicata, poiché GC reca un titolo tratto, di fatto, dalla prima

8 Cf. A. Mansion, Introduction à la Physique aristotélicienne, Louvain-

Paris 1945, p. 45 in nota. 9

Cf. Migliori p. 20. 10

V d. P. Moraux, Les listes anciennes cit., pp. 45-46 e 81-82. 11

Alessandro cita moltissime volte GC con il titolo con il quale esso ci è pervenuto, soprattutto nel commentario alla Metafisica, si vd. come esempio In Meta. 785,10.

12 Cf. Alessandro di Afrodisia, In de sensu 63,24 e 64,10.

13 Cf. I. Kupreeva, Alexander of Afrodisias on Mixture and Growth, «Ox­

ford Studies in Ancient Philosophy», 27 (2004), pp. 297-334.

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14 G.R. Giardina

linea dell'opera stessa, che comincia appunto lleQÌ ()è ysvé­creroç xal. cp8oQàç nòv cpuaet yt vo~évrov xal. cp8etQo~évrov etc. Su tale questione, in verità, a mio avviso non vale la pena di insistere troppo, e non tanto perché, come alcuni sostengono, i titoli delle opere greche venivano spesso desunti dalla frase ini­ziale in cui veniva annunciato anche il contenuto dell'opera, 14

cosa peraltro non del tutto vera per la maggior parte delle opere aristoteliche o comunque per quelle più importanti, quanto per­ché non possediamo le informazioni necessarie che ci consenta­no di sapere se Aristotele abbia concepito - in questo caso - GC come una trattazione indipendente e autonoma sin dall'inizio oppure in una fase successiva: nel caso di Aristotele è stato piuttosto un problema della tradizione successiva quello di di­stinguere i trattati e di assegnare loro dei titoli. 15 Ma se è vero che nulla può indurci a pensare, sulla base dei dati che posse­diamo, che Aristotele abbia dedicato al problema della genera­zione e della corruzione in senso assoluto uno scritto indipen­dente in cui affrontava in modo globale questo solo tema e che quindi GC sia stato progettato e scritto come trattato autonomo e organico nel modo in cui noi lo possediamo oggi, tuttavia oc­corre tenere in considerazione che in molti passaggi delle sue opere Aristotele rimanda allo studio della generazione e della corruzione in senso assoluto come se si trattasse di un'opera or­ganica.16 I rimandi al problema della generazione e della corru­zione in senso assoluto che si trovano frequentemente nella Physica e nel De caelo, se da un lato possono far pensare che Aristotele progettasse verosimilmente una trattazione autonoma sull'argomento- e in tal caso tali rimandi si identificherebbero con parti di tale trattazione -, dall'altro lato potrebbero essere

14 V d. Migliori p. 22 che si appoggia su P. Moraux, Les listes anciennes

cit., ~-7 nota l 7. 5

Cf. J. Brunschwig, On Generation an d Corruption L l: A false Start?, in F. de Haas & J. Mansfeld ed. by, Aristotle 's On Generation and Corruption I, Oxford 2004, pp. 26-27.

16 E d" 1 converso in GC ci sono molti rimandi ad altri scritti aristotelici, soprattutto allaPhys. e al Cael., cf. Mugler p. VII.

Introduzione 15

identificati con passaggi successivi di queste stesse opere in cui Aristotele si occupa della questione. I riferimenti di Aristotele a GC che si trovano nelle altre opere riguardano in effetti piutto­sto dei capitoli di GC che non l'intero trattato, con la sola ecce­zione del famoso proemio dei Meteorologica in cui Aristotele presenta il piano complessivo della sua filosofia della natura, piano in cui GC si trova collocato al terzo posto dopo la Physica e il De caelo e prima dei Meteorologica (così come viene indi­cato nel catalogo di Tolemeo). 17 D'altra parte, però, appare dif­ficilmente pensabile che Aristotele abbia concepito la sua scien­za della natura senza prevedere di dovere affrontare nello speci­fico anche il problema della generazione e della corruzione in senso assoluto e GC appare un trattato organico nelle sue parti, che si strutturano nel loro complesso in modo da preparare un poderoso e quanto mai ingegnoso sistema scientifico sulla gene­razione naturale.

Il proemio dei Meteorologica di cui si diceva, la cui autenti­cità è oggi comunemente riconosciuta, è il solo elemento ester­no all'opera di cui disponiamo per poter effettivamente ritenere che Aristotele, a prescindere dalla composizione più o meno au­tonoma di capitoli o di gruppi di capitoli di GC, possa aver pen­sato a un trattato sulla generazione e la corruzione in senso as­soluto nel modo in cui lo possediamo. Esso tocca peraltro un al­tro delicato problema concernente l'organizzazione del materia­le di GC, che è quello relativo al legame fra questo trattato e il De caelo, a cui GC sarebbe legato anche testualmente a motivo dell'inusuale presenza di un òé nella prima linea, che sarebbe correlato al jlÉV dell'ultima frase del Ca el., rispetto al quale GC

17 Mugler, pp. VI-VII, sottolinea l'opportuna posizione di GC nel piano

aristotelico della natura: esso si colloca fra il De caelo, che è il trattato che studia l'applicazione delle leggi fisiche generali sul movimento ai corpi cele­sti, e i Meteorologica che studiano oggetti e fenomeni collocati al livello ter­restre o fra la terra e l'orbita lunare, cioè nella zona sublunare: GC espliche­rebbe una funzione di continuità che lega i fenomeni celesti al divenire terre­stre.

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16 G .R. Giardina

sarebbe la continuazione. 18 Non intendo qui riproporre l'intero ventaglio di supposizioni che la critica ha fatto in passato su questa questione, e mi riferisco sia ai commentatori antichi sia a • quelli moderni, 19 la maggior parte dei quali ha ritenuto che oc­correrebbe considerare da una parte i primi due libri del Cael., i quali trattano del movimento dei cieli, e dali' altra parte i libri III-IV del Cael., che riguardano il mondo sublunare, insieme con i due libri di GC che ne sarebbero la continuazione logica.

In uno studio piuttosto recente J. Brunschwig20 ha riconside­rato la questione pervenendo, anche sulla base di una rilettura del proemio dei Meteorologica, ad una posizione molto equili­brata: Ca el. e GC, distinti dalla Phys. in cui Aristotele trattereb­be argomenti più astratti e generali,21 costituirebbero, a suo av­viso, tre sottounità dello stesso livello elencate in una sequenza ordinata, ma non gerarchica, che mostrerebbe come Gç sia concepito logicamente come l'ultima parte di una più vasta uni­tà che contiene altre due parti (Cael. I-II e III-IV). GC sarebbe quindi legato a Cael. III-IV senza che questo comporti una se­parazione di Cael. I-II da III-IV a favore di una congiunzione fra Cael. III-IV e GC così stretta da far pensare ad un unico trat­tato. Ma la cosa ancor più interessante che Brunschwig sottoli­nea è il fatto che il proemio dei Meteorologica distingue l'argo­mento della generazione e corruzione in senso assoluto, che è l'argomento di GC, da quello della generazione e corruzione

18 A questo proposito è interessante a p. 31 la nota 21 di J. Brunschwig,

On Generation and Corruption I. l cit., in cui lo studioso riferisce una curiosi­tà filologica attinta da M. Rashed, da cui si dedurrebbe che nel ms Parisinus gr. 1853 f. l 06v Cael. e GC erano scritti di seguito, senza interruzione, e che solo una nota marginale indicava probabilmente che in quello specifico punto iniziava un altro trattato.

19 Si vd. ad esempio Filop. In GC 2,22 ss. e, su Alessandro di Afrodisia e

Nicola di Damascio cf. B. Besnier, De Generatione et Corruptione cit., pp. 296-297. Si vd. anche Migliori p. 21 e nota 24.

20 V d. J. Brunschwig, On Generation and Corruption I. l ci t., pp. 28-31.

21 J. Brunschwig, On Generation and Corruption I. l cit., p. 29, sottolinea

la corrispondenza fra TrEQÌ JlEV e Én ùé nel proemio dei Mete. che isolerebbe la Phys. dal gruppo costituito da Cael. e GC.

Introduzione 17

degli elementi che si riferisce invece a Cael. III-IV, il che signi­fica che la classificazione dei Meteorologica fa riferimento a GC così come noi lo possediamo.22

Un ultimo problema al quale è necessario fare un breve rife­rimento è quello di un presunto doppio inizio di GC già messo in luce da Migliori nell'Introduzione alla sua traduzione del 1976. Mi riferisco rispettivamente alle prime linee dei capitoli I e II, e cioè GC I l, 314al-6 e I 2, 315a26-29. Migliori mostra con argomentazioni convincenti che«[ ... ] il I e il II capitolo del De generatione presentano entrambi una introduzione all'argo­mento, con alcune differenze che sono tutte a vantaggio del cap. Ih>. Del problema si è recentemente occupato anche Brun­schwig, nell'articolo già citato che per l'appunto si intitola On Generation an d Corruption 1.1: A false Start?, nel quale ripren­de puntualmente anche le ragioni di Migliori a cui accennavo.23

Non è possibile negare che i due passaggi possano fungere en­trambi a buon diritto da introduzioni all'intero trattato, ma, co­me fa notare Brunschwig, piuttosto che sforzarsi di comprende­re se e in che misura l 'uno dei due sia più corretto o più esausti­vo nel rappresentare l'introduzione di GC,24 occorre interrogarsi

22 V d. J. Brunschwig, O n Generation and Corruption I. l ci t., p. 30.

23 V d. J. Brunschwig, O n Generation an d Corruption l. l ci t., pp. 31-3 7 e

60-63. 24

In effetti, se si legge attentamente GC II 2 ci si accorge che qui Aristo­tele fornisce il piano di quasi tutto il suo trattato e in aperta opposizione a Pla­tone: quest'ultimo, «ha indagato soltanto sul come la generazione e la corru­zione esistano nelle cose (cf. GC I 2-3), e ha indagato non su tutti gli aspetti della generazione, ma solo su quello che concerne gli elementi (cf GC II 1-5), senza dire nulla, però, su come si generino e si corrompano la carne o le ossa o cose del genere (cioè gli omeomeri, cf. GC II 7-8 ); e non ha detto neppure in che modo esistano nelle cose l'alterazione (cf. GC I 4) o l'aumento (cf GC I 5). In generale nessuno ha prestato attenzione ad alcuna di tali questioni se non superficialmente, ad eccezione di Democrito». Non c'è stato alcuno, in­fatti - afferma più avanti Aristotele -, che abbia trattato della mescolanza (cf. GC I IO), né di altri processi quali l'agire o il patire (cf. GC I 7-9). Come si vede, quasi tutta la materia che compone GC è qui presente, con l'eccezione di I l, di I 6, che riguarda il contatto e quindi è preliminare all'analisi di azio­ne e passione, di II 9-1 O in cui Aristotele fornisce il suo modello causale della generazione assoluta e di II Il che, a completamento del problema della cau-

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18 G.R. Giardina

sul valore probativo del fatto che entrambi tali passaggi intro­duttivi al trattato coesistono (e questo a prescindere dal fatto che solo le li. introduttive di I I sono legate a Cael. in ragione della presenza di of:). Attraverso un'analisi dettagliata di GC I l Brunschwig conclude che, contrariamente a quanto avviene in altre rassegne delle opinioni dei predecessori, nelle quali - at­traverso la critica degli aspetti inaccettabili, dei quali mette in luce gli errori, e l'accoglimento degli aspetti che gli appaiono invece corretti- Aristotele trova normalmente il modo di fonda­re le sue proprie teorie, in I l Aristotele si troverebbe di fronte a una insolita tensione teorica fra speculazione filosofica e rico­struzione storiografica, per cui la sua critica ad Empedocle ri­sulterebbe ai suoi stessi occhi efficace ma inadeguata a fondare la trattazione del problema della generazione e della corruzione assolute. La validità della ricostruzione storico-teorica della fi­losofia di Empedocle che attraversa tutto il capitolo I l avrebbe avuto come conseguenza il fatto che esso si conserva ancora (per volontà dello stesso Aristotele oppure degli editori poste­riori), a dispetto della presenza di I 2, ma di certo Aristotele a­vrebbe sentito il bisogno, diciamo così, di dare al suo trattato un nuovo cominciamento, e di fatto in I 2 Aristotele offrirebbe un nuovo vero inizio. Se quindi sotto questo profilo e in questa mi­sura Brunschwig ritiene che GC I l sia in un certo senso un fal­so inizio, tuttavia egli precisa che alcuni passaggi di GC, dei quali discute nel suo saggio, e inoltre il modo stesso di cui Ari­stotele parlerebbe di Empedocle in I 8, mostrerebbero come agli occhi di Aristotele la materia trattata in I l non sia da considera­re priva di utilità alla trattazione complessiva.

In conclusione, nonostante le riserve che si possano esprime­re in merito ai singoli aspetti, che ho qui cercato di mostrare, re­lativi al materiale che compone GC, di fatto tale trattato si pre­senta come una struttura coerente e sufficiente nell'insieme del­le sue parti ad affrontare un problema teorico di grande rilevan­za nella filosofia di Aristotele, e cioè quello della generazione e

salità della generazione assoluta, riguarda il problema della necessità nella ge­nerazione degli enti eterni e contingenti.

Introduzione 19

della corruzione assolute, per il quale, ancora una volta e in modo diretto, Aristotele si misura con la tesi eleatica del non es­sere assoluto e della nascita della sostanza. Nella coerenza e sufficienza di tale materia perdono rilevanza, di fatto, le molte­plici domande che riguardano i tempi e i modi della composi­zione del testo, oltre che il suo legame di continuità con Cael. III-IV.

2. Lo status quaestionis: Aristotele e i suoi predecessori

Per comprendere la materia trattata in GC occorre tenere presente la collocazione che questo trattato ha all'interno della filosofia della natura di Aristotele, collocazione che ci viene suggerita da Filopono nel Proemio del suo Commentario a GC: nella Fisica, dice Filopono, Aristotele si è occupato dei principi dei fenomeni naturali, cioè della materia e della forma, e delle nozioni necessarie a tali fenomeni, ovvero luogo, tempo e mu­tamento. Poi è passato ai trattati che si occupano degli enti natu­rali: di quelli che sono incapaci di generarsi e di corrompersi, considerati sia nella loro interezza che nelle parti ha trattato nel De caelo [da qui cit. Cael.], mentre di quelli eterni se considera­ti nella loro interezza, ma capaci di generarsi e corrompersi nel­le parti, cioè degli elementi, ha trattato in GC. Così GC è giu­stamente considerato da Filopono come uno scritto i cui principi generali si trovano nella Fisica e che è in stretta continuazione rispetto a Cael. Dalla Fisica, 25 in effetti, si apprende che il mu­tamento, come anche il movimento, è sempre un processo che implica il passaggio dalla potenza all'atto. Sia quando muta sia quando si muove, infatti, l'ente naturale subisce una trasforma­zione da una certa determinazione a quella contraria, determi­nazioni che sono rispettivamente l'una in potenza e l'altra in at­to. Il passaggio alla determinazione contraria avviene nei mo­vimenti o mutamenti secondo la qualità (alterazione), secondo la quantità (aumento e diminuzione) e secondo il luogo (trasla­zione), poiché sono questi i modi di essere che ammettono con-

25 Cf. Phys. V 1-2.

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20 G.R. Giardina

trarietà; solo nel mutamento che riguarda la sostanza, e che quindi non ammette contrario (non esiste, secondo Aristotele, il contrario della sostanza),26 si avrà il passaggio da un contrad­dittorio ali 'altro, nel senso che il passaggio alla forma contraria avviene a partire dalla sua stessa privazione.27 La differenzia­zione che esiste ali 'interno del divenire ( yt yv~:>cr8m) veniva spiegata già dai Presocratici e da Platone sulla base dell'uso lo­gico-linguistico di yiyv~:>cr8m: da un lato, infatti, c'è il divenire tout court, émA.éòç, che viene espresso linguisticamente utiliz­zando semplicemente il verbo senza che sia necessario aggiun­gere ad esso alcunché, e dall'altro lato c'è il "divenire qualco­sa", yi yvEcr8m Tl, che è il caso in cui il divenire espresso dal verbo necessita di una specificazione (il Tt). L'alterazione, l'au­mento e la traslazione sono modi della generazione relativa, y1-yv~:>cr8m n, mentre solo la generazione della sostanza è una generazione assoluta, arrA.éòç. 28 Se è vero che, come ho detto, questa differenziazione linguistica era già in uso prima di Ari­stotele, presso i Presocratici e Platone, tuttavia tutti costoro hanno fatto grande confusione fra i vari processi. In P h d. 71 a ss., il Socrate platonico, ad esempio, conduce la prima dimo­strazione dell'immortalità dell'anima mostrando come la gene­razione sia un processo che avviene su un asse di contrarietà in un senso o nell'altro. Così l'accrescimento è il processo che va dal piccolo al grande e, di converso, la diminuzione è il proces­so che va dal grande al piccolo; il riscaldarsi è il processo che va dal freddo al caldo e il raffreddarsi è il processo che va dal caldo al freddo (e questa è un'alterazione); allo stesso modo

26 Cat. 5, 3b 24-27.

27 Dalle Categorie sappiamo che i contrari sono le determinazioni massi­

mamente distanti entro uno stesso genere (cf. Cat. 6, 6a17-18, ma anche Int. cap. 14). I contraddittori sono invece l'uno negazione dell'altro che è afferma­zione, cf. Int. 6, 17a 31-34. Sia i contrari che i contraddittori rientrano nei quattro modi dell'opposizione, elencati da Aristot. Cat. 9-10, 11b 17-23 (cf. anche Meta. V IO, lOlSa 20 ss.). Sui contrari cf. J.P. Anton, Aristotle's Theo­ry of Contrariety, London 1957; J. Bogen, Change and Contrariety in Aristot­le, «Phronesis», 3711 (1992), pp. l-21.

28 Cf. Phys. V l-2.

Introduzione 21

l'essere morto deriva dall'essere vivo e l'essere vivo dall'essere morto: la generazione e la corruzione in senso assoluto, che per Aristotele sono processi che conducono dal non essere all'es­sere e viceversa, sono trattati da Platone alla stessa stregua di quelli che invece, sempre secondo Aristotele, procedono dall'essere verso l'essere, come nel caso dell'aumento e dell'al­terazione. In questo stato di cose Aristotele ritiene indispensabi­le distinguere in maniera definitiva la generazione e la corru­zione in senso assoluto dall'alterazione e dall'aumento, proprio per il fatto che tutti i fisiologi presocratici e anche Platone e i Platonici hanno di fatto confuso fra loro questi processi. Egli non si occupa in GC del problema della traslazione, già oggetto di indagine di Cael., per diverse ragioni: la traslazione ha un certo primato fra i tre tipi di movimento, sia perché essa è causa degli altri mutamenti sia perché la traslazione è possibile senza gli altri mutamenti ma non è possibile il contrario, cioè che sen­za la traslazione ci siano gli altri mutamenti di cui essa è cau­sa;29 inoltre, la traslazione riguarda un ente naturale esistente, mentre la generazione assoluta si riferisce a ciò che non è, per cui la traslazione sarà causa di generazione e, in quanto causa, è primaria rispetto al causato. 30

In GC I l, dopo aver introdotto l'oggetto di studio del tratta­to e aver fatto un accenno ai monisti, costretti ad identificare generazione e alterazione per il fatto che pongono un unico principio della realtà, per cui la generazione non può essere al­tro che alterazione di quest'unico principio,31 il discorso si spo­sta sui pluralisti - Empedocle, Anassagora e gli Atomisti - i quali, afferma Aristotele, sono costretti, al contrario dei monisti,

29 Cf. Phys. VIII 7, 260a26 ss. Si vd. E. Berti, La suprématie du mouve­

ment foca! selon Aristate: ses conséquences et ses apories, in J. von Wiesner, hrsg., Aristate/es. Werk und Wirkung, P. Moraux gewidmet, Berlin-New York 1985, l. Band, pp. 123-150.

3° Cf. GC II 10. 31

Non vengono qui messi in discussione gli Eleati. Cf. a questo proposito J. Mansfeld, Aetius, Aristotle and Others on Coming to Be and Passing Away, in V. Caston & D. W. Graham ed. by, Presocratic Philosophy: Essays in Ho­nour of Alexander Mourelatos, Aldershot, pp. 274 ss.

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22 G .R. Giardina

a distinguere generazione e alterazione. 32 Essi identificano in­fatti la generazione con l'aggregazione o mescolanza 11 e la cor­ruzione con la disgregazione o separazione. li primo di tali pro­cessi corrisponde secondo i pluralisti alla nascita mentre il se­condo corrisponde alla morte. Tuttavia i filosofi pluralisti, in quanto identificano la generazione con la mescolanza, di fatto identificano l'alterazione con la generazione e quindi negano la generazione in senso assoluto. Monisti e pluralisti finiscono al­lora, sebbene per vie diverse, per commettere il medesimo erro­re! quello cioè di identificare l'alterazione con la generazione e, di conseguenza, di negare la generazione assoluta. L'attenzione di Aristotele si focalizza su Empedocle e sui suoi seguaci: co­storo, ritenendo che i principi elementari siano immutabili ed eterni, di fatto non ammettono la trasformazione reciproca degli elementi né tantomeno la trasformazione delle proprietà degli elementi stessi, per cui sono costretti a negare anche l'altera­zione, che è appunto il mutamento di un sostrato, che permane, da una data affezione nell'affezione contraria. 14 Empedocle è quindi in contraddizione con i fenomeni naturali, perché nega l'evidenza del fatto che in natura esiste l'alterazione, ma è an-

32 Cf. GC I 1, 314b4-5 e 10-11. Non sempre le dottrine dci li losofi che lo

hanno preceduto corrispondono perfettamente a quanto Aristotele dice su di esse: cf. la trad. di C.J.F. Williams, Aristotle 's De Genera/ione e/ Corruptio­ne, transi. with notes, Oxford 1982, pp. 61 ss. [da qui in poi citato solo come Williams] e il più recente saggio di J. Brunschwig, On Cìcneration and Cor­ruption I. 1 cit., pp. 42-43. Inoltre occorrerebbe comprendere se l'alterazione di cui Aristotele parla a proposito dei pluralisti sia da assumere nel senso tec­nico aristotelico oppure no.

33 Si scoprirà in GC I 10 che peraltro i pluralisti hanno della mescolanza

un concetto errato, perché l'aggregazione è piuttosto una composizione e non una vera mescolanza, che è un particolare processo di alterazione.

34 Aristotele muove altre critiche ad Empedocle, o meglio agli Empedo­

clei, a proposito dell'immutabilità degli elementi in GC II 6. Parlo di Empe­doclei sulla base di quanto ha dimostrato Rashed, Introduction pp. XXXV­XL VIII, il quale ritiene che Aristotele faccia qui riferimento a una scuola me­dica empedoclea pressoché contemporanea allo stesso Empedocle e che a­vrebbe trascurato la sua cosmologia per insistere soprattutto sulla dottrina dei pori.

Introduzione 23

che in contraddizione con se stesso, in primo luogo perché nega che i quattro elementi si generino l'uno dall'altro mentre poi si scopre che essi necessariamente si generano reciprocamente nella misura in cui derivano dall'unità composta nello Sforo a partire dalla quale si separano differenziandosi nelle loro pro­prietà; in secondo luogo perché considera gli elementi dei prin­cipi eterni che invece, in quanto partono dalla composizione u­nitaria originaria, si sono evidentemente generati; in terzo luogo perché non si comprende se sia principio l'Uno (nel caso in cui in origine è l'Uno, ossia lo Sfero, da cui gli elementi si separano differenziandosi tra loro) oppure siano principi i molti (nel caso in cui principi siano gli elementi che si raccolgono nell'unità dello Sforo).

All'inizio di GC I 2 il discorso di Aristotele si sposta sugli Atomisti e su Platone.35 Sui primi Aristotele esprime molti ap­prezzamenti, perché, pur non essendo d'accordo con le loro teo­rie, riconosce loro non solo di aver condotto una vera indagine sulla natura, ma anche di aver saputo distinguere l'alterazione dalla generazione grazie alla teoria delle potenze atomiche. Al contrario di quanto fa con gli Atomisti, Aristotele critica seve­ramente Platone per il fatto che non si comporta da filosofo del­la natura e anzi cerca di fare filosofia della natura utilizzando strumenti teorici di natura lo~ico-matematica del tutto inade­guati a questo tipo di indagine. 6 Platone, nel Timeo, ha sostenu­to come gli Atomisti una teoria degli indivisibili, ma mentre gli Atomisti ponevano come principi i corpi indivisibili, appunto gli atomi, Platone ha posto come principi grandezze indivisibili,

35 Per un commento dettagliato di GC I 2 si vd. D. Sedley, On Generation

and Corruption I. 2, in F. de Haas & J. Mansfeld ed. by, Aristotle's On Gen­eration and Corruption I cit., pp. 65-89.

36 Filop. In GC 20,25 ss. sottolinea non solo l'aspetto non fisico dell'in­

dagine platonica, ma anche il suo carattere fortemente matematico, perché di­scute della generazione degli elementi, e quindi degli enti naturali, a partire da figure geometriche. È proprio questo aspetto matematico dell'indagine fisica di Platone che Aristotele non può accettare, perché l'indagine del matematico e quella del fisico sono diverse e si applicano a oggetti diversi, come Aristote­le insegna in Phys. II 2 e Meta. VI 1, 1025b30-1026al6.

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24 G.R. Giardina

cioè figure piane elementari individuate nei triangoli rettangoli, ai quali egli ha ridotto gli elementi. 37 Il problema degli indivisi­bili è per Aristotele di enorme rilievo teoretico, perché il corpo o la grandezza indivisibile sembrerebbe assicurare la permanen­za di un sostrato che subisce le trasformazioni, che è un concet­to chiave della fisica aristotelica. Lo Stagirita affronta dapprima il problema degli indivisibili esponendo i problemi che nascono se si ipotizza la divisibilità all'infinito di una grandezza e poi esponendo i problemi che nascono se si ipotizza l'ipotesi con­traria alla prima, e cioè che si debbano ammettere corpi o gran­dezze indivisibili.38 In entrambi i casi, mostra Aristotele, si cade nella medesima conseguenza, e cioè nella condizione impossibi­le secondo cui un corpo sensibile dovrebbe generarsi o da punti o da nulla. La soluzione del problema degli indivisibili si può dare invece grazie alla teoria della potenza e dell'atto: a ogni corpo sensibile appartengono contemporaneamente due proprie­tà contrarie, in questo caso la divisibilità e l'indivisibilità all 'in­finito, ma l'una, la divisibilità all'infinito, appartiene al corpo in potenza, mentre l'altra, l'indivisibilità all'infinito, gli appartiene in atto. La teoria propria di Aristotele della potenza e dell'atto consente così di ammettere la compresenza di due contrari, la quale compresenza, se i contrari fossero concepiti entrambi in atto, contravverrebbe al principio di non contraddizione. Se è vero quindi che in ogni punto di una grandezza geometrica pos­siamo sempre individuare un punto, tuttavia questo non signifi­ca che la grandezza geometrica sia un insieme di punti: gli A­tomisti confondono il dappertutto (1nlVTlJ) del punto nella gran­dezza e il dappertutto nello stesso tempo, mentre una grandezza (corporea o geometrica) secondo quanto mostra Aristotele è di­visibile in ciascun punto e all'infinito senza che essa risulti mai divisa all'infinito in atto. La conseguenza ultima di questa com­plessa interpretazione delle teorie atomistiche e platoniche è che generazione e corruzione in senso assoluto non sono processi di

37 Questa riduzione dei corpi a figure piane operata da Platone è, secondo

Aristotele, "irrazionale". Si cf. anche Cael. III 1, 299a2 ss. 38

Su questi ultimi problemi cf. Cael. III 4 e Phys. VI 1.

Introduzione 25

aggregazione e di disgregazione, cioè processi che derivano dal comporsi o dallo scomporsi di parti contigue, giacché genera­zione e corruzione sono mutamenti sia della materia sia della forma, in quanto comportano, come afferma Aristotele, "muta­mento totale da questo a quello".

Con queste argomentazioni Aristotele ha tracciato le linee teoriche dei filosofi che prima di lui si sono occupati del pro­blema del mutamento nei suoi vari aspetti mettendo subito in evidenza gli errori che conseguono al fatto che essi hanno im­postato in maniera errata la loro ricerca. Fatto questo lo Stagiri­ta può passare senz'altro a differenziare fra loro la generazione in senso assoluto, l'elaterazione e l'aumento e dapprima, in I 3, si occupa del complesso problema della generazione assoluta e quindi del modo in cui sia possibile concepire il non essere pur tenendo salvo l'insegnamento degli Eleati.

3. Nascita, alterazione e aumento

a) Generazione e corruzione in senso assoluto Una volta impostato il problema dei predecessori nei primi

due capitoli, che sono entrambi a giusto titolo, come ho mostra­to all'inizio di questa Introduzione, dei prologhi dell'opera, Ari­stotele passa a trattare progressivamente, al fine di distinguere ciascun processo dall'altro, della generazione e corruzione in senso assoluto (GC I 3), dell'alterazione (GC I 4) e dell'aumen­to e della diminuzione ( GC I 5). Il capitolo più complesso dei tre è certamente I 3, perché qui Aristotele deve misurarsi diret­tamente con la lezione eleatica secondo cui il non essere non è, per cui non si può ammettere che dal non essere possa nascere l'essere. E tuttavia, è proprio un non essere da cui possa nascere l'essere ciò che Aristotele deve individuare se vuole ammettere la generazione delle sostanze. Il problema che si presenta subito è allora quello di comprendere cosa sia questo non essere che, in quanto da esso nasce la sostanza, non può avere lo stesso si­gnificato radicale del non essere parmenideo. Lo Stagirita af­fronta allora il problema della generazione assoluta come parte

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26 G .R. Giardina

del più vasto problema del generarsi in generale, secondo l'impostazione del Fedone platonico.

Comprendere in che senso si possa parlare di non essere in senso assoluto, pur ammettendo che sempre qualcosa nasce da qualcosa, significa, come afferma lo stesso Aristotele, capire in che senso si usi il termine émì..ooç, "in senso assoluto", a propo­sito del non essere, perché se da un lato è vero che il generarsi della sostanza è un passaggio dal non essere in senso assoluto all'essere, è anche vero che in un certo senso si tratta sempre di un passaggio dall'essere all'essere, ma in un modo che eviden­temente è diverso rispetto ai modi delle generazioni relative (al­terazione e aumento). Dopo aver posto una serie di problemi a proposito del modo di intendere il termine émì..ooç nel caso del non essere, alle li. 31 7b 13-14 Aristotele rimanda a un altro suo scritto in cui avrebbe già trattato questa questione. Sembra pro­babile, anche su suggerimento di Filop. In GC 48, l ss., che il ri­ferimento sia a Phys. I 8-9, in cui, in polemica con gli Eleati, Aristotele chiarisce che sia il sostrato sia la privazione sono non essere, con la differenza però che la privazione è non-essere per sé, mentre la materia-sostrato è non essere accidentalmente, cioè nella misura in cui la privazione è accidente della materia­sostrato?9 Sulla base di queste teorie discusse nella Fisica, Ari-

39 Cf. Phys. I 9, 192a3-5. Anche K. Algra, On Generation and Corruption

I. 3: Substantial Change and the Problem of Not-Being, in F. de Haas & J. Mansfeld ed. by, Aristotle 's On Generation and Cormption I cit., p. 111, ritie­ne che il riferimento di Aristotele riguardi Phys. I 8. Algra, alle pp. 110-115 (contro Williams, vd. trad. di GC p. 84) mette in luce giustamente il forte le­game che sussiste fra Phys. I 8 e GC I 3, mostrando come intendere il t ermi­nus a quo di un processo di generazione assoluta come essere potenziale (co­me si legge in Phys. I 8 e GC I 3) nel senso della materia prossima equivale a intendere tale terminus a quo come non essere accidentale di una sostanza (come si legge in Phys. I 8): il problema di comprendere la generazione asso­luta tramite la descrizione del suo terminus a quo si può risolvere quindi, tra­mite questo richiamo a Phys. I 8, mostrando che il non essere da cui si genera in senso assoluto una sostanza è un'altra sostanza (e quindi sempre essere) che non è ancora quella specifica sostanza (terminus ad quem) che nascerà, per cui si tratta di un non essere per accidente, cioè un essere a cui accade di non es­sere (ancora) quella specifica sostanza (terminus ad quem).

Introduzione 27

stotele ritiene che sia possibile uscire dall'impasse eleatico e proporre un modello di generazione che in un certo senso deriva dal non essere assoluto ma che, in un altro senso, deriva sempre da qualcosa che esiste. Il non essere può infatti essere compreso applicando all'essere e al non essere le nozioni di potenza ed entelechia. Ma prima di spiegare in che modo queste nozioni si applicano all'essere e al suo contrario, mi sembra necessario a­prire una breve parentesi sulla controversa nozione di entele­chia.

Come è noto, con la nozione di atto Aristotele intende la rea­lizzazione compiuta e perfetta di una forma specifica in una da­ta materia. Una forma compiutamente in atto definisce una so­stanza composta, ossia un sinolo, che è uno specifico ente. L'universo naturale aristotelico in concreto è popolato da so­stanze composte: queste sono gli enti di natura. L'ente naturale tuttavia si definisce come un ente in movimento, e da qui nasce l'esigenza di poter spiegare la possibilità che gli enti mutino pur rimanendo ferma e immutabile la realtà e la verità della forma in atto. In questa congiuntura antologica ed epistemologica dell'essere e del divenire si inserisce una differenziazione inter­na alla nozione di atto e che nel caso dei processi naturali viene gestita da Aristotele tramite il rapporto che lega strettamente fra loro la forma e il fine, così come, del resto, le relative forme di causalità. La forma specifica, in effetti, che costituisce l'essenza di un ente e lo definisce, può essere concepita soltanto nel mo­mento della sua piena realizzazione, mentre i mutamenti, che sono tutti processi tesi all'acquisizione di una forma, si svolgo­no quando la forma non è compiutamente realizzata, cioè quan­do la materia-sostrato sta subendo un processo di "informazio­ne". È chiaro che si tratta di processi in cui la forma funge sem­pre da programma di organizzazione delle strutture materiali e di differenziazione interna delle parti della materia al fine di fa­re acquisire a quest'ultima una specifica sostanza o una specifi­ca qualità o una specifica quantità. Questo rende necessario, af­finché si possa ammettere il movimento e non solo l'immo­bilismo - unicamente ammesso dalla forma in atto -, che la forma in un certo senso ci sia anche quando non c'è, cioè che

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28 G.R. Giardina

diriga il programma di "informazione" del sostrato ancor prima di essere compiutamente realizzata. Questo però ontologica­mente collide con il concetto stesso di forma o atto, ed è per questo che Aristotele utilizza una concezione di stato privativo o parzialmente privativo della forma, funzione che è svolta dalla causa finale che, non a caso, è concepita da Aristotele non solo come fine compiuto di un processo, ma anche come la direzione verso cui il processo tende. 40 La nozione di atto, a cui corri­sponde la forma specifica che definisce l'ente, ha come corri­spettivo una nozione di mancanza di atto - o di atto che è in corso di realizzazione -, di cui a rigore non dovrebbe essere possibile parlare, perché l'atto è tale solo quando è perfettamen­te realizzato. Ma Aristotele rende possibile discutere sia della mancanza di atto in quanto privazione di quella specifica forma che ha la possibilità di realizzarsi nella materia, sia di atto che è in corso di realizzazione ma che non si è ancora realizzato per­ché si trova in uno stato in cui in una data materia si sta realiz­zando una forma specifica; si tratta in quest'ultimo caso di un ente in cui persiste ancora una certa privazione di una specifica forma. Quando la forma non è ancora compiutamente in atto ma è in corso di realizzazione Aristotele parla di tale stato della forma non come ÈvÉ:QYEta, ma come ÈVTEÀÉ:XEta. È infatti in questa polarizzazione dell'atto-non atto e di tutti gli stati me­diani fra l'uno e l'altro stato dell'ente che si inserisce la diffe­renza fra ÈnEÀÉ:XEta ed ÈvÉ:QyEta.

Sulla differenza fra queste due nozioni non c'è, in verità, comune accordo fra gli studiosi, e sul problema del loro specifi­co significato e del loro rapporto esiste una vasta letteratura, non sempre però sufficientemente chiarificatrice e ancor meno rilmlutivu. 41 f.: tuttavia un fatto indiscutibile che Aristotele in

411 l:I'. Phy.v. Il 2, I 94u27 ss. Di questo fondamentale passaggio aristotelico

hu dlMJu••u dlll\l.umcnhl nel mio volume G.R. Giardina, i fondamenti della t'CIU1tulltc) lllllUt'tllv. At111//.1·/ <'l'ilim di Aristotele, Phys. Il, Catania 2006, pp. 12) ...

41 Cf, Chun1°Hwan C:hcn, l>/fli!l"lml Meanings of the Term Energeia in the Pltllrmiphy 1if' Ar/,,lt1l/&1, ((Phllo~ophy und Phcnomcnological Research», 16/1

Introduzione 29

Phys. III 1 consideri ÈVTEÀÉ:XEta l'atto incompiuto, ÈvÉ:QYEta ÙTEÀ~ç, incompiuto a causa della persistente presenza nell'ente che muta del suo aspetto potenziale (l'ente che muta è infatti, dice Aristotele in quel contesto, ancora un 8uvaT6v). Nell'ente che si trova nello stato di entelechia, quindi, essendo quest'ul­tima appunto ÈVÉ:QYEta ÙTEÀ~ç, c'è movimento, mentre nello stato di compiutezza perfetta della forma, che coincide con ciò che Aristotele chiama ÈvÉ:QyEta anÀfj, non c'è alcun movimen­to.42

Ora, nel corso di GC il termine ÈVÉ:QYEta ha solo sei occor­renze, che si riducono a tre dal punto di vista dell'argomen­tazione, perché il termine una prima volta si trova in GC I 3, 318a20, in cui si afferma che non esiste l'infinito in atto; una seconda volta in I 10, 327b23 24 e 29, in cui ÈVÉ:QyEta esprime la particolare condizione della mescolanza, nella quale il miscu­glio risulta in atto, cioè in modo compiuto e perfetto, altro ri­spetto a ciò che gli elementi erano prima della mescolanza;43

una terza volta, infine, si incontra in II 7, 334b 21 e 22, in un contesto cioè che tratta della condizione in cui due proprietà contrarie sono compresenti nella materia in un qualunque rap­porto proporzionale fra loro, per cui si parla appunto di potenza abbinata ad entelechia, mentre il termine ÈvÉ:QyEta viene usato a proposito della condizione estrema delle contrarietà, in cui, ad

(1956), pp. 56-65; Id .. The Relation between the Terms ENEPTEIA and EN­TEAEXEIA in the Philosophy of Aristotle, «The Classica! Quarterly», n.s. 8 (1958), pp. 12-17; J. Kostman, Aristotle's Definition of Change, «History of Philosophy Quaterly», 4 (1987), pp. 3-16; R. Brague, Note sur la définition du mouvement (Physique lll l-3), in F. De Gandt-P. Souffrin éd. par, op. cit., pp. 107-120; S. Waterlow, Nature, change and agency in Aristotle 's Physics, Ox­ford 1982, passim; B. Besnier, La d~finition aristotélicienne du changement (Physique lii, 1-3), in Aristate et la notion de nature, éd. par P.M. More!, Bor­deaux 1997, pp. 15-34.

42 Cf. G.R. Giardina, La "causa motrice" in Aristotele, Phys. lii 1-3, in

R.L. Cardullo & G.R. Giardina curr., La fisica di Aristotele oggi. Problemi e pros~ettive, Catania 2005, pp. 117 ss.

3 In questo passaggio di I 10 in effetti si dice che c'è ancora l'aspetto po­

tenziale, ma si tratta di un potenziale molto diverso da quello che solitamente intende Aristotele, come si vedrà ad /oc.

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30 G.R. Giardina

esempio, un ente sia caldo in potenza e freddo in entelechia to­talmente, nel senso cioè che tale ente è totalmente freddo e non contiene alcun calore anche minimo. Al contrario il concetto di entelechia è usato diffusamente in tutto GC e per una ragione evidente, e cioè per il fatto che Aristotele sta qui analizzando i processi per i quali, se da un lato, come ho ripetuto più volte, non bisogna mai prescindere dal fatto che abbiamo sempre a che fare con sostanze concrete hic et nunc, dall'altro lato l'unica spiegazione possibile dei fenomeni consiste nel chiarire che tali sostanze possono derivare da un non essere che in qualche mo­do è, in quanto è collegato a questi enti che sono concretamente hic et nunc come termine negativo di una polarità. Come Ari­stotele ha insegnato in Phys. I, quindi, i processi altro non sono che movimenti che avvengono fra due termini onticamente con­trari, la privazione e la forma specifica, e cioè all'interno di una polarizzazione che nei suoi due estremi opposti ha da un lato il non essere, che è la privazione, e dall'altro lato l'essere, che è la forma realizzatasi nella materia.

Riprendendo quindi il discorso su GC I 3, e cioè che il non essere può essere compreso applicando all'essere e al non esse­re le nozioni di potenza ed entelechia, si nota che qui Aristotele usa queste due nozioni in un modo diverso da quello con cui le utilizzerà nel resto di GC. Se infatti nel corso di GC potenza ed entelechia sono compresenti nell'ente a indicare che i due ter­mini estremi di una contrarietà di proprietà della sostanza sussi­stono insieme nell'ente secondo una qualunque proporzione, in I 3, invece, l'essere in potenza è il sostrato dell'ente in divenire, mentre il non essere in entelechia è l'assenza di una proprietà appartenente a una contrarietà di cui l'altro termine è la forma specifica. Mi sembra che questa interpretazione serva a spiegare il fatto che Aristotele parli di essere nel caso della condizione potenziale (perché il sostrato è non essere accidentalmente e non per se stesso, quindi il sostrato è essere) e di non essere, in­vece, nel caso dell'entelechia (perché la privazione è non essere In 1cn1u proprio), dicendo che essere e non essere sussistono in ambedue questi modi, che sono il modo del sostrato e quello della prlva:ilonc della proprietà contraria. La generazione della

Introduzione 31

sostanza deriva allora in ultima analisi veramente dal non essere assoluto, che non è come quello parmenideo assoluto nulla, ma è un'assenza assoluta di forma specifica e quindi assoluta as­senza di essere nel sostrato, ma che, in quanto questa assenza assoluta è in riferimento a un essere specifico, è in un certo sen­so un non essere assoluto che ha una specifica determinazione. Il non essere in senso assoluto è allora in un certo senso essere, come prova anche il fatto che l'universo non si è mai esaurito: le cose che si generano, infatti, sono di numero limitato (perché non esiste l'infinito in atto), ma in quanto si corrompono l'universo si sarebbe già esaurito se l'essere non si generasse dal non essere e se non ci fosse, come invece c'è, reciprocità fra generazione e corruzione: la generazione di una cosa è corru­zione di un'altra, così come la corruzione di una cosa è genera­zione di un'altra (318al3-27). La reciprocità dei processi di ge­nerazione e di corruzione è tale che una generazione assoluta coincide con una corruzione relativa e una corruzione assoluta coincide con una generazione relativa.

Questo nodo teorico, in I 3 alquanto difficile da comprende­re, diverrà chiaro quando nel II libro Aristotele spiegherà i pro­cessi di trasformazione reciproca degli elementi attraverso il passaggio di una delle due proprietà di ciascun elemento nella proprietà contraria, per cui da un lato c'è un mutamento globale di un elemento in un altro che consente di parlare di mutamento sia della forma che della materia, e quindi di generazione asso­luta o generazione della sostanza, ma dall'altro lato c'è la per­manenza di un sostrato che assicura la continuità del processo. Anche in I 3, l'insistenza di Aristotele su questa corrispondenza di generazione e corruzione come processi reciproci ha lo scopo di chiarire come sia possibile un mutamento globale, quale è quello della sostanza, pur nel permanere di un sostrato. La deli­catezza della questione risiede nel fatto che la permanenza del sostrato è una caratteristica dei modi relativi della generazione, con cui la generazione assoluta rischierebbe una volta di più di confondersi, mentre lo scopo di Aristotele è proprio quello di differenziare fra loro i differenti modi del divenire. Nel caso della generazione e della corruzione in senso assoluto la penna-

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32 G .R. Giardina

nenza del sostrato non impedisce, in realtà, che il terminus ad quem e il terminus a quo siano concepiti come termini estremi di una polarizzazione ontica, cioè come essere e non essere in senso assoluto. Del resto, anche dalle Categorie sappiamo che la polarizzazione ontica nella generazione assoluta è estrema, nel senso che Aristotele asserisce che mentre i vari tipi di gene­razione relativa sono mutamenti fra contrari, nella generazione della sostanza, cioè nella generazione assoluta, il mutamento avviene fra contraddittori, cioè appunto dal non essere assoluto all'essere assoluto. Se un primo modo assunto da Aristotele per distinguere la generazione reciproca consiste allora nella distin­zione oùcria-µ~ oùcria, ci sono tuttavia altri due modi. Il secon­do modo riguarda la determinazione della materia, nel senso che ci può essere nella materia, dice Aristotele, una maggiore o mi­nore presenza di forma o, di converso, di privazione. Il terzo e ultimo modo, infine, per distinguere generazione e corruzione come processi reciproci risiede in quella parte di verità che si ri­scontra nella dottrina sostanzialmente errata dei sensisti: questi ultimi fanno grande differenza fra ciò che è percepibile e ciò che non lo è e ritengono che il passaggio dal percepibile all'im­percepibile, cioè da una materia sensibile ad una materia non sensibile e invisibile, sia corruzione e, viceversa, che il passag­gio dall'impercepibile al percepibile, cioè da una materia non sensibile e invisibile ad una materia sensibile, sia generazione. Se infatti è vero che la conoscenza riguarda l'essere mentre il non essere è inconoscibile, e per questa via i sensisti hanno ap­parentemente ragione, essi commettono tuttavia l'errore di rite­nere che la sensazione abbia valore di scienza (318b21-24). 44 Il percepire non è affatto criterio di conoscenza dell'essere, perché al contrario ciò che appare meno percepibile è invece più de­terminato, e ciò che è più determinato è meno conoscibile dal-1 'opinione ma più conoscibile dalla scienza.

A questo punto Aristotele può trarre le sue conclusioni e lo fa significativamente raccogliendo le varie direttrici del suo di­scorso, perché quelle motivazioni che egli ha addotto per distin-

44 Cf. Filop. /n GC 57,27 ss.

Introduzione 33

guere la generazione assoluta dalla generazione non assoluta adesso sono elencate anche come cause del fatto che la genera­zione assoluta coincide con una corruzione relativa e la corru­zione assoluta coincide con una generazione relativa. Fin qui Aristotele ha condotto la sua analisi sulla base dell'indifferen­ziazione presocratico-platonica del divenire. Per poter fondare una dottrina sufficientemente valida della generazione e della corruzione in senso assoluto non basta ad Aristotele risolvere il problema dell'uso linguistico del verbo yi yvoµm che egli ere­dita dalla riflessione presocratica e platonica: nella filosofia dei predecessori, infatti, l'uso indifferenziato di yi yvoµm, che in­dica sia la nascita sia ogni altro tipo di mutamento, è per questo stesso motivo un uso che non investe la sostanza, e nel momen­to in cui Aristotele affronta il problema della generazione nel suo aspetto globale non gli è necessario che sia in causa la no­zione di sostanza nel senso di categoria di cui tutto si predica, mentre questo senso gli sarà necessario quando dovrà distingue­re la generazione asssoluta dagli altri tipi di mutamento quali l'alterazione e l'aumento. La soluzione che Aristotele sembra trovare è quella di considerare sì la generazione e la corruzione in senso assoluto come processi in cui gli opposti di questo spe­cifico tipo di mutamento sono ancora una volta due termini, l'uno positivo e l'altro negativo, che costituiscono modi di in­tendere l'essere e il non essere come forma-privazione non di qualità (alterazione) o di quantità (aumento e diminuzione), ma di determinatezza ontica,45 ossia come due termini fra loro op­posti che siano cioè rispettivamente affermazione-negazione di determinatezza on ti ca, ma con l'accorgimento di concepire an­che il non essere come un che di specificamente determinato. Comprendere la sostanza come determinatezza ontica, che am­mette il più e il meno e che si avvale di un sostrato materiale,

45 Rashed, che nella sua lntroduction precisa molto bene il senso di oùata

in GC come nome d'azione del verbo essere, discute ampiamente sul fatto che la polarizzazione dell'essere a più livelli, cioè l'ammissione che certe realtà naturali hanno più o meno essere rispetto ad altre, trova la sua giustificazione vera nei fatti biologici, cf. pp. CXL ss.

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34 G.R. Giardina

diviene allora necessario per capire la generazione come un processo orientato, in cui l'orientamento viene fornito di fatto dalla forma. Se tuttavia la sostanza concepita nel senso di forma ci fa comprendere bene la generazione assoluta e la reciprocità di generazione assoluta e corruzione relativa, la differenziazione definitiva della generazione assoluta dagli altri tipi di mutamen­to si ha solo quando dal piano generale si passa alla sostanza in senso categoriale. 46 A partire da 319a3 ss., infatti, per distingue­re la generazione assoluta dagli altri tipi di mutamento, Aristo­tele afferma eloquentemente che tali distinzioni si fanno sulla base delle categorie, ed elenca la sostanza, la qualità e la quanti­tà,47 ribadendo che solo le generazioni che non riguardano la so­stanza sono generazioni non assolute, per cui solo quella della sostanza è generazione assoluta.

b) La questione della materia prima A partire da I 3, 319a29 ss. Aristotele si interroga sul pro­

blema della materia della generazione assoluta proponendo una soluzione secondo cui, di due elementi che si trasformano l'uno nell'altro, la materia è in un senso identica e in un altro senso diversa e, per spiegare questa soluzione Aristotele aggiunge una frase di difficile traduzione, che è stata tradizionalmente inter­pretata nel senso dell'affermazione da parte di Aristotele dell'e­sistenza della materia prima, cioè di un unico sostrato totalmen­te indeterminato per tutti i mutamenti naturali. La frase, che si legge alle li. 31%3-4, io l'ho tradotta nel seguente modo: «per­ché <la materia concepita come> ciò che, essendo sia nel termi­nus a quo sia nel terminus ad quem, soggiace, è la stessa, men-

46 Così pensa anche Rashed (cf. p. LXXIV), che sottolinea come questa

concezione di sostanza come forma, che è del tutto teorica in GC, trovi la sua spiegazione definitiva in quella che è una positività ontica superiore, cioè nel­la sostanza in senso categoriale e quindi, in ultima analisi, nei trattati biologi-ci.

47 Manca il luogo perché, come si è detto, il movimento di traslazione

precede la generazione e ne è una causa.

Introduzione 35

tre concepita dal punto di vista dell'essere è diversa (o µèv yaQ no-re ov un6xe1-rm -rò aò-r6, -rò o' dvm oò -rò aò-ro)».48

Se Aristotele abbia sostenuto in GC - così come in altri trat­tati - l'esistenza di una materia prima, cioè di un unico sostrato totalmente indeterminato per tutti i mutamenti naturali, è una questione che vede gli studiosi divisi in due opposte posizioni: da un lato gli assertori e dall'altro i contestatori di una tale teo­ria. 49 Peraltro, l'interpretazione secondo cui Aristotele avrebbe

48 Cf G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele. Teoria degli elementi

e delle loro proprietà, Roma 2008, pp. 86 ss. 49

I passaggi dei vari trattati aristotelici in cui si parlerebbe di materia prima sono analizzati da W. Charlton, Aristotle's Physics !, II, Oxford 1970, pp. 129-145, il quale si pronuncia contro la teoria della materia prima in Ari­stotele. Sono contro la teoria della materia prima anche H.R. King, Aristotle without prima materia, «Joumal of the History of Ideas», 17 (1956), pp. 370-389; B. Jones, Aristotle's lntroduction ofmatter, «Philosophical Review», 83 (1974), pp. 474-500; W. Charlton, Prime matter: a rejoinder, «Phronesis», 28 (1983), pp. 197-211; F. Franco Repellini, Introduzione a De caelo. De genera­tione et corruptione di Aristotele, Torino (1985), pp. 89-104; M. Rashed, ln­troduction, pp. XCII ss. Anch'io, pur senza occuparmi direttamente del pro­blema, ho scritto contro la presenza in Aristotele di una teoria della materia prima quale principio primo indeterminato alla maniera platonica, sia in G.R. Giardina, !fondamenti della fisica. Analisi critica di Aristotele, Phys. I, Cata­nia 2002, pp. 112-116 sia ne' I fondamenti della causalità naturale cit., pp. 33-53. Sono a favore della teoria della materia prima - che è il punto di vista tradizionale già espresso da E. Zeller, Aristotle and the earlier Peripatetics, London 1897, e ribadito da H.H. Joachim, Comm. pp. 342 ss. - F. Solmsen, Aristotle and prime matter, «Joumal of the History of Ideas», 19 (1958), pp. 243-252; H.M. Robinson, Prime matter in Aristotle, «Phronesis», 19 (1974), pp. 168-188; la trad. di M. Migliori, pp. 29 ss. e note di commento; A. Code, The persistence of aristotelian matter, «Philosophical Studies», 29 (1976), pp. 357-367; R. Dancy, On some Aristotle 's second Thoughts about substances: matter, «Philosophical Review», 87 (1978), pp. 372-413; Williams, pp. 211-219; Sh.M. Cohen, Aristotle 's doctrine of the materiai substrate, «Philosophi­cal Review», 93 (1984), pp. 171-194; D.W. Graham,Aristotle's two Systems, Oxford 1987, cap. 8. Sull'argomento si cf. anche gli studi di L. Cencillo, Fun­ciones del concepto de 'materia' en el Corpus aristotelicum, «Revista de Filo­sofia (Madrid)», 15 (1956), pp. 209-226; Id., Cuestiones sistematicas entorno a tres nociones de materia prima en e! Corpus aristotelicum, «Pensamiento», 12 (1956), pp. 473-484; Id., Tres problemas planteados por et concepto de hyle, «Emerita», 25 (1957), pp. 1-13; R. Sokolowski, Matter, Elements and

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sostenuto l'esistenza di una materia prima si basa principalmen­te su un altro passaggio di GC, e cioè su GC II 1, 329a24-35, perché sembrerebbe che qui venga affermata l'esistenza di una materia da cui si generano gli elementi o corpi primi e che quindi è principio anteriore e primo rispetto a questi. 50 Da quest'ultimo passaggio, in realtà, risulta abbastanza evidente, a mio avviso, non solo che Aristotele intende la materia prima, la materia cioè da cui derivano i corpi primi da cui si generano gli enti naturali, in un senso del tutto particolare e comunque asso­lutamente incompatibile con quello che si trova nei suoi prede­cessori, principalmente in Platone e nei Platonici, ma soprattutto che, come lo stesso Aristotele afferma, questa materia è sempre accompagnata da una contrarietà, per cui è determinata. È un sostrato determinato che Aristotele oppone all'indeterminatezza del sostrato platonico, il "ricettacolo universale", per cui inten­dere come assolutamente ideterminato il sostrato aristotelico si­gnifica non compredere più perché Aristotele critichi l'indeter­minatezza del sostrato platonico.

Alle li. 3 l 9b3-4, a mio avviso, ciò che Aristotele intende spiegare è in che senso la materia della terra e del fuoco sia in un senso identica e in un altro senso diversa: è la stessa la mate­ria che svolge la funzione sostratica, e cioè la materia secca, che

Substance in Aristotle, «Joumal of the History of Philosophy», 8 (1970), pp. 263-288; H. Happ, Hyle, Studien zum aristotelischen Materie-Begr!IJ, Berlin 1971; W. Leszl, La materia in Aristotele, «Rivista critica di storia della filoso­fia», 29 (1974), pp. 157-166. La difficoltà che il problema della prima materia presenta si evince anche dal fatto che tre studi che fanno parte del medesimo volume a cura di F. De Haas & J. Mansfeld, Aristotle 's On Generation and Corruption I cit., si pronunciano due contro e il terzo a favore della teoria del­la prima materia: sono contro K. Algra, On Generation and Corruption I. 3 cit., pp. 91-121 e S. Broadie, On Generation and Corruption I. 4: Distingui­shing Alteration-Substantial Change, Elemental Change, and First Matter in GC, pp. 136-150; a favore invece D. Charles, Simple Genesis and Prime Mat­ter, pp. 151-169, che però interpreta la materia prima nel senso logico e non tisico.

~o Al contrario io ritengo che la generazione reciproca degli elementi ab­bia u NUO fondumento una pluralità di differenziazioni corporee, una diversifi­ca;r.ionc originaria di potenzialità che assicura la generazione di elementi di­vonl o irriducibili ad un11 potenzialità unica o unificata.

Introduzione 37

si conserva in ogni momento del processo di generazione da ter­ra a fuoco e che quindi si trova sia nel terminus a quo sia nel terminus ad quem (che sono contenuti nel significato temporale­distributi vo di rtoTE insieme a tutti i termini mediani), mentre la materia della terra, che è materia secca-fredda, è diversa dalla materia del fuoco, che è materia secca-calda, per cui dell'ele­mento che costituisce il terminus a quo nulla sopravvive, né la materia né la forma.

Ora, il problema di determinare il soggetto del divenire è un problema che si riscontra già in più passaggi di Phys. I 6-9, oltre che in II 1, 193a28-30, luoghi sui quali credo che sia utile sof­fermarsi un poco sia per rendersi conto del fatto che la pura po­tenzialità non appartiene all'universo filosofico di Aristotele, sia per comprendere meglio la natura del non essere: entrambi que­sti aspetti teorici, a mio modo di vedere, testimoniano contro la teoria della materia prima in Aristotele. Dalla Fisica aristotelica apprendiamo che una prima caratteristica del soggetto del mu­tamento è quella di essere un ouvaTov, qualcosa cioè che è ca­pace di assumere una proprietà contraria rispetto alla sua condi­zione di partenza. Ora, questa condizione non è sufficiente per Aristotele affinché si realizzi un qualsiasi tipo di divenire se viene concepita nel senso della potenzialità della materia. In Phys. III 1, ad esempio, Aristotele spiega il perché egli abbia parlato dell'ente in potenza sottolineando che occorre non con­siderarlo "in quanto è quello che è" ma in quanto è un mobile (xwr1Tov), adducendo l'esempio del bronzo: parlare del bronzo come di qualcosa che ha potenzialità di divenire, ad esempio, una statua, non comporta alcuna allusione al fatto che tale bron­zo diverrà probabilmente una statua. Il bronzo in potenza statua non è ancora il bronzo che diverrà statua, ma è solo il bronzo che ha la capacità di assumere la forma di statua, il che non si­gnifica che diverrà mai una statua, perché non è detto che ciò che è in potenza passi all'atto, come Aristotele stesso insegna in Meta. XII 6, 1071b13-14. La potenzialità della materia, cioè la funzione sostratica della materia, è una condizione di immobili­tà. Al contrario, il bronzo visto nella sua potenzialità specifica

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di poter divenire statua è il bronzo che ha la capacità di assume­re la forma di statua ed è altresì specificamente privo della for­ma di statua. Occorre cioè che all'ente in potenza si associ una certa specificità,51 ossia la privazione che, se da un lato è per se stessa non essere, è anche, come ho già avuto occasione di dire, un non essere in certo qual modo determinato. Lo stesso Aristo­tele, infatti, in Phys. II 1, 193bl9-20, scrive:«[ ... ] anche la pri­vazione è in un certo qual modo una forma specifica (xaì yàQ Ti O'TÉQ110'tç; d86i;; rrroç; Ècrnv)». La privazione non è negazione di determinatezza antica nel senso del non essere eleatico, ma è al contrario specifico non essere e quindi una sorta di livello zero della determinatezza formale, è un'assenza di forma che in quanto assenza determinata orienta il processo di mutamento verso un termine specifico e non verso qualunque termine. Il sostrato, così concepito come materia privativa dei processi di mutamento, è materia qualificata che detiene sia la potenzialità, cioè la capacità di accogliere i contrari, sia la specificità che si caratterizza come assenza di forma e quindi non come assoluta indeterminatezza ma come determinato non essere. Sia la priva­zione, quindi, è concepita come determinatezza del non essere sia, a maggior ragione, la materia-sostrato che, se è non essere lo è solo accidentalmente, nella misura in cui vi si associa una privazione, rispetto alla quale il sostrato risulta tanto più deter­minato da essere concepito da Aristotele come una materia prossima alla sostanza, mentre la privazione non lo è in alcun modo. 52 È solo grazie alla determinatezza del sostrato del dive­nire che Aristotele può realmente contestare ai Platonici, come dicevo, la loro teoria del sostrato indeterminato: essi sono arri­vati a comprendere che deve esserci un sostrato affinché possa realizzarsi il divenire e tuttavia, ponendo come materia la diade di Grande e Piccolo, non hanno fatto altro che porre un unico principio materiale indeterminato, ricadendo così irrimediabil-

51 Si cf. per un maggiore approfondimento di questo argomento e per la

letteratura critica relativa G.R. Giardina, La "causa motrice" in Aristotele, Phys. III 1-3 cit., pp. 120-124 e 146-150.

52 Phys. I 9, l 92a5-6.

Introduzione 39

mente nella opposizione eleatica fra essere e non essere. Porre l'indeterminatezza all'origine dei processi generativi - cioè pensare che Aristotele abbia concepito una materia prima inde­terminata da cui si generano tutte le cose - significherebbe quindi non solo non comprendere la natura delle critiche che e­gli ha mosso ai suoi predecessori, ma soprattutto significhereb­be introdurre una contraddizione teorica nella regolarità e conti­nuità del mondo naturale su cui Aristotele insiste a più riprese. Se un processo dall'essere all'essere (generazione relativa) e, ancor più, un processo dal non essere all'essere (generazione assoluta) avessero come punto di partenza l'indeterminato, che cosa assicurerebbe l'ordine e la regolarità che si osservano nel mondo naturale e che trovano giustificazione, invece, per Ari­stotele, in un preciso quadro di nessi causali? A meno che, po­tremmo pensare, non dovessimo fare ricorso a una causalità e­sterna che regoli e orienti correttamente tutti i processi, cioè, in altri termini, ammettere la realtà separata dell'intelligibile pla­tonico di cui gli enti naturali parteciperebbero. È al contrario la determinatezza di tutti e tre i principi del divenire che assicura l'ordine e la continuità della realtà naturale. Nell'impostazione teorica di Aristotele, a dispetto del fatto che il soggetto va iden­tificato con la corporeità, il ruolo fondamentale è giocato dalla forma. Parlare di una materia determinata contro l'ipotesi della materia prima indeterminata significa dire che per Aristotele la materia è sempre e comunque materia di una forma. Ad essa si aggiunge poi la specificità formale della privazione. Questa let­tura, diciamo così, "formalistica", spiega bene del resto il pro­blema della continuità della realtà naturale, perché quest'ultimo problema è riconducibile in termini di teoria alla preminenza e alla priorità della forma sulla materia o, se si vuole, dell'atto sulla potenza, una preminenza o una priorità che è evidente an­che dallo schema causale aristotelico. La corporeità unita alla privazione, con cui si è qui identificato il soggetto della genera­zione assoluta, infatti, deve essere concepita, come ho detto più volte, quale funzione di potenzialità del soggetto che è imme­diatamente legata alla forma, perché se riducessimo al corporeo la causalità materiale come garanzia della continuità dei proces-

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si naturali, allora piomberemmo in un pieno meccamc1smo e potrebbero persino avere ragione i pluralisti a concepire genera­zione e corruzione come aggregazione e disgregazione di mate­ria. Al contrario, il primato della forma sulla materia nella con­cezione aristotelica della sostanza ed il concomitante ruolo pre­ponderante della causalità formale (anche attraverso le cause motrice e finale) sulla causalità materiale fa sì che il meccanici­smo dei processi, pure ammesso da Aristotele nel suo universo fisico, abbia un ruolo secondario e comunque sottoposto a quel­lo svolto dalla forma.

c) Alterazione Dopo aver trattato della generazione assoluta in GC I 3, Ari­

stotele passa ai modi della generazione relativa, dapprima all'al­terazione in I 4 e successivamente all'aumento in I 5.

L'analisi del mutamento secondo la qualità o alterazione è piuttosto breve, ma di una brevità che non deve ingannare chi legge. In effetti, a uno sguardo superficiale potrebbe sembrare abbastanza facile distinguere l'alterazione dalla generazione as­soluta: si ha alterazione quando il soggetto, che è percepibile,53

permane, mentre muta una proprietà essenziale di esso nella proprietà contraria o intermedia (µeTa~aU1:1 èv To'ìç m'noG na8ecnv, fi Èvaniotç OOO'tV fi µeTa1;6), come quando il corpo, pur restando lo stesso, guarisce o si ammala, oppure come quan­do il bronzo, pur restando bronzo, assume forme diverse; 54 si ha invece generazione assoluta quando il mutamento è totale (oA.ov µeTa~aA.A.1:1), è cioè mutamento di una cosa in un'altra senza che persista qualcosa di percepibile come soggetto (µ~ uno­µÉvovToç at0'8Y]TOU Tl vòç roç l>noxetµÉvou TOU aÙTOU), come quando da tutto il seme si forma il sangue o da tutta l'acqua si

53 Su questo passaggio si vd. M.L. Gill, Aristotle on Substance. The Para­

dox of Unity, Princeton 1989, pp. 48 ss., ma anche S. Broadie, On Generation and Corruptionl. 4 cit., pp. 124-127.

54 Sull'alterazione cf. R.R. Barr, The Nature of Alteration in Aristotle, «The New Scholasticism», (30) 1956, pp. 472-484 oltre che il già citato studio di S. Broadie, On Generation and Corruption I. 4.

Introduzione 41

forma l'aria. Quest'ultimo tipo di processi sono generazione di una cosa e corruzione di un'altra, secondo ciò che abbiamo ap­preso dalla lettura di GC I 3. Questa differenziazione fra gene­razione assoluta e alterazione non è peraltro una novità, perché in GC I 2, 317a23-27 Aristotele aveva già anticipato che «c'è una bella differenza [scii. fra generazione assoluta e alterazio­ne], perché nel soggetto <che muta> bisogna distinguere da un lato ciò che corrisponde alla definizione, dall'altro lato ciò che corrisponde alla materia (Èv yàQ Tc'j) unoxetµÉvqi TÒ µÉv èan xaTà TÒV A.Oyov, TÒ oÈ xaTà T~V UÀY]V.). Quando dunque il mutamento appartiene ad <ambedue> queste cose, allora ci sarà generazione o corruzione (''OTav µÈv oov èv TOUTOtç ~ ii µe­Ta~oÀ~, yÉvecnç ~O'Tat fi cp8oQa), quando invece il mutamen­to appartiene alle proprietà, ovverosia agli accidenti, allora ci sarà alterazione (OTaV o' ÈV TOtç na8Ecrt xat XaTà O'llµ~e­~Y]XOç, àA.A.oirocnç)». Nel caso della generazione, quindi, c'è un mutamento che riguarda sia la i.SA.ri sia l'dooç, mentre nel caso dell'alterazione mutano solo le proprietà, i na8ri. 55

La distinzione fra alterazione e generazione assoluta, tutta­via, non è in realtà una questione così pacifica, perché da I 3 si è visto che il processo che conduce ad alterazione ha le medesime modalità di quello che conduce alla generazione di una sostan­za, e in I 1-2 si è visto che tutti i fisiologi del passato hanno confuso fra loro alterazione e generazione: evidentemente essi avranno avuto una qualche ragione per essere caduti in un simi­le errore. In effetti, come si è visto in GC I 3, sia l'alterazione che la generazione assoluta riguardano un passaggio all'essere che si verifica quando, permanendo il soggetto, una proprietà contraria prende il posto dell'altra. Per differenziare l'altera­zione e la generazione allora, alle li. 3 l 9b2 l ss., Aristotele pro­pone due esempi. Il primo è quello dell'acqua che si genera dall'aria: l'aria è l'elemento caldo-umido e l'acqua l'elemento freddo-umido; se, permanendo identica sia nel terminus a quo

55 TiaSoç svolge nel caso dei processi di alterazione la stessa funzione che

dùoç svolge nel caso della generazione assoluta; per una discussione più ap­profondita cf. G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele cit., pp. 106 ss.

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che nel terminus ad quem una delle proprietà contrarie, come in questo caso l'umido, l'altra proprietà appartiene solo a ciò che si genera, cioè solo al terminus ad quem e non anche al termi­nus a quo, come in questo caso il freddo che appartiene solo all'acqua e non anche all'aria che si corrompe e alla quale ap­partiene al contrario il caldo, allora si ha generazione (ovvia­mente è sottinteso che il sostrato muta interamente, come Ari­stotele ha detto nelle linee precedenti) e non alterazione. Il di­scorso sembrerebbe lo stesso nel caso dell'esempio dell'uomo musico che diviene uomo non musico, perché ciò che permane è l'uomo, mentre la proprietà di musico si muta nella proprietà contraria di non musico. Qui però le proprietà musico-non mu­sico appartengono per se stesse all'uomo, mentre lo stesso non accade nel caso del caldo e del freddo che non appartengono per se stessi all'umido. Mentre infatti non posso definire il musico o il non musico senza riferirmi all'uomo, al contrario è possibile definire il caldo e il freddo senza riferirmi affatto all'umido; ciò che permane peraltro non è una proprietà, come nel caso dell'u­mido dell'aria e dell'acqua, bensì il soggetto uomo, per cui sia­mo di fronte ad alterazione e non a generazione.

Alle li. 319b31-320a7, Aristotele riassume e così conclude questo breve ma significativo capitolo. I mutamenti si svolgono sempre fra coppie di proprietà contrarie ed è sulla base di queste che i mutamenti si distinguono fra loro: se si tratta di contrarietà secondo la quantità, si ha aumento o diminuzione, se si tratta di contrarietà secondo il luogo, si ha traslazione, se infine si tratta di contarietà secondo la qualità, si ha alterazione; quando non rimane nulla del terminus a quo allora si ha generazione assolu­ta. Poiché tutti questi mutamenti si svolgono su assi di contra­rietà, la materia è il sostrato di qualsiasi tipo di mutamento, per­ché essa è propriamente ciò che accoglie questi contrari. In tutti i casi, come si è visto discutendo la fine di I 3, tale materia è una corporeità semiqualificata (nel senso che è qualificata ma coinvolta in un processo che comunque la ridetermina, come nel caso della materia secca che diviene calda o fredda) che funge da sostrato e che, nelle generazioni relative si conserva identica pur acquisendo una differente determinazione formale, mentre

Introduzione 43

nella generazione assoluta l'identità si conserva solo nella fun­zione sostratica, poiché la determinazione formale che il sostra­to acquisisce comporta un mutamento globale anche del sostrato stesso (ad esempio la materia del caldo-secco, cioè del fuoco, come si è visto, non è identica alla materia del freddo-secco, cioè della terra).

La brevità di GC I 4, come dicevo, non deve trarre in ingan­no. Se è vero infatti che questo capitolo fornisce gli elementi necessari per distinguere fra loro la generazione assoluta e l'alterazione, è vero anche che a livello logico si può supporre una dissoluzione del soggetto analoga sia nel caso dell'altera­zione sia nel caso della generazione, perché, come Aristotele stesso insegna in Phys. I 7, quando l'uomo non musico diviene uomo musico in un certo senso si dissolve non solo il non musi­co ma anche l'uomo non musico. Ciò che differenzia fisicamen­te la generazione dall'alterazione è di fatto solo il grado di anni­chilimento del terminus a quo: ogni generazione assoluta passa attraverso un'alterazione dei corpi da cui si produce - come sarà del tutto chiaro da GC II 1-4 in cui si analizza la generazione degli .elementi -, ma si tratta di un'alterazione che si produce a livelli tali da causare l'annichilimento della materia semiquali­ficata della quale si altera l'altra proprietà lungo un asse di con­trarietà. È come se, in altri termini, la generazione assoluta fos­se un'alterazione profonda di un corpo distinta da un'altera­zione più lieve che si manifesta solo come mutamento delle proprietà, dei na8YJ. in GC l'alterazione svolga la funzione di condizione essenziale del processo di generazione, la condizio­ne, cioè, che garantisce il mutamento globale dei corpi e che impone a questo mutamento globale il suo proprio ordine. L'alterazione è in un certo senso, secondo Aristotele, il proces­so che permea di sé tutta la realtà sensibile, tanto più che gli enti concreti sono da lui considerati piuttosto il risultato di mesco­lanze di elementi in svariate proporzioni. La brevità di I 4 non deve quindi ingannare sull'importanza che l'alterazione riveste all'interno dell'intero trattato; è su questo terreno, del resto, che costantemente Aristotele si misura con le teorie dei predecesso­ri, al fine di fare apparire sempre più evidenti le ragioni che

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hanno indotto questi ultimi a confondere la generazione con l'alterazione.

d) Aumento Il capitolo I 5 è dedicato al problema dell'aumento e del suo

contrario, cioè della diminuzione. La prima domanda che Ari­stotele si pone è se l'aumento differisca dalla generazione e dall'alterazione solo in ragione del soggetto che muta - cioè se generazione, aumento e alterazione differiscano perché ciò che passa dall'essere in potenza all'essere in entelechia è, rispetti­vamente, la sostanza, la grandezza o la proprietà-, oppure an­che in ragione della modalità secondo cui si esplica questo tipo di mutamento (320a8-19). In effetti, quando un corpo aumenta si ha un mutamento di luogo che manca nel caso della genera­zione o dell'alterazione56 e che, peraltro, è diverso rispetto al mutamento di luogo che si ha nel caso della traslazione, perché in quest'ultimo caso è l'intero che muta luogo, mentre nel caso dell'aumento e della diminuzione l'intero resta fermo, mentre le parti mutano di luogo perché occupano un luogo maggiore (nel caso dell'aumento) o minore (nel caso della diminuzione). 57

Dapprima Aristotele si sofferma sul soggetto dell'aumento, cioè sulla grandezza. Stabilito che l'aumento non nasce dalla gran­dezza o corpo in potenza e che quindi esso non è un passaggio da una materia priva di grandezza (cioè da una grandezza in po­tenza) a una materia che abbia grandezza in entelechia, perché in quest'ultimo caso avremmo passaggio dal non essere all 'es­sere e quindi generazione e non aumento, l'aumento risulta es­sere un incremento di una grandezza già esistente (di cui la di­minuzione è decremento). 58

A partire dalle li. 321a29 ss. l'analisi di Aristotele si concen­tra sull'aumento come crescita, cioè sull'aumento che ha la nu­trizione come sua causa, ovverosia sull'aumento del corpo vi-

~Il ('f. R. Hcinaman, Alteration and Activity-Change, «Oxford Studies in Ancl11nt PhilnNophy», 16 (1998), pp. 227-257.

S? Ct. Plty11. IV 4, 211 u l 2ss. e Filop. In GC 71,26-31. 11 OC' I 5, l20hJO.J4.

Introduzione 45

vente dovuto al fatto che si alimenta. Viene subito impostata la relazione fra ciò che aumenta e ciò che lo fa aumentare, che è appunto l'alimento, perché Aristotele si chiede se aumenti solo ciò che aumenta e non anche ciò che lo fa aumentare, oppure se aumentino ambedue, sia l'aumentato sia l'aumentante. La rispo­sta è evidentemente questa seconda: se si mescola vino ad acqua aumentano sia il vino che l'acqua. Nella relazione aumentato­aumentante, però, il ruolo attivo è attribuito da Aristotele a ciò che aumenta, perché è all'interno di questo che si trova la causa motrice della trasformazione, la sua capacità cioè di assimilare l'alimento, mentre l'alimento ha solo un ruolo passivo, quello cioè di perdere le sue qualità sostanziali per assimilarsi al corpo che aumenta. L'aumentante, infatti, è in potenza ciò di cui pro­duce l'aumento. Si scopre così che l'aumento è una trasforma­zione quantitativa ma che non avviene in funzione della mate­ria, bensì in funzione della forma (321 b22 ss.). Un corpo au­menta perché vi si aggiunge qualcosa, ma aumenta come corpo che conserva la stessa natura che aveva prima del suo aumento ed è solo in questo modo, cioè proprio perché l'aumento riguar­da la forma e non la materia, che sono possibili le condizioni e­lencate prima da Aristotele affinché ci sia aumento, e cioè che l'intero persista nell'aumentare o diminuire di tutte le sue parti, ossia che persista l'ente formalmente determinato pur nel varia­re della sua quantità. È quindi la forma o specie che determina il modo dell'aumento. Se il pane che un individuo mangia provo­ca l'aumento della carne dell'individuo stesso, quindi, questo accade perché l'alimento che si aggiunge si muta nella stessa forma di ciò a cui si aggiunge, per cui ciò che si aggiunge non è in realtà il pane in quanto tale, che è qualcosa di diverso dalla carne, bensì la stessa carne in cui il pane si è mutato in virtù della forma specifica di ciò a cui si è aggiunto, ovvero l'indi­viduo o la sua carne.59 Sebbene quindi l'aumento sia un muta-

59 Alla fine di I 5, peraltro, Aristotele distingue l'aumento dal nutrimento,

processi che potrebbero essere a ragione confusi per il fatto che entrambi im­plicano l'assimilazione di qualcosa che si aggiunge. La differenza è però que­sta: affinché ci sia aumento occorre che ci siano sia la quantità in potenza sia

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mento secondo la quantità, il ruolo fondamentale è attribuito al­la forma, cioè alla qualità, cosa che appare di per sé ovvia se si pensa che l'aumento è uno dei modi del divenire naturale e quindi un processo che deve potersi spiegare all'interno del modello di base del divenire naturale presentato da Aristotele in Phys. I 7.

4. Toccare, agire, muovere

a) Contatto All'inizio di I 6 Aristotele annuncia che, dopo aver distinto i

vari tipi di mutamento, la ricerca deve proseguire con la teoria degli elementi. L'analisi dovrebbe essere sviluppata in ~uattro punti, perché occorrerà dire 1) se gli elementi esistono,6 2) se sono eterni oppure generati, e nel caso in cui siano generati 3) se si generano indifferentemente l'uno dall'altro oppure 4) si generano a partire da uno solo di essi, che risulterà in tal modo essere primo e non generato da altri. In realtà, alla teoria degli elementi Aristotele giunge soltanto nel II libro, perché prima di affrontare questa ricerca è necessario chiarire preliminarmente tre nozioni: la mescolanza, l'agire e il patire e il contatto. I filo­sofi del passato, infatti, che hanno affrontato il problema della generazione degli enti o degli elementi, hanno parlato di aggre­gazione e disgregazione come se si trattasse di mescolan,za e hanno usato altresì la nozione di agire e patire. È necessario quindi, secondo Aristotele, avere prima chiarezza su queste no­zioni per non incorrere negli errori in cui sono caduti i prede­cessori. 61 Né la mescolanza né l'aggregazione, continua Aristo-

la carne (ad esempio) in potenza, mentre affinché ci sia nutrimento occorre che ci sia solo la carne in potenza. Un corpo che si nutre non aumenta sempre, ma spesso semplicemente si mantiene e talvolta persino deperisce pur nutren­dosi.

60 Vd. la nota alla Traduzione, ad !oc.

61 Aristotele intende comprendere qui l'intera storia delle teorie degli e­lementi a lui precedente. Per una plausibile distribuzione dei filosofi a cui si riferisce indirettamente Aristotele, cf. Joachim pp. 140 s., ma anche C. Natali,

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tele, possono essere comprese senza avere chiarezza del rappor­to che sussiste fra agente e paziente (come anche in passato a­vevano compreso sia i monisti sia i pluralisti), che è un rapporto di reciprocità che si realizza attraverso il contatto. Il contatto diviene a questo punto un concetto la cui esplicitazione si rende indispensabile, in quanto sia le cose che agiscono e patiscono sia le cose che si mescolano devono essere in contatto tra loro.

Il contatto in senso proprio (xuQtcoç), dice Aristotele, si ap­plica a ciò che ha posizione e posizione si applica a ciò che ha anche luogo. Il contatto, quindi, riguarda sia i corpi che gli enti matematici e si associa al luogo: se dunque due cose sono in contatto quando hanno gli estremi abbinati insieme ( TÒ arrTE­cr8m TÒ Tà eCTXCtTCt 8xi::tv aµa - 323a3-4), secondo una prima definizione di contatto,62 saranno in reciproco contatto grandez­ze distinte e fomite di posizione, anche se non possiedono luogo in senso proprio, come accade agli enti matematici, purché pos­siedano gli estremi abbinati insieme. Se il contatto riguarda re­altà sia fisiche che matematiche, è tuttavia solo in rapporto alle prime che Aristotele lo indaga in GC, tant'è vero che lo analizza sulla base del movimento e del rapporto motore-mosso, mentre gli enti matematici sono per definizione immobili.63 Dapprima distingue gli opposti che riguardano il luogo e assume la coppia alto-basso che, come spiega Filop. In GC 134, 14 ss., è quella re­lativa in modo proprio al luogo - in quanto destra-sinistra e da­vanti-dietro sono coppie piuttosto relative a noi - e contiene i contrari verso i quali, rispettivamente, si muovono i corpi legge­ri e quelli pesanti. Dei quattro elementi, quelli estremi, fuoco e terra, hanno rispettivamente solo la leggerezza e solo la pesan­tezza, mentre quelli intermedi, aria e aqua, hanno sia leggerezza sia pesantezza.64 Nel tendere dei corpi elementari verso l'alto o verso il basso in conseguenza della loro leggerezza o pesantez-

On Generation and Corruption I. 6, F. in de Haas & J. Mansfeld ed. by, Ari­stotle 's On Generation and Corruption I cit., pp. 198 ss.

62 Cf. Phys. V 3, 226b23 e VI 1, 23la21 ss.

63 Cf. Meta. V 1, 1026al3-15.

64 Cf. Filop. /n GC 134,27 ss.

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za, si esprime la loro capacità di agire e patire, per cui risulta evidente che tali cose sono in contatto fra loro e che, di conse­guenza, hanno gli estremi abbinati insieme pur restando realtà distinte. A questo punto Aristotele aggiunge anche che tali cose sono capaci di muovere e di essere mosse reciprocamente: la re­ciprocità del contatto, che fino ad ora è stata vista come condi­zione propria dell'agire e del patire- o almeno di un certo agire e patire, quello cioè dell'alterazione - è trasformata adesso in una condizione che lega motori e mossi, perché comunemente ciò che muove agisce e ciò che agisce muove.

Il discorso aristotelico è chiaro, soprattutto se lo si legge alla luce di quanto egli dice in Phys. III 1-3: due dei quattro assiomi sul movimento che egli enuncia all'inizio del suo discorso af­fermano, infatti, l) che ci sono enti che sono in potenza e in en­telechia "insieme" (200b 26-28 - assioma che viene chiarito dall'esempio di caldo-freddo delle li. 20lal9ss.); 2) che il mo­vimento è possibile soltanto tramite una relazione, che è subito stabilita quale relazione fra "ciò che è capace di agire" ( 7Wlll­nx6v) e "ciò che è capace di patire" (rrae11·nx6v), e, in genera­le, fra "ciò che è capace di muovere" (xtvllnx6v) e "ciò che è mobile" (xtVll't'OV) (200b28-32). Nel chiarire il primo assioma Aristotele ha parimenti la possibilità di passare alla coppia di termini che ha usato nel secondo assioma, cioè rrot ll't'tXOV­rraelln x6v' che corrispondono a Xl Vll't'l XOV-Xl Vll't'OV: un ente non è infatti in potenza e in entelechia insieme sotto il medesi­mo rispetto, ma nel senso, stando all'esempio che è il medesimo di quello di GC I 10, cioè l'esempio del caldo e del freddo, che se un ente è caldo in potenza e freddo in entelechia, allora è un ente freddo che sta divenendo caldo. Ciò implica una reciprocità di azione e passione, perché in quell'ente il caldo agisce sul freddo che subisce il caldo di modo che nell'ente si va realiz­zando la proprietà che esso ha in potenza. In questo esempio pe­rò il freddo non è compiutamente in atto, ma è un freddo che, pur restando ancora tale, lascia spazio al realizzarsi del caldo; ed è appunto questa la condizione dell'agire e del patire con­temporaneamente (a11a). La contemporaneità di potenza eden-

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telechia è, infatti, in Phys. III 1-2 la reciprocità dell'agire e del patire. Proprio questa impostazione della relazione tra agire e patire introduce, sempre nella Fisica, al rapporto motore­mobile, perché anche il motore risulterà mosso, eccetto, ag­giunge Aristotele, che nel caso del motore immobile. Ma la­sciando da parte quest'ultimo caso, a partire da Phys. III 2, 202a3 ss. la funzione che rende il motore un agente è appunto quella di muovere, ed esso agisce per contatto, per cui contem­poraneamente anche patisce. 65 Agire e muovere non sono tutta­via la stessa cosa, perché il muovere è qualcosa di più dell'agire, afferma Aristotele: questo perché ci sono movimenti che non comportano mutamento qualitativo (l'azione implica alterazione, in cui azione e passione sono i due contrari), come è il caso della traslazione, mentre non c'è alterazione che non sia movimento. L'alterazione è il movimento di ciò che patisce, quindi il motore non può identificarsi tout court con l'agente e il muovere sarà, quindi, più dell'agire.

Tornando a GC, Aristotele fornisce la sua definizione gene­rale di contatto: «sono in contatto le cose che hanno posizione e che sono capaci l'una di muovere e l'altra di essere mossa, sono d'altra parte in rapporto reciproco di mosso/motore le cose che hanno la capacità di agire e di patire (323a22-25)>>. Nella mag­gior parte dei casi, quindi, il motore è anche mosso, cioè agisce e patisce, ed è questa l'esperienza che abbiamo degli enti del mondo sublunare, enti per i quali è quindi necessario che ciò che entra in contatto subisca il contatto di ciò con cui entra in contatto: non solo il motore entra in contatto con il mosso, ma anche il mosso con il motore, per cui è evidente che il contatto è una condizione reciproca. Tale reciprocità non sussiste nel caso di un motore non mosso, per il fatto che esso entra in contatto con il mosso ma il mosso non entra in contatto con un tale mo­tore. Chi ci affligge, dice eloquentemente Aristotele per spiega­re la sua affermazione, entra in contatto con noi, ma noi non en­triamo in contatto con quello!

65 Cf. G.R. Giardina, La causa motrice in Aristotele, Phys. III 1-3 cit., pp.

lll-150.

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b) Agire e patire L'indagine sull'agire e sul patire, che occupa i capp. I 7-9,

inizia con l'analisi delle dottrine dei predecessori, ridotti a due posizioni opposte: da un lato coloro che affermano l'azione del diverso sul diverso e, dall'altro lato, coloro che affermano l'azione del simile sul simile. Solo dopo aver discusso sinteti­camente queste due posizioni, Aristotele potrà stabilire la sua dottrina sull'agire e il patire, cosa che egli fa sostanzialmente alle li. 323b29-324a24. La ragione per cui quasi tutti i filosofi hanno sostenuto che il diverso agisce sul diverso risiede nel fat­to che le cose simili hanno le stesse proprietà e, come si è visto già in I 6, il problema della reciprocità di azione e passione ri­guarda le proprietà contrarie che ineriscono a un soggetto. Tut­tavia, le cose diverse avranno diverse anche le loro proprietà, mentre la reciprocità di azione e passione si verifica in presenza di proprietà non diverse ma contrarie (nel qual caso c'è la con­dizione di identità generica e differenza specifica). Come po­trebbe infatti, ad esempio, una linea agire sulla bianchezza o vi­ceversa?! Solo Democrito, sottolinea Aristotele, ha affermato che agente e paziente sono simili, ma anch'egli è caduto in erro­re, perché quando due cose sono fra loro simili, non si vede quale delle due debba fungere da agente e quale da paziente. I­noltre, nel caso in cui il simile agisse sul simile, dovrebbe esse­re anche possibile che un ente possa agire su se stesso e in tal caso non si avrebbe nulla che fosse incorruttibile e immobile. Agente e paziente hanno rapporto reciproco in virtù di contrari che corrispondono ai criteri già espressi da Aristotele in Phys. I 5, l 88a30 ss.: nessuna cosa per natura agisce su qualsiasi cosa o subisce azione da qualsiasi cosa, né accade che qualunque cosa "nasca" da qualunque cosa, a meno che non l'accolga come sua determinazione accidentale. Corruzione e generazione, conside­rati nel loro senso relativo di mutamento di qualità, si trovano fra i contrari: ciò che subisce l'azione, infatti, assume la stessa natura di ciò da cui subisce l'azione, ad esempio ciò che è caldo si muta in freddo sotto l'azione di ciò che è freddo. Il risultanto del processo, dunque, consiste nel fatto che il paziente si muta nell'agente e si può dire sia, da un lato, che è il sostrato che su-

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bisce le proprietà contrarie sia, dall'altro lato, che sono le pro­prietà del sostrato che agiscono e subiscono reciprocamente. Questo doppio modo di poter dire la reciprocità dell'agire e del patire di fatto mette insieme le teorie dei predecessori, perché coloro che affermavano l'azione del diverso sul diverso si rife­rivano alle proprietà, mentre Democrito, che affermava l'azione del simile sul simile pensava al sostrato. Gli uni e l'altro non sostenevano quindi, in realtà, posizioni veramente contrastanti fra loro.

A questo punto Aristotele ritorna sulla relazione tra agente­motore e paziente-mosso, attraverso cui si chiarisce il duplice aspetto che la causa motrice ha nel pensiero aristotelico e di cui Aristotele discute in più luoghi della Fisica. Da un lato, infatti, è causa motrice la forma, sia in quanto tale sia come fine, ed è questa la causa motrice prima o remota, mentre dall'altro lato è causa motrice il motore che muove concretamente, che è la cau­sa motrice ultima o prossima. La forma, infatti, svolge una fun­zione motrice prima, ma a condizione che ci sia un motore che muova, come lo stesso Aristotele precisa in II 3, perché se è ve­ro che la forma uomo è causa motrice dell'uomo è tuttavia ne­cessario che ci sia concretamente un uomo che generi l'uomo, cioè appunto che ci sia la causa motrice prossima, che è, questa sì, il soggetto agente, TÒ 1wtoùv.

66 Anche in GC I 7 il parallelo fra motore ed agente si rivela estremamente produttivo: così come, infatti, nel caso del motore c'è un motore primo che non subisce movimento, cioè la forma quale motore immobile, e un motore prossimo che muovendo è esso stesso mosso, allo stesso modo accade nel caso dell'agente, poiché il primo agente, che è la forma, non subisce azione, come ad esempio nel caso in cui l'arte medica produca guarigione, mentre l'agente ultimo o prossimo agendo subisce azione, come ad esempio nel caso dell'alimento. Ciò che distingue il primo agente dall'ultimo a­gente è la materia, che il primo agente in quanto forma non pos­siede (gli incorporei non possono subire azione), al contrario dell'agente ultimo o prossimo che la possiede, e che quindi a-

66 Cf. Phys. II 3, 195a22.

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gendo subisce azione (possono subire azione solo gli enti corpo­rei, quelli cioè che, a detta di Aristotele, hanno la loro forma nella materia). Da ultimo, alla fine di I 7, Aristotele fa distin­zione tra agente come causa motrice prossima e come causa fi­nale, e compie questa operazione giustamente, poiché nei pro­cessi di divenire naturale la forma può essere concepita anche come fine e tanto la forma quanto il fine sono agenti nel senso di cause motrici prime. La causa finale, chiarisce Aristotele, è agente solo in senso metaforico, perché se è vero che, ad esem­pio, la guarigione, che è un fine, muove in senso metaforico il processo che ad essa conduce, in senso proprio sia il fine che la forma, una volta realizzati, appartengono a un ente che non è più in movimento, per cui non c'è guarigione di un malato sen­za che ci siano il medico o il medicamento, cioè le cause motri­ci prossime.

Riepilogando, ciò che Aristotele stabilisce in I 7 è quanto segue: 1) agire e patire implicano la modificazione delle pro­prietà di un sostrato, cioè implicano alterazione; 2) il paziente si assimila all'agente; 3) ciò che agisce e ciò che patisce sono i­dentici per genere e diversi per specie (come lo sono i contrari); 4) l'agire e il patire necessitano di un sostrato comune; 5) ciò che vale per l'agire e il patire vale anche per il motore e il mos­so.

Ciò detto, in I 8 Aristotele fa di Empedocle e degli Atomisti l'oggetto principale della sua critica alle precedenti teorie del-1' agire e del patire. 67 La versione aristotelica della teoria empe­doclea dei pori, cioè di condotti vuoti in cui un corpo risulta meno resistente alla penetrazione, vuole che le sensazioni si producano tramite penetrazione nei condotti di effluvi che costi­tuiscono l'agente ultimo e più appropriato. Nonostante sia Em­pedocle al centro di tale discorso, Aristotele parla, tuttavia, al plurale di pensatori che avrebbero sostenuto questa teoria. La

67 Su questo capitolo cf. la dettagliata analisi di E. Husse)', On Generation

and Corruption I. 8, in F. de Haas & J. Mansfeld ed. by, Aristotle 's On Generation and Corruption I (vd.), pp. 243-265.

Introduzione 53

cosa non è sfuggita a Rashed,68 il quale ritiene che Aristotele faccia qui riferimento a una scuola medica empedoclea presso­ché contemporanea allo stesso Empedocle. Rashed produce ot­timi argomenti a sostegno del fatto che Aristotele attacca più che Empedocle certi Empedoclei (soprattutto Eraclide Pontico e Filistione ), i quali trascurano la cosmologia di Empedocle e as­sumono dal maestro piuttosto la teoria degli elementi materiali, anche se "corretta" in senso qualitativista, e cioè la teoria dei pori. Per quanto invece attiene agli Atomisti, sono da Aristotele contrapposti agli Eleati, e viene loro riconosciuto il merito di non aver svolto indagini sul piano squisitamente logico, come hanno fatto gli Eleati, ma di avere effettuato le loro ricerche mantenendosi sul piano fisico e di aver formulato dottrine che rispettano la realtà empirica e riconoscono la verità della molte­plicità e del movimento, negati esplicitamente dagli Eleati. Questi ultimi hanno negato il vuoto, identificato con il non esse­re, ed hanno di conseguenza negato la molteplicità e il movi­mento, perché la negazione del vuoto equivale nella loro dottri­na all'affermazione dell'unità dell'essere. Gli Eleati non hanno saputo concepire la contiguità dell'essere, ma solo la sua conti­nuità, mentre è la contiguità ciò che in effetti rende possibile la molteplicità. Gli Atomisti, al contrario, sostenendo l'esistenza del vuoto ammettono anche la molteplicità e il movimento: l'essere è per essi il pieno, concepito come una molteplicità in­finita di corpi che, grazie al vuoto in cui si muovono, entrano in contatto fra loro dando luogo a generazione e corruzione, in vir­tù, rispettivamente, di aggregazione e disgregazione. 69 E tutta­via, la teoria del vuoto degli Atomisti, come criterio di spiega­zione di certi fenomeni, è considerata da Aristotele analoga alla teoria dei pori di Empedocle e "di altri", perché anche la teoria dei pori si basa sulla penetrazione di effluvi in spazi che sono

68 Introduction, pp. XXXV-XL VIII.

69 Cf. E. Berti, La critica di Aristotele alla teoria atomistica del vuoto, in

F. Romano a cura di, Democrito e l'atomismo antico, Catania 1980, pp. 135-159; ora in E. Berti, Nuovi studi aristotelici, voi. II, Brescia 2005, pp. 15-32.

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vuoti o si svuotano per accogliere la materia degli effluvi. 70

Sebbene le posizioni sull'agire e sul patire degli Atomisti e di Empedocle appaiano ad Aristotele posizioni analoghe l'una all'altra, egli mostra ancora una volta di apprezzare la chiarezza e la coerenza degli argomenti dei primi contro l'oscurità e l'incoerenza dell'altro, tanto più che questo confronto gli offre lo spunto per criticare Platone, che in Timeo 53c individua nelle figure geometriche elementari, e precisamente nel triangolo ret­tagongolo isoscele e in quello scaleno, le strutture fondamentali degli elementi corporei e ammette che gli enti si generano da ta­li principi solo per contatto, dal momento che egli nega l'esi­stenza del vuoto, alla maniera degli Eleati, senza però trarre da questa negazione le giuste conseguenze teoriche. Tuttavia, no­nostante le lodi fatte agli Atomisti, si scopre ben presto che nemmeno all'interno della loro teoria è possibile concepire pro­cessi di azione e passione.

Gli atomi non possono subire azione perché è possibile subi­re azione solo attraverso il vuoto e negli atomi non c'è vuoto (che esiste solo tra gli atomi). Essi non possono nemmeno agire, perché non subendo alcuna affezione non possono mai trasmet­tere un'affezione che non possiedono né a se stessi né ad altro. In tal modo non ci sarà nulla che agisce e nulla che patisce e gli Atomisti sostengono un'assurdità che confligge con l'evidenza dei fenomeni. 71 Essi, però, hanno sostenuto anche teorie che confliggono fra loro, perché affermano che gli atomi non sono suscettibili di affezione ma poi attribuiscono agli atomi sferici il calore, con la conseguenza che atomi di diversa figura avranno come affezione il freddo. Verificata poi la possibilità che gli a­tomi abbiano o non abbiano proprietà, con tutte le conseguenze che derivano da entrambe queste opposte assunzioni, Aristotele completa il suo discorso con una serie di osservazioni minuzio­se che non è opportuno elencare qui.

70 In verità qui Aristotele forza un po' la sua interpretazione mettendo in parallelo il vuoto degli Atomisti ed i pori o condotti di Empedocle, vd. Joa­chim, Comm., p. 163; Rashed, p. 139 nota I, e Migliori, p. 201nota26.

71 Filop. In GC 167,4 ss.

Introduzione 55

A partire dalla li. 326b5 il discorso critico di Aristotele si avvia verso la conclusione. Dopo avere, infatti, introdotto le dottrine dei predecessori a proposito dell'azione e della passio­ne e dopo avere espresso la sua preferenza per le teorie di De­mocrito in quanto più conformi ali' evidenza empirica e più a­datte alla natura delle cose sensibili, Aristotele ha provveduto altresì a confutare dettagliatamente le dottrine atomistiche mo­strando le assurdità che conseguono sia all'ammettere sia al non ammettere azione e passione degli atomi. Fatto questo, Aristote­le riprende l'oggetto principale della sua analisi, per confutare in modo definitivo le posizioni dei predecessori (qui è infatti ri­chiamato in causa Empedocle accanto agli Atomisti) su come abbiano luogo azione e passione. La teoria in questione è quella che afferma che azione e passione avvengono per mezzo di pori o passaggi vuoti nel pieno. Empedocle e gli Empedoclei, che ammettono che i pori sono in realtà non propriamente vuoti, ma fatti di una certa materia molto tenue, come l'aria, differiscono dagli Atomisti, che affermano l'esistenza del vuoto. Così, se l'agente agisce sul corpo tramite un contatto che avviene dal­l'esterno, i pori divengono superflui; se invece l'azione si pro­duce tramite un agire all'interno dei pori, o l'agente estrude il corpo che si trova dentro tali pori oppure no. Se l'agente non e­strude il corpo che è dentro il condotto avremo un corpo che sa­rà passato attraverso un corpo; se invece l'agente estrude il cor­po che è dentro il condotto o esso agirà sui corpi che lo contor­nano dentro il condotto oppure non avrà effetto e la sua azione sarà vana. Ma in quest'ultimo caso, comunque, i pori non con­tribuiscono in nulla al processo di azione e passione, come vor­rebbero invece gli Empedoclei. Nel caso in cui, invece, l'agente esplica la sua azione si avranno due possibilità: 1) o l'azione avviene nel modo in cui si è detto prima, cioè l'agente estrude il corpo che è dentro il condotto e quindi agisce sui corpi che lo contornano dentro il condotto, e si avrà un rimando all'infinito al punto che l'intero essere sarà un poro; 2) oppure l'azione av­viene per contatto, e ancora una volta i pori saranno superflui all'agire e al patire. In questo modo Aristotele distrugge la teo­ria secondo cui agire e patire hanno luogo per mezzo di pori.

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Nulla si legge, invece, a proposito del fatto che agire e patire non hanno luogo per mezzo del vuoto: un tale argomento sareb­be superfluo, dal momento che da Phys. IV 6-9 sappiamo che il vuoto secondo Aristotele non esiste.

In conclusione, quindi, i corpi agiscono per contatto, perciò si avrà azione e passione quando i corpi sono capaci di interagi­re fra loro. Se quindi i pori esistessero sarebbero inutili e co­munque è ridicolo avanzare una teoria dell'esistenza dei pori, perché i corpi sono separati fra loro in quanto sono divisibili (I 'ipotesi dei pori serviva a distinguere i corpi tra loro, perché la mancanza dei vuoti generava la continuità e quindi l'unità). I fi­losofi che propongono l'esistenza dei pori non teorizzano, come fa Aristotele, una differenza semantico-concettuale tra continuo (-rò cruvexf:ç) e contiguo (-rò èx6µevov). La continuità compor­ta, secondo Aristotele, l'assenza di distinzione fra gli estremi (ad esempio i punti di una linea), mentre la contiguità, alla base della quale sta il contatto, comporta una tale distinzione, in quanto gli estremi si toccano ma non si confondono.

In GC I 9 Aristotele trae le ultime conclusioni sull'agire e sul patire parlando di compresenza di potenza ed entelechia come condizione di reciprocità dell'agire e del patire: si tratta di una condizione in cui non c'è né lo stato potenziale puro né l'atto compiuto e quindi di una condizione in cui c'è movimen­to, realizzazione in corso dei processi, e quindi reciprocità di a­zione e passione. La passione, così come l'azione, afferma Ari­stotele, non possono che essere totali: è tutto l'ente che passa dalla potenza all'atto, e l'ente subisce azione in quanto e nella misura in cui è in potenza. Ogni corpo può essere sempre diviso e avrà quindi le sue parti in contatto fra loro. L'alterazione è al­lora possibile, perché ogni corpo anche continuo ha parti conti­gue, ed hanno quindi torto gli Atomisti a supporre che ci sia pa­tire solo quando i corpi, concepiti come dei continui, siano se­parati, perché un corpo continuo, sia esso solido o liquido, non è passibile di aggregazione e disgregazione, né di ordine o posi­zione, come ritenevano erroneamente gli Atomisti. Un corpo che muti da liquido a solido, quindi, non muta per l'ordine o la collocazione delle sue parti, ma perché muta interamente in

Introduzione 57

quanto e nella misura in cui è interamente in potenza un solido. Il nerbo centrale di questa argomentazione, come si vede, ri­guarda il problema dell'alterazione, poiché la proposta degli in­divisibili fatta dai predecessori rende inspiegabile, secondo Ari­stotele, proprio l'alterazione. Nessuna dinamica messa in gioco dagli Atomisti può spiegare l'alterazione, perché, ad esempio, quando l'acqua da liquida diviene ghiaccio, non è avvenuta né divisione né aggregazione né alcuna inversione di ordine o po­sizione, ma è l'intero ente che è mutato qualitativamente. La te­oria degli indivisibili, inoltre, rende inspiegabili anche i processi di aumento e diminuzione, perché questi ultimi sono un tipo di mutamento dell'intero ente e non si tratta, ad esempio, di sem­plice aggiunzione: così un corpo che assuma del cibo e lo tra­sformi in carne e sangue aumenta perché è avvenuto un vero mutamento quantitativo. E anche nel caso della mescolanza c'è una bella differenza tra mescolanza e semplice aggiunzione, perché, come si scoprirà meglio in I 1 O, la mescolanza è un par­ticolare processo di alterazione di elementi.

A questo punto Aristotele conclude eloquentemente spie­gando anche il significato della sua indagine sulla reciprocità di agire e patire. L'agire corrisponde alla generazione e il patire corrisponde alla corruzione, che sono passaggi reciproci dal non essere all'essere e dall'essere al non essere, come si può anche intuire dalla spiegazione che ha ricondotto l'agire e il patire re­ciproci all'interno della dinamica della reciprocità di potenza ed entelechia e quindi, in ultima analisi, all'interno dei processi di alterazione.

5. La mescolanza: la Chimica Fisica nell'antichità

Il problema della mescolanza è trattato specificamente da Aristotele in GC I 1 O, ma tale nozione ha un ruolo importantis­simo in tutto il trattato, per cui essa fa la sua apparizione in al­cuni passaggi precedenti a I 1 O e si determina nella sua comple­tezza nel libro II, dove Aristotele si occupa degli elementi e de­gli omeomeri. In GC I 1 i pluralisti sono accusati di confondere generazione e alterazione in quanto identificano la generazione

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con l'aggregazione, a sua volta identificata con la mescolanza, che è invece un particolare processo di alterazione. In I 5 la me­scolanza fa una breve ma significativa apparizione quando Ari­stotele indaga se il nutrimento può essere inteso come un ele­mento che nella mescolanza viene sopraffatto dall'elemento dominante, un'ipotesi che coinciderebbe con il caso presentato in I 1 O in cui nella mescolanza uno degli elementi si corrompe: in una tale evenienza, come si vedrà, non può in realtà sussiste­re alcuna mescolanza. In I 6 l'indagine sulla mescolanza è detta preliminarmente necessaria a quella sulla trasformazione reci­proca degli elementi per il fatto che occorre sgomberare il cam­po dalle teorie dei pluralisti, che hanno considerato la genera­zione assoluta come mescolanza di elementi.

All'inizio di I 10 Aristotele afferma che bisogna indagare che cosa siano sia la mescolanza sia il mescolabile:72 tale distin­zione è necessaria per il fatto che la mescolanza non appartiene a una sola categoria dell'essere, ma riguarda le categorie di so­stanza, quantità, qualità e relazione, per cui la determinazione del tipo di enti che sono soggetti a mescolanza può ben rispon­dere al problema della natura della mescolanza stessa. 73 Inoltre, quanto i predecessori di Aristotele hanno affermato sulla me­scolanza rende necessario indagare anche se la mescolanza esi­sta. Empedocle, ad esempio, doveva ritere che la mescolanza degli elementi, in quanto questi sono immutabili e quindi anche aggregati restano di fatto separati fra loro, è solo un'illusione dei sensi; gli Atomisti e Platone, d'altra parte, dovevano pensa­re la stessa cosa di Empedocle a proposito, rispettivamente, de­gli atomi e delle figure geometriche elementari. La mescolanza

72 Su questo cap. di GC vd. D. Frede, GC I. 10: On Mixture and Mixables,

in F. de Haas & J. Mansfeld ed. by, Aristotle 's On Generation and Corruption I cit., pp. 290-296. Si occupano della questione della mescolanza anche H.H. Joachim, Aristotle 's Conception of Chemical Combination, «Joumal of Phi­lology», 29 (1904), pp. 72-86; K. Fine, The Problem of Mixture, «Pacific Phi­losophical Quarterly», 76 (1995), pp. 266-369, ripubblicato in F. Lewis & R. Bolton ed. by, Form, Matter, and Mixture in Aristotle, Oxford 1996, pp. 82-182.

73 Non tutto, infatti, è mescolabile con tutto.

Introduzione 59

non esiste nei seguenti casi: 1) se le cose che si mescolano ri­mangono inalterate come prima della mescolanza, come avvie­ne nel caso degli atomi e delle radici empedoclee; 2) se di due cose che si mescolano una si distrugge e si conserva solo l'altra; 3) se entrambe le cose che si mescolano si distruggono. Occorre allora comprendere che cosa sia effettivamente la mescolanza, avendo cura altresì di distinguerla dalla generazione assoluta. Alle li. 327b 1 O ss., per far comprendere che cosa sia la mesco­lanza, Aristotele adduce l'esempio del fuoco e di una materia che brucia. Noi non diciamo che si sono mescolati la materia che va in fiamme e il fuoco (caso che corrisponde alla corruzio­ne di un solo elemento), né che si sono mescolate fra loro parti­celle di materia che va in fiamme e che mescolandosi produco­no il fuoco (caso che corrisponde alla corruzione di entrambi gli elementi), perché in entrambi questi casi siamo di fronte a pro­cessi di generazione e non di mescolanza (il legno si corrompe e il fuoco si genera). Ma rimane fin qui ancora senza risposta la domanda: che cos'è la mescolanza?

Un primo passo verso la definizione di questa nozione viene fatto da Aristotele attraverso la distinzione di potenza e atto: il risultato della mescolanza è in atto altra cosa rispetto agli ele­menti che si sono mescolati, tuttavia, in potenza, ciascuno dei due (o più) elementi mescolati è tale quale era prima della me­scolanza e quindi non ha subito corruzione. Il fatto che gli ele­menti della mescolanza siano diversi in atto ma identici in po­tenza a ciò che erano prima della mescolanza risolve il proble­ma se si debbano considerare corrotti o meno uno o entrambi gli elementi _della mescolanza, ma rende anche evidente che, con­trariamente alla teoria sostenuta da alcuni fisiologi secondo cui originariamente gli elementi erano tutti insieme, la mescolanza necessita di elementi separati prima e separabili dopo il proces­so. La nozione di potenza che Aristotele utilizza in questo con­testo ha quindi bisogno di qualche precisazione. 74 Se gli ele­menti che si mescolano, pur divenuti altro rispetto a ciò che e­rano prima della mescolanza, possono essere separati di nuovo

74 Cf. G.R. Giardina, La chimica.fìsica di Aristotele, pp. 169-171.

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in virtù del fatto che si conservano potenzialmente tali quali e­rano prima di essere mescolati, questo non può significare altro che il processo di mescolanza è reversibile, cioè che, mediante opportuni artifici chimico-fisici, tali elementi possano essere re­cuperati. Rashed75 propone di considerare la potenza degli ele­menti mescolati come l'efficienza conservata da tali elementi anche dopo la mescolanza (ad esempio, l'acqua mescolata al vi­no lo annacqua). Per comprendere appieno questa nozione di potenza, tuttavia, mi sembra necessario non trascurare il rappor­to che la potenza ha con l'entelechia e che riguarda la mesco­lanza delle proprietà contrarie, e perciò degli elementi, di cui si parla in II 7 a proposito dei corpi misti. La compresenza pro­porzionale delle proprietà contrarie, infatti, è secondo Aristotele una mescolanza, in cui gli elementi sono differenti in atto ma identici in potenza a ciò che erano prima della mescolanza, per­ché la potenza rappresentata da ciascun contrario non si è del tutto esaurita in quanto il processo rappresenta una condizione di equilibrio pronta a mutarsi in un altro equilibrio, cioè in una diversa mescolanza in cui le proprietà contrarie si trovino in proporzioni differenti rispetto a prima.

L'errata identificazione della mescolanza con l'aggregazione fatta dai fisiologi rende a questo punto necessario, secondo Ari­stotele, comprendere se la mescolanza sia oggetto dei sensi,76

giacché, come si è detto, Empedocle e gli Atomisti, ma anche Platone, hanno ritenuto che gli elementi originari aggregandosi rimangono invariabili e che gli enti che risultano dall'aggre­gazione di tali elementi ingannano la nostra percezione senso­riale. In effetti, occorre non scambiare la mescolanza con l'ag­gregazione, perché se è vero che quando siamo in presenza di particelle molto piccole che si confondono insieme, come nel caso in cui avessimo sotto gli occhi un mucchio di semi o una quantità di farina di grano e frumento insieme, ci sembra di es­sere di fronte a una mescolanza, in quanto la nostra capacità percettiva non riesce a distinguere gli elementi, tuttavia la me-

7' lt1tl'lld111·t/on, pp. CXVI I ss. 7" ('f'. 1tnchc AriHlut. Sens. 3, 440a 13 ss.

Introduzione 61

scolanza è cosa ben diversa dalla composizione o aggregazione, perché in quest'ultima gli elementi rimangono inalterati e solo giustapposti, mentre nella mescolanza gli elementi sono diversi in atto da ciò che erano prima di essere mescolati. Nella mesco­lanza, quindi, a differenza di ciò che accade nell'aggregazione, la parte è di fatto omogenea al tutto e il tutto presenta una con­dizione di omogeneità totale.

La teoria aristotelica della mescolanza, così concepita, si dif­ferenzia enormemente dalla teoria atomista dell'aggregazione: nella mescolanza di Aristotele le potenze dei singoli componen­ti si conservano nel miscuglio e si fissano reciprocamente per­mettendo così l'esistenza di un composto stabile. Tali potenze rappresentano in breve una forza coesiva, garante di stabilità, anche se di una stabilità che, in un mondo fisico in movimento come quello aristotelico, rappresenta un equilibrio destinato a disfarsi in vista di un nuovo equilibrio. Ma con questa teoria A­ristotele si scontra direttamente con la chimica atomista, poiché per Democrito la mescolanza è semplice giustapposizione di particelle piccolissime che inganna i sensi e non è in condizione di spiegare i fenomeni, perché non può fornire le ragioni della stabilità e dell'omogeneità dei composti, come dire che gli o­meomeri, ossia le parti dei viventi come il sangue e la carne, non avendo coerenza e stabilità non potrebbero assicurare la vi­ta. 77 Il carattere omeomerico del miscuglio finale della teoria a­ristotelica comporta la distruzione della posizione atomista. A questo punto Aristotele può andare al cuore del problema e spiegare la sua nozione di mescolanza attraverso le nozioni già acquisite di azione e passione.

Se due corpi hanno la stessa materia, essi saranno capaci di agire e subire reciprocamente, 78 mentre se non hanno la stessa materia veiene a mancare la condizione di reciprocità, e l'uno sarà capace di agire sull'altro ma non di subire dall'altro. La mescolanza è possibile solo fra corpi che hanno la materia in

77 Cf. J.M. Cooper, A Note on Aristotle on Mixture, in F. de Haas & J.

Mansfeld ed. by, Aristotle 's On Generation and Corruption I cit., pp. 315 ss. 78 Vd. GC I 7, soprattutto li. 324a5-bl 3.

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comune e che sono perciò capaci di agire e patire reciprocamen­te. Un'altra condizione perché ci sia mescolanza è che uno dei due elementi che si mescolano non sia dominante al punto che, nel miscuglio, l'elemento debole scompaia, come quando si ag­giunge una goccia di vino ad una grande quantità d'acqua. Se invece la materia dei due elementi si equivale, essi formeranno un miscuglio che non avrà né la natura dell'uno né la natura dell'altro, ma una natura intermedia e comune all'uno e all'al­tro, quindi una natura omogenea. E ancora, azione e passione sono processi contrari, per cui saranno contrari fra loro i corpi che si mescolano per formare un miscuglio, dei quali l'uno pro­duce la mescolanza e l'altro la subisce. A questo proposito, Ari­stotele dice che sono maggiormente capaci di mescolarsi tra lo­ro i corpi piccoli, perché possono subentrare l'uno al posto dell'altro piu facilmente e piu rapidamente, contrariamente a quanto accade con i corpi grandi, e questa è l'unica cosa che si può concedere agli Atomisti, cioè appunto che i corpi molto piccoli si mescolano meglio e più velocemente rispetto a quelli più grandi. Aristotele ritiene, di fatto, che siano facilmente me­scolabili i corpi liquidi, a condizione che non siano vischiosi. Se tuttavia le rispettive materie dei corpi che si devono mesco­lare presentano caratteri di disequilibrio, in quanto un elemento è molto passivo mentre l'altro è molto attivo, avviene una sorta di eccessiva assimilazione dell'elemento attivo rispetto a quello passivo, e l'elemento passivo, anche quando non scompare co­me avveniva nel caso in cui uno dei due elementi fosse effetti­vamente dominante, tuttavia resta in qualche modo penalizzato nel miscuglio. È questo il caso del bronzo, che è sì una lega di rame e stagno, ma tale che lo stagno, fortemente passivo, si as­simila quasi del tutto al rame e contribuisce alla lega di bronzo soltanto in quanto le conferisce una certa caratteristica coloritu­ra.

In conclusione: 1) la mescolanza esiste e non è solo appa­renza come sostenevano Empedocle, gli Atomisti e Platone; es­sa è combinazione di elementi che si alterano e che quindi sono diversi in atto ma uguali in potenza a ciò che erano prima della mescolanza; 2) la mescolanza avviene quando gli elementi che

Introduzione 63

si mescolano hanno una materia comune, condizione del loro reciproco agire e patire; 3) la mescolanza riguarda soprattutto i corpi facilmente divisibili, in primo luogo i liquidi non vischio­si. Per tutte queste ragioni, la mescolanza non può essere confu­sa né con la corruzione di un elemento fra quelli che si mesco­lano in favore dell'elemento dominante, né con la composizione in senso proprio, né essa può essere determinata attraverso os­servazioni di carattere percettivo, perché appunto non riguarda la sensazione.

Stabiliti i caratteri fondamentali in I 1 O, la nozione di mesco­lanza ritorna nel II libro, nel quale Aristotele la utilizza nella sua teoria della trasformazione reciproca degli elementi. La me­scolanza, il cui carattere fondamentale è quello di produrre enti omogenei, diviene centrale in un discorso, quale quello sugli e­lementi, che mira a chiarire i fondamenti chimico-fisici da cui trae origine e trasformazione il mondo della natura. Risulta chiaro quindi che lo scopo di Aristotele in GC è in ultima anali­si quello di fornire una corretta teoria degli elementi che corri­sponde al problema della generazione e corruzione in senso as­soluto degli enti. Elementi (cr'Totxe'ìa) sono nel discorso aristo­telico piuttosto le proprietà, caldo, secco, umido e freddo, dei quattro corpi semplici, cioè fuoco, aria, acqua e terra. Lo scam­bio fra proprietà contrarie rende possibile la mutua trasforma­zione dei corpi semplici, e tale trasformazione corrisponde alla generazione e alla corruzione in senso assoluto, ossia al muta­mento secondo la sostanza. All'interno di questo contesto rela­tivo alle trasformazioni degli elementi Aristotele parla di me­scolanza in termini che cercherò qui di riassumere.

In II 7 Aristotele ripete un concetto che ha più volte espresso in GC 7-1 O, e cioè che il sostrato comune è condizione per la trasformazione reciproca degli elementi. A partire da qui fuga del tutto l'errore che hanno commesso sia Empedocle che gli Atomisti nell'identificare la mescolanza con l'aggregazione: la differenza fra il risultato dell'una e il risultato dell'altra consiste nel fatto che la mescolanza produce corpi omogenei, mentre l'aggregazione produce solo corpi disomogenei. In questi ulti­mi, infatti, le parti aggregate si conservano in atto identiche a

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ciò che erano prima di aggregarsi. Lo stesso errore, di conside­rare cioè l'aggregazione come se fosse mescolanza, commetto­no coloro che ammettono un sostrato comune agli elementi nel momento in cui devono spiegare la generazione dei corpi misti. La soluzione aristotelica è quella di una mescolanza di proprietà contrarie che si realizza quando ciascuna di esse non è né del tutto in potenza né del tutto in entelechia: quando due proprietà siano in uno stato intermedio e non assoluto fra potenza e atto, siano cioè compresenti, allora ci sarà mescolanza fra di esse a prescindere dal rapporto che le lega, cioè a prescindere dal fatto che ci sia più o meno dell'una o dell'altra proprietà. Ovviamen­te, questa mescolanza di proprietà contrarie è, come Aristotele ha spiegato in I lO, un'alterazione di proprietà che sono diverse in atto ma identiche in potenza a quello che erano prima della mescolanza, perché si trovano in un processo di alterazione in corso, nel senso che quando il corpo che muta è in entelechia, la potenza c'è ancora, in quanto essa si esaurisce solo quando il corpo sia definitivamente mutato, sia cioè in atto compiutamen­te altro che quello di prima. Così in una alterazione in cui il cal­do agisse sul freddo, che corrisponde al caso in cui il fuoco si genera dalla terra, il caldo che agisce sul freddo riscalda vieppiù il secco della terra e in ciascun momento del processo ci sarà più o meno freddo e più o meno caldo, cioè ci sarà più o meno terra e più o meno fuoco, ma in tutti questi casi ci sarà mesco­lanza di caldo e freddo che cesserà solo quando dalla corruzione della terra si genererà il fuoco. Tutto questo discorso è perfet­tamente coerente con quello di I l O, perché utilizza la teoria del­la mescolanza per spiegare l'alterazione delle proprietà contra­rie che danno luogo alla generazione degli elementi. Allo stesso modo, sostiene Aristotele sempre in II 7, i corpi misti nascono anch'essi dagli elementi mescolati insieme, perché nascono dai contrari che costituiscono gli elementi, un argomento quest'ul­timo che trova spiegazione in II 8. I corpi misti esistono in quanto mescolanza di elementi, che sono tutti presenti in cia­scun corpo misto, e quindi esistono in condizione di mescolanza di. tu~e e quattro le proprietà contrarie. Quando solo due pro­pnetà contrarie esistono compiutamente in atto si hanno invece

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Introduzione 65

i corpi semplici, che sono in un certo senso corpi estremi:79 così il fuoco sarà l'estremo del caldo-secco, l'aria l'estremo del cal­do-umido eccetera. In II 3, 330b7 ss. Aristotele critica i prede­cessori sulla base di questa condizione di estremità degli ele­menti: i monisti hanno considerato unico principio la materia del caldo e del freddo; Parmenide, che ammette due principi, e cioè fuoco e terra, è poi costretto a concepire aria e acqua quali mescolanza dei primi due principi; Platone, che nelle Divisioni ammette tre principi, è costretto poi ad ammettere un principio mediano che risulta dalla mescolanza dei precedenti;80 Empedo­cle ammette da subito quattro principi elementari. Sia Parmeni­de che Platone sono costretti a ricorrere alla mescolanza, in vir­tù della quale sembra che essi giungano a concepire principi e­lementari identici a quelli posti da Aristotele, fuoco, aria, acqua e terra, ma che in realtà, a ben guardare, sono differenti perché alcuni di essi non sono corpi semplici ma corpi misti. Per Ari­stotele, invece, da ciascun elemento, che rappresenta la condi­zione estrema delle sue proprietà, si genera soltanto un altro e­lemento, mentre i corpi misti si si generano in una condizione di mescolanza delle proprietà degli elementi in varie proporzioni in cui gli eccessi siano esclusi.

In conclusione. Nell'intero trattato che stiamo esaminando Aristotele si serve della nozione di mixis in modo coerente, sia che si occupi di sostanze composte sia che si occupi degli ele­menti. La generazione degli elementi in GC si presenta come un

79 Non pensa così Platone Ph!b. 24b e 25c.

8° Cf. su questa testimonianza G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristo­tele, p. 200. Cf. anche Migliori, pp. 230-231 nota 11. Joachim, Comm. pp. 214-21 7, riassume le possibili tesi risolutorie delle difficoltà storico-teoriche che emergono da questa testimonianza aristotelica su Platone. L'opinione di Joachim è che in questo riferimento di Aristotele alle presunte Divisioni di Platone si debba individuare la teoria che Platone espone nel Timeo a proposi­to della doppia mescolanza della quale si sarebbe servito il demiurgo per crea­re l'anima. Si tratterebbe quindi di un riferimento a Tim. 34b-37c. D'accordo con Joachim è Rashed, p. 158 nota 5.

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processo totalmente distinto dalla mescolanza, 81 perché un ele­mento si genera soltanto quando risulta totalmente corrotta la proprietà contraria a quella che sottende appunto la sua genera­zione: così il fuoco si genererà soltanto quando il freddo della terra sarà stato totalmente vinto dal caldo. Qui un elemento si corrompe e si viene a creare la seconda delle condizioni che A­ristotele aveva posto in I l O, che di due elementi che si mesco­lano uno si distrugga, affinché permanga uno solo dei due ele­menti. In questo caso non c'è mescolanza, perché quest'ultima necessita di almeno due elementi che esistono in modo simile: c'è invece solo generazione.

6. La generazione degli elementi all'origine della nascita dei corpi

Il II libro è dedicato al problema della generazione degli e­lementi. La prima tappa di questa indagine aristotelica riguarda la materia, a proposito della quale lo Stagirita parte dalla di­scussione delle teorie dei predecessori: sia i monisti - che hanno posto un unico sostrato materiale dei corpi misti che avrebbe un'esistenza antologicamente distinta da quella dei corpi di cui è sostrato - sia i pluralisti - che hanno posto più elementi quale sostrato materiale dei corpi misti spiegando questi ultimi come il risultato di processi di aggregazione e disgregazione degli e­lementi-sostrato - hanno avuto il merito di considerare come principi delle cose gli elementi. C'è stato infatti, chi (come A­nassimandro ), ha posto come principio un corpo unico e inde­terminato che non corrisponde a nessuno degli elementi, senza contare che Platone ha parlato nel Timeo del ricettacolo univer­sale (il rrav8sxéç di Ti m. 51 a7) senza spiegare cosa esso sia e

81 Per Platone, Phlb. 26d la mescolanza è invece generazione. Cf. M. Mi­gliori, Ontologia e materia. Un confronto fra il Timeo di Platone e il De gene­ratione et corruptione di Aristotele, in M. Migliori cuL, Gigantomachia. Con­vergenze e divergenze fra Platone e Aristotele, Brescia 2002, pp. 75-76.

Introduzione 67

se sia separato dagli elementi. 82 La critica di Aristotele si con­centra poi sul fatto che il ricettacolo non ha un ruolo effettivo nella fisica platonica e si articola su due punti: da un lato sull'anteriorità del ricettacolo rispetto agli elementi e, dall'altro lato, sul fatto che l'ipotesi del ricettacolo è in contraddizione con quella delle superfici elementari. Per quanto riguarda il primo punto, Aristotele sottolinea che ciò che è anteriore dà nome a ciò che è posteriore e che da esso deriva, ma tale nome è paronimo nel caso della generazione e omonimo, invece, nel caso del mutamento delle proprietà della materia, cioè nel caso dell'alterazione. Platone ha sbagliato (e per questa argomenta­zione Aristotele assume l'esempio platonico dell'oro e dei ma­nufatti aurei di Tim. 50a-b, 83 in cui l'oro sarebbe l'equivalente della XIDQa e i manufatti aurei l'equivalente dei corpi), secondo Aristotele, nel chiamare oro anche i manufatti aurei sulla base del principio che la XIDQa è materia immutabile che acquisisce diverse forme, perché così facendo ha confuso la generazione e l'alterazione. Per quanto concerne poi il fatto che l 'ipotesi del ricettacolo sarebbe in contraddizione con quella delle superfici elementari, Aristotele, rifacendosi a Tim. 49a3-6, mostra l'im­possibilità che le superfici costituiscano la materia prima dei corpi sensibili.

Alle li. 329a25 ss. Aristotele espone la sua posizione sulla materia della generazione: una materia dei corpi sensibili esiste e non è mai separata ma sempre accompagnata da una contrarie­tà.

84 Questa posizione rimanda alla teoria sui principi di cui Ari­

stotele ha parlato in Phys. I 7, che si rivela come uno schema generale e valido in ogni caso, cioè anche nel caso della genera-

82 Cf. L. Brisson, La khora dans le Timée de Platon: ce en quoi se trou­

vent et ce de quoi so n t constituées !es choses sensibles, in Qu 'est-ce que la matière? Regards scientifiques et philosophiques, sous la dir. de F. Monnoy­eur, Paris 2000, pp. 23-44; M. Migliori, Ontologia e materia cit., pp. 35 ss.

83 V d. E.N. Lee, On the go/d example in Plato' Timaeus 50a5-b5, in J.P.

Anton & G. Kustas ed. by, Essays in ancient Greek philosophy, Albany 1971, vol. I, pp. 219-235.

84 Si tratta del passaggio che ha fatto pensare a qualcuno a una teoria della

materia prima in Aristotele e di cui ho già parlato.

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68 G.R. Giardina

zione dei corpi primi o elementi: affinché vi sia divenire e gene­razione sono necessarie sia le proprietà di una contrarietà sia il sostrato. La materia è il sostrato necessario dei contrari, perché non accade che un contrario possa fungere da materia per l'altro contrario, ma entrambi hanno bisogno di un sostrato a cui ineri­re e d'altra parte la materia è accompagnata sempre da uno dei contrari, ossia dalla forma oppure dalla privazione. Principio della generazione è quindi la materia, principi sono i contrari e principi sono gli elementi, afferma Aristotele, discostandosi co­sì dalla tradizione dei fisiologi che lo avevano preceduto nella misura in cui prende in considerazione non tanto gli elementi quanto, piuttosto, le proprietà costitutive degli elementi stessi. Solo per questa via sarà possibile allo Stagirita distinguere bene la generazione dall'alterazione, in quanto gli elementi si gene­rano l'uno dall'altro attraverso un processo di alterazione che vede coinvolta una sola proprietà contraria delle due che carat­terizzano ciascun elemento.

In II 2 Aristotele comincia a trattare delle contrarietà che ri­guardano l'ambito della tangibilità (perché si cercano i principi dei corpi percepibili)85 e fra queste quelle che risultano prima­rie: caldo/freddo, secco/umido, pesante/leggero, duro/molle, vi­schioso/friabile, ruvido/liscio, spesso/sottile.86 Di queste contra­rietà, le proprietà della coppia pesante/leggero non sono né atti­ve né passive, mentre occorre che le proprietà siano reciproca­mente attive e passive, perché si mescolano e mutano recipro­camente. Delle coppie caldo-freddo e umido-secco, invece, le proprietà contrarie della prima sono attive, perché sia il caldo sia il freddo assimilano a sé ciò su cui agiscono in quanto rispet­tivamente il caldo lo riscalda e il freddo lo raffredda, mentre le proprietà della seconda coppia, umido e secco, sono passive. La

85 Cf. Filop. In GC 215,20 ss.; vd. anche F. Franco Repellini, Introduzione a De caelo. De generatione et corruptione di Aristotele cit., p. 96.

86 Cf. Fazzo S., Alessandro d'Afrodisia sulle "contrarietà tangibili" (De Gen. corr. II, 2): fonti greche e arabe a confronto, in D'Ancona C. e Serra G. curr., Aristotele e Alessandro d'Afrodisia nella tradizione araba (vd.), pp. 151-189.

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Introduzione 69

ragione della funzione attiva di caldo e freddo e passiva di umi­do e secco si giustifica in ragione del fatto che il caldo secca e il freddo inumidisce, quindi caldo e freddo di fatto svolgono la lo­ro azione su una corporeità il cui grado di secchezza e umidità dipende in fin dei conti sempre dall'azione del caldo e del fred­do. Le rimanenti contrarietà elencate prima derivano poi da u­mido e secco.

Risulta evidente da quanto si è detto che le contrarietà sono soltanto due, perché le proprietà contrarie sono quattro abbinate due alla volta, cioè caldo-freddo e umido-secco, e non sono né più né meno di quattro. Una volta stabilite quali sono e quante sono di numero le proprietà contrarie fondamentali, in II 3 Ari­stotele procede con gli abbinamenti: posti quattro termini qual­siasi, A B C D, le possibili combinazioni a coppie risultano sei, AB AC AD BC BD CD. Tuttavia due proprietà contrarie non possono sussistere insieme, cioè non si può avere un abbina­mento del tipo caldo-freddo e umido-secco: una coppia di con­trari non costituisce una combinazione, perché i due termini del­la coppia sono appunto di natura contraria. Le combinazioni possibili si riducono allora a quattro: caldo-secco che è il fuoco, freddo-secco che è la terra, caldo-umido che è l'aria e freddo­umido che è l'acqua. Se quindi i filosofi che lo hanno preceduto hanno intuito correttamente il numero degli elementi (le diffe­renze dottrinali fra le varie teorie sono piuttosto apparenti, giac­ché si può individuare in esse un consensus omnium), tuttavia la differenza vera delle loro dottrine con quella di Aristotele è che costoro non si sono mai spinti a considerare, anziché gli ele­menti, le proprietà costitutive degli stessi.87 Gli elementi tradi­zionali, infatti, fuoco, terra, acqua e aria, non sono in realtà cor­pi semplici, come li hanno considerati i fisiologi, ma sono corpi misti. Essendo quattro i corpi semplici, ciascun elemento che li compone associandosi in coppia con un altro appartiene ali 'alto o al basso dell'universo e in particolare il caldo, che agendo sul secco genera il fuoco e agendo sull'umido genera l'aria, si

87 Per maggiori dettagli cf. G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele,

pp. 198 ss.

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muove verso le sfere celesti, mentre il freddo, che agendo sul secco genera la terra e agendo sull'umido genera l'acqua, si muove verso il centro della terra. L'alto è quindi il luogo natu­rale di fuoco e aria mentre il basso è il luogo naturale di terra e acqua. Dei quattro corpi misti, inoltre, cioè dei quattro corpi semplici della tradizione filosofica, gli estremi sono il fuoco e la terra, che costituiscono l'assolutamente leggero e l'assoluta­mente pesante, mentre aria e acqua sono intermedi.

Gli elementi della tradizione, che Aristotele considera corpi misti, sono anch'essi contrari fra loro, a seconda che abbiano to­talmente contrarie tutte e due le proprietà che li costituiscono, così il fuoco, che è caldo-secco, sarà contrario all'acqua che è freddo-umido, perché hanno contrarie entrambe le proprietà, e la terra, che è freddo-secco, sarà contraria all'aria che è caldo­umido, perché hanno di nuovo contrarie entrambe le proprietà. Tuttavia, afferma Aristotele in conclusione di II 3, ciascun cor­po misto si collega principalmente a una delle due proprietà primarie che lo strutturano: la terra al secco piuttosto che al freddo, l'acqua al freddo piuttosto che all'umido, l'aria all'u­mido piuttosto che al caldo, il fuoco al caldo piuttosto che al secco.88

A questo punto Aristotele è in grado di spiegare - cosa che fa in II 4 - come gli elementi si generino reciprocamente. Cia­scun elemento può mutarsi in ciascun altro elemento, afferma subito Aristotele, ma questa è un'assunzione già presente in Phys. I 5, 188b21-23, dove si dice che la generazione avviene dai contrari verso i contrari e gli elementi possiedono tutti pro­prietà contrarie. Del resto, anche in GC I 7, 324a10-14 Aristote­le aveva affermato che la generazione procede verso il contrario e che questo procedere verso il contrario è il mutamento del pa­ziente nell'agente. Ciascun corpo semplice ha differenti en­trambe le proprietà rispetto a un altro e differente una sola pro­prietà rispetto ad altri due. Il fuoco, che è caldo-secco, avrà dif­ferenti entrambe le proprietà rispetto all'acqua, che è freddo-

88 Qui Aristotele è in contraddizione con quanto ha affermato in altri pas­saggi di altre opere, ad esempio, Mete. IV 4, 382a3-4.

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Introduzione 71

umido; e allo stesso modo la terra, che è freddo-secco, avrà dif­ferenti entrambe le proprietà rispetto all'aria che è caldo-umido. D'altra parte il fuoco avrà differente una sola proprietà rispetto alla terra, cioè il freddo, e rispetto ali 'aria, cioè l 'umido eccete­ra, secondo quanto è facilmente verificabile se si osserva lo schema che riproduco qui sotto:

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Dal momento che tutti gli elementi hanno proprietà contrarie fra loro, o una o entrambe, è evidente, che ogni corpo semplice si genera da ogni corpo semplice, ma occorre adesso verificare come questo avvenga per ciascun corpo, perché è innegabile che tutti quanti deriveranno da tutti quanti, ma è anche vero che la loro generazione differirà a seconda che a mutare sia una sola o siano entrambe le proprietà contrarie: nel primo caso il muta­mento sarà più rapido e facile, mentre nel secondo caso sarà più difficile e quindi più lento. Il primo modo del mutamento degli elementi è quello dei corpi consecutivi, che sono quelli che si susseguono immediatamente e circolarmente nell'ordine natura­le (fuoco> aria> acqua> terra> fuoco) e che hanno una delle loro proprietà in comune. Questo primo tipo di trasformazione è il più facile e quindi il più rapido, perché avviene mediante il mutamento di una sola proprietà: in ciascun caso la proprietà in comune permane e l'altra proprietà agisce sulla proprietà ad es­sa contraria che subisce assimilandola. Ad esempio nel caso del fuoco che si trasforma in aria, il caldo permane e l 'umido agirà sul secco che lo patisce e si trasforma nell'agente con il risultato che il caldo-secco diviene caldo-umido e perciò il fuoco diviene aria.

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Nel caso in cui i corpi semplici non siano consecutivi, inve­ce, si ha il secondo tipo di trasformazione degli elementi - che è più difficile e più lento del precedente -, in cui le proprietà di un corpo semplice si convertono ambedue nei rispettivi contrari: dal fuoco all'acqua caldo e secco muteranno in freddo e umido; dall'aria alla terra caldo e umido muteranno in freddo e secco. Perché il fuoco si trasformi in acqua devono scomparire ambe­due le proprietà del fuoco e assimilarsi ad ambedue le proprietà dell'acqua; allo stesso modo perché l'aria si trasformi in terra devono scomparire ambedue le proprietà dell'aria e assimilarsi ad ambedue le proprietà della terra. C'è poi un terzo tipo di tra­sformazione dei corpi semplici, che si ha nel caso in cui di due corpi semplici insieme si corrompono due proprietà o elementi, una per ciascuno, dando vita così a un terzo corpo semplice: co­sì da fuoco e acqua nascerà terra se si corrompono rispettiva­mente del fuoco il caldo e dell'acqua l'umido, o aria se si cor­rompono rispettivamente del fuoco il secco e dell'acqua il fred­do. Lo stesso ovviamente avverrà nel caso di terra e aria, da cui nasceranno fuoco se si corrompono rispettivamente della terra il freddo e dell'aria l'umido, oppure acqua se si corrompono ri­spettivamente della terra il secco e dell'aria il caldo. Questo ter­zo tipo di mutamento è più facile rispetto al secondo tipo, ma non è caratterizzato da reciprocità. 89 Il secondo e il terzo modo di concepire la generazione degli elementi sono tuttavia, a mio modo di vedere, dei modi logici di teorizzare sul problema della generazione reciproca degli elementi. Quando Aristotele teoriz­za il secondo modo della generazione degli elementi, secondo cui entrambe le proprietà contrarie si trasformano nelle rispetti­ve proprietà contrarie, come nel caso del fuoco il caldo-secco che diviene il freddo-umido dell'acqua, in realtà entrambe le contrarietà hanno bisogno di un sostrato senza il quale non pos­sono produrre trasformazione. È necessario, allora, che prima l 'umido agisca sul secco usando come suo sostrato il caldo che permane, e in questa fase il fuoco si trasforma in aria, e succes-

89 Per le difficoltà che conseguono a questo terzo tipo di mutamento cf.

G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele, pp. 205 ss.

Introduzione 73

sivamente il freddo agisca sul caldo usando come sostrato l'umido e in questo modo si produrrà l'acqua. Se è allora vero da un punto di vista teorico che l'acqua nasce dal fuoco, è tutta­via antologicamente vero che non nasce direttamente dal fuoco bensì dal!' aria. Per quanto concerne poi il terzo modo di conce­pire la generazione degli elementi, è logicamente vero che l 'acqua, ad esempio, abbia parte della natura della terra, il fred­do, e parte della natura dell'aria, l'umido, essendo intermedia fra la terra e l'aria, e così appare logicamente vero che ciascun elemento è intermedio fra due e che possiede due proprietà ri­spettivamente dell'uno e dell'altro e gli mancano le altre due. Avere dell'uno e dell'altro, tuttavia, se è vero da un punto di vi­sta teorico, nondimeno non indica che ci sia generazione e cor­ruzione che lega questi elementi, perché la terra, ad esempio, non è affatto generata realmente da fuoco e acqua. È questo, a mio avviso, il significato dell'affermazione di Aristotele secon­do cui in questo terzo modo di concepire il rapporto fra gli ele­menti non si trova la reciprocità, che è la condizione dell'agire e patire e quindi della generazione e corruzione in senso assoluto. L'unico vero modo di concepire generazione e corruzione degli elementi è allora solo il primo, quello cioè dei corpi semplici consecutivi che hanno fra loro una proprietà identica e una con­traria, come Aristotele sottolinea alle li. 331 b35-36 alla fine di II 4.

Una volta definita la sua teoria della generazione reciproca degli elementi, Aristotele sferra l'attacco finale contro i monisti prima (II 5)

90 e contro i pluralisti poi (II 6).91 I monisti hanno

commesso un grave errore considerando unico il principio, per­ché i principi devono essere necessariamente più di uno se la trasformazione avviene fra contrari. Se infatti si assumesse ad esempio come unico principio l 'acqua e si considerasse la tra­sformazione di acqua in aria (acqua e aria hanno come proprietà comune l'umido, ma sono differenti perché l'aria è calda e l'acqua è fredda), pur permanendo in quanto materia soggetto,

9° Cf. G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele, pp. 207-215. 91

Cf. G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele, pp. 216-223.

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l 'acqua dovrebbe essere contemporaneamente sia fredda sia calda, il che è assurdo. 92 Occorre, invece, come Aristotele ha spiegato ampiamente in precedenza, che ci sia una contrarietà e che l 'uno dei due contrari appartenga all'elemento che muta e l'altro dei due contrari appartenga ali' elemento in cui esso si muta. Se si assume la posizione dei monisti, quindi, si avranno una serie di assurdità che Aristotele indica attraverso degli e­sempi. Inoltre, non è possibile neppure assumere come princi­pio, sempre di natura monistica, un elemento diverso dai quattro ammessi dalla tradizione (ad esempio un elemento intermedio o estremo), come ha fatto Anassimandro, perché non esiste alcun altro elemento oltre ai quattro a tutti noti. La reciprocità della trasformazione degli elementi obbliga a porre delle contrarietà che consentano la trasformazione e tali contrarietà danno luogo solo alle quattro trasformazioni di elementi di cui Aristotele ha discusso in II 1-4 e non ad altre. Nell'ipotesi di infinite coppie di contrari, quindi, non c'è possibilità di determinazione e quin­di nemmeno di generazione.

In conclusione, Aristotele ha sferrato contro la teoria moni­stica dell'unico principio elementare un attacco serrato e artico­lato su molti argomenti: a) se l'elemento è uno solo la trasfor­mazione reciproca degli elementi è alterazione e non generazio­ne, 332a6 ss.; b) il principio non può essere un elemento diverso dai quattro, come nel caso, ad esempio, di un elemento interme­dio, 332a18 ss.; c) si ribadisce che sono quattro i contrari e solo quattro gli abbinamenti possibili che danno luogo ad altrettanti elementi, 332a34-b5; d) nessun elemento è principio degli altri, 332b5 ss.

In II 6 Aristotele passa senza ulteriore indugio a criticare le teorie dei pluralisti, ma assume di fatto come unico oggetto del­la sua confutazione Empedocle o, come dimostra Rashed, i neo­Empedoclei. Il problema di Aristotele è chiaramente quello dell'immutabilità degli elementi, poiché anch'egli ha posto, co­me Empedocle, quattro elementi, ma ha sostenuto che essi si trasformano reciprocamente ed ha altresì mostrato quali tra-

92 Cf. anche Filop.ln GC 239,24 ss.

l ,;

Introduzione 75

sformazioni sono più facili e più veloci e quali, al contrario, più difficili e più lente. Attraverso delle obiezioni alla teoria di Em­pedocle, quindi, il quale afferma l 'uguaglianza e l 'immutabilità degli elementi, Aristotele dimostra in questo cap. II 6 che se gli elementi sono immutabili non possono essere uguali, e se, inve­ce, sono uguali non possono essere immutabili. Empedocle, se­condo Aristotele, fornisce una spiegazione semplicistica della generazione assoluta (li. 333b22) ed è assurdo che egli ritenga che le cose nascano per aggregazione casuale di elementi,93 per­ché al contrario gli enti che si generano per natura sono coinvol­ti in un divenire causalmente determinato secondo il modello quadripartito che Aristotele ha descritto tecnicamente in Phys. II 3-9: un determinato corpo omeomere, quindi, nasce sempre da una determinata combinazione di elementi. Empedocle è poi in errore anche per quest'altro motivo: l'amore, ovvero la causa di composizione dello Sfera, che in quanto causa svolge un ruo­lo positivo di aggregazione, in realtà è principio negativo di dis­sociazione, perché toglie agli elementi primordiali, che sono es­si stessi dèi e anteriori allo Sfera, le loro caratteristiche, in quanto li mescola e li fonde fra loro e li sparge in tutto l'univer­so. Al contrario, quando domina completamente l'odio, gli ele­menti sono totalmente separati fra loro, quindi singolarmente qualificati e determinati dalle loro caratteristiche, e occupano ciascuno il proprio luogo.94 E ancora, il movimento causato dall'odio è per Empedocle un movimento violento, mentre in­vece, poiché quando agisce l'odio gli elementi sono vieppiù de­terminati nella loro natura, a cui appartiene la caratteristica di portarsi verso i propri luoghi naturali, l'odio sembrerebbe piut­tosto la causa del moto naturale. 95 Inoltre, Empedocle non è sempre coerente con se stesso, perché talvolta dice che è l'odio a muovere, altre volte la fortuna o la natura. È poi assurdo che

93 Cf Phys. II 8, 198b32.

94 Cf. D. O'Brien, Empedocles' Cosmic Cycle cit., pp. 147-149. Si cf an­

che Mugler, pp. 95-96; Joachim, p. 236. 95

Questo discorso sul movimento è complementare a quello che Aristote­le ha fatto alle li. 333b20-22.

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l'anima, di cui Empedocle parla scorrettamente secondo Aristo­tele, derivi dagli elementi ma anche che derivi da un unico ele­mento: nell'uno e nell'altro caso l'anima sarebbe corporea, mentre invece nessuna delle alterazioni dell'anima è corporea: né divenire musica o non musica, né avere memoria o oblio, eccetera. Ma discutere di queste problematiche che riguardano l'anima, annuncia Aristotele a chiusura di II 6, è compito di al­tra teoria: il rinvio è a An. I 4-5.

7. La generazione degli omeomeri

A partire da II 7 Aristotele si impegna a mostrare come dagli elementi, cioè dai corpi semplici (fuoco, aria, acqua e terra), na­scano corpi misti o omeomeri. Fra i predecessori di Aristotele alcuni, come ad esempio i Pitagorici,96 hanno ammesso che esi­ste un sostrato comune degli elementi, e questi per conseguenza devono ammettere la reciproca trasformabilità degli elementi, perché in effetti queste due condizioni si implicano a vicenda;97

altri, invece, come ad esempio Empedocle, non ammettono la generazione reciproca degli elementi se non come una com bi­nazione, per cui non possono spiegare come dagli elementi pos­sano derivare gli omeomeri, come carne, ossa eccetera. La criti­ca di Aristotele è chiara se si pensa che gli omeomeri sono corpi omogenei (ogni parte di carne è carne e ogni parte di osso è os­so), mentre la combinazione ammessa da Empedocle produce corpi disomogenei. La difficoltà di spiegare come dagli elemen­ti possano nascere gli omeomeri riguarda tuttavia, avverte Ari­stotele, anche coloro che ammettono la generazione reciproca degli elementi, perché comunque occorre spiegare come dai quattro elementi possa derivare un corpo che è diverso da cia­scuno dei quattro elementi stessi, per cui se il sostrato comune è sufficiente a spiegare il fatto che, ad esempio, dal fuoco si gene­ra l'acqua e viceversa, rimane pur sempre da spiegare co~e da questi si generino carne e midollo. Tuttavia, anche coloro che

96 Cf. Joachim, Comm. p. 239.

97 Cf. Filop. In GC 269,5 ss.

Introduzione 77

ammettono la generazione reciproca degli elementi in virtù del fatto che ammettono un sostrato comune, si trovano poi in diffi­coltà a spiegare come un corpo possa nascere da due diversi corpi semplici. Se si ammette che la carne nasce da fuoco e ter­ra occorre ammettere che nasce un corpo diverso da quello degli elementi da cui nasce (li. 334a22-23), che non costituisce una combinazione di entrambi che tuttavia conserverebbero le pro­prie nature. La soluzione è data dalla mescolanza: occorre di­stinguere una proprietà che è in atto o in potenza assolutamente da una proprietà che invece non è in atto o in potenza assoluta­mente bensì relativamente. Quando infatti di due proprietà con­trarie l'una sarà in atto assolutamente, l'altra sarà necessaria­mente in potenza assolutamente e non ci sarà tra le due nessuna mescolanza. Se invece le due proprietà contrarie si trovano in uno stato intermedio fra la potenza e l'atto, sono cioè compre­senti, allora a prescindere dal rapporto fra i due contrari (poiché può esserci più dell'uno e meno dell'altro) ci sarà mescolanza. La soluzione di Aristotele è quindi la seguente: i corpi misti na­scono dagli elementi mescolati insieme, quindi nascono dalle proprietà contrarie di quegli elementi mescolate insieme, giac­ché sono coppie di contrari quelle che costituiscono gli elemen­ti. Ora, dire che i corpi semplici o le loro proprietà contrarie so­no mescolati insieme significa dire che tali corpi semplici, o tali loro proprietà contrarie, sono contemporaneamente in potenza e in entelechia in un qualsiasi rapporto, perché è proprio la com­presenza di potenza ed entelechia che costituisce la mescolanza così delle proprietà come, per derivazione, dei corpi semplici. E la potenzialità dei contrari di cui si sta parlando, precisa Aristo­tele, non è la stessa cosa della potenzialità della materia, perché mentre la potenzialità della materia consiste nella sua funzione di sostrato, cioè nella sua capacità di accogliere le forme nella loro doppia accezione di privazione-forma in atto, la potenziali­tà dei contrari consiste appunto nel non essere (cioè privazione) de li' essere (cioè della forma in atto). Si tratta di una compre­senza di potenza ed entelechia che richiama la reciprocità di a­zione e passione di cui Aristotele ha parlato in I 7. In II 7 si chiarisce che quando i contrari non si equivalgono, l 'uno dei

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due si trasforma nell'altro con conseguente mutamento recipro­co degli elementi, mentre quando i due contrari raggiungono fra loro un equilibrio e nessuno dei due risulta dominante sull'altro allora si avrà una mescolanza di elementi dai quali quindi na­sceranno i corpi omeomeri. Le posizioni mediane dei contrari, allora, costituiscono in Aristotele la condizione che spiega la possibilità della generazione di tutte le sostanze composte. La posizione di equilibrio tra i contrari rappresenta infatti, in questa teoria, il terreno adeguato alla nascita di qualsiasi sostanza di­versa dagli elementi contrari e in cui questi ultimi possono tro­vare mescolanza.

GC II 8 si aggancia subito a questa acquisizione teorica: tutti i corpi misti che si trovano in posizione centrale sono composti da tutti quanti i corpi semplici, essi appartengono infatti al mondo sublunare.98 La terra esiste in tutti i corpi misti, che si trovano infatti in posizione centrale perché il centro dell'uni­verso è il luogo naturale verso cui tende la terra; l'acqua è con­tenuta in tutti i corpi misti perché questi hanno bisogno di de­terminazione e la determinazione viene data dall'umido che compatta la terra; 99 l'aria e il fuoco si trovano nei corpi misti perché sono i contrari rispettivamente della terra e dell'acqua e i contrari sono necessari per temperare il composto e costituire la mescolanza. 100 In tutti i corpi misti, quindi, si trovano tutte e quattro i corpi semplici e perciò anche tutte e quattro le proprie­tà contrarie. Questa teoria, che riconduce tutta la realtà sensibile a condizioni di equilibrio e disequilibrio di proprietà corporee, ha peraltro il merito di risolvere tutte le questioni che nascono sia dalla teoria secondo cui il simile produce il simile sia dalla teoria secondo cui il diverso produce il diverso, perché Aristote­le è in grado di stabilire che i corpi misti si nutrono degli stessi elementi di cui sono composti. Si comprende bene, quindi, qua­le sia il rapporto fra il nutrimento e ciò che si nutre: mentre il nutrimento, infatti, riguarda la materia, ciò che si nutre si identi-

98 Cf. Filop.Jn GC 278,16ss.

99 Cf. GC II 2, 329b29-32.

10° Cf. GC II 7, 334b24-30.

Introduzione 79

fica piuttosto con la sua forma specifica, che rappresenta sia l'essenza dell'ente che la configurazione strutturata della mate­ria dell'ente stesso. In chiusura della sua trattazione della gene­razione degli elementi e dei corpi omeomeri, Aristotele si pro­nuncia quindi ancora una volta a favore di un primato della forma sulla materia, che gli consente di affermare che, fra tutti i corpi semplici, il fuoco soprattutto si nutre, perché il fuoco è il corpo semplice che concerne massimamente la forma, in quanto è il meno corporeo fra tutti i corpi semplici.

8. Causalità e necessità in GC: i cicli della vita

In GC II 9 Aristotele volge la sua ricerca verso le cause della generazione e della corruzione, consapevole che solo la cono­scenza delle cause produce conoscenza scientifica101 e in linea con il programma enunciato in GCI l, 314al-3.

Per prima cosa Aristotele afferma che i principi degli enti che si generano sono gli stessi di quelli degli enti eterni, e cioè la materia e la forma. 102 L'identità della materia degli enti sub­lunari e di quelli sopralunari può essere intesa, come suggerisce Filop. In GC 282,30 ss., quale identità di funzione sostratica, mentre l'identità della forma fra questi enti può essere spiegata intendendo la forma degli enti sublunari come essenza o quid­dità (TÒ Tt Tjv dvat). Aristotele insegna, infatti, nella Metaf­isica, che l'essenza intrattiene con la sostanza composta, o si­nolo, lo stesso rapporto che la forma senza materia intrattiene con la forma nella materia, perché l'essenza è la determinazione di cui la sostanza composta costituisce la realizzazione materi­ata.103 Negli enti naturali la sostanza intesa quale forma e la sostanza composta differiscono fra loro per modalità, perché la

101 Vd.Phys. I l, 184al0 ss.

102 Per maggiori ragguagli sulle difficoltà che presenta una simile affer­

mazione cf. la nota alla traduzione di questo passaggio, II 9, 335a29-31, ma anche G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele cit., pp. 233-237.

103 Cf. A. Jaulin, Eidos et Ousìa. De l 'unité théorique de la Métaphysique

d'Aristate, Klincksieck 1999, pp. 94-106.

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forma non esiste senza la sostanza composta, ma di queste due, mentre la sostanza composta è soggetta a generazione e corruz­ione, 104 la sostanza quale forma è invece eterna. 105

La prima causa della generazione che Aristotele individua è quella materiale, concepita come il potere essere e non essere degli enti generabili e corruttibili. La capacità da parte di un so­strato di essere o di non essere, significa, in termini aristotelici, la capacità di ricevere o non ricevere una data forma. D'altra parte, la forma specifica, che costituisce la definizione della so­stanza di ciascun ente (ò A.6yoç ò Tfiç ÉxacrTou oùcriaç), funge da causa finale, perché tale forma è il fine a cui tende ogni pro­cesso di generazione. Anzi, a ben guardare, in questo capitolo di GC c'è una certa tendenza a concepire la causa formale come particolarmente unita alla causa finale, e questo è dovuto, a mio avviso, al fatto che l'argomento in oggetto del trattato è quello della generazione in senso assoluto, cioè un processo in cui la presenza e l'assenza di forma sono i due termini di una polariz­zazione ontica forte, nella quale la forma sembra nascere d'emblée dal non essere. A queste cause occorre poi aggiungere la causa motrice o efficiente, sulla quale i filosofi del passato, secondo Aristotele, non si sono espressi in modo corretto. Pla­tone, ad esempio, ha parlato delle idee e della partecipazione degli enti sensibili a esse, ma le idee platoniche sono cause for­mali e la nozione di partecipazione è solo una metafora poetica, per cui Platone ha di fatto teorizzato un universo spiegabile per l'essenza ma immobile. I materialisti hanno pensato che la cau­sa motrice della generazione sia nella materia stessa, perché dall'aggregazione e disgregazione di essa nascerebbero gli enti. Ma questo modello teorico non solo spiega il movimento della materia senza spiegare l'essenza degli enti, ma non distingue bene fra motore e materia. Tutti i filosofi precedenti ad Aristo­tele, quindi, non hanno correttamente individuato la causa mo-

104 Cf. M. Ferejohn, The Definition of Generated Composites in Aristo­

tle's Metaphysics, in Scaltsas et alii ed. by, Unity, Identity etc. (vd.), pp. 291-318.

105 Cf. Meta. VII 8, ma anche VIII 3, 1043bl5-17 e 5, 1044b20 ss.

Introduzione 81

trice e non hanno compreso in modo corretto in che rapporto stiano fra loro le cause. 106

A tutti costoro Aristotele oppone il suo quadro eziologico, 107

quello stesso cioè che egli ha trattato tecnicamente in Phys. II 3 e 7, con una particolare attenzione, però, verso la causa motrice. In GC II 9, 335a24-b7, Aristotele introduce di fatto tre delle quattro cause, quella materiale, quella formale e quella finale, che vengono ridotte a due principi, materia e forma; la causa motrice come terzo principio è oggetto di indagine del successi­vo capitolo II l O e si ricollega ali 'indagine sulle posizioni dei predecessori che occupa tutta la seconda parte di II 9, a partire da 335b7 fino alla fine. Già alle li. 335a30-32 Aristotele antici­pa che occorre occuparsi del terzo principio, cioè appunto della causa motrice, perché la materia e la forma non sono sufficienti a spiegare la generazione. Ali 'inizio di II l O la generazione, che è generazione senza cessazione, come si è appreso da I 3, è messa in relazione con il movimento di traslazione, che è eter­no. Il movimento dei corpi celesti, che Aristotele considera all'origine della generazione, è eterno, per cui anche la genera­zione è eterna. Tuttavia occorre spiegare la corruzione, e questa trova la sua ragion d'essere nell'avvicinamento e allontanamen­to rispetto alla causa motrice dovuti all'inclinazione dell'eclitti­ca solare, perché la causa motrice della generazione, come Ari­stotele chiarisce subito, è il sole. In linea con la teoria degli e­lementi che occupa i primi capitoli del II libro, infatti, il caldo è propriamente la causa della generazione, mentre il freddo è la causa della corruzione.

La prima difficoltà è questa: il movimento di traslazione è unico, perché è un movimento circolare, quindi se esso è, come

106 Cf. G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele cit., pp. 237-243. Cf.

anche H. Chemiss, Aristotle's Criticism ofPlato 's Timaeus, New York 1962), e J. Annas, Aristotle on Inefficient Causes, «Philosophical Quarterly», 32 (1982), pp. 311-326.

107 Sulla teoria della causalità in Aristotele cf. G .R. Giardina, I fondamenti

della causalità naturale ci t., ma anche M. Basti t, Les quatre causes de l 'étre selon la philosophie première d'Aristate, Louvain 2002 per quanto concerne la causalità nella Metafisica.

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si è affermato, causa di generazione, non sarà al contempo cau­sa di corruzione: non sarà possibile che ci sia al contempo sia la generazione sia la corruzione, perché un contrario non può coe­sistere con il suo contrario e generazione e corruzione sono fra loro dei contrari. Per risolvere questo problema occorrerà allora disporre di movimenti molteplici e contrari in funzione causale di generazione e corruzione. Se è vero infatti che il movimento circolare non può avere contrario, una spiegazione della molte­plicità e contrarietà insita nel movimento unico del sole si può trovare n eli 'inclinazione dell'eclittica.

Per meglio comprendere tutto questo discorso di Aristotele è opportuno che si tenga presente che egli ritiene vero un sistema di rappresentazione del cielo, usato nell'astronomia tolemaica e tipico di tutta l'astronomia classica, che è chiaramente diverso da quello che è in uso oggi. Occorre immaginare in primo luogo la sfera celeste, che è una grande sfera che ruota su se stessa, al cui centro sta la Terra immobile, e sulla cui superficie stanno le . stelle e tutti i corpi celesti. Sulla sfera celeste i corpi celesti ap­paiono all'occhio umano tutti alla medesima distanza. Tale rap­presentazione, che evidentemente non corrisponde alla realtà (noi moderni sappiamo ormai che il moto di rotazione appartie­ne alla Terra e non al cielo e che le stelle sono collocate a di­stanze diverse), tuttavia consente di spiegare sufficientemente tutti i fenomeni astronomici percepibili dali' occhio umano, in quanto, che si applichi il modello tolemaico o quello galileiano, i fenomeni visuali rimangono identici e sono soddisfacentemen­te rappresentabili con il modello della sfera celeste utilizzato dagli antichi astronomi e, non a caso, ancora oggi usato nella cosiddetta astronomia di posizione. Questo spiega perché il rap­porto fra la terra e il sole è il medesimo nel sistema tolemaico e in quello galileiano, nel senso che l'inclinazione d eli' eclittica sulla sfera celeste del sistema tolemaico nel sistema galileiano dipende dall'orbita della terra attorno al sole e dall'inclinazione del piano dell'equatore terrestre rispetto ad essa. Al contrario nel sistema tolemaico, in cui la terra è al centro della sfera cele­ste, l'equatore terrestre è parallelo all'equatore celeste e quindi l'eclittica risulta inclinata. Il piano dell'eclittica, cioè del circolo

Introduzione 83

massimo della sfera celeste che il sole percorre nel suo moto annuo apparente - ma per Aristotele reale - tra le stelle, varia di 23,27 gradi rispetto all'equatore celeste, e questo angolo costi­tuisce l'obliquità dell'eclittica. Ora, questa inclinazione del­l' eclittica solare rispetto alla sfera celeste, fa sì che essa interse­chi l'equatore celeste in due punti, detti nodi, di cui l'uno, il co­siddetto punto dell'Ariete, è quello da cui il sole passa nel mo­mento de li' equinozio di primavera, il 21 marzo, e a partire dal quale sale verso l'emisfero celeste settentrionale, mentre l'altro, il cosiddetto punto della Bilancia, è quello da cui il sole passa nel momento dell'equinozio d'autunno, il 23 settembre, e a par­tire dal quale scende verso l'emisfero celeste australe.

Ora, a me sembra che, se si tiene conto di questa disposizio­ne del cielo che si è fin qui descritta, il discorso di Aristotele può trovare facilmente spiegazione. Se si considera infatti il percorso del sole lungo l'eclittica non si può negare che si tratti di un percorso circolare, uno e continuo, e tale unità e continuità sono appunto le condizioni che stanno alla base della continuità della generazione, tuttavia l' obliquità dell'eclittica comporta come conseguenza il fatto che il sole, nel suo percorso, una vol­ta percorra un tratto costituito da una semi circonferenza ali' in sù rispetto all'equatore celeste e una volta percorra un tratto co­stituito da una semicirconferenza all'in giù rispetto all'equatore celeste. Questi due percorsi, in quanto l'uno all'in sù e l'altro ali' in giù, sono quindi contrari fra loro così come sono opposti i nodi che li determinano, cioè il punto dell'Ariete e il punto della Bilancia, tanto è vero che dal punto d eli' Ariete in poi, ossia dall'equinozio di primavera, percorrendo il sole il tratto all'in sù verso l'emisfero celeste settentrionale, si hanno le stagioni cal­de, primavera ed estate, mentre dal punto della Bilancia in poi, ossia dall'equinozio autunnale, percorrendo il sole il tratto all'in giù verso l'emisfero celeste australe, si hanno le stagioni fredde, autunno e inverno. Quando quindi Aristotele parla di àvroiJ.aÀia

(336a30), egli intende una irregolarità legata alla particolare na-

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tura della traslazione del sole, 108 nella misura in cui l' obliquità dell'eclittica crea uno scarto rispetto al piano mediano costituito dalla sfera celeste, per cui si crea una ineguaglianza nella trasla­zione del sole per il fatto che tale moto, a causa di una tale obli­quità, si svolge ora all'in sù e ora all'in giù rispetto all'equatore celeste, che rappresenta il piano mediano. Se si intende la conti­nuità e insieme la duplicità del movimento del sole lungo l'eclittica e si considera il cerchio dell'eclittica, in cui il movi­mento del sole è continuo, come diviso in due semicirconferen­ze contrarie perché create dall'opposizione dei punti di tangenza fra l'eclittica (detta da Aristotele circolo obliquo) e l'equatore celeste, a me sembra che il discorso aristotelico risulti spiegabi­le. Il movimento del sole lungo l'eclittica è sia continuo sia du­plice: continuo perché senza interruzione lungo l'eclittica, e du­plice perché lungo il suo percorso il sole descrive ora un movi­mento ascendente, ora un movimento discendente. L'allontana­mento e l'avvicinamento di cui parla Aristotele, mi sembrano non tanto da prendere alla lettera come allontanamento e avvi­cinamento alla terra, visto che il sole, percorrendo una circon­ferenza, di fatto è sempre equidistante dalla terra, quanto piutto­sto la traduzione in termini semplici della contrarietà del caldo e del freddo: quando il sole sale verso l'emisfero celeste setten­trionale si ha il ciclo del caldo, mentre quando scende verso l'emisfero australe si ha il ciclo del freddo, ed entrambi sono contro bilanciati, perché occupano rispettivamente l'arco tempo­rale di sei mesi, l 'uno dal 21 marzo al 22 settembre e l'altro dal 23 settembre al 20 marzo. 109

La contemporaneità della contrarietà nella causa così come negli effetti consiste nel fatto che ogni avvicinamento del sole è contemporaneamente un allontanamento, nel senso che a ogni tratto di movimento lungo un percorso semicircolare corrispon­de un tratto di movimento lungo l'altro percorso semicircolare e

108 Questo passaggio aristotelico è stato molto discusso dai commentatori

antichi e moderni, che hanno cercato in vario modo di spiegarlo, cf. G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristotele ci t., pp. 251-254.

109 V d. Rashed, p. 173 nota 5.

'

Introduzione 85

se da uno si allontana all'altro si avvicina e viceversa, perché al­lontanamento e avvicinamento sono contrari fra loro, in virtù dell'unicità e continuità dell'unico movimento circolare. Questa contrarietà dà ragione peraltro del fatto che generazione e cor­ruzione avvengono, come Aristotele dice esplicitamente, in un tempo uguale: il movimento del sole è circolare e uniforme, per cui avvicinamento e allontanamento si svolgono in tempi ugua­li, con la conseguenza che generazione e corruzione avvengono anch'esse in tempi uguali. Il movimento del sole, quindi, visto in questo modo, è sempre un movimento di generazione, nel senso che la corruzione si verifica insieme con la generazione soltanto nella misura in cui un contrario sta insieme all'altro contrario, e se quindi c'è generazione c'è corrispondentemente corruzione; ma anche nell'azione della causa motrice è evidente una polarizzazione dell'essere che è una tensione continua verso l'essere in cui gioca il più e il meno dell'essere, di cui si è detto a proposito di GC I 3. In altri termini, non c'è generazione ad opera del sole per sei mesi durante il periodo caldo né corruzio­ne ad opera del sole per sei mesi durante il periodo freddo, ma c'è generazione ad opera del sole durante il periodo caldo, nel senso di un più di essere e quindi di generazione assoluta, a cui corrisponde una corruzione relativa, ma anche generazione ad opera del sole durante il periodo freddo, nel senso di un meno di essere e quindi di generazione relativa, a cui corrisponde una corruzione assoluta. Che questa polarità che pende dalla parte della considerazione dell'essere sia vera, lo si può verificare da quanto segue.

Il poderoso impianto cosmologico fin qui descritto corri­sponde, secondo Aristotele, alla verità e alla realtà delle cose, tanto che alla ciclicità cosmologica corrisponde la ciclicità bio­logica. Ciascuna specie vivente ha un ritmo di vita misurabile e distinto per ciascuna specie: ogni realtà naturale ha un ciclo che abbraccia la sua nascita e la sua morte, perché dipende dal ciclo del sole, ciclo che, tuttavia, non è uguale per tutte le specie. Il ciclo di ciascuna specie ha, infatti, una sua propria specifica

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unità di misura. 110 L'esperienza sensibile appare peraltro con­forme ai discorsi fin qui fatti, perché è evidente che la vita di­pende dal calore e che nelle stagioni calde si ha l'impressione di una maggiore generazione, laddove nelle stagioni fredde si ha l 'impressione di una fase di deperimento. I cicli vitali delle va­rie specie infatti non vanno incontro alla morte assoluta, bensì a una sorta di deperimento che prelude al rigenerarsi ogni anno degli esseri viventi. Per questo motivo la preoccupazione di A­ristotele sembra quella di distinguere il tempo della generazione e il tempo della corruzione pur mantenendo fermo il fatto che nel ciclo annuale del sole questi processi avvengono in un tem­po uguale. Si scopre, infatti, che, pur nell'uguaglianza tempo­rale del ciclo annuale del sole, c'è un'irregolarità temporale che riguarda la generazione e la corruzione, perché talvolta è la cor­ruzione che si verifica in un tempo più breve rispetto alla gene­razione e talvolta è la generazione che avviene in un tempo più breve rispetto alla corruzione, a seconda che la generazione sia più lenta o più rapida: la causa di questa differenza di tempi è data dalla materia, che è, a detta di Aristotele, irregolare e non identica dappertutto, il che comporta anche l'irregolarità, nel senso della lentezza e della rapidità, delle generazioni, e quindi, di converso, delle corruzioni. Ora, stando alle differenze ele­mentari che abbiamo appreso leggendo GC II 1-5, dove si è chiarito che le proprietà passive sono l'umido e il secco mentre quelle attive sono il caldo e il freddo, nonché al fatto che l'umido è ciò che ha buona capacità di essere delimitato da al­tro, mentre il secco è ciò che ha scarsa capacità di essere delimi­tato da altro, e avendo ancora appreso che di fatto sono in un certo senso il caldo e il freddo le cause rispettivamente del sec­co e dell'umido in quando il caldo secca e il freddo inumidisce, si dovrà concludere per conseguenza che in ragione della mate­ria è più rapido il processo di generazione assoluta a cui corri-

l !O Cf. GA II 3, 736b33 ss.; III l l, 762al8 ss.; IV lO, 777a3l ss.; V 4,

784a34 ss. Per l'analogia fra il discorso che Aristotele fa in questo passaggio e quello di GA IV lO, 777a3l ss. si vd. Rashed, Introduction, pp. CLXXVII­CLXXVIII.

Introduzione 87

sponde la corruzione relativa e più lento il processo della gene­razione relativa a cui corrisponde la corruzione assoluta così come di converso sarà più lento il processo di corruzione re lati­va a cui corrisponde una generazione assoluta e più rapido il processo di corruzione assoluta a cui corrisponde una genera­zione relativa. La ragione di ciò, infatti, consiste nel fatto che l 'umido ha maggiore capacità di essere delimitato da altro e quindi l 'agire del caldo sulla materia umida è più rapido, mentre il secco ha minore capacità di essere delimitato da altro, e quin­di l'agire del freddo sulla materia secca è un agire più lento.

Da tutto questo discorso si evince che la causa materiale che Aristotele adduce qui a ragione della maggiore lentezza o rapi­dità della generazione a cui corrisponde rispettavimante la mag­giore rapidità o lentezza della corruzione, è sì una causa ma in un senso passivo, perché è una causa condizionata sempre dall'azione della causa motrice su di essa. Alla causa motrice peraltro Aristotele torna subito dopo (336b25-26), sottolineando ciò che occorre comunque non perdere mai di vista, e cioè che queste differenze temporali riguardano, per così dire, l' econo­mia interna al tempo in cui avviene il movimento di traslazione solare, ma che comunque questo movimento è uno e continuo e di conseguenza continue saranno generazione e corruzione.

La continuità di generazione e corruzione si giustifica per il fatto che la natura aspira sempre al meglio e l'essere è questo meglio rispetto al non essere. Se gli enti del mondo sublunare non possono essere eterni come quelli del mondo sopralunare, almeno la generazione continua assicura una forma di eternità ai primi assimilandoli a questi ultimi. La generazione assoluta as­simila l'essere dei viventi alla sostanza eterna e assicura la so­pravvivenza delle specie se non quella degli individui.

La continuità della generazione su cui Aristotele ha insistito in GC II l O pone anche il problema della necessità o contingen­za degli enti che si generano. In II 11 Aristotele affronta con sottili argomenti il problema della necessità degli enti naturali già sostenuta da alcuni pensatori a lui precedenti come Empe­docle. Lo Stagirita propone qui la stessa soluzione che ha pro­posto in Phys. II 9: la necessità che si trova nel mondo della na-

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tura non è una necessità assoluta, che contravverrebbe alla fisica finalistica aristotelica, ma è una necessità che dipende da un'ipotesi.111 In Phys. II 9 l'esempio che viene fatto del muro, secondo cui i sostenitori di una assoluta necessità naturale de­vono poi affermare che un muro è venuto su necessariamente per il fatto che le cose pesanti per natura si portano in basso e quelle leggere in cima - per cui le pietre che costituiscono le fondamenta di tale muro si porterebbero in basso, mentre la ter­ra, che è più leggera, salirebbe in alto e i legni addirittura in ci­ma, perché sono i più leggeri fra tutti questi materiali - mette subito in evidenza quanto sia ridicolo ammettere una necessità assoluta del divenire naturale. Tutto questo non significa tutta­via che la necessità vada esclusa dal divenire naturale, perché al contrario Aristotele ammette un altro tipo di necessità, appunto quella ipotetica, la cui funzione in Phys. II 9 è chiarita dall'e­sempio della sega: se l'operazione della sega è quella di tagliare dei materiali duri, se cioè è questo il fine in vista di cui è la se­ga, quello cioè di tagliare, allora questo fine condiziona la natu­ra della sega stessa, comportando che essa necessariamente sia di ferro. È cioè necesssario che la sega sia di ferro soltanto "se" (ecco l'ipotesi in dipendenza dalla quale c'è la necessità) occor­re che ci siano la sega e le sue operazioni. In GC II 11, cioè in un contesto che analizza la necessità all'interno del problema della generazione assoluta e delle sue cause e in cui la genera­zione è vista da Aristotele come un processo continuo e ininter­rotto, egli pone l'accento sul rapporto che lega ogni antecedente al suo conseguente, perché la necessità di ogni antecedente sarà sempre determinata dal suo conseguente in un rimando all'infi­nito, così la necessità dell'argilla sarà determinata dalle fonda­menta, la cui necessità sarà determinata dalla casa e così all'in­finito. Ma in un simile procedere linearmente all'infinito fra

111 Cf. G.R. Giardina, l fondamenti della causalità naturale cit., pp. 245-

256. Cf. anche D. Charles, Aristotle on Hypotetical Necessity and lrreducibi­lity, in Classica! Philosophy. Collected Papers, vol. 7: Aristotle, Metaphysics. Epistemology, Natura! Philosophy, ed. by. T. Irwin, New York & London 1995, pp. 27-79.

Introduzione 89

contingenti si procederà all'infinito da ciò che viene dopo verso ciò che viene prima per trovare la necessità della generazione, senza trovare mai un punto di partenza che sia la condizione ne­cessaria della generazione di ciò che viene dopo. Non è tuttavia il rimando all'infinito, precisa Aristotele, che esclude la necessi­tà assoluta, poiché essa, come sappiamo bene dagli argomenti della Fisica a cui ho accennato prima, è esclusa anche se si as­sume il caso di una sequenza finita di processi generativi, per­ché se è vero che è necessario che ci siano le fondamenta affin­ché ci sia la casa, tuttavia non è detto che se ci sono le fonda­menta ci sarà la casa e questo accade perché un rapporto neces­sario nella generazione ci sarà solo se i generati sono eterni e non ci sarà invece nel caso dei contingenti. 112 La necessità asso­luta dell'essere appartiene solo agli enti che sono eternamente, così come la necessità assoluta del generarsi appartiene solo a­gli enti che eternamente si generano.

Anche GC si conclude, come già la Fisica e la Metafisica, con le realtà eterne del mondo sopralunare, a confronto con le quali gli enti naturali contingenti trovano la più completa de­terminazione e anche la giustificazione ultima. Come nella Fisi­ca la ricerca termina nel movimento eterno e circolare che è il movimento del cielo, in GC la generazione eterna dipende dalla sua circolarità e apocatastacità, condizione in virtù della quale si realizza la conversione fra i suoi termini, nel senso che prevarrà la necessità del dopo su quella del prima. Al contrario di questa generazione, che riguarda le specie dei viventi, quella degli in­dividui è invece rettilinea e non circolare, ma questo, annuncia Aristotele, è il punto di inizio di una nuova indagine.

9. Conclusioni

Dalla breve descrizione che ho fatto in queste pagine del contenuto di GC il lettore può trarre consapevolezza del pode­roso sforzo teorico compiuto da Aristotele in questo trattato. Lo Stagirita affronta e risolve con incredibile acume filosofico il

112 Cf. APo. II 13, 95b32 ss.

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problema centrale della filosofia dopo l'eleatismo parmenideo e cioè come concepire un modo d'essere anche per il non essere. Se ogni processo di divenire, infatti, presenta il problema di come si possa spiegare la mutevolezza senza mischiare insieme essere e non essere, più di qualunque altro processo crea imba­razzo il problema della generazione e della corruzione in senso assoluto, processi che, già a partire da Phys. V 1-2, si identifi­cano come passaggi rispettivamente dali' essere al non essere e dal non essere all'essere.

Aristotele si presenta come il primo filosofo che abbia com­preso fino in fondo la portata teorica di un simile problema, perché egli stesso mostra fra le righe come tutte le esperienze fi­losofiche a lui precedenti e contemporanee, cioè Platone e i Pla­tonici compresi, non abbiano avvertito una differenza sostanzia­le fra generazione in senso relativo e generazione in senso asso­luto, se è ancora possibile che il Platone di Phd. 71a ss. conside­ri la generazione e la corruzione assolute alla stessa stregua de­gli altri modi del divenire che, a differenza di questi, si produ­cono dall'essere all'essere. Nè vale a differenziare i processi (generazione, alterazione e aumento) la distinzione linguistica fra yf:vemç nç e yf:vemç anA.roç, che non ha impedito al So­crate del Fedone di continuare a fare confusione fra i processi e metter li tutti n eli 'unico e indifferenziato campo d'azione del verbo yt yvecrSat.

Aristotele parte quindi dalla situazione di fatto della cultura filosofica del suo tempo, parte da questa insufficienza della di­stinzione linguistica, dalla indifferenziazione di fatto dei vari processi di divenire nelle teorie dei suoi predecessori, per offrire in GC, anche attraverso l 'utilizzo delle nozioni teoriche già ac­quisite nella Fisica, da un lato l'analisi minuziosa di tutti gli er­rori e le insufficienze delle filosofie precedenti e, dall'altro lato, la sua soluzione del problema, che abbraccia il piano cosmolo­gico per spostarsi a quello biologico, muovendosi però su un versante che è ancora del tutto teorico. Troviamo così la discus­sione minuziosa dei predecessori a più riprese in GC, ma so­prattutto Aristotele prende di mira Empedocle e gli Atomisti. Il primo ha commesso errori che lo mostrano incoerente con se

Introduzione 91

stesso, avversario dei fenomeni, negatore della generazione. Pur posto in condizione di distinguere la generazione dall'altera­zione in virtù dell'assunzione di principi molteplici, Empedocle finisce per identificare generazione e alterazione, ma si scopre poi che, in quanto nega la trasformazione reciproca degli ele­menti, nega la generazione e che, in conseguenza di ciò, in quanto costretto a negare ache la trasformazione delle proprietà degli elementi, è costretto a negare anche l'alterazione. Eppure sostiene la mescolanza degli elementi, che è una forma di alte­razione seppure sui generis. La conseguenza ultima di questo ragionamento è che non si potrà assumere come corretto il radi­cale pluralismo elementare di Empedocle, per cui la sua dottrina risulta tutta da gettare. L'errata valutazione dell'alterazione da parte di Empedocle e degli Empedoclei li ha costretti poi a do­ver ricorrere a una assurda teoria dei pori o condotti: il processo che va correttamente inteso, secondo Aristotele, come un mu­tamento di affezioni in un corpo, viene interpretato dagli Empe­doclei come la penetrazione di particelle in spazi pseudo-vuoti di un corpo. Questa teoria, secondo quanto Rashed ha dimostra­to a proposito dell'esistenza di filosofi neo-Empedoclei, nonché la critica di Aristotele, è parte integrante di un acceso dibattito in materia di medicina, in quanto sarebbero qui in gioco i feno­meni terapeutici: in questo dibattito Aristotele prenderebbe le difese della tradizione medica ippocratica, all'interno della qua­le aveva operato professionalmente suo padre e da cui peraltro dipenderebbe anche la sua teoria degli elementi di GC II 1-4. 113

D'altra parte, gli apprezzamenti che Aristotele rivolge a più riprese in GC a Democrito non devono ingannare a proposito della posizione dello Stagirita nei confronti degli Atomisti. De­mocrito ha sì adottato una metodologia confacente al naturali­sta, ma ha sbagliato nel pensare che la materia possa essere suf­ficiente a spiegare causalmente i fenomeni, laddove sono al contrario le proprietà qualitative degli elementi a fungere da cause: il qualitativismo della teoria aristotelica della generazio­ne è uno degli aspetti profondamente antidemocritei di GC.

113 Cf. Rashed, Introduction, pp. XXIV ss. e XXXV e ss.

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Democrito ha spiegato la generazione e la corruzione come ag­gregazione e disgregazione degli atomi e quindi in modo erro­neo; ha pensato gli atomi quali principi primi indivisibili: un'as­sunzione teorica che va incontro a molte assurditù (I 2 ); 11111111ct­te il vuoto, contro cui Aristotele oppone una teoriu continuista. Ma se dal punto di vista fisico la filosofia di Democrito regge e si mostra priva di contraddizioni interne, è piuttosto in vistu del­la teoria sui viventi che l'atomismo risulta insostenihilc in ra­gione del ruolo che in Aristotele viene assunto dull 'ultcrnzionc. L'alterazione si mostra nel corso di GC come unu modulitù es­senziale del processo di generazione ncllu misuru in cui l'affezione diviene il fondamento del mutamento glohulc di un corpo e garanzia di una continuità, quella appunto contestata dagli Atomisti, che corrisponde a quel principio di stuhilitù che si manifesta nei fenomeni biologici. 114 Cosi, lu chimicu utomi­sta, che punta unicamente sulla materia, non può fornire le ra­gioni della coerenza dei corpi misti e della loro stuhilitù, 11011 è capace di spiegare i fenomeni in cui di fatto, in un mondo in continuo movimento, si coniugano la stabilità delle sost1111zc che deriva da un equilibrio di natura qualitativa dci corpi con i I con­tinuo disfacimento di questo equilibrio in vista di un nuovo e­quilibrio che si realizza nel medesimo corpo che mutu o in un nuovo corpo che si genera. In questa congiunzione di equilibrio e disequilibrio, di stabilità e mutevolezza, consiste, come ho più volte sottolineato, tutta l'originalità e la forza straordinuriu della chimica fisica di Aristotele.

A partire da I 6 fino alla fine del libro I, Aristotele offre del­le argomentazioni, quelle sul contatto (I 6), sull'asire e il patire

- (I 7-9) e sulla mescolanza (I 10), che sono fondamentali per una teoria completa dei mutamenti naturali, ma che allo stesso tem­po sono mosse in direzione della mescolanza, nella misuru in cui l'universo naturale aristotelico è di fatto popolato da sostan-

114 Aristotele pensa che tutta la realtà dei viventi sia organiz:r.utu finalisti­camente, nonostante che alcune caratteristiche dei viventi sembrino non aver scopo alcuno, cf. P. Pellegrin, De l'explication causale dcms la hioloKie d'Aristote, «Revue de Métaphysique et de Morale», 95/2, pp. 197 RH.

Introduzione 93

ze che sono il prodotto di miscugli chimico-fisici nei più svaria­ti modi, ma sempre riconducibili a quattro proprietà fondamen­tali (caldo, freddo, umido e secco). Queste nozioni che comple­tano il libro I sono necessarie per comprendere le trasformazio­ni degli elementi, che sono il principale oggetto di studio del II libro di GC, e la costituzione degli omeomeri, argomenti che peraltro rimandano entrambi al IV libro dei Meteorologica. So­no appunto gli elementi e i corpi omeomerici che rappresentano l'oggetto di interesse di GC: i primi perché tramite la teoria de­gli elementi e delle loro proprietà Aristotele può mostrare in concreto come operino e in che cosa si differenzino la genera­zione assoluta e l'alterazione e, quindi, in che modo la sua teo­ria, che egli considera come quella corretta, si differenzi dalla teoria dei Presocratici e di Platone; i secondi perché tutta la teo­ria che differenzia i processi e che li mostra operativi a livello elementare non perde mai di vista, in ultima analisi, le applica­zioni di tali processi ai corpi viventi, cioè ai corpi misti.

Il progetto che Aristotele si propone di svolgere in GC ha bi­sogno allora di essere analizzato e giudicato nella sua globalità, perché il libro I, che ha il merito di differenziare una volta per tutte le diverse modalità del divenire, trova la sua conferma nel­la teoria della trasformazione degli elementi e nella generazione degli omeomeri. Ma GC ha anche bisogno di essere collocato nel quadro più ampio, non ancora adeguatamente valutato dagli studiosi di Aristotele, dell'intero corpus degli studi aristotelici sulla natura, per comprendere se gli scritti sulla natura si debba­no considerare come un insieme autoreferenziale e chiuso oppu­re, come io credo, piuttosto come elemento di una costruzione filosofica più ampia e generale. E ancora, la teoria espressa in GC ha bisogno di fare i conti con l'intera filosofia aristotelica: l'impianto filosofico di Aristotele, per quanto si pronunci a fa­vore dell'autonomia dei singoli ambiti scientifici, deve essere valutato nella sua globalità. Solo in questo modo, infatti, è pos­sibile spiegare passaggi che rimarrebbero altrimenti incompren­sibili, come è il caso, ad esempio, del discorso sulla causalità di GC II 9, che mette insieme i principi causali degli enti eterni e degli enti che si generano, in cui la causa formale può essere

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compresa bene attraverso ciò che Aristotele insegna sul proble­ma della sostanza nei libri centrali della Metafisica, 115 in cui si riscontra un significato di sostanza quale forma che, pur essen­do la forma di un ente composto, può essere concepita metafisi­camente come una forma eterna e senza materia. Allo stesso modo, la funzione di motore che in GC I 7 viene assegnata alla forma non è diversa da quella di cui ci vien detto più volte sia nella Fisica che nella Metafisica, e con cui Aristotele risolve la difficoltà posta dalla filosofia platonica di una causa formale che può dirci cosa gli enti sono ma non può spiegarci il loro movimento.

115 Per i rapporti di GC con la Metafìsica aristotelica cf, M. M liillmi,

Rapporti fra la Metafisica e il De generatione et corruptione, in A. B1u111l11 & G. Reale a cura di, Aristotele. Perché la Metafisica, Milano 1994, pp. J?<i-396.

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Aristotele

Sulla generazione e la corruzione

Traduzione, Note e Testo

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Premessa

a) L'edizione di M Rashed L'anno 1922 segna una data altamente significativa nella

storia dell'edizione del De generatione et corruptione: viene pubblicata a Oxford l'edizione curata da H.H. Joachim, On Co­ming-to-be and Passing-away, a Revised Text with Introduction and Commentary. I tre secoli che separano la prima edizione del testo, che è l'edizione aldina in sei voll. degli scritti di Aristote­le, risalente agli anni 1495-1498, dall'edizione Bekker del 1831, registrano diverse edizioni di GC, 116 ma l'edizione di Joachim ha il pregio di presentare un testo che tiene conto anche della lettura di un nuovo manoscritto, siglato J, il Vindobonensis phil. Graec. 100, risalente alla prima metà del X sec., che è quindi il più antico ms fra quelli collazionati fino a quel momento. 117

Uno studio attento del manoscritto induce Joachim a ricono­scergli la stessa importanza di E, il Parisiensis Regius 1853, del X sec., che è il ms principale e anzi egli riconosce che è preferi­bile assumere la lettura di J contro quella di E e di altri mss del­la stessa famiglia. 118 Sulla scorta del Vindobonensis Joachim riesce a correggere diversi errori di Bekker riprodotti da Prantl nell'edizione teubneriana del 1881: è evidente, quindi, che l'apporto prezioso del Vindobonensis produce un testo nuovo rispetto al passato, un testo che, peraltro, la perizia filologica di Joachim rende altamente attendibile. 119

116 Tutte registrate da Migliori, pp. 269-271. Posteriore all'edizione Bek­

ker c'è inoltre un'edizione della Bibliotheca Teubneriana ad opera di C. Prantl dell881.

117 M.J. Irigoin, L 'Aristate de Vienne, «Jahrbuch der osterreichischen byz­

antinischen Gesellschaft», 6 (1957), pp. 5-1 O. 118 Cf. Joachim, Introduction, pp. VII-VIII. 119

L'edizione è seguita da un attento commentario di grande valore, al quale è utile che ricorra chiunque abbia interesse di comprendere il testo di GC. Peraltro qualche anno dopo, nel 1952, Joachim ha pubblicato per l'Encyclopaedia Britannica una traduzione di GC, già indicata in queste note, in W.D. Ross ed., The Works ofAristotle, voi. I, pp. 407-441.

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98 Traduzione e Testo greco

Si giunge così al 1966, quando viene pubblicata per Les Bel­/es Lettres una nuova edizione, curata da Ch. Mugler. Questa edizione tiene conto degli stessi mss utilizzati da .Joachim, non­ché delle edizioni principali e più recenti, quelle cioè di Bekkcr, di Prantl e dello stesso Joachim. Il risultato non è tuttavia quello sperato, tanto che le traduzioni successive all'edizione di Mu­gler, come quella di Migliori, scelgono di seguire il testo dell'edizione Joachim.

La svolta decisiva in questa tradizione ecdoticu di (ì(' si ha con l'edizione recentissima di M. Rashed, pubblicutu per !~es

Bel/es Lettres nel 2005, con il chiaro intento di sostituire l'edizione di Mugler e di superare di fatto tutte le precedenti fa­si editoriali. Rashed tiene nella massima considerazione, come egli stesso dice, l'ottima edizione di Joachim, 1

!o 11111 propone una rilettura del testo tenendo conto di elementi ussolutu111ente nuovi. Egli tralascia le lezioni greco-latine, di cui .louchi111 ha tenuto conto nelle note del suo apparato critico sollo 111 sigla I', per il fatto che sono stati identificati gli esempluri y.rcl'i delle due traduzioni latine rimaste, quella di Burgundionc di l'isu e l'altra di Guglielmo di Moerbeke, rispettivamente nei mss /,i111-

rentianus 87.7, siglato F, e nel già citato Vindolwnc•m·/,,· 11/iil. Graec. 100. 121 Sulla base di queste identificazioni, quindi. Ru­shed giustamente non riconosce alle lezioni greco-latine ulcun valore filologico indipendente. Ma ciò a cui l'edizione: Ji Ra­shed attinge e che nessuno prima di lui aveva tenuto In conside­razione è la tradizione araba. Ciò che fornisce un apporto note­vole e interessante alla ricostruzione del testo di (](' fnttn da Rashed è soprattutto la traduzione araba del IX secohl ONC~uita da Ishaq ibn Hunayn: essa è perduta nell'originale, co•I come è

12° Cf. Rashed, Avant-Propos p. VIII. 121

Cf. G. Vuillemin-Diem & M. Rashed, Burgundia de Pl11 ",,,. m11n11-scrits grecs d'Aristote: Laur. 87.7 et Laur. 81.18, «Recherch11 dt Th~11l1111ic et Philosophie médiévales», 64 (1997), pp. 136-198. Per quanto rt1u1rd11 Inve­ce Guglielmo di Moerbeke si vd. G. Vuillemin-Diem, La traductlmt th /11 Mé­taphysique d'Aristote par Guillaume de Moerbeke et son a1mplulf'ff 111•1•1·: Vind. Phil. gr. 100 (J), in J. von Wiesner hrsg., Aristate/es. W1rlt """ W/1·­kung, P. Moraux gewidmet, Berlin-New York 1987, 2 Band, pp. 434-411t'I.

Premessa 99

perduta la versione siriaca da cui deriva, ma è ricostruibile con l'aiuto della versione latina che ne ha fatto Gerardo da Cremona nel XII sec. e della versione ebraica eseguita da Zerahyiah ibn Ishaq nel XIII sec. 122 Ne è risultata un'edizione, come dice lo stesso Rashed, «plus rugueuse, voire moins correcte, que celle qui était communément reçue, sans que le sens soit pour autant très affecté». 123 In particolare vengono restituiti al loro genuino senso filosofico ventiquattro passaggi, tutti indicati dallo stesso Rashed nel suo Avant-Propos, e precisamente: 315b 14-15; 316a24; 316b2; 317all; 317a28; 317b24; 318a5-6; 320bl; 320b19-20; 320b22-25; 322a8-13; 322a28-33; 322b12; 325al7; 325a25-29; 326a3; 326a13-14; 326al8-20; 327a20-21; 328b13; 330b31-32; 33 la21; 334a8-9; 338a6-10. Di questi interventi di Rashed sul testo, ma anche di altre scelte testuali - in alcune delle quali, ad esempio, ritorna al testo di Joachim inopportu­namente corretto da Mugler - io discuto nelle note alla tradu­zione in corrispondenza ai rispettivi luoghi. Nella stragrande maggioranza dei casi una riflessione attenta conduce alla con­clusione che si tratta di scelte più che opportune, perché resti­tuiscono un testo filologicamente attendibile ed efficace sul pia­no dell'interpretazione filosofica del pensiero aristotelico.

La punteggiatura di Rashed riporta anch'essa delle significa­tive differenze migliorative rispetto alle edizioni precedenti, con il risultato di offrire un testo più ordinato e più coerente, soprat­tutto se si considera la difficoltà di comprendere, nei frequentis­simi contesti in cui si parla delle dottrine dei predecessori,

122 Cf. M. Rashed, lntroduction, pp. CLXXXVII- CLXXXVIII. La ver­sione ebraica è stata editata con traduzione latina da A. Tessier, La traduzione arabo-ebraica del De generatione et corruptione di Aristotele, in Atti dell'Accademia dei Lincei, serie VIII, XXVIII fase. 1, 1984, pp. 5-123. Studi su queste traduzioni della traduzione araba di Ishaq ibn Hunayn sono quelli di G. Serra, Note sulla traduzione arabo-ebraica del 'De generatione et corrup­tione' di Aristotele, «Giornale critico della filosofia italiana», 52 (1973), pp. 383-427; Id., Alcune osservazioni sulle traduzioni dall'arabo in ebraico e in latino del De generatione et corruptione di Aristotele e dello pseudo­aristotelico Liber de causis, in Scritti in onore di C. Diano, Bologna 1975, pp. 385-433.

123 Rashed, Avant-Propos p. VII.

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100 Traduzione e Testo greco

quanto Aristotele attribuisca a questi filosofi, quanto è invece una sua critica esplicita e quanto sia una sua valutazione perso­nale di teorie che possono ricavarsi da quelli pur non essendo state pensate in quel modo specifico. Vengono eliminati i tratti lunghi dell'edizione Joachim, che normalmente sono adoperati per indicare un'espressione parentetica, ma che nella stragrande maggioranza dei casi nell'edizione Joachim aprono l 'espres­sione senza chiuderla; i frequenti punti in alto di Joachim diven­tano spesso nell'edizione Rashed opportunamente dci punti fermi; vengono eliminate delle parentesi che Joachim ha inseri­to nel testo; 124 vengono eliminate delle cruces che l'edizione Joachim presenta, 125 oppure, fatto forse ancora più significativo, l'interrogativo punto e virgola è spesso trasformato in punto in alto 126 o punto fermo. Quest'uso della punteggiatura è forse I 'a­spetto che più differenzia l'edizione di Rashed rispetto a quella di Joachim (a parte, ovviamente, la restituzione dei ventiquattro passaggi a cui accennavo prima), più ancora delle inversioni di termini rispetto a quella edizione o dell'inserimento talvolta di un yaQ127 o ancora della scelta di una lezione differente o di una espunzione.

Tutti questi aspetti - e taccio qui dell' Introduction e delle Notes Complémentaires che mi sono stati utilissimi al fine di in­terpretare a mia volta il testo aristotelico e a cui rimando fre­quentemente nel corso del mio commento - rendono ragione della traduzione che qui propongo come la prima in lingua ita­liana del trttato aristotelico secpondo l'edizione Rashcd.

b) Considerazioni sulla presente traduzione Nel tradurre il testo di GC ho seguito fedelmente l'edizione

critica di M. Rashed che ho preferito collocare, riproducendola tuttavia senza l'apparato, subito dopo la traduzione per comodi-

124 Si vd. a scopo esemplificativo 314a18 e24 o 314b22 e 23, 314b25, cc-

ce tera. 125 Cf. 315a27-28. 126 Cf. 316b6. 127 Cf. 316b2.

Premessa 101

tà del lettore, non avendo potuto per ragioni tecniche predispor­re il testo a fronte. Un accurato confronto tra le scelte filologi­che di Rashed con quelle dei precedenti editori, Joachim com­preso, mi hanno convinto della loro assoluta correttezza, al pun­to da non proporne la benché minima revisione. Il testo che, come dicevo, il lettore trova subito dopo la traduzione coincide esattamente con quello edito da Rashed. Il lettore troverà quindi anche tradotte le espressioni che Rashed ha ritenuto di mantene­re fra parentesi quadre senza espungerle. Le pagine dell'edi­zione Bekker si trovano tra parentesi quadre sciolte sia nella traduzione che nel testo greco. Pur rispettando, come fa del re­sto Rashed, la divisione tradizionale in capitoli, io ho corredato questi ultimi di titoli in neretto, suddividendoli secondo il con­tenuto in paragrafi con titoli in corsivo. Sia i titoli dei capitoli in neretto che i titoli dei paragrafi in corsivo sono delle aggiunte al testo.

Devo aggiungere che ho cercato di confrontare la mia tradu­zione con le principali traduzioni moderne di questo testo, so­prattutto con le traduzioni di Rashed, di Joachim e con quella i­taliana di Migliori, ma anche con le altre indicate in Bibliogra­fia e di cui fornisco le opportune valutazioni nelle note alla tra­duzione. Ovviamente, ho tenuto conto di tutte queste traduzioni tenendo sempre ben presente le edizioni del testo greco sulle quali di volta in volta erano state condotte.

Page 51: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

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Libro I

1. Impostazione del problema e teorie dei predecessori

Oggetto del trattato [314a] A proposito poi 128 della generazione e della corruzio­

ne degli enti che si generano e si corrompono per natura, 129 oc­corre distinguere, così come si fa per ogni tipo di indagine, le

1 d fi . . · 130 d' 131 . cause e e e m1z10m 1 esse, e ancora, a proposito dell'aumento e dell'alterazione, occorre farsi un'idea di che co­sa siano l'uno e l'altra, e se alterazione e generazione abbiano la medesima natura, o abbiano natura distinta, cosi come hanno distinti anche i nomi. 132

128 Il òÉ con cui ha inizio questo scritto di Aristotele è stato fin dall'antichità (cf Filop. In GC 2,22 ss.) messo in rapporto con la fine di Cael. Questo legame di continuità fra GC e Cael., soprattutto Cael. III-IV, è stato oggetto di diversi studi ed è preso in considerazione anche dal recente articolo di J. Brunschwig, On Generation and Corruption I. i cit., pp. 28-31. Per i det­tagli di questa questione cf. l'Introduzione di questo volume § 1.

129 Sul fatto che il titolo del trattato sia preso da questa prima linea e sul significato che questo può avere in ordine alla composizione dell'opera cf. J. Brunschwig, On Generation and Corruption I.l cit., pp. 26-27. L'espressione Tiilv cpuaEt ytvoµévrov xaì cpSEtQoµévrov indica che qui Aristotele si propone di trattare in modo specifico il problema della nascita e morte delle sostanze naturali escludendo del tutto il problema del divenire degli enti artificiali, in­sieme con il quale in più passaggi delle sue opere Aristotele ha trattato diffu­samente del divenire naturale: si cf. almeno Aristot. Phys. II I e Meta. VII 7.

130 Mi sembra che qui ToÙç A.6youç significhi le definizioni della genera­zione e della corruzione, così come ritiene Joachim, Comm. p. 62, e come ri­tengono la maggior parte degli interpreti. Non mi sembra indovinata la tradu­zione di Rashed, "les raisons" (vd. anche Migliori), che deve essere inteso, come egli stesso spiega alla nota 4 di p. 85 richiamandosi a PA I I, 639bl6-19, nel senso di cause finali (Mugler traduce infatti "fins"), perché io non cre­do che Aristotele dia preminenza alla causa finale sulle altre cause a proposito dei processi di generazione e in generale di divenire (cf. G.R. Giardina, I fon­damenti della causalità naturale. Analisi critica di Aristotele, Phys. II, Cata­nia 2006, pp. 259-282).

131 Scii. della generazione e della corruzione. 132 Il programma che Aristotele si pone già in queste prime linee è abba­

stanza chiaro: egli sa, e lo chiarirà bene in seguito nella sua analisi, che i filo-

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104 Aristotele

Empedocle, Anassagora, Leucippo e Democrito Ebbene, tra gli antichi alcuni dicono che la cosiddetta gene­

razione assoluta è <in effetti> un'alterazione, altri che alterazio­ne e generazione sono cose diverse. 133 Coloro, infatti, che dico­no che l'universo è qualcosa di unico e che tutto nasce da quest'unica cosa, 134 sono costretti a sostenere che la generazio­ne è alterazione e che <quindi> il "generarsi" in senso pro­prio 135 sia un "alterarsi". Coloro, invece, che pongono piu di una sola materia, 136 come ad esempio Empedocle e Anassagora e Leucippo, sono costretti a dire che <alterazione e generazio­ne> sono cose diverse. 137 E tuttavia Anassagora ha ignorato il senso proprio di tale asserzione: 138 da un lato dice, infatti, che il generarsi e il corrompersi si possono sussumere sotto il mede­simo concetto dell'alterarsi, 139 dall'altro lato sostiene, alla stessa

sofi che lo hanno preceduto hanno confuso la generazione, l'alterazione e l'aumento. Ma da Phys. V 1-2 si comprende bene che la generazione (yéve­cru;) secondo la sostanza, ovvero la generazione dal non essere ali' essere, è cosa ben diversa dall'alterazione, che è un mutamento di qualità, e dall' au­mento, che è un mutamento di quantità, e che entrambi questi mutamenti sono un divenire (yiyvecr8m) dall'essere all'essere. Si vd. anche Meta. VII 7, 1032a15 ss.

133 €-reQOV Joachim seguito da Rashed, correttamente: €-reQOt Mugler. In

nessuna di queste tre edizioni trovo alcuna indicazione in app. 134 Si tratta dei monisti. 135

XUQtOJç ha qui, secondo Filop. Jn GC 10,29-30, lo stesso significato del precedente anìdìv (li. 6).

136 Si tratta dei pluralisti, di cui si fanno subito alcuni nomi.

137 Cf. 314b4-5 e 314b10-11. 138

In altri termini, si contraddice; cf. Rashed note 8 e 9 alle pp. 86-87. L'espressione -r~v oixeiav cprov~v Ìjyv6T]crev, come è facile immaginare, è stata interpretata in moltissimi modi, per i quali rimando a J. Brunschwig, On Generati on and Corruption 1.1 cit., p. 44 nota 4 7.

139 L'espressione -rò yiyvecr8at xaì àn6Uucr8m -raù-ròv xa8écr-rT]XE -réji

àUot0ùcr8m richiama da vicino quella di Phys. I 4, 187a30, in cui Aristotele prende in esame sempre Anassagora dicendo -rò yi yvecr8m -rot6voe xa8é­cr-rT]xev àì..ì..otoùcr8m. Rashed ritiene che si tratti non di una specifica dottrina di Anassagora, ma di un modo comune di pensare o comunque di una dottrina precedente ad Anassagora, che quest'ultimo avrebbe fatta propria ( cf. Rashed nota 2 p.)7). Per una indagine a proposito del luogo in cui Anassagora avreb-

Sulla generazione e la corruzione Libro I 105

maniera degli altri <pluralisti>, che esistono molti elementi. 140

Empedocle, infatti, sostiene che gli elementi corporei sono quat­tro, ma che se si aggiungono i principi del movimento141 si arri­va al numero di sei, mentre Anassagora e Leucippo e Democrito sostengono che sono di numero infinito. Il primo, infatti, pone gli elementi omeomerici, 142 quali ad esempio osso, carne, mi­dollo e tutti gli altri elementi in ciascuno dei quali la parte ha lo stesso nome del singolo elemento. Democrito e Leucippo inve­ce dicono che tutti gli altri corpi sono composti da corpi indivi­sibili - questi ultimi sono infiniti di numero e di forma - e diffe­riscono 143 tra loro in funzione di come sono posti e ordinati que­sti elementi indivisibili di cui si compongono. Sembra infatti che Anassagora dica il contrario di quel che dice Empedocle; 144

quest'ultimo infatti dice che gli elementi sono quattro: fuoco, acqua, aria e terra, e che essi sono piu semplici della carne e

be identificato generazione e alterazione si vd. J. Brunschwig, On Generation and Corruption 1.1 cit., pp. 44 ss.

140 Per Aristotele, infatti, la mescolanza di cui parlano i pluralisti come generazione è al contrario alterazione, cf. GC I 10, mentre la pluralità degli e­lementi dipende dal fatto che si generano reciprocamente.

141 Cioè i principi dell'Amore e dell'Odio che fanno muovere il tutto. Essi sono corporei come lo sono i quattro elementi ( cf. Fil op. In GC 11,21 ss. non­ché Joachim, Co mm. p. 64 ), ma non possono essere considerati alla stessa stregua dei quattro elementi, per cui preferisco chiamarli "principi".

142 Il termine 6µotoµeQfj è, come è noto, un termine aristotelico, con cui vengono indicati i "semi" (crnéQµa-ra) di Anassagora. 6µot0µeQfj indica bene come ciascuna materia non muti la sua natura qualitativa man mano che venga suddivisa in particelle sempre più piccole, nel senso che la qualità di ciascuna particella infinitesimale di materia in Anassagora possiede la medesima quali­tà del corpo di cui è parte. D'altra parte, i semi di un corpo si mescolano ai semi di tutti gli altri corpi (6µoù mina), anche se la qualità apparente del cor­po diRende dalla prevalenza di un determinato tipo di semi.

1 3 Soggetto di owcpéQEt v della li. 23 è -ràUa di li. 21. 144 In questo punto l'edizione Rashed segna il punto in alto, a differenza di

Joachim che ha un punto fermo, e tuttavia continua con la maiuscola come se ci fosse un punto fermo. Ho accolto quindi il punto alto di Rashed correggen­do la maiuscola seguente in minuscola.

Page 53: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

106 Aristotele

dell'osso e delle omeomerie del genere, mentre Anassagora145

dice che le omeomerie sono elementi semplici e che invece ter­ra, fuoco, acqua e aria sono cose composte, [314b] perché essi hanno tutti quanti i semi. 146

Contro Empedocle e gli Empedoclei Coloro che dicono che ogni cosa nasce da un unico elemen­

to, sono costretti, dunque, ad asserire che la generazione e la corruzione sono alterazione, perché il soggetto - essi dicono -rimane sempre identico e unico; un tale processo però noi lo chiamiamo "alterarsi"; 147 coloro invece che pongono una mol­teplicità di generi <elementari>, 148 sono costretti ad asserire che l'alterazione differisce dalla generazione, perché a seconda che tali elementi si aggreghino o si disgreghino si ha la generazione o la corruzione. È per questo che anche Empedocle si esprime in questo modo: «Nulla si genera 149 ... ma c'è soltanto mesco­lanza o separazione150 degli elementi che si sono mescolati». 151

145 Mi sembra che, nonostante l'oi 8f; di questa li. 28 potrebbe autorizzare

a intendere Anassagora assieme ai suoi seguaci, qui ci si riferisce al solo A­nassagora, come accade comunemente in espressioni oi nEQÌ x-rÀ.

146 Sono composti cioè di tutti quanti i corpi semplici.

147 Si ha, cioè, alterazione solo quando il soggetto che si altera, ovverosia

muta qualitativamente, rimane sempre lo stesso, nonostante le alterazioni che subisce. Queste li. 314bl-4, che riguardano la teoria dei monisti sono state as­sunte, insieme ad altri passaggi, a sostegno della teoria della materia prima in Aristotele: J. Brunschwig, On Generation and Corruption I.i cit., pp. 39-42, ritiene che in I 1 la critica ai monisti sia tale da respingere delle assunzioni che sono alla base della teoria della materia prima.

148 Cf. Filop. In GC 14,11. Già Platone, Tim. 54b chiama gli elementi

• )'Évri. 149

Intendo cpucnç nel senso di yÉvecnç come avviene nella tradizione dosso grafica. Non si tratta tuttavia dell'unica interpretazione possibile: per una discussione più approfondita rimando a Rashed, nota 3 p. 91, il quale met­te a confronto le sei versioni di questo frammento (quattro riprese da Aristote­le - rispettivamente GC I 1, 314b7-8, GC II 6, 333bl3-16, Meta. V 4, 1015al-3 e lAnonimo MXG 2,975b6-8 -, una da Plutarco, Adv. Colotem, 111 lF, e una da Aezio, Plac. 30,1). Anche Rashed interpreta cpucnç nel senso di yÉve­cnç come già Joachim, il quale fa riferimento a Phys. II 1, 193b 12, contesto in cui la cpucnç si presenta effettivamente come nozione non diversa dalla nozio­ne di divenire, i cui principi sono stati posti da Aristotele nel libro I. Su questa

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Sulla generazione e la corruzione Libro I 107

Che sia questo, dunque, il discorso che quei filosofi [scii. i pluralisti] pronunciano come appropriato alla loro ipotesi, risul­ta evidente, cosi come è evidente che essi si esprimono in que­sta maniera; ma è necessario anche che essi dicano che l'alte­razione sia altro dalla generazione, sebbene ciò sia impossibile, stando a quello che essi sostengono. 152 Che sia corretto questo che noi diciamo, si può comprendere facilmente. Cosi come, in­fatti, noi vediamo che la sostanza, anche quando è in quiete, su­bisce mutamento di grandezza, quello cioè che si chiama au­mento o diminuzione, allo stesso modo essa subisce anche alte­razione. Nondimeno, da quello che dicono coloro che pongono pili di un solo principio <elementare>, l'alterarsi risulta impos­sibile.153 Le proprietà secondo cui noi diciamo che ciò. accade, infatti, sono differenze che appartengono agli elementi, 154 in-

citazione aristotelica di Empedocle si vd. anche J. Brunschwig, On Generation andCorruption/.l cit.,pp. 51-55.

150 8taì..ì..a1;tç significa comunemente scambio, ma può significare anche conciliazione (Migliori sceglie quest'ultimo significato, cf. la nota 28 p. 140, dove però non si dà spiegazione di che cosa possa significare «conciliazione fra le cose mescolate»). Tuttavia la tradizione dosso grafica ha inteso questo termine come equivalente a 8taXQtcnç (cf. trad. Tricot, ad !oc.).

151 Cf. Vors. 31 B 8, dove peraltro è indicata anche la testimonianza di A­et. I 30,1, che scrive 8tacnacnv al posto di 8taUa1;tç. Come nota Migliori (vd. nota 29 p. 140), la citazione di Empedocle «suona maliziosa», per il fatto che, se può sembrare che la generazione sia identificata con la mescolanza, in realtà la generazione è semplicemente negata mentre solo la mescolanza è af­fermata (e con essa la separazione).

152 L'alterazione è in effetti una trasformazione delle proprietà degli ele­menti, ma Empedocle e gli Empedoclei, sui quali si focalizza l'attenzione di Aristotele qui come in molti altri passaggi del trattato, non ammettono la tra­sformazione di un elemento in un altro - che per Aristotele sarebbe genera­zione - e quindi nemmeno la trasformazione di una proprietà dell'elemento nella ~roprietà contraria.

15 Si aggiunge un altro problema: da un lato i pluralisti, ammettendo più principi materiali, sono costretti ad affermare che generazione e alterazione sono cose diverse, dall'altro lato però, le loro dottrine implicano anche che l'alterazione è impossibile. J. Brunschwig, On Generation and Corruption I.l cit., pp. 55 ss. mostra che si tratta qui di una critica ad Empedocle.

154 Si tratta in effetti, come risulta dagli esempi, di proprietà contrarie de­gli elementi .

Page 54: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

108 Aristotele

tendo dire, ad esempio, caldo/freddo, bianco/nero, secco/umido, molle/duro e ogni cosa del genere, 155 come dice anche Empedo­cle: «Guarda 156 il sole bianco e caldo dappertutto, e la pioggia in tutto scura157 e fredda». 158 E anche a proposito degli altri enti fa simili distinzioni. 159 Ne consegue che, se non è possibile che da fuoco si generi acqua né da acqua terra, non si genererà nep­pure da bianco nero né da molle duro, e lo stesso discorso varrà anche per le rimanenti proprietà: ma in questo <appunto> consi­ste l'alterazione. 16° Cosi è evidente anche che bisogna porre sempre sotto le proprietà contrarie un'unica materia, la quale muterà o di luogo, o per aumento o diminuzione, o per altera­zione.161 E ancora, sono ugualmente 162 necessarie quest'unica materia e l'alterazione, perché se c'è alterazione, [315a] ci sarà anche come soggetto un unico elemento e un 'unica materia per tutte le proprietà che mutano l'una nell'altra, e <per converso> se c'è un unico soggetto, c'è alterazione.

155 Cioè ogni altra coppia di contrari. 156 La lezione, OQa, preferita da Rashed perché tramandata dai subarcheti­

pi EL (rispettivamente il Parisinus graecus 1853 e il Vaticanus graecus 253) e già difesa da Wilamowitz (cf. Vors. in app. p. 319), può trovare giustificazio­ne in corrispondenza con l'altro imperativo, OÉQXeU, che lo precede nel mede­simo fr. 21.

157 Rashed preferisce la lezione ovocpÉoVTa alla lezione 8vocp6evTa e ne fornisce una convincente giustificazione nella nota 1 O a p. 94.

158 Cf. Vors. 31B21. 159 Li definisce, cioè, secondo proprietà contrarie. 160 Empedocle, quindi, è in contraddizione con la realtà fenomenica (cf. le

li. 3 l 5a3-4), in cui secondo Aristotele, in verità, non sono le proprietà che mu­tano l'una nell'altra, ma è lo stesso soggetto che, alterandosi, assume ora l'una ora l'altra, come si comprende da ciò che egli spiega immediatamente dopo.

161 Si tratta dei tre soli tipi di movimento ammessi da Aristotele, cioè quel­lo secondo il luogo, quello secondo la quantità e quello secondo la qualità, cf. Phys. V2.

162 Qui òµoiroç indica il legame logico che lega necessariamente l'unicità del soggetto e l'alterazione, nel senso che là dove c'è un unico soggetto che muta c'è anche alterazione, e viceversa.

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Sulla generazione e la corruzione Libro I 109

Sembra dunque che Empedocle sia in contraddizione sia con i fenomeni che con se stesso. 163 Mentre dice, infatti, che nessun elemento si genera dall'altro, ma che dagli elementi si genera tutto il resto, al tempo stesso dice che quando la natura intera, ad eccezione della Discordia, si raduna in unità, da quest'unità si genera di nuovo ogni singola cosa. Ne consegue evidente­mente che da una certa unità, separandosi in virtu di certe diffe­renze e proprietà, si generino l'acqua e il fuoco, o, per dirla con le sue parole, il sole bianco e caldo e la terra pesante e dura: e­liminate, dunque, queste differenze (perché sono in effetti eli­minabili in quanto generate), è chiaro che necessariamente si generino sia terra da acqua sia acqua da terra, e parimenti cia­scun altro elemento, non solo allora, 164 ma anche adesso, in quanto mutano nelle loro proprietà. Ma da quel che egli dice ri­sulta possibile che gli elementi possano unirsi e separarsi di nuovo, specialmente perché la Discordia e l'Amore sono ancora in conflitto tra loro. Perciò anche allora [sci/. all'origine] <gli elementi> furono generati a partire dall'unità, perché appunto fuoco e terra e acqua non esistevano <come tali> quando il tutto era uno. 165

Non appare chiaro, però, se come principio si debba porre, secondo Empedocle, l'uno o i molti, intendo dire fuoco e terra e gli elementi loro accoppiati. 166 Infatti, se viene posto come ma-

163 Empedocle è in contraddizione con i fenomeni perché nega l'alterazione, ed è in contraddizione con se stesso sotto questi tre aspetti che Aristotele elenca subito dopo: 1) pone come principi i quattro elementi che a suo parere non si generano l'uno dall'altro ma che, in realtà, non possono non generarsi l'uno dall'altro; 2) pone principi eterni che, in realtà, furono generati e lo sono ancora; 3) pone come fondamentale da un lato l'unità e dall'altro la­to la molteplicità dei quattro elementi.

164 Al momento, cioè, della prima generazione del cosmo per via di sepa­razione ad opera della Discordia.

165 Cioè quando lo Sfero è composto e quindi non ci sono differenze fra gli elementi (cf. Joachim Comm. p. 69).

166 "Aoriì..ov oi: xaì n6TeQOV <iQx~v aù•iii OnÉ:ov TÒ €v Ti Tà nona, À.É:yro oÈ 7tUQ xaì. yljv xaì Tà crucnoixa TOUTrov: l' aùTiii che precede OeTÉ:­ov, nei codd. H ed L (rispettivamente Vatic. gr. 1027 e Vatic. gr. 253), si leg­ge aÙTéòv come v.l., lezione che è accolta da Mugler, il quale dà questa tradu-

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110 Aristotele

teria dalla quale si generano terra e fuoco per mutazione dovuta a movimento, l'uno è elemento; se invece l'uno viene fatto de­rivare da una composizione degli elementi uniti tra loro, questi derivano da una scomposizione, e appaiono pili elementari <dell'uno> e primi per natura. 167

zione: «Aussi est-il incertain s'il faut poser comme principe, pour le feu, la terre et !es autres éléments qu'Empédocle leur joint, l'unité ou la pluralité». Sembra che Mugler anticipi, nel tradurre questo passaggio, la proposizione in­cidentale À.Éyco lìÈ XTÀ.., riferendola non al pollav, come appare corretto fare\ ma all'aujtw'n in questione. Il senso, dunque, della traduzione di Mugler, sa­rebbe il seguente: non è chiaro se Empedocle ponga come principio degli ele­menti, cioè del fuoco, della terra e degli altri elementi loro congiunti, l'uno o i molti. Che sia di tale natura l'interpretazione di Mugler, lo conferma egli stes­so alla nota complementare 4 di pag. 77, dove appunto si dice che «Aristote se demande ici ce qui est primordial dans le système d'Empédocle, l'unité du mélange dans le Sphairos homogène, ou la pluralité des quattre éléments su­perposés dans l'univers». Non c'è chi non veda l'assurdità di tale interpreta­zione: sarebbe come dire che ad Aristotele non appare chiaro se Empedocle consideri come principio dei quattro elementi l'unità o gli stessi quattro ele­menti, per quanto stratificati o sovrapposti siano. Invece l'incertezza per Ari­stotele consiste nel fatto di sapere se all'inizio c'è l'unità omogenea dei quat­tro elementi (determinata dall'Amore) o la pluralità disomogenea degli stessi quattro elementi (determinata dalla Discordia). Se accettiamo la lezione aÙTijì, che si legge peraltro già in Joachim, il passaggio appare chiaro, perché il rife-

- rimento è ad Empedocle, .il quale si contraddice perché - dice Aristotele -, da una lato fa nascere gli elementi dall'uno originario (che sarebbe l'unità indif­ferenziata degli stessi elementi) e dall'altro lato sostiene che gli elementi si generano l'uno dall'altro (li. 315al 1 ss.).

167 L'uno è ovviamente lo Sfero: la contraddizione di Empedocle consiste nel fatto che da una parte lo Sfero è ciò da cui emergono i quattro elementi per opera di Amore e Discordia, per cui l'uno è elementare o principiale rispetto agli elementi; dall'altra parte, però, lo Sfero non ha senso se non come com­posizione perfetta dei quattro elementi stessi, per cui questi ultimi sembrereb­bero più elementari e primi rispetto all'uno. Empedocle rischia di sembrare un monista!

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Sulla generazione e la corruzione Libro I

2. Critica degli Atomisti e di Platone: il problema degli indivisibili

Oggetto del trattato; superiorità degli Atomisti

111

Bisogna ora parlare in generale della generazione e della corruzione assolute, dire cioè se esistono o non esistono o in che modo esistono, e parlare anche degli altri movimenti, 168 ad e­sempio dell'aumento e dell'alterazione. Orbene, Platone ha in­dagato soltanto sul come la generazione e la corruzione esistano nelle cose, e ha indagato non su tutti gli aspetti della generazio­ne, ma solo su quello che concerne gli elementi, senza dire nul­la, però, su come si generino e si corrompano la carne o le ossa o cose del genere; 169 e non ha detto neppure in che modo esista­no nelle cose l'alterazione o l'aumento. In generale nessuno ha prestato attenzione ad alcuna di tali questioni se non superfi­cialmente, ad eccezione di Democrito. Sembra che quest'ultimo abbia riflettuto su tutti quanti questi problemi, [315b] e che già si distingua <dagli altri filosofi della natura> per il modo di af­frontarli. Nessuno infatti, come dicevamo, ha fatto alcuna di­stinzione a proposito dell'aumento, se non dicendo quello che chiunque potrebbe dire, e cioè che le cose aumentano per l'ac­costarsi del simile al simile (ma in che modo ciò avvenga, non lo si dice), né della mescolanza, né, in breve, di alcun altro degli altri processi, ad esempio dell'agire o del patire, o del modo in cui, nelle produzioni naturali, una cosa agisca e un'altra patisca. Democrito e Leucippo, invece, dopo avere creato le figure, 170

ricavano da queste l'alterazione e la generazione, spiegando, da

168 Su questo punto la tradizione del testo ha dato origine fin dall'antichità a dubbi e correzioni, che io non intendo in questa sede riferire dettagliatamen­te, anche perché ritengo che in ogni caso il senso sia chiaro, si voglia o meno cambiare l'accusativo in genitivo ( TWV aÀ.À.cov Xl v~crecov preferito da Fil op. In GC 22,1-3, anziché Tàç; aÀ.À.aç; XlV~cre1ç;) e aggiungere o no l'attributo "sem­plici" ( TWY aÀ.À.COV <ÌTCÀ.WV Xl v~crecov).

169 Scii. i corpi omeomerici. 170 Indubbiamente deve trattarsi delle figure atomiche, con la cui aggrega­

zione o disgregazione gli Atomisti spiegavano il generarsi o il corrompersi degli enti naturali.

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112 Aristotele

un lato, che la generazione e la corruzione avvengono <rispetti­vamente> per aggregazione e disgregazione, 171 e, dall'altro lato, che l'alterazione avviene per ordine e posizione. 172 Ma poiché essi ritenevano che la verità consiste nell'apparire, e le cose che appaiono sono contrarie e infinite, hanno reso infinite le figure, in modo che dai mutamenti della loro aggregazione una mede­sima cosa possa apparire contraria a due differenti <soggetti senzienti>, e si possa trasformare per la mescolanza di una pur piccola particella, e, insomma, possa apparire diversa per una sola <pur piccola> trasformazione: dalle medesime lettere dell'alfabeto può nascere, infatti, una tragedia o una trugedia. 173

Generazione e aggregazione Ma poiché quasi tutti <i filosofi che ci hanno preceduti> ri­

tengono che generazione e alterazione siano cose diverse, e il generarsi e il corrompersi siano dovuti ad aggregazione e di­sgregazione, mentre l'alterarsi concerne il mutamento delle pro­prietà, allora occorre che si presti attenzione a tali questioni. Es­se contengono infatti molte e ragionevoli aporie. Dall'ipotesi che la generazione sia aggregazione risultano molte conseguen­ze impossibili; ma ci sono poi diversi ragionamenti cogenti e difficili a confutarsi,. secondo cui non si può ammettere che le cose stiano diversamente. Se invece si ipotizza che la generazio­ne non sia aggregazione, allora o la generazione non esiste af-

171 Nel testo l'ordine è inverso: per disgregazione e aggregazione [ota­XQlCJEt µÈv xaì CJUYXQtCJEtj. Ma occorre invertire l'ordine sulla base di ciò

'che si dice, per ripetizione, a 315bl6 s.: il generarsi e il corrompersi siano dovuti ad aggregazione e disgregazione [ yi vi::aem µÈv xaì cp8etQECJ8m auy­XQt v6µi::va xaì OtaXQtv6µi::va].

172 L'alterazione, sarebbe un mutamento dell'aggregazione atomica origi­naria.

173 Questo termine raro, 't'Quyqioia, attestato da Aristofane, significa commedia. Rashed lo trae da una congettura di M.L. West, An Atomist lllu­stration in Aristotle, «Philologus», 113/1-2 (1969), pp. 150-151, confermata dalla tradizione arabo-ebraica del GC. È questo uno dei ventiquattro passaggi che Rashed ha restituito alla sua versione originale grazie alla tradizione ara­ba. Cf. !'ed. Rashed p. 99 n. 2 anche per ulteriori riferimenti bibliografici.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 113

fatto, o sarà alterazione, oppure bisognerà cercare di risolvere anche quest'aporia, 174 che è impresa difficile.

Critica degli Atomisti D'altra parte il principio di tutte queste aporie è chiedersi se

gli enti si generino e si alterino e aumentino e subiscano le pro­prietà contrarie cosi come si è detto, pur essendo le loro prime grandezze indivisibili, 175 o se invece non esista alcuna grandez­za indivisibile; è infatti enormemente differente dire che esista­no o no grandezze indivisibili. E per converso, se esistono tali grandezze <indivisibili>, sono corpi, come pensano Democrito e Leucippo, oppure, come dice <Platone> nel Timeo, delle <semplici> figure piane? 176 Ebbene, quest'ultima soluzione, ri­durre cioè i corpi a figure piane, è irrazionale, come noi abbia­mo detto altrove. 177 Perciò è piu ragionevole <pensare> che esi­stano corpi indivisibili, ma anche questa tesi contiene molta ir­razionalità. E tuttavia essa permette di spiegare [come si è det­to], 178 alterazione e generazione, supponendo che il corpo, pur

174 ~ xaì -rou-ro di 315b24 indica l'aporia. Penso che abbiano ragione Joa­chim e Rashed nell'eliminare l'd che precede il xai in alcuni codici. A meno che non lo si voglia far dipendere da 7tEtQa-réov nel senso che bisogna cerca­re di sapere se, etc.

175 Ritengo che l'espressione -riòv 7tQoJ't'OJV unaQx6v-rrov µi::yi::8iòv àowt­QÉ-rrov sia un genitivo assoluto senza valore causale, così come appare dalle traduzioni di Mugler, di Migliori di Joachim e dello stesso Rashed. Che senso ha dire che la generazione o l'alterazione o l'aumento, ecc., degli enti abbia come causa il fatto che sono composti di grandezze indivisibili? Ha senso in­vece dire che generazione, alterazione, ecc., avvengano pur rimanendo indivi­sibili gli elementi di cui si compongono. Che è, secondo Aristotele, la tesi de­gli Atomisti, che hanno torto.

176 Cioè dei triangoli: cf. Tim. 53c4 ss. 177 Cf. Cael. III 1, 299a2 ss. 178 L'espunzione è di Rashed sulla base di ELW Hunayn. Cf. tuttavia

315b8-9 supra, dove si dice che secondo gli Atomisti l'alterazione è dovuta a ordine e posizione (-ral;i::t oÈ xaì 8ÉCJEt ànoiromv), e la generazione e la corruzione ad aggregazione e disgregazione (otaXQtCJEt µÈv xaì crnyxQtCJEt). Non si fa qui cenno alla differenza delle figure atomiche, ma è chiaro che se­condo gli Atomisti queste stanno alla base dell'aggregazione e della disgrega­zione degli atomi.

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114 Aristotele

rimanendo lo stesso, possa trasformarsi con il variare dell'ordi­ne e della posizione <dei suoi componenti>, 179 e con la diffe­renza delle loro figure, [316a] che è ciò che fa Democrito: per­ciò egli dice anche che il colore non esiste, perché l'assumere colore è dovuto al variare dell'ordine degli elementi. Diversa è invece la posizione di coloro che dividono i corpi in figure pia­ne [sci!. Platone], giacché - <secondo loro> - dalla composi­zione delle figure piane non si generano se non corpi solidi; co­storo infatti non cercano di far nascere dalle figure piane alcuna proprietà qualitativa. La ragione di tale ridotta capacità di avere una visione complessiva di ciò su cui tutti concordano,180 consi­ste nella mancanza di esperienza. Perciò coloro che hanno mag­giore padronanza delle questioni naturali risultano piu capaci di ipotizzare quei principi che consentono una maggiore connes­sione dei fenomeni, 181 mentre coloro che per eccesso di ragio­namenti 182 non sono in grado di osservare le cose esistenti, per­ché guardano a pochi fenomeni, esprimono le loro opinioni con una certa faciloneria. E da tutto ciò si può arguire quanta diffe­renza ci sia tra coloro che indagano con metodo fisico e coloro che indagano con <puri> ragionamenti, perché, a proposito del fatto che le grandezze sono indivisibili, questi ultimi dicono che è dal triangolo in sé che nascono molti triangoli, mentre Demo­crito sembrerebbe avere obbedito <soltanto> ad appropriati ra­gionamenti di ordine naturale. Procedendo in questa discussione sarà chiaro ciò che vogliamo dire.

179 TQ01ti:; xaì (ìta8t yi]: ritengo che questi due dativi corrispondano ai

precedenti -ral;i::t xaì 8Écri::t ( cf. nota precedente). TQ01ti;j infatti indica il ri­volgimento o sconvolgimento dell'ordine, 8ta8tyi;j invece il mutamento della posizione e quindi il diverso contatto degli atomi.

180 Scii. del fatto che gli enti hanno aspetti sia quantitativi sia qualitativi.

181 Quale, ad esempio, quella che lega le modificazioni della quantità a quelli della qualità, come nel caso degli Atomisti.

182 Filop. In GC 26,20 ss. chiarisce che si tratta di ragionamenti di tipo matematico.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 115

L'argomento degli Atomisti a sostegno degli indivisibili Sorge infatti un'aporia, nel caso che si ipotizzi che un corpo

o una grandezza sia assolutamente divisibile, 183 e che sia possi­bile una tale divisibilità <all'infinito>. Che cosa sarà, infatti, ciò che sfuggirà alla divisione? Se è infatti interamente divisibile, e tale divisibilità <all'infinito> è <realmente> possibile, allora es­so [sci!. il corpo o la grandezza] potrà essere nello stesso tempo interamente diviso, anche se non è stato nello stesso tempo <in­teramente> diviso; 184 e se accadrà ciò, nessuna divisione sarà impossibile. 185 Se dunque è per natura interamente divisibile, lo si potrà dividere <ulteriormente> sia quando lo si divide a metà, sia quando lo si divide in qualsiasi modo, e nessuna divisione diverrà impossibile, poiché neppure nel caso in cui i corpi fos­sero <già> divisi migliaia e migliaia di volte, nessuna ulteriore divisione sarebbe impossibile, anche se nessuno, forse, potrà <mai> realizzare una simile divisione.

Poiché dunque il corpo è tale, cioè interamente divisibile, lo si divida <realmente>. Che cosa dunque resterà <alla fine>? Una grandezza, è impossibile, perché <in tal modo> ci sarà <ancora> qualcosa di non diviso, mentre il corpo era interamen­te divisibile. Ma allora, se non ci sarà nessun corpo o grandezza, e ci sarà <sempre una possibile> divisione, o il corpo sarà for­mato di punti, e <tali punti> di cui esso si compone saranno pri­vi di grandezza, o non esisterà per niente, sicché sarebbe gene­rato e composto dal nulla, e l'universo sarebbe appunto nient'altro che pura apparenza. Similmente, se è composto di punti, non ci sarà quantità. 186 Anche quando i punti, infatti, po-

183 Scii. divisibile all'infinito. 184 La ripetizione di aµa mette in evidenza la simultaneità dell'essere il

corpo o la grandezza diviso senza essere stato diviso. 185 In altri termini: se una grandezza è interamente divisibile, ossia divisi­

bile all'infinito, viene contraddetto il principio di non contraddizione, perché la grandezza risulterebbe divisa e non divisa nello stesso tempo, il che è as­surdo. Per l'affermazione secondo cui "nessuna divisione sarà impossibile" si vd. la definizione di possibile in Meta. IX 3, 1047a24 ss. (cf. Joachim, Comm. p. 77 ad !oc.).

186 Ovverosia non ci sarà grandezza: la quantità qui viene presa come un aspetto emblematico della grandezza.

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116 Aristotele

tessero entrare in contatto tra loro e dessero luogo nello stesso tempo ad una sola grandezza, non renderebbero l'universo per nulla piu grande. 187 Se una grandezza è divisa in due o piu parti, infatti, il tutto non è per niente né piu piccolo né piu grande di quello che era prima, sicché anche quando fossero aggregati tut­ti quanti i punti, essi non produrrebbero alcuna grandezza. Ma anche se dalla divisione di un corpo si formasse qualcosa come, ad esempio, un po' di segatura, e [316b] in tal modo dalla gran­dezza derivasse un qualche corpo <seppure piccolissimo>, 188

varrebbe lo stesso discorso: quel <piccolissimo> corpo sarebbe in qualche modo divisibile. 189 E se non derivasse un corpo, ma una qualche forma separata o una proprietà qualitativa, e la grandezza non fosse altro che i punti o i contatti che hanno una qualche proprietà, allora sarà assurdo che dalla non-grandezza possa nascere una grandezza.

E ancora, <quei punti> si troveranno da qualche parte e sa­ranno immobili o in movimento; 190 e ogni singolo contatto comporta sempre due cose, in quanto c'è <sempre> qualcosa che sta oltre il contatto o la divisione o il punto. Se dunque si ipotizzerà che un corpo, di qualsiasi natura o grandezza, sia in­teramente divisibile, saranno queste le assurdità logiche che ne seguiranno.

Ancora, se io ricompongo un pezzo di legno o qualcos'altro, dopo averlo diviso in parti, esso sarà di nuovo uguale e uno. E­videntemente le cose stanno cosi, qualunque sia il punto in cui io tagli il legno; il legno dunque era interamente divisibile in potenza. Che cosa resta, dunque, del legno oltre la divisione?

187 Un'aggregazione di elementi privi di grandezza non può dar luogo ad alcuna grandezza, perché è impossibile che dalla non-grandezza si generi la grandezza.

188 Cioè un granellino di segatura, preso qui emblematicamente come il corpo più piccolo che si possa immaginare.

189 Sarebbe divisibile infatti solo in punti privi di grandezza e così si ca­drebbe nell'assurdità di prima: la grandezza che nasce dalla non-grandezza.

190 Il trovarsi in un luogo così come l'essere immobile o in movimento so­no aspetti che appartengono all'analisi del fisico ma che, allo stesso tempo, non hanno senso se il punto non è parte integrante di un corpo, che appunto occupa uno spazio ed è immobile o in movimento.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 117

Perché, se ciò che resta è <solo> una proprietà qualitativa, allo­ra in che modo si può dissolvere in tali proprietà e come si può generare da queste? Oppure, in che modo queste possono essere separate?

Di conseguenza, se è vero che è impossibile che le grandez­ze siano composte di contatti o di punti, necessariamente saran­no <come> corpi indivisibili anche le grandezze. 191

Ripresa dell'argomento atomista Nondimeno anche coloro che sostengono quest'ultima ipote­

si non vanno meno incontro a conseguenze impossibili. Queste d'altra parte sono state esaminate altrove, 192 ma bisogna cercare

191 Il testo qui è alquanto problematico: àvayxT) slVat crroµa·rn àOtatQE­

Ta xaì µeyÉElTJ. Letteralmente si potrebbe tradurre: «necessariamente ci sa­ranno corpi e grandezze indivisibili» [there must be indivisible bodies and magnitudes, Joachim; il est nécessaire qu 'il y ait des corps et des grandeurs indivisibles, Mugler; è allora necessario che ci siano corpi e grandezze indivi­sibili, Migliori; il est obligatoire qu 'il y ait des corps et des grandeurs indivi­sibles Rashed; there must be indivisible bodies and magnitudes, D. Sedley, On Generation and Corruption 1.2 cit., p. 66]. Ora, mi sembra che una tale inter­pretazione renda equivalenti le ragioni che si opporrebbero ugualmente alla tesi di Democrito e a quella di Platone, tesi che Aristotele ha tenuto fin qui ben distinte. Del resto la conclusione assurda riguarda qui la critica della tesi platonica e non di quella atomistica. Infatti Aristotele dice testualmente: «se è vero che è impossibile che le grandezze siano composte di contatti o punti, al­lora ... ».Non ha senso dire: allora è necessario che ci siano corpi e grandezze indivisibili»: la conseguenza va oltre la premessa. Ha senso invece dire: «allo­ra è necessario che non ci siano grandezze sempre divisibili», che è come dire: «allora è necessario che anche le grandezze si comportino come corpi indivi­sibili, perché solo questi (nella tesi atomistica che è più accettabile di quella platonica e in ogni caso diversamente confutabile) non danno luogo a gran­dezze prive di grandezza, come sono appunto gli atomi. In altri termini, l'unica tesi possibile, in quanto analoga a quella dei corpi indivisibili, è la tesi delle linee indivisibili, le quali possono rimanere grandezze appunto perché non si dividono ulteriormente fino ad arrivare ai punti, i quali sarebbero indi­visibili perché privi di grandezza. Di qui l'assurdità che Aristotele denuncia a proposito della definizione che - a suo avviso - avrebbe dato Platone del pun­to quale "linea indivisibile" (cf. Meta. I 9, 992a20 ss.).

192 Cf. Cael. III 4, 303a3 ss. e Phys. VI 1, 231 a2 l ss.

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118 Aristotele

di risolverle, 193 per cui occorre riprendere l'aporia fin dall'ini­zio. Orbene, che ogni corpo sensibile sia <insieme> divisibile e indivisibile in qualsiasi punto194 non è per niente assurdo: esso sarà infatti da un lato <divisibile in qualsiasi punto, cioè all'infinito> in potenza, 195 e dall'altro lato <indivisibile all'infinito> in entelechia. 196 D'altra parte l'essere divisibile dappertutto in potenza nello stesso tempo <che indivisibile dap­pertutto in entelechia>, potrebbe apparire impossibile. Se infatti c'è la possibilità che sia divisibile dappertutto, una tale possibi­lità potrebbe di fatto realizzarsi (con la conseguenza, non tanto che sarebbe contemporaneamente ambedue le cose in entele­chia, indivisibile e di fatto diviso, quanto che sarebbe di fatto diviso in qualsiasi punto <cioè all'infinito>). Non resterebbe

193 D. Sedley, On Generation and Corruption I.2 cit., pp. 66 ss., pensa che questo ·raù-m si riferisca all'impasse che scaturisce da due posizioni entrambe impossibili, cioè quella che deriva dalla supposizione di una divisibilità all'infinito e quella che deriva dalla tesi dell'atomismo.

194 È opportuno notare, giunti a questo punto, che Aristotele, per esprime­re la nozione di "divisibilità all'infinito'', adopera in questo contesto alternati­vamente almeno due espedienti linguistici, da un lato l'avverbio 7HlVTl:J, che significa letteralmente "ovunque", "assolutamente", ecc., e dall'altro lato il complemento modale xa8' ònoùv cn1µéìov (talvolta xa-rà nàv <H]µdov), che significa letteralmente' "secondo qualsiasi punto" o "in qualsiasi punto". È chiaro che dire "assolutamente divisibile" è qui la stessa cosa che dire "divisi­bile in qualsiasi punto", cioè divisibile sempre e comunque, e quindi divisibile all'infinito.

195 Cf. Phys. III 6, 206al4 ss. 196 È evidente che il xa8' ònoùv crr1µdov che segue 8tatQE-r6v, alla li.

316b20, deve concordare anche con il successivo xaì àòtatQETOV. Questa os­servazione serve ad evitare l'equivoco che nasce da una traduzione come quella che di Migliori: «Che ogni corpo percepibile sia e divisibile in qualsiasi punto e indivisibile, ecc.». Anche la traduzione di Joachim non sembra che e­viti l'equivoco:«[ ... ] that every perceptible body should be indivisible as well as divisible at any and every point», anche se la collocazione alla fine del complemento modale potrebbe significare concordanza con ambedue i predi­cati, "indivisible" e "divisible" [non capisco tuttavia l'inversione]. Mugler in­vece evita l'equivoco, anteponendo opportunamente il complemento modale, così: «Que tout corps perceptible est en n'importe !eque! de ses points à la fois divisible et indivisible [ ... )». Quantomeno equivoca mi sembra anche la tra­duzione di Rashed: «Que tout corps perceptible soit divisible en chacun de ses points et indivisible n'a rien d'absurde».

Sulla generazione e la corruzione Libro I 119

quindi niente <di divisibile>, e il corpo si ridurrebbe in qualcosa di incorporeo, e di nuovo o si genererebbe da punti o insomma da nulla. E in che modo ciò è possibile? Ma è chiaro che in ef­fetti il corpo si divide in grandezze separate e sempre pili picco­le e l'una lontana e separata dall'altra. Né d'altra parte chi opera una divisione in parti può procedere all'infinito nello spezzet­tamento, né dunque è possibile che il corpo sia diviso in ogni punto (perché ciò è impossibile), bensi fino a un certo punto. È necessario dunque che nel corpo ci siano grandezze indivisibili che sono invisibili, specialmente se è vero che la generazione e la corruzione dovranno essere l'una per aggregazione, l'altra per disgregazione.

Soluzione del problema degli indivisibili [317a] È questo dunque il ragionamento che fa colui che ri­

tiene necessario che esistano grandezze indivisibili; ma noi di­ciamo che tale ragionamento nasconde un paralogismo, e sve­liamo dove quest'ultimo si nasconda. Poiché infatti i punti <di una linea>197 non sono l'uno contiguo all'altro, 198 l'essere dap­pertutto divisibile, per un verso è possibile che appartenga alle grandezze, per un altro verso no. Ma sembra, quando si ponga questo [scii. che una grandezza sia dappertutto divisibile], che ci sia un punto e in qualsiasi luogo e dappertutto, sicché neces­sariamente la grandezza può essere divisa fino a che non si arri­verà a un nulla: infatti si è posto che ci sia un punto dappertutto, in modo che la grandezza sia formata o da contatti o da punti. D'altra parte è possibile che ci sia un punto dappertutto, per il fatto che in qualunque luogo c'è un solo punto e tutti i punti stanno come sta ciascuno di essi; 199 ma non ce ne sono pili di

197 Ritengo che debba trattarsi qui dei punti che compongono una linea (grandezza geometrica), dal momento che qui Aristotele impiega il termine an yµ~ e non al)µdov (quest'ultimo è sempre adoperato a proposito del cor­po). Cf. 316bll; b20; b25; b3 l; 321 bl4. Mi sembra che Aristotele mantenga a questo proposito la tradizione pre-euclidea, giacché solo con Euclide il punto geometrico viene indicato col termine <Jl)µdov e non an yµ~.

198 Infatti la linea è una grandezza continua. 199 Ogni punto, cioè, deve trovarsi in ogni punto indifferentemente.

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120 Aristotele

uno <alla volta>,200 perché non sono in successione,201 di modo che il punto non è dappertutto:202 se infatti fosse divisibile nella sua metà, sarebbe divisibile anche nel punto contiguo alla sua metà; <ma questo non è possibile,>203 perché non c'è punto contiguo a punto, in senso sia fisico che geometrico.204 Ed è questo205 che consente disgregazione o aggregazione. Ne con­segue che c'è anche disgregazione e aggregazione, ma non nel senso che questa conduca agli indivisibili, e quella parta dagli indivisibili (le conseguenze impossibili sono tante a questo pro­posito), né in modo tale che ci sia una divisione assoluta (perché in questo caso il punto sarebbe contiguo al punto, e questo non è possibile), ma nel senso che <la disgregazione> conduca alle parti piccole e <sempre> pili piccole, e l'aggregazione abbia i­nizio dalle parti pili piccole.

La generazione non avviene per aggregazione e si distingue · dal/ 'alterazione

' Ma la generazione assoluta e perfetta non si può definire per mezzo dell'aggregazione e della disgregazione, come dicono al­cuni, né l'alterazione si può definire come un mutamento nel continuo. Al contrario è proprio in questo che si trova l'errore di tutte queste teorie, La generazione e la corruzione assolute, in­fatti, non avvengono per aggregazione o disgregazione, bensi

200 Altrimenti sarebbero l'uno contiguo all'altro, cosa già esclusa. 201 I punti della linea sono, infatti, in continuità, non in successione. 202 Nel senso che è sempre uno solo il punto che si trova dappertutto, non

che dappertutto ci siano dei punti. 203 Ritengo opportuna questa integrazione per dare senso al successivo

YOQ (cf. Filop. In GC 41,4-5; anche Joachim aggiunge nel testo oùx fon 8é). Contra Migliori p. 156 nota 58.

204 Potrebbe sembrare strano che qui Aristotele combini insieme i due

termini che indicano il punto, crriµdov e crn yµ ~' ma la cosa è dovuta quasi certamente al fatto che il discorso che vale per la grandezza geometrica (nella fattispecie per la linea) si può estendere anche alla grandezza fisica. Infatti A­ristotele parla subito dopo della tesi atomistica delle grandezze indivisibili di natura fisica con la quale si spiega la generazione e la corruzione rispettiva­mente come aggregazione e disgregazione degli atomi.

205 Scii. questa contiguità, cf. la trad. di Rashed ad !oc.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 121

quando c'è un mutamento totale da questo a quello. Altri invece ritengono che ogni mutamento di questo genere sia alterazione; ma c'è una bella differenza, perché nel soggetto <che muta> bi­sogna distinguere da un lato ciò che corrisponde alla definizio­ne, dall'altro lato ciò che corrisponde alla materia. Quando dunque il mutamento appartiene ad <ambedue> queste cose, al­lora ci sarà generazione o corruzione, quando invece il muta­mento appartiene alle proprietà, ovverosia agli accidenti, allora ci sarà alterazione.

Ciò che si disgrega o si aggrega diviene corruttibile. Infatti, se, <ad esempio>, delle particelle d'acqua si dividono in parti­celle pili piccole, l'aria circola pili rapidamente, mentre se si aggregano <formando particelle pili grandi>, l'aria circola pili lentamente. Ma ciò sarà pili chiaro in seguito. 206 Per il momento basti avere determinato che è impossibile che la generazione sia aggregazione, come dicono alcuni.

3. Generazione e corruzione in senso assoluto e generazione senza cessazione

L'ente generato: senso assoluto e senso relativo Fatte queste distinzioni, occorre considerare anzitutto se c'è

qualcosa di generato o di corrotto in senso assoluto, oppure propriamente non c'è nulla <di generato e di corrotto in senso assoluto>, ma sempre <ciò che si genera> si genera da qualcosa ed è qualcosa, intendo dire ad esempio che il sano si genera dal malato e il malato dal sano, o il piccolo dal grande [3 l 7b] e il grande dal piccolo, e così in tutti gli altri casi.

Se infatti ci sarà generazione in senso assoluto, qualcosa do­vrebbe generarsi in senso assoluto dal non-essere, sicché si dirà la verità dicendo che ad alcune cose appartiene il non-essere. 207

206 Vd. GC I IO, 328bl4 ss. 207 Forse sarebbe opportuno tradurre il ncri "sotto certi aspetti" anziché

"in alcune cose". Aristotele infatti intende dire, come fa spesso, che il non­essere assoluto non esiste, ma che in qualche modo bisogna ammetterne l'esistenza (come potenza, ad esempio).

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122 Aristotele

Una certa generazione, 208 infatti, deriva da un certo non-essere, ad esempio dal non bianco o non bello,209 mentre la generazione assoluta <deriva> dal non-essere in senso assoluto. Ma "in sen­so assoluto" o significa l'aspetto primario di ciascuna categoria dell'essere,210 o significa l'universale ovverosia ciò che contie-

. 211 Ebb ' ·1 . . "fi 212 I ne ogm cosa. ene, se <e vero> 1 pnmo s1gm icato, a

208 yÉvecrv; o yÉvecrtç anÀéiiç è la generazione tout court che si oppone alla yÉvecrtç -riç, o generazione relativa, cioè al processo secondo il quale qualcosa muta divenendo qualcos'altro.

209 Cioè l'essere bianco deriva dal non-essere bianco, e quindi, in concre­to, l'essere sempre deriva dal non-essere, se si considerano i termini non in senso assoluto.

210 Questo -rò 7tQéiiTov significa la sostanza, nel senso che ciascuna catego­ria presuppone la sostanza di cui si predica. Aristotele dimostra infatti che so­stanza non è mai predicato, ma sempre soggetto, mentre le altre categorie sono predicati e non soggetti.

211 L'espressione xaEl' éxacr-rriv xaTTJYOQtav è spiegata da Filop. In GC 46,17 ss. nel senso che "in senso assoluto" (anì..éiiç) si riferisce ad ogni catego­ria secondo il suo relativo significato (ad esempio, la sostanza contro la non­sostanza, la quantità contro la non-quantità, ecc.), infatti egli parla di -rò & YOlTOTOl yÉvoç e di -rò yev1xro-raTov. Così interpreta anche Tommaso, la cui interpretazione è seguita da K. Algra, On Generation and Corruption I. 3 cit., p. 96 e nota 12. Allo stesso modo di Filopono spiega il passaggio Joachim, pp. 90-91, con il quale concordano Tricot, Mugler e Migliori. Tutti questi tradut­tori intendono quindi la seconda opzione proposta da Aristotele, TÒ xa66ì..ou xaì TÒ nav-ra 7tEQti;xov, nel senso del predicato che abbraccia tutti gli altri, cioè, in definitiva, nel senso della sostanza. In questo modo, quando Aristotele dice alla successiva li. 8 oùcriaç fo-rm yÉvecrtç h µfi oùcriaç, egli non fa­rebbe altro che un esempio, al quale potrebbero seguire i casi della qualità, della quantità eccetera. Inoltre, poiché, come dice Aristotele, a ciò a cui non appartiene né sostanza né individualità non appartiene neppure alcun'altra ca­tegoria, come qualità, quantità o luogo, perché queste sarebbero altrimenti proprietà separate dalle sostanze (errore che Aristotele attribuisce esplicita­mente a Platone), e questo non è possibile, allora la prima opzione si risolve­rebbe, di fatto, nella seconda, per cui "in senso assoluto" (anì..éiiç) significhe­rebbe semplicemente sostanza. A questo punto, l'espressione et oÈ -rò µfi ov OÀOlç della li. 3l7bl1 non assumerebbe il secondo corno dell'argomentazione per spiegarlo, ma sarebbe già l'assunzione della seconda opzione in cui si sa­rebbe risolta la prima. Per conseguenza di questa interpretazione del testo, A­ristotele affermerebbe che, se "in senso assoluto" designa il non essere in sen­so assoluto. allora la generazione avverrebbe dal nulla. Rashed (p. 112 nota 7) propone invece di intendere l'espressione xaEl' éxacrTT]Y xaTT]YOQtav nel sen-

Sulla generazione e la corruzione Libro I 123

sostanza si genererà dalla non-sostanza; ma ciò a cui non appar­tiene la sostanza, che non è, cioè, questa cosa qui, evidentemen­te non può neppure possedere alcuna delle altre categorie, ad esempio <non potrà essere senza sostanza> né qualità né quanti­tà, né luogo, perché ciò significherebbe l'esistenza di proprietà

d Il 213 ' . ·1 d 214 separate a e sostanze; se e vero mvece 1 secon o caso, <e quindi "in senso assoluto" significa> il non-essere in genera­le,215 <ciò significherebbe> negazione universale di tutte queste cose,216 sicché necessariamente ciò che si genera si genererebbe dal nulla.

Orbene, su queste questioni si sono poste altrove aporie e di­stinzioni con ampi ragionamenti,217 ma occorre parlarne anche adesso in maniera sintetica, dicendo che <la generazione> deri­va in un certo modo dal non-essere in senso assoluto, in altro modo invece da ciò che è sempre, perché <nella generazione> ciò che in potenza è mentre in entelechia non è necessariamente

so di «dans chaque acte de prédication», che significherebbe soltanto la so­stanza e non anche le altre categorie - per cui la frase oùcriaç 8cr-rm yÉvecrtç ex µfi oùcriaç non sarebbe solo un esempio, ma la spiegazione appropriata del discorso-, mentre -rò xa66ì..ou della li. 7 si riferirebbe ad un senso antipredi­cativo, significando cioè l'essere «en général». A me sembra, comunque, che la prima opzione indichi la sostanza, mentre la seconda, indicando l'universale che contiene ogni cosa potrebbe significare l'essere che abbraccia sia il signi­ficato di sostanza sia quello delle altre categorie. L'espressione et oÈ TÒ µfi ov OÀOlç assume esplicitamente il problema della seconda opzione, come si può evincere anche dalla ripetizione del xa66ì..ou alla li. 12, mostrando che se xa-66ì..ou significa l'essere in generale allora la generazione deriva veramente dal nulla.

212 Se cioè l'espressione "in senso assoluto" significa l'aspetto primario di qualunque categoria, cioè la categoria della sostanza.

213 È questo l'errore commesso da Platone. 214Se cioè "in senso assoluto" significa l'universale o ciò che contiene o­

gni cosa, cioè l'essere che abbraccia sia il significato della sostanza che quello delle altre categorie.

215 Qui il secondo corno del dilemma si trasforma nel senso del solo non­essere universale (oÀOlç sta qui al posto di xa66ì..ou ), ma il risultato è lo stesso ed è l'assurdità, se assunta in senso parmenideo, che la generazione assoluta derivi dall'assoluto nulla.

216 Cioè di tutte le categorie, compresa la sostanza. 217 Cf. Aristot. Phys. I 8.

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preesiste detto in ambedue i modi.218 Ciò comporta una sor­prendente aporia,219 anche dopo aver fatto queste distinzioni; occorre <quindi> riesaminare attentamente in che modo sia possibile la generazione assoluta, o a partire dalla sostanza che è in potenza o anche in altro modo. Si potrebbe infatti sollevare l'aporia se c'è generazione della sostanza, cioè di questa cosa qui, ma non del quale e del quanto e del dove. Allo stesso modo questa aporia vale a proposito della corruzione. Se infatti qual­cosa si genera, è chiaro che ci sarà in potenza qualcosa <che è una> sostanza, mentre in entelechia non <ci sarà qualcosa>, [dalla quale deriverà la generazione e ]220 nella quale si trasfor­merà necessariamente ciò che si sarà corrotto. Ci si chiede dun­que: a questa <supposta sostanza>221 apparterrà in entelechia qualcuna delle altre categorie? Intendo dire, ad esempio, ci sarà una quantità o una qualità o un dove in ciò che è solo in potenza questa cosa qui ovverosia un ente, ma che in senso assoluto non­è né questa cosa qui né un ente? Se infatti <la sostanza in po­tenza> non avrà nessuna categoria <in entelechia> ma le avrà tutte in potenza, allora un tale non essere risulta qualcosa di se­parato, e inoltre, cosa che soprattutto temevano i primi filosofi, la generazione può derivare da un nulla preesistente; se invece l'essere non sarà ·questa cosa qui, ovverosia non sarà una so­stanza, ma sarà qualcuna delle altre suddette categorie, allora, come abbiamo detto, le proprietà saranno separate dalle sostan­ze. 222 Bisogna dunque approfondire, per quanto è possibile, tali

218 In potenza e in entelechia sono due diversi modi di dire l'essere o il non essere.

219 Su queste li. 3l7b18-20 si vd. G. Serra, Aristotele, «De generatione et corruptione» (317 b 18-20; 318 a 5-6): tradizione semitico-latina e critica del testo,« Atti e Memorie dell'Accademia Patavina di Scienze, Lettere e Arti», 104 (1991-1992), pp. 147-155.

220 La frase espunta manca dal ramo principale dei mss ma non dalla tradi­zione araba, cf. Rashed, p. 114 nota 7.

221 Cioè a questa sostanza che è in potenza e non in entelechia, in quanto è origine della generazione assoluta.

222 Le opzioni in cui si cade sono allora due, entrambe assurde, perché nel primo caso si avrà una sostanza separata dalle sue proprietà e nel secondo in­vece le proprietà separate dalla sostanza.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 125

questioni, e domandarsi quale sia la causa del perpetuarsi della generazione, sia in senso assoluto che in senso particolare.223

La causa materiale della generazione [318a] Ma poiché da un lato c'è un'unica causa da cui noi

diciamo che ha inizio il movimento, e dall'altro lato c'è un'unica causa che è la materia, allora occorre parlare di quest'ultima causa. Infatti a proposito della prima si è già detto in precedenza, nei discorsi intorno al movimento, che c'è da un lato qualcosa che è perpetuamente immobile,224 e dall'altro lato qualcosa che è sempre in movimento. Trattare in maniera distin­ta del primo di questi due principi è compito di una filosofia an­teriore,225 mentre dell'altro principio che muove tutto il resto mediante il suo essere continuamente in movimento, se ne do­vrà trattare in seguito, quando si dirà quale tra le cosiddette cau­se particolari sia quella di tal genere, 226 ma per il momento par­liamo della causa posta come in forma di materia, in virtù della quale corruzione e generazione non mancano mai nella natura: al tempo stesso, infatti, diverrebbe forse chiaro anche a proposi­to di ciò che ora fa difficoltà227 in che modo bisogna allora par­lare in senso assoluto sia della corruzione che della generazione.

223 Mi sembra che abbia ragione Rashed, p. 114 nota 4, sul fatto che qui yi':vecnç xa-rà µÉQoç equivale a yi':vecnç -riç, cioè alla generazione in senso relativo.

224 Cf. Aristot. Phys. VIII 3 ss.,praes. 6, 259b32-260al, dove l'eternità sia del motore immobile che di ciò che da esso è mosso eternamente risulta molto più evidente anche per via del termine ci'i'.lhov adoperato da Aristotele in am­bedue i casi: axivri-rov ... Xal a'i'.otov [axtVYJTOV TÒV an:av-ra XQOVOV in GC 3 l 8a4] I Xl vouµevov a·i'.otov [Xl vouµevov ad in GC 3 l 8a5].

225 Ritengo che Aristotele si riferisca non alla filosofia prima, cioè alla metafisica, bensì alla fisica che precede il GC. Cf. Phys. VIII 6 ss. Su questo passo si vd. G. Serra, Aristotele, «De generatione et corruptione» (317 b 18-20; 318 a 5-6) cit.

226 Cf. GC II 10, 336al4-b4. 227 Ma che è qualcosa di cui si è già parlato all'inizio di questo capitolo, a

3 l 7a32 ss., dove si diceva che <<Occorre considerare anzitutto se esista in senso assoluto qualcosa di generato e di corrotto, oppure non ci sia nulla che in sen­so proprio si generi e si corrompa». Come si vede, qui il problema della conti­nuità senza cessazione di generazione e corruzione assolute è affrontato a par-

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Fa abbastanza difficoltà anche sapere quale sia la causa del fatto che la generazione sia qualcosa di continuo, se è vero che ciò che si corrompe va verso il non-essere, e il non-essere non è niente: il non-essere, infatti, non è né un che cosa, né un quale, né un quanto, né un dove. Se è dunque vero che sempre un qualche ente se ne va <verso il non-essere>, perché allora l'universo non si è da lungo tempo e giammai esaurito, dal mo­mento che era limitato ciò da cui nasce ciascuna cosa che si ge­nera?228 Infatti non è per il fatto che ciò da cui si genera è infini­to, che l'universo non cessa mai di generarsi, perché ciò è im­possibile, in quanto l'infinito non esiste in atto, ma esiste <so­lo> in potenza per divisione, sicché il generarsi senza cessazio­ne sarebbe solo di questo tipo, cioè un essere sempre minore;229

ma ora tutto questo noi non lo vediamo. Non è, dunque, a causa del corrompersi di una certa cosa e del generarsi di un'altra, e del generarsi di una cosa e del corrompersi di un'altra, che ne-· cessariamente il mutamento è incessante?230 In merito al fatto che generazione e corruzione in ciascun ente abbiano la mede­sima spiegazione, occorre pensare che sia questa la causa suffi­ciente in ogni caso.231

tire dalla causa materiàle, perché il problema principale dell'argomento è, co­me ho detto più volte, quello di comprendere il non essere da cui deriva la ge­nerazione assoluta, cioè il terminus a quo. Questa questione si collega alla precedente domanda di "come" (néiiç) avvenga la generazione assoluta, se da una sostanza che sia solo in potenza o anche in qualche altro modo.

228 Questi argomenti aristotelici fanno eco a Melissa, cf. Vors. 30 B 7, il quale afferma appunto che l'universo non nasce, non perisce, non muta e, a differenza di quanto affermava Parmenide, è infinito.

229 Conseguenza del fatto che l'infinito, per quanto concerne le grandezze, è solo per divisione (infatti per quanto concerne il numero l'infinito è per ag­giunzione, cf. Phys. III 5-8 e Cael. I 5-7).

230 La corruzione non è un andare dell'essere verso il non-essere in senso radicale, così come la generazione non è un venire dal non-essere in senso ra­dicale, la corruzione è generazione di un'altra cosa così come la generazione è corruzione di un'altra cosa. È questo che i predecessori di Aristotele non han­no capito, e cioè appunto il permanere del sostrato pur nel nascere e perire dei contrari; cf. Phys. I 8, 191b33-34.

231 Causa sufficiente (i.xav~v ai. Ttav) è ciò che Aristotele ha detto imme­diatamente sopra alle li. 318a23-25, e cioè che il mutamento naturale è inces-

Sulla generazione e la corruzione Libro I 127

Polarizzazione essere-non essere: tre modi per distinguere il senso assoluto della generazione dal senso non assoluto

Ma allora occorre tornare ad esaminare il perché in certi casi si parla di generazione e di corruzione in senso assoluto e in al­tri casi non in senso assoluto, se è vero che la generazione di questa determinata cosa coincide con la corruzione di quella de­terminata cosa, e <per converso> la corruzione di questa deter­minata cosa coincide con la generazione di quella determinata cosa; questo discorso esige infatti una qualche spiegazione. 232

Noi diciamo infatti: "si corrompe", ecco che usiamo l'espressione in senso assoluto, e non diciamo soltanto "questa cosa qui <si corrompe>",233 e diciamo "ecco una generazione", "ecco una corruzione" e usiamo i termini in senso assoluto.234

Invece "questa cosa qui diviene qualcosa", "diviene" non <è detto> in senso assoluto, infatti noi diciamo <ad esempio> "chi studia diviene scienziato" e "diviene" non <è detto> in senso assoluto.235

sante perché il corrompersi di una certa cosa corrisponde al generarsi di un'altra e viceversa; cf. K. Algra, On Generation and Corruption I. 3 cit., p. 98.

232 La permanenza del sostrato risolve la difficoltà eleatica della genera­zione dal non essere. K. Algra, On Generation and Corruption I. 3 cit., p. 99 nota 21, ritiene che Aristotele faccia qui questa aggiunta di discorso perché potrebbe sembrare che la generazione assoluta coincida con una corruzione assoluta e viceversa, mentre la generazione assoluta coincide con la corruzio­ne relativa e la corruzione assoluta con la generazione relativa. Il discorso di Aristotele mi sembra invece teso ad escludere che ci sia solo passaggio dall'essere all'essere e quindi che le generazioni relative si confondona con le generazioni assolute.

233 Aristotele qui intende dire che, quando noi diciamo "questa cosa qui si corrompe" usiamo questa espressione indicando sia il soggetto che si corrom­pe che l'atto del corrompersi. Ma non è solo questa l'espressione che possia­mo usare nel caso della generazione o della corruzione in senso assoluto, per­ché possiamo utilizzare anche soltanto il verbo puro e semplice, "si genera" o "si corrompe".

234 I nomi yf:vEcnç e cpSoQci svolgono qui la funzione di designare astrat­tamente l'azione del verbo, per cui y6vEcrtç sta in luogo di ytvETat tout court così come cpSoQci sta in luogo di cpSdQETat tout court.

235 Aristotele a questo punto, come già in Phys. I 7, rivolge la sua atten­zione al linguaggio che usiamo comunemente per dire il divenire, la genera-

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I.

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Primo modo Allo stesso modo, dunque, noi spesso [318b] facciamo di­

stinzione dicendo che certi casi significano questa certa cosa236

mentre altri casi no, ed è <appunto> da una tale distinzione che dipende la nostra ricerca. Infatti ciò che muta differisce da ciò in cui si muta: ad esempio egualmente237 il processo del mutarsi in fuoco è generazione assoluta, ma è corruzione di qualcosa, 238

zione e la corruzione (sul problema dell'analisi linguistica dei modi di dire il divenire si vd. W. Wieland, La Fisica di Aristotele, Bologna 1993, pp. 139-173, trad. it. di Die Aristotelische Physik, Gtittingen 1970; anch'io mi sono occupata di questo argomento in G.R. Giardina, !fondamenti della fisica cit., pp. 95-116). Ora, mentre è possibile dire "nasce" oppure "muore", perché en­trambe le espressioni hanno un senso preciso e compiuto, quindi possono es­sere utilizzate assolutamente (ma si noti che Aristotele usa soltanto c:p0etQE­,.mt - li. 318a31-32 - e non anche yi VE'"mt, perché il primo indica soltanto la corruzione e non dà luogo ad equivoci, mentre è proprio il secondo che dà luogo alla confusione fra generazione assoluta e relativa, perché indica sia la nascita sia il divenire nel senso degli altri mutamenti), così come possono es­sere usati assolutamente i nomi che stanno in luogo dei verbi, cioè yÉvi::cnç e c:pOoQa, non hanno invece un senso assoluto i verbi yivi::·rnt e c:pOi::tQETm quando il soggetto del divenire necessita dell'indicazione del qualcosa che il diveniente diviene (il n della li, 318a33) attribuito al diveniente dal verbo yi­yvoµm, Ecco che, ad esempio traduce "individualità propria" ponendo l'accento sul ruolo di principio di individuazione giocato dalla sostanza, Io traduco letteralmente T68i:: n "questa certa cosa", ma sono d'accordo con Ra­shed (cf. p, 116 nota 1) che si tratti di una positività ontica., siamo in presenza di un senso compiuto quando l'espressione generale Toèìì. yivi::Tm Tl si speci­fica in un'espressione del tipo "chi studia diviene scienziato" (TÒv µaveavov­Ta yivecrem tmcn~µova - li, 318a34-35).

236 Rashed traduce "individualità propria" ponendo l'accento sul ruolo di

principio di individuazione giocato dalla sostanza. Io traduco letteralmente TOÙE n "questa certa cosa", ma sono d'accordo con Rashed (cf. p. 116 nota 1) che si tratti di una positività ontica.

237 L' foroç sta qui a indicare che c'è corrispondenza fra generazione e

corruzione in senso assoluto e in senso relativo, nel senso che se c'è una gene­razione assoluta ad essa corrisponde una corruzione relativa e egualmente ad una corruzione assoluta corrisponde una generazione relativa. La generazione del fuoco è generazione assoluta perché conduce di più alla forma e quindi ali' essere, mentre la generazione della terra è relativa perché conduce di più alla ~rivazione e quindi al non essere.

38 Migliori traduce "corruzione relativa" anticipando il fatto che alla cor­

ruzione assoluta del fuoco corrisponde una generazione relativa della terra, li.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 129

ad esempio della terra, mentre la generazione della terra è una certa generazione [ma non una generazione assoluta], ma è cor­ruzione in senso assoluto, ad esempio del fuoco, come dice Parmenide quando sostiene che le due cose di cui parla, l'essere e il non-essere, sono fuoco e terra. 239 Si suppongano queste o al­tre cose del genere, non fa differenza, perché noi cerchiamo il modo <del mutamento>, non già il soggetto di esso. Il procedi­mento, dunque, che porta al non-essere assoluto è corruzione assoluta, mentre quello che porta all'essere assoluto è genera­zione assoluta. Nei casi in cui, dunque, noi definiamo i termini del mutamento come fuoco e acqua o altri elementi del genere,

3 l 8b4-6. A me sembra corretta questa interpretazione anche sulla base della testimonianza di Filopono di ciò che pensava Alessandro di Afrodisia, cf. Fi­lop. In GC 55,21 ss., ma occorre non perdere la sottiglieza del discorso di Ari­stotele.

239 Su questa testimonianza aristotelica si è aperta in passato una querelle. In ciò che ci resta degli scritti di Parmenide, infatti, non si legge mai di una opposizione del fuoco alla terra e già questo è bastato a H.F. Chemiss, Aristo­tle 's Criticism of Presocratic Philosophy, New York 1983 (I ed. 1935), p. 48 nota 192, per mostrare una delle solite "forzature" di Aristotele interprete dei Presocratici. Ma questo non è il solo problema. In realtà, questa coppia fuoco­terra, se identificata - come sembra si possa fare in modo plausibile per via del fatto che la Tenebra è detta da Parmenide essere un corpo denso e pesante - con la coppia parmenidea Luce-Tenebra, appartiene all'esposizione relativa alla via dell'Opinione, che è contrapposta alla via della Verità. In effetti, se­condo la via della Verità, il non essere non esiste. In realtà, però, occorre non enfatizzare la divaricazione che esiste fra le due vie di ricerca in Parmenide: G. Casertano, Parmenide: il metodo, la scienza, l'esperienza, Napoli 1978, p. 86 - a proposito delle due vie di Parmenide, quella della verità ovvero della conoscenza scientifica, che si ha attraverso il pensiero astratto, e quella dell'opinione, cioè della verità dell'esperienza, che si ottiene attraverso il di­scorso sugli enti ovvero sui fenomeni della natura - mostra efficacemente co­me ambedue le vie siano necessarie alla ricerca della sapienza, cioè alla filo­sofia, per cui esiste fra le due un nesso di continuità. C'è continuità fra l'Opinione e la Verità perché quest'ultima si raggiunge razionalizzando le o­pinioni. Qui Aristotele starebbe facendo sua l'opinione di Pam1enide, identifi­cando il fuoco con l'essere e la terra con il non essere, come si comprende be­ne anche da ciò che Aristotele dirà esplicitamente sul fuoco e sulla terra sem­pre in GCI 3,

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l'uno sarà l'essere, l'altro il non-essere. 240 È questo, dunque, un modo per distinguere il generarsi e il corrompersi di qualcosa in senso assoluto dal <generarsi e dal corrompersi di qualcosa> in senso non assoluto.241

Secondo modo Ma un altro modo <per distinguere l'assoluto dal non assolu­

to> dipenderebbe da quale determinazione si attribuisca alla materia, 242 giacché piu le differenze della materia significano qualcosa di determinato,243 piu <la materia> è sostanza, mentre <più quelle differenze> della materia <significano> privazione, <più> è non-essere,244 ad esempio il caldo significa una certa determinazione nel senso di forma, mentre il freddo significa privazione, e la terra e il fuoco differiscono <tra loro> e secon­do tali differenze. 245

Terzo modo Alla maggior parte degli uomini, però, tale differenza appare

come differenza tra ciò che è sensibile e ciò che non è sensibile, giacché quando si ha un mutamento in una materia sensibile, al-

240 Tutte le voltè, cioè, che noi consideriamo una coppia di contrari che

mutino l'uno nell'altro. L'esempio del fuoco e della terra, infatti, come com­prendiamo da ciò che dice Aristotele, è solo uno dei tanti esempi possibili, ma l'importante è che si tratti di coppie di contrari, in cui un termine è quello po­sitivo e l'altro tennine è quello negativo. Giustamente, infatti, Rashed (p. LXIX) afferma che la citazione del Parmenide della 861;a da parte di Aristote­le risponde bene a questa esigenza di polarizzazione di qualunque forma di di­venire (in coerenza con Phys. I 7, aggiungerei io, e in evidente contrapposi­zione alla radicalizzazione dell'essere e del non essere del Parmenide dell 'aÀfj6i::ta ).

241 Sappiamo da Filop. In GC 55,21 ss. che Alessandro ritenne che qui A­

ristotele non stia esprimendo il suo modo di vedere su questo argomento. Per una discussione di questo problema si vd. Rashed, pp. LXVI ss.

242 È chiaro che qui si tratta dell'dooç della materia che è il soggetto o so­strato, cf. li. 3l8b16-17.

243 Si noti come l'espressione TOOE n oriµaivoum di questa li. 318b15 ri­

chiami quella della li. 3l8b1, Tà µÈv TOOE Tl <JT]µai. VEl Tà o' ou. 244 Sci!. non sostanza o sostanza in potenza. 245 caldo-freddo sono qui esempi di dooç-aTÉ:QT]crtç.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 131

lora essi dicono che <quel mutamento> è un generarsi, quando invece si ha un mutamento in una materia invisibile, 246 allora essi dicono che è un corrompersi: distinguono l'essere e il non­essere, infatti, perché l'uno si può percepire, l'altro no, cosi co­me distinguono lo scibile come ciò che è e l'inconoscibile come ciò che non è, giacché <secondo costoro> la sensazione possie­de il potere della scienza. 247 Costoro dunque cosi come credono che vivere ed esistere dipenda dal fatto di percepire o di potere percepire, allo stesso modo dicono che anche le cose esistono <in quanto sono percepite o possono essere percepite>, e in un certo modo perseguono la verità, ma questa stessa cosa che di­cono non è verità. Risulta dunque che la generazione e la corru­zione assolute sono cose diverse se concepite secondo opinione o secondo verità, giacché mentre vento e aria, se considerati se­condo la sensazione, sono qualcosa di inferiore <a ciò che real­mente sono> (e perciò le cose che si corrompono in senso asso­luto si dice che si corrompono perché si trasformano in questi elementi, e che si generano quando si trasformano in qualcosa di solido, cioè in terra), se considerati secondo verità sono inve­ce qualcosa di piu determinato e piu specifico rispetto alla terra.

Riepilogo e distinzione secondo le categorie Del fatto dunque che la generazione assoluta sia corruzione

di qualcosa, e la corruzione assoluta generazione di qualcosa, si è detta la ragione: questa sta infatti nella differenza della mate­ria, [319a] nel fatto cioè di essere o di non essere sostanza, o nel fatto di essere sostanza di piu o di meno, o nel fatto che la mate­ria da cui o verso cui ha luogo il mutamento è piu sensibile o

246 Scii. impercepibile. Lo stesso significato ha ciò che prima Aristotele chiama non sensibile.

247 Implicitamente in questo passaggio viene sottovalutata la battaglia dei Platonici contro i materialisti sensisti. Si potrebbe credere, tuttavia, che qui Aristotele si riferisca solo al senso comune e non a precise scuole filosofiche: in questo senso bisognerebbe dare al Toìç noUoìç di 3l8b19 un significato molto generico. Le parole che seguono («costoro dunque credono di vivere e di esistere per il fatto che percepiscono o hanno il potere di percepire») sem­bra dare più valore a questa seconda ipotesi.

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meno sensibile. Ma del fatto che in certi casi si parla del gene­rarsi in senso assoluto, mentre in altri casi si dice solo che si ge­nera qualcosa, non nel senso della generazione reciproca, non è questo il modo di cui noi adesso parliamo (giacché adesso ci si è solo limitati a distinguere il perché,248 dal momento che ogni generazione è corruzione di qualcos'altro, e ogni corruzione è generazione di qualcos'altro, non attribuiamo lo stesso tipo di generazione e di corruzione alle cose che mutano [l'una nell'altra]; ma ciò che si è detto dopo249 non pone questa stessa difficoltà, bensi quella di sapere perché chi studia si dice che diviene scienziato ma non in senso assoluto,250 al contrario ciò che cresce si dice che si genera <in senso assoluto>),251 sono di­stinzioni, queste, che si fanno in virtù delle categorie: certi casi, infatti, significano questa cosa determinata,252 altri significano una qualità, altri una quantità. Ebbene ciò che non significa so-

248 Scii. sulla causa. 249

Qui Aristotele si riferisce all'espressione delle li. 318a33-35; cf. Ra­shed fcP· LXXVII ss.

2 ° Cf. GC I 3, 3 l 8a33-35. 251

Sulla natura, -cpucnç, nel suo significato etimologico primitivo di "ciò che cresce", -rò qiu6µevov, identificata con la yÉvEcnç Aristotele scrive in Phys. II 1, 193bl2-18: «la natura detta nel senso di generazione è percorso verso la natura (en o' ii qiucnç ii ÀeyoµÉvri ciii; yÉvrn1ç ò06ç fonv dç qiu­cnv). Infatti non accade come si dice nel caso dell'esercizio della medicina, che non è percorso verso l'arte medica bensì verso la guarigione (où yàQ OJ<J1tEQ ii lClTQEU<Jtç ÀÉyE-rm oòx dç ÌaTQlXTJV òOòç &.U' dç ùyietav): è necessario, infatti, che l'esercizio della medicina parta dall'arte medica e non <proceda> verso l'arte medica (avayxri µÈv yàQ &.nò ÌCHQtxfjç oùx dç ia­TQtxT]v d vm -rT]v ia-rQEUcn v), tuttavia le cose non stanno così nel caso del rapporto della natura con la natura, ma ciò che cresce naturalmente procede da qualcosa verso qualcosa in cui avviene la crescita. Ebbene, che cosa è il cre­scere? non certo "ciò da cui" <muove la crescita> ma "ciò verso cui" <proce­de la crescita>. Di conseguenza la forma è natura (oùx ou-rro o' ii qiucnç exe1 1tQÒç 't"TJV qifotv, &.Uà -rò qiu6µevov ex nvòç dç -rì EQXETat ~ CjJUE't"at. 't"l ouv qiue-rm; oùxì el; ou, aU' dç o. ii aQa µOQCjJTJ qiucnç)».

252 Cioè una sostanza. Si noti che l'espressione è -r6oe n ariµaivet, cioè

l'espressione su cui si è articolata l'analisi aristotelica di generazione e corru­zione assoluta in questo capitolo 3.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 133

stanza, non si dice che diviene in senso assoluto, ma che diviene qualcosa. 253

Nondimeno in tutti i casi254 la generazione si dice secondo uno dei termini opposti della coppia, ad esempio nella categoria della sostanza, si parla di generazione nel caso del fuoco ma non nel caso della terra,255 nella categoria della qualità, si parla di generazione nel caso di scienziato ma non nel caso di igno­rante.

Si è parlato, dunque, a proposito del generarsi di alcune cose in senso assoluto e di altre no, sia in generale sia nelle sostanze in quanto tali, e del perché causa della generazione continua sia il soggetto in quanto materia, 256 nel senso che esso si può tra­sformare nei contrari e che, a proposito delle sostanze, la gene­razione di una cosa è sempre corruzione di qualche altra cosa e <viceversa> la corruzione di qualcosa sempre generazione di qualcos'altro.

Appendice sulla causa materiale della generazione In verità, però, non deve costituire un problema il perché

qualcosa si generi tutte le volte che ci sia una corruzione, giac­ché cosi come si parla <comunemente> di corruzione assoluta quando si perviene al non percepibile e, cioè, al non essere, allo stesso modo si parla anche di generazione <assoluta> quando si parte dal non essere e, cioè, dal non percepibile; sia dunque che esista un soggetto sia che non esista,257 [la generazione parte dal non essere]. Ne consegue che qualcosa si genera partendo dal

253 Su questo passaggio cf. anche Rashed, Introduction, pp. LXIII­LXXXV.

254 A proposito di questa espressione, ev nifot, Filop. In GC 59,8 ss. (se­guito da Mugler e Migliori) ritiene che si debba tradurre non "in tutti i casi", bensì "in tutte le categorie". L'osservazione è certamente intelligente, a condi­zione però che si intenda "in tutte le categorie interessate nei processi di dive­nire'', che sono soltanto quelle di sostanza, qualità e quantità.

255 Questo perché si è detto che il fuoco si genera in senso assoluto dalla terra che si corrompe in senso relativo, cf. 3 l 8b2 ss.

256 Cioè la causa materiale che è il soggetto che permane accogliendo i contrari.

257 Che si parta, cioè, da qualcosa di percepibile o no.

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non essere cosi come si corrompe pervenendo al non essere. È ragionevole dunque pensare che <generazione e corruzione> non vengono mai meno, perché la generazione è una corruzione d l 258 l . , . d l e non essere, e a corruztone e una generaz10ne e non es-sere.

Ma questo non essere assoluto [qualcuno potrebbe sollevare questo problema] è o non è uno dei due contrari, ad esempio la terra, ovvero il pesante, è il non essere, mentre il fuoco, ovvero il leggero, è l'essere, oppure no, ma anche la terra è l'essere, mentre il non essere è la materia della terra, e allo stesso modo del fuoco? E in questo caso dunque la materia dell'uno è diver­sa da quella dell'altro, oppure [319b] non si generano l'uno dall'altro né dai loro contrari? Tutti e quattro questi elementi, fuoco terra acqua e aria, infatti, ammettono dei contrari. Oppure la loro materia è in un senso identica e in un altro senso diversa, perché <la materia concepita come> ciò che, essendo sia nel terminus a quo sia nel terminus ad quem, soggiace, è la stessa, mentre concepita dal punto di vista dell'essere è diversa. 259 Su questo argomento, dunque, basti quanto si è detto.

258 K. Algra, On Generation and Corruption I. 3 cit., p. 109, fa notare co­me l'espressione Ti yàQ yÉvecru; cp8oQà TOÙ µ~ ovToç, Ti òÈ cp8oQà yÉvecnç TOÙ µ~ OVToç di li. 319a28-29 sia equivalente a quella di li. 319a20, Ti 8aTÉ­QOU yÉvecnç ÙEÌ ÈnÌ TcOV oùcnéiiv aÀ.Àou cp8oQà xaÌ T] cp8oQà aÀ.Àou yÉvecrtç (cito secondo !'ed. Rashed, mentre Algra cita secondo !'ed. Joachim per ra­gioni cronologiche), per cui il non essere è di fatto la materia prossima. Inol­tre, sottolinea acutamente Algra, sarebbe difficile dire come Aristotele possa parlare di "corruzione del non essere" se si suppone che tale non essere sia la materia prima.

259 Su questa frase non facilmente traducibile (e su GC II 1, 329a24-35) pesa il dubbio di una teoria della materia prima in Aristotele che ha fatto mol­to discutere gli studiosi. La materia della generazione assoluta non è però una materia comune e prima: la permanenza identitaria del soggetto nel corso del processo, infatti, che è necessaria sia ai fini dell'intelligibilità della generazio­ne sia ai fini dell'esigenza teorica della continuità di essa, può sussistere in­sieme alla diversità della materia che ogni volta svolge la funzione sostratica nei diversi processi di divenire. Si tratta quindi nel caso della generazione as­soluta della stessa funzione sostratica che viene assolta da corpi percepibili diversamente qualificati nei diversi casi. Ciò che assicura la permanenza iden­titaria del sostrato nel processo di generazione assoluta - che implica un mu-

Sulla generazione e la corruzione Libro I 135

4. L'alterazione

Distinzione tra alterazione e generazione A proposito della generazione e del!' alterazione dobbiamo

dire però in che cosa differiscano, perché noi diciamo che questi mutamenti sono diversi tra loro. Poiché dunque una cosa è il soggetto e un'altra cosa la proprietà che per natura si dice del soggetto, e c'è mutamento di ciascuno dei due, si ha alterazione quando, persistendo il soggetto, che è percepibile,260 la cosa muta <solo> nelle sue proprietà, che possono essere o contrarie o intermedie, ad esempio il corpo, pur restando lo stesso, guari­sce e di nuovo si ammala, e il bronzo, pur restando lo stesso, ora è rotondo e ora angoloso. Quando invece la cosa muta intera­mente, senza che persista qualcosa di percepibile come suo sog­getto,261 ma, ad esempio, da tutto il seme si forma il sangue o da <tutta> l'acqua l'aria o da tutta l'aria l'acqua, allora un tale pro­cesso è generazione di una cosa, corruzione di un'altra, soprat­tutto quando si ha mutamento da ciò che è impercepibile a ciò che è percepibile o per il tatto o per tutti gli altri sensi, come ad esempio quando l'acqua diviene o si corrompe in aria, giacché l'aria è moderatamente impercepibile.262

tamento totale, come Aristotele afferma - e che anzi assicura alla materia la sua funzione sostratica, è allora la forma che rimane stabile nel corso del pro­cesso in cui muta un'altra forma che costituisce la proprietà contraria a quella della sostanza che si genera. Una discussione filologica di questo importante passaggio si legge in Rashed, p. XCII ss., che si avvale peraltro dei risultati dello studio di R. Brague, Sur la formule aristotélicienne o nor& ov, in Du Temps chez Platon et Aristate, Paris 1982, pp. 97-144 e soprattutto pp. 111-114. Si vd. anche K. Algra, On Generation and Corruption /. 3 cit., che alla nota 25 di p. 101 richiama due passaggi della Fisica aristotelica in cui viene usata l'espressione o µÉv noTE ov, e precisamente Phys. IV 11, 219bl 7-21 e 219b26-28. Per tutta la questione rimando a G.R. Giardina, La chimica.fisica di Aristotele, pp. 86 ss.

260 Sci!. determinato. 261 Posizione contraria a quella dei materialisti di GC I 3, 3 l 8b21 ss. 262 Ci saremmo aspettati come esempio quello del generarsi dell'acqua e

del corrompersi dell'aria (come peraltro è plausibile pensare anche in ragione del discorso che riguarda la trasformazione degli elementi che hanno una qua­lità in comune, di cui Aristotele parlerà in GC II 4) piuttosto che il contrario,

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136 Aristotele

Un criterio di distinzione Ma se, in questi casi, una delle due proprietà contrarie263 ri­

mane la stessa sia in ciò che si genera sia in ciò che si corrompe - ad esempio, quando dall'aria si genera acqua, se ambedue so-

. f dd 264 11 1 . ' . . no trasparenti o re e -, a ora a propneta verso cm avviene il mutamento non deve essere una proprietà di ciò che è mutato. Se le cose non stanno così il processo sarà alterazione, come quando, ad esempio, si corrompe l'uomo musico e si genera l'uomo non musico, mentre l'uomo rimane identico. Ebbene, se l'essere musico o non musico non fosse per se stessa proprietà dell'uomo <che rimane identico>, allora dell'uomo non musico ci sarebbe generazione, mentre dell'uomo musico ci sarebbe corruzione; perciò sono proprietà dell'uomo, mentre dell'uomo musico e dell'uomo non musico si ha generazione e corruzione:

dal momento che l'acqua è maggiormente percepibile dai sensi rispetto all'aria, ma credo che Aristotele sia qui più interessato a mostrare che anche nel caso dell'invisibile, come è l'aria, che comunque non è impercepibile per­ché al contrario ha una sua percepibilità (dire che è piuttosto o moderatamente impercepibile è lo stesso che dire che è moderatamente percepibile), ci tro­viamo dinanzi a un processo di generazione.

263 i::vavnrom:::roç va riferito alle proprietà, come si chiarisce anche dal confronto con la li. 3 I 9b31. Si tratta letteralmente di una proprietà che appar­tiene a una contrarietà.

264 Dire che sia aria che acqua sono fredde è una strana affermazione, dal momento che l'aria è l'elemento caldo-umido, mentre l'acqua è quello freddo­umido. In effetti il testo aristotelico presenta delle varianti, in verità tutte non soddisfacenti in ordine a risolvere questa questione. Infatti, mutare ad esempio ~in '(i come si legge in Filopono non ha molto senso. Per questo motivo, Wil­liams nella sua traduzione di GC ha preferito integrare il testo, leggendo uyQà

- a'J...ì.: ou prima di t!JuxQa. Su questa correzione del testo cf. anche C.J.F. Wil­liams, Aristotle, De generatione et corruptione 319b21-24, «Classica! Re­view», n.s. 22 (1972), pp. 301-303. Di certo anche il discorso esplicativo che Aristotele fa acquista senso se al posto di t!JuxQa si legge uyQa. In ogni caso ritengo che Aristotele voglia semplicemente puntare l'attenzione sul permane­re di una sola delle proprietà contrarie, qualunque essa sia, a prescindere dalla corretta attribuzione o meno di questa proprietà agli elementi citati come e­sempio. Anche prima, infatti, egli ha articolato il suo discorso al fine di far comprendere ciò che intende dire facendo esempi che, presi in senso stretto, non sarebbero corretti. Su questo passaggio si vd. anche S. Broadie, On Generation and Corruption I. 4 cit., p. 131.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 137

in questo esempio, però, queste sono proprietà di ciò che per­mane identico. Perciò si tratta di alterazione.

Il soggetto e le contrarietà Quando dunque il mutamento della contrarietà avviene se­

condo la quantità, si ha aumento o diminuzione, quando avviene secondo il luogo, si ha movimento di traslazione, quando avvie­ne secondo la proprietà e la qualità, si ha alterazione, quando non rimane nulla di ciò di cui l'altro termine è proprietà, o in generale265 accidente,266 si ha generazione e corruzione. [320a] Ma è soprattutto la materia il soggetto vero e proprio che riceve generazione e corruzione, e in qualche modo questo vale anche per tutti gli altri mutamenti, perché tutti i soggetti sono ricettivi di una qualche specie di contrarietà. A proposito, dunque, della generazione, se esista o non esista, e in che modo esista, ma an­che a proposito dell'alterazione, è questo il modo di distinguer­le.

5. L'aumento e la diminuzione

L'aumento: distinzioni formali Resta da parlare dell'aumento, in che cosa differisca dalla

generazione e dall'alterazione, e in che modo può aumentare ciascuna delle cose che aumentano e diminuire ciascuna di quelle che diminuiscono. In verità occorre indagare anzitutto se la differenza tra questi processi riguardi ciò a cui essi si riferi­scono,267 ad esempio se il mutamento da qualcosa a qual­cos'altro, come ad esempio dalla sostanza in potenza alla so­stanza in entelechia, sia generazione, se il mutamento che ri-

265 Qui oÀroç potrebbe anche essere una ripresa dell'o'J...ov µETa~aÀÀ\1 di 319b 14-15 e indicare il mutare interamente oppure indicare "in generale un accidente" per il fatto che Aristotele sta indicando anche la quantità e il luogo.

266 Come Aristotele ha appena spiegato: quando non rimane nulla di ciò di cui l'altra delle due proprietà contrarie è appunto proprietà o accidente. Nel caso dell'aria che si corrompe, ad esempio, non permane nulla dell'aria, di cui è profrietà il caldo che è contrario al freddo dell'acqua che si genera.

2 7 Scii. il soggetto.

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138 Aristotele

guarda la grandezza sia aumento, se quello della proprietà sia alterazione, se ambedue questi ultimi268 siano mutamenti di ciò che si è detto269 dall'essere in potenza all'essere in entelechia, oppure se sia differente anche il modo del mutamento: sembra infatti che ciò che si altera non necessariamente muti secondo il luogo, e neppure ciò che si genera, e d'altra parte ciò che au­menta o diminuisce muta in modo diverso da ciò che si spo­sta.270 Ciò che si sposta, infatti, cambia completamente il suo luogo, mentre ciò che aumenta muta cosi come ciò che viene di-

211 . f: . 272 fì 1 . steso: m atti, mentre questo resta ermo, e sue parti muta-no secondo il luogo, <ma> non come quelle della sfera, perché queste mutano all'interno di un uguale luogo, mentre l'intera sfera resta ferma nello stesso luogo, mentre quelle di ciò che aumenta occupano un luogo sempre maggiore, e quelle di ciò che diminuisce un luogo sempre minore. È chiaro, dunque, che il mutamento differisce non solo rispetto a ciò a cui si riferisce; ma anche al modo come avviene, a seconda che si tratti di gene­razione o di alterazione o di aumento.

Il soggetto preesiste al! 'aumento . Ma a proposito di ciò di cui c'è mutamento per aumento o

diminuzione (sembra che alla grandezza appartengano l'aumen­tare e il diminuire), in che modo bisogna supporre che nascano

268 Scii. aumento e alterazione (cf. Tommaso, In Aristot. libros de Gen. et

Corr. exp., 364, 83 [di qui in poi indicato come Exp.]) e non, come ritiene Fi­lop. In GC 72,12 ss., il mutamento secondo la sostanza, cioè la generazione, e i due mutamenti secondo gli accidenti, cioè aumento (e diminuzione) e altera­zione.

269 Scii. mutamenti rispettivamente della grandezza e della proprietà. 270 Una distinzione secondo il luogo mostra da una parte generazione e al­

terazione, in cui il soggetto del mutamento non è coinvolto in alcun mutamen­to di luogo, e dall'altra parte aumento e diminuzione in cui il soggetto del mu­tamento, pur non essendo coinvolto in alcun movimento di traslazione, tutta­via è coinvolto in un mutamento secondo il luogo, a causa del fatto che le parti dell'intero si espandono nel caso dell'aumento o si contraggono nel caso della diminuzione.

271 Cioè stirato o dilatato, perché sottoposto a trazione. 272 Scii. l'intero.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 139

corpo e grandezza, 273 forse da grandezza e corpo in potenza, ma che in entelechia <quindi> sono incorporei e privi di grandez­za ?274 Ma questo problema è duplice, e cioè in quale di questi due modi si deve dire che si generi l'aumento, a partire dalla materia separata in sé e per sé, oppure da una materia esistente in un altro corpo? Oppure è impossibile che avvenga in entram­bi i modi? [320b] Se infatti la materia è separata, o non occupe­rà alcun luogo, cioè sarà, ad esempio, come un punto, o sarà un vuoto e un corpo impercepibile. 275 Ma di queste due ipotesi, l'una è inammissibile, l'altra comporta necessariamente che la materia sia in qualche <luogo>, giacché ciò che si genera dalla materia276 sarà sempre in qualche luogo, sicché lo sarà

273 Il problema è impostato in questo modo: si pone come ipotesi che il soggetto dell'aumento (e della diminuzione) sia un corpo o una grandezza in potenza e non in entelechia. Questa ipotesi deve svilupparsi secondo una du­plice possibilità: tale corpo-grandezza in potenza che è soggetto dell'aumento o è una materia separata oppure è una materia contenuta in un altro corpo. Ma nel caso che si tratti di materia separata o sarà come un punto e, in questo ca­so, non avendo alcuna dimensione non occuperà alcun luogo, oppure sarà co­me un vuoto o un corpo impercepibile.

274 Al contrario aumento e diminuzione derivano da corpi o grandezze in entelechia, come Aristotele preciserà più avanti, in GC I 5, 320b30 ss.

275 Filop. In GC 75,30 ss. mette insieme punto e vuoto, intendendo dire che la materia non occupa luogo perché è come un punto o un vuoto. L'interpretazione di Filopono è seguita da Migliori, vd. anche p. 173 nota 13, e da A. Code, On Generation and Corruption I 5, in F. de Haas & J. Man­sfeld ed. by, Aristotle 's On Generation and Corruption I cit., pp. 180-181. Al contrario Tommaso, Exp. 367, 88, considerando separatamente il punto da una parte e il vuoto e il corpo impercepibile dall'altra, spiega che l'impercepibilità del corpo lo rende tale da non occupare alcuna dimensione spaziale e quindi in un certo senso lo rende un luogo vuoto. A me sembra che in GC dire vuoto e corpo impercepibile abbia per Aristotele lo stesso signifi­cato. Allo stesso modo ha inteso Rashed, cf. trad. ad Zoe. e note corrisponden­ti. Per quanto concerne ciò che i commentatori antichi hanno pensato dell'espressione aéòµa oùx aìa8rrr6v della li. 320b2, si cf. I. Kupreeva, Ari­stotle on Growth: a Study of the Argument ofOn Generati on and Corrup­tion I 5, «Apeiron», 38/3 (2005), pp. 149 ss. Sull'aumento di cf. anche lo studio meno recente di G.E.R. Lloyd, Aristotle. The Growth and Stn1cture of his Thought, Cambridge 1968.

276 Che in questa seconda ipotesi è materia vuota, ovverosia corpo imper­cepibile.

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I.

140 Aristotele

anch'essa, o come sostanza o come accidente. 277 Ma appunto, se esisterà in qualche <luogo>, e se tuttavia sarà separata in modo da non essere qualcosa che appartenga a quel luogo cowe so­stanza o come accidente, allora accadranno molte cose e impos­sibili, intendo dire ad esempio, se l'aria si genera dall'acqua, non sarà possibile che si generi dalla trasformazione dell'acqua, ma dal fatto che la materia dell'aria si trova nell'acqua come in un vaso. Nulla infatti impedisce che vi siano <nell'acqua> infi­nite materie <in potenza>, tali che possano dar luogo <ad altret­tante arie> in entelechia. Ma neppure in questa ipotesi appare che l'aria possa generarsi dall'acqua, come se uscisse fuori da essa, che <tuttavia> resterebbe immutata. Meglio sarebbe dun­que considerare, in tutti i casi <di mutamento>, la materia come inseparabile <dal corpo che muta>278 come se fosse <sempre> la stessa e una numericamente, anche se non una <e quindi se­parabile> per definizione. 279 Ma certo, per le stesse ragioni, non bisogna neppure porre né punti né linee come materia del cor­po.280 La materia è invece ciò di cui punti e linee sono limiti e­stremi, e mai essa può esistere come se fosse priva di proprietà e di forma.

Tutto si genera, dunque, assolutamente come altro da altro, come si è stabilito anche altrove,281 e ad opera di qualcosa che è sempre in entelechia, che cioè è o della stessa specie o dello stesso genere, ad esempio, il fuoco si genera ad opera del fuoco o l'uomo ad opera dell'uomo, oppure ad opera di un'entelechia, perché il duro <ad esempio> non può nascere ad opera del du-

277 Cioè come proprietà della sostanza. 278 Occorre cioè porre come soggetto dell'aumento una materia non sepa­

rata. 279 In GC I 3, 319b3-4 infatti Aristotele aveva detto che la materia nella

sua funzione sostratica è la stessa, mentre intesa come materia di un elemento o di un altro non è la stessa (o µÈv yaQ no't'e ov un6xi::t 't'at 't'Ò at'n6, 't'Ò èì' eì vm ou 1'Ò au't'6 ).

280 Qui Aristotele lancia una frecciata a qualche teoria precedente, che Jo­achim p. 118 identifica con quella degli Atomisti e del Timeo di Platone e altri invece con quella dei Pitagorici.

281 Cf. Phys. I 7, 189b32 ss. e anche Meta. VII 7, 1032a12 ss.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 141

ro.282 Ma poiché la materia appartiene anche ad una sostanza corporea, e di un corpo che è già determinato (perché un corpo in generale non è niente),283 allora essa è la stessa materia che appartiene anche alla grandezza e alle sue proprietà, ed è da un lato separata dal punto di vista razionale, dall'altro lato non se­parata per quanto riguarda il luogo, a meno che anche le pro­prietà possano essere <concretamente> separate <dalla sostanza

. 284 a cm appartengono>. Ma appare chiaro, da queste difficoltà, che l'aumento non è

un mutamento che parte da una grandezza che è in potenza, e che in entelechia non possiede alcuna grandezza, giacché il vuo­to285 non può esistere separatamente, questo è impossibile, co­me si è precedentemente detto altrove.286 Inoltre un tale muta-

282 L'esempio del duro è fra parentesi quadre nel testo di Joachim (seguito da Williams nella sua trad. di GC), il quale ritiene (cf. Comm. p. 120) che in questa posizione siano da espungere o, se mai, andrebbero collocate subito dopo òµoyi::voùç di 320b19. Questo suggerimento relativo al testo dipende dalla difficoltà di comprendere questo controverso passaggio aristotelico, sul quale aveva già sollevato diversi problemi Filop. In GC 83,15 ss., il quale considera insieme da una parte "il qualcosa che è in entelechia" con "della stessa specie" e dall'altra parte "entelechia" con "dello stesso genere''. Joa­chim, invece, suggerisce la trasposizione dell'esempio del duro perché secon­do lui le opzioni poste da Aristotele sono queste due: la causa efficiente è un corpo in atto (identico per genere come nel caso del duro oppure identico per specie come nel caso dell'uomo) oppure è una entelechia nel senso di una forma, intendendo quindi la forma che, ad esempio, è nella mente dell'artista, quale causa efficiente. Mi sembra che qui Aristotele intenda indicare la causa motrice che nel caso di ciò che è della stessa specie o dello stesso genere è e­sterna, mentre nel caso delle proprietà contrarie è la stessa proprietà formale dell'ente che muta.

283 Un corpo in generale non è altro che un'astrazione logica e non è quin­di un corpo sensibile.

284 Mi sembra che questo discorso dell'inseparabilità della materia dalle sue affezioni rimandi al discorso dell'inseparabilità delle affezioni dalla loro materia che Aristotele chiarisce ampiamente in Phys. II 2 parlando della di­stinzione fra l'oggetto di studio del fisico e quello del matematico.

285 Una variante di xi::v6v è xotv6v: su queste due varianti discute Filop. In GC 85, 25 ss.

286 Cf. Phys. IV 8, 214b12 ss.: «Diciamo ancora una volta che non esiste un vuoto separato, così come dicono alcuni. Se infatti esiste un movimento lo­cale che appartiene per natura a ciascuno dei corpi semplici, ad esempio al

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142 Aristotele

mento non sarebbe propriamente aumento, ma in generale gene­razione. 287 Data come già esistente la grandezza, infatti, l'aumento ne è un incremento, la diminuzione \ln decremento. È appunto per questo che ciò che aumenta deve possedere <già> una certa grandezza, di modo che l'aumento non dev'essere passaggio da una materia priva di grandezza ad una che abbia grandezza in entelechia, giacché <in questo caso> sarebbe piu una generazione di un corpo, che non un aumento.

Condizioni del! 'aumento Occorre dunque considerare la questione [32la] come se

fossimo al punto di partenza, occorre cioè considerare la natu­ra288 dell'aumento o della diminuzione, di cui noi indaghiamo le cause. Sembra in verità che in ciò che aumenta cresca ogni sua parte, e che similmente nel suo diminuire decresca ogni sua par­te, sembra inoltre che ci sia aumento in ciò che si aggiunge;di­minuzione in ciò che si toglie. È necessario però che l'aumen-

fuoco che si muove verso l'alto, alla terra <che si muove> verso il basso e verso il centro, è chiaro che di tale movimento locale non può essere causa il vuoto. Sarà dunque il vuoto causa di qualcosa? È opinione <comune> che es­so sia causa del movimento locale, ma <in effetti> non lo è. D'altronde se, quando c'è un vuoto, c'è qualcosa come un luogo privo di corpo, in che modo il corpo che si trova in esso si potrà muovere verso lo stesso corpo? Giacché non si potrà muovere verso il corpo tutto intero. Lo stesso ragionamento vale anche nei confronti di coloro che credono che il luogo sia qualcosa di separa­to, verso cui <i corpi> si muovono localmente». È evidente che qui Aristotele non sta negando l'esistenza del vuoto in assoluto, bensì del vuoto come qual­cosa di separato dalla sostanza corporea.

287 Joachim (p. 121) intende oÀ.roç come anÀ.iòç, nel senso cioè di genera­zione assoluta. Questa interpretazione è seguita da Migliori. Sulla inopportu­nità di intendere in questo modo si vd. Rashed p. 124 nota 4.

288 noiou non è propriamente la qualità dei processi di aumento o diminu­zione, ma la natura di tali processi: cf. Joachim p. 122 «we must determine the precise character of the Growing and Diminishing»; Mugler « ... et de nous demander quelle est la nature de l'augmentation ou de la diminution ... »;Mi­gliori «dobbiamo ... cercare di cogliere quale sia la natura dell'aumento e del­la diminuzione»; Rashed «à quelle sorte de processus renvoient augmentation et diminution». Si cf. anche GC I 5, 322a4, in cui Aristotele scrive: 'AnOQ~CTElE /5' av nç 71:0tOV Tl ÒCÌ: CÌvm TÒ c9 au/;aVETm intendendo appun­to la natura di ciò in virtU del quale avviene l'aumento.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 143

tare avvenga in virtu o di un incorporeo o di un corpo:289 ebbe­ne, se avviene in virtu di un incorporeo, questo sarà un vuoto separato <dal corpo>;290 ma è impossibile che una materia della grandezza esista separatamente <dal corpo>, come si è detto in precedenza.291 Se invece avviene in virtu di un corpo, ci saranno due [corpi] nello stesso luogo, il corpo che cresce e l'altro che lo fa crescere; però anche questo è impossibile. Ma non è am­messo nemmeno dire che l'aumento o la diminuzione avvenga cosi come quando dall'acqua proviene l'aria, dal momento che in questo caso si ha un aumento del volume: infatti questo pro­cesso non sarà <certo> aumento, bensi generazione di ciò in cui

292 . d l . 293 . , , muta e corruz10ne e suo contrano, e c10e ne aumento dell'uno né aumento dell'altro, ma aumento o di niente o di qualcosa che appartiene in comune ad ambedue, cioè a ciò che si corrompe e a ciò che si genera, quale potrebbe essere un cor­po <comune all'acqua e all'aria>. Ma non aumenta né l'acqua né l'aria, al contrario l'una si corrompe e l'altra si genera, men­tre sarebbe il corpo <comune> ad aumentare, se ce ne fosse qualcuno.294 Ma anche questo è impossibile, perché bisogna mantenere nel nostro ragionamento <solo> le proprietà di ciò che è aumentato e di ciò che è diminuito. E queste sono tre: la prima è che qualunque parte della grandezza che è aumentata sia piu grande <di prima>, ad esempio se è carne <ciò che au­menta>, sarà piu grande qualsiasi parte della carne; la seconda proprietà è che qualcosa si aggiunga; la terza è che ciò che è aumentato si mantenga e persista, giacché nel processo di gene-

289 In realtà, come si vede subito di seguito, entrambe queste possibilità si rivelano false.

290 Anche qui i mss oscillano fra xEv6v e xoiv6v, anche perché il riferi­mento a 320b27-28 è abbastanza evidente. Ma Filop. In GC 89,17 ss. propen­de per xt:v6v, mentre per il passaggio precedente sembrava propendere per xo1v6v.

291 Cioè che ci sia una grandezza che esista come qualcosa di indipendente dal corpo e che si possa aggiungere ad esso. Cf. 320b20 ss. supra.

292 Nella fattispecie generazione dell'aria. 293 Nella fattispecie corruzione dell'acqua. 294 Ritengo che ci'.nEQ si debba riferire a TÒ aéiiµa e non a 11u1;11Tm, come

pensa anche Rashed, cf. la sua trad. nonché la nota 2 di p. 125.

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razione o di corruzione in senso assoluto non c'è alcuna perma­nenza, mentre nel processo di alterazione e di aumento o dimi­nuzione ciò che aumenta o si altera permane lo ste~so, ma non permangono identiche, nell'alterazione la qualità, nell'aumento <o diminuzione> la grandezza. Se dunque l'aumento fosse quel­lo che si è detto,295 allora si dovrebbe ammettere che niente si aggiunge né permane nell'aumento (e niente si toglie nella di­minuzione) e che quindi non permanga neppure ciò che aumen­ta <o diminuisce>. Ma è necessario mantenere queste condizio­ni, perché si è stabilito che l'aumento ha condizioni di tal gene­re.

Ciò che aumenta e l'alimento Ci si potrebbe chiedere anche che cosa sia ciò che aumenta,

se sia, cioè, ciò a cui qualcosa si aggiunge, se ad esempio si aumenta nella gamba, è questa che diviene piu grande, e non ciò che la fa aumentare, cioè l'alimento. Perché dunque non sono, in effetti, aumentate ambedue? Diviene piu grande, infatti, sia ciò che aumenta sia ciò per cui questo aumenta, come quando tu mescoli del vino con dell'acqua: aumentano infatti nello stesso tempo l'uno e l'altro. Oppure bisogna dire che è la sostànza dell'uno che permane,296 e non quella dell'altro, nella fattispecie dell'alimento? Poiché anche nel caso del vino mescolato all'acqua, si dice che è aumentato ciò che nella mescolanza è prevalente, [321b] nella fattispecie il vino, giacché la mescolan­za dell'insieme dà l'impressione di essere vino, non già acqua. Allo stesso modo anche nell'alterazione,297 se la carne permane così com'è nella sua essenza, mentre appare una delle sue pro­prietà essenziali, che prima non c'era, allora si dice che essa ha

295 Cioè una trasformazione di un corpo in un altro, come ad esempio di acqua che diventa aria, cioè vapore.

296 Scii. di ciò che aumenta. Si tratta della terza delle condizioni dell'aumento che Aristotele ha enunciato alle li. 321a18 ss., ovvero della con­dizione secondo cui ciò che aumenta si mantiene e persiste.

297 Come fa notare Migliori, p. 179 nota 45, il parallelo dell'aumento con l'alterazione fa ben notare come la parte che si modifica è quella che riceve e non quella che è aggiunta (vd. anche Joachim p. 126).

Sulla generazione e la corruzione Libro I 145

subito un'alterazione; ciò che invece ha prodotto tale alterazio­ne, a volte non ha subito alcun mutamento, a volte si. Ma ciò che produce l'alterazione e cioè il principio del movimento si trova in ciò che aumenta e in ciò che si altera: è al loro interno, infatti, che si trova il motore <del processo>, poiché anche ciò che entra nel corpo potrebbe talora divenire piu grande, cosi come il corpo che ne ha tratto vantaggio, se ad esempio ciò che entrato è divenuto aria;298 ma in effetti ciò che ha subito tale modificazione si è già corrotto, e <quindi> non è in esso che si può trovare il motore.

Ripresa del!' aumento Poiché si è discusso abbastanza di tali difficoltà, occorre an-

h d. 1 . 11 . 299 c e cercare i trovare una so uz10ne a a nostra apona, man-tenendo fermi i seguenti punti: 1) l'aumentare si ha quando ciò che aumenta permane e qualcosa <gli> si aggiunge, mentre il diminuire si ha quando qualcosa <gli> si sottrae, 2) e ancora, qualunque punto percepibile <del corpo> <dopo l'aumento o la diminuzione> sarà divenuto o piu grande o piu piccolo, 3) e il corpo <che aumenta o diminuisce> non può essere vuoto, 4) né nello stesso luogo possono esistere due grandezze, 5) né l'aumentare <o il diminuire> avvengono in virtu di un incorpo­reo. 300 Ma occorre comprendere la causa <di tali processi> fa­cendo due distinzioni: 1) i corpi non omeomerici aumentano per via dell'aumento di quelli omeomerici (sono infatti composti da quçsti), 2) carne e osso e ciascuna delle loro parti omeomeri­che301 sono <al contempo> due cose, cosi come tutti gli altri

298 Il senso di questa affermazione non è di facile interpretazione. Secondo Tommaso, Exp. 376, 103, si tratterebbe del fatto che il nutrimento si trasfor­merebbe in soffio vitale, anche se non si vede perché quest'ultimo debba esse­re più grande del nutrimento che si è ingurgitato.

299 Scii. la domanda se aumenti solo ciò che aumenta e non anche ciò che lo fa aumentare oppure se aumentino ambedue, sia l'aumentato sia l'aumentante.

300 Qui Aristotele sta ricapitolando quanto ha stabilito precedentemente a proposito dell'aumento e della diminuzione.

301 Cioè ciascuna parte di ciascuno dei corpi omeomerici (ovvero sempli-ci) di cui si compongono i corpi non omeomerici (ovvero composti). Un corpo

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corpi omeomerici che hanno <la loro> forma nella <loro> mate­ria;302 e infatti si dicono carne e osso sia la materia che la forma <di cui sono costituiti>.

\

L'aumento avviene in funzione della forma e non della materia Dunque l'aumento di qualsiasi parte, ovverosia l'aggiunta di

qualche cosa,303 è possibile <solo> in funzione della forma, non in funzione della materia; bisogna concepirlo infatti come se si misurasse dell'acqua con la stessa misura <cioè con acqua>: ciò che aumenta [sci!. ciò che cresce], infatti, è sempre l'una e l'altra cosa. 304 Allo stesso modo aumenta la materia della carne, e non nel senso che essa si aggiunge a qualsiasi particella, ma nel senso che l'una scompare quando l'altra sopraggiunge, men­tre l'aggiunta della figura e della forma vale per qualsiasi parti-

si dice omeomerico, appunto, perché ogni sua particella, per quanto piccola, mantiene la stessa qualità del corpo di cui è particella.

302 Ho voluto integrare quest'ultima espressione (si sarebbe potuto dire semplicemente: corpi che hanno forma materiale), perché fosse chiaro che qui Aristotele intende significare che qualsiasi corpo, sia composto che semplice, possiede sia una materia che una forma (la quale, ovviamente, è materiale, in quanto è immanente alla materia).

303 Si è detto che l'aumento comporta necessariamente l'aggiunta di qual­cosa.

304 In altri termini, il corpo omeomerico, o la sua particella che è della sua stessa natura, se aumenta, in quanto vi si aggiunge qualcosa, aumenta in quan­to corpo della stessa natura, cioè in quanto corpo che possiede una certa forma o specie. Una tale precisazione da parte di Aristotele è utile ad evitare l'equivoco che potrebbe nascere se si concepisse l'aumento solo in senso ma­teriale e non già in senso specifico o formale. Come dire che il mutamento di cui stiamo parlando (cioè l'aumento come crescita) vale in quanto il corpo che aumenta o diminuisce, cioè che cresce o deperisce, è costituito sì di una mate­ria, ma di una materia che è una certa materia, cioè che ha una determinata forma o appartiene a una determinata specie. È quindi la forma o specie che determina il modo di quel mutamento. L'ultima espressione, mi sembra, mo­stra la validità di tale interpretazione: «ciò che aumenta [scii. ciò che cresce], infatti - seguita Aristotele-, è sempre l'una e l'altra cosa». Appare evidente che in questa metafora dell'acqua Aristotele si riferisca all'acqua che è misu­rata e all'acqua che fa da misura come ad un'identica cosa, nel senso che la misura e la cosa misurata possiedono la medesima forma o specie di acqua, in quanto sono sempre e comunque acqua. Al contrario di ciò che avverrebbe se l'aumento avvenisse in funzione della materia.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 147

cella. Tutto questo appare pili chiaro se si considerano i corpi non omeomerici, 305 ad esempio la mano, perché essi aumentano in maniera proporzionale: la differenza tra la materia e la forma, infatti, appare in questo caso pili evidente che non nel caso della carne e dei corpi omeomerici; ed ecco perché di un uomo già morto si pensa piuttosto che ci siano ancora carne e ossa che non mani e braccia. Sicché è possibile pensare che qualsiasi parte della carne da un lato sia aumentata, dall'altro lato no.306

A qualsiasi sua particella si è avuta, infatti, un'aggiunta secondo la forma, ma non secondo la materia. 307 Tuttavia l'intero corpo è divenuto pili grande perché si è aggiunto qualcosa, [322a] che viene chiamato alimento, e che è contrario <alla carne>, ma che si muta nella stessa forma <di ciò a cui si aggiunge>, ad esem­pio se a un corpo secco si aggiunge dell'umido, questo, una vol­ta aggiunto, si muta e diviene secco: è possibile, infatti, che il simile aumenti, da un lato in virtli del simile, dall'altro lato in virtu del dissimile.

l'aumento avviene per assimilazione Ma si può porre la questione di quale debba essere la natura

di ciò in virtli del quale avviene l'aumento. È chiaro in verità che esso dev'essere in potenza <ciò di cui produce l'aumento>, se ad esempio questo è carne, quello dev'essere carne in poten-

305 Nei corpi non omeomerici appare più evidente il fatto che l'aumento avviene in tutte le parti e quindi secondo la forma, cf. Mete. IV 12, 389b-390b.

306 Per l'interpretazione critica di questa affermazione aristotelica da parte di Alessandro di Afrodisia vd. Migliori, p. 182 nota 59.

307 Aristotele sta cercando di spiegare la sua posizione secondo cui il cor­po aumenta in ogni sua parte secondo la forma e non secondo la materia, per cui ora passa a spiegare come questo possa avvenire, ovvero che cosa signifi­chi, nel caso della carne, che il nutrimento si aggiunge. Filop. In GC 114,29-115,5 sottolinea che Aristotele punta qui la sua attenzione non tanto sull'au­mento quanto su ciò che si aggiunge al corpo che aumenta, domandandosi se questo qualcosa che si aggiunge sia simile o dissimile. La domanda relativa al simile e al dissimile è necessaria dal momento che qui l'aggiunzione si deve risolvere chiaramente in un'assimilazione e non deve rimanere semplice giu­stapposizione.

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148 Aristotele

D . t 1 h" ' lt h 308 ' t 309 za. unque m en e ec ia sara a ra cosa c e carne: e ques o allora che corrompendosi è divenuto carne; non è durlque in sé e per sé carne (perché in questo caso ci sarebbe generazione e non aumento),310 ma è ciò in virtu del quale c'è stato l'aumento <di carne>. Quale affezione ha dunque subito da parte di ciò che è aumentato?311 È forse qualcosa che si è mescolato, come nel ca­so in cui al vino si mescola dell'acqua, ma in modo da rendere vino ciò che si è mescolato312 (cosi come il fuoco che viene in contatto con il combustibile <e lo rende fuoco>), allo stesso modo in ciò che è aumentato e che è carne in entelechia il prin­cipio interno dell'aumento, al sopraggiungere della carne in po­tenza, rende questa carne in entelechia? Dunque <carne in po­tenza e carne in entelechia> devono coesistere, perché se fosse­ro separate, ci sarebbe generazione <e non aumento>. È possibi­le, infatti, produrre del fuoco aggiungendo del legno a un fuoco già esistente. In questo caso però c'è aumento <di fuoco>, men­tre quando fosse il legno di per sé <e non per aggiunta> ad esse­re acceso, allora ci sarebbe generazione <di fuoco>.

308 È così ribadito e chiarito l'i::vavTiou adoperato in precedenza. 309 Come fa notare Rashed, p. 127 nota 3, in tutto questo passaggio TOÙTo

e le altre forme in cui esso è declinato si riferiscono a ciò che si aggiunge e aumenta il corpo che viene aumentato (vd. li. 7, 8 ma non li. 9).

31° Ciò che provoca l'aumento, come nell'esempio della carne è l'alimento, deve essere in potenza ciò che esso fa aumentare, quindi l'alimento sarà in potenza carne, e deve corrompersi per divenire carne (deve cioè essere assimilato dal corpo), perché se l'alimento fosse di per sé carne non ci sarebbe aumento ma generazione: nel caso dell'aumento, infatti, avvie­ne il mutamento dell'alimento in altro, cioè nel corpo che lo assimila, mentre nel caso della generazione si avrebbe un mutamento di per sé, cioè la nascita della carne dalla carne in potenza, ovvero dalla non carne.

311 In termini più espliciti, qual è la modificazione che il nutrimento (che corrompendosi ha fatto aumentare la carne) subisce da parte della carne (che è il risultato di quel mutamento del nutrimento)? Joachim, pp. 132-133 sostiene opportunamente che il soggetto di na66v sia ciò che produce l'aumento e non ciò che è aumentato.

312 Cf. 32lbl-2 supra, dove il fatto che l'acqua mescolata appaia come vi­no è dovuto alla prevalenza del vino nella mescolanza.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 149

L'aumento e la nutrizione Ma la quantità presa in universale non si genera, cosi come

neppure si genera come essere vivente ciò che non è né uomo né uno dei singoli enti (ma come qui è l'universale, li è la quan­tità), mentre ciò che si genera è della carne o dell'osso o una mano e le loro omeomerie; in effetti si aggiunge una certa quan­tità, ma non una quantità di carne. Dunque in tanto c'è un au­mento in quanto ambedue <cioè una quantità che si aggiunge e una quantità che ha una certa forma>, nella fattispecie una quantità di carne, sono in potenza: occorre infatti che <ciò che si aggiunge> divenga sia una quantità sia carne; invece in tanto c'è alimento in quanto è solo carne <in potenza>: in questo con­siste infatti la differenza tra il concetto di nutrimento e quello di aumento. 313 Perciò <un vivente> si nutre finché si mantiene in vita, anche se deperisce, e non aumenta sempre, e se da un lato il nutrimento è la stessa cosa che l'aumento, dall'altro lato il suo essere è cosa diversa, perché in quanto l'alimento che si ag­giunge è in potenza una quantità di carne, in tanto fa aumentare la carne, ma in quanto è soltanto in potenza carne, è <solo> a-l. 314 L fì , 31s fì imento. a orma pero permane; ma questa orma senza

. d . b 316 1 ' h 1 matena, a esemp10 un tu o, a tro non e c e una potenza ne -

313 In altri termini: affinché ci sia aumento occorre che ci siano sia una quantità in potenza sia la carne in potenza, mentre affinché ci sia nutrimento ocqirre che ci sia solo la carne in potenza.

314 In effetti, se aumento e nutrimento fossero la stessa cosa un vivente che si nutre aumenterebbe sempre, cosa che non avviene, perché anzi accade che un vivente, pur nutrendosi, deperisca. La differenza fra aumento e nutrimento è quindi ribadita da Aristotele: in quanto l'alimento è una quantità di carne in potenza, provoca l'aumento, ma in quanto è in potenza soltanto carne e non aJ1Che quantità, è solo alimento.

315 Sci!. la forma dell'alimento, ovverosia l'alimento in quanto alimento. 316 auÀ.oç: questo termine, usato subito dopo anche al plurale (li. 31 ), è

correzione, comunemente accettata, di Joachim sulla base di Filopono (cf. an­che Rashed in app. e pp. CXI ss.). Un "tubo" in questo contesto significa pro­babilmente un vaso sanguigno o un qualsiasi altro "condotto" organico. Anzi­ché auJ..Oç gli antichi commentatori (ad esempio Filop. In GC 121,25 s., dove il lemma aristotelico 322a28 s. viene riportato nella forma seguente: TOÙTo M TÒ dòoç avE:ll UÀ.l"]ç ofov auÀ.oç nç ùtlvaµtç i::.v UÀ.1] i::.crTt V - «ma questa forma priva di materia esiste nella materia come fosse una potenza immateria-

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150 Aristotele

le») leggevano auÀoç, immateriale, quale apposizione di quanto viene subito prima: avEu UÀYJç. Joachim, seguito dalla maggior parte degli editori moderni, ha espunto UVEU UÀYjç e ha corretto auÀoç in aÙÀoç. In verità auÀoç non è mai adoperato da Aristotele, così come, peraltro, neppure da Platone. Del resto aù­Àoç (e il suo derivato aÙÀoEtò~ç) è impiegato da Filopono qualche pagina prima (In GC 109,24 ss.) nel commento al lemma 32lb3 s. (d µÉvEt cràQI; oùcra xaì TÒ Tl Ècrn, na6oç òé Tl U1tUQXEt TWV xa8' auT6), a proposito dell'alterazione che subisce un osso a forma di tubo che, anche quando sia gonfiato da un afflusso di sangue, è dalla sua natura conservato nella sua figu­ra complessiva, pur nell'aumento della sua massa ([ ... ] ofov ÒcrTOÙ. TOUTq> OUV TOÙ a'{µaToç E/;to8EV 1tEQlXE8ÉVTOç OÙ µoVOV, aÀÀÙ xaÌ ÈV Tc\i ~a8Et 7taQE0"1taQµÉvcoç XCOQ~cravToç, Ti qiucrtç UÀYJV 7tÀEtova Àa~oùcra èl;anÀot TÒ crxiìµa TOÙ ÒO"TOÙ xaÌ qJUÀUTTEt TÒ aÙTÒ Èv µdçovt oyxqi.). La correzione di Joachim sembra ragionevole, se si considera che il senso del passaggio di­versan1ente diviene piuttosto incomprensibile. Che significherebbe, infatti, «Questa forma senza materia è una potenza immateriale nella materia. Se dunque si aggiunge qualche materia, che è in potenza immateriale, ma anche quantità in potenza, allora queste forme immateriali saranno più grandi. Se pe­rò tale forma non può più agire, come nel caso in cui l'acqua, mescolata al vi­no in quantità sempre maggiore, giunge ad annacquarlo e a trasformarlo in ac­qua, allora avviene una diminuzione di quantità, mentre la forma permane»? Ho voluto trascrivere tutto il passaggio nella traduzione di Migliori, perché questi accetta l'auÀoç dei mss, così come, del resto, aveva fatto Tommaso d'Aquino, il cui commento Migliori riferisce per esteso nella nota 71 alle pp. 184 s. Migliori ritiene che il testo tràdito non sia privo di senso, anche seri­mane qualche dubbio. In effetti in questa traduzione un qualche non-senso esi­ste. Infatti, che cosa significa «se dunque si aggiunge qualche materia, che è in potenza immateriale, ma anche quantità in potenza»? Come può una materia che si aggiunge essere sia in potenza immateriale sia in potenza quantità? E cosa significherebbe una materia in potenza immateriale? Forse una materia che è in atto materia e in potenza non materia? Se mai ciò che si aggiunge, che nella fattispecie altro non è che l'alimento, è in atto una data materia, poniamo un pezzo di pane, e in potenza un'altra materia, cioè la carne che diverrà nel corpo a cui si aggiunge per nutrirlo. Lo stesso Tommaso, Exp. 384-385, citato da Migliori, scrive «Philosophus ostendit, quod hoc, scilicet virtus speciei carnis, est species sine materia, ac si sit quaedam immaterialis potentia, quantum ad hoc quod non deteminat sibi materiam signatam: est tamen sem­per in aliqua materia». Credo che Tommaso intenda dire che la materia che si aggiunge è in potenza la forma della carne, come se fosse una certa potenza immateriale per il fatto che non si determina come materia qualificata, dal momento che può divenire osso o nervo o cose del genere, ma di fatto non lo è ancora. Tommaso dunque ha capito che Aristotele intende significare immate­riale (auÀoç) come ciò che, pur essendo in una data materia, può dar luogo ad

Sulla generazione e la corruzione Libro I 151

la materia: se dunque si aggiunge una materia, che in potenza sia <ad esempio> un tubo, e che possiede anche la quantità in potenza, i tubi non saranno pili grandi. 317 Se invece <questa forma senza materia> non può pili operare <un aumento>, ma alla maniera dell'acqua che, mescolata sempre pili al vino, alla fine lo rende acquoso al punto da ridurlo ad acqua, allora pro­durrà una diminuzione della quantità. 318

6. Il contatto

Presupposti di uno studio sugli elementi [322b] Poiché occorre anzitutto parlare della materia e dei "dd · l · 319 d. d . . 320 . cosi etti e ementl, 1cen o se essi esistono o no, e se eia-

altra materia. Come dire che la potenza di una certa materia è di per sé in qualche modo immateriale, «quodammodo est immaterialis», come scrive sempre Tommaso poco dopo. In buona sostanza Tommaso la pensa come Fi­lopono (fa infatti l'esempio dell'osso). Il "quodammodo" è altamente istrutti­vo. La correzione di auÀoç in auÀoç accolta da Rashed (che traduce hautbois [oboe]: si tratta sempre di un corpo, nella fattispecie uno strumento musicale, a forma di tubo), mi sembra conferisca a questo difficile passaggio un senso diverso da quello indicato dai commentatori: da una parte esiste l'alimento che fa aumentare la carne in quanto è carne in potenza e quantità in potenza, ma dall'altra parte esiste anche una potenza che si trova nella materia che si aggiunge a un corpo (come è ad esempio il caso dell'alimento) che è una for­ma senza materia: in questo caso l'alimento non aumenta ma mantiene il cor­po èhe lo assimila oppure, nel caso limite, lo fa deperire.

317 Alla li. 322a3 l si legge oÙTot mss: ouTot Rashed secondo la lettura del traduttore arabo Hunayn; cf. anche ed. Rashed, p. CXII s. e nota 3 di p. 128.

318 Cf. li. 322a24. 319

La frase con cui inizia GC I 6, 1tQWTOV ÒEÌ 1tEQÌ Tiìç UÀYJç xaì Téòv xaÀouµÉvcov O"TOtXEtcov dndv, è stata interpretata comunemente sia dai commentatori antichi che dai moderni nel senso che il xat che lega 7tEQÌ Tiìç UÀYJç e Téòv xaÀouµÉvcov crTotxdcov ha un significato non copulativo, ma e­splicativo (meglio, asseverativo), per cui la frase significherebbe che «occorre anzitutto parlare della materia, "ossia (e precisamente)" dei cosiddetti elemen­ti». Joachim (Comm. p. 137), ad esempio, afferma esplicitamente che «the words xaì Téòv xaÀouµévcov crTotxdcov are explanatory of Tiìç UÀYJç» (vd. 322b 1-2). Il problema non è di poco conto, perché esso implica il significato che si deve attribuire al resto della trattazione di GC. A questo proposito sono due sostanzialmente le interpretazioni dei commentatori, risalenti l'una a Filo-

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152 Aristotele

scuno di essi è eterno, o se sono in qualche modo generati, e, nel caso siano generati, se si generano l'uno dall'altro tutti allo stesso modo oppure se qualcuno di essi è primo, è necessario dunque parlare anzitutto di ciò su cui per il momento si fa un discorso indeterminato.321 Infatti, tutti coloro che dicono che gli elementi sono generati e coloro che dicono che sono generate le cose che derivano dagli elementi, usano tutti il criterio della di-

pono e l'altra a Zabarella. Il primo riterrebbe che il trattato contiene una di­scussione generale delle proprietà degli enti soggetti a generazione e corruzio­ne, compresi quindi i quattro elementi, mentre il secondo pensa che il trattato abbia come suo oggetto specifico di analisi la generazione e corruzione degli omeomeri e dei corpi misti. Secondo quest'ultima interpretazione gli elementi sarebbero le cause materiali di generazione e corruzione dei corpi, per cui la frase deve essere intesa nel senso che occorre adesso parlare della causa mate­riale, "e cioè" dei quattro elementi. Williams, Mugler e Rashed intendono in­vece il xat in questione come semplice congiunzione copulativa. Rash~, da parte sua, (p. 129 nota 4) sottolinea soprattutto il fatto che con l'espressione xaì 't"OOV xaì..ouµévrov c:n01xdrov Aristotele potrebbe fare riferimento ai me­dici-fisiologi con cui GC si misura spesso, e rimanda a questo proposito a un'analoga ma ancora più eloquente espressione di PA li 1, 646al3-15, cioè EX 't"OOV xaÀouµévov uno nvrov CHOlX!:tOlV, ofov yfjç ÙÉQoç uOa't"oç nuQoç. A me sembra che la congettura di Rashed, che spiega come l'espressione ari­stotelica intenda semplicemente rimandare al fatto che cnotxdov è un termi­ne utilizzato da alcuni per indicare i quattro corpi semplici, sgombri il campo dal problema se dare al xai un significato copulativo o no. Filop. In GC 126, I-7 pensa, invece, che l'espressione sia un modo impiegato da Aristotele affinché non si pensi ad una materia prima distinta dai corpi semplici, ma, ap­punto, ai quattro corpi semplici in quanto tali. La differenza più importante fra le interpretazioni dei due antichi commentatori, infatti, risiede nel problema ad esse connesso della materia prima, perché Filopono ritiene che lo studio della generazione e della corruzione degli elementi determini la materia prima degli elementi e quindi di tutti i corpi, mentre per Zabarella lo studio degli elementi non necessariamente rimanda al problema di una eventuale materia prima. Cf. C. Natali, On Generation and Corruption I 6 cit., pp. 195-197.

320 Seguo l'edizione di Rashed che ha ifonv, mentre in Joachim si legge ecntv. Per questo alcuni traduttori, intendendo il precedente xaì..ouµévrov nel senso che Aristotele non ha ancora dimostrato che si tratta degli elementi, tra­ducono la frase successiva nel senso che occorre dire se essi sono <veri ele­menti> oppure no (così intende Filop. /n GC 126,7-8).

321 Per il momento Aristotele deve chiarire ciò di cui occorre avere cono­scenza prima di affrontare il problema degli elementi, e cioè la mescolanza, l'agire e il patire, e il contatto.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 153

visione e dell'aggregazione o quello dell'azione e della passio­ne. E l'aggregazione è mescolanza; ma in che modo diciamo che si mescolino, non è stato definito in modo chiaro. Tuttavia non è possibile che ci sia né alterazione, e neppure divisione e aggregazione, senza che ci siano un agente e un paziente; e in­fatti coloro che ammettono una molteplicità di elementi dicono che le cose si generano per via della loro [reciproca] 322 azione e passione, ma anche coloro che dicono che si generano da un u­nico elemento sono costretti a parlare di azione; e in questo sen­so Diogene dice giustamente che, se ogni cosa non avesse avuto origine da un unico elemento, non ci sarebbe stata reciprocità né di azione né di passione, ad esempio il caldo che diviene freddo e quest'ultimo che diviene di nuovo caldo: infatti non sono il calore e la freddezza che si mutano l'uno nell'altro, bensi è chiaro che è il sostrato <a riscaldarsi o a raffreddarsi>, sicché in ciò in cui c'è sia l'azione che la passione, necessariamente ci dev'essere un'unica natura soggiacente. Orbene, dire che tutto è di tale natura risulta falso, al contrario è vero <solo> per ciò in cui c'è la reciprocità. Ma se bisogna considerare <sia> l'azione e la passione <che> la mescolanza, è necessario considerare an­che il contatto, giacché non possono agire o patire in senso pro­prio le cose che non possono toccarsi reciprocamente, né si può ammettere la loro mescolanza se prima non si toccano in qual-

322 un' àì..ì..~Àrov è espunto da Rashed non solo perché assente sia nella

tradizione manoscritta (presente solo nei mss recentiores) sia in Filopono, per cui risulta "textuellement indéfendable'', ma anche perché gli appare inoppor­tuno dal punto di vista concettuale (vd. M. Rashed, Die Uberlieferungsgeschi­chte der aristotelischen Schrift «De generatione et corruptione», coli. «Serta Graeca» Bd. 12, Wiesbaden 2001, p. 321). Già Migliori, p. 187 nota 10, ave­va proposto ]'eliminazione dell'espressione un' ÙÀÀ~ÀOlV considerandola in­terpolata sulla base di 322b 15 e sottolineando che è falso che i pluralisti af­fermassero la reciprocità di azione e passione. In effetti, quanto Aristotele dice subito dopo a proposito di Diogene di Apollonia rende chiaro che la reciproci­tà di azione e passione è una condizione che si verifica nel caso dell'elemento unico dei monisti. Dell'espressione un' àU~ì..rov discute anche C. Natali, On Generation and Corruption I 6 cit., pp. 199 ss. sulla base sia dei commentatori antichi sia dell'uso che di questa espressione viene fatto in altre opere aristote­liche.

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154 Aristotele

che modo. Sicché bisogna determinare che cosa significhino questi tre termini: contatto, mescolanza, azione. 323

Definizione e reciprocità del contatto Ma assumiamo questo principio. Necessariamente infatti le

cose di cui c'è mescolanza devono entrare in reciproco contatto, e questo vale anche nel caso in cui ci sia qualcosa che agisce e qualcos'altro che patisce in senso proprio. Perciò bisogna parla­re in primo luogo del contatto. Ebbene, cosi come324 si dice in molti modi ciascuno degli altri nomi, alcuni per omonimia altri per derivazione da altri nomi che li precedono, allo stesso modo accade anche per il <nome> contatto. Tuttavia il contatto detto in senso proprio si applica a ciò che ha posizione, e posizione si applica a ciò che ha [323a] anche un luogo; e infatti agli enti matematici si deve assegnare ugualmente contatto e luogo, sia che ciascuno di essi esista separatamente sia che esista in altro modo. Se dunque l'essere in contatto, secondo la definizione data in precedenza, consiste nell'avere gli estremi abbinati in­sieme, saranno in reciproco contatto quelle grandezze che, pur essendo distinte325 e fomite di una posizione, possiedono gli e­stremi abbinati insieme. Ma poiché a ciò a cui si applièa una posizione si applica anche un luogo, e la prima differenza del luogo è l'alto e il basso e opposti di questo genere, tutto quanto è in contatto reciproco avrà o pesantezza o leggerezza, o ambe­due tali proprietà o l'una o l'altra di esse. Ma le cose di tal ge-

323 Il primo concetto che viene affrontato è il contatto, proprio in questo cap. 6; seguono azione e passione nei capp. 7-9, e da ultimo la mescolanza nel cap. I O. Questa sequenza è giustificata dal fatto che le cose che subiscono un'azione devono essere in contatto, ma ciò che si mescola subisce un'azione per cui ha contatto con qualcosa.

324 Come sottolinea Joachim p. 142, crxeù6v ha qui un valore idiomatico; non deve quindi intendersi, come fa ad esempio Mugler, nel senso che "quasi tutti gli altri termini si dicono in più sensi", perché allora si dovrebbe pensare che non tutte le cose si dicono in molti modi, come suppone infatti [Tomma­so] Exp. 513, 21 (pongo fra parentesi quadre il passo dell'Exp. perché a questo punto si tratta già del commentatore anonimo).

325 OHOQtcrµÉva mss: OtìJQeµÉva scrisse Joachim confrontando qualche li­nea dopo, 323al l, dove Aristotele esprime il medesimo concetto.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 155

nere sono capaci di agire o di patire; ne consegue, evidentemen­te, che queste cose sono per natura in contatto tra loro, in quan­to, pur essendo grandezze distinte, hanno gli estremi abbinati insieme, e sono capaci di muovere ed essere mosse reciproca­mente.

Toccare, agire, muovere Ma poiché non <ogni> motore muove alla stessa maniera il

mosso, ma l'uno per muovere il mosso necessariamente muove anche se stesso, mentre l'altro resta immobile, allora è chiaro che anche a proposito dell'agente noi diremo la stessa cosa; e infatti si dice che ciò che muove agisce e ciò che agisce muove.

Nondimeno essi sono diversi e occorre tenerli distinti: non è possibile infatti che ogni motore agisca, se è vero che dovremo contrapporre ciò che agisce a ciò che patisce, e che ciò che pati­sce è tra le cose di cui una proprietà è il movimento, e tale pro­prietà consiste soltanto nell'alterarsi, ad esempio <nel divenire> bianco o caldo, ma il muovere è qualcosa di piu che l'agire. È chiaro dunque che ciò che è capace di muovere da un lato sarà in contatto con ciò che viene mosso, dall'altro lato no.

La definizione generale dell'essere in contatto, però, è la se­guente: sono in contatto le cose che hanno posizione e che sono capaci l'una di muovere e l'altra di essere mossa, sono d'altra parte in rapporto reciproco di mosso/motore le cose che hanno la capacità di agire e di patire. È possibile dunque che nella maggior parte dei casi la cosa che agisce per contatto sia anche una cosa che patisce il contatto di ciò con cui entra in contatto: e infatti quasi tutte le cose di cui abbiamo esperienza muovono in quanto sono mosse, per le quali cose appare necessario anche che ciò che entra in contatto subisca il contatto di ciò con cui entra in contatto; ma è possibile d'altra parte, come talvolta noi diciamo, che solo il motore entri in contatto con il mosso, ma che ciò che entra in contatto [scii. il motore] non subisce il con­tatto di ciò con cui entra in contatto [scii. il mosso], tuttavia il fatto che i motori muovono dei mossi che sono della loro stessa natura, genera l'apparente necessità che il contatto sia recipro­co. Sicché se qualcosa muove senza essere mossa, essa da un la-

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156 Aristotele

to entra in contatto con ciò che viene mosso, dall'altro lato nulla entra in contatto con essa: talvolta noi diciamo infatti che chi ci affligge entra in contatto con noi, ma che noi stessi non entria­mo in contatto con quello. Ecco dunque il modo di determinare che cosa sia il contatto nelle cose naturali.

7. Agire e patire

Teorie dei predecessori sul/ 'agire e il patire [323b] Occorre parlare qui di seguito dell'agire e del pati­

re;326 abbiamo assunto <in proposito> dai nostri predecessori dei concetti tra loro contrapposti. La maggior parte di questi pensatori, infatti, dice unanimemente la medesima cosa, e cioè che il simile è assolutamente incapace di patire da parte del si­mile, per il fatto che nessuna tra due cose simili è piu capace dell'altra di agire o di patire (tutte le cose simili, infatti, hanno similmente le stesse proprietà), mentre le cose dissimili e diffe­renti sono capaci per natura di agire e patire reciprocamente; e infatti, quando il fuoco minore è corrotto dal fuoco maggiore,327

si dice che patisce ciò in virtu della contrarietà, perché il molto è contrario del poco. Democrito è l'unico che abbia espresso una sua propria opinione diversa da quella di tutti gli altri, giac­ché egli dice che l'agente e il paziente sono identici, o meglio simili:328 non concede infatti che le cose diverse e differenti su-

326 C. Wildberg, On Generation and Corruption /. 7: Aristotle on poiein and paschein, in de Haas & J. Mansfeld ed. by, Aristotle 's On Generation and Corruption I cit., pp. 222-223, si interroga sull'opportunità di tradurre rispetti­vamente con agire e patire i verbi 1totdv e rcaaxEiv: egli osserva giustamente che qui è in gioco il mutamento delle affezioni qualitative e che quindi la tra­duzione dei due termini dovrebbe piuttosto tener conto di questo specifico si­gnificato. Su questa questione vd. G.R. Giardina, La chimica fisica di Aristo­tele cit., p. 133 nota 1.

327 È evidente la corrispondenza che Aristotele stabilisce tra "molto/poco" e "maggiore/minore", sulla base della loro contrarietà. In sostanza, pur essen­do il fuoco minore simile al fuoco maggiore in quanto è sempre fuoco, risulta invece contrario in quanto minore rispetto a maggiore, o poco rispetto a molto.

328 TÒ m'.JTÒ xaÌ OµOtOV è tradotto da alcuni, impropriamente, come «iden­tici e simili»: «identiques et semblables», Tricot e Mugler; «identici e simili»,

Sulla generazione e la corruzione Libro I 157

biscano reciprocamente, ché anzi, essendo diverse, può capitare loro di avere una certa reciproca azione, ma non in quanto sono diverse, bensi in quanto posseggono una certa identità.

Analisi critica degli errori dei predecessori Sono queste, dunque, le cose dette <da costoro>, ma quelli

che parlano in questo modo sembra che dicano cose in evidente contraddizione tra loro. La ragione di tale contraddittorietà è che occorrerebbe prendere in considerazione la questione nella sua globalità, mentre accade che da una parte e dall'altra si parli solo di un aspetto di essa; e infatti ciò che è simile, ovvero asso­lutamente indifferente <rispetto ad altro>, è giusto che non su­bisca alcuna azione dal simile (quale fra due enti simili <e asso-

Migliori. Rashed traduce con una certa perspicuità «identiques et de mème na­ture», traduzione che conserva comunque l'equivoco tra natura e proprietà, equivoco che evita giustamente Joachim, che traduce «identica!, i.e. "like"», cadendo tuttavia in un non senso. Quest'ultima traduzione, infatti, appare pri­va di senso, perché attribuisce ad Aristotele quella confusione concettuale tra identico e simile in cui egli non è mai incorso, dal momento che - quando af­fronta il problema della conoscenza da parte dell'anima - egli critica coloro che sostengono che "il simile si conosce col simile" (Empedocle e altri), par­lando sempre di somiglianza e mai di identità, cf. An. 409b23 ss.: «Essi pon­gono infatti che <l'anima> conosce il simile con il simile [n8ÉVTm yàQ YV<OQic:;Et V T<ji Òµotqi TÒ OµOtOV ], come se ponessero <sullo stesso piano> ['anima e [e COSe [roaTCcQ ClV cÌ T~V tJ.>UX~V Tà TCQayµaTa n8ÉVTEç]». Quest'ultima espressione non può significare - come pretende Barbotin - «ce qui reviendrait à poser que l'àme s 'identifìe aux choses», né - come pensa Laurenti - «ciò equivale a porre che l'anima sia le cose», ma semplicemente che l'anima sarebbe composta di elementi simili a quelli che compongono le cose che essa conosce, e che conosce, appunto, in virtù di tale somiglianza. C'è da dire, tuttavia, che Aristotele considera la somiglianza come se fosse "una certa identità", come scrive subito dopo a 323bl4: TaÙTov n (anche in questo caso alcuni non hanno, a mio modesto avviso, percepito l'esatto valore del n, dando così all'espressione un significato improprio e ambiguo: ad e­sempio «quelque élément identique», Tricot; «an identica! property», Joa­chim, che pure aveva inteso bene l'espressione precedente, come si è visto; «qualcosa di identico», Migliori; «quelque chose d'identique» Rashed. Chi ha compreso il senso del n è invece Mugler, che traduce «identiques sous quel­que rapport», spiegando in nota che si tratta della teoria democritea delle «af­finités de grandeur et de forme» tra gli atomi.

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lutamente indifferenti tra loro>, infatti, potrebbe fare da agente piuttosto che l'altro? E se anche fosse possibile subire un'azione da parte del simile, dovrebbe essere possibile subire un'azione anche da se stessi: in verità, se le cose stessero cosi, non ci sarebbe nulla di incorruttibile né di immobile, se è vero che il simile agisce in quanto simile, perché ogni cosa potrebbe muovere se stessa), e la stessa cosa vale per I' assolutamente di­verso, ovvero per ciò che in nessun modo è identico, giacché nemmeno potrebbe una bianchezza subire azione da una linea o una linea da una bianchezza, se non per accidente, come ad e­sempio nel caso che accadesse che la linea fosse bianca o nera: non possono infatti mutare la loro propria natura se non le cose che sono contrarie o che derivano da contrari. Ma poiché non accade a qualsiasi cosa l'essere capace per natura di patire e a­gire, ché anzi ciò accade solo a ciò che possiede contrarietà o è contrario, allora è necessario anche che l'agente e il paziente siano di genere simile, o meglio identico,329 e di specie dissimi­le, o meglio contraria: per natura infatti un corpo subisce l'azione da parte di un corpo, un sapore da parte di un sapore, un colore da parte di un colore, e in generale l'omogeneo da parte dell'omogeneo; [324a] e la ragione di ciò sta nel fatto che i contrari si trovano tutti nello stesso genere,330 e nel fatto che agiscono e patiscono reciprocamente le cose che sono contrarie tra loro. Di conseguenza è necessario che l'agente e il paziente siano in un senso identici, e in un altro senso diversi e dissimili tra loro. Ma poiché il paziente e l'agente sono ambedue identici, o meglio simili per genere, ma dissimili per specie, e d'altra parte sono siffatti i contrari, allora è chiaro che sono capaci di patire e di agire reciprocamente sia le cose contrarie che quelle intermedie: è in queste, infatti, che troviamo generalmente cor­ruzione e generazione.

Perciò risulta ormai ragionevole anche il fatto che il fuoco riscaldi e il freddo raffreddi, e in generale il fatto che ciò che è capace di agire assimili a sé ciò che subisce <la sua azione>,

329 In questo caso i termini sono invertiti. 330 Nel senso che ogni coppia di contrari appartiene allo stesso genere.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 159

poiché l'agente e il paziente sono contrari <tra loro>, e la gene­razione procede verso il contrario. Di conseguenza, necessaria­mente il paziente si muta nell'agente, perché è cosi che la gene­razione procederà verso il contrario. E in verità secondo ragio­ne, pur non dicendo le stesse cose, ambedue questi gruppi di pensatori sono allo stesso modo in contatto con la natura <delle cose>. Noi diciamo, infatti, una volta che è il soggetto che pati­sce, ad esempio che è l'uomo che guarisce o si riscalda o si raf­fredda e allo stesso modo anche le altre cose, un'altra volta che è il freddo che si riscalda, ed è la malattia che guarisce: ambe­due i discorsi sono veri; ma la stessa cosa vale a proposito dell'agente, giacché una volta diciamo che è l'uomo che riscal­da, un'altra volta che è invece il caldo: nell'un caso è infatti <l'uomo> in quanto materia che patisce, nell'altro caso invece è <una sua proprietà> in quanto contraria che patisce. Coloro, dunque, che hanno considerato il primo di tali aspetti della que­stione331 hanno ritenuto che debbano possedere una qualche i­dentità <tra loro> l'agente e il paziente, coloro che, invece, hanno considerato il secondo aspetto della questione332 hanno ritenuto il contrario. 333

Causa motrice prima e causa motrice ultima Ma bisogna supporre che il discorso che riguarda l'agire e il

patire sia identico a quello che riguarda l'essere mosso e il muovere; anche il motore si dice infatti in due sensi: nel senso, infatti, in cui esso viene detto essere il principio del movimento, sembra che esso muova (perché il principio è la prima delle cause), ma in un altro senso esso è il motore ultimo in rapporto al mosso e alla generazione. La stessa cosa vale anche a propo­sito dell'agente: e infatti noi diciamo che è il medico che guari­sce o il vino. Orbene, nel movimento, nulla impedisce, da un la­to che il primo motore sia immobile - in alcuni casi è anzi ne­cessario <che sia cosi> -, e dall'altro lato che l'ultimo motore

331 Cioè che ad agire e patire è il soggetto. 332 Cioè che ad agire e patire sono le proprietà contrarie del soggetto. 333 Cioè che l'agente e il paziente debbano essere assolutamente contrari.

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muova sempre essendo <esso stesso> mosso. D'altra parte, a proposito dell'azione, il primo <agente> non subisce azione, mentre l'ultimo <agente> subisce azione anch'esso, giacché tut­to ciò che agisce senza possedere la stessa materia <di ciò che subisce la sua azione> non subisce azione, come ad esempio la medicina: questa, infatti, pur provocando guarigione, [324b] non subisce alcunché da parte di chi riceve guarigione; l'ali­mento, invece, agendo <come nutrimento> subisce anch'esso una qualche azione: o perché si riscalda o perché si raffredda o perché subisce qualche altra alterazione nello stesso momento in cui agisce. Ma mentre la medicina è come un <primo> prin­cipio, l'alimento invece è l'ultimo <agente> a contatto <con il paziente>. Tutti gli agenti, dunque, che non hanno la loro forma nella materia, non possono subire alcuna azione, mentre quelli che hanno la loro forma nella materia, possono subire azione. Noi diciamo infatti che è identica, per cosi dire, la materia di <ambedue i termini di> qualsiasi coppia di opposti, come se fosse un loro genere, e che ciò che è capace di riscaldarsi, ne­cessariamente viene riscaldato in presenza e in prossimità di ciò che lo può riscaldare; perciò, come si diceva, le cose che sono capaci di agire sono le une incapaci di subire azione, le altre ca­paci di subire. azione. E le cose stanno alla stesso modo sia a proposito del movimento che a proposito degli agenti; nel primo caso, infatti, il primo motore può essere immobile, ma anche nel caso degli agenti il primo agente può non subire azione.

D'altra parte l'agente è causa in quanto è ciò da cui ha origi­ne il movimento, mentre ciò in vista di cui <è il movimento> non è un agente: perciò la guarigione non è un agente se non metaforicamente; e infatti, quando l'agente esiste, il paziente diviene qualcosa, mentre quando sono <già> presenti le proprie­tà, esso non diviene pili, ma è già, e le forme, cioè i fini, sono <appunto> delle proprietà, mentre la materia, in quanto materia, è capace di subire azione.

Il fuoco, dunque, ha nella <sua> materia il calore; se il calo­re fosse, invece, separato <dalla materia del fuoco>, non po­trebbe subire alcunché. Dunque è forse impossibile che il calore sia separato; e se <mai> ci fossero tali realtà, di esse sarebbe ve-

Sulla generazione e la corruzione Libro I 161

ro ciò che si è detto. È cosi, dunque, che bisogna determinare che cosa siano l'agire e il patire, e quali siano le cose a cui ap­partengono, e perché e in che modo.

8. Empedocle, gli Atomisti e Platone sulla natura dei corpi che agiscono e patiscono

La teoria empedoclea dei pori Come tutto questo possa accadere, dobbiamo dirlo di nuovo.

Orbene, alcuni pensatori credono che ogni cosa subisca azione per via di alcuni pori nei quali penetra l'agente ultimo e pili ap­propriato, e che è in tal modo - essi dicono - che noi vediamo, udiamo e percepiamo tutte le altre sensazioni; inoltre essi dico­no che si può vedere anche attraverso l'aria e l'acqua e i corpi trasparenti, per il fatto che tali corpi hanno dei pori che sono in­visibili per la loro piccolezza, ma addensati e disposti in fila, e tali pori sono tanto pili numerosi quanto pili i corpi sono traspa­renti. Alcuni pensatori, dunque, quale <ad esempio> Empedo­cle, hanno fornito tale definizione a proposito di alcuni corpi, dicendo non solo che tali corpi sono capaci di agire e di subire azione, ma che sono capaci anche di mescolarsi, <almeno> quelli di essi che hanno i pori commisurati tra loro.

Gli Atomisti e il vuoto Ma i pensatori che pili di ogni altro hanno dato definizioni

con metodo [325a] [e con un unico ragionamento]334 valido per tutti gli aspetti della questione, sono Leucippo e Democrito, i quali hanno posto come principio quello che è veramente tale per natura. Alcuni antichi pensatori, infatti, hanno ritenuto che l'essere è necessariamente uno e immobile: il vuoto infatti non è, e non può esistere movimento senza che ci sia un vuoto sepa­rato <dall'essere>, e ancora che non può neppure esistere una molteplicità di enti senza che esista qualcosa che li disgiunga; ma in questo non c'è alcuna differenza, tra il credere, cioè, che

334 Espunge Rashed, il cui testo ha ÉvÌ. ì..6ym senza iota sottoscritta. Si leg­ge correttamente ÉvÌ. ì..6yqi solo in app. cr.

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162 Aristotele

l'universo non sia continuo, ma che ciò che è diviso si tocchi,335

e l'affermare che esista una molteplicità di enti, e cioè che esi­stano il non uno e il vuoto. Se infatti <l'essere> fosse intera­mente divisibile, non ci sarebbe niente di uno, di conseguenza non ci sarebbero neppure i molti, ma l'universo sarebbe vuoto; se invece <l'essere> fosse qua divisibile e là no, esso somiglie­rebbe a qualcosa di artificioso; fino a qual punto, infatti, <è di­visibile>, e perché una parte dell'universo sarebbe cosi, cioè <non divisibile e> piena, e un'altra parte divisa? E inoltre sa­rebbe ugualmente necessario che non esista un movimento. Muovendo da tutti questi ragionamenti, dunque, scavalcando l'esperienza sensibile, e <anzi> disdegnandola, questi pensatori dicono che bisogna seguire la <sola> ragione e che l'universo è uno e immobile e - dicono alcuni - infinito, perché il limite <se c'è> finisce nel vuoto. Alcuni pensatori, dunque, la pensavano cosi e con queste motivazioni manifestavano le loro idee sulla verità.

Ma poiché, sulla base di <puri> ragionamenti, sembra che accadano queste cose, mentre sulla base della realtà delle cose tali opinioni sembra che rasentino la follia (sembra infatti che nessun folle potrebbe essere tanto insensato da credere ·che il fuoco e il ghiaccio siano un'unica realtà, ché anzi è soltanto per follia che alcuni credono che non ci sia alcuna differenza tra le cose belle e quelle che per abitudine appaiono tali), Leucippo ha creduto di avere delle ragioni per sostenere teorie che, in accor­do con l'esperienza sensibile, non eliminano né la generazione né la corruzione né il movimento e la molteplicità degli enti. 336

335 Ovvero che ci sia contiguità. 336 Rashed suggerisce, p. 138 nota 4, che il òÉ dopo Aeuxumoç non in­

troduce una nuova opposizione (in questo caso il testo non avrebbe senso), ma riprende dopo la parentesi il òÉ dell'inizio della frase (Rashed rimanda per un medesimo esempio di questa costruzione a GC I 1, 14al 1-13. Inoltre, per quanto concerne la li. 325al 7, Joachim ritiene che ci sia una lacuna. Non così Mugler, che accettando Èrcei che è lezione della famiglia a (cf. Rashed, pp. CXCI ss.), al posto dell'ht degli altri mss (cf. Rashed, app. ad loc.), ritiene che il discorso continui senza interruzione. La stessa soluzione di Mugler è adottata da Rashed.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 163

D'altra parte, dopo avere accordato tali principi con i fenomeni, e avere concesso a coloro che sostengono l'unità <dell'essere> che non potrebbe esistere movimento senza vuoto, che il vuoto è non essere e che nulla dell'essere può essere non essere, dice che l'uno in senso proprio è un essere assolutamente pieno, ma che un tale essere non può essere uno, bensi un insieme di enti infiniti di numero e invisibili per la piccolezza della loro massa. Essi sono trasportati nel vuoto (perché il vuoto esiste), e danno luogo alla generazione quando si aggregano, e alla corruzione quando si disgregano. E agiscono e subiscono azione in quanto entrano casualmente in contatto <tra loro> (è in questo senso, infatti, che Leucippo sostiene che l'essere non è uno), e quando si compongono e si intrecciano <tra loro> generano le cose: da un essere veramente uno, invece, non potrebbe generarsi una molteplicità, né da un essere veramente molteplice potrebbe ge­nerarsi un'unità, ma ciò è impossibile; tuttavia, [325b] come Empedocle e alcuni altri pensatori dicono che il subire azione avviene attraverso pori, cosi <Leucippo>337 dice che ogni alte­razione e ogni processo che comporti subire azione avvengono allo stesso modo, nel senso che la disgregazione e la corruzione avvengono attraverso il vuoto, e similmente anche l'aumento, quando <nel vuoto> penetrano degli altri338 elementi.

L'atomismo improprio di Empedocle Empedocle è costretto a dire quasi le stesse cose che dice

Leucippo, perché sostiene che ci sono dei corpi solidi e però in­divisibili, tranne che i pori non siano ovunque in continuità. Ma questo è impossibile, perché non resterebbe nient'altro di solido oltre ai pori, e sarebbe <quindi> tutto vuoto. È necessario, dun­que, che le parti del corpo che si toccano siano indivisibili, e le parti che stanno in mezzo, e che egli chiama pori, siano vuote. Lo stesso discorso Leucippo fa a proposito dell'agire e del subi­re un'azione. Sono piu o meno questi, dunque, i modi in cui -

337 Alle li. 325a36-b 15 Aristotele mostra sotto quali aspetti gli Atomisti siano d'accordo con Empedocle.

338 ETÉQrov: nel testo di Rashed erroneamente ETEQiiìv.

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164 Aristotele

dicono <questi pensatori> - alcuni corpi agiscono e altri subi­scono azione; su questi problemi e sul modo come essi li risol­vono, sembra ci sia chiarezza, e gli argomenti di cui si servono risultano essere quasi conformi con le loro posizioni <di fon­do>. Altri pensatori, invece, appaiono meno chiari, in Empedo­cle, ad esempio, non apparirà chiaro in qualche modo <ciò che pensa> della corruzione e dell'alterazione.339 Per gli Atomisti, infatti, sono indivisibili i principi dei corpi, che differiscono so­lo per la loro figura, principi da cui <i corpi nascono> per ag­gregazione e in cui finiscono per disgregazione; per Empedocle, invece, è chiaro che la generazione e la corruzione appartengo­no a tutti gli enti, esclusi gli elementi, ma in che modo di questi stessi elementi la grandezza che si va accumulando340 si generi e si corrompa, né lo dice chiaramente, né gli è consentito di dir­lo, dal momento che egli non dice che anche del fuoco ci sia un elemento, cosi come non c'è di tutti gli altri elementi, come <invece> ha scritto Platone nel Timeo.

Critica del! 'atomismo e di Platone C'è infatti una bella differenza tra quello che dice Platone e

quello che dice, non allo stesso modo, Leucippo, nel sensò che, mentre quest\1ltimo dice che indivisibili sono i corpi solidi, Platone dice invece che sono indivisibili le figure piane [scii. i triangoli elementari], e mentre il primo dice che le figure che limitano ciascun solido indivisibile sono di numero illimitato, l'altro invece dice che <le figure che limitano ciascun piano in­divisibile> sono di numero limitato, sebbene ambedue parlino

339 Il testo nell'edizione Mugler ha: yévecnç xaì cp8oQà xaì àÀÀ.otrocnç. L'editore, però, non dà alcuna variante in apparato. Ritengo perciò che abbia ragione Joachim di eliminare yévecnç, non foss'altro perché spiega come le parole yÉvecnç xaì cp8oQa siano attribuite erroneamente da Bekker ai mss FH (cf. afrpar. ad /oc.: Bekker, qui haec verba libris FH perperam attribuit).

3 0 Rashed, p. 139 nota 2 si pronuncia a favore della possibilità che l'espressione crroQeu6µevov µÉye8oç sia un frammento del poema fisico di Empedocle, sia in virtù del fatto che può bene inserirsi in un esametro dattilico sia perché il verbo è presente in Aristotele nella forma attiva solo in Rhet. II 15, l 390b 18 e nella sua forma medio-passiva, come in questo caso, mai.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 165

di elementi indivisibili e determinati da figure. 341 È appunto da ciò che derivano le generazioni e le disgregazioni, e mentre per Leucippo ciò è possibile in due modi, cioè attraverso il vuoto e attraverso il contatto (è in virtu di quest'ultimo, infatti, che cia­scun corpo è divisibile), per Platone invece soltanto per contat­to, dal momento che egli nega che esista il vuoto.

Delle figure piane indivisibili abbiamo parlato nel preceden­te trattato;342 dei solidi indivisibili, invece, noi per il momento tralasciamo di considerare ulteriormente quel che ne consegue,

341 Ho tradotto in questo modo i termini àn:EtQOtç [crx~µacn] e ciiQtcrµÉ­

votç, anziché infinito e finito, allo scopo di superare l'osservazione di Joa­chim, che a questo proposito ritiene che si debbano espungere le parole della li. 325b28: Tiiiv àotatQÉTrov crTEQEiiiv exacrTov, perché «is absurd that each indivisible sol id was defined by an infinity of figures and each indivisible pia­ne by a finite number of figures». In effetti non vedo alcuna ragione di frain­tendimento in ciò che dice Aristotele: Leucippo dice che le figure che appar­tengono a ciascun corpo solido indivisibile sono di numero illimitato, cioè in­finito, mentre Platone dice che le figure sono di numero limitato, cioè finito, esattamente due tipi di triangoli. Non si tratta quindi di considerare i confini o lati delle figure di ciascun corpo solido indivisibile (in tal caso avrebbe ragio­ne Joachim), bensì il numero stesso delle figure che delimitano i corpi di cui parla Leucippo e quelli di cui parla Platone. Mugler evita l'obiezione, e quindi l'espunzione, di Joachim, traducendo quelle parole «la totalité des corps soli­des indivisibles», anziché «chaque corps solide indivisible». Per gli Atomisti, infatti, secondo Mugler, la solidità dei corpi è primaria e la superficie è secon­daria (quest'ultima altro non sarebbe che il confine tra il pieno e il vuoto). Anche Rashed non accoglie né l'obiezione né tanto meno l'espunzione di Joa­chim, traducendo giustamente: «les figures délimitant chaque solide indivisi­ble sont en nombre infini pour l'un et en nombre limité pour l'autre». Si tratta, infatti - a mio avviso -, di interpretare il discorso aristotelico nel senso che per Platone gli indivisibili, essendo delle figure geometriche (anche se danno luogo a dei solidi, che sono però anch'essi geometrici, e quindi sottoposti ari­gide regole di configurazione), sono di numero limitato (sono cioè due e solo due tipi di figure piane, che danno luogo a quattro e solo quattro, tra le cinque possibili, figure solide regolari, tetraedro, esaedro, ottaedro e icosaedro), men­tre per Leucippo gli indivisibili, essendo delle figure solide non necessaria­mente geometriche, possono assumere qualsiasi figura, cioè possono essere di numero illimitato.

342 Le figure piane indivisibili sono i triangoli elementari del Timeo plato­nico; il trattato a cui si riferisce qui Aristotele è il Cael., e soprattutto le pagine di III I, 298b33-300al 9 (cf. anche III 7, e IV 2).

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ma <solo> per fare una rapida digressione,343 [326a] dicendo che <secondo Leucippo e Democrito> necessariamente ciascu­no degli indivisibili è incapace di subire azione (perché non è capace di subire azione se non attraverso il vuoto), ma anche di produrre alcuna affezione: non può essere infatti, ad esempio, né freddo né duro. A dire il vero è assurdo attribuire il caldo alla sola figura sferica, perché <in tal modo> diviene necessario at­tribuire la proprietà contraria, cioè il freddo, a qualche altra fi­gura. Ma è anche assurdo che, se <negli indivisibili> esistono tali proprietà, intendo dire il calore e la freddezza, non esistano <in essi> anche la pesantezza e la leggerezza e la durezza e la morbidezza; nondimeno Democrito dice che ciascuno dei corpi indivisibili è tanto piu pesante quanto piu è grande,344 di conse­guenza è chiaro che sarà anche tanto piu caldo <quanto piu è grande>. Ma se <i corpi indivisibili> sono tali, è impossibile che non subiscano azione reciproca, ad esempio che il corpo poco freddo 345 non subisca azione da quello che lo supera per eccesso di calore. Ma <questo vale> certamente anche se è duro o morbido, però dire che è morbido è già dire che subisce qual­cosa, perché morbido è ciò che è capace di cedere <sotto pres­sione>.

Ma è assurdo anche che <nel corpo indivisibile> non esista altra proprietà che la figura, e se esiste <qualche altra proprie­tà>, che essa sia soltanto una, ad esempio il duro o il caldo,346

343 Tale digressione occupa le li. 325b36-326b6, in cui Aristotele critica la teoria atomistica di azione e passione.

344 iw-rà -r~v U7tEQoxfiv è interpretata nel senso di "eccesso" di grandezza da Teofrasto, De sensu 61, 4 Wimmer: ~aQÙ µÈv oùv xaì. xo\3cpov -rc]i µeyÉ8et òtatQEÌ L'l.1iµ6xQt-rOç. L'espressione deve intendersi nel senso di una "pre­ponderanza" e non di grandezza in senso spaziale, come chiarisce D. O'Brien, Theories of Weight in the Ancient World. Four Essays on Democritus, Plato and Aristotle, voi. I: Democritus: Weight an Size, Leyde 1981, pp. 43-48.

345 Rashed preferisce la lezione tjJUXQOV, attestata dalla maggior parte dei mss, alla lezione 8eQµ6v. Egli tuttavia precisa giustamente (cf. nota 9 a p. 143) che il "poco freddo" indicherebbe, così come il "poco caldo", la mede­sima condizione termica, per cui il significato non cambia.

346 Òtov -rò µÈv tJ!UXQÒV -rò òÈ 8eQµ6v Joachim. Nei mss della famiglia a si legge crxÀTJQOV al posto di tJ!uxQ6v, che Rashed accoglie anche in virtù di

Sulla generazione e la corruzione Libro I 167

perché <in questo caso> non avrebbero neppure un'unica natu­ra. Parimenti è impossibile attribuire ad un solo corpo indivisi­bile piu di una proprietà, perché essendo indivisibile avrà in sé <indivisibili> anche le sue proprietà, e di conseguenza se subi­sce un'azione, in quanto <ad esempio> si raffredda, in questo caso quale altra azione produrrà o subirà? Lo stesso discorso va­le anche a proposito delle altre affezioni,347 dal momento che questo accade allo stesso modo nel caso sia di coloro che dico­no che sono indivisibili i solidi sia di coloro che dicono che so­no indivisibili le figure piane, giacché né i solidi né le figure piane possono divenire, ad esempio, piu radi o piu densi, non essendoci negli indivisibili alcun vuoto.

È assurdo inoltre che siano indivisibili i corpi piccoli, e non quelli grandi, perché è vero si che da un punto di vista razionale

ragioni teoriche (vd. Rashed, p. 144 nota 1, nonché Die Uberlieferungsgeschi­chte cit., p. 326). Questa lezione crxÀTJQOV era stata già difesa da Migliori, il quale scrive in nota che «la correzione proposta da Joachim, Comm., p. 167, che cambia crXÀTJQOV con tjJUXQOV, appare superflua» (cf. p. 204 ~per la preci­sione non si tratta di una "correzione", bensì della scelta di una variante). In effetti la scelta della variante operata da Joachim rispetterebbe la necessità lo­gica di non tenere disgiunti l'uno dall'altro i contrari, caldo-freddo, perché appartengono alla stessa natura, ovverosia allo stesso genere. Come dire che se una cosa è calda può divenire fredda, non già morbida o altro che fredda. L'alternanza delle proprietà contrarie avviene sempre fra proprietà dello stes­so genere. Quindi attribuire ad un indivisibile, oltre alla figura, una sola pro­prietà (è questa l'ipotesi che fa Aristotele), significherebbe secondo la scelta di Joachim attribuire una proprietà o la sua contraria, perché altrimenti le pro­prietà attribuite sarebbero almeno due e non più una so la. È questa la ragione per la quale Mugler traduce: «car il ne saurait y avoir une seule nature pour ces deux qualités opposées». Rashed ritiene tuttavia, e giustamente, che, es­sendo sia la durezza sia il calore due qualità riconosciute dagli Atomisti, se si accoglie la lezione crXÀTJQOV il discorso aristotelico risulta più efficace: se si vuole conservare l'unità della realtà sensibile gli indivisibili potranno essere duri, oppure caldi, ma non potranno avere entrambe le proprietà insieme.

347 imì. -réiiv aUrov na8Tjµ<x-rrov: qui troviamo adoperato da Aristotele, nel medesimo contesto di discorso, il termine na8fiµa-ra invece di na8TJ. Potreb­bero significare la stessa cosa, cioè le proprietà degli indivisibili di cui si sta parlando, ma preferisco tradurlo con "affezioni", perché si riferisce alle pro­prietà di corpi indivisibili di natura nettamente diversa tra loro, quali sono ap­punto le figure solide degli Atomisti e le figure piane di Platone.

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168 Aristotele

i corpi grandi si possono frantumare pili di quelli piccoli, dal momento che i primi, cioè i corpi grandi, si sciolgono con faci­lità, perché urtano con molte pili cose, tuttavia in generale il ca­rattere di indivisibilità per quale ragione deve appartenere pili ai corpi piccoli che non a quelli grandi?

Ancora, la natura di quei solidi <indivisibili> è per tutti una sola oppure è diversa per l'uno e per l'altro, come se fossero <ad esempio>, a seconda della loro massa, gli uni di fuoco e gli altri di terra? Se infatti la natura di tutti questi corpi è una sola, in che cosa possono separarsi <l'uno dall'altro>? Oppure, per­ché non divengono una sola cosa, una volta che siano entrati in contatto tra loro, come quando dell'acqua entra in contatto con dell'altra acqua? Non c'è differenza, infatti, tra l'acqua che vie­ne dopo e quella precedente. Se invece la loro natura è diversa, quali sono queste loro nature? È chiaro anche che bisogna porre queste come principi o cause dei fenomeni pili che le loro .figu­re.

Ancora, [326b] se differiscono per la loro natura, allora po­tranno agire e subire azione quando entrano in contatto tra loro.

Ancora, che cos'è che imprime loro il movimento? Se infatti è qualcosa di diverso, allora essi sono capaci di subire azione; se invece ciascun corpo indivisibile è motore di se stesso, allora o sarà divisibile, cioè in un senso sarà motore e in un altro senso mosso, oppure ci saranno in esso proprietà contrarie sotto lo stesso riguardo, e la materia <del corpo indivisibile> sarà unica non solo numericamente, ma anche in potenza.

Breve ripresa della teoria dei pori Quanto a coloro i quali, dunque, dicono che le proprietà av­

vengono per via del movimento attraverso i pori, se questo è ve­ro anche nel caso che i pori siano già riempiti, allora i pori di­ventano superflui;348 se infatti l'universo subisce azione in virtli

348 Perché in tanto funzionano in quanto sono vuoti.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 169

di questi pori, allora, anche se non dispone pili dei pori, subirà ugualmente azione ma in quanto è continuo. 349

Ancora, in che modo è possibile che la visione avvenga cosi come dicono loro? Non è possibile, infatti, attraversare i corpi trasparenti né per contatto, né attraverso i pori, dato che ogni corpo è pieno; che differenza c'è, infatti, tra un corpo pieno e uno che non ha pori? Ogni corpo sarà, infatti, ugualmente pie­no. Ma ammesso che i corpi trasparenti siano vuoti, è necessario che abbiano dentro degli <altri> corpi, e di nuovo sorge l'inconveniente. Se poi la grandezza <di questi pori> è tale da non potere accogliere alcun corpo, è ridicolo pensare che il vuo­to sia <cosi> piccolo <da non potere accogliere alcun corpo>, e che non sia né grande né di una grandezza qualsiasi, ovverosia pensare che il vuoto significhi altro che non ciò che contiene un corpo, sicché appare evidente che per ogni corpo ci sarà un vuo­to che è uguale al suo volume.

Insomma, avanzare la teoria dei pori non serve a nulla, per­ché ammesso che un corpo non possa agire per contatto, non sa­rà possibile neppure che possa agire passando attraverso i pori; se invece può agire per via del contatto, allora, anche nel caso che non esistano i pori, alcuni corpi subiranno azione e altri agi­ranno a condizione che siano reciprocamente strutturati per na­tura in questo modo.

È chiaro dunque che dire che esistano i pori, come alcuni suppongono, o è falso o è inutile; d'altra parte, se i corpi sono divisibili ovunque, è ridicolo avanzare la teoria dei pori: in quanto divisibili, infatti, i corpi possono stare separati <senza bisogno dei pori>.

9. Conclusioni sull'agire e il patire

In qual modo appartengano agli enti le capacità di generare, di agire e di subire azione, diciamolo assumendo il principio di cui si è parlato pili volte; se infatti l'essere in potenza e l'essere

349 cruvexÉ:ç è appunto il corpo pieno, e cioè contrario al corpo discreto in cui il pieno è intercalato dal vuoto dei pori.

f;

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170 Aristotele

in entelechia sono ciò che <spesso> si è detto,350 allora è natura­le che ciò che è <in potenza> non subisce azione qua e non là, ma ovunque in quanto è appunto tale, <cioè in potenza>, e in misura minore o maggiore in quanto è piu o meno tale, <cioè in potenza>; ed è piuttosto in questo senso che si potrebbe parlare di pori, o di come nei metalli3 51 le vene di ciò che è capace di subire azione si distendono [327a] in continuità.

Dunque ogni corpo che sia compatto e uno, non può subire azione. Parimenti non possono subire azione neppure i corpi che

350 In questo passaggio, l'espressione d yaQ fon TÒ µÈv òuvaµet -rò ò' i':v-rd.exdc;x -rowù-rov viene interpretata dai traduttori in due modi. Alcuni la intendono come una generale distinzione concettuale (ad esempio Joachim: «assuming the distinction between (a) that which is potentially and (b) that which is actually such-as-such» e Migliori: «Se, infatti, c'è da un lato una re­altà che possiede una proprietà in potenza, dall'altro una che la possiede in at­to»); altri invece la concretizzano attribuendo la distinzione al singol~ ente concreto (Mugler: «Si, en effet, une chose a une certaine propriété, tant6t en puissance, tant6t en acte»; Rashed: «si c'est tant6t selon la puissance et tant6t selon l'entéléchie qu'une chose est telle ou telle»; «Se c'è una cosa che, tanto in potenza quanto in entelechia, possegga una certa proprietà[ ... ]» Russo). A me sembra che l'aggiunta finale di -rowi:hov si colleghi alla premessa .inizia­le: À.a~6v-reç aQx~v T~v n:onaxtç EÌQT]µÉ:v11v (ipotesi avvalorata dalla pre­senza del yaQ che qui sembra avere valore causale) e si giustifichi con il fatto che spessissimo Aristotele ha argomentato sulla generazione, sull'alterazione, sul mutamento eccetera, partendo appunto dalla distinzione tra l'essere in po­tenza e l'essere in entelechia (e non "in atto", come talora impropriamente si traduce i':v-reÀ.exdc;x). Si tratta di una condizione in cui non c'è né lo stato po­tenziale puro né l'atto compiuto e quindi di una condizione in cui c'è movi­mento, realizzazione in corso del processo, e quindi reciprocità di azione e passione. La passione, così come l'azione, afferma Aristotele, non possono che essere totali: è tutto l'ente che passa dalla potenza all'atto, e l'ente subisce azione in quanto e nella misura in cui è in potenza.

351 Rashed traduce "Gisements métalliques" e suggerisce, p. 146 nota 5, di non tradurre metalli. La ragione sarebbe che, come fa notare M. Crubellier, On generation and corruption I 9, in F. de Haas & J. Mansfeld ed. by, Aris­totle On generation and corruption book I cit., p. 275, i metalli sono «models of physical homogeneity». Tuttavia io credo che non bisogna scambiare l'omogeneità per compattezza e mi sembra che la traduzione "metalli" sia au­torizzata da alcuni passaggi dei Meteorologica quali 384b30-34 e 378a5-b6, in cui Aristotele utilizza lo stesso termine utilizzato qui in GC (li. 326b35: -roì:ç µe-raÀ.À.euoµÉvou;), facendo l'esempio esplicito di vari metalli.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 171

non siano in contatto né tra loro né con altri corpi che per natura siano capaci di agire e di subire azione, intendo dire che ad e­sempio il fuoco riscalda non solo per contatto, ma anche da lon­tano, perché <ad esempio> il fuoco riscalda l'aria, <ma> l'aria <riscaldata> riscalda <a sua volta> il corpo, in quanto per natu­ra è capace <al contempo> di agire e di subire azione.

D'altra parte <in merito al fatto che alcuni> pensano che <ciò che è in potenza> possa subire azione qua e non là, occorre dire, dopo le definizioni che abbiamo dato all'inizio <di questo

. l 352 353 S . c. · l d , · capito o>, quanto segue. e m1attl a gran ezza non e mte-ramente divisibile, ma esistono corpi o superfici piane indivisi­bili, allora non ci sarà ciò che è capace di subire azione in nes­suna sua parte, ma non ci sarà neppure alcunché di continuo; se però questo è falso e ogni corpo è divisibile <dappertutto>, non fa differenza dire che un corpo può essere diviso in parti che re­stano in contatto <tra loro>, o che esso è <semplicemente> di­visibile, giacché, se - come dicono alcuni - può essere diviso secondo le sue parti in contatto, anche se non è ancora <effetti­vamente> diviso, potrà essere <sempre> diviso; è possibile in­fatti che possa essere diviso, perché in questo non c'è nulla di impossibile.

Insomma, è assurdo che <il subire azione> avvenga in quest'unico modo, cioè se i corpi sono separati, perché questo discorso elimina <ogni> alterazione, ma noi osserviamo che lo stesso corpo che è continuo sia quando è umido sia quando è compatto,354 non è passibile di divisione o di aggregazione, e neppure di ordine o di posizione, come dice Democrito:355 ciò che, infatti, da umido è divenuto compatto, 356 non è mutato per

352 Joachim sospetta una lacuna prima di ÒtOQtcrav-raç. Non così Mugler e Rashed, che non accennano neppure al sospetto di Joachim. Ritengo anch'io che il testo si possa seguire senza interruzione.

353 Mi sembra che qui -roù-ro indichi ciò che segue piuttosto che ciò che precede, come qualcuno ha inteso, cf. su questo problema M. Crubellier, On generation and corruption 19 cit., pp. 279-280.

354 Scii. sia quando è liquido sia quando è solido. 355 Cf. 315b3 5 supra. 356 Scii. da liquido solido.

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l.

172 Aristotele

natura né nell'ordine né nella collocazione delle sue parti, e neppure al suo interno le parti dure e compatte sono indivisibili nella loro massa, ma il corpo è tutto in uguale misura <ora> u-

'd 357 d mi o, ora uro e compatto. Ancora, non saranno possibili né aumento né diminuzione:

qualsiasi corpo, infatti, non sarà in nessun modo divenuto piu grande, se dopo che gli sia stato aggiunto qualcosa non sarà in­teramente mutato o perché si sarà mescolato con qualcosa o

h ' . 358 pere e sia mutato per se stesso. Che esistano il generare e l'agire e l'essere generato e il su­

bire azione, reciprocamente, e in che modo siano possibili, e in che modo non siano possibili, e cioè il modo di cui parlano al­cuni pensatori, è dunque cosi che bisogna determinarlo.

10. La mescolanza

Mescolanza e mescolabile: articolazione del/ 'indagine Non ci resta che trattare, secondo lo stesso metodo, della

mescolanza, perché questa era la terza delle questioni poste all'inizio.359 Bisogna indagare che cosa siano e la mescolanza e il mescolabile, e a quali enti appartengano e in che modo, è an­cora se la mescolanza esista o sia falso dire che esiste, giacché è impossibile che si possano mescolare cose diverse tra loro, se­condo quel che dicono alcuni pensatori: se infatti [327b] le cose mescolate esistono ancora senza che abbiano subito alcuna alte­razione, non sono piu mescolate ora <dopo essere state mesco­late>, essi dicono, che non prima <di essere mescolate>, anzi si trovano <prima e dopo> nella stessa condizione; se invece una

357 Scii. liquido. 358 La teoria degli indivisibili rende inspiegabili anche i processi di au­

mento o diminuzione, perché questi ultimi sono un tipo di mutamento dell'intero ente e non si tratta, ad esempio, di semplice aggiunzione. L'acqua che si mescola all'acqua aumenta, così come un corpo che assuma del cibo e lo trasformi in carne e sangue aumenta perché è avvenuto un vero mutamento quantitativo; non così se, ad esempio, su una pietra si poggia un'altra pietra.

359 Cf. GC I 6, 322bl ss. Le tre questioni sono: contatto, azione/passione, e mescolanza.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 173

delle due ha subito corruzione, non c'è mescolanza, ma l'una esiste e l'altra non esiste <piu>, essendo la mescolanza possibi­le se ambedue si trovino nella stessa condizione; allo stesso modo, se dopo essersi unite ambedue le cose mescolate subi­scono corruzione, perché non potranno certamente essere me­scolate le cose che non esistono affatto. Sembra dunque che questo ragionamento cerchi di determinare in che cosa la me­scolanza differisca dalla generazione e dalla corruzione, e in che cosa il mescolabile differisca dal generabile e dal corruttibile, giacché è evidente che occorre differenziare <tali nozioni>, se è vero che esiste <la mescolanza>; in modo che, una volta chiari­te queste nozioni, si possano risolvere gli aspetti problematici della questione.

Ma noi non diciamo, certo, che il legno <bruciato> si sia mescolato con il fuoco, e neppure che esso bruciando si mescoli con le sue proprie particelle o con il fuoco, bensi diciamo che, mentre il fuoco si genera, il legno si corrompe. Allo stesso mo­do noi non diciamo né che l'alimento si mescola con il corpo, né che la figura mescolandosi con la cera ne configuri la massa; e neppure che il corpo e il bianco, né, in generale, le proprietà e le caratteristiche, si possano mescolare con le cose, perché si osserva che si mantengono <inalterati negli enti>. Ma certo neppure il bianco e la scienza possono mescolarsi, né al­cun'altra cosa che non sia separabile. Ma è proprio questo che dicono, facendo un discorso non corretto, coloro che dicono che tutte le cose un tempo esistevano insieme ed erano mescolate tra loro; non tutto infatti è mescolabile con tutto, al contrario cia­scuna delle due cose che si sono mescolate doveva <un tempo> esistere separata dall'altra, mentre nessuna delle proprietà può esistere separata <dal soggetto>.

La potenza e l'atto nella mescolanza Ma poiché gli enti sono alcuni in potenza e altri in atto, le

cose mescolate possono in qualche modo essere e non essere, da un lato il risultato della mescolanza è in atto altro rispetto alle cose che si sono mescolate e, dall'altro lato, in potenza, è anco­ra ciascuna delle due cose mescolate quali erano prima di essere

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174 Aristotele

mescolate, e questo senza che siano state distrutte: è questo in­fatti il discorso che prima costituiva un problema, mentre appa­re chiaramente che le cose mescolate derivano dall'unione di cose che prima erano separate e che possono di nuovo separarsi: né dunque permangono in atto cosi come il corpo e il bianco, né si corrompono, né l'uno o l'altro né ambedue, perché si conser­va la loro potenza. Perciò bisogna mettere da parte tali proble­mi.

Esclusione di due modelli di mescolanza quale composizione Bisogna tuttavia tenere distinta360 la difficoltà che segue a ta­

li problemi, e cioè se la mescolanza sia qualcosa che concerne la sensibilità. Quando infatti le cose che si mescolano siano così divise in piccole parti e poste l'una accanto all'altra in modo ta­le che ciascuna di esse non sia piu evidente alla sensazione, si può dire a quel punto che si siano mescolate oppure no, (328a] e che quindi esistono in modo tale che qualunque particella di una cosa mescolata si trovi accanto a qualunque altra particella di un'altra cosa mescolata? Ebbene, si dice in questo senso361

che <c'è mescolanza>, ad esempio che l'orzo si è mescolato con il frumento, quando ogni particella dell'uno sia posta accan­to ad ogni particella dell'altro. Ma se ogni corpo è divisibile, e se è vero che un corpo mescolato a un corpo è omeomere, <al­lora> qualunque particella <di un corpo mescolato> dovrà tro­varsi accanto a qualunque particella <di un altro corpo mescola­to>.

Ma poiché non è possibile che una divisione arrivi a particel­le ultime, né sono la stessa cosa composizione e mescolanza, ma cose diverse, è evidente <allora> che non si deve dire che si sono mescolate cose che, pur mantenendosi in piccole particel­le, appaiano ancora <quali erano prima di mescolarsi> (perché in questo caso c'è <solo> composizione e non fusione né me­scolanza, e neppure la particella <del composto> starà nello

360 Per questa traduzione di 8tatQETÉov vd. Filop. In GC 192,20 ss. 361 Commentato alla p.

Sulla generazione e la corruzione Libro I 175

stesso rapporto con il tutto;362 ma noi diciamo che, se è vero che c'è mescolanza, occorre che la cosa mescolata sia omeomera <al tutto>, e come la parte dell'acqua è acqua, così la parte di ciò che si è fuso <è della stessa natura del tutto fuso>; se invece la mescolanza sarà <semplice> composizione <per divisione delle componenti> in piccole parti, allora nulla di ciò accadrà, ma le cose mescolate saranno <tali> solo in rapporto alla sensa­zione, e la stessa cosa ad uno che non abbia acutezza di vista apparirà mescolata, ma nessuna mescolanza apparirà a Lince­o ),363 né <che si siano mescolate solo> in virtu della divisione che farà apparire ogni parte accanto all'altra, perché una tale di­visione <che arrivi a particelle ultime> è impossibile.

Ricerca dei requisiti della mescolanza Dunque o non c'è mescolanza, oppure bisogna dire di nuovo

in che modo sia possibile che essa si generi. Certo è possibile, come dicevamo, a condizione che gli enti siano capaci alcuni di

362 Quest'ultimo inciso, e cioè l'espressione oùo" E~Et -ròv aù-ròv Àoyov -rcil OÀC(l -rò µ6Qt0V, presenta qualche difficoltà. Essa, infatti, viene intesa in modi diversi. Joachim e Tricot la intendono nel senso che, nel caso della com­posizione, ogni parte del composto non presenta tra le sue componenti lo stes­so rapporto che esiste tra le componenti del tutto (la differenza tra i due tradut­tori è che Joachim parla di rapporto [ratio], mentre Tricot parla di proporzione [proportion]). Sembra che ambedue vogliano dire che nel composto una parte di esso ha al suo interno un rapporto (o proporzione) diverso da quello che ha al suo interno il tutto. Mugler, da parte sua, intende l'espressione nel senso che nel caso della composizione la parte non ha la stessa definizione del tutto (Myoç avrebbe, quindi, non un significato matematico, bensì logico). Allo stesso modo intende Rashed, che traduce: «et la partie n'aura pas la mème dé­finition que le tout». Questo stesso significato sembra dare all'espressione Migliori, il quale traduce «né ciò che può essere detto per la parte potrà essere detto anche per il tutto» (in questo caso Àoyoç avrebbe un valore linguistico affine a quello logico). In ogni caso sembra che Aristotele voglia dire che per­ché ci sia mescolanza occorre che le componenti siano divisibili in maniera che ad ogni parte di una componente si trovi accostata qualunque altra parte di qualunque altra componente. Solo in questo modo ci può essere - e ci deve essere nel caso della mescolanza, che non sia semplice composizione - identi­tà di rapporto tra la parte e il tutto.

363 Uno degli Argonauti, rimasto famoso come esempio di vista acutissi­ma, cf. Apollonio Rodio, Argonautica I,151-155.

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176 Aristotele

agire, altri di subire azione da questi. Alcuni, dunque, sono in rapporto di reciprocità, e sono quelli che hanno la stessa mate­ria, e sono <quindi> capaci di agire e subire azione reciproca­mente; altri invece sono capaci <solo> di agire, in quanto sono impassibili, e sono quelli che non hanno la stessa materia. Tra questi ultimi, dunque, non è possibile che ci sia alcuna mesco­lanza; è per questa ragione che né la medicina produce guari­gione né la <stessa> guarigione si produce per mescolanza con i corpi.

Ma tra i corpi che agiscono e subiscono azione <reciproca­mente>, quelli che sono facilmente divisibili, se un grande nu­mero di alcuni entra in composizione con un piccolo numero di altri, o una grande quantità di uno entra in composizione con una piccola quantità di un altro, allora essi non producono me­scolanza, ma <solo> aumento del corpo dominante: l'uno o l'al­tro infatti si cambia nel corpo dominante, per cui una goacia di vino non genera mescolanza con una grandissima quantità di congi364 d'acqua, perché la forma <del vino> si scioglie e muta nell'intera quantità dell'acqua. Quando invece <due corpi> si equivalgono in qualche modo nelle loro potenze,365 allora da un lato ciascuno dei due muta dalla sua propria natura in quella del corpo dominante, ma dall'altro lato <il composto> non acquista la natura dell'uno o dell'altro, ma costituisce qualcosa di inter­medio e di comune ai due.

Conclusione: quali corpi sono mescolabili È chiaro dunque che sono mescolabili quei corpi capaci di

agire che sono contrari tra loro, perché questi sono appunto ca­paci di subire azione reciproca. E sono maggiormente capaci di mescolarsi tra loro i piccoli corpi accostati a piccoli corpi, per­ché pili facilmente e pili rapidamente possono entrare l'uno al

364 Il congio o boccale è un'unità di misura pari a 3 e 112 litri, usato in un proverbio per indicare la non misurabilità dell'acqua degli oceani, cf. Platone, Tht. 173d.

365 Cioè nelle loro materie. Si ricordi che la potenza di un corpo di agire o patire risiede nella sua materia. Cf. 322a20 ss. supra, a proposito della diffe­renza tra aumento (concetto quantitativo) e nutrimento (concetto qualitativo).

Sulla generazione e la corruzione Libro I 177

posto dell'altro, mentre i corpi piuttosto grandi producono que­sta trasposizione in un tempo maggiore. [328b] È per questa ra­gione che, tra i corpi divisibili e capaci di subire azione, sono <maggiormente> mescolabili quelli che possono facilmente es­sere delimitati (infatti si possono dividere pili facilmente in pic­cole parti; era questo infatti l'essere di ciò che è delimitato), ad esempio sono mescolabili soprattutto i corpi liquidi, perché so­prattutto il corpo liquido, tra quelli divisibili, è facilmente deli­mitabile, a condizione che non sia vischioso: la vischiosità, in effetti, ha il solo effetto di rendere piuttosto grande la massa. 366

Quando invece uno dei due corpi mescolabili sia capace solo di subire azione, o lo sia in misura pili alta dell'altro e questo in misura molto pili bassa, allora la mescolanza di ambedue o non risulta per niente pili grande <della combinazione di ambedue> o pili grande di poco, che è ciò che accade nel caso della mesco­lanza tra lo stagno e il rame. 367 Alcuni enti, infatti, esitano nei loro rapporti reciproci e sono indecisi, perché si rivelano, in qualche modo, sia lenti nel mescolarsi sia come ricettacolo l'uno, e come forma l'altro. Ed è questo che accade in questi ca-

366 nÀEtco xaì µdçco: ritengo che si tratti di un' endiadi. Aristotele pensa probabilmente all'aggiunzione di olio ad acqua: in questo caso l'olio non si mescola affatto all'acqua ma semplicemente rende più grande la massa. A proposito dell'olio cf. Mete. IV 5, 382bl6; 7, 383b20 ss.; 8, 385b5; 9, 387all ss.

367 Nel caso infatti in cui dalla mescolanza di stagno e rame si produce il bronzo, il leggero ingrossamento del miscuglio consiste più propriamente nel fatto che lo stagno, che è l'elemento più passivo e quindi quasi assimilato dal rame al rame stesso, conferisce un certo colore al miscuglio finale che è il bronzo. Non mi spiego perché Joachim traduca xaÀxoç "bronzo" anziché "rame", se è vero che xarri -CEQOV significhi "stagno", come lo stesso Joa­chim suggerisce al seguito di Kopp ( cf. Co mm. p. 188). La traduzione di Joa­chim è accettata da Tricot e da Migliori. Non l'accettano invece, e giustamen­te, Mugler e Rashed, che intendono stagno e rame ("mélange de l'étain et du cuivre" Mugler; "come dans le cas de l'étain et du cuivre" Rashed). È vero che xaÀxoç può essere usato per significare il "bronzo" (ad esempio in Ome­ro), ma ciò si spiega perché il rame predomina nella mescolanza (o lega). In questo caso non ha senso di "mescolanza di stagno e bronzo", se è vero che il bronzo è già "mescolanza di stagno e rame". Aristotele sta cercando di spiega­re appunto il tipo di tale mescolanza (che noi infatti chiamiamo lega).

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178 Aristotele

si:368 lo stagno, infatti, in quanto è una certa proprietà del bron­zo, ma priva di materia, quasi scompare nel mescolarsi intera­mente, dopo avere soltanto dato un <certo> colore <alla mesco­lanza>. Questo stesso fenomeno accade anche in altri casi.

Risulta chiaro, dunque, da quanto si è detto, che la mesco­lanza esiste e che cosa essa sia e perché sia <quello che è>, e quali siano gli enti che possono mescolarsi, se è vero che alcuni sono mescolabili e in quanto sono capaci di subire azione reci­proca e in quanto sono facilmente delimitabili e divisibili: tali enti, infatti, quando si mescolano, né necessariamente si cor­rompono né sono pili assolutamente gli stessi di prima, né la lo­ro mescolanza è una composizione, né riguardano la sensazio­ne; al contrario, da un lato è mescolabile ciò che, essendo fa­cilmente delimitabile, può essere capace di subire azione in quanto è anche capace di agire, ed è mescolabile rispetto a qual­cosa che ha le stesse proprietà (perché il mescolabile è relativo a un suo omonimo), dall'altro lato la mescolanza è unione di en­ti mescolabili che hanno subito alterazione.

368 Cioè nel caso del bronzo e in altri casi simili.

Libro II

1. Gli elementi e la materia

Impostazione del problema Sulla mescolanza, dunque, e sul contatto e sull'agire e il su­

bire azione si è detto in che modo esistano negli enti che muta­no secondo natura, ma si è parlato inoltre della generazione e della corruzione assolute, e in che modo e a che cosa si possano attribuire e per quale ragione. Si è detto parimenti anche dell'alterazione, che cosa sia l'alterarsi e in che cosa differisca dalla generazione e dalla corruzione. Non resta che prendere in considerazione i cosiddetti elementi369 dei corpi. Generazione e corruzione, infatti, non possono essere attribuite a tutte le so­stanze composte per natura senza tener conto dei corpi sensibi­li.370

In effetti alcuni pensatori dicono che il sostrato materiale di tali corpi371 è uno solo, sostenendo ad esempio che è l'aria o il fuoco o qualcosa di intermedio, e che tale sostrato materiale è un corpo e che esiste separatamente; [329a] altri invece dicono che i sostrati materiali sono numericamente pili di uno, alcuni dicono che sono il fuoco e la terra, altri aggiungono a questi due un terzo <elemento>, cioè l'aria, altri ancora ne aggiungono un

369 Per questa espressione, 7tEQÌ Tà ìWÀouµi::va cn01xi::'ìa, cf. GC I 6, 322b 1-2; vd. anche Rashed, p. 151 nota 2, e Migliori, p. 219 nota 4.

370 I commentatori antichi, unanimemente, ritengono che le sostanze com­poste per natura siano i corpi misti, cioè gli omeomeri, mentre i corpi sensibili siano gli elementi. Il TOUTffiV della li. 328b33 dovrà quindi riferirsi ai corpi sensibili, come si comprende anche dal fatto che Aristotele dice che alcuni pensatori sostengono che il sostrato materiale di questi, TOuTrov, è uno solo e cita gli elementi. A questa interpretazione degli antichi si conforma Migliori, vd. p. 219 nota 6. Joachim, pp. 191-193, ritiene invece che TOUTffiV si riferisca ai corpi sensibili e che le sostanze composte per natura siano sia gli omeomeri sia i corpi viventi, e che i corpi sensibili siano sia i corpi elementari sia gli omeomeri. Rashed, p. 152 nota 3, sottolinea il merito dell'interpretazione di Joachim, che è quello di porre in evidenza la struttura biologica che sta sotto a tutto ~uesto discorso.

37 Sci!. di tali corpi misti o sostanze composte naturalmente.

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....

180 Aristotele

quarto, cioè l'acqua, come fa Empedocle; a partire dalla compo­sizione o separazione o alterazione di questi elementi materiali hanno luogo - essi dicono - la generazione e la corruzione delle cose.372

Critica del "Timeo" Orbene, ci deve essere accordo sul fatto che sia giusto dire

che siano principi o elementi i corpi primi, dal cui mutamento, o per aggregazione e disgregazione o per altro mutamento, abbia­no luogo generazione e corruzione. Ma coloro che ammettono l'esistenza, al di là dei suddetti elementi, di un'unica materia, dicendo che questa è corporea e separata, sono in errore: è im­possibile, infatti, che esista un tale corpo sensibile, se privo di contrarietà, giacché è necessario che sia o leggero o pesante, o freddo o caldo, un tale corpo infinito, che alcuni dicono sia il principio. Ma non è per niente definito neppure <il principio> di cui <Platone> scrive nel Timeo, perché egli non ha detto con chiarezza <che cosa sia> il "ricettacolo universale", se è separa­to dagli elementi, né ha fatto di esso alcun impiego, dicendo che esso è un sostrato anteriore ai cosiddetti elementi, ad esempio oro nei manufatti aurei (sebbene anche questo non sia detto in modo corretto, stando almeno al modo come lo dice Platone, ché anzi se può valere per le cose che si alterano, per le cose che si generano e si corrompono è invece impossibile denomi­nare ciò da cui si generano <o in cui si corrompono>;373 egli di­ce tuttavia che è di gran lunga pili vero dire che è oro ciascun manufatto aureo), ma poiché gli elementi sono solidi, <Platone> li riduce a superfici, tuttavia è impossibile che le superfici costi-

. l . l . . 374 tmscano a nutnce e a matena pnma.

372 In GC I 1 Aristotele ha distinto coloro che pongono un unico principio, che sono costretti a confondere generazione e alterazione, e coloro che invece pongono più principi, che sono costretti a distinguere generazione e alterazio­ne, anche se poi egli mette in luce le contraddizioni in cui cadono i singoli pensatori.

373 Perché è appunto il non-essere. 374 Su questo esempio platonico vd. E.N. Lee, On the gold example in Pla­

to 'Timaeus 50a5-b5 cit., pp. 219-235.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 181

La materia quale soggetto dei contrari Noi però diciamo che esiste una materia dei corpi sensibili,

ma che questa materia non può essere separata, ché anzi si ac­compagna sempre ad una contrarietà, dalla quale si generano i cosiddetti elementi. Ma di questi concetti noi abbiamo dato de­finizioni pili precise altrove. Nondimeno, poiché è anche in questo stesso modo che possono derivare dalla materia i corpi primi, occorre fare distinzioni anche a proposito di questi ulti­mi, ritenendo375 che principio primo sia la materia, che è da un lato non separata, e dall'altro lato soggetto dei contrari: né infat­ti il caldo è materia del freddo, né il freddo materia del caldo, ma materia è il soggetto di ambedue <questi contrari>. Sicché in primo luogo bisogna porre come principio il corpo sensibile in potenza, in secondo luogo le contrarietà, intendo dire, ad e­sempio, <la contrarietà> calore/freddezza, in terzo luogo porre <le cose> già <divenute elementi>, fuoco e acqua e simili, per­ché queste [329b] mutano l'una nell'altra, e non come dicono Empedocle e altri (perché <in tal caso> non ci sarebbe altera­zione), mentre i contrari non mutano <l'uno nell'altro>.376 Ma nondimeno anche cosi c'è da dire quali e quanti siano i principi del corpo, perché gli altri pensatori, dopo averli posti, se ne ser­vono e non dicono affatto perché sono quelli e in quella data quantità.

375 oioµÉvouç: questo accusativo è lezione della maggior parte dei mss e si può giustificare al posto del più regolare dativo oioµÉvo1ç solo in ragione del­la costruzione neutra dell'aggettivo verbale ÒtoQtCTTÉov.

376 ai ò' t':vavTtcOcrctç ou µETa~aÀÀoucrtv: letteralmente, dunque, «mentre le contrarietà non mutano». Ma è chiaro che qui il verbo µETa~aÀÀoucrtv pre­suppone dç tlÀÀTJÀa come il µi>Ta~aÀÀEt precedente. Ma che cosa può signi­ficare dire che le contrarietà non mutano l'una nell'altra? Meglio dunque in­tendere che sono i contrari di ciascuna contrarietà che non mutano l'uno nell'altro, a differenza degli elementi che invece mutano l'uno nell'altro in virtù appunto della materia sottostante in cui si trovano le contrarietà.

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182 Aristotele

2. Le opposizioni primarie

Poiché dunque noi cerchiamo i principi del corpo sensibile, cioè tangibile, ed è tangibile ciò la cui sensazione è un contatto, è chiaro che non tutte le contrarietà costituiscono forme e prin­cipi di un corpo <tangibile>, ma solo quelle che riguardano il contatto; e infatti tali forme e principi differiscono per contra­rietà, e <nella fattispecie> per contrarietà tattile. Perciò né bian­chezza e nerezza né dolcezza e amarezza né, parimenti, al­cun'altra contrarietà sensibile <ma non tangibile> costituisce un elemento. 377 Tuttavia la visione è anteriore al contatto, sicché anche l'oggetto <della visione> [sci!. il visibile] è anteriore <all'oggetto del contatto> [scii. al tangibile]. Ma il visibile non è proprietà del corpo tangibile in quanto questo è tangibile, ben­si lo è in rapporto a qualcos'altro, anche se si dà il caso che quest'altro sia, per natura, anteriore <al tangibile>. Bisogna di­stinguere appunto quali differenze e contrarietà delle stesse cose tangibili siano quelle primarie.

Le contrarietà <primarie> relative al contatto sono queste, cioè caldo/freddo, secco/umido, pesante/leggero, duro/molle, vischioso/friabile, ruvido/liscio, spesso/sottile. Di tali contrarie­tà, poi, quella del pesante/leggero non è né attiva né passiva, perché <un corpo> non è detto <pesante o leggero> perché agi­sce su un altro o subisce azione da un altro, mentre occorre che gli elementi siano reciprocamente attivi e passivi, perché si me-

'. scolano e mutano l'uno nell'altro. Caldo e freddo, umido e sec­co, invece, si dicono cosi perché sono alcuni attivi altri passivi: caldo, infatti, è ciò che riunisce le cose dello stesso genere (per­ché il disunire, che, come si dice, è prodotto dal fuoco, è <al contempo> un riunire le cose della stessa natura: elimina infatti quelle che sono estranee), freddo invece è ciò che mette insieme

377 Sembra evidente che qui il termine cr-ro1xeì:ov significa fonna o prin­cipio del corpo sensibile. La forma (élòoç) infatti è uno dei tre principi o ele­menti della sostanza assieme alla materia-soggetto (uÀY], talora indicata come unoxdµevov) e alla privazione (crTÉQY]crtç). Cf. Aristot. Phys. A 7, 191,3 ss., su cui vd. G.R. Giardina, /fondamenti della.fìsica cit., pp. 93 ss.

Sulla generazione e la corruzione Libro Il 183

e riunisce le cose dello stesso genere e quelle di natura diversa, dall'altra parte umido è ciò che, non essendo delimitabile da un suo proprio limite, è capace di essere ben delimitato <da altro>, secco invece è ciò che, essendo ben delimitabile <da un suo proprio limite>, è difficilmente delimitabile <da altro>.

Il sottile e spesso, e il vischioso e friabile, e il duro e molle, e le altre differenze derivano da queste ultime [scii. dall'umido e secco]; poiché infatti la capacità di riempire <espandendosi> è propria dell'umido per il fatto che, non essendo delimitabile <da un suo proprio limite>, può essere ben delimitato <da al­tro> e può <quindi> seguire <il limite> di ciò con cui entri in contatto, [330a] mentre il sottile ha capacità di riempire <e­spandendosi> (perché possiede parti sottili, e ciò che è compo­sto di piccole parti ha la capacità di riempire <espandendosi>; l'intero infatti tocca l'intero, ma il sottile possiede tale proprietà al massimo livello), allora è evidente che il sottile deriverà dall'umido e lo spesso dal secco. Per converso, il vischioso de­riverà dall'umido (perché il vischioso è un umido che ha subito una certa alterazione, come ad esempio l'olio) e il friabile deri­verà dal secco, perché friabile è ciò che è completamente secco, sicché subisce anche un processo di solidificazione per mancan­za di umidità. Inoltre, il molle deriverà dall'umido (perché mol­le è ciò che si ritira in se stesso e non si sposta, come fa invece l'umido; ed è per questo che l'umido non può essere molle, ma il molle deriva dall'umido), mentre il duro deriverà dal secco, perché duro è ciò che è si è solidificato, e ciò che si è solidifica­to è <appunto> secco.

Ma secco e umido si dicono in molti modi: infatti al secco si oppongono sia l'umido che il bagnato, e per converso all'umido si oppongono sia il secco che il solidificato, e tutti questi contra­ri appartengono alla contrarietà primaria secco/umido, di cui si è già parlato. Poiché infatti, da una parte al bagnato si oppone il secco, e bagnato è ciò che possiede una umidità estrinseca, ma in superficie, mentre possiede una umidità estrinseca, ma in profondità, ciò che è impregnato, e dall'altra parte secco è ciò che è privo di umidità, allora è evidente che il bagnato deriverà dall'umido, mentre il secco che gli è opposto deriverà dal secco

~

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primario.378 A loro volta l'umido e il solidificato hanno una me­desima derivazione: umido infatti è ciò che possiede in profon­dità una sua propria umidità, mentre impregnato è ciò che pos­siede <in profondità> una umidità estrinseca, invece solidificato è ciò che è privo di umidità. Di conseguenza, di questi due op­posti [scii. solidificato e bagnato] il primo deriverà dal secco e il secondo dall'umido.

È dunque chiaro che tutte le altre differenze si possono ri­condurre alle quattro contrarietà primarie, mentre queste ultime non possono essere di numero inferiore, perché né il caldo può essere ciò che è l'umido o il secco, né l'umido può essere ciò che è il caldo o il freddo, né il freddo e il secco possono essere sussunti l'uno sotto l'altro, né possono essere sussunti l'uno sot­to l'altro il caldo e l'umido; ne consegue che tali contrarietà de­vono necessariamente costituire quattro coppie <né piu né me­no>.

3. Abbinamenti di proprietà elementari ed elementi

Poiché gli elementi sono quattro, e di quattro elementi sono sei i <possibili> abbinamenti, e d'altra parte i contrari non pos­sono per natui;a abbinarsi (caldo e freddo, infatti, o ancora umi­do e secco, non possono costituire la stessa cosa), allora è evi­dente che gli abbinamenti degli elementi saranno quattro, e cioè caldo e secco, caldo e umido, e ancora freddo e umido, e freddo

".e secco. [330b] È questa la conseguenza logica del fatto che so­no <soltanto> quattro i corpi che appaiono semplici, e cioè fuo­co, aria, acqua e terra; 379 infatti, il fuoco è caldo e secco, l'aria è

378 Cioè dal secco nel suo primo significato relativo alla coppia di contrari secco/umido.

379 Mi sembra questa la traduzione possibile e corretta del passaggio xaì fixoì..olierixi::-ac.Oµacn v. Solo Mugler, tuttavia, traduce in questo senso, mentre altri intendono il predicato fixoì..olierixi:: nel senso di "attribuire [unciQXEtv]", cosa in se stessa possibile, se non fosse per quel xm:à ì..Oyov che rende al ver­bo axoÀ.ou9dv il suo primario significato di "seguire" (nella fattispecie "se­guire logicamente"). Di tutto ciò si rese conto Joachim, che in nota ad !oc. scrive: «axoì..ou9dv, i. q. unciQXEtv, xaTYlYOQda9m, but the term is used

Sulla generazione e la corruzione Libro II 185

calda e umida (perché è una sorta di vapore),380 l'acqua è fredda e umida, la terra è fredda e secca, di modo che le differenze vengono distribuite razionalmente tra i corpi primari, e il loro numero risulta costituito secondo ragione. Tutti coloro, infatti, che fanno dei corpi semplici altrettanti elementi, ammettono al­cuni un solo elemento, altri due, altri tre, altri, infine, quattro. Ebbene, coloro che dicono che l'elemento è uno solo, poi fanno nascere tutte le altre cose per condensazione o rarefazione, e <quindi> a costoro accade di ammettere due <soli> principi, il rado e il denso o <meglio> il caldo e il freddo: sono questi in­fatti i principi che creano le cose, mentre l'unico principio <che essi ammettono> fa da soggetto <di questi due principi> come materia. Quelli invece che ammettono subito che i principi sono due, come ad esempio Parmenide che ammette <soltanto> fuo­co e terra, ammettono <poi> come intermedie le mescolanze di questi due principi, quali ad esempio aria e acqua. 381 Lo stesso discorso fanno coloro che ammettono tre principi, come fa ad esempio Platone nelle sue Divisioni: perché egli ammette il me­dio come mescolanza. E piu o meno dicono queste stesse cose coloro che ammettono che i principi sono due o tre, tranne che gli uni dividono in due il medio, e gli altri lo ammettono come un solo principio. Alcuni dicono subito che i principi sono quat­tro, come fa Empedocle; ma anch'egli li riduce a due, perché contrappone al fuoco tutti gli altri.

Non è tuttavia possibile che il fuoco e l'aria e ciascuno dei principi suddetti siano <corpi> semplici, al contrario sono <cor­pi> misti. I corpi semplici somigliano a questi,382 ma non sono

here with xaTà Myov to suggest that the attribution of these to Earth, Air, Fire, and Water is a logica! consequence ofthe theory which Aristotle has de­veloped». Vorrei aggiungere che la costruzione di axoÀ.ou9dv con il dativo, che ~ui troviamo, è perfettamente comune e regolare.

3 0 A proposito di questo inciso, in cui Aristotele afferma che l'aria è una sorta di vapore, Migliori, p. 229 nota 4, si chiede se Aristotele intenda distin­guerla dal fuoco che è secco, oppure dall'acqua che è fredda e rimanda a Me­te. I 3, 340b23-29, I 4, 34lb8-18, II 4, 360a22-27, in cui l'aria è accostata ad entrambi questi altri due elementi, fuoco e acqua.

381 Cf. GC I 3, 318b6-9 e nota corrispondente. 382 Cioè al fuoco, all'acqua, ecc.

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186 Aristotele

identici, ad esempio se qualcosa è simile al fuoco, è un corpo igneo, ma non è fuoco, e un corpo aereo è simile all'aria <ma non è aria>; la stessa cosa vale anche negli altri casi. Il fuoco è eccesso di calore, come anche il ghiaccio è eccesso di freddez­za, perché il congelamento e l'ebollizione sono dei tipi di ecces­si, l'uno di freddezza, l'altra di calore. Se dunque il ghiaccio è congelamento di ciò che è umido freddo, anche il fuoco sarà ebollizione di ciò che è secco caldo: ed è per questo che non può generarsi nulla né dal ghiaccio né dal fuoco. Essendo quat­tro i corpi semplici, ciascun elemento di ciascuna delle due coppie che essi formano appartiene all'uno o all'altro dei due termini primi,383 (il fuoco e l'aria <appartengono ai corpi> che si muovono verso il confine <dell'universo>,384 mentre la terra e l'acqua <appartengono ai corpi> che si muovono verso il <suo> centro). 385 E mentre i corpi estremi e pili puri sono terra e fuoco, invece i corpi mediani e piuttosto mescolati sono ·[331a] acqua e aria.

L'una coppia è contraria all'altra, perché al fuoco è contraria l'acqua, all'aria è contraria invece la terra: questi corpi, infatti, sono costituiti di proprietà contrarie. Nondimeno, se si conside­rano sotto il profilo che sono semplicemente quattro, ciascuno <di questi c<;>rpi> corrisponde a una sola proprietà, la terra al secco piuttosto che al freddo, l'acqua al freddo piuttosto che all'umido, l'aria all'umido piuttosto che al caldo, il fuoco al caldo piuttosto che al secco.

383 Rashed legge -ròiv 7tQOHCOV al posto di -ròiv -r6n:cov, lezione, quest'ulti­ma, che si legge sia nell'ed. Joachim che nell'ed. Mugler e che sembra a Ra­shed variante più scolastica e meno adeguata (così leggevano anche i com­mentatori antichi, si vd. per tutti Filop. In GC 229,15 ss.). Il significato co­munque non cambia, perché i termini primi sono comunque l'alto e il basso dell'universo. Su alto e basso come termini o luoghi primi cf. GC I 6, 323a6-9 e Cael. IV 1.

384 Quindi verso le sfere celesti. 385 Quindi verso il centro della terra. Si tratta, ovviamente, dei luoghi natu­

rali.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 187

4. Trasformazione reciproca degli elementi

Poiché si è determinato in precedenza che per i corpi sem­plici la generazione è reciproca, e che al contempo, anche dal punto di vista dei sensi, essi appaiono generati (perché la loro non potrebbe essere un'alterazione, giacché l'alterazione ha luogo in funzione delle proprietà dei corpi tangibili), 386 occorre dire qual è il modo del loro mutamento reciproco, e se sia pos­sibile che ogni corpo semplice si generi da ogni corpo semplice oppure se la generazione sia possibile per alcuni e impossibile per altri.

Ebbene, è evidente che tutti quanti <i corpi semplici> per na­tura possono mutarsi l'uno nell'altro: la generazione, infatti, av­viene verso i contrari e a partire dai contrari, e tutti gli elementi possiedono contrarietà reciproche per il fatto che sono contrarie le loro differenze; per alcuni corpi semplici, infatti, le differen­ze387 sono ambedue contrarie, ad esempio per il fuoco e l'acqua (perché il primo è secco e caldo, l'altra umida e fredda), per al­tri invece la differenza è una soltanto, ad esempio per l'aria e l'acqua (perché la prima è umida e calda, l'altra umida e fred­da). Sicché è evidente, in generale, che per natura ogni corpo semplice si genera da ogni corpo semplice, ma non è difficile ormai vedere come questo avvenga per ciascun corpo: tutti quanti, infatti, deriveranno da tutti quanti, e la loro generazione differirà a seconda che sia pili rapida o pili lenta, e pili facile o pili difficile. Quei corpi semplici, infatti, che hanno tra loro del-l . , l . 388 h fì . 'd e propneta comp ementan, anno una tras ormaz10ne rapi a, quelli invece che non hanno tali proprietà complementari, han-

386 Cf. GC I I e 4; II 1, 329bl-2. 387 Scii. le differenti proprietà. 388 Il termine che adopera qui Aristotele è cruµ~oì..ov, che comunemente

significa "segno di riconoscimento". In questo contesto significa "proprietà che due corpi semplici hanno in comune" e che è complementare ad altre due proprietà non in comune. Ad esempio fuoco e aria hanno in comune la pro­prietà del caldo, che nel fuoco è complementare a secco, mentre nell'aria è complementare a umido. Sul significato di cruµ~oì..ov cf. Rashed, p. 159 la re­lativa nota 2. I

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188 Aristotele

no una trasformazione lenta, per il fatto che è piu facile che mu­ti una sola proprietà che non piu proprietà, ad esempio dal fuoco deriverà l'aria una volta che muti una sola delle loro proprietà (perché il fuoco era <come si è visto> caldo e secco, e l'aria calda e umida, sicché una volta che il secco sia dominato dall'umido, nascerà l'aria); dall'aria, a sua volta, deriverà l'acqua, se il caldo sarà dominato dal freddo (perché la prima è calda e umida, l'altra è fredda e umida, sicché una volta che muti il caldo si genererà l'acqua). Allo stesso modo accadrà nel­la generazione della terra dall'acqua e del fuoco dalla terra: am­bedue tali coppie, infatti, hanno tra loro delle proprietà com­plementari, perché l'acqua è umida e fredda, e la terra invece è fredda e secca, sicché una volta che sia dominato l'umido si ge­nererà la terra. E a sua volta poiché il fuoco è secco e caldo, e la terra è fredda e secca, se si corrompe il freddo, nascerà il fuoco dalla terra. [331b] Sicché è evidente che la generazione dei cor­pi semplici sarà circolare, e questo è il modo piu facilè del mu­tamento, perché avviene attraverso proprietà complementari che esistono all 'intemo di corpi consecutivi.

Ma è ammissibile che si generi dal fuoco l'acqua, dall'aria la terra e di converso dall'acqua e dalla terra l'aria e il _fuoco,389

però è piu difficile che il mutamento avvenga se le proprietà che mutano sopo piu di una; è necessario infatti, nel caso che dall'acqua debba generarsi il fuoco, che si corrompano sia il freddo che l'umido, e ancora, nel caso che dalla terra si debba generare l'aria, è necessario che si corrompano sia il freddo che il secco. Allo stesso modo, nel caso che dal fuoco e dall'aria si debbano generare rispettivamente acqua e terra, è necessario

389 Giustamente Joachim, in nota ad !oc., ritiene un khiasmus àÉQa xaì

ni3Q e quindi lo cambia in 1tUQ xaì àÉQa e traduce, di conseguenza, Fire and Air. In effetti qui Aristotele sta trattando del secondo tipo di trasformazione tra corpi non consecutivi, per cui dall'acqua si genererà il fuoco e dalla terra l'aria. Che sia questo il senso del passaggio è confermato da quanto Aristotele spiega in seguito, alle li. 331 b9 ss. in cui, invertendo i termini da cui parte e verso cui arriva la generazione, Aristotele dice «Allo stesso modo, nel caso che dal fuoco e dall'aria si debbano generare rispettivamente acqua e terra, è necessario che mutino ambedue le proprietà».

Sulla generazione e la corruzione Libro II 189

che mutino ambedue le proprietà. Questo <secondo> tipo di ge­nerazione, dunque, prende più tempo; se invece di ciascuno di due corpi semplici si deve corrompere l'una o l'altra delle pro­prietà, il mutamento sarà sì piu facile, ma non potrà essere reci­proco, 390 ma dal fuoco e dall'acqua si genererà o terra o aria, mentre dall'aria e dalla terra si genererà o fuoco o acqua. Nel caso in cui, infatti, dell'acqua si corrompa il freddo e del fuoco il secco, si genererà l'aria (perché del fuoco rimane il caldo e dell'acqua l'umido), nel caso in cui, invece, del fuoco si cor­rompa il caldo e dell'acqua l'umido, si genererà la terra, perché rimangono del fuoco il secco e dell'acqua il freddo. Allo stesso modo anche dall'aria e dalla terra si genererà o fuoco o acqua: nel caso in cui, infatti, dell'aria si corrompa il caldo e della terra il secco, si genererà l'acqua (perché rimangono dell'aria l'umido e della terra il freddo), mentre nel caso in cui dell'aria si corrompa l'umido e della terra il freddo, si genererà il fuoco, perché rimangono dell'aria il caldo e della terra il secco, che e­rano <appunto> le proprietà del fuoco. Anche dall'esperienza sensibile viene confermata la generazione del fuoco: fuoco al massimo livello, infatti, è la fiamma, e questa è fumo che bru­cia, e il fumo è fatto di aria e di terra.

Nei corpi semplici consecutivi, invece, se si corrompe nell'uno e nell'altro una delle due proprietà <contrarie>, non si dà trasformazione degli elementi39 in nessun altro corpo, per­ché rimangono in ambedue i corpi consecutivi o le stesse pro­prietà o le proprietà contrarie. Ma da nessuna di queste due combinazioni <di proprietà identiche o di proprietà contrarie> può avere luogo il generarsi di un corpo semplice, ad. esempio nel caso in cui del fuoco si corrompa il secco, e dell'aria l'umido: rimane, infatti, in ambedue <la medesima proprietà> del caldo, o nel caso in cui, invece, in ambedue tali corpi sem­plici si corrompa il caldo, perché rimangono le proprietà contra­rie, secco e umido. La stessa cosa vale per gli altri corpi sempli-

390 Infatti si otterrà un terzo corpo semplice e si ha così il terzo tipo di tra­

sformazione. 391

Sci!. delle contrarietà.

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ci, giacché in tutti quanti i corpi semplici consecutivi esistono una proprietà identica e una proprietà contraria. Di conseguenza risulta evidente al contempo che il mutamento di un corpo _sem­plice in un altro corpo semplice si ha quando si corrompe una sola proprietà, mentre due corpi semplici si trasformano in un <terzo> corpo semplice quando si corrompe piu di una proprie­tà. [332a] Si è detto dunque che tutti i corpi semplici possono nascere da tutti i corpi semplici, e si è detto anche in quale mo­do avvenga una trasformazione reciproca.

5. Argomenti contro i Monisti

Necessità di una pluralità di elementi Dobbiamo tuttavia considerare ancora un po' questa teoria

dei corpi semplici. Se infatti, come pensano alcuni filosofi, sono materia dei corpi naturali l'acqua e l'aria e gli elementi del ge­nere, allora necessariamente tali elementi [o materie] saranno o uno o due o piu. Non possono ridursi tutti a uno solo, ad esem­pio tutti ad aria o ad acqua o a fuoco o a terra, se è vero che la trasformazione avviene tra contrari. Se infatti <quest'unico e­lemento> fosse aria, nel caso che questo permanesse <nèl pro­cesso di mutamento>, ci sarebbe alterazione ma non generazio­ne; ma parimenti neppure questo sembra possibile, cioè che l'acqua sia contemporaneamente anche aria o qualsiasi altro e­lemento. In effetti ci dovrà essere una qualche contrarietà e dif­ferenza, di cui una delle due parti <contraria o diversa> sarà posseduta da uno dei due elementi, ad esempio il calore sarà posseduto dal fuoco. Ma certamente il fuoco non sarà aria calda, perché un tale processo sarebbe alterazione, e questo non è ciò che appare; parimenti, per converso, se dal fuoco deriverà l'aria, sarà il caldo a mutarsi nel suo contrario. Dunque questo contra­rio (scii. il freddo) esisterà nell'aria, e l'aria sarà qualcosa di freddo. Di conseguenza è impossibile che il fuoco sia aria calda, giacché esso sarebbe contemporaneamente caldo e freddo. Ci sarà, dunque, qualche altra cosa di identico per ambedue tali e­lementi, ovverosia ci sarà una qualche materia diversa dai due elementi e che essi hanno in comune.

Sulla generazione e la corruzione Libro Il 191

Lo stesso discorso vale a proposito di tutti gli elementi, nel senso che non esiste uno solo di questi elementi da cui derive­rebbero tutti quanti. In verità non esiste neppure alcun altro e­lemento oltre a questi, ad esempio qualcosa di intermedio tra a­ria e acqua, cioè piu spesso dell'aria e piu sottile dell'acqua, o tra aria e fuoco, cioè piu spesso del fuoco e piu sottile dell'aria; questo <ipotetico elemento intermedio> sarà, infatti, aria e fuo­co qualora vi si aggiunga una contrarietà, ma uno dei contrari è privazione <dell'altro>, sicché quell'<elemento intermedio> non ammette mai di esistere da solo, come alcuni filosofi dico­no a proposito dell'infinito o del contenente. <Quell'elemento intermedio>, dunque, è allo stesso modo o uno qualsiasi degli elementi oppure niente. Se dunque non esiste niente, quantome­no di sensibile, prima dei <quattro> elementi, allora questi sa­ranno tutti quelli che possono esistere. È necessario dunque o che siano sempre permanenti e immutabili reciprocamente o che siano mutevoli, e <in quest'ultimo caso> o tutti quanti o alcuni si e altri no, come ha scritto Platone nel Timeo. Che dunque sia necessario che <gli elementi> mutino reciprocamente, è stato mostrato in precedenza; si è detto prima anche che non si gene­rano l'uno dall'altro con la stessa rapidità, e che quelli che pos­siedono proprietà complementari si generano reciprocamente piu rapidamente, mentre quelli che non le possiedono si genera­no piu lentamente.

Se dunque esiste una sola coppia di contrari in virtu della quale gli elementi mutano, è necessario che gli elementi siano due, perché la materia è il termine medio <tra i due contrari>, ma essa non è né percepibile [332b] né separabile. Ma poiché si osserva che gli elementi sono più di due, allora ci devono essere almeno due coppie di contrari. Ma se le coppie di contrari sono due,392 non è possibile che gli elementi siano tre, perché devono essere quattro, così come appaiono; tanti sono infatti <cioè quattro> gli abbinamenti, giacché se è vero che gli abbinamenti

392 8uo 8' ov-rcov è la lezione scelta da Rashed, al posto della lezione Mo 8' oucròlv di Joachim. È evidente, come si evince anche dalla traduzione dello stesso Rashed, che si parla delle due coppie di proprietà contrarie.

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192 Aristotele

<possibili> sono <teoricamente> sei, tuttavia due di essi è im­possibile che si possano generare per il fatto che i termini sa­rebbero tra loro contrari.

Nessun elemento può essere principio degli altri Orbene, di tutto ciò si è parlato prima. 393 Tuttavia, poiché

<gli elementi> mutano reciprocamente, è impossibile che uno di essi, o tra gli estremi o tra i mediani, possa fare da punto di par­tenza <per tutti gli altri>, come appare evidente da quanto se­gue. Ebbene, non potrà essere uno degli elementi estremi, per­ché in questo caso tutti gli elementi sarebbero o fuoco o terra, e questo stesso discorso equivarrebbe a dire che ogni cosa deriva o da fuoco o da terra. Ma non è neppure possibile che <il prin­cipio> sia uno degli elementi mediani, come pensano alcuni fi­losofi che dicono che l'aria si trasforma sia in fuoco che in ac­qua, e l'acqua sia in aria che in terra, mentre gli estremi non si trasformano piu reciprocamente;394 occorre infatti che il proces­so si arresti e non proceda all'infinito in linea retta nell'un senso e nell'altro. In tal caso, infatti, ad un solo elemento si appliche­rebbero infinite coppie di contrari.

Sia 1 la terra, Y l'acqua, A l'aria, Il il fuoco. Se A si tra­sforma in TI. e Y, la coppia di contrari sarà Ail. Poniamo che questi contrari siano bianchezza e nerezza. A sua volta se A si trasforma in Y, ci sarà un'altra coppia di contrari, perché non sono la stessa cosa Y e Il. 395 Poniamo allora come contrari sec­chezza e umidità, la secchezza sia 3, l'umidità Y. Se dunque permane il bianco, l'acqua sarà umida e bianca, se invece il bianco non permane, l'acqua sarà nera, perché il mutamento è tra contrari, dunque necessariamente l'acqua è o bianca o nera.

393 Cf. GC II 2-3, dove Aristotele ha già spiegato tale impossibilità: un e­

lemento non può possedere due proprietà contrarie tra loro, ad esempio il fuo­co non può essere al contempo caldo e freddo, l'acqua secca e umida, e così via.

394 A questo punto del testo Joachim ritiene che ci sia una lacuna, nel sen­

so che siano cadute alcune parole, o 8TjÀov o èx -rciiv8e 8TjÀov. Non così Mu­gler, che fa continuare il discorso senza interruzione.

395 In questo caso la coppia di contrari sarà A Y.

Sulla generazione e la corruzione Libro Il 193

Poniamo come vero il primo caso [sci!. che l'acqua sia bianca]. Allo stesso modo, dunque, a Il apparterrà la secchezza, 3. An­che il fuoco, Il, dunque, potrà trasformarsi in acqua, perché fuoco e acqua sono contrari, dal momento che il fuoco, che prima era nero, poi è divenuto secco, mentre l'acqua, che prima era umida, poi è divenuta bianca. È allora evidente che per tutti gli elementi sarà possibile il mutamento reciproco, e nella fatti­specie è evidente che anche alla terra, r, apparterranno le altre due proprietà complementari, e cioè il nero e l'umido, giacché sono questi che non erano stati ancora abbinati.

Da quel che si è detto appare evidente che non è possibile procedere all'infinito, cosa che ci eravamo proposti di mostrare prima di passare a quest'ultimo ragionamento. Tornando indie­tro, infatti, se il fuoco, Il, si trasforma in altro, ad esempio in \f, senza riconvertirsi in fuoco, un'altra coppia di contrari diversa da quelle di cui si è parlato apparterrà a Il e \f, perché l'elemento \f non può essere sussunto sotto nessuno dei quattro elementi indicati con r Y A Il. [333a] Supponiamo allora che Il abbia la proprietà K, e \f la proprietà <I>. La proprietà K appar­terrà allora a tutti gli elementi r Y A Il, perché essi si trasfor­mano reciprocamente. Tuttavia, poniamo che ciò non sia stato ancora mostrato, e che al contrario risulti evidente a sua volta che, se \f si trasforma in altro elemento, un'altra coppia di con­trari apparterrà sia a \f che al fuoco, Il. Ma allo stesso modo ci sarà sempre, ad ogni elemento che si aggiunga, una nuova cop­pia di contrari per i precedenti elementi, sicché se gli elementi sono infiniti, accadrà anche che infinite coppie di contrari ap­parterranno ad un solo elemento. Ma se è cosi, non ci sarà pos­sibilità né di determinare né di far nascere alcun elemento; sarà necessario, infatti, se un elemento deriva dall'altro, percorrere un numero infinito di coppie di contrari e quindi ancora piu grande <di qualsiasi numero determinato>,396 sicché in alcuni

396 L'espressione -rocrau-raç 8tel;eÀ8dv èvavn6n1-raç, xaì. Ìht nÀEtouç non si può non tradurre come l'ho tradotta io, se è vero che -rocrau-raç si rife­risce al precedente anEtQOt e se si vuole evitare di riferire il nÀEtouç allo

"'

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elementi non potrà mai verificarsi trasformazione, ad esempio se gli elementi intermedi sono infiniti (ma necessariamente lo sono, se è vero che sono infiniti gli elementi); e ancora dall'aria non potrà pili derivare il fuoco, se le coppie di contrari sono in­finite. Ma si otterrà anche che tutti gli elementi saranno uno so­lo,397 perché necessariamente tutte le coppie di contrari degli e­lementi al di sopra di I1 apparterranno anche agli elementi che stanno al di sotto di IT, e a questi apparterranno quelle degli e­lementi che stanno al di sopra, sicché tutti gli elementi costitui­ranno un unico elemento.

6. Argomenti contro i Puralisti

Contro l'uguaglianza e l'immutabilità degli elementi di Empe­docle

A proposito di coloro i quali sostengono, come fa ad esem­pio Empedocle, che gli elementi dei corpi sono pili di uno, ma senza la conseguenza che si possano trasformare reciprocamen­te, ci si può sorprendere di come costoro si permettano di dire che <questi stessi> elementi sono comparabili <tra loro>. Em­pedocle nondimeno si esprime nei termini seguenti: «quèsti e­lementi, infatti, sono tutti uguali».398 Ebbene, se sono uguali per quantità, necessariamente ci sarà qualcosa di identico, che ap­partiene a tutti gli elementi comparabili e col quale essi possono

stesso arcEtQOt. Il che significherebbe "un numero infinito e maggiore dell'infinito", idea che è assurdo a mio avviso attribuire ad Aristotele.

397 Una nuova conseguenza che deriva dal porre come possibile un 'infinità

di elementi e quindi di contrarietà è che tutti gli elementi diventano uno: si tratta di un argomento di difficile comprensione, che ha dato luogo a diverse interpretazioni fra i commentatori sia antichi che moderni. Per una ricostru­zione puntuale di tali interpretazioni si vd. Migliori, p. 241nota29. Rashed, p. 163 nota 4, congettura che si tratti fondamentalmente di questo: nell'ipotesi dell'infinità degli elementi (come dell'infinità delle contrarietà che ad essi ap­partengono) non si può avere un elemento che funga da principio né come termine estremo né come termine mediano (non ci può più essere, in altri ter­mini, un punto di partenza, e non si può parlare in termini di elementi al di so­pra o elementi al di sotto del fuoco, assunto come elemento di partenza).

398 Cf. Vors. 31B17,27.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 195

essere misurati, ad esempio nel caso che da una cotila399 di ac­qua derivino dieci cotile di aria; acqua e aria, dunque, avevano ambedue qualcosa di identico, se sono misurate dalla stessa uni­tà di misura [scii. la cotila]. Se invece si intendono comparabili non per quantità, cioè nel senso che una quantità dell'uno possa derivare da un quantità dell'altro,400 bensi nel senso che posso­no produrre un certo effetto, come ad esempio nel caso che una cotila di acqua abbia la potenza di raffreddare allo stesso modo di dieci cotile di aria, allora anche in questo caso sono compa­rabili per quantità, anche se non in quanto essi stessi sono quan­tità, bensi in quanto hanno la potenza di produrre un certo effet­to. Sarebbe possibile anche comparare le loro potenze non già con il metro della quantità, bensi per analogia, come quando si dice, ad esempio, che una determinata cosa è bianca cosi come un'altra cosa determinata è calda; ma il dire "come una deter­minata cosa" significa da un lato somiglianza [nella qualità], dall'altro lato uguaglianza nella quantità. In effetti appare as­surdo che i corpi che non sono trasformabili <tra loro> siano comparabili non già per analogia, bensi con il metro delle po­tenze e per il fatto che una determinata quantità di calore del fuoco sia uguale o simile401 a un'altra determinata quantità mul­tipla di calore dell'aria, dal momento che la quantità maggiore della stessa proprietà [scii. il calore] di un corpo,402 per il fatto di essere omogenea a quella di un altro corpo, avrà <sempre> un rapporto omogeneo <anche se aumentato>.403

399 La cotila è un'unità di misura pari a poco più di un quarto di litro. 400 Scii. nel senso che una data quantità dell'uno si trasformi in una quanti­

tà diversa dell'altro, ad esempio per rarefazione o per condensazione; cf. Fi­lop. In GC 261,9 ss.

401 òµoiroç in Rashed come già in Joachim, secondo alcuni mss: oµoiov in Mugler, secondo un numero minore di mss. Questa seconda lezione sembre­rebbe in verità più accettabile.

402 Mi sembra che TÒ aùT6 indichi qui, non tanto l'elemento o corpo, co­me alcuni traduttori lasciano intendere, quanto la proprietà del corpo.

403 Mi sembra che si debba intendere in questo modo l'espressione alquan­to ellittica di Aristotele TOtOÙTOV cl;i::t TÒV Myov. Non mi sembra congruo, infatti, pensare che tale espressione significhi "rapporto di uguaglianza di po­tenza rispetto all'altro corpo" (cf. Rashed, p. 165 nota 5), perché se si aumen-

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196 Aristotele

Tuttavia, secondo Empedocle, neppure potrebbe esserci altro aumento se non quello per aggiunta, [333b] perché è con il fuo­co che aumenta il fuoco, «e la terra fa aumentare ciò che è ad essa congenere, e l'etere [sci!. l'aria] fa aumentare l'etere», [di-

E d 1 ] 404Q . . d ' . ce mpe oc e . uesh aumenti acca ono pero per aggmnta; ma non sembra che sia questo il modo dell'aumentare delle cose che aumentano.

La generazione non avviene per caso ma secondo cause; altri errori di Empedocle

È molto piu difficile <di quanto non creda Empedocle> ren­dere conto della generazione secondo natura. 405 Le cose che si generano in natura, infatti, si generano tutte <allo stesso modo> o sempre o per lo piu, mentre quelle che si generano in un modo che è contrario a quanto accade sempre o per lo piu, sono gene­rate dal caso o dalla fortuna. Qual è dunque la causa per la.quale da un uomo nasce sempre o per lo piu un uomo, e dal frumento frumento, ma non un ulivo? Oppure, qual è la causa per la qua­le, se si verifica una determinata combinazione <di elementi>, si forma un osso? Se infatti gli elementi si uniscono in modo casuale, non si genera niente, secondo quel che dice Empedo­cle, 406 al contrario occorre un certo rapporto. Qual è dunque la

ta, ad esempio, la quantità di fuoco, si aumenta anche la sua potenza, che ri­sulterà comunque in rapporto omogeneo, ma non già in rapporto uguale, alla potenza dell'aria, la cui quantità è rimasta la medesima (del resto lo stesso Ra­shed, p. 164 nota 2, precisa che la nozione di grandezze commensurabili in potenza, ovvero di grandezze in cui il rapporto dei quadrati è un numero ra­zionale, hanno come caratteristica l'omogeneità).

404 Cf. Vors. 31 B 37. 405

Ad Aristotele sembra piuttosto semplicistica la spiegazione che Empe­docle dà della generazione naturale (cf. li. 333b22). È questo il senso che io dò qui alle li. 333b3-4. Altri intendono, invece, che Aristotele voglia dire che con la tesi di Empedocle, secondo la quale la crescita di una cosa si spiega sol­tanto con l'aggiunta di materia dello stesso genere, diviene più difficile spie­gare la generazione naturale. Il senso non muta nella sostanza, ma a me sem­bra che la mia traduzione tenga conto in modo più adeguato del comparativo XaÀ.E7tWTEQOV.

406 Qui il testo è alquanto incerto. Sembra che Aristotele attribuisca a Em­

pedocle l'intera proposizione, come pensa Joachim sulla base di Meta. I 9,

Sulla generazione e la corruzione Libro II 197

causa di tale rapporto?407 Non certo il fuoco o la terra. Ma nep­pure l'amore o l'odio, perché questi sono soltanto408 la causa di aggregazione e disgregazione <degli elementi>. Causa di quel rapporto è invece l'essenza di ciascun ente, e non semplicemen­te «la mescolanza o la separazione di ciò che si è mescolato», come dice Empedocle.409 "Fortuna" «viene chiamata <la natu-

993al 7 e An. I 5, 41 Oal ss.; in ambedue questi passaggi si trova lo stesso e­sempio del formarsi dell'osso secondo un certo rapporto (À.6y<(l nvi), come si dice anche qui in GC (cf. Joachim p. 234). Anche Rashed interpreta in questa maniera il discorso di Aristotele (traduce infatti: «Car à en juger d'après ses propres dires, ce n'est pas quand des choses s'associent selon la chance qu'il y a génération, mais quand elles le font selon une proportion déterminée»). Con­tro questa interpretazione sono Tricot (il quale traduce infatti: «Car une com­position fortuite des éléments n'engendre rien, ainsi qu 'Empédocle le recon­nait, mais il faut une proportion déterminée» [il corsivo è mio]) e Mugler (il quale traduce: «Car ce n'est pas par des rencontres fuortuites que naissent !es etres, camme le prétend Empédocle, mais par une certaine raison», e dà in no­ta - a scanso di equivoci - la seguente spiegazione: «Allusion au chapitre bio­logique du IlEQÌ qJUCTEroç, où Empédocle explique la genèse des etres vivants par une sélection naturelle s'opérant automatiquement sur le etres nés des ren­contres fortuites de membres isolés; cf. Vors. 31 B 57-62»). L'unico punto su cui poggerebbe l'interpretazione di Mugler sembra essere Aristot. Cael. III 2, 300b25, dove troviamo l'avverbio à-rax-rroç ripetuto più volte.

407 I mss hanno alcuni -rou-rou (variante accolta da Rashed come già da Joachim), altri -rou-rrov (variante accolta da Mugler). Nel primo caso il riferi­mento è a À.OYC(l -rt vi, nel secondo caso agli enti che non possono nascere da incontri fortuiti. Mugler infatti traduce: «Mais quelle est alors la cause de ces etres?». In verità il -rou-rrov non può riferirsi agli enti che nascono, ma agli e­lementi che si incontrano per dare nascita agli enti, nella fattispecie al partici­pio cruvi:;J..86v-rrov. È questa la ragione per la quale è preferibile la lezione -rou­-rou.

408 Mugler elimina µ6vov e lo integra con <-rÒ µÈv>. A me non sembra ne­cessario, perché è comprensibile benissimo dire che «l'amore e l'odio sono soltanto la causa di aggregazione e disgregazione <degli elementi»> e non an­che la causa del rapporto nella mescolanza degli stessi elementi.

409 Cf. Vors. 31 B 8, già citato in GC I I, 314b7-8. In quest'ultimo passag­gio si chiarisce meglio l'où µ6vov che precede la citazione alla li. 333bl4. In­fatti lì si diceva: « Nulla si genera ... c'è soltanto mescolanza o separazione degli elementi che si sono mescolati». Il µ6vov è all'interno della citazione di Empedocle. Ecco perché io traduco "non semplicemente» anziché «non sol­tanto»: in quest'ultimo caso, si potrebbe pensare a un "ma anche", nel senso che non soltanto è causa la mescolanza, ma anche l'essenza, il che falserebbe

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198 Aristotele

ra> tra gli <uomini»>, <dice Empedocle>,410 non già "rappor­to", perché si tratta di un mescolarsi casualmente.411 In effetti la causa degli enti naturali è il fatto che sono strutturati in questo modo, ed è questa la natura di ciascun ente, della quale <però> Empedocle non dice nulla. Dunque Empedocle non dice nulla della natura. Ma è proprio questo sia il benessere che il bene <degli enti>;412 ma Empedocle celebra soltanto la mescolanza. E tuttavia <nonostante quel che dice Empedocle> non è l'odio che divide gli elementi naturali, bensi l'amore, essendo gli ele­menti anteriori a dio 413 ed essi stessi dèi.

Contro Empedocle sul movimento naturale Inoltre Empedocle parla del movimento in modo semplici­

stico, giacché non basta dire che l'amore e l'odio muovono, senza dire quale determinato movimento è quello dell'amore e quale altro determinato movimento è quello dell'odio. Occorre­va dunque che Empedocle ci avesse dato o delle definizioni o delle ipotesi o delle dimostrazioni, o che ne avesse parlato in modo piu o meno rigoroso o <comunque> in qualsiasi altro modo. Ancora, poiché sembra che i corpi si muovano o per vio­lenza, ovverosia contro natura, oppure secondo natura, come ad esempio il fµoco che si muove verso l'alto quando si muove senza violenza, o verso il basso quando si muove per violenza, e

il discorso di Aristotele. Occorre, infine, dare in tale cotesto al termine ouiÀ­Àa/;u; il significato di "separazione" e non di "scambio", come fanno alcuni, giacché esso non può non indicare il contrario del termine µil;tç, che non è "scambio" (questo lascia sussistere la mescolanza), bensì "separazione", cioè assenza di mescolanza. Cf. anche G. Giannantoni, l presocratici, Bari 1975, voi. I, p. 374, che traduce correttamente otaÀÀa/;tç «separazione».

41° Cf. ancora Vors. 31 B 8. Il testo intero del fr. è il seguente: Ò.ÀÀà µ6vov µt/;tç TE OtaÀÀa/;tç TE µt yÉVTffiV ÈCHt. cpucrtç o' Èrct TOÌ<; ÒvoµasETat àv­ElQcOTI:Otcrt V. La fonte di questo fr. in Vors. è Aezio, ma il testo corrisponde perfettamente ad [Aristot.] MXG 975b7-8.

411 TUXTJ ha la stessa radice di ihuxEv. Aristotele scrive, alla li. 333b I O

on:roç ETllXEV, poi alla li. 333bl6 l'equivalente roç ìhuxsv. 412

TÒ ei'i, cioè il trovarsi nella giusta condizione, e TÒ àya86v, cioè l'avere una buona natura.

413 Scii. allo Sforo.

;._;;;ww. -;a, ··"-"'"1~~~1!1!'W"1.111

Sulla generazione e la corruzione Libro Il 199

poiché al movimento per violenza è contrario quello secondo natura, e il movimento per violenza esiste <realmente>, allora esiste anche quello secondo natura. È dunque quest'ultimo il movimento causato dall'amore? O no? Al contrario sembra che il movimento secondo natura della terra sia quello di muoversi verso il basso, e che questo movimento sia dovuto a separazio­ne, e che sia <quindi> piu l'odio che non l'amore la causa del movimento secondo natura. Di conseguenza, in generale sembra che sia piu l'amore <che non l'odio la causa del movimento> contro natura. In parole semplici, se non è né l'amore né l'odio a causare il movimento <dei corpi>, degli stessi corpi non ci sa­rà alcun movimento né alcun riposo; ma tutto ciò è assurdo.

Ancora, sembra che i corpi si muovano <secondo Empedo­cle>; [334a] l'odio, infatti, separa <i corpi>, ma l'etere fu spinto verso l'alto non dall'odio, ma una volta egli dice che è mosso come da fortuna, «infatti talvolta <l'odio> correndo li incontrò in questo modo, ma spesso in modo diverso», un'altra volta di­ce che il fuoco per natura si porta verso l'alto, mentre l'etere -egli dice - «penetrava sotto la terra con le sue grandi radici».414

Nello stesso tempo egli dice che il cosmo si trova adesso, sotto il dominio dell'odio, nella medesima condizione di un tempo, sotto il dominio dell'amore. Qual è dunque <secondo Empedocle> il primo motore, ovverosia la causa del movimen­to? Non è certo l'amore, ma neppure l'odio. Al contrario di qua­le movimento questi sono cause, se è quello [scii. il primo mo­tore] il principio del movimento?

Assurdità della teoria di Empedocle sul! 'anima Ma è assurdo anche che l'anima derivi dagli elementi o sia

uno degli elementi; in che modo, infatti, si produrranno le alte­razioni dell'anima, ad esempio il divenire musico o il tornare a non esserlo, oppure la memoria o l'oblio? È evidente, infatti, che se l'anima è fuoco, essa avrà le proprietà che appartengono al fuoco in quanto fuoco, mentre se è una mescolanza <di ele­menti>, essa avrà delle proprietà corporee; ma nessuna delle al-

414 Cf. Vors. 31 B 53-54.

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200 Aristotele

terazioni dell'anima è corporea. Ma tali questioni sono argo­mento di una diversa teoria. 415

7. Costituzione dei corpi per mescolanza degli elementi

A proposito degli elementi dai quali sono costituiti i corpi, coloro che pensano che gli elementi abbiano qualcosa in comu­ne o che si trasformino reciprocamente, sono costretti <ad am­mettere> che se vale una di queste due ipotesi, vale anche l'altra; coloro che invece non ammettono la generazione reci­proca <degli elementi> né che da ciascun elemento derivi cia­scun altro elemento, se non alla maniera di mattoni che derivino da un muro, è assurdo che possano spiegare come da questi e­lementi possano derivare carni e ossa e qualsiasi altra cosa del genere. Ma questa stessa aporia riguarda anche coloro che am­mettono la generazione reciproca degli elementi, <perché non riescono a spiegare> in che modo dagli elementi possa derivare un elemento altro da essi; dico, ad esempio, che dal fuoco può generarsi l'acqua e dall'acqua il fuoco, perché esiste un sostrato comune <tra i due elementi>, ma da questi elementi si deve ge­nerare anche carne e midollo; ma in che modo queste cose pos­sono generarsi in concreto? Per coloro che dicono le stesse cose di Empedocle, qual è il modo in cui si generano? È necessario, infatti, che ci sia una composizione alla maniera di un muro che è fatto di mattoni e di pietre; ma anche una tale mescolanza, in verità, sarà composta dagli elementi che si sono conservati <nella loro natura>, e che si aggregano gli uni accanto agli altri per piccole parti; questo vale per la carne e per ciascuna delle altre sostanze. Non accade certo che da qualsiasi parte di carne possa generarsi fuoco o acqua, cosi come da un pezzo di cera potrebbe nascere da questa parte qui una sfera, da quella parte li una piramide, ma era ammissibile anche che ambedue <queste figure> potessero uscire dall'una e dall'altra parte <della cera indifferentemente>. Sarebbe questo il modo in cui entrambi <il fuoco e l'acqua> si potrebbero generare da qualsiasi parte di

415 Cf. Aristot. An. I 4-5.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 201

carne; [334b] ma per coloro che parlano come Empedocle que­sto non è ammissibile, perché essi ammettono, al contrario, che possono nascere come una pietra o un mattone nasce dal muro, cioè ciasèuno [scii. il fuoco e l'acqua] da luogo o parte diversa.

Allo stesso modo, anche coloro che ammettono una materia <comune> agli elementi, trovano una certa difficoltà a spiegare in che modo un certo corpo possa nascere da due proprietà, ad esempio in che modo qualcosa possa nascere dal caldo e dal freddo oppure dal fuoco e dalla terra. Se infatti la carne nasce da ambedue questi elementi e non è né l'uno né l'altro dei due, né costituisce una combinazione di ambedue, che si sarebbero quindi conservati, allora che cosa resta da dire se non che sia <solo> la materia ciò che nasce da ambedue gli elementi? La corruzione di uno dei due elementi, infatti, produce o l'altro e­lemento oppure la materia. Ma poiché, dunque, il caldo e il freddo possono essere di grado maggiore o minore, quando l'uno fosse in entelechia in senso assoluto, l'altro sarebbe <in senso assoluto> in potenza; quando invece ambedue non fosse­ro completamente in entelechia, ma il caldo ancora freddo e il freddo ancora caldo per il fatto che in funzione della loro me­scolanza si corrompono gli eccessi dell'uno e dell'altro, allora non ci sarà né la materia né ciascuno dei due contrari in entele­chia in senso assoluto, bensi al livello intermedio, ma a seconda che il caldo o il freddo sia piu in potenza, o al contrario piu in entelechia, in funzione di tale rapporto si potrà dire che il caldo sarà in potenza al doppio rispetto al freddo, o al triplo o secondo un altro rapporto di tipo proporzionale? Sarà dunque dai contra­ri o dagli elementi già mescolati che nasceranno le altre cose, e gli elementi nascono anch'essi dai contrari che in qualche modo sono in potenza, non cosi come lo è la materia, ma nel modo

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202 Aristotele

che si è detto;416 ed è in questo modo che nasce la mescolanza, mentre la materia nasce in quell'altro modo.417

Inoltre i contrari subiscono azione secondo quanto abbiamo definito in precedenza: 418 infatti il caldo in atto è freddo in po­tenza e il freddo in atto è caldo in potenza, sicché quando non si eguagliano si trasformano reciprocamente, e la stessa cosa vale per gli altri contrari; ed è cosi anzitutto che si trasformano gli elementi, mentre da questi ultimi nascono carni e ossa e sostan­ze del genere, una volta che il caldo diviene freddo, e il freddo caldo, cioè quando ambedue i contrari raggiungono una posi­zione mediana: in questa <precisa> posizione, infatti, non c'è né caldo né freddo, e la posizione mediana è ampia e non è indivi­sibile.419 Allo stesso modo anche il secco e l'umido e i contrari del genere possono produrre, in virtu di una loro posizione me­diana, carne e osso e altre sostanze del genere.

8. Elementi e omeomeri

Tutti quei corpi misti che si trovano in posizione centrale sono composti da tutti i corpi semplici. La terra, infatti, esiste all'interno di tutti quei corpi perché ciascuno di essi si tròva so-

416 Cioè secondo un certo rapporto proporzionale. Cf. 334b8-16 supra. Rashed (cf. Jntroduction, pp. CXIX-CXXIII), distingue la potenzialità della materia da quella dei contrari affermando giustamente che quest'ultima consi­ste nel fatto che la loro capacità di azione è temperata dall'essere mescolata ed è al tempo stesso sussistente in modo da dare coerenza alla mescolanza.

417 Cioè nel modo descritto poco prima a 334b6-7, dove si è detto che la materia nasce dalla corruzione di uno dei due elementi contrari.

418 Cf. GC I 7, 323bl-324b24. 419 La posizione di equilibrio tra i contrari rappresenta infatti, in questa te­

oria, una posizione solo apparentemente neutra in cui un contrario non ha la prevalenza sull'altro, e tuttavia non per questo una posizione ontologicamente quasi inesistente, riducibile a un semplice confine tra i due contrari. Essa co­stituisce invece una zona tanto vasta quanto priva di identità di natura nell'un senso o nell'altro rispetto ai contrari, e quindi assolutamente divisibile e po­tenzialmente riducibile a qualsiasi cosa che non appartenga propriamente a nessuno dei contrari. È dunque il terreno migliore per la nascita di qualsiasi sostanza diversa dagli elementi contrari e in cui questi ultimi possono trovare qualsiasi mescolanza.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 203

prattutto e in abbondanza nel luogo che è proprio della terra, mentre l'acqua vi è contenuta perché il corpo misto deve essere determinato, e l'acqua è l'unico corpo semplice che è ben de­terminatò, [335a] e inoltre perché senza l'umido la terra non può compattarsi, ma il fattore della sua consistenza è appunto l'umido: se infatti l'umido si ritraesse completamente dalla ter­ra, questa si sgretolerebbe. Sono queste, dunque, le ragioni per cui la terra e l'acqua sono contenute nei corpi misti, mentre l'aria e il fuoco vi si trovano perché sono i contrari della terra e dell'acqua: la terra, infatti, è il contrario dell'aria, mentre l'acqua è il contrario del fuoco, per quanto una sostanza possa essere contraria ad un'altra sostanza.420 Poiché dunque le gene­razioni dei corpi misti partono dai contrari, e nei corpi misti esi­stono ambedue gli estremi contrari, necessariamente vi si trove­ranno anche ambedue i contrari <degli estremi contrari>, sicché in ogni composto si troveranno tutti i corpi semplici.421

E un'attestazione di ciò sembra essere il nutrimento di cia­scun corpo misto, giacché tutti quanti i corpi misti si nutrono con gli stessi elementi da cui sono composti, e tutti quanti si nu­trono di molti elementi. Infatti, anche quei corpi misti che ap­paiono nutrirsi di un solo elemento, <ad esempio> le piante che appaiono nutrirsi <solo> di acqua, <in effetti> si nutrono di molti elementi, perché <nella fattispecie> all'acqua è mescolata la terra; ed è questa la ragione per cui anche gli agricoltori pro­curano di irrigare <le piante> dopo avere mescolato <acqua e terra>.422

420 Questa limitazione concerne il fatto che in effetti due sostanze possono essere contrarie tra loro non in quanto sostanze, ma in quanto possiedono pro­prietà contrarie: nella fattispecie, la terra è contraria all'aria in quanto il freddo e il secco della terra sono contrari al caldo ali 'umido del!' aria, e il caldo e il secco del fuoco sono contrari al freddo e all'umido dell'acqua.

421 Naturalmente in funzione di ciascuna coppia delle loro proprietà con­trarie.

422 Anche se il participio µiçavTi::ç indica genericamente le mescolanze che fanno gli agricoltori, appare chiaro che qui si tratta di mescolanza di acqua e di terra. Gli altri due elementi semplici, l'aria e il fuoco sono fuori discus­sione se non come contrari dei primi due. Lo stesso discorso si potrebbe e­stendere anche agli animali, così come cerca di spiegare Joachim, Comm. p.

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204 Aristotele

Ma poiché il nutrimento concerne la materia, 423 mentre c10 che si nutre è costituito dalla figura424 ovverosia dalla forma

11 . 425 11 ' . . l contenute ne a matena, a ora e ormai rag10nevo e pensare che tra tutti i corpi semplici, i quali si generano reciprocamente, soltanto il fuoco si nutre, come dicono anche i filosofi che ci hanno preceduto, perché soltanto o soprattutto il fuoco concerne la forma per via del fatto che si muove per natura verso il confi­ne dell'universo. Ogni elemento si muove per natura verso il suo proprio luogo; e la figura, ovverosia la forma, di tutti gli e­lementi si trova entro i propri confini.

Si è dunque detto che tutti i corpi <misti> sono composti da tutti i corpi semplici.

245, attraverso vari passaggi tratti da altre opere aristoteliche, quali PA, GA e Mete. In questo caso il verbo che egli adopera in questo contesto, CXQÒEtv, po­trebbe significare anche abbeverare. In ogni caso rimane il fatto che si tratte­rebbe sempre di mescolanza di acqua e terra, ovverosia delle proprietà contra­rie di ambedue,·umido e secco (si ricordi che il freddo è proprietà comune a questi due corpi semplici).

423 Il nutrimento si può assimilare alla materia dei corpi che lo acquisisco­

no. Joachim p. 246, che sottolinea l'oscurità dell'intero passaggio, prova a in­terpretare in questo modo: il nutrimento, che è secco-umido, sarebbe la mate­ria per eccellenza degli omeomeri, in quanto il calore interno al corpo, dige­rendo il nutrimento, lo converte in sostanza degli omeomeri. Ciò che invece è nutrito e che cresce sarebbe la forma o figura presa insieme alla materia. Tale forma o figura è costituita dal fuoco nella costituzione degli omeomeri. Il fuo­co quindi avrebbe la natura della forma più degli altri corpi semplici e per le seguenti ragioni: la forma di un corpo si trova all'interno del suo confine e il fuoco per natura si muove in direzione della sfera più esterna del cosmo infe­riore, circoscrivendo così gli altri tre elementi. In un certo senso, quindi, il fuoco si nutrirebbe degli altri tre elementi proprio in quanto tende verso il li­mite dell'universo.

424 dòoç è qui la speficazione di µoQcp~.

425 Cf. GC I 5, 321 b9 ss., dove si discute del nutrimento quale processo di

aumento e alterazione e si parla di corpi omeomerici e non omeomerici (e quindi composti dai primi).

Sulla generazione e la corruzione Libro II 205

9. Le cause della generazione e della corruzione

Cause materiale, formale e finale Poiché alcune cose sono generabili e corruttibili, e la gene­

razione si trova collocata intorno al centro <dell'universo>, oc­corre allora dire, a proposito di ogni generazione, quanti e al tempo stesso quali. siano i suoi principi, perché sarà piu facile in questo modo prendere in considerazione ciascuna singola cosa, quando ne avremo assunto anzitutto i principi universali. Ebbe­ne, i <principi universali degli enti generabili e corruttibili> so­no uguali di numero e dello stesso genere di quelli che si trova­no tra gli enti eterni e primi, 426 perché uno di tali principi funge

426 Questa affermazione ha generato dubbi e molte ipotesi di interpreta­zione sia fra i commentatori antichi che fra i moderni per le difficoltà che pre­senta. In primo luogo, la materia degli enti sublunari, che è principio nel senso di potenza in cui si avvicendano i contrari, non è dello stesso tipo della mate­ria degli enti celesti, che è eterna e quindi eternamente in atto, per cui non ammette i contrari. Tuttavia la materia degli enti soggetti al divenire e la mate­ria degli enti eterni è dello stesso genere sotto il profilo della sua funzione di sostrato (cf. Filop. In GC 282,30 ss.). La forma degli enti sublunari non è sta­bile e si realizza a partire da un contrario privativo, mentre la forma degli enti celesti è eterna e immutabile e non ha un contrario (cf. Filop. In GC 283,11 ss.). In terzo luogo, parlare di causa efficiente per gli enti sopralunari ha cer­tamente bisogno di chiarimento, nella misura in cui tali enti non hanno biso­gno della causa efficiente per essere generati, dal momento che sono eterni, né è qui in questione la creazione ex nihilo, esclusa appunto dall'eternità degli enti sopralunari. I commentatori hanno allora pensato alla causa efficiente de­gli enti sopralunari come alla causa del loro movimento - ad esempio [Tom­maso] Exp. 569,245, ma anche Joachim, p. 248; Mugler, p. 98; Tricot, p. 135 nota 2 - mentre Filopono ritiene che la causa efficiente sia necessaria agli enti sopralunari perché è concepita come quella causa grazie alla quale essi sono e permangono. Filopono In GC 283,26-284,7 afferma, infatti, che la causa effi­ciente sarebbe necessaria nel caso di entrambi i tipi di enti di cui parla Aristo­tele per rendere la materia adatta a ricevere la forma. Lo scultore, ad esempio, non sarebbe colui che impone dall'esterno la forma alla materia, bensì colui che rimuove dalla materia ciò che fa da impedimento alla forma. Grazie alla causa efficiente, quindi, la materia acquisterebbe la sua adattabilità, che signi­fica eo ipso che la materia acquista la forma. In fin dei conti, quindi, la causa efficiente realizza la forma nella materia e quindi, nel caso dei corpi celesti, tale causa efficiente sarà la loro anima, che costituisce il principio che rende gli astri idonei al moto circolare. Così pensa Rashed, p. 170 nota 7.

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206 Aristotele

da materia e l'altro da forma. Ma occorre aggiungerne ancora un terzo, perché <quei due> non bastano a spiegare la genera­zione, cosi come non bastano neppure tra gli enti primi. 427 Eb­bene, la causa che funge da materia per gli enti generabili è il potere essere e non essere; alcuni enti, infatti, sono di necessità, ad esempio gli enti eterni, altri invece di necessità non sono: tra questi i primi è impossibile che non siano, i secondi invece è impossibile che siano, [335b] perché non si può ammettere che <ambedue questi tipi di enti> siano altrimenti di quel che sono per necessità.

428 Altri enti, infine, possono sia essere che non es­

sere, ed è questo il caso di ciò che è generabile e corruttibile; quest'ultimo <tipo di enti>, infatti, ora è ora non è. Ne consegue necessariamente che la generazione e la corruzione concernono ciò che può essere o non essere. Perciò per gli enti generabili, da un lato <il loro potere essere o non essere> funge da causa materiale,429 dall'altro lato la figura ovverosia la forma, funge da causa finale; e questa, <cioè la forma>, è la definizione della sostanza di ciascun ente.

Insufficienza della causa formale di Platone e della causa ma­teriale dei fisiologi

Bisogna però aggiungere anche un terzo principio, che tutti sognano, ma. di cui nessuno parla. 430 Alcuni filosofi però hanno ritenuto che sia sufficiente come causa per la generazione la na-

427 Questo terzo principio è la causa motrice.

428 Sci/. che necessariamente i primi siano e i secondi non siano.

429 Aristotele ripete quanto ha appena detto alle li. 335a32-33.

43° Filop. In GC 285,10 ss. pensa che qui Aristotele abbia in mente princi­palmente Anassagora e il Platone del Timeo. In realtà, però, nel Timeo Platone introduce un agente diverso dalle forme, e cioè il demiurgo. A me sembra in­vece che Anassagora sia piuttosto associato da Aristotele al Fedone platonico, dove Platone fa iniziare a Socrate la "seconda navigazione" proprio a seguito del fallimento della filosofia di Anassagora. Che qui Aristotele possa avere in mente Anassagora e il Fedone mi sembra confermato da quanto Aristotele di­ce in Meta. A, cf. A. Jaulin, Aristate. La Métaphysique, Paris 1999, pp. 26-28. Si vd. anche R.G. Tumbull, Aristotle 's Debt to the "Natural Philosophy" of the Phaedo, «The Philosophical Quarterly», 31 (1958), pp. 131-143.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 207

tura delle forme, come <dice> Socrate nel Fedone: 431 egli, infat­ti, dopo avere rimproverato agli altri di non averne parlato per niente, avanza l'ipotesi che tra gli enti, alcuni sono le forme e altri sono quelli che partecipano delle forme,432 e che ciascun ente è detto essere in virtu della forma, mentre è detto generarsi in virtu della partecipazione <alla forma> e corrompersi in virtu dell'abbandono <della forma>, sicché, posto ciò come vero, egli crede che le forme siano di necessità cause e della generazione e della corruzione. Altri filosofi pensano, invece, che <sia causa della generazione e della corruzione> la materia come tale, per­ché credono che da questa derivi il movimento. Né l'uno né gli altri parlano correttamente. Se infatti cause sono le forme, per­ché esse non generano sempre in continuazione, ma ora si ora no, pur esistendo sempre sia le forme sia gli enti che partecipa­no di esse? Ancora, a proposito di alcuni enti noi osserviamo che la causa è tutt'altro <che la forma>, perché <ad esempio> la salute è il medico che la produce, e la scienza è lo scienziato che la produce, pur esistendo sia la salute come tale sia la scien­za come tale sia ancora gli enti che ne partecipano;433 la stessa cosa vale anche a proposito di altri enti prodotti secondo una potenza.434 Se qualcuno dicesse, invece, che è la materia a gene­rare attraverso il movimento, costui parlerebbe in maniera piu aderente alla natura che non quelli che parlano delle forme: in­fatti, ciò che altera o trasfigura è, nella generazione, piu atto a fungere da causa, e in ogni tipo di produzione, sia degli enti na­turali che di quelli artificiali, noi siamo adusi a dire che l'agente è ciò che potrebbe fungere da motore. Nondimeno anche costo­ro parlano in maniera non corretta, perché alla materia appartie­ne il subire azione e l'essere mossa, mentre il muovere e l'agire

431 Nelle linee che seguono di fatto Aristotele parafrasa Platone, Phd. 96a-99c e lOOb-lOlc.

432 Qui Aristotele sembra avere presente la lezione di Platone, Tim. 48e. 433 Seconda critica a Platone: non le forme, come in questo caso la salute e

la scienza, sono cause efficienti, ma gli individui, come qui il medico e lo scienziato.

434 xaTà ouvaµt v indica lo stato potenziale su cui la causa motrice deve intervenire.

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208 Aristotele

appartengono ad altra potenza. E ciò appare evidente sia a pro­posito dei prodotti artificiali che a proposito degli enti che si generano naturalmente, perché <ad esempio> l'acqua come tale non produce da se stessa il vivente, né il legno produce il letto, bensi è l'arte che lo produce. Ne consegue che anche costoro parlano per ciò stesso non correttamente, anche perché trascu­rano la causa piu importante, giacché eliminano l'essenza ovve­rosia la forma. [336a] E ancora attribuiscono ai corpi <sempli­ci> le potenze con cui essi generano, e lo fanno in maniera troppo strumentale, perché eliminano la causa formale. Poiché infatti per natura, come essi dicono,435 il caldo divide mentre il freddo congiunge, e ciascuna delle altre proprietà contrarie l'una agisce mentre l'altra subisce azione, a partire da questo essi dicono anche che è per mezzo di tali proprietà che tutto il resto viene generato o corrotto; è evidente, invece, che anche il fuoco come tale si muove e subisce azione. 436 Ancora, .essi si comportano piu o meno come se si dovesse distribuire alla sega e a ciascuno degli strumenti la causa di ciò che essi generano, motivando ciò con il fatto che necessariamente il legno con la sega si divide e con la pialla diviene liscio, e cosi negli altri ca­si. 437 Ne consegue che se è soprattutto il fuoco ad agire e· muo­vere, ma essi non vedono in che modo esso muova, il fuoco agi­sce peggio che gli strumenti. Si era parlato in precedenza e in generale delle cause, mentre adesso si sono fatte distinzioni a proposito della materia e della forma. 438

435 Ma Aristotele ritiene vero il contrario.

436 Sulla base delle proprietà contrarie questi filosofi pensano che gli ele­

menti siano cause efficienti di generazione e di corruzione e dimenticano che invece la materia individuata in ciascun elemento, come in questo nel caso ci­tato il fuoco, sia agisce sia subisce la generazione e la corruzione, cosa che non si addice a una causa efficiente. Il fatto che il fuoco sia suscettibile di su­bire azione significa che ci deve essere una causa efficiente diversa dal fuoco così come dagli altri elementi.

437 I materialisti individuano quindi cause strumentali.

438 Il problema specifico della causa efficiente, infatti, è trattato nel se­

guente cap. 10.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 209

10. La causa efficiente

La traslazione è causa della generazione Inoltre, poiché si è mostrato che il movimento di traslazione

è etemo,439 è necessario che di tali enti ci sia anche una genera­zione continua, perché il movimento di traslazione 440 produrrà la generazione in maniera ininterrotta per il fatto che <conti­nuamente> si avvicina e si allontana rispetto alla causa che la genera. Ed è evidente al contempo che anche in precedenza si è parlato correttamente, quando si è detto che il primo mutamento è il movimento di traslazione, non già la generazione:441 è molto piu logico, infatti, che sia l'essere causa del generarsi di ciò che non è piuttosto che sia il non essere causa dell'essere di ciò che è. 442 Orbene, ciò che si muove è, mentre ciò che si genera non è: perciò anche il movimento di traslazione precede la generazio­ne.

Il movimento del sole lungo l'eclittica Poiché d'altra parte si è stabilito e mostrato che delle cose

c'è continua generazione e corruzione, 443 e noi diciamo che causa della generazione è il movimento di traslazione, risulta al­lora evidente che, essendo uno solo il movimento di traslazione, generazione e corruzione non siano possibili entrambe <al con­tempo>, per il fatto che sono processi contrari (ciò che è identi­co e sempre allo stesso modo, infatti, può causare per natura sempre l'identico effetto, sicché ci sarà sempre o generazione o

439 Cf. Aristot. VIII 7. 440 Il termine adoperato qui da Aristotele è cpoQ&, che io traduco "movi­

mento di traslazione (o spostamento locale)" secondo la definizione che lo stesso Aristotele aveva dato in GC I 4, 319b32. È tuttavia da osservare che, trattandosi in GC II 1 O del movimento di traslazione di corpi celesti che hanno un movimento eterno, il significato del termine cpoQa dovrebbe, a rigore, esse­re piuttosto quello di "eterno movimento di traslazione [circolare, ovverosia di rivoluzione]", cf. Aristot. Cael. I 2, 268bl 7-18.

441 Ct~ Phys. VIII 7. 442 Cf. Phys. VIII 7, e MA 5, 700a26-b3. 443 Cf. GC I 3, 3 l 7b35.

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210 Aristotele

corruzione),444

ma bisogna che siano molteplici e contrari i mo­vimenti, o in virtu della traslazione o in virtu della irregolarità <degli stessi movimenti>,445 perché dei contrari le cause sono contrarie; perciò non è il primo movimento di traslazione a cau­sare la generazione e la corruzione, bensi il movimento secondo il circolo obliquo (scii. l'eclittica), perché in questo tipo di mo­vimento esistono sia la continuità che una duplicità di movi­menti; è necessario, infatti, se ci dovrà essere sempre una conti­nuità di generazione e corruzione, che qualcosa sia mossa eter­namente, [336b] affinché questi mutamenti non finiscano mai, e che sia mossa secondo un duplice movimento, in modo che non si verifichi un solo tipo di quei mutamenti. Dunque della conti­nuità è causa il movimento di traslazione dell'universo, mentre dell'avvicinarsi e allontanarsi è causa l'inclinazione <dell'eclittica>: accade, infatti, che una volta si allontana e un'altra volta si avvicina. Ma poiché la distanza non è uguale, il movimento è irregolare, di modo che questo stesso corpo <che è mosso etemamente>,

446 se con il suo avvicinarsi o stare vicino

genera, con il suo allontanarsi o stare lontano corrompe, e se con il suo ripetuto andare incontro genera, con il suo ripetuto ri­trarsi corrompe, perché dei processi contrari le cause sorto con-

444Cf. GCII9,335b18-19.

445 I commentatori si sono interrogati su quale delle due opzioni Aristotele

ritenga che si debba assumere, se cioè la ragione risieda nella traslazione op­pure nell'irregolarità, e che cosa queste due opzioni significhino. lo credo che l'opzione non sussista in realtà, perché l'irregolarità è legata alla particolare natura della traslazione del sole, fermo restando il suo movimento circolare e non rettilineo: àvroµaÀ.ta è infatti una ineguaglianza, e si tratta di un termine composto in cui l'a privativo indica l'assenza di ciiµaÀ.ta, cioè propriamente del giusto mezzo. Ora, l'obliquità dell'eclittica crea appunto uno scarto rispet­to al piano mediano costituito dalla sfera celeste, per cui si crea una inegua­glianza nella traslazione del sole per il fatto che tale moto, a causa di una tale obliquità, si svolge ora all'in sù e ora all'ingiù rispetto all'equatore celeste, che rappresenta il piano mediano. Cf. G.R. Giardina, La chimica fisica di Ari­stotele cit., pp. 253 ss.

446 Cioè il sole che si muove eternamente lungo l'eclittica.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 211

trarie.447 E d'altra parte è in un tempo uguale che avvengono sia la corruzione che la generazione secondo natura.

I cicli della vita Perciò anche la durata della vita di ciascuna specie ha un

448 d ' h d' . 1 numero e e con questo c e possono essere 1stmte <tra o-ro>: di ogni cosa, infatti, c'è un ordine, e ogni durata di vita è misurata con un ciclo, tranne che non tutte le durate hanno lo stesso ciclo, alcune ne hanno uno piu breve altre uno piu lungo, giacché alcune hanno come misura del loro ciclo un anno, altre di piu di un anno, altre ancora meno di un anno. Anche ciò che accade secondo l'esperienza sensibile appare conforme a <que­sti> nostri ragionamenti, perché noi osserviamo che quando il sole è in fase di avvicinamento si ha generazione, quando inve­ce è in fase di allontanamento si ha deperimento <di ciò che si era generato>,449 e l'uno e l'altro processo avviene in un tempo uguale: uguale è infatti il tempo della corruzione e della genera­zione secondo natura. Ma accade spesso che la corruzione si faccia in un tempo piu breve <della generazione> a causa della reciproca commistione <degli elementi>,450 perché, essendo la materia irregolare e non dappertutto identica, necessariamente anche le generazioni sono irregolari, alcune piu rapide, altre piu

447 Su questo passaggio cf. G.R. Giardina, La chimicajìsica di Aristotele cit., Ef· 255-257.

4 Cioè un ritmo misurabile. 449 <l>Sicru;, infatti, sembra in questo caso indicare non già il corrompersi,

cioè il morire assoluto di ciò che si è generato (sarebbe questa la negazione dei cicli delle vite e quindi del rigenerarsi ogni anno degli esseri viventi), ben­sì del deperire delle vite.

450 otà TÌjV 7tQÒç UÀ.À.TJÀ.Cl cruyxQamv: il testo appare a questo punto cor­rotto (e infatti Filop. ln GC 295,13 ss. si chiede se occorra leggere cruyxQacrtv oppure CTUYXQOUCTt V e illustra la sua opinione per entrambi i casi). Joachim Jo mette tra due cruces sospettando che si tratti di un'interpolazione e illustra ampiamente le sue perplessità, cf. pp. 262-263 (vd. anche Migliori, p. 259 no­ta 18). Rashed, p 175 nota 3, ritiene che «il paraìt plus vraisemblable qu' Ar. songe ici à la constitution matérielle, et non pas logique, de la matière». An­che a me sembra che qui Aristotele si riferisca agli effetti reciproci degli ele­menti (come del resto hanno supposto sia Averroè, p. 103, sia [Tommaso], p. 575, 260).

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212 Aristotele

lente, sicché accade <che la corruzione si faccia in un tempo pili breve> a causa del fatto che la generazione di questi enti è cor­ruzione di altri enti. Ma, come si è detto, la generazione e la corruzione saranno sempre continue, e non verranno mai meno per quella causa di cui abbiamo parlato.

La continuità della vita coincide con la.finalità naturale Questa continuità è ragionevole che ci sia. Poiché infatti noi

diciamo che in ogni cosa la natura aspira sempre al meglio, e meglio è essere piuttosto che non essere (e in quanti modi noi diciamo l'essere, si è detto altrove),451 e d'altra parte è impossi­bile che l'essere <come tale> 452 appartenga a tutti quanti gli enti per il fatto che sono troppo lontani dal principio, allora dio ha riempito l'universo nel restante modo, cioè rendendo ininterrot­ta la generazione: in tal modo infatti l'essere potrà essere consi­stente al massimo livello perché nel generarsi sempre. risiede appunto l'essere vicinissimi alla sostanza <eterna>. La ragione di ciò, come [337a] si è detto pili volte, è la traslazione circola­re, perché è l'unico movimento che è continuo. Perciò anche gli altri enti che si trasformano reciprocamente in virtU delle loro proprietà e potenze,

453 quali ad esempio i corpi semplici; imita­

no la traslazione circolare, perché quando dall'acqua si genera

451 Cf. Aristot. Meta. IV 2, 1003a33; V 7; V IO, 1018a35; VI 2; VII

l,1028a5-6;passim. 452

È chiaro che qui si tratta dell'essere nel senso perfetto del termine, così come lo possiedono gli enti eterni.

453 Non mi sembra che questi due termini si possano intendere come sino­

nimi, come anche suggerisce Filop. In GC 298,lO ss. Quest'ultimo propone sostanzialmente due interpretazioni: o le proprietà sono le modificazioni dei corpi mentre le potenze sono le inclinazioni secondo cui i corpi si trasforma­no, oppure proprietà sono le qualità passive, cioè, il secco e l'umido, e poten­ze invece le qualità attive, cioè il caldo e il freddo (cf. GC II 2, 32%24-26). Quest'ultima ipotesi è assunta da Joachim, p. 266, seguito da Migliori, p. 260 nota 24. Ma potrebbe anche essere un riferimento a ciò che Aristotele ha inse­gnato in GC II 6 a proposito della trasformazione reciproca degli elementi, in cui le potenze erano le capacità di produrre degli effetti considerate da un pun­to di vista quantitativo, mentre le proprietà erano le qualità. In quel contesto la preoccupazione di Aristotele era sostanzialmente quella di affermare, come in questo contesto, la generazione naturale regolata dalla causa finale.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 213

l'aria e dall'aria il fuoco e di nuovo dal fuoco l'acqua, noi di­ciamo che la generazione <di tali corpi semplici> si è chiusa in un circolo per il fatto che è tornata al punto di partenza. Ne con­segue che anche il movimento di traslazione rettilineo, quando imita quello circolare, è un movimento continuo. Risulta evi­dente al contempo, da quel che si è detto, il problema che alcuni fil fi 454 . ' h' h . 1 oso 1 pongono, e c10e pere e, posto e e ciascun corpo semplice si muove verso il suo proprio territorio, gli stessi corpi <semplici> non si siano, nell'infinità del tempo, <già> distacca­ti <l'uno dall'altro>. La ragione di ciò sta, infatti, nella trasfor­mazione reciproca: se infatti ciascun corpo semplice fosse rima­sto nel suo proprio territorio e non si fosse trasformato sotto l'azione del corpo semplice ad esso pili vicino, si sarebbe già verificato quel distacco <reciproco>. Dunque <ciascun corpo semplice> si trasforma attraverso il movimento di traslazione che <,come si è detto,> è duplice; 455 ma per via di <tale> tra­sformazione non è ammissibile che alcun corpo semplice resti fermo in nessun territorio ad esso assegnato. Che dunque gene­razione e corruzione esistano e quali ne siano le cause, e che co­sa sia il generabile e il corruttibile, risulta chiaro da quel che si detto.

La continuità della generazione è dovuta alla continuità del movimento della causa efficiente

Poiché tuttavia è necessario che esista qualcosa,456 se dovrà esserci movimento, come si è detto prima in altri scritti,457 e se questo movimento dev'essere eterno, è necessario che ci sia qualcosa di eterno, e se dev'essere continuo, è necessario che

454 Forse Platone, Tim. 58a o, più probabilmente, Empedocle. 455 Quindi la ragione risiede ancora nel movimento del sole che, come si è

visto, è duplice. 456 Dopo dvai n Rashed omette TÒ xtvoùv che si trova in molti mss e

che Joachim accoglie, perché, come io ritengo, chiarisce il senso dell'altri­menti generico Tt. Peraltro lo stesso Aristotele rinvia ad altri suoi scritti in cui si parla del primo motore.

457 Cf. Aristot. Phys. VIII 4, 255b31 ss.; VIII 6, 260al0 s.; Meta. XII 7, 1072al 9-1074b14;passim.

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214 Aristotele

sia qualcosa di uno, identico e immobile e ingenerato e inaltera­bile, e se i movimenti circolari devono essere molti, è necessa­rio che i motori siano molti, ma tutti questi movimenti devono essere in qualche modo sussunti sotto un unico principio; ma poiché il tempo è continuo, necessariamente il movimento sarà continuo, se è vero che è impossibile che ci sia un tempo senza movimento; pertanto è di un movimento continuo, e quindi cir­colare, che il tempo è numero, cosi come si è stabilito nei ragio­namenti iniziali. 458 Ma se il movimento è continuo, ci si chiede se è continuo per la continuità di ciò che è mosso oppure di ciò in cui il mobile si muove, intendo dire ad esempio per la conti­nuità del luogo <in cui avviene il movimento> o della proprietà <dello stesso mobile>? È evidente che il movimento è continuo perché è continuo ciò che è mosso (in che modo, infatti, la pro­prietà <del mobile in movimento> potrebbe essere continua se non in quanto è continuo ciò a cui appartiene la stessa proprie­tà? Se però c'è anche una continuità di ciò in cui il mobile si muove, questa continuità non può appartenere ad altro se non al luogo, perché il luogo ha grandezza); ma la continuità del mo­vimento si ha solo quando esso è circolare, tale, cioè, che sia sempre continuo rispetto a se stesso.459 Dunque è questo ·che rende continuo H movimento, cioè il fatto che il corpo si muove circolarmente, e il movimento continuo rende continuo <anche> ·1 460 1 tempo.

458 Cf. Aristot. Phys. IV 10, 217b29 ss.; 224al7; VIII 1, 251bl0; Meta. XII6, 107lb6ss.

459 In realtà, però, la continuità del luogo, che si desume dal fatto che il luogo è una grandezza e quindi è necessariamente continuo, non è pertinente al problema della continuità del movimento, perché il movimento che è conti­nuo è quello circolare, che è un movimento continuo rispetto a se stesso e non rispetto ad altro, come in questo caso il luogo in cui esso avviene. Se fosse ve­ro quest'ultimo caso, infatti, sarebbe la continuità del luogo a fornire continui­tà al movimento e ogni movimento locale sarebbe continuo, cosa che non è. La circolarità del movimento è allora ciò che rende continuo il movimento e, di conseguenza, anche il tempo.

46° Così ho inteso la frase di Aristotele che è ellittica del verbo, ii òÈ xi­vriatç TÒv XQOVOV, per il fatto che si sta parlando, appunto, della continuità e,

Sulla generazione e la corruzione Libro II 215

11. La necessità nella generazione

Necessità o contingenza degli enti che si generano Poiché nei corpi che si muovono in modo continuo per gene­

razione o alterazione o, in generale, per mutamento, noi osser­viamo una successione di momenti in cui un ente si genera dopo l'altro senza interruzione, [337b] occorre allora esaminare se qualche ente <della serie> sia tale da esistere necessariamente, o se nessun ente sia necessario, ma al contrario tutti gli enti po­trebbero non generarsi. Che, infatti, alcuni enti <potrebbero non generarsi>, è evidente, e si vede subito dal fatto che una cosa è dire "sarà" e altra cosa dire "sta per essere"; infatti perché sia vero dire che <una cosa> sarà, occorre che sia vero in qualche momento dire che quella cosa è, mentre ciò di cui è vero ora di­re che sta per essere, nulla impedisce che non si generi <mai>:461 infatti qualcuno che stia per passeggiare potrebbe non passeggiare. In termini generali, poiché tra gli enti che sono al­cuni potevano anche non essere, è chiaro che ciò vale anche per gli enti che si generano, e che quindi il loro generarsi non sarà necessario. Orbene, la domanda è: tutti quanti gli enti <genera­ti> sono tali,462 oppure no, ma <al contrario> è assolutamente necessario che alcuni si generino, e, così come nel caso dell'essere alcuni potevano non essere mentre altri si, allo stesso modo accade anche nel caso della generazione? Ad esempio i solstizi si generano necessariamente e non è possibile che non si generino?

siccome il tempo presuppone il movimento, il movimento continuo sarà causa della continuità del tempo.

461 Non deve ingannare il fatto che comunemente µÉ:À.À.Etv viene tradotto come "dovere", perché in questo caso dovere non significa "essere necessa­rio". Perciò io ho preferito tradurre secondo il senso dell'eventualità o dell'imminenza (non necessaria) di µÉ:À.À.Etv, come del resto fanno corretta­mente Joachim e Rashed: il primo traduce µÉ:À.À.Et (forma che egli preferisce a µÉ:Uov) "it is about to occur" (è sul punto di accadere); il secondo traduce µÉ­Uov "se préparant à ètre". Cf. W.D. Ross ed., The Works of Aristotle cit., p. 439.

462 Cioè tali che il loro generarsi non sia necessario.

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216 Aristotele

La necessità ipotetica Ora, se in verità è necessario che deve essersi generato ciò

che sta prima, se dovrà esistere ciò che sta dopo, ad esempio se esiste la casa [che viene dopo le fondamenta], devono esistere le fondamenta [che vengono prima della casa], e se esistono le fondamenta [che vengono dopo l'argilla], deve esistere l'argilla [che viene prima delle fondamenta], 463 allora forse, anche nel caso <inverso in cui> si siano generate le fondamenta, è neces­sario che si generi la casa?464 Oppure non è più necessario, a meno che non sia assolutamente necessario che anche ciò che viene dopo si generi? In quest'ultimo caso è necessario che, una volta generate le fondamenta, si generi la casa, perché ciò che era prima stava a ciò che viene dopo in un rapporto tale che, se <è necessario> che sia ciò che viene dopo, ci debba essere ciò che viene prima. Se in effetti è necessario che si generi ciò che viene dopo, anche ciò che viene prima è necessario che si gene­ri, e se si genera ciò che viene prima, sarà necessario in effetti che si generi anche ciò che viene dopo, ma non già in virtu di ciò che viene prima, bensi nel senso che si era supposto che ci sarebbe stato necessariamente. In quei casi, dunque, in cui è ne­cessario che ci sia ciò che viene dopo, <solo> in questi casi i termini si convertono, e accade sempre che se si genera ciò che viene prima necessariamente si genera ciò che viene dopo. Se dunque le cose procedono all'infinito verso il basso, non ci sarà necessità assoluta, ma <solo> ipotetica,465 che delle cose che vengono dopo una determinata cosa si generi: sempre, infatti, sarà necessario che prima del termine che viene dopo ci sia un'altra cosa in virtù della quale esso si generi necessariamente. Di conseguenza, se non esiste un inizio del processo all'infinito, non ci sarà neppure alcun termine primo in virtu del quale sia

463 Come dire che, prima c'è bisogno dell'argilla, con cui si fanno le fon­damenta, e quindi si costruisce la casa che ha bisogno delle fondamenta, e quindi anche dell'argilla.

464 È la domanda inversa: se c'è il prima, ci dev'essere necessariamente anche il dopo?

465 Cf. Phys. Il 9.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 217

necessario il generarsi di qualcos'altro. 466 Ma in verità neppure nei casi in cui ci sia un limite nella sequenza sarà possibile dire veramente che ci sia necessità assoluta del generarsi <di qualco­sa>, ad esempio della casa, quando siano generate le fondamen­ta: quando infatti queste siano generate, se <non si dimostra> che sia necessario sempre che si generino le fondamenta <prima della casa>, accadrà che sia sempre ciò che può non essere sempre. Ma occorre che nella generazione <ciò che è necessa­rio> sia sempre, se è necessaria la sua generazione: ciò che è necessario, infatti, è al tempo stesso anche sempre, perché ciò che è necessario che sia non può non essere, [338a] sicché se è necessario, è eterno, e se è eterno, è necessario. E se la genera­zione <di qualcosa> è realmente necessaria, è eterna la sua ge­nerazione, e se questa è eterna, è <anche> necessaria.467 Se dunque la generazione di qualcosa è assolutamente necessaria, necessariamente tale generazione si svolge circolarmente e tor­na in se stessa. È necessario infatti che la generazione sia o li­mitata o illimitata, e se è illimitata, che sia o rettilinea o circola­re. Ma tra questi due casi, se è vero che sarà eterna, non potrà essere rettilinea perché non potrebbe avere alcun punto di ini­zio, né verso il basso nel caso che l'inizio si prenda tra gli enti che si genereranno, né verso l'alto, nel caso che lo si prenda tra gli enti che sono stati generati; ma è necessario che abbia un punto di inizio,468 <ma che>, se non deve essere limitata, sia e­tema;469 perciò è necessario che sia circolare. La conversione

466 Sci!. non esiste un punto di partenza che sia la condizione necessaria della 9enerazione di ciò che viene dopo.

46 La necessità assoluta dell'essere appartiene solo agli enti che sono e­ternamente, così come la necessità assoluta del generarsi appartiene solo agli enti che eternamente si generano.

468 A questo punto il testo è considerato incerto da Joachim, che pone tra due cruces le seguenti parole: µrrn:: 7tE7tEQacrµévric; oucrric;, cf. Migliori p. 264 nota 12. Cf. anche Rashed p. 180 nota 5.

469 In effetti si è già dimostrato che se fosse rettilinea non avrebbe alcun inizio né in basso né in alto. Cf. 338a7-9 supra. Se è invece eterna, è circolare, e se è circolare ha un punto di partenza in qualsiasi punto. La soluzione adot­tata da Aristotele è quindi quella di assumere la circolarità come sempiternità e non come infinità, così come del resto si legge in Meta. II 2, 994a 19 ss.

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218 Aristotele

<dei suoi termini>470 sarà dunque necessaria, se ad esempio quest'ente qui è necessario, sarà necessario anche l'ente che viene prima, ma se è necessario quello che viene prima, sarà necessario anche quello che viene dopo. E ciò accadrà sempre in continuazione, perché non c'è differenza nel dire che questo accade tra due o pili termini. Nel movimento e nella generazio­ne che siano circolari, dunque, c'è la necessità assoluta; e se la generazione è circolare, è necessario che ciascun ente si generi o si sia generato, e se è necessaria, la generazione di tali enti è circolare. Tutto questo è in verità conforme a ragione, poiché anche altrove471 ci è apparso eterno il movimento circolare, cioè quello del cielo, nel senso che necessariamente si generano e sa­ranno <sempre> quei movimenti che appartengono a quel mo­vimento eterno e che si producono in virtu di esso. [338b] Se infatti un corpo che si muove circolarmente muove sempre qualche <altro corpo>, necessariamente sarà circolare anche il movimento di questi altri corpi, ad esempio, poiché il movimen­to di traslazione superiore è circolare, il sole si muove anch'esso circolarmente, e poiché il sole si muove cosi, <an­che> le stagioni in virtu di ciò si generano circolarmente e tor­nano in se stesse, e poiché le stagioni si generano cosi, lo stesso accade a ciò che. è subordinato ad esse.

La conservazione delle specie Ma perché, allora, se alcuni enti appaiono in questo modo,472

ad esempio l'acqua e l'aria che si generano circolarmente, e se ci sarà una nuvola, deve piovere, e se <per converso> pioverà, ci dev'essere una nuvola, gli uomini, invece, e gli animali non tornano in se stessi in modo che si rigeneri lo stesso uomo? Non è infatti necessario che, una volta che sia nato <tuo> padre, na­sca tu; ma se tu sei nato, dovette nascere <prima> tuo padre, e la stessa generazione <di questi esseri viventi> appare essere

470 Di ciò che sta prima e dopo. Cf. 337b24 s. 471 Cf. Aristot. Phys. VIII 7-9. 472 Cioè di movimento circolare ed eterno, per cui la loro generazione è

assolutamente necessaria.

Sulla generazione e la corruzione Libro II 219

rettilinea. Il principio di questa nuova indagine è il seguente: ci si chiede se tutti gli enti tomino in se stessi allo stesso modo oppure no, e <in quest'ultimo caso> se alcuni solo secondo il numero,473 altri invece solo secondo la specie. Ebbene, tutti gli enti la cui sostanza in movimento è incorruttibile, appare evi­dente che saranno anche identici secondo il numero (perché il movimento segue ciò che è mosso), mentre tutti gli enti la cui sostanza non è <incorruttibile>, ma corruttibile, necessariamen­te ritornano in se stessi secondo la specie, ma non secondo il numero. Perciò l'acqua si genera dall'aria e l'aria dall'acqua se­condo un'identità specifica, non numerica. Ma se anche questi corpi saranno identici secondo il numero, al contrario non lo sa­ranno quelli la cui sostanza è generata, essendo questa di natura tale che è possibile che non sia.

473 Scii. individualmente.

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Α

1. [314a] Περι δε γενέσεως και φθορας των φύσει γινο­μένων και φθειρομένων' όμοίως κατα πάντων' τάς τε αί τί­ας διαιρετέον και τοuς λόγους αuτων, ετι δε περι αυ­ξήσεως και άλλοιώσεως, τί έκάτερον, και πότερον την αυτηv ύποληπτέον είναι φύσιν άλλοιώσεως και γενέσεως, η χωρίς, ίόσπερ διώρισται και τοις όνόμασιν.

των μεν οδν άρχαίων οί μεν την καλουμένην άπλf'jν γέ­νεσιν άλλοίωσιν είναί φασιν, οί δ' ετεροι άλλοίωσιν και γένεσιν. 'Όσοι μεν γαρ ΕΥ τι το παν λέγουσιν είναι και πάντα έξ ένος γεννωσι, τούτοις μεν άνάγκη [10] την γένε­σι ν άλλοίωσι ν φάναι και το κυρίως γι γνόμενον άλ­λοιοuσθαι. 'Όσοι δε πλείω την ϋλην ένος τιθέασιν, οίον Έμπεδοκλf'jς και' Αναξαγόρας και Λεύκιππος, τούτοις δε ετερον. Καίτοι 'Αναξαγόρας γε την οiκείαν φωvηv ήγνόη­σεν· λέγει γοuν ώς το γίγνεσθαι και άπόλλυσθαι ταuτον καθέστηκε τφ άλλοιοuσθαι, πολλα δε λέγει τα στοιχεια, καθάπερ και ετεροι. Έμπεδοκλf'jς μεν γαρ τα μεν σωματι­κα τέτταρα, τα δε πάντα μετα των κι νούντων εξ τον άρι­θμόν, 'Αναξαγόρας δε &πειρα και Λεύκιππος και Δημόκρι­τος. Ό μεν γαρ τα όμοιομερf'j στοιχεια τίθησι ν, οίον ό­στοuν σάρκα [20] μυελόν και των &λλων οον έκάστφ συνώ­νυμον το μέρος έστίν. Δημόκριτος δε και Λεύκιππος έκ σωμάτων άδιαιρέτων τάλλα συγκεισθαί φασι, ταuτα δ' &πειρα και το πλf'jθος είναι και τας μορφάς, αυτα δε προς αύτα διαφέρει ν τούτοις έξ οον είσι και θέσει και τάξει τούτων. Έναντίως γαρ φαίνονται λέγοντες οί περι Άναξαγόραν τοις περι Έμπεδοκλέα· ό μεν γάρ φησι πuρ και ϋδωρ και άέρα και γf'jv στοιχεια τέσσαρα και άπλα είναι μαλλον η σάρκα και όστοuν και τα τοιαuτα των ό­μοιομερων, οί δε ταuτα μεν άπλα και στοιχεια, γf'jv δε και πuρ και ϋδωρ και άέρα σύνθετα· [314b] πανσπερμίαν γαρ

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ει ναι τουτων.

Τοις μεν οδν έξ ένος πάντα κατασκευάζουσι ν άνα­γκαιον λέγειν την γένεσι ν και την φθοραν άλλοίωσι v· άει

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γαρ μένειν το ύποκείμενον ταυτο και εν· το δε τοιοuτον ά­λλοιοuσθαί φαμεν· τοις δε τα γένη πλείω ποιοuσι διαφέ­ρει ν την άλλοίωσι ν τfjς γενέσεως συνιόντων γαρ και δια­λυομένων ή γένεσις συμβαίνει και ή φθορά. Διο λέγει τοuτον τον τρόπον και Έμπεδοκλfjς, οτι "φύσις ουδενός έ­στιν άλλα μόνον μίξις τε διάλλαξίς τε μι γέντων".

'Ότι μεν οδν οίκειος ό λόγος αυτωv τη ύποθέσει, οϋτω φάναι, δfjλον, [10] και οτι λέγουσι τον τρόπον τοuτον· άν­αγκαιον δε και τούτοις την άλλοίωσι ν εt ναι μέν τι φάναι παρα την γένεσι ν' άδύνατον μέντοι κατα τα ύπ' έκεί νων λεγόμενα. Τοuτο δ' οτι λέγομεν όρθως, Q~διον συνιδειν. 'Ώσπερ γαρ όρωμεν ηρεμούσης τfjς ουσίας έν αυτη μετα­βοληv κατα μέγεθος, την καλουμένην αuξησιν και φθίσιν, οϋτω και άλλοίωσιν. ου μην άλλ' έξ ων λέγουσιν οί πλείους άρχας ποιοuντες μιας, άδύνατον άλλοιοuσθαι. τα γαρ πάθη, καθ' α φαμεν τοuτο συμβαίνειν, διαφοραι των στοι­χείων είσίν, λέγω δ' otov θερμον ψυχρόν, λευκον μέλαν, ξηρον ύγρόν, μαλακον σκληρον και [20] των &λλων εκαστον, όSσπερ καί φησιν Έμπεδοκλfjς "~Ίέλιον μεν λευ­κον ορα και θερμον άπάντl], ομβρον δ' έν πασι ν δνοφέοντά τε ρι γαλέον τε". Όμοίως δε διορίζει και έπι των λοι Πων. 'Ώστ' εί μη δυνατον έκ πυρος γίνεσθαι ϋδωρ μηδ' έξ ϋδατος γfjv' ουδ' έκ λευκοί) μέλαν εσται ουδεν ουδ' έκ μαλακοί) σκληρόν· ό δ' αυτος λόγος και περι των &λλων· τοuτο δ' Yjv άλλοίωσις ..... Ηι και φανερον οτι μίαν άει τοις έναντίοις ύ­ποθετέον ϋλην, &ν τε μεταβάλλl] κατα τόπον, &ν τε κατ' αuξησιν και φθίσιν, &ντε κατ' άλλοίωσιν. 'Έτι δ' όμοίως ά­ναγκαιον εtναι τοuτο και άλλοίωσιν· είτε γαρ άλλοίωσίς [315a] έστι, και το ύποκείμενον ΕΥ στοιχειον και μία πάντων ϋλη των έχόντων είς &λληλα μεταβολήν, κaν ει το ύποκείμενον εν, εστιν άλλοίωσις.

Έμπεδοκλfjς μεν οδν εοικεν έναντία λέγειν και προς τα φαινόμενα και προς αύτον αυτός. 'Άμα μεν γαρ ou φησι ν ετερον έξ έτέρου γίνεσθαι των στοιχείων ουδέν, άλλα τάλλα πάντα έκ τούτων, aμα δ' οταν είς ΕΥ συναγάγl] την aπασαν φύσιν πλην του νείκους, έκ του ένος γίγνεσθαι

Περί γενέσεως καί φθορiiς Α 225

πάλιν εκαστον. 'Ώστ' έξ ένός τινος δfjλον οτι διαφοραις τισι χωριζομένων και πάθεσι ν έγένετο το μεν ϋδωρ το δf: [10] πυρ, καθάπερ λέγει τον μεν iiλιον λευκον και θερμόν, τΎ,ν δε γfjv βαρu και σκληρόν· άφαιρουμένων οδν τούτων των διαφορων (είσι γαρ άφαιρεται γενόμεναί γε) δfjλον ώς άνάγκη γίγνεσθαι και γfjv έξ ϋδατος και ϋδωρ έκ γfjς, ό­μοίως δε και των &λλων εκαστον' ου τότε μόνον άλλα και vuv, μεταβάλλοντά γε τοις πάθεσιν. 'Έστι δ' έξ ων είρηκε δυνάμενα προσγίνεσθαι και χωρίζεσθαι πάλιν, &λλως τε και μαχομένων άλλήλοις ετι του νείκους και τfjς φιλίας. Διόπερ και τότε έξ ένος έγεννήθησαν· ου γαρ δή, πuρ γε και γη και ϋδωρ ο ντα ΕΥ Yjv το παν.

'' Αδηλον δf: και πότερον [20] άρχηv αυτφ θετέον το εν fl τα πολλά, λέγω δε πuρ και γfjv και τα σύστοιχα τούτων:"Ηι μεν γαρ ώς ϋλη ύπόκει ται, έξ οδ μεταβάλλοντα δια την κί­νησι ν γίνονται γη και πυρ, το ΕΥ στοιχειοv· ~δε τοuτο μf:ν έκ συνθέσεως γί γνεται συνιόντων έκεί νων, έκει να δ' έκ διαλύσεως, στοιχειωδέστερα έκεινα και πρότερα την φύ­σιν.

2. 'Όλως τε δη περι γενέσεως και φθορας τfjς άπλ fjς λε­κτέον, πότερον εστιν η ουκ εστι και πως εστιν, και περι τας aλλας κινήσεις, οtον περι αυξήσεως και άλλοιώσεως. Πλάτων μf:ν οδν μόνον περι γενέσεως έσκέψατο και [30] φθορας, οπως ύπάρχει τοις πράγμασι, και περι γενέσεως ου πάσης άλλα τfjς των στοιχείων· πως δε σάρκες η όστα η των &λλων τι των τοιούτων, ουδέν· ετι ουδε περι άλλοιώ­σεως ουδε περι αυξήσεως, τί να τρόπον ύπάρχουσι τοις πράγμασιν. 'Όλως δε παρα τα έπιπολfjς περι ουδενος ου­δεις έπέστησεν εξω Δημοκρίτου. Οδτος δ' εοικε μf:ν περι άπάντων φροντίσαι, ηδη [315b] δε έν τφ πως διαφέρειν. Οuτε γαρ περι αυξήσεως ουδεις ουδf:ν διώρικεν, όSσπερ λέ­γομεν, ο τι μη κaν ό τυχών είπειεν, οτι προσιόντος αυξά­νονται τφ όμοίφ (πως δε τοuτο, ουκέτι), ουδε περι μίξεως, ουδε περι των &λλων ώς είπειν ουδενός, οίον του ποιειν η του πάσχει ν' τί να τρόπον το μf:ν ποιει το δε πάσχει τας

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φυσικας ποιήσεις. Δημόκριτος δε και Λεύκιππος ποι­ήσαντες τα σχήματα την άλλοίωσιν και την γένεσιν εκ τούτων ποιοuσι, διακρίσει μεν και συγκρίσει γένεσιν και φθοράν, τάξει δε και θέσει άλλοίωσιν. Έπει δ' ri)οντο [10] τάληθες εν τφ φαίνεσθαι, εναντία δε και &πειρα τα φαινό­μενα, τα σχήματα &πειρα εποί ησαν, όSστε ταις μεταβολαις του συγκειμένου το αύτο εναντίον δοκειν &λλφ και &λλφ, και μετακινεισθαι μικροί) εμμιγνυμένου και ολως ετερον φαίνεσθαι ένος μετακι νηθέντος εκ των αύτων γαρ τραγφδία και τρυγφδία γίνεται γραμμάτων.

Έπει δε δοκει σχεδον πασιν ετερον εϊναι γένεσις καt άλλοίωσις, και γίνεσθαι μεν και φθείρεσθαι συγκρινόμενα και διακρινόμενα, άλλοιοuσθαι δε μεταβαλλόντων των πα­θημάτων, περι τούτων επιστήσασι θεωρητέον. 'Απορίας γαρ εχει ταuτα και πολλας και [20] εύλόγους. Εί μεν γάρ εστι σύγκρισις ή γένεσις, πολλα άδύνατα συμβαίνει .. είσι δ' αδ λόγοι ετεροι άναγκαστικοι και ούκ εuποροι διαλύειν ώς ούκ ενδέχεται aλλως εχειν. Εtτε μή εστι σύγκρισις ή γένεσις, η ολως ούκ εστι γένεσις, η άλλοίωσις, η και τοuτο διαλuσαι, χαλεπον δν, πειρατέον.

Άρχη δε τούτων πάντων, πότερον οϋτω γίνεται καϊ άλ­λοιοuται καt αύξάνεται τα οντα καt τάναντία τούτοις πά­σχει, των πρώτων ύπαρχόντων μεγεθων άδιαιρέτων, η ού­θέν εστι μέγεθος άδιαίρετον· διαφέρει γαρ τοuτο πλειστον. Καt πάλιν εί μεγέθη, πότερον, ώς Δημόκριτος και Λεύκιππος, σώματα ταuτ' [30] εστίν, η rοσπερ εν τq5 Τιμαίφ επίπεδα; τοuτο μεν οδν αύτό, καθάπερ και εν &λλοις είρήκαμεν, &λογον μέχρι επιπέδων διαλuσαι. Διο μαλλον εuλογον σώματα εϊναι άδιαίρετα. Άλλα και ταuτα πολλην εχει άλογίαν. 'Όμως δε τούτοις άλλοίωσιν καl. γέ­νεσιν ενδέχεται ποιειν [καθάπερ εtρηται], τροπij και δια­θι γη μετακι νοuντα το αύτο καt ταις των [316a] σχημάτων διαφοραις, οπερ ποιει Δημόκριτος διο και χροιαν ou φησιν εϊναι - τροπij γαρ χρωματίζεσθαι. Τοις δ' είς επίπε­δα διαιροuσι ν ούκέτι · ούδεν γαρ γίνεται πλην στερεα συντιθεμένων· πάθος γαρ ούδ' εγχειροuσι γενναν ούδεν εξ

Περi γενέσεως καi φtJoρiiς Α 227

αύτων. At τιον δε τοu επ· ελαττον δύνασθαι τα όμολογού­μενα συνοραν ή άπειρία. Διο οσοι ενφκήκασι μαλλον εν τοις φυσικοις, μαλλον δύνανται ύποτίθεσθαι τοιαύτας άρ­χας α'i επι πολu δύνανται συνείρει ν· οί δ' εκ τrον πολλων λόγων άθεώρητοι των ύπαρχόντων οντες, προς όλί γα βλέ­ψαντες, άποφαίνονται [10] ρ~ον. 'Ίδοι δ' &ν τις καt εκ τούτων οσον διαφέρουσι ν οί φυσικως και λογικως σκο­ποuντες περt γαρ του &τομα εϊναι μεγέθη οί μέν φασι διό­τι αύτο το τρίγωνον πολλα εσται, Δημόκριτος δ' αν φανείη οίκείοις καt φυσικοις λόγοις πεπεισθαι. Δijλον δ' εσται ο λέγομεν προιοuσιν.

'Έχει γαρ άπορίαν, εt τις θήσει σωμά τι εϊναι κα1. μέγε­θος πάντl] διαιρετόν, καt τοuτο δυνατόν. Τί γαρ εσται οπερ την διαίρεσιν διαφεύγει; εί γαρ πάντl] διαιρετόν, καt τοuτο δυνατόν, καν aμα εtη τοuτο πάντl] διl]ρημένον, καt εί μη aμα δι~ρηται· καν εί τοuτο γένοιτο, ούδεν αν εtη άδύνατον. Ούκοuν και κατα [20] μέσον ώσαύτως, και ολως δέ, εί πάντl] πέφυκε διαιρετόν' αν διαιρεθij, ούδεν εσται άδύνατον γεγονός, επει ούδ' αν μυρία μυριάκις δι l]ρημένα η, ούδεν άδύνατον· καίτοι tσως ούδεις αν διέλοι.

Έπει τοί νυν πάντl] τοιοuτόν εστι το σωμα, δι l]ρήσθω. Τί οδν εσται λοιπόν; μέγεθος ού γαρ οίόν τε· εσται γάρ τι ού διl]ρημένον, ijν δε πάντl] διαιρετόν. Άλλα μην εί μηδεν εσται σωμα μηδε μέγεθος, διαίρεσις δ' εσται, η εκ στιγμων εσται, και άμεγέθη εξ ων σύγκειται, η ούδεν παντάπασιν, όSστε καν γί νοι το εκ μηδενος καν εt η συγκείμενον, κα1. το παν δfi ούδεν &λλ' η φαινόμενον. 'Ομοίως δε καν η εκ στιγ­μων, ούκ εσται ποσόν. [30] 'Οπότε γαρ iiπτοντο και εν ijν μέγεθος καt aμα ijσαν, ούδεν εποίουν μειζον το παν. Διαι­ρεθέντος γαρ είς δύο και πλείω, ούδεν ελαττον ούδε μειζον το παν του πρότερον, rοστε καν πασαι συντεθωσιν, ούδεν ποιήσουσι μέγεθος. Άλλα μην και εt τι διαιρουμένου οίον εκπρισμα [316b] γίνεται του σώματος, και οϋτως εκ του μεγέθους σωμά τι άπέρχεται, ό αύτος λόγος εκεινό πως διαιρετόν. Εί δε μη σωμα άλλ' εϊδός τι χωριστον η πάθος

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άπfiλθεν, και εστι το μέγεθος στι γμαι η άφαι τοδι πα­θοuσαι, &τοπον έκ μη μεγεθων μέγεθος είναι.

'Έτι δέ που εσονται, και άκίνητοι η κινούμεναι αί στιγμαί- άφή τε άει μία δυοιν τινων, ώς οντος τινος παρa την άφην και την διαίρεσιν και την στιγμήν. Εί δή τις θήσεται ότιοuν η όπηλικονουν σωμα είναι πάντη διαιρε­τόν, ταuτα συμβαίνει.

'Έτι έaν διελών συνθω [10] το ξύλον η τι &λλο, πάλιν tσον τε και εν. Ούκοuν οϋτως εχει δηλονότι κaν τέμω το ξύλον καθ' ότιοuν σημειον. Πάντη &ρα διήρηται δυνάμει. Τί οδν εστι παρa την διαίρεσι ν; εί γaρ και εστι τι πάθος, άλλa πως είς ταuτα διαλύεται και γίνεται έκ τούτων; η πως χωρίζεται ταuτα;

'Ώστ' εtπερ άδύνατον έξ άφων η στιγμων είναι τa με­γέθη, άνάγκη είναι σώματα άδιαίρετα και μεγέθη.

Ού μην άλλa και ταuτα θεμένοις ούχ iϊττον συμβαίνει άδύνατα. 'Έσκεπται δέ περι αύτων έν έτέροις, άλλa ταuτα πειρατέον λύειν· διο πάλιν έξ άρχfiς την άπορίαν λεκτέον. Το μέν οδν aπαν σωμα αίσθητον είναι [20] διαιρετον καθ' ότιουν σημειον και άδιαίρετον ούδέν &τοπον· το μέν γaρ δυνάμει, το δ' έντελεχεί~ ύπάρξει. Το δ' είναι aμα Πάντη διαιρετον δυνάμει άδύνατον δόξειεν aν είναι. Εί γaρ δυνα­τόν, κaν γένοιτο (ούχ όSστε aμα είναι &μφω έντελεχεί~, ά­διαίρετον και διηρημένον, άλλa διηρημένον καθ' ότιοuν σημειον). Ούδέν &ρα εσται λοιπόν, και άσώματον έφθαρμέ­νον το σωμα, και γί νοι το δ' aν πάλιν ilτοι έκ στι γμων η ολως έξ ούδενός. Και τοuτο πως δυνατόν; άλλa μην οτι γε διαιρει ται είς χωριστa και άει είς έλάττω μεγέθη και είς άπέχοντα και κεχωρισμένα, φανερόν. Οuτε [30] δη κατa μέρος διαιροuντι εt η &ν &πειρος ή θρύψις, οuτε aμα οίόν τε διαιρεθfiναι κατa παν σημειον (ού γaρ δυνατόν), άλλa μέχρι του. 'Ανάγκη &ρα &τομα ένυπάρχειν μεγέθη αόρατα, &λλως τε και εtπερ εσται γένεσις και φθορa ή μέν διακρί­σει ή δέ συγκρίσει. Ό μέν οδν άναγκάζειν δοκων [317a] λόγος είναι μεγέθη

&το μα οδτός έστι ν· οτι δέ λανθάνει παραλογιζόμενος, και

Περi γενέσεως καi ψθορiiς Α 229

~ λανθάνει, λέγωμεν. Έπει γaρ ούκ εστι στι γμη στι γμfiς έχομένη, το πάντη είναι διαιρετον εστι ώς ύπάρχει τοις μεγέθεσι ν, εστι δ' ώς ou. Δοκει δ', οταν τοuτο τεθij, και ~ ,..,, \ Ι \ ';"' ~/ ' ' ,..., ';"'

οπηουν και παντη στιγμην ειναι, ωστ αναγκαιον ειναι

διαιρεθfiναι το μέγεθος είς μηδέν· πάντη γaρ είναι στιγμήν, όSστε η έξ άφωνη έκ στιγμων είναι. Το δ' εστιν ώς ύπάρχει πάντη, οτι μία όπηοuν έστι, και πaσαι ώς έκάστη· πλείους δέ μιaς ούκ είσίν· έφεξfiς γaρ ούκ είσίν, όSστ' ού πάντη· [10] εί γaρ κατa μέσον διαιρετόν, και κατ' έχο­μένην στι γμην εσται διαιρετόν· ού γάρ έστι ν έχόμενον σημειον σημείου η στι γμη στι γμfiς. Τοuτο δ' έστι διαίρε­σις η σύνθεσις. "Ωστ' εστι και σύγκρισις και διάκρισις, άλλ' οuτ' είς &τομα και έξ άτόμων (πολλa γaρ τa άδύνατα) οuτε οϋτως όSστε πάντη διαίρεσιν γενέσθαι (εί γaρ ην έ­χομένη στιγμη στιγμfiς, τοuτ' aν iϊν), άλλ' είς μικρa και έ­λάττω έστί, και σύγκρισις έξ έλαττόνων.

Άλλ' ούχ ή άπλfi και τελεία γένεσις συγκρίσει και δια­κρίσει όSρισται, όSς τινές φασιν, την δ' έν τφ συνεχει μετα­βολην άλλοίωσιν.' Αλλa τοuτ' εστιν έν φ [20] σφάλλεται πάντα. 'Έστι γaρ γένεσις άπλfi και φθορa ού συγκρίσει και διακρίσει, άλλ' οταν μεταβάλλη έκ τοuδε είς τόδε ολον. Οί δέ οtονται άλλοίωσιν πaσαν είναι την τοιαύτην μεταβολήν· το δέ διαφέρει. έν γaρ τφ ύποκειμένφ το μέν έστι κατa τον λόγον, το δέ κατa την ϋλην. 'Όταν μέν οδν έν τούτοις 1:1 ή μεταβολή, γένεσις εσται η φθορά, οταν δ' έν τοις πάθεσι και κατa συμβεβηκός, άλλοίωσις.

Διακρινόμενα δέ και συγκρινόμενα εuφθαρτα γίνεται. Έaν γaρ εiς έλάττω ύδάτια διαιρεθij, θaττον άηρ γίνεται, έaν δέ συγκριθij, βραδύτερον. Μaλλον δ' εσται [30] δfiλον έν τοις ϋστερον. Νuν δέ τοσοuτον διωρίσθω, οτι άδύνατον είναι την γένεσιν σύγκρισιν, οϊαν δή τινές φασιν.

3. Διωρισμένων δέ τούτων, πρωτον θεωρητέον πότερόν έστί τι γινόμενον άπλως και φθειρόμενον' η κυρίως μέν ού­δέν, άει δ' εκ τινος και τί, λέγω δ' οίον έκ κάμνοντος ύ­γιαινον και κάμνον έξ ύγιαίνοντος, η μικρον έκ μεγάλου

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και [317b] μέγα εκ μικρου, και τ&λλα πάντα τουτον τον τρόπον.

Εί γaρ άπλως εσται γένεσις, άπλως aν τι γί νοι το εκ μη οντος, όSστ' άληθες αν ε'ί η λέγειν οτι ύπάρχει τι σι το μη ον. Τις μεν γaρ γένεσις εκ μη οντος τινός, οϊον εκ μη λευ­κου η μη καλου, ή δε άπλfj εξ άπλως μη οντος. Το δ' άπλως iiτοι το πρωτον σημαίνει καθ' έκάστην κατηγορίαν του οντος, fι το καθόλου και το πάντα περιέχον. Εί μεν οόν το πρωτον, ούσίας εσται γένεσις εκ μη ούσίας φ δε μη ύπάρ­χει ούσία μηδε το τόδε, δfjλον ώς ούδε των aλλων ούδεμία [10] κατηγοριων, οϊον οuτε ποιον οuτε ποσον οuτε τόπος χωριστa γaρ αν ε'ίη τa πάθη των ούσιων. Εί δε το μη ον ολως, άπόφασις εσται καθόλου πάντων, όSστε εκ μηδενος άνάγκη γίνεσθαι το γινόμενον.

Περι μεν οόν τούτων εν aλλοις τε δι ηπόρηται και διώ­ρισται τοις λόγοις επι πλειον· συντόμως δε και νυν λεκτέ­ον, οτι τρόπον μέν τινα εκ μη οντος άπλως γίνεται, τρόπον δε aλλον εξ οντος άεί. το γaρ δυνάμει ον εντελεχείι;ι δε μη ον άνάγκη προϋπάρχει ν λεγόμενον άμφοτέρως. 'Ό δε και τούτων διωρισμένων εχει θαυμαστην άπορίαν, πάλιν επα­ναποδιστέον, πως εστιν άπλfj γένεσις, ε'ί τ' [20] εκ δυvάμει οντος ούσίας ε'ί τε καί πως aλλως. 'Απορήσειε γaρ aν τις &ρ' εστιν ούσίας γένεσις και του τουδε, άλλa μη του τοιουδε και τοσουδε και που. Τον αύτον δε τρόπον και πε­ρι φθορας. Εί γάρ τι γίνεται, δfjλον ώς εσται δυνάμει τις ούσία, εντελεχείι;ι δ' ou, [εξ ijς ή γένεσις και] είς ilν ά­νάγκη μεταβάλλει ν το φθειρόμενον. Πότερον οόν ύπάρξει τι τούτφ των aλλων εντελεχείι;ι; λέγω δ' οϊον &ρ' εσται πο­σον η ποιον η που το δυνάμει μόνον τόδε και ον, άπλως δε μη τόδε μηδ' ον; εί γaρ μηδεν άλλa πάντα δυνάμει, χωρι­στόν τε συμβαίνει το μη οϋτως ον, και ετι, δ μάλιστα [30] φοβούμενοι διετέλεσαν οί πρωτοι φιλοσοφήσαντες, το εκ μηδενος γίνεσθαι προϋπάρχοντος εί δε το μεν είναι τόδε τι η ούσία μη ύπάρξει, των δ' aλλων τι των είρημένων, εσται, καθάπερ ε'ίπομεν, χωριστa τa πάθη των ούσιων. Περί τε τούτων οόν οσον ενδέχεται πραγματευτέον, και

Περi γενέσεως καi φιJορiiς Α 231

τίς αi τία του γένεσι ν άει και την άπλfjν και την κατa μέ­ρος.

[318a] Οuσης δ' αi τίας μιας μεν Οθεν την άρχην είναί φαμεν τfjς κινήσεως, μιας δε τfjς ϋλης, την τοιαύτην αίτίαν λεκτέον. Περι μεν γaρ εκείνης ε'ίρηται πρότερον εν τοις περι κινήσεως λόγοις, οτι εστι το μεν άκί νητον τον aπαντα χρόνον, το δε κινούμενον άεί. Τούτων περι μεν τfjς έτέρας άρχfjς προτέρας διελειν εστι φιλοσοφίας εργον· περι δε του διa το συνεχως κι νεισθαι τ&λλα κι νουντος ϋστερον άποδοτέον, τί τοιουτον των καθ' εκαστα λεγο­μένων α'ί τιόν εστιν, νυν δε την ώς εν ϋλης ε'ίδει τιθεμένην αiτίαν ε'ίπωμεν, δι' ilν [10] άει φθορa και γένεσις ούχ ύπο­λείπει την φύσιν· aμα γaρ αν 'ίσως τουτο γένοιτο δfjλον, και περι του νυν άπορηθέντος πως ποτε δει λέγειν και πε­ρι τfjς άπλfjς φθορας και γενέσεως.

'Έχει δ' άπορίαν ίκανην και τί το α'ί τιον του συνείρει ν την γένεσιν, ε'ίπερ το φθειρόμενον εiς το μη ον άπέρχεται, το δε μη ον μηδέν εστιν· οuτε γaρ τι οuτε ποιον οuτε πο­σον οuτε που το μη ον. Ε'ίπερ οόν άεί τι των οντων άπέρχε­ται, διa τί ποτ' ούκ άνήλωται πάλαι και φρουδον το παν, ε'ί γε πεπερασμένον Ύ]ν εξ οδ γίνεται των γινομένων εκαστον; ού γaρ δη διa το aπειρον είναι εξ οδ γίνεται, ούχ [20] ύπολεί πει· τουτο γaρ άδύνατον· κατ' ενέργειαν μεν γaρ ούδέν εστιν aπειρον, δυνάμει δ' επι την διαίρεσιν, όSστ' εδει ταύτην είναι μόνην την μη ύπολείπουσαν τ(\i γί­νεσθαί τι άει ελαττον· νυν δε τουτο ούχ όρωμεν. "'Αρ' οδν διa το την τουδε φθορaν aλλου είναι γένεσι ν και την τουδε γένεσι ν aλλου είναι φθορaν aπαυστον άναγκαιον είναι την μεταβολ ήν; περι μεν οόν του γένεσι ν είναι και φθορaν όμοίως περι εκαστον των οντων, ταύτην οiητέον είναι πασιν ίκανην αi τίαν.

Διa τί δέ ποτε τa μεν άπλως γίνεσθαι λέγεται και φθεί­ρεσθαι τa δ' ούχ άπλως, πάλιν σκεπτέον, ε'ίπερ το αύτό ε­στι γένεσις [30] μεν τουδι φθορa δε τουδί, και φθορa μεν τουδι γένεσις δε τουδί- ζητει γάρ τινα τουτο λόγον. Λέγο­μεν γaρ οτι φθείρεται νυν άπλως, και ού μόνον τοδί. και

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232 ·Αριστοτέλους

αϋτη μεν γένεσις άπλrος, αϋτη δε φθορά. Τοδι δε γίνεται μέν τι, γίνεται δ' άπλrος ου· φαμεν γαρ τον μανθάνοντα γί­νεσθαι μεν έπιστήμονα, γίνεσθαι δ' άπλrος ου.

Καθάπερ οδν πολλάκις [318b] διορίζομεν λέγοντες οτι τα μεν τόδε τι σημαίνει τα δ' ου, δια τουτο συμβαίνει το ζητούμενον. Διαφέρει γαρ είς a μεταβάλλει το μεταβάλ­λον, οίον ϊσως ή μεν είς πυρ όδος γένεσις μεν άπλη, φθορα δέ τινός, οίον γης, ή δε γης γένεσις τις γένεσις, [γένεσις δ' ούχ άπλrος], φθορα δ' άπλrος, οίον πυρός, rοσπερ Παρμε­νίδης λέγει δύο, το ον και το μη ον είναι φάσκων πυρ και γην. Το δη ταυτα ή τοιαυθ' ετερα ύποτίθεσθαι διαφέρει ούδέν· τον γαρ τρόπον ζητουμεν, άλλ' ού το ύποκείμενον. Ή μεν οδν είς το μη [10] ον άπλrος όδΟς φθορα άπλη, ή δ' είς το άπλrος ον γένεσις άπλ η. Οίς οδν διώρισται, εϊ τε πυρι και γη εϊ τε aλλοις τισί, τούτων εσται το μεν ον το δε μη ον. 'Ένα μεν οδν τρόπον τούτφ διοίσει το άπλrος τι γί γνε­σθαι και φθείρεσθαι του μη άπλrος.

'' Αλλον δε τη ϋλl] όποία τις &ν ~· ijς μεν γαρ μaλλον αί διαφοραι τόδε τι σημαί νουσι, μaλλον ούσία, ijς δε στέ­ρησι ν, μη ον, οίον το μεν θερμον κατηγορία τις και είδος, ή δε ψυχρότης στέρησις, διαφέρουσι δε γη και πυρ καϊ ταύ­ταις ταις διαφοραις.

Δοκει δε μaλλον τοις πολλοις τ(i) αίσθητ(i) και μη αί­σθητ(i) διαφέρειν· οταν μεν [20] γαρ είς αίσθητην μετα­βάλλl] ϋλην, γίνεσθαί φασιν, οταν δ' είς aφανη, φθείρε­σθαι. το γαρ ον και μη ον τφ αίσθάνεσθαι και τφ μη αίσθά­νεσθαι διορίζουσιν, ίόσπερ το μεν έπιστητον ον, το δ' aγνωστον μη ον· ή γαρ αϊσθησις έπιστήμης εχει δύναμιν. Καθάπερ οδν αύτοι τ(i) αίσθάνεσθαι ή τ(i) δύνασθαι και ζην και είναι νομίζουσιν, οϋτω και τα πράγματα, τρόπον τινα διώκοντες τάληθές, αύτο δε λέγοντες ούκ άληθές. Συμβαί­νει δη κατα δόξαν και κατ' aλήθειαν aλλως το γίνεσθαί τε άπλrος και το φθείρεσθαι · πνευμα γαρ και αηρ κατα μεν την αϊσθησιν ijττόν έστιν (διο [30] και τα φθειρόμενα ά­πλrος τη είς ταυτα μεταβολη φθείρεσθαι λέγουσιν, γίνε-

Περi γενέσεως καi φθορiiς Α 233

σθαι δ' οταν είς άπτον και είς γην μεταβάλλl]), κατα δ' α­λήθειαν μaλλον τόδε τι και είδος ταυτα της γης.

Του μεν οδν είναι την μεν άπλfiν γένεσιν φθοραν οδσάν τινος, την δε φθοραν την άπλην γένεσιν οδσάν τινος, εϊρηται το αϊτιον· δια γαρ το την ϋλην διαφέρειν η τ(i) ού­σίαν [319a] είναι η τφ μή, η τφ την μεν μaλλον την δε μή, η τφ την μεν μaλλον αίσθητην είναι την ϋλην έξ ijς και είς ην, την δε ijττον είναι. Του δε τα μεν άπλrος γίνεσθαι λέ­γεσθαι, τα δέ τι μόνον, μη τη έξ aλλήλων γενέσει καθ' δν εϊπομεν νυν τρόπον (νυν μεν γαρ τοσουτον διώρισται, τί δή ποτε πάσης γενέσεως ουσης φθορaς aλλου, και πάσης φθορaς ουσης έτέρου τινος γενέσεως, ούχ όμοίως aποδίδο­μεν το γίνεσθαι και το φθείρεσθαι τοις [είς aλληλα] μετα­βάλλουσιν· το δ' ϋστερον είρημένον ού τουτο διαπορει, aλ­λα τί ποτε το μανθάνον μεν ού [10] λέγεται άπλrος γίνε­σθαι aλλα γίνεσθαι έπιστfiμον, το δε φυόμενον γίνεσθαι), ταυτα δε διώρισται ταις κατηγορίαις. τα μεν γαρ τόδε τι σημαίνει, τα δε τοιόνδε, τα δε ποσόν. 'Όσα οδν μη ούσίαν σημαίνει, ού λέγεται άπλrος, aλλά τι γίνεσθαι.

Ού μην άλλ' όμοίως έν πaσι γένεσις μεν κατα τα έν τi] έτέρ<;t συστοιχί<;t λέγεται, οlον έν μεν ούσί<;t έαν πυρ aλλ' ούκ έαν γη, έν δε τφ ποι(i) έαν έπιστfiμον aλλ' ούχ οταν aν­επιστfiμον.

Περι μεν οδν του τα μεν άπλrος γίνεσθαι τα δε μή, και ολως και έν ταις ούσίαις αύταις, εϊρηται, και διότι του γέ­νεσι ν είναι συνεχrος αίτία ώς ϋλη το ύποκείμενον, οτι [20] μεταβλητικόν είς τaναντία, καl. ή θατέρου γένεσις αει έπι των ούσιων aλλου φθορα καl. ή φθορα aλλου γένεσις.

Άλλα μην ούδ' aπορfiσαι δει δια τί γίνεται αίει aπολ­λυμένων· όSσπερ γαρ και το φθείρεσθαι άπλrος φασιν, οταν είς aναίσθητον ελθ1] καl. το μη ον, όμοίως καl. γίνεσθαι έκ μη οντος φασίν, οταν έξ άναισθήτου, εϊτ' οδν οντος τινος του ύποκειμένου εϊ τε μή [, γίνεται έκ μη οντος]. 'Ώστε ό­μοίως και γίνεται έκ μη οντος και φθείρεται είς το μη ον. Είκότως οδν ούχ ύπολείπει · ή γαρ γένεσις φθορα του μη οντος, ή δε φθορα γένεσις του μη οντος.

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234 'Αριστοτέλους

Άλλa τουτο το μη δν άπλrος, [30] [άπορήσειέ τις] πότε­ρον το ετερον των έναντίων, οίον γfί και το βαρu μη ον, πυρ δε και το κουφον το ον, η ou, άλλ' έστι και γfί το ον, το δε μη δν ϋλη ή τfjς γfjς, και πυρος ώσαύτως; και άρά γε έτέρα έκατέρου ή ϋλη; η ούκ aν [319b] γί νοι το έξ άλλήλων ούδ' έξ έναντίων; τούτοις γaρ ύπάρχει τάναντία, πυρί, γη, ϋδατι, άέρι. 'Ή εστι μεν ώς ή αύτή, εστι δ' ώς ή έτέρα· δ μεν γάρ ποτε ον ύπόκει ται το αύτό, το δ' είναι ού το αύτό. Περι μεν οδν τούτων έπι τοσουτον είρήσθω.

4. Περι δε γενέσεως και άλλοιώσεως λέγωμεν τί διαφέ­ρουσι ν· φαμεν γaρ έτέρας εlναι ταύτας τaς μεταβολaς άλλήλων. Έπειδη οδν έστί τι το ύποκείμενον και ετερον το πάθος δ κατ&. του ύποκειμένου λέγεσθαι πέφυκεν, και εστι μεταβολη [10] έκατέρου τούτων, άλλοίωσις μέν έστιν, οταν ύπομένοντος του ύποκειμένου, αίσθητου οντος, μετα­βάλλ1] έν τοις αύτου πάθεσιν, η έναντίοις οδσιν η μεταξύ, ο ίον το σίδμα ύγιαί νει και πάλιν κάμνει ύπομένον γε ταύ­τό, και ό χαλκος στρογγύλος, ότε δε γωνιοειδης ό αύτός γε οον. 'Όταν δ' ολον μεταβάλλ1] μη ύπομένοντος αίσθητου τι­νος ώς ύποκειμένου του αύτου, άλλ' οίον έκ τfίς γονfίς άίμα πάσης η έξ ϋδατος άηρ η έξ άέρος παντος ϋδωρ, γένεσις ηδη το τοιουτον, του δε φθορά, μάλιστα δέ aν ή μεταβολη γί νηται έξ άναισθήτου είς αίσθητον η άφlj η πάσαις ταις αίσθήσεσιν, οίον οταν [20] ϋδωρ γένηται η φθαρlj είς άέ­ρα· ό γaρ άηρ έπιεικίδς άναίσθητον.

Έν δε τούτοις aν τι ύπομέν~;ι πάθος το αύτο έναντιώ­σεως έν τφ γενομένφ και φθαρέντι, οίον οταν έξ άέρος ϋδωρ, εί aμφω διαφανfί η ψυχρά, ού δει τούτου θάτερον πά­θος εlναι είς δ μεταβάλλει. Είδε μή, εσται άλλοίωσις, οίον ό μουσικος aνθρωπος έφθάρη, aμουσος δ' aνθρωπος έγένε­το, ό δ' aνθρωπος ύπομένει το αύτό. Εί μεν οδν τούτου μη πάθος Ύjν καθ' αύτο ή μουσικη και ή άμουσία, του μεν γέ­νεσις Ύjν aν, του δε φθορά· διο άνθρώπου μεν ταυτα πάθη, άνθρώπου δε μουσικου η άνθρώπου άμούσου γένεσις και

Περi γενέσεως καi φθορiiς Α 235

[30] φθορά· νυν δε πάθος τουτο του ύπομένοντος. Διο άλ­λοίωσις τα τοιαuτα.

'Όταν μεν οδν κατa το ποσον ~ ή μεταβολη τfίς έναν­τιώσεως, αuξη και φθίσις, οταν δε κατ&. τόπον, φορά, οταν δε κατ&. πάθος και το ποιόν, άλλοίωσις, οταν δε μηδεν [320a] ύπομέν~;ι ου θάτερον πάθος, η συμβεβηκος ολως, γέ­νεσις, το δε φθορά. 'Έστι δε ή ϋλη μάλιστα μεν κυρίως το ύποκείμενον γενέσεως και φθορaς δεκτικόν, τρόπον δέ τι­να και το ταις aλλαις μεταβολαις, οτι πάντα δεκτικa τα ύποκείμενα έναντιώσεών τινων. Περι μεν οδν γενέσεως, ε'ίτε εστιν ε'ίτε μή, και πίδς εστι, και περι άλλοιώσεως, δι­ωρίσθω τουτον τον τρόπον.

5. Περι δε αύξήσεως λοιπον είπειν, τί τε διαφέρει γε­νέσεως και άλλοιώσεως, και πίδς αύξάνεται τίδν αύξανο­μένων [10] εκαστον και φθίνει ότιουν τίδν φθινόντων. Σκεπτέον δη πρίδτον πότερον έν τ(j) περι ο έστι ν αύτίδν ή προς aλληλα διαφορά, οίον οτι ή μεν έκ τουδε είς τόδε με­ταβολή, οίον έκ δυνάμει ούσίας είς έντελεχείct ούσίαν, γέ­νεσίς έστιν, ή δε περι μέγεθος αuξησις, ή δε περι πάθος ά­λλοίωσις, άμφότερα δε έκ δυνάμει οντων είς έντελέχειαν μεταβολη των είρημένων έστίν, η και ό τρόπος διαφέρει τfίς μεταβολfjς φαίνεται γaρ το μεν άλλοιούμενον ούκ έξ άνάγκης μεταβάλλον κατ&. τόπον, ούδε το γινόμενον, το δ' αύξανόμενον και το φθtνον, aλλον δε τρόπον του φερομέ­νου. Το [20] μεν γaρ φερόμενον ολον άλλάττει τόπον, το δ' αύξανόμενον ιΊ5σπερ το έλαυνόμενον· τούτου γaρ μένοντας τα μόρια μεταβάλλει κατ&. τόπον, ούχ ιΊ5σπερ τα τfίς σφαί­ρας τα μεν γaρ έν τφ 'ίσφ τόπφ μεταβάλλει του ολου μέ­νοντας, τα δε του αύξανομένου άει έπι πλείω τόπον, έπ' έ­λάττω δε τa του φθίνοντος. 'Ότι μεν οδν ή μεταβολη δια­φέρει ού μόνον περι δ άλλa και rος του τε γινομένου και ά­λλοιουμένου και αύξανομένου, δfjλον.

Περι δε ο ή μεταβολή έστιν ή τfίς αύξήσεως και ή τfίς φθίσεως (περι μέγεθος δε δοκει εlναι το αύξάνεσθαι και φθίνειν), ποτέρως ύποληπτέον, πότερον έκ [30] δυνάμει

......... ,,,

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236 'Αριστοτέλους

μf:ν μεγέθους και σώματος, έντελεχεί~ δ' άσωμάτου και ά­μεγέθους γίνεσθαι σωμα και μέγεθος; και τούτου διχως έν­δεχομένου λέγειν, ποτέρως ή αϋξησις γί γνεται, πότερον έκ κεχωρισμένης αυτης καθ' αύτην της ϋλης, η ένυπαρ­χούσης έν &λλφ σώματι; η άδύνατον άμφοτέρως; [320b] χωριστη μf:ν γaρ οδσα η ουδένα καθέξει τόπον η οίον στιγμή, fl κενον εσται και σ&μα ουκ αίσθητόν. Τούτων δε το μf:ν ουκ ένδέχεται' το δε άναγκατον εν τι νι εϊ ναι. αει γάρ που εσται το γινόμενον έξ αυτου, όSστε κάκετνο, η καθ' αύτο fl κατa συμβεβηκός. 'Αλλa μην ε'ί y' εν τινι ύπάρξει, εί μf:ν κεχωρισμένον οϋτως όSστε μη έκεί νου καθ' αύτο η κατa συμβεβηκός τι εlναι, συμβήσεται πολλa και άδύνατα, λέγω δ' οίον εί γί γνεται αηρ έξ ϋδατος, ου του ϋδατος εσται μεταβάλλοντος, άλλa διa το όSσπερ έν άγγείφ τφ ϋδατι [10] εlναι την ϋλην αυτου.' Απείρους γaρ ουδεν κωλύει ϋλας εlναι, όSστε και γίνεσθαι έντελεχεί~. 'Έτι δ' ουδ' οϋτω φαίνεται γι γνόμενος αηρ έξ ϋδατος, οlον έξιών ύπομένοντος. Βέλτιον τοίνυν ποιετν πaσιν άχώριστον την ϋλην ώς οδσαν την αυτην και μίαν τφ άριθμ(j), τφ λόγφ δε μη μίαν. Άλλa μην ουδε στι γμaς θετέον ουδf: γραμμaς την του σώματος ϋλην διa τaς αύτaς αί τίας έκετνο δε" ου ταυτα έσχατα. ή ϋλη, i]ν ούδέποτ' &νευ πάθους οίόν τε εlναι ούδ' &νευ μορφης.

Γί γνεται μf:ν οδν άπλ&ς ετερον έξ έτέρου, όSσπερ και έν aλλοις διώρισται, και ύπό τινος δε άει έντελεχεί~ οντος, η όμοειδους η όμογενους [20] οίον πυρ ύπο πυρος η &νθρωπος ύπ' άνθρώπου, η ύπ' έντελεχείας σκληρον γaρ ουχ ύπο σκληρου γίνεται. Έπει δ' έστι και ούσίας ϋλη σωματικης, σώματος δ' flδη τοιουδί ( σωμα γaρ κοι νον ούδέν ), ή αύτη και μεγέθους και πάθους, έστί τφ μf:ν λόγφ χωριστή, τόπφ δ' ού χωριστή, εί μη και τa πάθη χωριστά.

Φανερον δfι έκ των δι ηπορημένων οτι ούκ εστι ν ή αϋξησις μεταβολfι έκ δυνάμει μεγέθους, έντελεχεί~ δf: μηδf:ν εχοντος μέγεθος· χωριστον γaρ aν ε'ίη το κενόν, τουτο δ' οτι άδύνατον, ε'ίρηται έν έτέροις πρότερον. 'Έτι δ' η γε τοιαύτη μεταβολη ούκ αύξήσεως 'ίδιος άλλa [30] γε-

Περi γενέσεως καi φθοράς Α 237

νέσεως ολως. Ή γaρ αϋξησίς έστι του ύπάρχοντος μεγέ­θους έπίδοσις, ή δf: φθίσις μείωσις. Διο δfι εχειν τι δεt μέ­γεθος το αύξανόμενον, όSστ' ούκ έξ άμεγέθους ϋλης δετ εlναι τfιν αϋξησιν είς έντελέχειαν μεγέθους γένεσις γaρ aν ε'ίη σώματος μaλλον, ούκ αϋξησις.

Ληπτέον δfι μaλλον οίον άπτομένους [32la] της ζητήσεως έξ άρχης, ποίου τινος οντος του αυξάνεσθαι η του φθίνειν τa α'ίτια ζητουμεν. Φαίνεται δfι του αύξανομέ­νου ότιουν μέρος ηύξησθαι, όμοίως δε και έν τφ φθίνειν ελαττον γεγονέναι, ετι δf: προσιόντος τινος αύξάνεσθαι και άπιόντος φθίνειν. 'Ανάγκη δε fl άσωμάτφ αύξάνεσθαι fl σώματι. εί μf:ν οδν άσωμάτφ, εσται χωριστον κενόν· άδύ­νατον δε μεγέθους ϋλην εlναι χωριστήν, όSσπερ ε'ίρηται πρότερον. Εί δf: σώματι, δύο έν τφ αύτ(j) [σώματα] τόπφ εσται, τό τε αύξανόμενον και το αδξον· εστι δε και τουτο άδύνατον. Άλλa μην [10] ούδ' οϋτως ένδέχεται λέγειν γί­νεσθαι τfιν αuξησι ν η τfιν φθίσι ν' όSσπερ ο ταν έξ ϋδατος άήρ· τότε γaρ μείζων ό ογκος γέγονεν· ού γaρ αuξησις τουτο άλλa γένεσις μf:ν του είς δ μεταβάλλει εσται, φθορa δε του έναντίου, αuξησις δε ούδετέρου, άλλ' η ούδενος η ε'ί τι κοινον άμφοΊν ύπάρχει, τ(j) φθαρέντι και τφ γινομένφ, οίον εί σ&μα. Το δ' ϋδωρ ούκ ηuξηται ούδ' ό άήρ, άλλa το μf:ν άπόλωλε το δε γέγονεν, το σωμα δέ, ε'ίπερ, ηuξηται. 'Αλλa και τουτ' άδύνατον. Δεt γaρ σώζει ν τ(j) λόγφ τa ύπά­ρχοντα τ(j) αύξανομένφ και φθίνοντι. Ταυτα δε τρία έστίν, οον εν μέν έστι το ότιουν μεtζον μέρος [20] εlναι του αύξα­νομένου μεγέθους, οίον εί σάρξ, της σαρκός, και προσιόν­τος τι νός, και τρίτον σωζομένου του αυξανομένου και ύπο­μένοντος έν μf:ν γaρ τφ γίγνεσθαί τι άπλ&ς η φθείρεσθαι ούχ ύπομένει, έν δε τφ άλλοιουσθαι και αύξάνεσθαι η φθί­νει ν ύπομένει το αύτο το αύξανόμενον η άλλοιούμενον, άλλ' ενθα μf:ν το πάθος εvθα δf: το μέγεθος το αύτο ού μέ­νει. Εί δfι έσται ή είρημένη αuξησις, ένδέχοι τ' aν μηδενός γε προσιόντος μηδf: ύπομένοντος αυξάνεσθαι (και μηδενος άπιόντος φθίνειν) και μη ύπομένειν το αύξανόμενον. Άλλa δεt τουτο σώζειν· ύπόκει ται γaρ ή αϋξησις τοιουτον.

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238 ·Αριστοτέλους

Άπορήσειε [30] δ' &ν τις και τί έστι το αύξανόμενον, πότερον c'\) προστίθεταί τι, οίον εi τfιν κνήμην αύξάνει, αϋτη μείζων, φ δε αύξάνει, ή τροφή, οϋ. Δια τί δfι οδν ούκ aμφω ηϋξηται; με'"ίζον γαρ και δ και φ, rοσπερ οταν μίξης οίνον ϋδατι· όμοίως γαρ πλε'"ίον έκάτερον. 'Ή οτι του μεν μένει ή ούσία, του δ' οϋ, οίον της τροφης; έπει και ένταυθα το έπικρατουν λέγεται έν [32lb] τΊJ μίξει, οίον οτι οίνος ποιετ γαρ το του ο'ί νου εργον ό.λλ' ού το του ϋδατος το συ­νόλον μί γμα. Όμοίως δε και έπ' ό.λλοιώσεως, εi μένει σάρξ, οδσα και το τί έστι, πάθος δέ τι ύπάρχει των καθ' αύτό, δ πρότερον ούχ ύπηρχεν, ήλλοίωται τουτο· φ δ' ήλλοίωται, ότε μεν ούδεν πέπονθεν, ότε δε κό.κεtνο. 'Αλλα το ό.λλοιουν και ή ό.ρχfι της κινήσεως έν τφ αύξανομένφ και τφ ό.λ­λοιουμένφ· έν τούτοις γαρ το κι νουν, έπει καl. το εiσελθον γένοι τ' &ν ποτε μεtζον καl. το ό.πολαυσαν αύτου σωμα, οίον εi εiσελθον γένοιτο πνευμα· ό.λλ' [10] εφθαρταί γε τουτο παθόν, καl. το κι νουν ούκ έν τούτφ.

Έπεl. δε διηπόρηται περl. αύτων ίκανως, δεt καl. της ό.­πορίας πειρaσθαι λύσιν εύρεtν, σώζοντας το ύπομένοντός τε του αύξανομένου καl. προσιόντος τι νος αύξάνεσθαι, ό.π­ιόντος δε φθίνειν, ετι δε το ότιουν σημεlον αiσθητον η μεtζον η ελαττον γεγονέναι, καl. μήτε κενον είναι το σωμα μήτε δύο έν τφ αύτφ τόπφ μεγέθη μήτε ό.σωμάτφ αύξάνε­σθαι. Ληπτέον δε το α'ί τιον διορισαμένοις πρωτον εν μεν οτι τα ό.νομοιομερη αύξάνεται τφ τα όμοιομερη αύξάνε­σθαι (σύγκειται γαρ έκ τούτων), επειθ' οτι σαρξ καl. ό­στουν καl. εκαστον των [20] τοιούτων μορίων έστl. διττόν, rοσπερ καl. των &λλων των έν ϋλη είδος έχόντων· καl. γαρ ή ϋλη λέγεται καl. το είδος σαρξ καl. όστουν.

Το οδν ότιουν μέρος αύξάνεσθαι καl. προσιόντος τt νος κατα μεν το είδός έστιν ένδεχόμενον, κατα δε τfιν ϋλην ούκ εστι ν· δει γαρ νοησαι rοσπερ ε'ί τις μετροί η τφ αύτφ μέτρφ ϋδωρ· ό.εl. γαρ aλλο καl. aλλο το γινόμενον. Οϋτω δ' αύξάνεται ή ϋλη της σαρκός, καl. ούχ ότφουν παντl. προσ­γίνεται, ό.λλα το μεν ύπεκρεt το δε προσέρχεται, του δε σχήματος και του ε'ίδους ότφουν μορίφ. 'Επl. των ό.νομοιο-

Περi γενέσεως καi φθορiiς Α 239

μερων δε τουτο μaλλον δηλον, οίον χειρός, οτι ό.νάλογον ηϋξηται· ή [30] γαρ ϋλη έτέρα οδσα δήλη μaλλον του ε'ίδους ένταυθα η έπl. σαρκος καl. των όμοιομερων· διο και τεθνεωτος μaλλον aν δόξειεν είναι ετι σaρξ καl. όστουν η χε'"ίρ καl. βραχίων. 'Ώστε εστι μεν ώς ότιουν της σαρκος ηϋξηται, εστι δ' ώς οϋ. Κατa μεν γaρ το είδος ότφουν προ­σελήλυθεν, κατa δε την ϋλην οϋ. Μεtζον μέντοι γέγονε το ολον προσελθόντος μέν τι νος, δ [322a] καλεt ται τροφή, και έναντίου, μεταβάλλοντας δε εiς το αύτο είδος, οίον εi ξηρφ προσίοι ύγρόν, προσελθον δε μεταβάλοι και γένοιτο ξηρόν· εστι μεν γαρ ώς το ομοιον όμοίφ αύξάνεται, εστι δ' ώς ό.νομοίφ.

Άπορήσειε δ' &ν τις ποtόν τι δεt είναι το c'\) αύξάνεται. Φανερον δη οτι δυνάμει έκε'"ίνο, οίον εi σάρξ δυνάμει σάρ­κα. Έντελεχείςχ &ρα &λλο· φθαρεν δη τουτο σaρξ γέγονεν· ούκουν ού τουτο αύτο καθ' αύτό· γένεσις γaρ aν ijν, ούκ αϋξησις ό.λλα το αύξανόμενον τούτφ. Τί οδν παθον ύπο τούτου ηύξήθη; η μιχθεν rοσπερ ο'ίνφ ε'ί τις έπιχέοι ϋδωρ, ό [10] δε δύναιτο οίνον ποιεtν το μιχθέν (rοσπερ το πυρ άψά­μενον του καυστου), οϋτως έν τφ αύξανομένφ και οντι έν­τελεχείςχ σαρκι το ένον αύξητικον προσελθόντος δυνάμει σαρκος έποί ησεν έντελεχείςχ; Ούκουν aμα οντος εi γaρ χωρίς, γένεσις. 'Έστι μεν γaρ οϋτω πυρ ποιησαι έπl. τού­πάρχον έπιθέντα ξύλα· ό.λλ' οϋτω μεν αϋξησις, οταν δε αύ­τa τa ξύλα άφθΊJ, γένεσις.

Ποσον δε το μεν καθόλου ού γίνεται, rοσπερ ούδε ζφον δ μήτ' &νθρωπος μήτε των καθ' εκαστα (ό.λλ' ώς ένταυθα το καθόλου, κό.κετ το ποσόν), σaρξ δε η όστουν η χειρ και τούτων τα όμοιομερη· [20] προσελθόντος μεν δή τινος πο­σου, ό.λλ' ού σαρκος ποσης."Ήι μεν οδν δυνάμει το συναμ­φότερον' οίον ποση σάρξ, ταύτη μεν αϋξει. και γaρ ποσην δει γίνεσθαι και σάρκα· ~ δε μόνον σάρξ, τρέφει· ταύτη γaρ διαφέρει τροφη και αϋξησις τφ λόγφ. Διο τρέφεται μεν εως aν σώζηται και φθtνον, αύξάνεται δε ούκ ό.εί, καt ή τροφη τΊJ αύξήσει το αύτο μέν, το δ' είναι aλλο· ~ μεν γάρ έστι το προσιον δυνάμει ποσfι σάρξ, ταύτη μεν αύ-

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ξητικον σαρκός, η δε μόνον δυνάμει σάρξ, τροφή. Το δ' εtδος μένει. τουτο δε το εϊδος aνευ ϋλης, οίον αυλός, δuναμίς τις έν ϋλη έστίν· έαν δή τις [30] προσίη ϋλη, οδσα δυνάμει αυλός, εχουσα και το ποσον δυνάμει, οδτοι εσονται μείζους αυλοί. Έαν δε μηκέτι ποιε'ϊν δύνηται, άλλ' οίον ο'ί νφ ϋδωρ άει πλε'ϊον μι γνύμενον τέλος ύδαρfj ποιε'ϊ και ϋδωρ, τότε φθίσι ν ποιήσει του ποσου.

6. [322b] Έπει δε πρωτον δε'ϊ περι τfjς ϋλης και των κα­λουμένων στοιχείων είπε'ϊν, ε'ίτ' εστιν ε'ίτε μή, και πότε­ρον άίδιον εκαστον η γί γνονταί πως, και εί γί γνονται, πό­τερον έξ άλλήλων γί γνονται πάντα τον αύτον τρόπον η τι πρωτον εν αύτων έστι ν' άνάγκη πρότερον εί πει ν περι ών άδιορίστως λέγεται νυν. Πάντες γαρ ο'ί τε τα στοιχεία γεννωντες και οί τα έκ των στοιχείων διακρίσει χρωνται και συγκρίσει και τq> ποιε'ϊν και πάσχειν. 'Έστι δ' ή·σύγ­κρισις μίξις πως δε μί γνυσθαι λέγομεν, ού διώρισται σα­φως. Άλλα μην ουδ' άλλοιουσθαι [10] δυνατόν, ούδε διακρί­νεσθαι και συγκρί νεσθαι, μηδενος ποιουντος μ ηδε πά­σχοντος και γαρ οί πλείω τα στοιχεία ποιουντες γεννωσι τφ ποιε'ϊν και πάσχειν [ύπ' άλλήλων], και τοίς έξ έν6ς ά­νάγκη λέγειν 't"ην ποίησιν· και τουτ· όρθως λέγει Διογένης, οτι εί μη έξ ένος fίν aπαντα, ουκ aν fίν το ποιε'ϊν και το πά­σχειν ύπ' άλλήλων, οίον το θερμον ψύχεσθαι και τουτο θερμαί νεσθαι πάλιν· ου γαρ ή θερμότης μεταβάλλει και ή ψυχρότης είς aλληλα, άλλα δfjλον οτι το ύποκείμενον, rοστε έν οίς το ποιε'ϊν εστι και πάσχειν, άνάγκη τούτων μί­αν εϊναι την ύποκειμένην φύσιν. Το μεν οδν πάντα [20] εϊναι τοιαυτα φάσκειν ουκ άληθές, άλΛ έν οσοις το ύπ' άλλήλων έστίν. 'Αλλα μην εί περι του ποιε'ϊν και πάσχειν και περι μίξεως θεωρητέον, άνάγκη και περι άφfjς οϋτε γαρ ποιε'ϊν ταυτα και πάσχειν δύναται κυρίως α μη οίόν τε aψασθαι άλλήλων οϋτε, μη άψάμενά πως, ένδέχεται μιχ­θfjναι πρωτον. 'Ώστε περι τριων τούτων διοριστέον, τί άφη και τί μίξις και τί ποίησις.

Περi γενέσεως καi φθοράς Α 241

Άρχην δε λάβωμεν τήνδε. 'Ανάγκη γαρ των οντων οίς έ­στι μίξις, εϊναι ταυτ' άλλήλων άπτικά· κaν ε'ί τι ποιij, το δε πάσχει κυρίως,· καl. τούτοις ώσαύτως. Διο πρωτον λεκ­τέον περι άφfjς. ΣχεδΟν μεν οδν, [30] rοσπερ και των aλλων όνομάτων εκαστον λέγεται πολλαχως, και τα μεν όμωνύμως τα δε θάτερα άπο των έτέρων και των προτέρων, οϋτως εχει καl. περι άφfjς. 'Όμως δε το κυρίως λεγόμενον ύπάρχει τοις εχουσι θέσιν' θέσις δ' οίσπερ [323a] και τόπος και γαρ τοις μαθηματικοις όμοίως άποδοτέον άφην και τόπον, ε'ί τ' έστι κεχωρισμένον εκαστον αύτων ε'ί τε τρόπον aλλον. Εί οδν έστίν, rοσπερ διωρίσθη πρότερον, το aπτεσθαι το τα εσχατα εχειν aμα, ταυτα aν aπτοιτο άλλήλων οσα δι­ωρισμένα μεγέθη και θέσιν εχοντα aμα εχει τα εσχατα. Έπει δε θέσις μεν οσοις και τόπος ύπάρχει, τόπου δε δια­φορα πρώτη το aνω καl. κάτω καl. τα τοιαυτα των άντικει­μένων, aπαντα άλλήλων άπτόμενα βάρος aν εχοι η κουφό­τητα, η aμφω η θάτερον. τα δε τοιαυτα παθητικα [10] καl. ποιητικά· rοστε φανερον οτι ταυτα aπτεσθαι πέφυκεν άλλήλων, ων διηρημένων μεγεθων aμα τα εσχατά έστιν, οντων κινητικων και κινητων ύπ' άλλήλων.

Έπει δε το κι νουν ούχ όμοίως κι νε'ϊ το κι νούμενον, άλλα το μεν άνάγκη κινούμενον καl. αυτο κινειν, το δ' άκίνητον ον, δfjλον οτι και έπl. του ποιουντος έρουμεν ώσαύτως και γαρ το κινουν ποιειν τί φασι καl. το ποιουν κινειν.

ου μην άλλα διαφέρει γε καl. δει διορίζει ν· ου γαρ οίόν τε παν το κινουν ποιειν, ε'ίπερ το ποιουν άντιθήσομεν τφ πάσχοντι, τουτο δ' οίς ή κίνησις πάθος, πάθος δε καθ' οσον άλλοιουται μόνον, οίον το λευκον και το [20] θερμόν· άλλα το κινε'ϊν έπι πλέον του ποιειν έστιν. Έκεινο δ' οδν φανε­ρόν, οτι εστι μεν ώς τα κινητικα των κινητων aπτοιτ' aν, εστι δ' ώς οϋ.

'Αλλ' ό διορισμος του aπτεσθαι καθόλου μεν ό των θέσιν έχόντων και του μεν κι νητικου του δε κι νητου, προς aλληλα δε κινητου και κινητικου έν οίς ύπάρχει το ποιειν καl. το πάσχειν. 'Έστι μεν οδν ώς έπl. πολu το άπτόμενον άπτομένου άπτόμενον· καl. γαρ κινει κινούμενα πάντα

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σχεδΟν τα έμποδών, οσοις ανάγκη και φαίνεται το άπτό­μενον aπτεσθαι άπτομένου· εστι δ' ώς ένίοτέ φαμεν το κι­νουν aπτεσθαι μόνον του κινουμένου, το δ' άπτόμενον μη aπτεσθαι [30] άπτομένου· αλλα δια το κινειν κινούμενα τα όμοιογενη ανάγκη δοκειv είναι άπτομένου aπτεσθαι. 'Ώστε εt τι κινει ακίνητον ον, έκεινο μεν aπτοιτο του κινητου, έκείνου δε ουδέν· φαμεν γαρ ένίοτε τον λυπουντα aπτεσθαι ήμων, άλλ' ουκ αυτοι έκείνου. Περι μεν οδν άφης της έν τοις φυσικοις, διωρίσθω τουτον τον τρόπον.

7. [323b] Περι δε του ποιειν και πάσχειν λεκτέον έφε­ξης παρειλήφαμεν δε παρα των πρότερον ύπεναντίους αλ­λήλοις λόγους. Οί μεν γαρ πλειστοι τουτό γε όμονοητικως λέγουσι ν, ώς το μεν ομοιον ύπο του όμοίου παν απαθές έ­στι δια το μηδεν μaλλον ποιητικον η παθητικον είναι θά­τερον θατέρου (πάντα γαρ όμοίως ύπάρχειν ταυτα τοις ό­μοίοις), τα δ' ανόμοια και τα διάφορα ποιειν και πάσχειν aλληλα πεφυκέναι. και γαρ οταν το ελαττον πυρ ύπο του πλείονος φθείρηται, δια την έναντίωσιν τουτό φασι πά­σχει ν· έναντίον γαρ είναι [ 10] το πολu τφ όλί γφ. Δημόκρι­τος δε παρα τοuς aλλους iδίως ελεξε μόνος φησι γaρ το αυτο και ομοιον είναι τό τε ποιουν και το πάσχον· ου γαρ έγχωρει τα ετερα και διαφέροντα πάσχειν ύπ' αλλήλων, α­λλα καν ετερα οντα ποι 1:1 τι aλληλα, ουχ ~ ετερα αλλ' ~ ταυτόν τι ύπάρχει, ταύη;ι τουτο συμβαίνειν αυτοις.

τα μεν οuν λεγόμενα ταυτ· έστίν, έοίκασι δε οί τουτον τον τρόπον λέγοντες ύπεναντία φαίνεσθαι λέγειν. Αtτιον δε της έναντιολογίας οτι δέον ολον τι θεωρησαι μέρος τι τυγχάνουσι λέγοντες έκάτεροι. τό τε γαρ ομοιον και το πάντ~;ι πάντως αδιάφορον εuλογον μη [20] πάσχειν ύπο του όμοίου μηθέν (τί γαρ μaλλον εσται θάτερον ποιητικον η θάτερον; εt τε ύπο του όμοίου τι πάσχειν δυνατόν, και αυ­το ύφ' αύτου· καίτοι τούτων οντων οϋτως, ουδεν αν εtη οuτε aφθαρτον οuτε άκίνητον, εtπερ το ομοιον ~ ομοιον ποιητικόν· αυτο γαρ αύτο κινήσει πaν), τό τε παντελως ετερον και το μηθαμl:ϊ ταυτον ώσαύτως ουδεν γαρ αν πάθοι

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λευκότης ύπο γραμμης η γραμμη ύπο λευκότητος, πλην εi κατα συμβεβηκός, οίον εi συμβέβηκε λευκην η μέλαι ναν είναι την γραμμήν· ουκ έξίστησι γαρ έαυτα της φύσεως οσα μήτ' έναντία μήτ' έξ έναντίων έστίν. Άλλ' έπει [30] ου το τυχον πέφυκε πάσχειν και ποιειν, αλλ' οσα η έναντίω­σιν εχει η έναντία έστίν, ανάγκη το ποιουν και το πάσχον τφ γένει μεν ομοιον είναι και ταυτό, τφ δ' εtδει ανόμοιον και έναντίον· πέφυκε γαρ σωμα μεν ύπο σώματος, χυμος δ' ύπο χυμου, χρωμα δ' ύπο χρώματος πάσχειν, [324a] ολως δε το όμογενες ύπο του όμογενους τούτου δ' αt τιον οτι ταν­αντία έν τφ αυτφ γένει πάντα, ποιει δε και πάσχει ταν­αντία ύπ' αλλήλων. 'Ώστ' ανάγκη πως μεν είναι ταυτα τό τε ποιουν και το πάσχον, πως δ' ετερα και ανόμοια αλ­λήλοις. Έπει δε το πάσχον και το ποιουν τφ μεν γένει ταυ­τα και ομοια τφ δ' εtδει ανόμοια, τοιαυτα δε ταναντία, φα­νερον οτι παθητικα και ποιητικα αλλήλων έστι τά τ' έν­αντία και τα μεταξύ· και γαρ ολως φθορα και γένεσις έν τούτοις.

Διο και εuλογον ilδη τό τε πυρ [10] θερμαίνειν και το ψυχρον ψύχειν, και ολως το ποιητικον όμοιουν αύτφ το πά­σχοΥ' τό τε γαρ ποιουν και το πάσχον έναντία έστί, και ή γένεσις εiς τουναντίον. 'Ώστ' ανάγκη το πάσχον εiς το ποιουν μεταβάλλειν· οϋτω γαρ εσται εiς τουναντίον ή γέ­νεσις. και κατα λόγον δη το μη ταυτα λέγοντας αμφοτέ­ρους όμοίως aπτεσθαι της φύσεως. Λέγομεν γαρ πάσχει ν ότε μεν το ύποκείμενον, οίον ύγιάζεσθαι τον &νθρωπον και θερμαί νεσθαι και ψύχεσθαι και τaλλα τον αυτον τρόπον, ότε δε θερμαίνεσθαι μεν το ψυχρόν, ύγιάζεσθαι δε το κάμ­νον· aμφότερα δ' έστιν αληθη· τον αυτον δε τρόπον και [20] έπι του ποιουντος ότε μεν γαρ τον &νθρωπόν φαμεν θερμαίνειν, ότε δε το θερμόν· εστι μεν γαρ ώς ή ϋλη πά­σχει, εστι δ' ώς τουναντίον. Οί μεν οuν εiς έκεινο βλέψαν­τες ταυτόν τι δειν φήθησαν το ποιουν εχειν και το πά­σχον, οί δ' εiς θάτερα τουναντίον.

Τον αυτον δε λόγον ύποληπτέον είναι περι του ποιειν και πάσχειν ονπερ και περι του κινεισθαι και κινειν· δι-

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χως γαρ λέγεται και το κι νουν· έν φ τε γαρ ή αρχη τfίς κινήσεως, δοκε1 τουτο κινε1ν (ή γαρ αρχη πρώτη των αί­τίων), και πάλιν το εσχατον προς το κινούμενον και την γένεσι ν. 'Ομοίως δε και περι του ποιοuντος και γαρ τον [30] ίατρόν φαμεν ύγιάζειν και τον οίνον. Το μεν οδν πρωτον κι νουν ούδεν κωλύει έν μεν κινήσει ακί νητον είναι. έπ' ένίων δε και αναγκα1ον· το δ' εσχατον αει κι νε1 ν κινούμενον. Έπι δε ποιήσεως το μf:ν πρωτον απαθές, το δ' εσχατον και αύτο πάσχον· οσα γαρ μη εχει την αύτην ϋλην, ποιε1 απαθfί οντα, οίον ή ίατρική· αύτη γαρ ποιουσα ύγίειαν ούδεν πάσχει [324b] ύπο του ύγιαζομένου, το δf: σι τίον ποιουν και αύτο πάσχει τι· η γαρ θερμαίνεται η ψύ­χεται η aλλο τι πάσχει aμα ποιοuν. 'Έστι δε ή μf:ν iατρικη ώς αρχή, το δΕ σι τίον το εσχατον και άπτόμενον. 'Όσα μf:ν οδν μη έν ϋλ~;~ εχει την μορφήν, ταuτα μf:ν απαθfί των ποιη­τικων, οσα δ' έν ϋλ~;~, παθητικά. την μεν γαρ ϋλην λέγομεν όμοίως ώς εiπε1ν την αύτην είναι των αντικειμένων όπο­τερουουν' οοσπερ γένος ον' το δε δυνάμενον θερμον είναι παρόντος του θερμαντικοί) και πλησιάζοντος ανάγκη θερ­μαίνεσθαι· διό, καθάπερ ε'ίρηται, τα [10] μf:ν των ποιητι­κων απαθfί τα δf: παθητικά. και οοσπερ επι κινήσεώς τον αύτον εχει τρόπον και επι των ποιητικων· έκε1 τε γαρ το πρωτον κι νουν ακίνητον, και επι των ποιητικων το πρωτον ποιουν απαθές.

'Έστι δε το ποι ητικον α'ί τιον ώς οθεν ή αρχη τfίς κι ν­ήσεως, το δ' οδ ενεκα ού ποιητικόν· διο ή ύγίεια ού ποιη­τικόν, εi μη κατα μεταφοράν· και γαρ του μf:ν ποιοuντος οταν ύπάρχ~;~, γίνεταί τι το πάσχον, των δ' εξεων παρουσων ούκέτι γίνεται, αλλ' εστιν flδη· τα δ' ε'ίδη και τα τέλη εξεις τινές, ή δ' ϋλη η ϋλη παθητικόν.

Το μf:ν οδν πuρ εχει έν ϋλ~;~ το θερμόν· εί δέ τι ε'ί η θερ­μον χωριστόν, [20] τοuτο ούθf:ν αν πάσχοι. Τοuτο μf:ν οδν 'ίσως αδύνατον είναι χωριστόν· εi δ' έστιν ενια τοιαuτα, έπ' έκείνων αν ε'ίη το λεγόμενον αληθές. Τί μf:ν οδν το ποιε1ν και πάσχειν έστι και τίσιν ύπάρχει και δια τί και πως, διωρίσθω τουτον τον τρόπον.

Περί γενέσεως καi φθοράς Α 245

8. πως δε ένδέχεται τοuτο συμβαίνειν, πάλιν λέγωμεν. Το1ς μεν οδν δοκε1 πάσχει ν εκαστον διά τι νων πόρων εiσ­ιόντος του ποιοuντος έσχάτου και κυριωτάτου, και τοuτον τον τρόπον όρaν και ακούειν ήμaς φασι και τας aλλας αι­σθήσεις αiσθάνεσθαι πάσας, ετι δε όρaσθαι διά τε αέρος και ϋδατος [30] και των διαφανων, δια το πόρους εχειν αο­ράτους μεν δια μικρότητα, πυκνοuς δε και κατα στο1χον, και μaλλον εχει ν τα διαφανfί μaλλον. Οί μf:ν οδν έπί τι νων οϋτω διώρισαν, οοσπερ και' Εμπεδοκλfίς, ού μόνον έπι των ποιούντων και πασχόντων, αλλα και μίγνυσθαί φασιν οσων οί πόροι σύμμετροι προς αλλήλους είσίν. Όδφ δε μάλιστα και περι [325a] πάντων [ένι λόγφ] δι­

ωρίκασι Λεύκιππος και Δημόκριτος, αρχην ποιησάμενοι κατα φύσιν iiπερ έστίν. Ένίοις γαρ των αρχαίων εδοξε το δν έξ ανάγκης εν είναι και ακίνητον· το μf:ν γαρ κενον ούκ ον, κινηθfίναι δ' ούκ αν δύνασθαι μη οντος κενου κεχωρι­σμένου, ούδ' αδ πολλα είναι μη οντος του διείργοντος τοuτο δε μηδf:ν διαφέρειν, ε'ί τις ο'ίεται μη συνεχες είναι το πaν αλλ' aπτεσθαι δι~;~ρημένον, του φάναι πολλα και μη εν είναι και κενόν. Ei μf:ν γαρ πάντ~;~ διαιρετόν, ούθf:ν είναι εν, οοστε ούδf: πολλά, αλλα κενον το ολον· εί δε τη [10] μεν τη δf: μή, πεπλασμένφ τινι τοuτ' έοικέναι· μέχρι πόσου γαρ και δια τί το μf:ν οϋτως εχει του ολου και πλfίρές έστι, το δε δι~;~ρημένον; ετι όμοίως αναγκα1ον μη είναι κίνησιν. Έκ μf:ν οδν τούτων των λόγων, ύπερβάντες την α'ίσθησι ν και παριδόντες αύτην ώς τφ λόγφ δέον άκο­λουθε1 ν' εν και ακί νητον το πaν εί ναί φασι και aπειρον ενιοι · το γαρ πέρας περαί νει ν αν προς το κενόν. Οί μεν οδν οϋτως και δια ταύτας τας αiτίας απεφήναντο περι τfίς αληθείας.

Έπει δf: έπι των λόγων δοκε1 ταuτα συμβαίνειν, έπι δε των πραγμάτων μανί~ παραπλήσιον είναι το δοξάζειν οϋτως (ούδένα γαρ των [20] μαινομένων έξεστάναι το­σουτον οοστε το πυρ εν είναι δοκε1ν και τον κρύσταλλον, αλλα μόνον τα καλα και τα φαινόμενα δια συνήθειαν, ταuτ'

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ένίοις διa την μανίαν ούθf:ν δοκει διαφέρειν), Λεύκιππος δ' εχει ν φήθη λόγους οϊ τι νες προς την αtσθησι ν όμολογού­μενα λέγοντες ούκ άναιρήσουσι ν οuτε γένεσι ν οuτε φθο­ρaν οuτε κίνησιν και το πλfjθος των οντων. Όμολογήσας δε ταυτα μf:ν τοις φαινομένοις, τοις δε το εν κατασκευάζου-

~ ,/ ' " Ι ';"' '' - Ι \ \ <J/ σιν ως ουτ αν κινησιν ουσαν ανευ κενου το τε κενον μη ον

και του οντος ούθf:ν μη ον, φησιν εlναι το κυρίως εν παμ­πλfjρες ον, άλλ' εlναι το τοιουτον ούχ εν, άλλ' [30] &πειρα το πλfjθος και άόρατα διa σμικρότητα των ογκων. Ταυτα δ' έν τφ κενφ φέρεσθαι (κενον γαρ είναι), και συνιστάμενα μf:ν γένεσιν ποιειν, διαλυόμενα δf: φθοράν. Ποιειν δε και πάσχειν ~ τυγχάνουσιν άπτόμενα (ταύτ\1 γαρ ούχ εν είναι) και συντιθέμενα δf: και περιπλεκόμενα γενναν· έκ δε του κατ' άλήθειαν ένος ούκ aν γενέσθαι πλfjθος, ούδ' έκτων ά­ληθως πολλων εν, άλλ' είναι τουτ' άδύνατον· άλλ', [325b] rοσπερ Έμπεδοκλfjς και των &λλων τινές φασι πάσχεtν δια πόρων, οϋτω πασαν άλλοίωσιν και παν το πάσχειν τουτον γίνεσθαι τον τρόπον, δια του κενου γινομένης τfjς διαλύ­σεως και τfjς φθορας, όμοίως δε και τfjς αύξήσεως, είσδυο­μένων έτέρων.

Σχεδον δf: και Έμπεδοκλει άναγκαιον λέγειν όSσπεQ και Λεύκιππός φησιν· είναι γαρ &ττα στερεα και άδιαίρετα δέ, εί μη πάντ\1 πόροι συνεχεις είσι ν. Τουτο δ' άδύνατον· ούθf:ν γαρ εσται ετερον στερεον παρα τοuς πόρους, άλλα παν κενόν.' Ανάγκη &ρα τα μf:ν άπτόμενα είναι [10] άδιαί­ρετα, τα δε μεταξu αύτων κενά, ους έκεινος λέγει πόρους. Οϋτως δε και Λεύκιππος λέγει περι του ποιειν και πά­σχειν. Οί μf:ν οδν τρόποι καθ' ους τα μf:ν ποιει τα δf: πά­σχει σχεδΟν οδτοι λέγονται. και περι μf:ν τούτων' και πως λέγουσι, δfjλον, και προς τας αύτων θέσεις αίς χρωνται σχεδον όμολογουμένως φαίνεται συμβαινον. Τοις δ' &λλοις Υίττον, οlον Έμπεδοκλει τίνα τρόπον εσται φθορα και άλ­λοίωσις ού δfjλον. Τοις μf:ν γάρ έστιν άδιαίρετα τα πρωτα των σωμάτων, σχήματι διαφέροντα μόνον, έξ ών πρώτων σύγκειται και είς & εσχατα διαλύεται· Έμπεδοκλει δf: [20] τα μf:ν &λλα φανερον οτι μέχρι των στοιχείων εχει την γέ-

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Περi γενέσεως καί φiJoρiiς Α 247

νεσι ν και την φθοράν, αύτων δε τούτων πως γίνεται και φθείρεται το σωρευόμενον μέγεθος, οuτε δfjλον οuτε ένδέ­χεται λέγειν αύτφ μη λέγοντι και του πυρος είναι στοι­χειον, όμοίως δε και των &λλων άπάντων, rοσπερ έν τqi Τι­μαίφ γέγραφε Πλάτων.

Τοσουτον γαρ διαφέρει του μη τον αύτον τρόπον Λευ­κίππφ λέγειν, οτι ό μf:ν στερεα ό δ' έπίπεδα λέγει τα ά­διαίρετα, και ό μf:ν άπείροις ώρίσθαι σχήμασι των άδιαι­ρέτων στερεων εκαστον ό δf: ώρισμένοις, έπει άδιαίρετά γε άμφότεροι λέγουσι και ώρισμένα σχήμασι ν. Έκ [30] δη τούτων αί γενέσεις και αί διακρίσεις, Λευκίππφ μf:ν δύο τρόποι aν είεν' διά τε του κενου και δια τfjς άφfjς ( ταύτ\1 γαρ διαιρετον εκαστον), Πλάτωνι δf: κατα την άφην μόνον· κενον γαρ ούκ εί ναί φησι ν·

και περι μf:ν των άδιαιρέτων έπι πέδων είρήκαμεν έν τοις πρότερον λόγοις περι δη των άδιαιρέτων στερεων το μf:ν έπι πλέον θεωρfjσαι το συμβαινον άφείσθω το νυν, ώς δf: μικρον παρεκβασιν είπειν, [326a] άναγκαιον άπαθές τε εκαστον λέγειν των άδιαιρέτων ( ού γαρ οίόν τε πάσχει ν άλλ' η δια του κενου) και μηθενος ποι ητικον πάθους οuτε γαρ φυχρον οuτε σκληρον οίόν τ' είναι. Καίτοι τουτό γε &τοπον, το μόνον άποδουναι τφ περιφερει σχήματι το θερμόν· άνάγκη γαρ και τούναντίον το φυχρον aλλφ τι νι προσήκειν των σχημάτων. 'Άτοπον δf: κaν εί ταυτα μf:ν ύ­πάρχ\J, λέγω δε θερμότης και ψυχρότης, βαρύτης δε και κουφότης και σκληρότης και μαλακότης μη ύπάρξει· καί­τοι βαρύτερόν γε κατα την ύπεροχήν φησιν είναι [10] Δημόκριτος εκαστον των άδιαιρέτων, rοστε δfjλον οτι και θερμότερον. Τοιαυτα δ' οντα μη πάσχειν ύπ' άλλήλων άδύ­νατον' οίον ύπο του πολu ύπερβάλλοντος θερμου το ηρέμα φυχρόν. Άλλα μην εί σκληρόν, και μαλακόν, το δf: μαλακον τφ πάσχειν τι λέγεται· το γαρ ύπεικτικον μαλακόν.

'Αλλα μην &τοπον και εί μηθf:ν ύπάρχει άλΛ η μόνον σχfjμα· και εί ύπάρχει, εν δε μόνον, οίον το μf:ν σκληρον το δf: θερμόν· ούδε γαρ aν μία τις εtη ή φύσις αύτων. 'Ομοίως δε άδύνατον και εί πλείω τφ ένί. άδιαίρετον γαρ δν έν τφ

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248 'Αριστοτέλους

αύτφ εξει τα πάθη· rοστε και έαν πάσχ~;ι, ειπερ ψύχεται, [20] ταύτ~;ι τί και &λλο ποιήσει η πείσεται; Τον αύτον δε τρόπον και επι τι:Ον &λλων παθημάτων· τοuτο γaρ και τοις στερεa και τοις έπίπεδα λέγουσιν όδιαίρετα συμβαίνει τον αύτον τρόπον· οuτε γaρ μανότερα οuτε πυκνότερα οίόν τε γίνεσθαι κενοu μη οντος έν τοις όδιαιρέτοις.

'Έτι δ' &τοπον και το μικρa μεν όδιαίρετα είναι, μεγά­λα δε μή· νuν μεν γaρ εύλόγως τa μεγάλα θραύεται μαλλον τι:Ον μικρι:Ον· τa μεν γaρ διαλύεται ρςχδίως, οίον τa μεγάλα· προσκόπτει γaρ πολλοις το δε όδιαίρετον ολως διa τί μα­λλον ύπάρχει τι:Ον μεγάλων τοις μικροις;

'Έτι δε πότερον μία πάντων [30] φύσις έκείνων τι:Ον στερει:Ον, η διαφέρει θάτερα τι:Ον έτέρων, rοσπερ aν εί τa μεν ει η πύρινα, τa δε γήινα τον ογκον; εί μεν γaρ μία φύ­σις έστι ν άπάντων, τί το χωρίσαν; η διa τί ού γί γνεται ά­ψάμενα εν, rοσπερ ϋδωρ ϋδατος οταν θίγ~;ι; ούδεν γaρ· δια­φέρει το ϋστερον τοu πρότερον. Εί δ' ετερα, ποια ταuτα; και δfjλον ώς ταύτας θετέον όρχaς και αί τίας τι:Ον [326b] συμβαινόντων μαλλον η τa σχήματα.

'Έτι δέ, διαφέροντα την φύσιν, κaν ποιοι κaν πάσχοι θιγγάνοντα όλλήλων. -

'Έτι δε τί το κινοuν; εί μεν γaρ ετερον, παθητικά· εί δ' αύτο αύτο εκαστον, η διαιρετον εσται, κατ' &λλο μεν κι­νοuν κατ' &λλο δε κινούμενον, η κατa ταύτο ταναντία ύπά­ρξει, και ή ϋλη ού μόνον αριθμφ εσται μία αλλa και δυνά­μει.

'Όσοι μεν οδν διa της <διa> τι:Ον πόρων κινήσεώς φασι τa πάθη συμβαίνειν, εί μεν και πεπληρωμένων τι:Ον πόρων, περίεργον οί πόροι· εί γaρ ταύτ~;ι τι πάσχει το παν, κaν μη πόρους [10] εχον όλλ' αύτο συνεχες ον πάσχοι τον αύτον τρόπον.

'Έτι δε πι:Ος ένδέχεται περι τοu διοραν συμβαίνει ν ώς . λέγουσι ν; οuτε γaρ κατa τaς άφaς ένδέχεται διιέναι διa τι:Ον διαφανι:Ον, οuτε διa τι:Ον πόρων, εί πλήρης εκαστος τί γaρ διοίσει του μη εχειν πόρους; παν γaρ όμοίως εσται πλfjρες. 'Αλλa μην εί κενa μεν ταuτα, ανάγκη δε σώματα έν

Περi γενέσεως καί φθοράς Α 249

αύτοις εχειν, ταύτο συμβήσεται πάλιν. Εί δε τηλικαuτα το μέγεθος rοστε μη δέχεσθαι σι:Ομα μηδέν, γελοιον το μικρον μεν οιεσθαι κενον είναι, μέγα δε μη μηδ' όπηλικονοuν, η το κενον aλλο τι οιεσθαι λέγειν πλην χώραν σώματος, rοστε [20] δΤjλον οτι παντι σώματι τον ογκον ισον εσται κενόν. 'Όλως δε το πόρους ποιειν περίεργον· εί μεν γaρ μηδεν ποιει κατa την άφήν, ούδε διa τι:Ον πόρων ποιήσει διιόν· εί δε τφ aπτεσθαι, και μη πόρων οντων τa μεν πείσεται τa δε ποιήσει τι:Ον προς &λληλα τοuτον τον τρόπον πεφυκότων.

'Ότι μεν οδν οϋτως λέγειν τους πόρους rος τι νες ύπο­λαμβάνουσι ν, η ψεuδος η μάταιον, φανερον έκ τούτων έ­στί ν · διαιρετι:Ον δ' οντων πάντ~;ι τι:Ον σωμάτων πόρους ποιειν γελοιον· 1J γaρ διαιρετά, δύναται χωρίζεσθαι.

9. Τίνα δε τρόπον ύπάρχει τοις οδσι γενναν και ποιειν και [30] πάσχειν, λέγωμεν λαβόντες αρχην την πολλάκις είρημένην· εί γάρ έστι το μεν δυνάμει το δ' έντελεχείq τοιοuτον, πέφυκεν ού τij μεν τ'ίj δ' ού πάσχειν, αλλa πάντ~;ι καθ' οσον έστι τοιοuτον, ήττον δε και μαλλον 1J τοιοuτον μαλλόν έστι και ήττον· και ταύτ~;ι πόρους &ν τις λέγοι μαλ­λον, η καθάπερ έν τοις μεταλλευομένοις διατείνουσι του

παθητικοu φλέβες [327a] συνεχεις. Συμφυες μεν οδν εκαστον και εν ον απαθές. 'Ομοίως δε

και μη θι γγάνοντα μήτε αύτι:Ον μήτ' &λλων, α ποιειν πέφυ­κε και πάσχειν, λέγω δ' οίον ού μόνον άπτόμενον θερμαί­νει ν το πuρ, αλλa κaν &ποθεν ΊJ· τον μεν γaρ αέρα το πuρ, ό δ' αηρ το σι:Ομα θερμαίνει, πεφυκώς και ποιειν και πά­σχειν.

Το δε τ'ίj μεν οιεσθαι πάσχειν τij δε μή, διορίσαντας έν αρχ'ίj τοuτο λεκτέον. Εί μεν γaρ μη πάντ~;ι διαιρετον το μέ­γεθος, αλλ' εστι σι:Ομα αδιαίρετον η πλάτος, ούκ aν ει η πάντ~;ι παθητικόν, όλλ' ούδε συνεχες ούδέν· εί δε [10] τοuτο ψεuδος και παν σι:Ομα διαιρετόν, ούδεν διαφέρει δι ~;ιρΤjσθαι μεν aπτεσθαι δέ, η διαιρετον είναι. εί γaρ δια­κρί νεσθαι δύναται κατa τaς άφάς, rοσπερ φασί τι νες, κaν

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250 ·Αριστοτέλους

μήπω η δι~;~ρημένον, εσται δι~;~ρημένον· δυνατον γαρ διαι­ρεθfiναι· γίνεται γαρ ούθεν άδύνατον.

'Όλως δε τουτον γίνεσθαι τον τρόπον μόνον σχιζομένων των σωμάτων &τοπον· άναιρει γαρ οδτος ό λόγος άλλοίω­σι ν, όρωμεν δε το αύτο σωμα συνεχες δν ότε μεν ύγρον ότε δε πεπηγός, ού διαιρέσει και συνθέσει τουτο παθόν, ο6δε τροπi;j και διαθι γi;j, καθάπερ λέγει Δημόκριτος οiSτε γαρ μεταταχθεν οtSτε μετατεθεν την [20] φύσιν πεπηγος έξ ύ­γρου γέγονεν, ούδε νυν ύπάρχει σκληρα και πεπηγότα ά­διαίρετα τοuς ογκους άλλ' όμοίως aπαν ύγρόν, ότε δε σκληρον και πεπηγός έστιν.

'Έτι δ' ούδ' αuξησιν οίόν τ' είναι και φθίσιν· ού γαρ ό­τιουν εσται γεγονος μειζον, εϊπερ εσται πρόσθεσις, και μη παν μεταβεβληκός, η μιχθέντος τινος η καθ' αύτο μετα­βάλλοντος.

'Ότι μεν οuν εστι το γεννaν και το ποιειν και το γίγνε­σθαί τε και πάσχειν ύπ' άλλήλων, και τίνα τρόπον ένδέχε­ται, και τίνα φασι μέν τινες ούκ ένδέχεται δέ, διωρίσθω τουτον τον τρόπον.

10. [30] Λοιπον δε θεωρfiσαι περι μίξεως κατα τον αύ­τον τρόπον της μεθόδου· τουτο γαρ ilν τρίτον των προτε­θέντων έξ άρχfiς. Σκεπτέον δε τί τ' έστι ν ή μίξις και τί το μικτόν, και τίσιν ύπάρχει των οντων και πως, ετι δε πότε­ρον εστι μίξις η τουτο ψευδος άδύνατον γάρ έστι μιχ­θfiναί τι ετερον έτέρφ, καθάπερ λέγουσί τι νες οντων μεν γαρ ετι των [327b] μιχθέντων και μη ήλλοιωμένων ούδεν μaλλον μεμίχθαι φασιν η πρότερον, άλλ' όμοίως εχειν· θα­τέρου δε φθαρέντος, ού μεμίχθαι, άλλα το μεν είναι το δ' ούκ είναι, την δε μίξι ν όμοίως έχόντων είναι· τον αύτον δf; τρόπον κaν εi άμφοτέρων συνελθόντων εφθαρται των μι­γνυμένων έκάτερον· ού γαρ είναι μεμι γμένα τά γε ολως ούκ οντα. Οδτος μεν οuν ό λόγος εοικε ζητειν διορίσαι τί δια­φέρει μίξις γενέσεως και φθορaς, και τί το μικτον του γεννητου και φθαρτου· δfiλον γαρ ώς δει διαφέρειν, εϊπερ

Περί γενέσεως καί φiJoρiiς Α 251

εστιν· ίόστε τούτων [10] οντων φανερων, τα διαπορηθέντα λύοιντ' &ν.

Άλλα μην οtSτε την ϋλην τφ πυρι μεμίχθαι φαμεν ούδε μίγνυσθαι καιομένην, otSτ' αύτην αύτfiς τοις μορίοις οίSτε τiρ πυρί, άλλα το μεν πυρ γίνεσθαι, την δε φθείρεσθαι. Τον αύτον δε τρόπον ούδε τφ σώματι την τροφην οίSτε το σχfiμα τφ κηρφ μι γνύμενον σχηματίζει ν τον ογκον· ούδε το σωμα και το λευκον ούδ' ολως τα πάθη και τας εξεις οίόν τε μί γνυσθαι τοις πράγμασι ν· σωζόμενα γαρ όρaται. · Αλλα μην ούδε το λευκόν γε και την έπιστήμην ένδέχεται μιχ­θfiναι, ούδ' aλλο των μη χωριστων ούδέν. 'Αλλα τουτο λέ­γουσι ν ού καλως οί [20] πάντα ποτε όμου και φάσκοντες είναι και μεμίχθαι· ού γαρ aπαν aπαντι μικτόν, άλλ' ύπάρ­χειν δει χωριστον έκάτερον των μιχθέντων· των δε παθων ούθεν χωριστόν.

Έπει δ' έστι τα μεν δυνάμει τα δ' ένεργείςχ των οντων, ένδέχεται τα μιχθέντα είναί πως και μη είναι, ένεργείςχ μεν έτέρου οντος του γεγονότος έξ αύτων, δυνάμει δ' ετι έκατέρου aπερ iΊσαν πριν μιχθfiναι, και ούκ άπολωλότα· τοuτο γαρ ό λόγος δι ηπόρει πρότερον, φαίνεται δε τα μι γ­νύμενα πρότερόν τε έκ κεχωρισμένων συνιόντα και δυνά­μενα χωρίζεσθαι πάλιν· οtSτε διαμένουσι ν οi3ν ένεργείςχ ίόσπερ το σωμα [30] και το λευκόν, οίSτε φθείρονται, οtSτε έκάτερον oiSτ' aμφω· σώζεται γαρ ή δύναμις αύτων. Διο ταυτα μεν άφείσθω·

το συνεχες δε τούτοις άπόρημα διαιρετέον, πότερον ή μίξις προς την αϊσθησίν τί έστιν. 'Όταν γαρ οϋτως εiς μι­κρα διαιρεθi;j τα μιγνύμενα, και τεθi;j παρ' aλληλα τουτον τον τρόπον ίόστε μη δfiλον εκαστον είναι τi;j αiσθήσει, τό­τε μέμικται [328a] η 06, άλλ' εστιν ίόστε ότιουν παρ' ό­τιουν είναι μόριον των μιχθέντων; λέγεται μεν οuν έ­κείνως, οίον κριθας μεμίχθαι πυροις, οταν ήτισουν παρ' όν­τινοuν τεθi;j. Ei δ' έστι πaν σωμα διαιρετόν, εϊπερ έστι σωμα σώματι μικτον όμοιομερές, ότιοuν aν δέοι μέρος γί­νεσθαι παρ' ότιουν.

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252 ·Αριστοτέλους

Έπει δ' ούκ εστιν είς τα έλάχιστα διαιρεθflναι, οiSτε σύνθεσις ταύτο και μίξις aλλ' ετερον, δflλον ώς οiSτε κατα μικρα σωζόμενα δεΊ τα μιyνύμενα φάναι μεμίχθαι (σύνθε­σις yαρ εσται και ού κρaσις ούδε μίξις, ούδ' εξει τον αύτον λόyον τι\) ολφ το μόριον· [10] φαμιΞ:ν δ', εϊπερ μέμικθαι, το μιχθιΞ:ν όμοιομεριΞ:ς εi ναι, και ίόσπερ του ϋδατος το μέρος ϋδωρ, οϋτω και του κραθέντος aν δ' η κατα μικρα σύνθεσις ή μίξις, ούθιΞ:ν συμβήσεται τούτων, aλλα μόνον μεμι yμένα προς την αϊσθησιν, και το αύτο τφ μιΞ:ν μεμι yμένον, έαν μη βλέπη τι όξύ, τι\) ΛυyκεΊ δ' ούθιΞ:ν μεμιyμένον), οiSτε τl] διαιρέσει, ίόστε ότιουν παρ' ότιουν μέρος, όδύνατον yαρ οϋτω διαιρεθflναι.

'Ή οuν ούκ εστι μίξις, η λεκτέον τουτο πι:Ος ένδέχεται yίyνεσθαι πάλιν. 'Έστι δή, ίός φαμεν, τι:Ον όντων τα μf:ν ποιητικα τα δ' ύπο τούτων παθητικά. τα μιΞ:ν οuν άντιστρέ­φει, [20] οσων ή αύτη ϋλη έστί, και ποιητικα aλλήλων και παθητικα ύπ' άλλήλων· τα δf; ποιετ άπαθη οντα, οσων μη ή αύτη ϋλη. Τούτων μf:ν οuν ούκ εστι μίξις διο ούδ' ή iα­τρικη ποιετ ύyίειαν ούδ' ή ύyίεια μιyνύμενα τοις σώμασιν.

Τι:Ον δε ποι ητικι:Ον και παθητικι:Ον οσα εύδιαίρετα, πολ­λα μf:ν όλί yοις και μεyάλα μικροΊς συντιθέμενα ού ποιεΊ μίξι ν, άλλ' αiSξησι ν του κρατουντος μεταβάλλει yαρ θάτε­ρον είς το ΚQατουν, διο σταλαyμος Ot νου μυρίοις χουσt ν ϋδατος ού μί yνυται. λύεται yαρ το εiδος και μεταβάλλεται είς το παν ϋδωρ. 'Όταν δε ταΊς δυνάμεσιν iσάζη πως, τότε μεταβάλλει μιΞ:ν έκάτερον [30] εiς το κρατουν έκ της αύτου φύσεως, ού γίνεται δε θάτερον, άλλα μεταξu και κοινόν.

Φανερον οuν οτι έστι μικτα οσα έναντίωσι ν εχει τι:Ον ποιούντων· ταυτα yάρ ύπ' aλλήλων έστι παθητικά. και μι­κρα δε μικροΊς παρατιθέμενα μί yνυται μaλλον, ρςχοv yαρ και θaττον aλληλα μεθιστaσιν, το διΞ: πολu και ύπο πολλου χρονίως τουτο δρςi. Διο τα [328b] εύόριστα τι:Ον διαιρετι:Ον και παθητικι:Ον μικτά (διαιρεΊται yαρ εiς μικρα ρςχδίως τουτο yαρ ήν το εύορίστφ εiναι), οϊον τα ύyρα μικτα μάλι­στα τι:Ον σωμάτων· εύόριστον yαρ μάλιστα το ύyρον τι:Ον διαιρετι:Ον, έαν μη yλίσχρον η· ταυτα yαρ δη πλείω και

Περi γενέσεως καi ψι'Jορiiς Α 253

μείζω μόνον ποιεΊ τον οyκον. 'Όταν δ' η θάτερον μόνον πα­θητικον η σφόδρα, το δε πάμπαν ήρέμα, η ούθιΞ:ν πλεΊον το μιχθιΞ:ν έξ άμφοτν η μικρόν, οπερ συμβαίνει περι τον καττί­τερον και τον χαλκόν. 'Ένια yαρ ψελλίζεται προς aλληλα τι:Ον οντων και έπαμφοτερίζει· [10] φαίνεται yάρ πως και μικτα ήρέμα, και ώς θάτερον μιΞ:ν δεκτικον θάτερον δ' εiδος. 'Όπερ έπι τούτων συμβαίνει· ό yαρ καττί τερος ώς πάθος τι ων aνευ ϋλης του χαλκου σχεδον όφανίζεται μιχ­θεις aπας, χρωματίσας μόνον. Ταύτο δε τουτο συμβαίνει και έφ' έτέρων.

Φανερον τοί νυν έκ τι:Ον εiρημένων και οτι εστι μίξις καt τί έστι και δια τί, και ποΊα μικτα τι:Ον οντων, έπείπερ έ­στιν ενια τοιαυτα οία παθητικά τε ύπ' άλλήλων και εύόρι­στα και εύδιαίρετα· ταυτα yαρ oiSτ' έφθάρθαι όνάyκη με­μιyμένα oiSτ' ετι ταύτα άπλι:Ος εiναι, οiSτε σύνθεσιν εiναι την μίξιν αύτι:Ον, οiSτε προς την [20] αϊσθησιν· άλλ' εστι μικτον μιΞ:ν δ aν εύόριστον ον παθητικον η και ποιητικον και τοιούτφ μικτόν (προς όμώνυμον yαρ το μικτόν), ή δε μίξις τι:Ον μικτι:Ον άλλοιωθέντων ενωσις.

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Β

1. Περι μεν οδν μίξεως και άφης και το\3 ποιέίν και πά­σχει ν ε'ίρηται πως ύπάρχει τοις μεταβάλλουσι κατα φύ­σιν, ετι δε περι γενέσεως και φθορaς της άπλης, πως και τίνος έστι και δια τί ν' αί τίαν. Όμοίως δε και περι άλλο ιώ­σεως [30] ε'ίρηται, τί το άλλοιο\3σθαι και τίν' εχει διαφο­ραν αύτων. Λοιπον δε θεωρησαι περι τα καλούμενα στοι­χεια των σωμάτων. Γένεσις μεν γαρ και φθορα πάσαις ταις φύσει συνεστώσαις ούσίαις ούκ &νευ των αίσθητων σωμάτων.

Τούτων δε την ύποκειμένην ϋλην οί μέν φασιν είναι μί­αν, οϊον άέρα τιθέντες η π\3ρ η τι μεταξu τούτων, σωμά τε ον και χωριστόν, [329a] οί δε πλείω τον άριθμον ένός, οί μεν π\3ρ και γην' οί δε τα\3τά τε και άέρα τρίτον' οί δε και ϋδωρ τούτων τέταρτον, όSσπερ Έμπεδοκλης έξ ων συγκρι­νομένων και διακρινομένων η άλλοιουμένων συμβαίνειν την γένεσιν και την φθοραν τοις πράγμασιν.

'Ότι μεν οδν τα πρωτα άρχας και στοιχεια καλως εχει λέγειν, εστω συνομολογούμενον, έξ ων μεταβαλλόντων η κατa σύγκρισιν η διάκρισιν η κατ' &λλην μεταβολην συμ­βαίνει γένεσιν είναι και φθοράν. Άλλ' οί μεν ποιο\3ντες μί­αν ϋλην παρα τα είρημένα, ταύτην δε σωματικην [10] καl. χωριστήν, άμαρτάνουσι ν· άδύνατον γαρ &νευ έναντιώσεως είναι το σωμα το\3το αίσθητόν· η γαρ κο\3φον η βαρu η φυ­χρον η θερμον άνάγκη είναι το &πειρον το\3το, δ λέγουσί τινες είναι την άρχήν. Ώς δ' έν τφ Τιμαίφ γέγραπται, ού­δένα εχει διορισμόν· ού γαρ ε'ίρηκε σαφως το πανδεχές, εί χωρίζεται των στοιχείων, ούδε χρηται ούδέν, φήσας είναι ύποκείμενόν τι τοις καλουμένοις στοιχείοις πρότερον, οϊον χρυσον τοις εργοις τοις χρυσοις (καίτοι και το\3το ού καλως λέγεται το\3τον τον τρόπον λεγόμενον' άλλ' ων μεν άλλοίωσις εστιν, οϋτως, ων δε γένεσις και φθορά, άδύνα­τον [20] έκεινο προσαγορεύεσθαι έξ οδ γέγονεν· καίτοι γέ φησι μακρφ άλ ηθέστατον είναι χρυσον λέγειν εκαστον είναι), άλλa των στοιχείων οντων στερεων μέχρι έπιπέδων

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256 'Αριστοτέλους

ποιεϊ ται την άνάλυσι ν· άδύνατον δε την τιθήνην και την ϋλην την πρώτην τα επίπεδα είναι.

Ήμεϊς δε φαμεν μεν εί ναί τι να ϋλην των σωμάτων των αίσθητων, άλλα ταύτην ού χωριστην άλλ' άει μετ' εναντιώ­σεως, εξ ilς γίνεται τα καλούμενα στοιχεϊα. Διώρισται δε . περι αύτων εν έτέροις άκριβέστερον. Ού μην άλλ' επειδη και τον τρόπον τοuτόν εστιν εκ της ϋλης τα σώματα τα πρωτα, διοριστέον και περι τούτων, άρχην μεν και πρώτην [30] οίομένους είναι την ϋλην την άχώριστον μέν, ύποκει­μένην δε τοις εναντίοις οϋτε γαρ το θερμον ϋλη τφ ψυχρφ ούδε τοuτο τφ θερμφ, άλλα το ύποκείμενον άμφοϊν. 'Ώστε πρωτον μεν το δυνάμει σωμα αίσθητον άρχή, δεύτερον δ' αί εναντιώσεις, λέγω δ' οίον θερμότης και ψυχρότης, τρί τως δ' flδη πυρ και ϋδωρ και τα τοιαuτα· ταuτα μεν γαρ [329b] μεταβάλλει είς aλληλα, και ούχ ώς Έμπεδοκλης και ετεροι λέγουσιν (ού γαρ αν 11ν άλλοίωσις), αί δ' εναντιώσεις ού μεταβάλλουσιν. 'Αλλ' ούδεν ilττον και rος, σώματος ποίας και πόσας λεκτέον άρχάς. οί μεν γαρ aλλοι ύποθέμενοι χρωνται, και ούδεν λέγουσι δια τί αδται η τοσαuται.

2. Έπει οδν ζητοuμεν αίσθητου σώματος άρχάς, τουτο δ' εστι ν άπτου, άπτον δ' οδ ή α'ίσθησις άφή, φανερον οτι ού πaσαι αί εναντιώσεις σώματος ε'ίδη και άρχας ποιουσιν, άλλα μόνον αί κατα την άφήν· κατ' εναντίωσίν τε γαρ [10] διαφέρουσι, και κατα άπτην εναντίωσι ν. Διο οϋτε λευ­κότης και μελανία οϋτε γλυκύτης και πικρότης, όμοίως δ' ούδε των aλλων των αίσθητων εναντιώσεων ούδεν ποιεϊ στοιχεϊον. Καίτοι πρότερον οψις άφης, rοστε και το ύπο­κείμενον πρότερον. Άλλ' ούκ εστι σώματος άπτου πάθος 1J άπτόν, άλλα καθ' ετερον και εί ετυχε τ~ φύσει πρότερον. Αύτων δη των άπτων διαιρετέον ποϊαι πρωται διαφοραι και εναντιώσεις.

Είσι δ' εναντιώσεις κατα την άφην αϊδε, θερμον ψυ­χρόν, ξηρον ύγρόν, βαρu κουφον, σκληρον μαλακόν, γλί­σχρον κραυρον, τραχu λεϊον, παχu λεπτόν. Τούτων δε [20] βαρu μεν και κουφον ού ποιητικα ούδε παθητικά· ού γαρ

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τφ ποιεϊν τι ετερον η πάσχειν ύφ' έτέρου λέγονται· δεϊ δε ποιητικα και παθητικα είναι άλλήλων τα στοιχεϊα· μίγνυ­ται γαρ και μεταβάλλει είς aλλ ηλα. Θερμον δε και ψυχρον και ύγρον και ξηρον τα μεν τφ ποιητικα είναι τα δε τφ παθητικα λέγεται. θερμον γάρ εστι το συγκρϊνον τα όμο­γενη (το γαρ διακρίνειν, οπερ φασι ποιεϊν το πυρ, συγκρί­νειν εστι τα όμόφυλα· συμβαίνει γαρ εξαιρετν τα άλλό­τρια), [30] ψυχρον δε το συνάγον και συγκρϊνον όμοίως τά τε συγγενη και τα μη όμόφυλα, ύγρον δε το άόριστον οί­κείφ ορφ εύόριστον ον, ξηρον δε το εύόριστον μεν οίκείφ ορφ, δυσόριστον δέ.

Το δε λεπτον και παχu και γλίσχρον και κραυρον και σκληρον και μαλακον και αί aλλαι διαφοραι εκ τούτων· ε­πει γαρ το άναπληστικόν εστι του ύγρου δια το μη ώρί­σθαι μεν εύόριστον δ' είναι και άκολουθεϊν τφ [330a] ά­πτομένφ, το δε λεπτον άναπληστικόν (λεπτομερες γάρ, και το μικρομερες άναπληστικόν· ολον γαρ ολου aπτεται, το δε λεπτον μάλιστα τοιουτον), φανερον οτι το μεν λεπ­τον εσται του ύγρου, το δε παχu του ξηρου. Πάλιν δε το μεν γλίσχρον του ύγρου (το γαρ γλίσχρον ύγρον πεπονθός τί εστιν, οίον το ελαιον), το δε κραuρον του ξηρου· κραυρον γαρ το τελέως ξηρόν, rοστε και πεπηγέναι δι' ελλειψιν ύγρότητος. 'Έτι το μεν μαλακον του ύγρου (μα­λακον γαρ το ύπεϊκον είς έαυτο και μη μεθιστάμενον, οπερ ποιεϊ το ύγρόν· διο [10] και ούκ εστι το ύγρον μαλα­κόν, άλλα το μαλακον του ύγρου), το δε σκληρον του ξηροί)· σκληρον γάρ έστι το πεπηγός, το δε πεπηγος ξηρόν.

Λέγεται δε ξηρον και ύγρον πλεοναχως άντίκει ται γαρ τφ ξηρφ και το ύγρον και το διερόν, και πάλιν τφ ύγρφ και το ξηρον και το πεπηγός. aπαντα δε ταυτ· εστι του ξηρου και του ύγρου των πρώτων λεχθέντων. Έπει γαρ άντίκει­ται τφ διερφ το ξηρόν, και διερον μέν εστι το εχον άλλο­τρίαν ύγρότητα επιπολης, βεβρεγμένον δε το είς βάθος, ξηρον δε το εστερημένον ταύτης, φανερον οτι το μεν διε­ρον εσται του ύγρου, το δ' άντικείμενον ξηρον του [20]

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πρώτως ξηροu. Πάλιν δε το ύγρον και το πεπηγος ώσαύτως ύγρον μεν γάρ έστι το εχον οiκείαν ύγρότητα έν τφ βάθει, βεβρεγμένον δε το εχον άλλοτρίαν ύγρότητα έν τψ βάθει, πεπηγος δε το έστερημένον ταύτης. 'Ώστε και τούτων έστι το μεν ξηροu το δε ύγροu.

Δηλον τοίνυν οτι πασαι αί aλλαι διαφοραι άνάγονται εiς τας πρώτας τέτταρας, αδται δε ουκέτι εiς έλάττους. οuτε γαρ το θερμον οπερ ύγρον η οπερ ξηρόν' οuτε το ύ­γρον οπερ θερμον η οπερ ψυχρόν, οuτε το ψυχρον και το ξηρον οuδ' ύπ' &λληλ' οt5δ' ύπο το θερμον και το ύγρόν εi­σι ν· iόστ' άνάγκη τέτταρας εl ναι ταύτας.

3. [30] 'Επει δε τέτταρα τα στοιχεια, των δε τεττάρων εξ αί συζεύξεις, τα δ' έναντία ου πέφυκε συνδυάζεσθαι (θερμον γαρ και ψυχρον είναι το αυτο και πάλιν ύγρον και ξηρον άδύνατον ), φανερον οτι τέτταρες εσονται αί των στοιχείων συζεύξεις, θερμοu και ξηροu, και θερμοu και ύ­γροί3, και [330b] πάλιν ψυχροu και ύγροu, και ψυχροu και ξηροu. Και ήκολούθηκε κατα λόγον τοις άπλοις φαινομέ­νοις σώμασι, πυρι καt άέρι καt ϋδατι και γη· το μεν γαρ πί3ρ θερμον και ξηρόν, ό δ' άf~ρ θερμον και ύγρόν (οίον άτ­μις γαρ ό άήρ),. το δ' ϋδωρ ψυχρον και ύγρόν' ή δε γη ψυ­χρον και ξηρόν, iόστ' ευλόγως διανέμεσθαι τας διαφορας τοις πρώτοις σώμασι, και το πληθος αυτων εlναι κατα λό­γον. 'Άπαντες γαρ οί τα άπλα σώματα στοιχεια ποιοuντες οί μεν εν, οί δε δύο, οί δε τρία, οί δε τέτταρα ποιοuσιν. 'Όσοι μεν οδν [10] εν μόνον λέγουσιν, είτα πυκνώσει και μανώσει τaλλα γεννωσι, τούτοις συμβαίνει δύο ποιετν τας άρχάς, τό τε μανον και το πυκνον η το θερμον και το ψυ­χρόν· ταuτα γαρ τα δημιουργοuντα, το δ' εν ύπόκει ται κα­θάπερ ϋλη. Οί δ' ευθuς δύο ποιοuντες, iόσπερ Παρμενίδης πuρ και γην, τα μεταξu μίγματα ποιοuσι τούτων, οίον άέρα και ϋδωρ. Ώσαύτως δε και οί τρία λέγοντες, καθάπερ Πλάτων έν ταις διαιρέσεσιν· το γαρ μέσον μίγμα ποιει. Καt σχεδΟν ταυτα λέγουσι ν ο'ί τε δύο και τρία ποιοuντες πλf~ν οί μεν τέμνουσιν εiς δύο το μέσον, οί δ' εν μόνον

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ποιοuσιν. 'Ένιοι δ' ευθuς τέτταρα [20] λέγουσιν, οίον Έμπεδοκλης συνάγει δε και οδτος εiς τα δύο· τψ γαρ πυρι τaλλα πάντα άντιτίθησιν.

ουκ εστι δε το πuρ και ό άf~ρ και εκαστον των εί­ρημένων άπλοuν, άλλα μικτά. τα δ' άπλα τοιαuτα μέν έ­στιν, ου μέντοι ταυτά, οίον ει τι τψ πυρι ομοιον, πυροει­δές, ου πuρ, και το τψ άέρι άεροειδές όμοίως δε κάπι των aλλων. Το δε πuρ έστιν ύπερβολf~ θερμότητος, iόσπερ και κρύσταλλος ψυχρότητος ή γαρ πηξις και ή ζέσις ύπερβο­λαί τινές εiσιν, ή μεν ψυχρότητος, ή δε θερμότητος. Ei οδν ό κρύσταλλός έστι πηξις ύγροu ψυχροu, και το πuρ εσται ζέσις ξηροu και θερμοu· διο και ούδεν [30] οuτ' έκ κρυστά­λλου γίνεται οuτ' έκ πυρός. 'Όντων δε τεττάρων των άπλων σωμάτων, έκάτερα τοιν δυοιν έκατέρου των πρώτων έστίν, πuρ μεν γαρ και άf~ρ του προς τον ορον φερομένου, γη δε και ϋδωρ τοi3 προς το μέσον. Και aκρα μεν και είλικρινέ­στατα γη και πuρ, μέσα δε και μεμι γμένα μαλλον [331a] ϋδωρ και άήρ.

και έκάτερα δε έκατέροις έναντία, πυρι μεν γαρ έναν­τίον ϋδωρ, άέρι δε γη· ταuτα γαρ έκ των έναντίων πα­θημάτων συνέστηκεν. ου μf~ν άλλ' άπλως γε τέτταρα οντα ένος εκαστόν έστι, γη μεν ξηροί) μαλλον η ψυχροu, ϋδωρ δε ψυχροί3 μαλλον η ύγροu, άf~ρ δ' ύγροί3 μαλλον η θερμοί3, πuρ δε θερμοi3 μαλλον η ξηροi3.

4. Έπει δε διώρισται πρότερον οτι τοις άπλοις σώμασι ν έξ άλλήλων ή γένεσις, aμα δε και κατα τf~ν αl.σθησιν φαί­νεται γινόμενα (ου γαρ αν Ύjν άλλοίωσις κατα γαρ τα [10] των άπτων πάθη ή άλλοίωσίς έστιν), λεκτέον τίς ό τρόπος της είς aλληλα μεταβολης, και πότερον aπαν έξ aπαντος γίγνεσθαι δυνατον η τα μεν δυνατον τα δ' άδύνατον.

'Ότι μεν οδν aπαντα πέφυκεν είς aλλ ηλα μεταβάλλει ν, φανερόν· ή γαρ γένεσις είς έναντία και έξ έναντίων, τα δε στοιχεια πάντα εχει έναντίωσιν προς aλληλα δια το τας διαφορας έναντίας είναι· τοις μεν γαρ άμφότεραι έναντί­αι, οίον πυρι και ϋδατι (το μεν γαρ θερμόν και ξηρον το δ'

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ύγρον και ψυχρόν), τοίς δ' ή έτέρα μόνον, οίον άέρι και ϋδατι (το μf:ν γαρ ύγρον και θερμόν' το δε ύγρον και ψυ­χρόν ). [20] 'Ώστε καθόλου μf:ν φανερον οτι πaν έκ παντος γίνεσθαι πέφυκεν, ηδη δε καθ' εκαστον ού χαλεπον ίδείν πως aπαντα μf:ν γαρ έξ άπάντων εσται, διοίσει δε τφ θaτ­τον και βραδύτερον και τφ ρ~ον και χαλεπώτερον. 'Όσα μf:ν γαρ εχει σύμβολα προς aλληλα, ταχεία τούτων ή μετά­βασις, οσα δf: μη εχει, βραδεία, δια το ρ~ον είναι το εν η τα πολλα μεταβάλλει ν' οίον έκ πυρος μf:ν εσται άηρ θατέ­ρου μεταβάλλοντος (το μf:ν γαρ Υίν θερμον και ξηρόν, το δf: θερμον και ύγρόν, rοστε αν κρατηθij το ξηρον ύπο του ύ­γρου, άηρ εσται)· πάλιν έξ άέρος ϋδωρ, έαν κρατηθij [30] το θερμον ύπο του ψυχρου (το μf:ν γαρ ήν θερμον και ύ­γρόν, το δε ψυχρον και ύγρόν, όSστε μεταβάλλοντος του θερμου ϋδωρ εσται). Τον αύτον δε τρόπον και έξ ϋδατος γη και έκ γης πυρ· εχει γαρ aμφω προς aμφω σύμβολα· το μf:ν γαρ ϋδωρ ύγρον και ψυχρόν, ή δε γη ψυχρον και ξηρόν, rοστε κρατηθέντος του ύγρου γη εσται. και πάλιν έπει το μf:ν πυρ ξηρον και θερμόν, ή δε [33lb] γη ψυχρον και ξηρόν, έαν φθαρij το ψυχρόν, πυρ εσται έκ γης. ''Ωστε φα­νερον οτι κύκλφ τε ή γένεσις τοίς άπλοίς σώμασι, και ρ~­στος οδτος ό τρόπος της μεταβολης δια το σύμβολα ένυπά­ρχει ν τοίς έφεξης.

Έκ πυρος δε ϋδωρ και έξ άέρος γην και πάλιν έξ ϋδατος και γης άέρα και πυρ ένδέχεται μf:ν γίνεσθαι, χαλεπώτε­ρον δf: δια το πλειόνων είναι την μεταβολήν· άνάγκη γάρ, εί εσται έξ ϋδατος πυρ, φθαρηναι και το ψυχρον και τού­γρόν, και πάλιν εί έκ γης άήρ, φθαρηναι και το ψυχρον και το ξηρόν. 'Ωσαύτως [10] δf: και εί έκ πυρος και άέρος ϋδωρ και γη, άνάγκη γαρ άμφότερα μεταβάλλειν. Αϋτη μf:ν σuν χρονιωτέρα ή γένεσις έαν δ' έκατέρου θάτερον φθαρij, ρ~ων μέν, ούκ είς aλληλα δε ή μεταβολή, άλλ' έκ πυρος μf:ν και ϋδατος εσται γη και άήρ, έξ άέρος δε και γης πυρ και ϋδωρ. 'Όταν μf:ν γαρ του ϋδατος φθαρij το ψυχρον του δf: πυρος το ξηρόν, άηρ εσται (λείπεται γαρ του μf:ν το θερ­μον του δε το ύγρόν), οταν δε του μf:ν πυρος το θερμον του

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δ' ϋδατος το ύγρόν' γη, δια το λεί πεσθαι του μf:ν το ξηρον του δε το ψυχρόν. 'Ωσαύτως δf: και έξ άέρος και γης πυρ και ϋδωρ· οταν μf:ν γαρ [20] του άέρος φθαρij το θερμον της δε γης το ξηρόν, ϋδωρ εσται (λείπεται γαρ του μf:ν το ψυχρόν του δε το ύγρόν), οταν δε του μf:ν άέρος το ύγρον της δε γης το ψυχρόν, πυρ, δια το λείπεσθαι του μf:ν το θερμον του δε το ξηρόν, aπερ Υίν πυρός. Όμολογουμένη δε και τij αίσθήσει ή του πυρος γένεσις μάλιστα μf:ν γαρ πυρ ή φλόξ, αϋτη δ' έστι καπνος καιόμενος, ό δf: καπνος έξ άέ­ρος και γης.

Έν δε τοίς έφεξης ούκ ένδέχεται φθαρέντος έν έκα­τέρφ θατέρου των στοιχείων γενέσθαι μετάβασιν είς ούδf:ν των σωμάτων δια το λείπεσθαι έν άμφοίν η ταύτα η τάναν­τία. Έξ ούδετέρων δf: [30] έγχωρεί γίγνεσθαι σωμα, οίον εί μf:ν του πυρος φθαρείη το ξηρόν, του δ' άέρος το ύγρόν· λείπεται γαρ έν άμφοίν το θερμόν· έαν δ' έξ έκατέρου το θερμόν, λείπεται τάναντία, ξηρον και ύγρόν. 'Ομοίως δε και έν τοίς aλλοις έν aπασι γαρ τοίς έφεξης ένυπάρχει το μf:ν ταύτο το δ' έναντίον. 'Ώσθ' aμα δηλον οτι τα μf:ν έξ έ­νος είς εν μεταβαίνοντα ένος φθαρέντος γίνεται, τα δ' έκ

δυοίν είς εν πλειόνων. 'Ότι [332a] μf:ν οδν aπαντα έκ παν­τος γί γνεται, και τί να τρόπον είς aλληλα μετάβασις γί­γνεται, ε1ρηται.

5. Ού μην άλλ' ετι και rοδε θεωρήσωμεν περι αύτων. Εί γάρ έστι των φυσικων σωμάτων ϋλη, rοσπερ και δοκεί ένί­οις, ϋδωρ και άηρ και τα τοιαυτα, άνάγκη ητοι εν η δύο είναι ταυτα η πλείω. "Εν μf:ν δη πάντα ούχ οίόν τε, οίον άέ­ρα πάντα η ϋδωρ η πυρ ή γην, ε1περ ή μεταβολη είς τάναν­τία. Εί γαρ ε1η άήρ, εί μf:ν ύπομένει, άλλοίωσις εσται· άλλ' ού γένεσις aμα δ' ούδ' οϋτω δοκεί rοστε [10] ϋδωρ είναι aμα και άηρ η aλλ' ότιουν. 'Έσται δή τις έναντίωσις και διαφορα ής εξει τι θάτερον μόριον, το πυρ οίον θερμότητα. 'Αλλα μην ούκ εσται τό γε πυρ άηρ θερμός άλλοίωσίς τε γαρ το τοιουτον, και ού φαίνεται· aμα δε πάλιν εί εσται έκ του πυρος άήρ, του θερμου είς τούναντίον μεταβάλλον-

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τος εσται. 'Υπάρξει &ρα τφ άέρι τουτο, και εσται ό άηρ ψυχρόν τι. 'Ώστε άδύνατον το πυρ θερμον άέρα εl ναι· aμα γaρ το αύτο θερμον και ψυχρον εσται. '' Αλλο τι aρ' άμφό­τερα το αύτο εσται, και aλλη τις ϋλη κοινή. Ό δ' αύτος λόγος περι άπάντων, οτι ούκ εστι ν εν

τούτων έξ ou [20] τa πάντα. Ού μην ούδ' aλλο τί γε παρa ταυτα, οίον μέσον τι άέρος και ϋδατος η άέρος και πυρός, άέρος μf:ν παχύτερον η πυρός, των δf: λεπτότερον· εσται γaρ άηρ και πυρ έκεινο μετ' έναντιότητος άλλa στέρησις το ετερον των έναντίων· rοστ' ούκ ένδέχεται μονουσθαι έ­κει νο ούδέποτε, rοσπερ φασί τινες το &πειρον και το πε­ριέχον. Όμοίως &ρα ότιουν τούτων η ούδέν. Εί οδν μηδεν αίσθητόν γε πρότερον τούτων, ταυτα &ν ει η πάντα. 'Ανάγκη τοίνυν η άει μένοντα και άμετάβλητα είς aλληλα, η μεταβάλλοντα, και η aπαντα, η τa μf:ν τa δ' ου, rοσπερ έν τ(i) Τιμαίφ Πλάτων [30] εγραψεν. 'Ότι μf:ν τοίνυν μεταβάλ­λειν άνάγκη είς aλληλα, δέδεικται πρότερον· και οτι δ' ούχ όμοίως ταχέως aλλο έξ aλλου, ε1ρηται πρότερον, οτι τa μf:ν εχοντα σύμβολον θaττον γίνεται έξ άλλήλων, τa δ' ούκ εχοντα βραδύτερον.

Εί μf:ν τοί νυν ή έναντιότης μία έστι καθ' ilν μεταβάλ­λουσι ν, άνάγκη δύο εlναι· ή γaρ ϋλη το μέσον άναίσθητος

οδσα [332b] και άχώριστος. 'Επει δf: πλείω όρaται οντα, δύο &ν ε'ίεν αί έλάχισται. Δύο δ' οντων ούχ οίόν τε τρία εlναι, άλλa τέσσαρα, rοσπερ φαίνονται· τοσαυται γaρ αί συζυγίαι · εξ γaρ ούσων τaς δύο άδύνατον γενέσθαι διa το έναντίας είναι άλλήλαις.

Περι μf:ν οδν τούτων ε1ρηται πρότερον. 'Ότι δ', έπειδη μεταβάλλουσιν είς aλληλα, άδύνατον άρχήν τινα εlναι αύ­των η έπι τ(i) aκρφ fi μέσφ, έκ τωνδε δηλον. 'Επι μf:ν οδν τοις &κροις ούκ εσται οτι πυρ εσται η γη πάντα, και ό αύ­τος λόγος τφ φάναι έκ πυρος η γης εlναι πάντα. [10] 'Ότι δ' ούδε μέσον, rοσπερ δοκει τισιν άηρ μf:ν και είς πυρ με­ταβάλλειν και είς ϋδωρ, ϋδωρ δε και είς άέρα και είς γην, τa δ' εσχατα ούκέτι είς aλληλα· δει μf:ν γaρ στηναι και μη

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είς &πειρον τουτο ίέναι έπ' εύθείας έφ' έκάτερα. ''Άπειροι γaρ έναντιότητες έπι του ένος εσονται.

Γη έφ' φ Γ, ϋδωρ έφ' φ Υ, άηρ έφ' φ Α, πυρ έφ' φ π. Είδη το Α μεταβάλλει είς το Π και Υ, έναντιότης εσται των ΑΠ. 'Έστω ταυτα λευκότης και μελανία. Πάλιν εί είς το Υ το Α, εσται aλλη· ού γaρ ταύτο το Υ και Π. 'Έστω δε ξηρότης και ύγρότης, το μf:ν Ξ ξηρότης, το δε Υ ύγρότης. [20] Ού­κουν εί μf:ν μένει το λευκόν' ύπάρξει το ϋδωρ ύγρον και λευκόν, εί δf: μή, μέλαν εσται το ϋδωρ· είς τάναντία γaρ ή μεταβολή, άνάγκη aρα μέλαν η λευκον εlναι το ϋδωρ. 'Έστω δη το πρωτον. Όμοίως τοίνυν και τ(i) Π το Ξ ύπάρξει ή ξηρότης. 'Έσται &ρα και τ(i) Π τ(i) πυρι μεταβολη είς το ϋδωρ· έναντία γaρ ύπάρχει· το γaρ πυρ το πρωτον μέλαν Υjν, επει τα δf: ξηρόν, το δ' ϋδωρ ύγρόν, επει τα δε λευκόν. Φανερον δη οτι πaσιν έξ άλλήλων εσται ή μεταβολή, και έπί γε τούτων, οτι και έν τ(i) Γ τη γη ύπάρξει τa λοιπά και δύο σύμβολα το μέλαν και το [30] ύγρόν· ταυτα γaρ ού συνδεδύασταί πω.

'Ότι δ' είς &πειρον ούχ οίόν τ' ίέναι, οπερ μελλήσαντες δείξειν έπι τουτο εμπροσθεν flλθομεν, δηλον έκ τωνδε. Εί γaρ πάλιν το πυρ, έφ' φ Π, είς aλλο μεταβαλλει και μη ά­νακάμψει, οίον είς το Ψ, έναντιότης τις τ(i) πυρt και τ(i) Ψ aλλη ύπάρξει των είρημένων· ούδενι γaρ το αύτο ύπόκει­ται των Γ Υ ΑΠ [333a] το Ψ. 'Έστω δη τ(i) μf:ν Π το Κ, τ(i) δε Ψ το Φ. Το δη Κ πaσιν ύπάρξει τοις Γ Υ ΑΠ μεταβάλλουσι γaρ είς aλληλα. Άλλa γaρ τουτο μf:ν εστω μήπω δεδει γμέ­νον, άλλ' έκεινο δηλον, οτι εί πάλιν το ψ είς aλλο, aλλη έν­αντιότης τφ Ψ ύπάρξει και τφ πυρι τφ Π. Όμοίως δ' άεt μετa του προστιθεμένου έναντιότης τις ύπάρξει τοις εμπροσθεν, rοστ' εί &πειρα, και έναντιότητες &πειροι τφ ένι ύπάρξουσι ν. Εί δf: τουτο, ούκ εσται οuτε όρίσασθαι ού­δf:ν οuτε γενέσθαι. δεήσει γάρ, εί aλλο εσται έξ aλλου, τοσαύτας διεξελθειν έναντιότητας, [10] και ετι πλείους, rοστ' είς ενια μf:ν ούδέποτ' εσται μεταβολή, οίον εί &πειρα τa μεταξύ (άνάγκη δ', ε1περ &πειρα τa στοιχεια)· ετι ούδ' έξ άέρος είς πυρ, εί &πειροι αί έναντιότητες. Γίνεται δf:

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και πάντα εν· ανάγκη γaρ πάσας ύπάρχει ν τοις μf:ν κάτω του π τaς των &νωθεν, τούτοις δf: τaς των κάτωθεν, rοστε πάντα εν εσται.

6. Θαυμάσειε δ' &ν τις των λεγόντων πλείω ένος τa στοιχεια των σωμάτων ωστε μη μεταβάλλειν εiς aλληλα, καθάπερ 'Εμπεδοκλης λέγει, πως ενδέχεται λέγειν αύτοις είναι συμβλητa τa στοιχεια. Καίτοι λέγει οϋτω· "ταυτα γaρ [20] ίσά τε πάντα". Ei μf:ν οδν κατa το ποσόν, ανάγκη το αύτό τι είναι ύπάρχον aπασι τοις συμβλητοις φ με­τρουνται, οϊον εi εξ ϋδατος κοτύλης είεν αέρος δέκα· το αύτό τι rjν aρα aμφω, εi μετρειται τ(i) αύτ(i). Ei δε μη οϋτω κατa το ποσον συμβλητa ώς ποσον εκ ποσου, αλλ' οσον δύ­νανται, οϊον εi κοτύλη ϋδατος ίσον δύναται ψύχει ν και δέ­κα αέρος, οϋτως κατa το ποσον ούχ η ποσον συμβλητά, αλλ' η δύναταί τι. είη δ' αν και μη τ(i) του ποσου μέτρφ συμβάλλεσθαι τaς δυνάμεις, αλλa κατ' αναλογίαν, οϊον ώς τόδε λευκον τόδε θερμόν· το δ' ώς τόδε σημαίνει [εν μf:ν ποι(i)] το [30] ομοιον, εν δε τ(i) ποσ(i) το ίσον. "Ατοπον δη φαίνεται, εi τa σώματα αμετάβλητα οντα μη αναλογίq συμβλητά εστιν, αλλa μέτρφ των δυνάμεων και τφ είvαι ίσον θερμον η όμοίως πυρος τοσονδι και αέρος πολλαπλά­σιον· το γaρ αύτο πλειον τ(i) όμογενf:ς είναι τοιουτον εξει τον λόγον.

Άλλa μην ούδ' αuξησις αν είη aλλη κατ' Έμπεδοκλέα η ή [333b] κατa πρόσθεσιν· πυρι γaρ αuξει το πυρ, "αuξει δε χθών μf:ν σφέτερον γένος, αiθέρα δ' αiθήρ". Ταυτα δε προ­στίθεται. δοκει δ' ούχ οϋτως αuξεσθαι τa αύξανόμενα.

Πολu δf: χαλεπώτερον αποδουναι περι γενέσεως της κατa φύσιν. τα γaρ γινόμενα φύσει πάντα γίνεται η αει η ώς επι το πολύ, τa δε παρa το αει και ώς επι το πολu απο ταύτομάτου και απο τύχης. Τί οδν το αίτιον του εξ αν­θρώπου &νθρωπον η αει η ώς επι το πολύ, και εκ του πυρου πυρον αλλa μη ελαίαν; η καί, εαν ώδι συντεθij, όστουν; ού γaρ [10] οπως ετυχε συνελθόντων ούδf:ν γίγνεται, καθ' α ε­κεινός φησιν, αλλa λόγφ τινί. Τί οδν τούτου αίτιον; ού γaρ

Περί γενέσεως καί φθοράς Β 265

δη πυρ γε η γη.' Αλλa μην ούδ' ή φιλία και το νεικος συ­γκρίσεως γaρ μόνον, το δε διακρίσεως αίτιον. Τουτο δέ γ' εστι ν ή ούσία ή έκάστου, αλλ' ού μόνον "μίξις τε διάλλαξίς τε μιγέντων", rοσπερ εκεινός φησιν. Τύχη "δ' επι τοις όνο­μάζεται", αλλ' ού λόγος εστι γaρ μιχθηναι ώς ετυχεν. των δη φύσει οντων αίτιον το οϋτως εχει ν και ή έκάστου φύ­σις αϋτη, περι rjς ούδf:ν λέγει. Ούδεν &ρα περι φύσεως λέ­γει. 'Αλλa μην και το εδ τουτο και το αγαθόν· ό δf: την μί­ξι ν μόνον [20] επαι νει. Καίτοι τά γε στοιχεια διακρίνει ού το νεικος, αλλ' ή φιλία τa φύσει πρότερα του θεου· θεοι δε και ταυτα.

'1Ετι δf: περι κινήσεως άπλως λέγει· ού γaρ ί καν ον εi­πει ν διότι ή φιλία και το νεικος κινει, εi μη τουτ' rjν φιλίq είναι το κινήσει τοιqδί, νείκει δε το τοιqδί. 'Έδει οδν η ό­ρίσασθαι η ύποθέσθαι η αποδειξαι, η ακριβως η μαλακως, η aλλως γέ πως. '1 Ετι δ' επει φαίνονται και βίq και παρa φύσιν κινούμενα τa σώματα και κατa φύσιν, οϊον πυρ &νω ού βίq, κάτω δε βίq, τ(i) δf: βίq το κατa φύσιν εναντίον, εστι δf: το βίq· εστιν &ρα και το κατa φύσιν [30] κι­νεισθαι. Ταύτην οδν ή φιλία κινεl, η ou; τούναντίον γaρ την γην κάθω και διακρίσει εοικεν, και μaλλον το νεικος αίτιον της κατa φύσιν κινήσεως η ή φιλία. 0Ωστε και ολως παρa φύσιν ή φιλία δ.ν είη μaλλον. Άπλως δέ, εi μη ή φι­λία η το νεικος κινει, αύτων των σωμάτων ούδεμία κίνησίς εστιν ούδf: μονή· αλλ' &τοπον.

'1Ετι δf: και φαίνεται κινούμενα· [334a] διέκρινε μf:ν γaρ το νεικος ήνέχθη δ' &νω ό αiθηρ ούχ ύπο του νείκους, αλλ' ότf: μέν φησιν rοσπερ απο τύχης 'Όϋτω γaρ συνέκυρσε θέων τότε, πολλάκι δ' aλλως"' ότε δέ φησι πεφυκέναι το πυρ άνω φέρεσθαι, ό δ' αίθήρ, φησί, "μακρijσι κατa χθόνα δύετο ρίζαις".

'Άμα δε και τον κόσμον όμοίως εχειν φησtν επί τε του νείκους νυν καt πρότερον επ1. της φιλίας. Τί οδν εστι το κι νουν πρωτον καt αίτιον της κινήσεως; ού γaρ δη ή φιλία και το νεικος. 'Αλλά τίνος κινήσεως ταυτα αίτια, εί εστιν εκεινο αρχή;

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266 'Αριστοτέλους

"Ατοπον [10] δε και εi ή ψυχη έκτων στοιχείων fi εν τι αύτων· αί γaρ άλλοιώσεις αί της ψυχης πως εσονται, οίον το μουσικον είναι και πάλιν aμουσον, η μνήμη η λήθη; δηλον γaρ οτι εi μεν πuρ ή ψυχή, τa πάθη ύπάρξει αύτη οσα πυρι η πuρ· εi δε μικτόν, τa σωματικά· τούτων δ' ού­δεν σωματικόν. 'Αλλa περι μεν τούτων έτέρας εργον έστι θεωρίας.

7. Έκ δε των στοιχείων έξ οον τa σώματα συνέστηκεν, οσοις μεν δοκει τι είναι κοινον η μεταβάλλειν εiς aλληλα, άνάγκη εi θάτερον τούτων, και θάτερον συμβαίνειν· οσοι δε μη ποιοuσιν έξ άλλήλων γένεσιν μηδ' ώς έξ έκάστου, πλην ώς έκ [20] τοίχου πλίνθους, aτοπον πως έξ έκείνων εσονται σάρκες και όστa και των aλλων ότιοuν. 'Έχει δε το λεγόμενον άπορίαν και τοις έξ άλλήλων γεννωσιν, τίνα τρόπον γί γνεται έξ αύτων ετερόν τι παρ' αύτά· λέγω δ' οίον εστι ν έκ πυρος ϋδωρ καt έκ τούτου γίγνεσθαι πuρ, εστι γάρ τι κοι νον το ύποκείμενον' άλλa δη και σaρξ έξ αύτων γίνεται καt μυελός ταuτα δη γίνεται πως; έκεί νοις τε γaρ τοις λέγουσι ν ώς Έμπεδοκλης τίς εσται τρόπος; ά­νάγκη γaρ σύνθεσιν ε'ίναι καθάπερ έκ πλίνθων καt λίθων τοιχος καt το .μί γμα δη τοuτο έκ σωζομένων μεν εσται των στοιχείων, κατa μικρa δε [30] παρ' aλληλα συγκειμένων· οϋτω δη σaρξ καt των aλλων εκαστον. Συμβαίνει δη μη έξ ότουοuν μέρους σαρκος γίγνεσθαι πuρ καt ϋδωρ, όSσπερ έκ κηροu γένοι τ' &ν έκ μεν τουδι του μέρους σφαιρα, πυραμtς δ' έξ aλλου τινός, άλλ' ένεδέχετο και έξ έκατέρου έκάτε­ρον γενέσθαι. Τοuτο μεν δη τοuτον γίνεται τον τρόπον έκ της σαρκος έξ ότουοuν aμφω· τοις δ' έκείνως λέγουσιν ούκ ένδέχεται, άλλ' ώς έκ τοίχου λίθος και πλίνθος, [334b] έκά­τερον έξ aλλου τόπου και μέρους.

'Ομοίως δε και τοις ποιοuσι μίαν αύτων ϋλην εχει τι νa άπορίαν' πως εσται τι έξ άμφοτέρων' ο ίον έκ θερμοί) και ψυχροu fi πυρος καt γης. Εί γάρ έστιν ή σaρξ έξ άμφοιν και μηδέτερον έκείνων, μηδ' αδ σύνθεσις σωζομένων, τί λείπεται πλην την ϋλην ε'ίναι το έξ έκείνων; ή γaρ θατέ-

Περi γενέσεως καi φθοράς Β 267

ρου φθορa η θάτερον ποει η την ϋλην. "'Αρ' οδν έπειδή έστι καt μaλλον και ήττον θερμον καt ψυχρόν, οταν μεν άπλως η θάτερον έντελεχείι;ι, δυνάμει θάτερον [10] εσται· οταν δε μη παντελως, άλλ' ώς μεν θερμον ψυχρόν, ώς δε ψυχρον θερμον διa το μι γνύμενα φθείρει ν τaς ύπεροχaς άλλήλων' τότε οuθ' ή ϋλη εσται ούτε έκείνων των έναντίων έκάτερον έντελεχείι;ι άπλως, άλλα μεταξύ, κατα δε το δυνάμει μaλ­λον εϊ ναι θερμον η ψυχρον η τούναντίον' κατa τοuτον τον λόγον διπλασίως θερμον δυνάμει η ψυχρόν, η τριπλασίως, η κατ' aλλον τρόπον τοιοuτον; 'Έσται δη μιχθέντων τάλλ' έκ των έναντίων η των στοιχείων, καt τa στοιχεια έξ έκείνων δυνάμει πως οντων, ούχ οϋτω δε ώς ή ϋλη, άλλa τον είρημέ­νον τρόπον· καt εστιν οϋτω μεν μίξις, έκείνως δε ϋλη το γινόμενον.

Έπει δε και πάσχει τάναντία [20] κατa τον έν τοις πρώτοις διορισμόν· εστι γaρ το ένεργείι;ι θερμον δυνάμει ψυχρον και το ένεργείςχ ψυχρον δυνάμει θερμόν, όSστε έαν μη iσάζ~;ι μεταβάλλει εiς aλληλα, όμοίως δε καt έπι των aλλων έναντίων· και πρωτον οϋτω τa στοιχεια μεταβάλλει, έκ δε τούτων σάρκες καt όστα καt τa τοιαuτα, του μεν θερμοί) γι γνομένου ψυχροu, του δε ψυχροu θερμοu, ο ταν προς το μέσον ελθωσι ν· ένταuθα γaρ ούδέτερον' το δε μέ­σον πολu καt ούκ άδιαίρετον. 'Ομοίως δε και ξηρον καt ύ­γρον και τα τοιαuτα κατα μεσότητα ποιοuσι σάρκα και ό­στοuν καt τάλλα.

8. [30] "Απαντα δε τα μικτα σώματα, οσα περι τον τοu μέσου τόπον έστίν, έξ άπάντων σύγκειται των άπλων. Γη μεν γaρ ένυπάρχει πaσι δια το εκαστον εϊναι μάλιστα καt πλειστον έν τφ οiκείφ τόπφ, ϋδωρ δε δια το δειν μεν όρί­ζεσθαι το σύνθετον, μόνον δ' είναι των άπλων εύόριστον το [335a] ϋδωρ, ετι δε και την γην aνευ του ύγροu μη δύνα­σθαι συμμένειν, άλλa τοuτ' είναι το συνέχον· ει γaρ έξαι­ρεθεί η τελέως έξ αύτης το ύγρόν, διαπί πτοι aν. Γη μεν οδν καt ϋδωρ διa ταύτας ένυπάρχει τaς αί τίας, άηρ δε και πuρ, οτι έναντία έστι γη και ϋδατι. γη μεν γaρ άέρι, ϋδωρ δε

Ί ιιιl!

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268 'Αριστοτέλους

πυρt έναντίον έστίν, ώς ένδέχεται ούσίαν ούσί~ έναντίαν είναι. Έπεt οδν αί γενέσεις έκτων έναντίων είσίν, ένυπά­ρχει δε θάτερα &κρα των έναντίων' ανάγκη και θάτερα έν­υπάρχει ν' ίόστ' έν aπαντι τφ συνθέτφ πάντα τα άπλα ένέ­σται.

Μαρτυρειν δ' [10] εοικε καt ή τροφη έκάστων· aπαντα μεν γαρ τρέφεται τοις αύτοις έξ ώνπέρ έστι ν, aπαντα δε πλείοσι τρέφεται. Καt γαρ aπερ αν δόξειεν ένt μόνφ τρέ­φεσθαι, τφ ϋδατι τα φυτά, πλείοσι τρέφεται· μέμικται γαρ τφ ϋδατι γη· διο και οί γεωργοt πειρωνται μίξαντες aρδειν.

Έπεt δ' έστιν ή μεν τροφη τfϊς ϋλης, το δε τρεφόμενον συνειλημμένη τij ϋλΊ;Ί ή μορφη και το είδος, εϋλογον flδη το μόνον των άπλων σωμάτων τρέφεσθαι το πuρ άπάντων έξ aλλήλων γινομένων, ίόσπερ και οί πρότεροι λέγουσιν· μό­νον γάρ έστι καt μάλιστα του ε'ίδους το πuρ δια το πεφυ­κέναι φέρεσθαι [20] προς τον ορον. 'Έκαστον δε πέφυκεν είς την έαυτοu χώραν φέρεσθαι. ή δε μορφη και το είδος άπάντων έν τοις οροις.

'Ότι μεν οδν aπαντα τα σώματα έξ άπάντων συνέστηκε των άπλων, ε'ίρηται.

9. Έπεt δ' έστtν ενια γενητα καt φθαρτά, καt ή γένεσις τυγχάνει οδσα έν τφ περt το μέσον τόπφ, λεκτέον περι πάσης γενέσεως όμοίως πόσαι τε και τί νες αύτfϊς aρχαί. ρ~ον γαρ οϋτω τα καθ' εκαστον θεωρήσομεν' οταν περι των καθόλου λάβωμεν πρωτον; Είσι ν οδν και τον aριθμον 'ίσαι καt τφ γένει αί αύται αϊ περ έν τοις &ιδίοις τε και πρώτοις ή [30] μεν γάρ έστιν ώς ϋλη, ή δ' ώς μορφή. Δει δε καt την τρί την ετι προσυπάρχει ν· ού γαρ ίκαναι προς το γεννfϊσαι αί δύο, καθάπερ ούδ' έν τοις πρώτοις. Ώς μεν οδν ϋλ η τοις γενητοις έστι ν α'ί τι ον το δυνατον είναι καt μη είναι· τα μεν γαρ έξ ανάγκης εστιν, οίον τα &ίδια, τα δ' έξ ανάγκης ούκ εστιν· τούτων δε τα μεν aδύνατον μη είναι, τα δε aδύνατον [335b] είναι δια το μη ένδέχεσθαι παρα το aναγκαιον aλλως εχειν. 'Ένια δε καt είναι καt μη είναι δυ-

Περi γενέσεως καi φθοράς Β 269

νατα, οπερ έστt το γενητον καt φθαρτόν· ποτε μεν γαρ εστι τοuτο, ποτε δ' ούκ εστιν. "Ωστ' aνάγκη γένεσιν είναι καt φθοραν περt το δυνατον είναι και μη είναι. Διο καt ώς μεν ϋλη τοuτ' έστtν α'ίτιον τοις γενητοις, ώς δε το ou ενεκεν ή μορφη καt το είδος τοuτο δ' έστt ν ό λόγος ό τfϊς έκάστου ούσίας.

Δει δε προσειναι και τρί την, fiν aπαντες μεν όνειρ­ώττουσι, λέγει δ' ούδείς, aλλ' οί μεν ίκανην φήθησαν αί τί­αν είναι προς το γίνεσθαι [10] την των είδων φύσιν, όSσπερ ό έν τψ Φαίδωνι Σωκράτης και γαρ έκεινος, έπι τιμήσας τοις aλλοις ώς ούδεν είρηκόσιν, ύποτίθεται οτι έστt των οντων τα μεν ε'ίδη τα δε μεθεκτικα των είδων, καt οτι είναι μεν εκαστον λέγεται κατα το είδος, γίνεσθαι δε κατα την μετάληψιν και φθείρεσθαι κατα την aποβολήν, όSστ' εί ταuτα aληθfϊ, τα ε'ίδη ο'ίεται έξ ανάγκης α'ί τια είναι και γενέσεως και φθορaς. Οί δ' αύτην την ϋλην· aπο ταύτης γαρ είναι την κίνησιν. Ούδέτεροι δε λέγουσι καλως. Εί μεν γάρ έστιν α'ί τια τα ε'ίδη, δια τί ούκ αει γενν~ συνεχως, aλ­λα ποτε μεν ποτε δ' οϋ, οντων καt των είδων [20] αει καt των μεθεκτικων; ετι έπ' ένίων θεωροuμεν aλλο το α'ί τιον ον· ύγίειαν γαρ ό ίατρος έμποιει καt έπιστήμην ό έ­πιστήμων, οϋσης και ύγιείας αύτf]ς και έπιστήμης καt των μεθεκτικων· ώσαύτως δε καt έπt των aλλων των κατα δύ­ναμιν πραττομένων. Εί δε την ϋλην τίς φησι γεννaν δια την κίνησιν, φυσικώτερον μεν αν λέγοι των οϋτω λε­γόντων· το γαρ aλλοιοuν καt το μετασχηματίζον αί τιώτε­ρόν τε του γεννaν, και έν aπασιν είώθαμεν τοuτο λέγειν το ποιοuν, όμοίως εν τε τοις φύσει και έν τοις aπο τέχνης, δ αν~ κινητικόν. Ού μην aλλα και οuτοι ούκ όρθως λέγου­σιν· τfϊς μεν γαρ [30] ϋλης το πάσχειν έστt καt το κι­νεισθαι, το δε κινειν καt ποιειν έτέρας δυνάμεως. Δfϊλον δε καt έπι των τέχνΊJ καt έπt των φύσει γινομένων· ού γαρ αύτο ποιει το ϋδωρ ζψον έξ αύτοu ούδε το ξύλον κλί νην' aλλ' ή τέχνη. 'Ώστε καt οuτοι δια τοuτο λέγουσι ν ούκ όρ­θως, και οτι παραλείπουσι την κυριωτέραν αί τίαν· έξαι­ροuσι γαρ το τί ήν είναι καt την μορφήν. [336a] 'Έτι δε

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270 'Αριστοτέλους

και τaς δυνάμεις άποδιδόασι τοις σώμασι, δι' δς γεννωσι, λίαν όργανικάς, άφαιρουντες την κατa το εϊδος αί τίαν. Έπειδη γaρ πέφυκεν, οος φασι, το μeν θερμον διακρίνειν το δe ψυχρον συνιστάναι, και των &λλων εκαστον το μeν ποιειν το δε πάσχειν, έκ τούτων λέγουσι και διa τούτων aπαντα τάλλα γίγνεσθαι και φθείρεσθαι. φαίνεται δe και το πυρ αύτο κινούμενον και πάσχον. 'Έτι δε παραπλήσιον ποιουσι ν οοσπερ ει τις τφ πρίονι και έκάστφ των οργάνων άπονέμοι την αί τίαν των γινομένων· άνάγκη [ 10] γaρ πρί­οντος διαιρεισθαι και ξέοντος λεαίνεσθαι, και έπι των &λλων όμοίως. 'Ώστ' εί οτι μάλιστα ποιει και κι νει το πυρ, άλλa πως κινει ούχ όρωσιν, οτι χειρον η τa οργανα. Ήμιν δe καθόλου τε πρότερον ειρηται περι των αί τίων, και νυν διώρισται περί τε της ϋλης και της μορφης.

10. 'Έτι δε έπει ή κατa την φορaν κίνησις δέδεικται οτι άίδιος, άνάγκη τούτων οντων και γένεσιν εϊναι συνε­χως ή γaρ φορa ποιήσει την γένεσι ν ένδελεχως διa το προσάγειν και άπάγειν το γεννητικόν. 'Άμα δε δηλον οτι και το πρότερον καλως ειρηται, το πρώτην των μεταβολων την φορaν [20] άλλa μη την γένεσιν είπειν· πολU γaρ εύ­λογώτερον το .ον τφ μη οντι γενέσεως αιτιον εϊναι η το μη ον τφ οντι του εϊναι. Το μeν οuν φερόμενον εστι, το δε γι­νόμενον ούκ εστιν· διο και ή φορa προτέρα της γενέσεως.

Έπει δ' ύπόκει ται και δέδεικται συνεχης οδσα τοις πράγμασι γένεσις και φθορά, φαμeν δ' αί τίαν εϊναι την φορaν του γίνεσθαι, φανερον ώς μιας μeν οϋσης της φορας ούκ ένδέχεται γίνεσθαι aμφω διa το έναντία εϊναι (το γaρ αύτο και ώσαύτως εχον άει το αύτο πέφυκε ποιειν, οοστε ητοι γένεσις εσται άει η φθορά), δει δe πλείους εϊναι τaς κινήσεις [30] και έναντίας η τlj φορςi η τlj άνωμαλίι-;ι· των γaρ έναντίων έναντία αι τια· διο και ούχ ή πρώτη φορa αί­τία έστι γενέσεως και φθορας, άλλ' ή κατa τον λοξον κύ­κλον· έν ταύτΊJ γaρ και το συνεχές έστι και το κινεισθαι δύο κινήσεις άνάγκη γάρ, ει γε άει εσται συνεχης γένεσις και [336b] φθορά, άει μέν τι κινεισθαι, ϊνα μη έπιλείπωσιν

Περί γενέσεως καί φθοράς Β 271

αuται αί μεταβολαί, δύο δ', οπως μη θάτερον συμβαίνΊJ μό­νον. της μeν οδν συνεχείας ή του ολου φορa αί τία, του δε προσιέναι και άπιέναι ή εγκλισις συμβαίνει γaρ ότf: μeν πόρρω γίνεσθαι ότf: δ' έγγύς. · Α νίσου δe του διαστήματος οντος άνώμαλος εσται ή κίνησις οοστ' εί τφ προσιέναι και έγγuς εϊ ναι γεννςi, τφ άπιέναι ταύτον τουτο και πόρρω γί­νεσθαι φθείρει, και εί τφ πολλάκις προσελθειν γεννςi, καt τφ πολλάκις άπελθειν φθείρει· των γaρ έναντίων τάναντία αιτια. Και έν [10] ισφ χρόνφ ή φθορa και ή γένεσις ή κατa φύσιν.

Διο και οί χρόνοι και οί βίοι έκάστων άριθμον εχουσι και τούτφ διορίζονται· πάντων γάρ έστι τάξις, και πας χρόνος και βίος μετρει ται περιόδφ, πλην ού τlj αύτlj πάν­τες, άλλ' οί μf:ν έλάττονι οί δε πλείονι· τοις μeν γaρ έ­νιαυτός, τοις δε μείζων, τοις δε έλάττων ή περίοδός έστι, το μέτρον. Φαίνεται δε και κατa την αισθησι ν όμολογού­μενα τοις παρ' ήμων λόγοις όρωμεν γaρ οτι προσιόντος μeν του ήλίου γένεσις εστιν, άπιόντος δe φθίσις, και έν ισφ χρόνφ έκάτερον· ισος γaρ ό χρόνος της φθορας και της γενέσεως της κατa φύσιν. [20] 'Αλλa συμβαίνει πολλάκις έν έλάττονι φθείρεσθαι διa την προς &λληλα σύγκρασιν· άνωμάλου γaρ οϋσης της ϋλης και ού πανταχου της αύτης, άνάγκη και τaς γενέσεις άνωμάλους εϊ ναι και τaς μeν θάτ­τον τaς δe βραδυτέρας εϊ ναι. οοστε συμβαίνει διa το την τούτων γένεσιν &λλοις γίνεσθαι φθοράν.' Αει δ', οοσπερ ειρηται, συνεχης εσται ή γένεσις και ή φθορά, και ούδέ­ποτε ύπολείψει δι' ilν ειπομεν αi τίαν.

Τουτο δ' εύλόγως συμβέβηκεν· έπει γaρ έν aπασιν άει του βελ τίονος όρέγεσθαί φαμεν την φύσιν' βέλ τιον δe το εϊναι η το μη εϊναι (το δ' εϊναι ποσαχως λέγομεν, έν &λλοις ειρηται), [30] τουτο δ' άδύνατον έν aπασιν ύπάρχειν διa το πόρρω της άρχης άφίστασθαι, τφ λειπομένφ τρόπφ συνε­πλήρωσε το ολον ό θεός, ένδελεχη ποιήσας την γένεσιν· οϋτω γaρ &ν μάλιστα συνείροι το το εϊ ναι διa το έγγύτατα εϊ ναι της ούσίας το γίνεσθαι άει και την γένεσι ν. Τούτου δ' αιτιον, οοσπερ [337a] ειρηται πολλάκις, ή κύκλφ φορά·

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272 ·Αριστοτέλους

μόνη γαρ συνεχής. Διο και τaλλα οσα μεταβάλλει είς &λληλα κατα τα πάθη και τας δυνάμεις, οlον τα άπλa σώματα, μιμε1 ται την κύκλφ φοράν· οταν γαρ έξ ϋδατος αηρ γένηται και έξ αέρος πυρ και πάλιν έκ του πυρος ϋδωρ, κύκλφ φαμf:ν περιεληλυθέναι την γένεσιν δια το πά­λιν ανακάμπτει ν. 'Ώστε και ή εύθε1α φορα μιμουμένη την κύκλφ συνεχής έστι ν. '' Αμα δε δflλον έκ τούτων ο τι νες α­πορουσι ν, δια τί έκάστου των σωμάτων είς την οίκείαν φερομένου χώραν έν τ(j) απείρφ χρόνφ [ 10] ού διεστaσι τα σώματα. Α'ί τιον γαρ τούτου έστι ν ή έπ' &λληλα μετάβασις εί γαρ εκαστον εμενεν έν τij αύτου χώρςχ και μη μετέβαλ­λεν ύπο του πλησίον, flδη &.ν διεστήκεσαν. Μεταβάλλει μf:ν οδν δια την φοραν διπλflν οδσαν· δια δε το μεταβάλ­λειν ούκ ένδέχεται μένειν ούδf:ν αύτων έν ούδεμιq χώρςχ τεταγμέν\j. Διότι μf:ν οδν εστι γένεσις και φθορα και δια τίν' αίτίαν, και τί το γενητον και φθαρτόν, φανερον έκ των είρημένων.

Έπει δ' ανάγκη εί ναί τι εί κίνησις εσται, ίόσπερ ε'ίρηται πρότερον έν έτέροις, και εί αεί, οτι αεί δει τι είναι, και εi συνεχής, εν το αύτο και ακίνητον και [20] α­γένητον και αναλλοίωτον, και εi πλείους αί έν κύκλφ κtνή­σεις, πλείους μέν, πάσας δέ πως εϊναι ταύτας ύπο μίαν αρχήν· συνεχους δ' οντος του χρόνου ανάγκη την κίνησιν συνεχη εϊναι, ε'ίπερ αδύνατον χρόνον &νευ κινήσεως εϊναι· συνεχους &ρα τι νος αριθμος ό χρόνος, της κύκλφ &ρα, κα­θάπερ έν το1ς έν αρχij λόγοις διωρίσθη. Συνεχης δ' ή κί­νησις πότερον τφ το κι νούμενον συνεχΕ:ς είναι η το έν φ κινε1ται, οlον τον τόπον λέγω η το πάθος; δflλον δη οτι τφ το κινούμενον (πως γαρ το πάθος συνεχΕ:ς αλλ' η τ(j) το πρaγμα φ συμβέβηκε συνεχf:ς είναι; εί δε και τ(j) <το> έν φ, [30] μόνφ τουτο τφ τόπφ ύπάρχει· μέγεθος γάρ τι εχει), τούτου δε το κύκλφ μόνον συνεχές, ίόστε αύτο αύτφ αει συνεχές. Τουτο &ρα έστιν δ ποιε1 συνεχfl κίνησιν, το κύκλφ σωμα φερόμενον· ή δε κίνησις τον χρόνον.

Περi γενέσεως καi φθορiiς Β 273

11. Έπει δ' έν τοις συνεχως κι νουμένοις κατα γένεσι ν η αλλοίωσιν η ολως μεταβολην όρωμεν το έφεξflς ον και [337b] γινόμενον τόδε μετα τόδε ίόστε μη διαλείπειν, σκεπτέον πότερον εστι ο τι έξ ανάγκης εσται, η ούδέν, αλ­λα πάντα ένδέχεται μη γενέσθαι. 'Ότι μf:ν γαρ ενια, δflλον, και εύθuς το εσται και το μέλλον ετερον δια τουτο· δ μf:ν γαρ αληθf:ς εiπε1ν οτι εσται, δει τουτο εϊναί ποτε αληθf:ς οτι εστιν· δ δf: νυν αληθf:ς εiπε1ν οτι μέλλει, ούδεν κωλύει μη γενέσθαι· μέλλων γαρ &.ν βαδίζει ν τις ούκ &.ν βαδίσειεν. 'Όλως δ', έπειδη ένδέχεται ενια των οντων και μη είναι, δflλον οτι και γινόμενα οϋτως εξει, και ούκ έξ ανάγκης τουτ· εσται. [10] Πότερον οδν aπαντα τοιαυτα η ou, αλλ' ενια αναγκα1ον άπλως γίνεσθαι, και εστιν όSσπερ έπι του είναι τα μεν αδύνατα μη είναι τα δε δυνατά, οϋτως και πε­ρι την γένεσι ν; οlον τροπας aρα ανάγκη γενέσθαι, και ούχ οlόν τε μη ένδέχεσθαι;

Ei δη το πρότερον ανάγκη γενέσθαι, εί το ϋστερον εσται, οlον εί οίκία, θεμέλιον, εi δf: τουτο, πηλόν, aρ' οδν και εί θεμέλιος γέγονεν, ανάγκη οiκίαν γενέσθαι; η ούκέ­τι, εί μη κακε1νο ανάγκη γενέσθαι άπλως; εί δf: τουτο, α­νάγκη και θεμελίου γενομένου γενέσθαι οίκίαν· οϋτω γαρ 11ν το πρότερον εχον προς το ϋστερον, ίόστ' εί έκε1νο εσται, ανάγκη έκε1νο [20] πρότερον. Ei τοίνυν ανάγκη γε­νέσθαι το ϋστερον, και το πρότερον ανάγκη, και εί το πρότερον, και το ϋστερον τοίνυν ανάγκη, αλλ' ού δι' έ­κε1νο, αλλ' οτι ύπέκειτο έξ ανάγκης έσόμενον. Έν οlς &ρα το ϋστερον ανάγκη είναι, έν τούτοις αντιστρέφει, και αει του προτέρου γενομένου ανάγκη γενέσθαι το ϋστερον. Εί μf:ν οδν είς &πειρον εϊσι ν έπι το κάτω, ούκ εσται ανάγκη των ϋστερον τοδι γενέσθαι άπλως, αλλ' έξ ύποθέσεως αει γαρ ετερον εμπροσθεν ανάγκη εσται, δι' δ έκε1νο ανάγκη γενέσθαι. "Ωστ' εί μή έστιν αρχη του απείρου, ούδf: πρωτον εσται ούδf:ν δι' δ αναγκα1ον εσται γενέσθαι. 'Αλλα [30] μην ούδ' έν τοις πέρας εχουσι τουτ' εσται είπε1ν α­ληθως, οτι άπλως ανάγκη γενέσθαι, οlον οίκίαν, οταν θεμέ­λιος γένηται. οταν γαρ γένηται, εί μη αει τουτο ανάγκη

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274 'Αριστοτέλους

γίνεσθαι, συμβήσεται άει είναι ένδεχόμενον μη άει είναι. 'Αλλa δεΊ τi;j γενέσει άει είναι, εί έξ άνάγκης αuτοu έστι ν ή γένεσις το γaρ έξ άνάγκης και άει aμα· δ γaρ είναι ά­νάγκη [338a] ούχ οίόν τε μη είναι. οοστ' εi εστι ν έξ ά­νάγκης, άίδιόν έστι, και εί άίδιον, έξ άνάγκης. και εί ή γέ­νεσις τοί νυν έξ άνάγκης, άίδιος ή γένεσις τούτου, και εί όίδιος, έξ άνάγκης. Εί aρα τινος έξ άνάγκης άπλως ή γένε­σις, άνάγκη άνακυκλεΊν και άνακάμπτειν. 'Ανάγκη γaρ f]τοι πέρας εχει ν την γένεσι ν η μή, και εί μή, η είς εύθu η κύκλφ. Τούτων δ' ε'ίπερ εσται άίδιος, οuκ είς εύθu οίόν τε διa το μηδαμως είναι άρχήν, μήτ' aν κάτω έπι των έσο­μένων λαμβανομένων, μήτ' aν aνω έπι των γενομένων· ά­νάγκη δ' είναι άρχήν· [10] μήτε πεπερασμένης οϋσης, άί­διον είναι· διο άνάγκη κύκλφ είναι.' Αντιστρέφειν aρα ά­νάγκη εσται, οίον εί τοδι έξ άνάγκης, και το πρότερον aρα· άλλa μην εί τοuτο, και το ϋστερον άνάγκη γενέσθαι. και τοuτο άει δη συνεχως ούδεν γaρ διαφέρει λέγειν διά δύο η πολλων. Έν τi;j κύκλφ aρα κινήσει και γενέσει έστι το έξ άνάγκης άπλως και ε'ί τε κύκλφ, άνάγκη εκαστον γί­νεσθαι και γεγονέναι, και εί άνάγκη, ή τούτων γένεσις κύκλφ. Ταuτα μεν δη εuλόγως, έπεt άίδιος και aλλως έ­φάνη ή κύκλφ κίνησις και ή του ούρανου, οτι ταuτα έξ ά­νάγκης γίνεται και εσται, οσαι [338b] ταύτης κινήσεις και οσαι διa ταύτην· εί γaρ το κύκλφ κι νούμενον άεί τι κινεΊ, άνάγκη και τούτων κύκλφ είναι την κίνησιν, οίον της aνω φορaς οϋσης ό iiλιος κύκλφ ώδί, έπει δ' οϋτως, αί οοραι διa τουτο κύκλφ γίνονται και άνακάμπτουσιν, τούτων δ' οϋτω γινομένων πάλιν τa ύπο τούτων.

Τί οuν δή ποτε τά μεν οϋτω φαίνεται, οίον ϋδατα καt άηρ κύκλφ γινόμενα, και εί μεν νέφος εσται, δεΊ δσαι, και εί ϋσει γε, δεΊ και νέφος είναι, aνθρωποι δε και ζ(j)α οuκ άνακάμπτουσιν είς αύτοuς οοστε πάλιν γίνεσθαι τον αύτόν; Ού [10] γaρ άνάγκη, εί ό πατηρ έγένετο, σε γενέσθαι· άλλ' εί σύ, έκεΊνον· είς εuθu δε εοικεν είναι αϋτη ή γένεσις. 'Αρχη δε της σκέψεως πάλιν αϋτη, πότερον όμοίως aπαντα άνακάμπτει η οϋ, άλλa τa μεν άριθμ(j) τa δε ε'ίδει μόνον.

Περί γενέσεως καi φθορaς Β 275

'Όσων μεν οδν aφθαρτος ή ούσία ή κι νουμένη, φανερον οτι και άριθμ(j) ταύτa εσται (ή γaρ κίνησις άκολουθεΊ τ(j) κι­νουμένφ), οσων δε μη άλλa φθαρτή, άνάγκη τφ ε'ίδει, άρι­θμ(j) δε μη άνακάμπτειν. Διο ϋδωρ έξ άέρος και άηρ έξ ϋδατος ε'ίδει ό αύτός, ούκ άριθμ(j). Εί δε και ταuτα άριθμ(j), άλλ' ούχ ων ή ούσία γίνεται οδσα τοιαύτη οϊα ένδέχεσθαι μη είναι.

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1

'111

I

Page 145: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

Indice degli autori antichi e moderni

Aezio: 106n., 198. Agostino Nifo: 279. Alberto di Sassonia: 279. Alberto Magno: 279. Alessandro di Afrodisia: 13 e

n., 16n., 129, 130n., 147n., 278.

Algra K.: 26n., 36n., 122n., 127n., 134n., 135n., 279.

Anassagora: 21, 104 e n., 105 e n., 106 e n., 206n.

Anassimandro: 66, 74. Andronico di Rodi: l ln. Annas J.: 81n., 280. Anonimo Vita Menagiana:

11. Anonimo MXG. 106n. Anton J.P.: 20n., 67n., 280,

286. Apollonio Rodio: 175n. Atomisti: 21, 23, 24, 52, 53,

54 e n., 55, 56, 57, 58, 60, 62, 63, 90, 91, 92, 111 e n., 113 e n., 114n., 115, 140n., 161, 163n., 164, 165n., 167n.

Averroé: 21 ln., 279. Balme D.M.: 280. Barbone S.: 280. Barbotin E.: 157. Barr R.R.: 40n., 280. Bastit M.: 8ln., 280. Bausola A.: 94n., 287. Bekker E.: 97 e n., 98, 101,

164n., 277. Berti E.: 21n., 53n., 280, 289. Besnier B.: 1 ln., 16n., 29n.,

280. Bogen J.: 20n., 280. Bolton R.: 58n., 284, 286. Bostock D.: 280. Braakhuis H.A.G.: 283, 288. Brague R.: 29n., 135n., 280. Brams J.: 286. Brisson L.: 67n., 281. Broadie S.: 36n., 40n., 136n.,

281. Bruns I.: 278. Brunschwig J.: 1 ln., 14n., 16

e n., 17 e n., 18, 22n., 103 e n., 104n., 105n., 106n., 107n., 281.

Burnyeat M.F.: 281. Capizzi A. : 289. Cardullo R.L.: 29n., 281,

284, 285. Casertano G.:. 129n., 281. Caston V.: 21n., 286. Cencillo L.: 35n., 281. Charles D.: 36n., 88n., 281,

287. Charlton W.: 35n., 282. Cherniss H.: 81n., 129n., 282. Chung-Hwan Chen: 28n.,

282. Claghorn G.S.: 282. Code A.: 35n., 139n., 282. Cohen Sh.M.: 35n., 282. Cooper J.M.: 61n., 282. Couloubaritsis L.: 282. Cristofolini P.: 277. Crubellier M.: 170n., 171n.,

283.

Page 146: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

292 Indice degli autori

D'Ancona C.: 68n., 283, 284, 289.

Dancy R.: 35n., 283. De Gandt F.: 1 ln., 29n., 280,

281. de Haas F.: 14n., 23n., 26n.,

36n., 47n., 52n., 58n., 6ln., 139n., 156n., 170n., 279, 281, 282, 283, 284, 285, 287, 288, 289.

Delruelle É.: 282. Democrito: 17n., 50, 51, 55,

61, 91, 92, 104, 105, 111, 113, 114, 117n., 156, 161, 166, 171.

Devereux D.: 281. Diogene di Apollonia: 153 e

n. Diogene Laerzio: 12 e n., 13. Doninelli A.: 283. Diiring I.: 12n., 283. Durling R.: 283. Egidio Romano: 279. Eichner H.: 279, 283. Eleati: 21 n., 25, 26, 53, 54. Empedocle: 18, 21, 22 e n.,

52, 53, 54 e n., 55, 58, 60, 62, 63, 65, 74, 75, 76, 87, 90, 91, 104, 105, 106, 107n., 108 e n., 109 e n., llOn., 157n., 161, 163 e n., 164 e n., 180, 181, 185, 194, 196 e n., 197 e n., 198, 199,200,201,213n.

Empedoclei: 22n., 53, 55, 74, 91, 106, 107n.

Eraclide Pontico: 53. Esichio: 12. Euclide: 1 l 9n.

Fazzo S.: 68n., 283. Ferejohn M.: 80n., 284. Filistione: 53. Filopono: 13, 16n., 19, 23n.,

26, 32n., 44n., 47 e n., 54n., 68n., 74n., 76n., 78n., 79, 103n., 104n., 105n., 106n., 11 ln., 114n., 120n., 122n., 129n., 130n., 133n., 136n., 138n., 139n., 141n., 143n., 147n., 149n., 150n., 15ln., 152n., 153n., 174n., 186n., 195n., 205n., 206n., 211n., 212n., 278, 279.

Fine K.: 58n., 284. Forster E.S.: 277, 278. Franco Repellini F.: 35n.,

284. Frede D.: 58, 284. Frede M.: 284. Furley D.: 284. Gannagé E.: 278, 284. Germain P.: 284. Giannantoni G.: 198, 277,

284. Giardina G.R.: 28n., 29n.,

35n., 38n., 41n., 49n., 59n., 65n., 69n., 72n., 73n., 79n., 81n., 84n., 88n., 103n., 128n., 135n., 156n., 182n., 210n., 21ln.,281, 284, 285.

Gill M.L.: 40n., 285, 287. Gohlke P.: 12 e n., 278, 285. Goulet R.: 1 ln., 280, 287. Graham D.W.: 21n., 35n.,

285, 286. Happ H.: 36n., 285. Harris C.R.S.: 285. Heinaman R.: 44n., 285.

Indice degli autori 293

Heitz E.: 12 e n., 285. Hossfeld P.: 279. Hussey E.: 52n., 285. Irigoin M.J.: 97n., 285. Jaulin A.: 79n., 206n., 285. Joachim H.H.: 35n., 46n.,

54n., 58n., 65n., 75n., 76n., 97 e n., 98, 99, 100, 101, 103n., 104n., 105n., 106n., 109n., llOn., 113n., 115n., 117n., 118n., 120n., 122n., 134n., 140n., 141n., 142n., 144n., 148n., 149n., 150n., 151n., 152n., 154n., 157n., 162n., 164n., 165n., 166n., 167n., 169n., 171n., 175n., 177n., 179n., 184n., 186n., 188n., 191n., 192n., 195n., 196n., 197n., 203n., 204n., 205n., 21 ln., 212n., 213n., 215n., 217n., 277, 278, 285.

Jones B.: 35n., 285. Judson L.: 282. Judycka J.: 285. King H.R.: 35n., 286. King R.A.H.: 286. Kostman J.: 29n., 286. Kuhl H.: 286. Kupreeva I.: 13n., 139n., 279,

286. Kurland S.: 279, 286. Kustas G.: 67n., 286. Laks A.: 286. Lee E.N.: 67n., 180, 286. Leszl W.: 36n., 286. Leucippo: 104, 105, 111,

113, 161,162, 163, 164, 165 en., 166.

Lewis F.: 58n., 284, 286.

Lloyd G.E.R.: 139n., 286. Mansfeld J.: 14n., 21n., 23n.,

26n., 36n., 47n., 52n., 58n., 61n., 139n., 156n., 170n., 279, 281, 282, 283, 284, 285,286,287,288,289.

Mansion A.: 12, 13n., 286. Manuli P.: 286. Mau J.: 287. Melisso: 126n. Migliori M.: 1 ln., 13n., 14n.,

16n., 17, 35n., 54n., 65n., 66n., 67n., 94n., 97n., 98, 101, 103n., 107n., 113n., 117n., 118n., 120n., 122n., 128n., 133n., 139n., 142n., 144n., 147n., 150n., 153n., 157n., 167n., 170n., 175n., 179n., 185n., 194n., 211n., 212n., 217n., 277, 287.

Mondolfo R.: 289. Monnoyeur F.: 67n., 281. Moraux P.: 12n., 13 e n.,

14n., 21n., 98n., 280, 287, 289.

More! P.M.: 29n., 280. Mugler Ch.: 12n., 14n., 15n.,

75n., 98, 99, 103n., 104n., 109n., 11 On., 113n., 117n., 118n., 122n., 133n., 142n., 152n., 154n., 156n., 157n., 162n., 164n., 165n., 167n., 170n., 171n., 175n., 177n., 184n., 186n., 192n., 195n., 197n., 205n., 277, 278.

Natali C.: 46n., 152n., 153n., 287.

Nicola di Damascio: 16n. O'Brien D.: 75n., 166n., 287.

....... ,,,,,,,

I

1l

Page 147: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

294 Indice degli autori

Olimpiodoro di Alessandria: 278.

Parmenide: 65, 126n., 129 e n., 130n., 185.

Pellegrin P.: 92n., 281, 283, 287.

Peters F.E.: 278. Picot J.C.: 287. Pirenne-Delforge V.: 282. Pitagorici: 76, 140n. Platone: 17n., 20, 21, 23 e n.,

24n., 36, 54, 58, 60, 62, 65 e n., 66 e n., 67, 80, 90, 93, 106n., 111, 113, 114, 117n., 122n., 123n., 140n., 150n., 161, 164, 165 e n., 167n., 176n., 180, 185, 191,206e n., 207n., 213n.

Platonici: 21, 36, 38, 90, 13 ln.

Plutarco di Cheronea: 106n. Prantl C.: 97 e n., 98, 277,

278. Presocratici: 20, 21, 93, 129n. Rashed M.: 16n., 22n., 33n.,

34n., 35n., 53,54n., 60, 65n., 74, 84n., 86n., 91 e n., 97, 98 e n., 99 e n., 100, 101, 103n., 104n., 105n., 106n., 108n., 112n., 113n., 117n., 118n., 120n., 122n., 124n., 125n., 128n., 130n., 132n., 133n., 134n., 135n., 139n., 142n., 143n., 148n., 149n., 151n., 152n., 153n., 157n., 161n., 162n., 163n., 164n., 165n., 166n., 167n., l 70n., 17 ln., 175n., 177n., 179n., 186n., 187n., 19ln.,

194n., 195n., 196n., 197n., 202n., 205n., 21 ln., 213n., 215n., 217n., 277, 278, 287, 289.

Reale G.: 94n., 287. Robinson H.M.: 35n., 287. Romano F.: 53n., 280. Ross W.D.: 97n., 215n., 278. Russo A.: l 70n., 277. Scaltsas T.: 80n., 284, 287. Sedley D.: 23n., 1l7n., l l 8n.,

288. Seeck G.A.: 288. Serra G.: 68n., 99n., 124n.,

125n., 283, 284, 288, 289. Simplicio: 13. Sokolowski R.: 35n., 288. Solmsen F.: 35n., 288. Sorabji R.: 288. Souffrin P.: l ln., 29n., 280,

281. Spiazzi R.M.: 279. Striker G.: 284. Taylor C.C.W.: 288. Temistio: 13, 278. Teofrasto: 166n. Tessier A.: 99n., 288. Thijssen J.M.M.H.: 283, 288. Todd R.B.: 278, 288. Tolemeo peripatetico: 12, 15. Tommaso d'Aquino: 122n.,

138n., 139n., 145n., 150n., 15ln., 154n., 205n., 21 ln., 279.

Tricot J.: 107n., 122n., 156n., 157n., 175n., 177n., 197n., 205n., 278.

Turnbull R.G.: 206n., 289.

Indice degli autori 295

Vanhamel W.: 286. Vegetti M.: 286, 289. Verdenius W.J.: 277. Vitelli H.: 278. Vuillemin-Diem G.: 98n.,

289. Waszink J.H.: 277. Waterlow S.: 29n., 289. West M.L.: 112n., 289.

Wieland W.: 128n., 289. Wildberg C.: 156n., 289. Williams C.J.F.: 22n., 26n.,

35n., 136n., 141n., 152n., 278, 279, 289.

Zabarella G.: 152n., 279. Zeller E.: 12, 35n., 289. Zonta M.: 289.

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Page 148: Aristotele Sulla Generazione e la Corruzione

Finito di stampare nel mese di febbraio del 2013

dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l., 00040 Ariccia (RM)- via Quarto Negroni, 15

per conto della «Aracne editrice S.r.L» di Roma


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