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ARTE & FILOSOFIA II a cura del prof De Marzo La difficoltà del rapporto tra arte e filosofia deriva...

Date post: 01-May-2015
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ARTE & FILOSOFIA II a cura del prof De Marzo La difficoltà del rapporto tra arte e filosofia deriva anche dal problema derivante dalla definizione stessa delle due discipline. Si è visto nel documento precedente, come i termini greci non corrispondano sempre alle traduzioni effettuate in contesti successivi. Ma se prendiamo per buona la più classica delle definizioni della filosofia come “amore del sapere”, allora occorrerà valutare se l’arte rientri o meno entro questo sapere. E su questo punto non sussistono dubbi: l’arte è una produzione “umana” che necessita di saperi anch’essi umani, anche se, spesso, di fronte ad alcuni capolavori c’è da chiedersi se non ci si trovi di fronte a qualcosa di sovraumano. Una produzione presuppone una idea (o una ispirazione), che a sua volta può essere determinata da una precisa visione del mondo, della vita, dell’arte stessa, vale a dire da una filosofia, non necessariamente strutturata. È possibile, cioè,
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Page 1: ARTE & FILOSOFIA II a cura del prof De Marzo La difficoltà del rapporto tra arte e filosofia deriva anche dal problema derivante dalla definizione stessa.

ARTE & FILOSOFIA IIa cura del prof De Marzo

La difficoltà del rapporto tra arte e filosofia deriva anche dal problema derivante dalla definizione stessa delle due discipline. Si è visto nel documento precedente, come i termini greci non corrispondano sempre alle traduzioni effettuate in contesti successivi. Ma se prendiamo per buona la più classica delle definizioni della filosofia come “amore del sapere”, allora occorrerà valutare se l’arte rientri o meno entro questo sapere. E su questo punto non sussistono dubbi: l’arte è una produzione “umana” che necessita di saperi anch’essi umani, anche se, spesso, di fronte ad alcuni capolavori c’è da chiedersi se non ci si trovi di fronte a qualcosa di sovraumano.Una produzione presuppone una idea (o una ispirazione), che a sua volta può essere determinata da una precisa visione del mondo, della vita, dell’arte stessa, vale a dire da una filosofia, non necessariamente strutturata. È possibile, cioè, partendo da un’opera d’arte, risalire al pensiero che in qualche modo l’ha determinata ed è possibile anche pensare ad un’opera d’arte che possa in qualche modo realizzare un pensiero filosofico. È quanto si cercherà di fare in questa sede

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L’ANGOSCIA ESISTENZIALEL’Urlo di Munch L’Angoscia di Kierkegaard

Secondo Soren Kierkegaard, un filosofo del XIX secolo, la modernità è caratterizzata da un profondo senso di angosciaangoscia. Sembrerà paradossale, ma a determinare questo stato d’animo secondo l’autore è la libertà, di cui l’uomo gode più che in passato. Come è possibile? L’uomo, sempre più emancipato, si è di fatto liberato dai numerosi condizionamenti, religiosi e morali in primo luogo, e così ora si trova solo. Ma la vita gli impone di continuo delle scelte, dei veri e propri “aut aut”, di fronte ai quali l’uomo si paralizza. Fermo ad un punto zero punto zero l’uomo moderno svela tutta la sua fragilità, la propria angoscia esistenziale, svelando anche il senso più profondo del progresso, che oltre a mietere successi, miete di continuo vittime.

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L’uomo ritratto da Munch non è questo o quell’uomo, non è un uomo particolare, ma “universale”: è l’umanità che si trova sola con se stessa. Una umanità che soffre, che si dispera e che urla. Ed è proprio l’urlo a determinare uno stravolgimento pressoché totale delle forme, dei colori, del contesto. Le onde sonore si propagano tutte intorno, facendo in modo che il contesto stesso partecipi al dolore dell’uomo. Munch non presenta la realtà come si presenta ai nostri sensi, ma quella particolare realtà che è dentro di noi, nella nostra anima. Scrive lo storico dell’arte Benemia:

“Il suo pitto-segno, ondulato e fluttuante, non cerca una definizione naturalistica della realtà, piuttosto ne ricerca le dinamiche interiori che in una continua espansione, determinano quello che poi ne costituisce l'essenza”

MUNCH – KIERKEGAARD

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Il Bacio di Munch

Anche questo dipinto è di Munch, ma probabilmente trasmette ben altri sentimenti a chi lo guarda. Ma se lo si osserva con attenzione, si scopre una realtà non molto diversa da quella del dipinto precedente. Siamo infatti di fronte al medesimo sfaldamento delle forme e anche i colori non paiono naturali. Vi è poi quello sfondo, che incute quasi un senso di vertigine a tutto il contesto. E poi l’abbraccio tra l’uomo e la donna. Si tratta davvero di amore? O non è forse un gesto disperato, quasi come se fosse l’ultimo? Non vi è sensualità in questo quadro, ma solo disperazione, angoscia. I corpi non si stanno disponendo per l’accoppiamento, ma per l’ultimo viaggio: ricordano quasi i deportati dell’ultima guerra, anch’essi nudi, prima di finire nei forni crematori nazisti.

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IL ROMANTICISMOIl Bacio di Hayez Ben altro clima si respira in

questo quadro. Qui si che siamo di fronte alla passione e alla sensualità. Non vi sono sfondi vertiginosi e i colori sono tenui e ben appaiati. Siamo di fronte alla celebrazione romantica dell’amore, come effusione di corpi, come passione, come tensione verso l’infinito. La modernità è ancora lontana e il mondo si culla nelle proprie illusioni. Per i romantici l’amore replica il mistero della creazione, è un atto divino.

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IL BELLO E IL SUBLIMEMa la visione del mondo romantica è a suo modo drammatica. Animati dall’ansia di penetrare a fondo le cose, di conquistare l’infinito, di superare ogni barriera, il romantico conduce una vita di battaglie, tutte regolarmente perse. Ecco allora che celebrare il bello non può bastare. Occorre andare oltre la realtà fenomenica e conquistare quella noumenica, conquistare il sublime. D’altro canto, la bellezza rende quieto l’animo umano e dunque poco si presta ad un animo inquieto come quello romantico. E a rafforzare tale tensione è proprio la visione e la conquista del sublime, vale a dire della sproporzione esistente tra la natura e l’uomo, tra l’obiettivo che il romantico si pone e le sue effettive possibilità di raggiungerlo.

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IL SUBLIMELa Tempesta di Turner Il sublime si genera allorquando

l’uomo si trova di fronte o a elementi naturali estremamente grandi, come il cielo stellato o l’orizzonte del mare, che danno l’idea dell’infinito, oppure a forze estremamente potenti, come un temporale che si avvicina, un’eruzione vulcanica, una tempesta, come quella dipinta da Turner. Se il bello si contempla, il sublime si vive. Se l’uomo moderno di Kierkegaard e Munch si dispera perché costretto a scegliere, l’uomo romantico si paralizza di fronte al terribile e affascinante spettacolo della natura. Non un grido di disperazione, ma di lotta. Il romantico non si arrende mai, se non di fronte alla morte, che è sempre un atto eroico e mai un gesto di disperazione

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L’IPERURANIO

kandinskij Un quadro come questo forse sarebbe piaciuto a Platone e magari l’avrebbe convinto circa la validità dell’arte pittorica. Perché in questo quadro non vi è alcuna “copia della copia”, ma solo delle forme geometriche, le medesime che dovrebbero trovarsi nell’Iperuranio, il regno delle idee che non muoiono mai.

Nell’antica Grecia come oggi e come domani, un triangolo resterà sempre un triangolo e un cerchio sempre un cerchio ....

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NIETZSCHE

Nessun autore più di Nietzsche ha saputo cogliere il senso della tragedia presente nel mondo occidentale. Nato nella seconda metà dell’Ottocento, l’autore muore significativamente proprio nel 1900, il secolo delle grandi tragedie collettive. “Dio è morto!”, scriveva Nietzsche. E tuttavia tale affermazione non era affatto un atto di denuncia. Egli infatti celebra la morte di Dio come la fine di tutte le illusioni sulle quali si è cullato l’uomo occidentale. Ma quando l’uomo ha iniziato a illudersi, quando – per usare le sue stesse parole – è iniziata la tragedia?

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DIONISO ED APOLLO

Nell’Antica Grecia, ben prima dei filosofi che l’Occidente eleggerà come suoi profeti, Socrate, Platone ed Aristotele, l’uomo greco viveva in perfetta simbiosi con la natura, considerandosi a tutti gli effetti un essere naturale. E, come la natura, l’uomo era convinto di presentare un aspetto razionale ed uno caotico, rispettivamente rappresentati da due divinità: Apollo e Dioniso. Per un certo periodo i due dei hanno vissuto in perfetta armonia. L’uomo accettava di essere, nello stesso tempo , un essere razionale e un essere animale. Ma poi ...

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... Poi sono arrivati Socrate e Platone e tutto è cambiato e molto rapidamente. A dire il vero il mutamento comincia a manifestarsi alcuni secoli prima, ma è con i due filosofi di Atene che l’Occidente intraprende la via della tragedia. Allorquando, cioè, si teorizza l’esistenza di una parte del nostro essere migliore che si contrappone all’altra: l’ANIMA. Un’anima che si vuole prigioniera di un corpo votato alla soddisfazione degli istinti più bassi. Ecco allora che si impone una nuova morale: la MORALE SACERDOTALE. Si tratta di una vera e propria rivoluzione dei valori. È nella retta via colui che coltiva l’anima, nel peccato chi soddisfa il proprio corpo. I forti, i carismatici, i belli, i cavalieri soccombono in tal modo ai deboli, coloro che, non essendo stati favoriti dalla natura covano un profondo odio nei suoi confronti. Con il Cristianesimo è fatto obbligo ai primi di pentirsi davanti ai secondi. L’Occidente ha imboccato l’a strada della decadenza.

LA MORALE SACERDOTALE

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DIO E’ MORTO!Ma fortunatamente il progresso scientifico, la secolarizzazione, la laicizzazione della società hanno progressivamente riportato indietro le lancette dell’orologio: Dio è morto! Muore cioè la morale sacerdotale, tutto quell’apparato di menzogne (dio compreso) che sono servite all’uomo per credere che la vita abbia un fine, che il caos non esista, che tutto debba essere perfettamente ordinato. Perché i deboli non possono che vivere in un simile mondo, a differenza dei forti, i figli della natura, gli unici a potere sopportare il caos, a vivere in un vuoto assoluto in cui ricostruire una nuova scala di valori. Sono i superuomini o meglio gli oltre uomini, capaci di sopportare l’assenza di dio, di vivere senza dio e di riappacificarsi con la natura da cui provengono. Si torna a ballare, a bere, a fare l’amore ... Le foglie di fico messe sui genitali rappresentanti in dipinti, affreschi e sculture cadono: per la morale è tempo d’autunno, per quella cavalleresca inizia una nuova primavera.

Page 13: ARTE & FILOSOFIA II a cura del prof De Marzo La difficoltà del rapporto tra arte e filosofia deriva anche dal problema derivante dalla definizione stessa.

L’ETERNO RITORNOSe Dio è morto, allora non esiste un inizio e non esiste una fine. Tutto torna a seguire il normale ciclo della natura. Il tempo è un eterno ritorno dell’eguale: le stagioni si alternano, le maree si alternano. Ci sono le fasi lunari e le fasi del Sole e di Venere. Tutto ruota, tutto ritorna. La natura è una eterna danza come quella raffigurata in questo quadro

La morte di Dio rappresenta dunque un ritorno alle origini della civiltà occidentale, quando l’uomo viveva in simbiosi con il proprio corpo e la propria ragione e non provava vergogna né per l’una né per l’altra. Quando l’uomo dava libero sfogo alla propria vena artistica, non preoccupandosi della censura religiosa, politica o filosofica. Nietzsche celebra l’arte come forse nemmeno i romantici sono stati in grado di fare. L’arte è l’essenza stessa della natura e non conosce regole.

Page 14: ARTE & FILOSOFIA II a cura del prof De Marzo La difficoltà del rapporto tra arte e filosofia deriva anche dal problema derivante dalla definizione stessa.

FREUD E IL SURREALISMOSulla scia di Nietzsche, Freud mette in luce i costi della civiltà. L’uomo è continuamente dilaniato da una battaglia che si combatte dentro il suo cervello, quella tra le sue pulsioni e le esigenze del vivere civile. E di questa battaglia ne è completamente all’oscuro. È la scoperta dell’INCONSCIO, che apre la strada alla rivoluzione psicoanalitica.

L’uomo non “uno”. Dentro di sé esiste una parte che rappresenta quasi i due terzi del suo essere: l’Inconscio. Noi siamo quasi come un Iceberg, mostriamo solo una minima parte di quello che siamo. Il resto lo nascondiamo, agli altri come a noi stessi. Perché mostrare quella parte significherebbe entrare in conflitto con le leggi, le consuetudini, la morale, la religione della nostra civiltà. Ma esiste un momento in cui siamo meno vigili, in cui gli agenti della civiltà si riposano. Quello è il momento per il nostro Es, per il “calderone ribollente di impulsi” di emergere dall’oscurità: il SONNO.

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I SOGNI

Il surrealismo è l’espressione del nostro inconscio, esattamente come lo sono i nostri sogni. Non è altra cosa rispetto alla realtà, ma qualcosa che va oltre la realtà quotidiana, quella recepita dal nostro conscio.

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IL TEMPONel sonno il tempo come noi lo concepiamo quando siamo desti viene meno, letteralmente si squaglia.

Ecco perché un sogno è in grado anche di raccontarci una storia lunghissima. Poi ci svegliamo e ci rendiamo conto che di tempo, quello della vita reale, ne è passato ben poco.Il sogno rivela le nostre passioni nascoste, i nostri desideri, le nostre aspirazioni frustrate da una civiltà che ci costringe di continuo ad indossare maschere con le quali ci mimetizziamo insieme al resto dell’umanità, come ben rappresentato dalle commedie di Pirandello.


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