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Autori per l’educazione€¦ · modo di una macchina biologica (come nella visione pessimistica...

Date post: 07-Nov-2020
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Autori per l’educazione

collana diretta da Sabina Fadel e Alberto Vela

Volumi piccoli e preziosi per affrontare da più prospettive il tema dell’educazione. Più autori, specialisti ognuno nel proprio ambito, offrono e stimolano riflessione e confronto su possibili percorsi di for­mazione, allo scopo di «promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, in quanto soggetto di relazione, secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 15).

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Domenico cravero

EducarE il dEsidErio

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ISBN 978-88-250-2981-9ISBN 978-88-250-3101-0 (PDF)ISBN 978-88-250-3102-7 (EPUB)

Copyright © 2012 by P.P.F.M.C.MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO - EDITRICEBasilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padovawww.edizionimessaggero.it

PRIMA EDIZIONE DIGITALE 2012

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IntroduzIone

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo. Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l’ha comperata.

(Mt 13,44-46)

Un bracciante agricolo che lavora in un campo che non gli appartiene, un ricco mercante che possiede ne-gozi e filiali… Non sono in realtà questi due personaggi i protagonisti delle parabole. Lo è piuttosto il desiderio che si impadronisce del contadino e del mercante, li af-fascina, li afferra, li trascina. Il desiderio che agisce in loro li dirige ad azioni che altri considererebbero scon-siderate, azzardate, pazze: vendere tutto, esporsi al mas-simo rischio pur di possedere un oggetto di desiderio.

Per i nostri due protagonisti, invece, è questione della massima intelligenza: cogliere un’occasione straordi-naria che non si verificherà più nella loro vita. Il valore del tesoro scoperto è incalcolabile, il sacrificio assoluto richiesto è, al confronto, più che giustificato.

Che cosa non si fa oggi per avere soldi e proprietà, per acquisire segni di distinzione come gioielli e macchine

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di lusso, mezzi di comunicazione sofisticati e sempre all’avanguardia!

Si tratta di intelligenza? C’è da dubitarlo.Per ottenere tutto e di più si rasenta la nevrosi; lo

stress invalida la probabilità del godimento, le cose di-ventano spesso la dimensione unica e assoluta della vita.

Il pensiero moderno ci ha ormai abituati a centrare tutto sul presente, a calcolare ogni azione con il metro dell’utilità individuale, a separare il dovere dal piacere, a disgiungere il vero dal buono e dal bello (cap. 1, La società dei desideri).

Le società sì evolvono e diventano più razionali, nell’impossibile compito di governare una complessità crescente. La spontaneità cede il passo alla burocrazia, il linguaggio simbolico s’impoverisce, le manifestazioni emotive si esprimono dentro territori limitati, strappati a un controllo sociale invasivo e onnipresente. È il prez-zo della civilizzazione. La nostra è stata giustamente chiamata la «società del controllo» (G. Deleuze), perché sono sempre meno gli spazi lasciati alla spontaneità e sempre più estesi e complicati i codici da conoscere e le etichette da osservare per essere introdotti a pieno diritto a goderne i beni. Secondo una strana somiglianza con il linguaggio ascetico, si parla di disciplina a cui occorre sottomettersi per raggiungere i risultati proposti. Solo continuando decisi e ostinati nel proprio proposito – si ripete con insistenza –, solo impegnandosi con regolarità

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e metodo, potranno essere raggiunti i risultati sperati. D’altra parte la posta in gioco è considerata nobile e de-gna: la liberazione del desiderio. (cap. 2, Essere o avere? Desiderare).

Il desiderio è divenuto così paradossale: si pone il go-dimento a scopo della vita e ci si ritrova sempre meno soddisfatti; ci si crede edonisti e non si sa più cosa sia il buon gusto; si esaltata la prestazione e la sua ansia uccide il piacere. La sessualità è divenuta sesso, il rapporto con le cose consumo, l’approccio alla natura sfruttamento.

Per comprendere e vivere il desiderio bisogna lasciar-si dietro le spalle questi schemi culturali e riscoprire un senso nuovo dell’umano che non divida più la felicità dalla verità e dalla giustizia (cap. 3, Il desiderio para­dossale).

Il tesoro nel campo e la perla preziosa vogliono rap-presentare una pienezza di bene senza limiti, tanto da rendere logica la rinunzia al resto. È richiesta però una condizione: che la passione del cercatore si lasci gui-dare dall’intelligenza. L’educazione del desiderio è di-sposizione dell’intelligenza, esercizio del suo «fiuto» nel distinguere ciò che vale e conta, perspicacia circa la qualità del vero, del buono e del bello. Ne era convinto l’antico re Salomone, consapevole del contrasto esistente tra la sua inesperienza e la grandezza del compito cui si sentiva chiamato. Egli non chiese al Signore né lunga vita, né ricchezza, né il trionfo personale, ma un cuore

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in ascolto, capace di discernere tra bene e male, di giu-dicare saggiamente. La persona umana si rivela grande, infatti, non per ciò che possiede ma per ciò di cui manca e della cui assenza il desiderio è sintomo e domanda. Esiste, iscritto nella carne umana e nelle sue pulsioni, un criterio affidabile per interpretare i desideri e ascoltarli nella loro verità? È possibile superare la frantumazione che dissolve la persona in una miriade di stati d’animo, di situazioni psicologiche, di aspirazioni e desideri con-traddittori? Sono necessarie rinuncia e ascesi? L’eserci-zio della disciplina è sufficiente?

La sessualità è il corpo-anima dove il desiderio si la-scia percepire nella sua massima intensità. Può anche essere il luogo in cui il desiderio impara a non lasciarsi imbrigliare dai vincoli dell’autoinganno, per accedere a un’autentica esperienza di liberazione (cap. 4, Il deside­rio e la carne).

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capitolo i

LA socIetà deI desIderI

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Che cosa è il desiderio? Fin dai suoi inizi il pensiero umano si è posto la domanda. Aristotele lo ha definito «l’appetizione di ciò che è piacevole»1. Il filosofo Hei-degger lo ha invece connesso con la natura umana carat-terizzata dal suo «essere per le possibilità». Il desiderio sarebbe quindi l’espansione delle possibilità umane. La psicanalisi freudiana lo ha definito come uno stato di inquietudine interiore, teso a evitare la frustrazione e a ottenere il massimo di gratificazione e di piacere.

Il percorso del desiderio tenderebbe a ripercorrere le tracce inconsce dei ricordi infantili, ma sarebbe condan-nato a scontrarsi con la dura condizione della realtà, che costringe a differirne la meta finale o a trasformarla e deviarla (la «sublimazione»). Su questa sorta di morti-ficazione del desiderio, Freud fonda anche la sua ipotesi circa l’origine della società. La civiltà iniziò quando le persone impararono a «barattare un po’ di felicità per un po’ di sicurezza»2. Nella descrizione freudiana desiderio (felicità) e amore (sicurezza) tendono così a contrapporsi.

Dove amiamo non proviamo desiderio, e dove lo pro-viamo non possiamo amare3.

La tenerezza, l’intimità, l’affetto sarebbero privi di

1 In N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET, Torino 1971, p. 219.2 S. Freud, Il disagio della società [1929], in Opere, Bollati Borin-ghieri, Torino 1978, p. 602.3 Freud, citato in U. Galimberti, Le cose dell’amore, Feltrinelli, Mi-lano 2004, p. 66.

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desiderio, il quale invece vorrebbe il rischio, l’avventura, il gioco che alimentano solo la passione ma non danno sicurezza.

Il desiderio non saprebbe, in realtà, cosa vuole: nel suo impulso il desiderio non predispone una risposta e non contiene una soluzione. Non si lascia presiedere da al-cuna logica4.

Fortunatamente la persona umana non funziona nel modo di una macchina biologica (come nella visione pessimistica freudiana). Il desiderio ha una sua logica, sia nella sua nascita che nel suo fine.

Il desiderio ha a che vedere con l’amore che non è una formula ma un mistero, non un meccanismo ma un dono.

1 una domanda d’amorE

Ogni desiderio in fondo non vuole che l’amore.Lo si osserva bene nell’alimentazione del bambino.

Non è solo il seno della madre a rappresentare l’intima soddisfazione del bambino. In quanto fonte di nutrimen-to il seno può essere facilmente sostituito. Nei gesti e nei riti della nutrizione avviene altro: la mamma si avvicina con il suo volto, stringe il bambino tra le sue braccia,

4 Ivi, p. 67.

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gli offre il calore del suo corpo, lo avvolge del suo af-fetto. Il bambino riconosce la mamma e si sente rassi-curato e contenuto. Man mano il volto della mamma, la sua presenza, le sue attenzioni, diventano nel piccolo la rappresentazione anticipata della soddisfazione del suo bisogno, quindi l’immagine del godimento e del piacere. Il bambino impara ad apprezzare non solo il cibo, ma più ancora l’affetto e la tenerezza di chi glielo assicura. Gradualmente, alla manifestazione corporea e fisiologi-ca di un bisogno, si accompagna (fino anche a sostituirla) una vera e propria esperienza psichica e spirituale: una domanda d’amore.

La madre può capire la vera domanda e abbracciare il bambino rifiutandogli il cibo [...]. Rimpinzare il bam-bino, soddisfare i suoi bisogni o addirittura prevenirli al di qua e al di là delle sue domande porta a soffocare la domanda d’amore5.

Eppure desiderio e amore agiscono davvero con co-dici diversi, tanto da apparire, a una prima considerazio-ne, inconciliabili. Il desiderio sessuale, per esempio, è teso all’urgenza del possesso più che alla serenità dell’in-contro. L’attrazione non riesce a creare lo spazio dell’ac-coglienza, nell’altro l’Io cerca se stesso.

Il desiderio non sa aspettare, vuole godere.

5 U. Galimberti, voce Desiderio della Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Milano 1999, p. 296.

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L’amore, all’opposto, sa e sperimenta che la propria sussistenza (e consistenza psicologica) si trova solo nella sicurezza dei legami affettivi. L’amore è infatti l’unica esperienza che dà ragione alla vita, che la libera dalla tristezza del nonsenso. La scelta di amare è quindi una vittoria sul niente. Nulla infatti ferma l’amore: si può sempre amare per primi, si può amare in perdita o anche a fondo perduto. Si può continuare ad amare, anche sen-za risposta e senza ragione. La certezza di amare è già sufficiente a rendere felici.

Non lo stesso si può dire del desiderio. Il desiderio frustrato umilia, fa sentire rifiutati.Chi non si sente preferito e desiderato, fatica a sentirsi

amato.Separare amore e desiderio, però, non è da meno im-

praticabile. Un sentimento senza desiderio («ti voglio bene ma

per te non provo nulla») sarebbe un amore senza anima, un affetto senza gioia: una condizione quasi inimmagi-nabile, dissonante, inumana. Che dire poi del desiderio senza amore? Non è parimenti «impossibile»?

Il desiderio pare contenere una domanda, compro-mettente e perturbante: una richiesta di affetto, una do-manda di reciprocità e di tenerezza.

Una mera sensazione psichica non produrrebbe tanto.Non avviene nell ’ autoerotismo , perfino nel sesso

mercenario, che il soddisfacimento del piacere, richieda

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almeno di fantasticare («sentire») la presenza di un altro, di inventare le tracce di un simulacro di amore e di tene-rezza?

Amore e desiderio appaiono quindi inseparabili e inconciliabili nello stesso tempo: richiedono un doppio linguaggio, una «descrizione doppia»6.

Il desiderio conduce all’amore. Nell’altro, cui è diret-to il desiderio, si trovano, infatti, le radici di noi stessi. Noi non abbiamo scelto di nascere, ma siamo stati do-nati alla vita; non ci siamo dati un nome e rispondiamo al nostro nome. Non diventiamo noi stessi attraverso il pensiero, (anche altri possono pensare i nostri medesimi pensieri), neppure quando diciamo «voglio» (perché la nostra affermazione potrebbe essere una maschera che nasconde il condizionamento sociale). Per essere noi stessi, occorre smettere di centrarsi autisticamente su di noi e imparare ad amare. L’altro, infatti, irrompe nel no-stro mondo, con la sua diversità irriducibile e resistente a ogni possesso e richiede il nostro riconoscimento. In questo modo, la relazione d’amore è sempre asimmetri-ca. L’amore può solo essere gratuito e senza interessi. Su questa condizione si fonda la possibilità, che l’amore possiede in esclusiva, di «personificare» l’altro, di ren-derlo unico e insostituibile.

6 Ho illustrato ed esemplificato questa procedura in Ripartire da Cri­sto. La catechesi, criterio di verifica della parrocchia missionaria, EMP, Padova 2011.

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L’altro sfugge ai miei calcoli e alle mie categorie. Io posso solo riconoscere e accogliere il piacere (un vero piacere!) di abbandonarmi alla sicurezza che il legame d’affetto mi regala. Lo indicano i segni dell’amore: l’ab-braccio che rassicura, la mano che stringe e accompa-gna, la carezza che riconosce senza trattenere.

L’amore conduce al desiderio. Asimmetrico all’origi-ne, l’amore costruisce reciprocità.

Lo dice bene il bacio. Baciare, infatti, presuppone al tempo stesso di essere baciati. L’amore è trasmesso dai gesti e dalle parole dell’affetto, ma è il desiderio, non l’affetto, che cambia il corpo dell’altro e lo rende «car-ne», che trasfigura la sua anima e la accende di meravi-glia e di piacere.

Questa mutua implicazione lascia intravedere che, all’infinito, il cammino parallelo istituito dall’amore e dal desiderio, potrebbe fondersi. Nella realtà però non è subito così.

Il desiderio è un «amore d’oggetto»7: segue una tra-iettoria di cui è l’amante (non l’amato) il protagonista. «Dai bei corpi, alle belle anime, al bello in sé». Così ne ha mirabilmente descritto il percorso la filosofia antica8.

7 J.-L. Nancy, Sull’amore, Bollati Boringhieri, Torino 2009, pp. 25-41.8 «Perché questo è proprio il modo giusto di avanzare o di essere da altri guidato nelle questioni d’amore: cominciando dalle bellezze di questo mondo, in vista di quella ultima bellezza salire sempre, come per gradini, da uno a due e da due a tutti i bei corpi e dai bei corpi a

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Si trae dal corpo l’energia del desiderio per intraprendere un passaggio di espansione di sé, più che di resa all’altro.

Nelle vicende del vivere quotidiano amare e deside-rare spesso divergono.

2 dEsidErio sEnza anima, amorE sEnza gioia

La crisi drammatica e crescente del matrimonio non lascia dubbi. Le parole della promessa: «Ti amo» pro-nunciate con «gli occhi al punto di chiudersi per la forza del desiderio»9, alla prova dei fatti, in molti casi, non si rivelano vere. Tutti infatti riconoscono che non è possi-bile amare a tempo. Le parole «impossibili» dell’amore, si presuppongono eterne. Non ci si rassegna facilmente, infatti, alla fine dell’amore. L’attuale stagione di amori feriti e finiti si accompagna a un cumulo senza fine di dolore e anche di disperazione degli adulti e di tristez-za dei bambini. L’amore perde la sua certezza e diventa inaffidabile. Lo smarrimento prodotto dalla crisi dell’a-more è profondo e invasivo. Si fa fatica a capirsi; l’intesa

tutte le belle occupazioni, e da queste alle belle scienze e dalle scienze giungere infine a quella scienza che è la scienza di questa stessa bel-lezza, e conoscere all’ultimo gradino ciò che sia questa bellezza in sé». Platone, Simposio (209), Opere, vol. I, Laterza, Bari 1967, p. 706.9 J.-L. Marion, Il fenomeno erotico. Sei meditazioni, Cantagalli, Sie-na 2007, par. 21.

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uomo e donna appare una realtà irrisolta, inquieta, con-flittuale. L’amore può perfino spaventare e spingere a cercare altre soluzioni, come per sfuggire a una realtà che non si riesce a comprendere e a vivere.

La corruzione del codice dell’amore rende le persone diffidenti («Avrà detto il vero?») e ipercritiche («Il nostro amore durerà?»). Si diffonde una consapevolezza disin-cantata dell’inconsistenza dell’«amore», delle illusioni e degli inganni della sua «insostenibile leggerezza».

Il romanzo, la fiction, la canzone popolare diffon-dono i racconti dell’amore impossibile, «troppo basso o troppo alto»10. Oggi è normale esprimere desideri e seguire impulsi che fino a poco tempo fa, si riteneva conveniente contenere. Freud parlava di perversioni po-limorfe, oggi si diffondono le perversioni soft11. È sor-prendente, nella cultura popolare, il successo dell’amore romantico in forma degradata, commercializzato dalle soap opera e dal gossip. L’amore come passione si ac-compagna, così, a una visione della sessualità umana come mera sensazione corporea. Questa mentalità, pro-pagandata dai media, diffusa da una certa educazione sessuale nelle scuole, divenuta cultura popolare, abbassa la soglia del pudore e rimuove la sacralità dell’intimità.

10 Nancy, Sull’amore, p. 28.11 Cf. W. Pasini, I nuovi comportamenti amorosi. Coppia e trasgres­sione, Mondadori, Milano 2003.

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L’amante contemporaneo contempla il mondo nuovo delle relazioni senza impegno e si sforza di trovarlo bel-lo, perché libero. La sessualità perde la sua ambivalenza, nell’invito insistente a godere il «good sex», evocato dai testi musicali, illustrato in ogni dettaglio nelle pagine internet o nelle trasmissioni televisive. In questo modo, non solo l’amore si corrompe ma lo stesso eros (che vi è intimamente, inestricabilmente unito) diventa sempre più estraneo, si fa raro oppure ostentato, gridato. Diventa prestazione e l’ansia lo consuma, generando il paradosso della società «edonista» che non prova piacere.

La crisi dell’amore è più radicale perché si accompa-gna a un parallelo stallo della politica. L’amore, infatti, è sempre materia pubblica. Il desiderio tende al legame e diventa un fatto etico, protetto dalla gelosia e difeso da un meticoloso corredo di regole, dette e non dette, pun-to di arrivo, sempre provvisorio, d’infinite discussioni e mediazioni (fin dalla prima adolescenza). L’amore è que-stione vitale per la società. Se causa nobile della civiltà è la crescita della libertà, la promozione e la difesa dei vincoli d’amore sono una buona causa di civiltà, perché la qualità dei legami primari è condizione essenziale dell’autonomia delle persone.

La politica sta vivendo, però, una mutazione profonda, una svolta storica, a motivo della nuova complessità del mondo. La società è considerata completamente aperta, senza centro e senza direzioni. Tutto può essere diverso e


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