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avanti tutta!?Progresso - provincia.bergamo.it · alla pubblicazione del pezzo di Piera Gioda. Si...

Date post: 24-Feb-2019
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Progresso: avanti tutta!...? Progresso: avanti tutta!...? 3° rapporto dell'Osservatorio sui diritti e sulla cittadinanza dei giovani, anno 2007
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Colori compositi

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3° rapporto dell'Osservatorio sui dirittie sulla cittadinanza dei giovani, anno 2007

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Siamo giunti al terzo rapporto dell’Osservatorio sui diritti e sullacittadinanza.

L’intento è di proseguire il cammino iniziato gli anni precedentie fornire uno strumento che offra l’immagine di quanto sta avvenendonei nostro territorio.

Il tema individuato quest’anno è il Progresso, considerato dalpunto di vista ambientale, sociale, politico ed etico.

Si è cercato di superare la visione economicista e tecnologicache spesso accompagna il concetto di crescita, cercando diconsiderare le ricadute che l’attuale modello di sviluppo ha sullepersone e sull’ambiente in cui viviamo.

Alcuni stralci di quello che troverete nel testo:

“È successo a tutti di svegliarsi da un bel sogno e non voler apriregli occhi.

Se fino ad ora siamo riusciti a stare al passo della modernità,abbiamo oggetti che ci permettono un tenore di vita agile e possiamosfoggiare diverse novità con gli amici, se, insomma, facciamo partedel 20% della popolazione mondiale, quella parte che consuma l’80%delle risorse della terra, allora vedere le realtà può essere molto triste.Così tanto da dire “non mi interessa”. Accorgersi di cosa accade almondo che cosa comporta?”

“Il modello di sviluppo dei nostri Paesi è orientato infatti ad unperfezionamento dell’immagine: si deve riuscire ad essere vincenti eadeguati sempre e ad ogni costo... Eppure la fragilità fa parte di noie ogni percorso umano è fatto di momenti di crescita e decrescita chesi alternano".

“La ricerca di profitti crescenti a costi sempre più limitati attraversola frode, l’inganno e il ricorso sistematico alla negazione dei dirittielementari fa sì che settori crescenti delle cosiddette élites utilizzinofrequentemente comportamenti illegali, se non manifestatamenecriminali, per raggiungere i propri obiettivi”

“Da tempo il suo sogno era produrre farmaci per gente sana. Perchéin tal caso la Merck avrebbe potuto “vendere a tutti”. A distanza di tredecenni, il sogno del defunto Henry Gadsden si è avverato”

“Provare a capire cosa succede è il primo passo per avviare unprocesso che ci rende “soggetti della realtà” e non “utenti”, protagonistie non passivi automi in balia dei venti dell’era globale”

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Progresso:avanti tutta!...?3° rapporto dell’Osservatorio sui diritti e sulla cittadinanza dei giovani, anno 2007

3Progresso: avanti tutta!...?2 Osservatorio sulla Cittadinanza

Benvenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 7

Premessa. Partecipare… si può? . . . . . . . . . . . . . . .pag. 9

Ripartire da dove ci eravamo lasciatiPartecipare dove? In quali contesti sociali?Illusioni di libertàBenessere per equilibristiUn’economia sanguisugaScegliere si può?Sviluppo Sostenibile?Soggetti, non burattini

Risorse tra limiti e responsabilità . . . . . . . . . . . .pag. 19

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 20

La difesa dell’oro blu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 21Acqua, risorsa preziosa: la situazione attualeSfide aperte e nodi critici, questioni scottantiCosa si fa: qualche esempio pratico Consigli pratici: cosa possiamo fare noi tuttiBibliografiaSitigrafia

I rifiuti che fanno la differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 30La sfiducia dei cittadiniLe scelte della politicaRiciclare perché:Dieci buone regole per ridurre lo spreco:Bibliografia

Black out: la questione dell’energia . . . . . . . . . . . . . .pag. 34Schiavitù fossiliLe opzioni energeticheSperanza dell’EuropaOpportunità rinnovabileKyoto a casa miaBibliografia

A cura di:Kristian Caiazza, Erica Inzerillo, Maria Grazia Liprandi,

Mauro Maggi, Paola Moriondo.

Contributi di:Kristian Caiazza, Tiziana Ciampolini, Filippo Furioso,

Raffaele Lupoli, Monica Massari, Sergio Melis,Livio Pepino, Silvia Pochettino, Rosina Rondelli,

Peppe Ruggiero, Chiara Sasso, Silvia Truffo, Mauro Valle

Si ringraziano coloro che hanno concesso la liberatoria per la pubblicazione di pezzi:

Padre Ugo Bozzoli(per l’articolo di Marco Schiesaro pubblicato sul sito:

www.missioniconsolataonlus.it);

Mario Salomone (per l’articolo “Comuni fuori dal comune” pubblicato su .ECO 9/07)

Il sito www.wwf.it da cui è tratto l’articolo di Fulco Pratesi;

La redazione del sito: www.ambientevalsusa.it.

La redazione del CISV che ci ha autorizzato alla pubblicazione del pezzo di Piera Gioda.

Si ringraziano inoltre:Fabio Anibaldi per il confronto sui contenuti del testo.

La redazione di Narcomafie per la collaborazione

Impaginazione e grafica:Pier Costanzo Rolandone

Centro Grafico Gruppo Abele

Stampa:Stampatre - Torino

Per informazioni:Provincia di Pistoia - Assessorato alle Politiche sociali e giovanili

Piazza S. Leone 1 - 51100 Pistoia tel. (0573) 374587 - e-mail: [email protected]

Associazione Gruppo Abele Corso Trapani 91b - 10141 Torino

tel. (011) 3841062 - e-mail: [email protected]

Indice

5Progresso: avanti tutta!...?

Politiche sociali e diritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 89

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 90

Senza istruzione quale futuro? . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 91“Come sta la Scuola oggi in Italia?”Curare il contesto, con riferimenti precisi

Il lavoro che rende poveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 95Lavoro e dirittiI servizi per l’impiegoTipologie contrattualiModifica e introduzione di rapporti di lavoro flessibiliFormazione

Il mercato della salute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 103Il diritto alla saluteBibliografia

Vendere malattie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 108Farmaci che ammalano

Sviluppo e progresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 113

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 114

Globalizzazione, economia e politica . . . . . . . . . . . .pag. 115Meno stato, più mercatoIl predominio delle società globaliCalano i salari, crescono i profittiLa guerra tra i poveriSpeculazioni senza frontiereIl pensiero unico

Criminalità e legalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 119Globalizzazione e criminalitàDeregulation senza confiniAsimmetria globaleIllegalità legalizzataBibliografia

Tecnologie: i limiti di un uomo senza limiti . . . . .pag. 40L’uomo nell’età della tecnica

Tecnologie: tra contraddizioni e povertà . . . . . . . . .pag. 44Tecnologie e povertàPer una tecnologia dal volto umanoSe la salute viaggia su InternetLa «graamen phone» piccolo è belloCara, vecchia radio«Vendo capre»: su InternetMeno gigantismo, più fiducia e contatto

Quali sono i comuni più ecologici d’Italia? . . . . . .pag. 50

La centralità delle persone, spazio come dimensione sociale . . . . . . . . . . . . .pag. 53

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 54

Cittadini di serie B: no grazie! . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 55Uguaglianza, diritti, legalità

Il progresso di fronte alla fragilità dell’uomo . . . .pag. 62Uomini e donne di fronte allo sviluppoDove siamoVerso doveProvare a non aumentare gli ultimi della fila

Diritto ad emigrare: nord e sud si ritrovano . . . . .pag. 71Alcuni dati sulla situazioneSfide aperteBibliografia

Grandi opere: il trucco c’è ma non si vede . . . . . .pag. 77

Grandi opere: Torino – Lyon: i dati . . . . . . . . . . . . . .pag. 79

Grandi opere: un esempio di partecipazione . . . . .pag. 86

6 Osservatorio sulla Cittadinanza

Scienza e progresso: tra libertà e responsabilità . .pag. 124Lettera aperta a…

Pedagogia: educare cittadini del mondo . . . . . . . .pag. 128Educare alla cittadinanza attiva mondiale

Prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 135

Qualche considerazione per orientarsi . . . . . . . . . .pag. 136Perfetti per forzaPreziosa fragilitàInsieme ad altriAllora?... ci sono prospettive?

Approfondimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 142Gli obiettivi del millennio: otto impegni di sviluppoCampagna Onu “No Excuse 2015”Agenda 21BoicottaggioProtocollo di KyotoGAS – Gruppi di Acquisto SolidaleCommercio Equo e SolidaleConsumo criticoBilanci di giustiziaMAG (Mutue di Auto Gastione)Cooperative (edilizie)Cooperazione internazionaleTurismo responsabileBanca dei poveriCertificati bianchiCertificati verdi (REC Renewable Energy Certificates)

7Progresso: avanti tutta!...?

Quest’anno, a fianco del tradizionale rapporto sullo stato dellapartecipazione giovanile in Italia, l’Osservatorio di Albachiara havoluto presentare un contributo di riflessione ed analisi al Campusdi Montecatini 2007 che, in questa sua quarta edizione, intendeporre l’attenzione sul rapporto tra i processi di partecipazione ealcuni temi che sono fortemente connessi allo sviluppo locale e glo-bale, e su come “non sempre ciò che viene dopo è progresso”.

Il percorso Albachiara ha messo in luce la necessità di speri-mentare sui territori pratiche di cittadinanza volte alla valorizza-zione delle esperienze positive ed all’individuazione delle criticitàche ostacolano una reale cittadinanza agita. In questo senso èparso naturale addentrarsi nell’ambito dei cosiddetti “beni comu-ni” per capire e comprendere meglio cosa rappresentano e comeagire un loro positivo utilizzo anche al fine di salvaguardare e tute-lare la “risorsa pianeta”.

Per questo motivo l’Osservatorio ha provato a ragionare di par-tecipazione e beni comuni chiedendo ad alcune persone, impegna-te su questi temi, di portare il loro contributo in termini di espe-rienze e punti di vista a partire dalle quattro aree oggetto dei grup-pi tematici di discussione di Campus 2007: risorse tra limiti eresponsabilità, centralità della persona, politiche sociali e diritti,sviluppo e progresso che abbiamo simbolicamente rappresentatocon i quattro elementi: terra, acqua, fuoco, aria.

A Campus 2007 sarà infatti centrale la riflessione e l’azione suquesti temi per aiutare giovani e adulti ad acquisire conoscenze esperimentare modalità inedite e originali di utilizzo dei benicomuni al fine di trasferire, con saggezza ed intelligenza, nelle pro-prie esperienze quotidiane di vita, stili e comportamenti consape-voli e responsabili. Anche quest’anno perciò abbiamo pensato dideclinare la partecipazione, il protagonismo giovanile e lo scambiogiovani/adulti proprio a partire da ciò che avviene nella loro vitadi ogni giorno, nei contesti nei quali vivono; per far crescere unacultura del rispetto dei diritti, della legalità e della cura dell’am-biente al fine di intraprendere percorsi di impegno, partecipazionee responsabilità quotidiani.

Benvenuti!

9Progresso: avanti tutta!...?8 Osservatorio sulla Cittadinanza

Ripartire da dove ci eravamo lasciatiL’Osservatorio 2006 “M’interessa” ha regalato a tutti noi una

preziosa raccolta di contributi dei giovani di tutt’Italia circa lapartecipazione.

Alcune idee hanno permesso di intravedere, al di là degli ele-menti accattivanti e positivi che attirano e invogliano all’azione,quale sia la complessità del partecipare.

Come ricordavano gli amici di Quarrata nella precedente pub-blicazione, la partecipazione è possibile se “una persona ha avutola possibilità di decidere e se è consapevole della propria scelta”.

Secondo il dizionario, partecipare significa: IntervenirePrendere parte IntromettersiEssere partecipeInterferireCondividere...Potremmo dire ancora agire, muoversi o smuovere, provare

a entrare nelle “cose”, animarsi e animare. In altre parole staredentro.

Al contrario, agire diversamente, sempre secondo il diziona-rio, equivale ad:

AssentarsiAllontanarsiEscludersiNascondersiEstraniarsTacereTenere segreto...Ma stare fuori, a guardare ciò che succede senza intervenire, è

possibile?Immaginiamo un lago sulla cui sponda crescono fili d’erba

ben radicati; un colpo di vento è sufficiente per far vibrare unostelo che increspa appena la superficie dell’acqua; e un’onda leg-gera si genera nel bacino, dapprima solo accanto al filo d’erba,poi via via si allarga e si estende, smovendo una foglia, un ramet-

Premessa:partecipare... si può?

Il lavoro realizzato dall’Osservatorio non pretende certo diessere esaustivo, né ha la presunzione di offrire soluzioni o risposteunivoche, ma cerca di fornire elementi di maggiore consapevolez-za sul tema e di stimolare la riflessione, anche critica, su quantoemerge. L’auspicio è che questo lavoro possa rappresentare uno sti-molo di discussione per il 4° Campus di Montecatini 2007 e siarricchisca del contributo di riflessioni e di idee di quanti vi parte-ciperanno.

Un ringraziamento particolare va agli amici del Gruppo Abeledi Torino che curano con attenzione e competenza il lavorodell’Osservatorio di Albachiara e alle persone che con i loro signi-ficativi contributi hanno permesso la realizzazione dei due volumi( “Progresso: avanti tutta!…?” sulle tematiche del campus e “Eppursi muove” secondo rapporto sulle politiche giovanili in Italia).

Daniela GaiAssessore alle Politiche Giovanili

della Provincia di Pistoia

11Progresso: avanti tutta!...?10 Osservatorio sulla Cittadinanza

Illusioni di libertàCi sono azioni che sono diventate importanti e ci fanno stare

bene. Per niente al mondo vorremmo rinunciarvi. Siamo appena stati in alcuni negozi, usciamo con qualche

dono per noi stessi in una o più buste di carta che hanno un logoche ci piace, segno di riconoscimento di chi ha una certa classe esa dove fare lo shopping. La sensazione di benessere ci appaga.Sentiamo di aver fatto la cosa giusta tra gente che passeggiaaccanto a noi con altre borse dagli stessi loghi. È frizzante staredentro a questo mondo che si muove all’interno della città, eaffolla le vie del centro o dell’ultramoderno villaggio commercia-le appena costruito. Pazienza se qualcuno non può permetterse-lo, ci spiace per lui ma non possiamo far nulla. Finché possiamoconcedercelo, non vogliamo pensare al peggio…

Oggi “partecipare”, stare dentro alla vita vuol dire innanzituttoCOMPRARE: la giostra che fa girare le nostre azioni è principal-mente il business.

La sensazione di benessere che dà lo shopping nasce dal sen-tirsi parte di un mondo che compie scelte appropriate, condivisee accettate. È una sensazione di libertà, di essere padroni deglieventi, di poter davvero decidere che cosa vogliamo per noi.

Ed è così.In realtà molto dipende da noi stessi, ma non è detto che ne

siamo davvero consapevoli.Infatti, sono altri i soggetti che di fatto indirizzano l’obiettivo

e le mode di mercato. Il budget annuale che le imprese impiega-no per la pubblicità dovrebbe farci riflettere. Per convincerci adecidere che cosa sia da buttare e che cosa vada assolutamenteacquistato, esistono equipe di lavoro che impiegano le loro intel-ligenze e veri e propri piani di intervento finanziario delle impre-se. Il fatto che noi non sentiamo il peso di questo condiziona-mento, è un grandissimo risultato per i pubblicitari. Significa chehanno lavorato bene. È evidente, quindi, come il nostro agire nonavvenga in piena libertà.

In realtà noi eseguiamo delle precise indicazioni che qualcunaltro delibera per noi. Sarebbe interessante approfondire lemodalità e gli strumenti utilizzati per condizionare il mercatosenza che nessuno o quasi ne sentano il peso… Forse l’illusionedella libertà è così forte da risultarci sufficiente.

Benessere per equilibristiLe condizioni economiche sono quelle che ci permettono di

stare al passo della modernità. Intorno a noi tutto è un invito apossedere cose nuove, aggiornate, “in”.

Non è piacevole essere esclusi da questo mercato. Se a qual-cuno di noi è successo di non avere liquidità disponibile per gliacquisti, in un certo periodo della vita, conosce la rabbia che gli è

to, generando un movimento che incontra e interagisce con altrevibrazioni.

Vivere, essere al mondo, immersi in un palazzo di un quartie-re, all’interno di una città, di una regione, di uno stato, implicainevitabilmente un intervento nelle dinamiche che muovono ilmondo. Non è possibile esimersi dal prendere parte a ciò cheavviene intorno a noi, in quanto ogni azione, anche quella piùstatica e apparentemente immobile, interferisce nei fenomenisociali e ambientali di un contesto specifico nel quale ognuno dinoi agisce. E questo piccolo mondo interagisce e si relaziona alpianeta, nella sua complessità globale. Anche la semplice azionedi accendere la luce di una stanza in una casa comporta un lega-me con tutto ciò che c’è dietro, intorno, prima e dopo quel picco-lo gesto. Ugualmente, aldilà del mio ultimo acquisto - l’ultimomodello di cellulare, ad esempio - esiste una catena di gente,risorse, luoghi, situazioni che probabilmente non conosco e nonposso neppure immaginare. Può darsi che a qualcuno non inte-ressi affatto sapere e indagare la realtà. È possibile credere diestraniarsi o isolarsi, di non condizionare i meccanismi che muo-vono il mondo, vivendo l’illusione di essere esonerati e non sen-tendo il peso della responsabilità del proprio agire.

È possibile, ma cosa comporta?

Partecipare dove? In quali contesti sociali?Oggi si cresce in contesti sociali complessi, nei quali il tempo

determina le dinamiche e agisce sulle relazioni. Un tempo fina-lizzato all’efficienza, alla velocità, alla prestazione...

C’è così poco spazio per fermarsi a pensare, per provare adaddentrarsi negli eventi e coglierne il filo che li lega. Ci si trovacosì a vivere di circostanza in circostanza, di shopping in shop-ping, cavalcando l’onda dell’ultima pubblicità o dell’ultimo for-mat televisivo o, per alcuni, sulla base degli andamenti dellaborsa di Tokio o di New-York.

Come afferma il sociologo polacco Zygmunt Bauman, siamoimmersi in una società liquida nella quale non si ha il tempo dicomprendere e padroneggiare qualcosa che essa è già divenutaobsoleta ovvero inutile, da scartare, buttare, rifiutare, dimenticare…

Stare al passo di questa improbabile corsa, implica godere dipossibilità, quella economica innanzitutto. È sufficiente averepoca disponibilità di denaro, un lavoro precario, saltuario o inmobilità o peggio ancora non trovare un impiego, per vivere lasensazione di “rimanere indietro”, “tagliati fuori” dal mondo, avergognarsi delle proprie scarpe passate di moda, preoccupati oderisi per l’auto o il cellulare fuori produzione.

Il confine che separa il partecipare dall’essere esclusi è davve-ro labile e si può essere catapultati dalla parte degli “sfigati” in unbatter d’occhio. Ma quanta fatica ci costa stare in giostra! E chi famuovere questo luna-park?

13Progresso: avanti tutta!...?12 Osservatorio sulla Cittadinanza

linee di mercato. A tutti i costi. Per fare ciò sono nati, e continua-no a nascere, accorpamenti di diverse imprese, multinazionaliche a poco a poco riescono ad avere il polso della situazione del-l’economia mondiale, accedere alle risorse senza troppe difficoltàe avere il monopolio del commercio.

A tutti i costi vuol dire senza troppi calcoli e senza chiedersicosa si stia utilizzando, dove e come vengano reperite le risorse,dove e come debbano essere smaltiti i moltissimi rifiuti che gliacquirenti del mercato globale, ovvero tutti noi, condizionatinegli acquisti, buttiamo nelle pattumiere.

Importante è riuscire a vendere, facendo nascere l’idea chenon è più pensabile tenere nell’armadio quei vestiti colorati,mentre sarà di moda per l’inverno prossimo il grigio, alimentan-do la convinzione che sono da buttare i jeans a vita bassa, ora cosìdemodè, e quelle scarpe a punta col tacco a spillo, ma chi le portapiù, ora è tempo di cambiare e avere almeno un paio di decoltèalla Clarabella… e poi ancora quell’MP3 da 1 giga soltanto, macome è possibile sopportarlo…!

A tutti a costi vuol dire fare in modo che la spinta a compraresia così forte e immediata che non lasci spazio per chiedersi “miserve davvero?” o semplicemente “mi piace davvero?” oppure“perché devo?”.

Chi, nonostante tutto, si è fermato a porsi queste domande, hainiziato a scoprire qualcosa che non è stato piacevole: il ricono-scere di non essere liberi di esprimere un gusto personale,ammettere che si agisce in modo condizionato. E poi rendersiconto che questa corsa al rinnovamento costante sta dissanguan-do il nostro pianeta: le risorse utilizzate per costruire i nostrioggetti non sono eterne: per possederle qualcuno è disposto ainiziare guerre e occupare Stati, sfruttare migliaia di personeoffrendo lavori in cambio di redditi da fame, intossicare popolisperduti con rifiuti che nessuno sa come smaltire, …

Come spiega Francesco Gesualdi in uno dei suoi libri, “nelnostro delirio economicista siamo cresciuti con i paraocchi. Cisiamo abituati a dare importanza solo ai soldi e alla tecnologia, cisiamo convinti che bastino questi due soli elementi per crearebenessere. A un tratto ci siamo dimenticati della natura, della suafunzione insostituibile. Abbiamo dimenticato che per produrrequalsiasi oggetto abbiamo bisogno dei minerali che provengonodalle viscere della terra. Abbiamo dimenticato che il nostro ciboproviene dai campi… che i nostri mobili e la nostra carta proven-gono dalle piante… abbiamo dimenticato che ogni tipo di consu-mo produce rifiuti che il pianeta deve digerire”.

Dimenticare è facile. È sufficiente vivere rapiti dall’ingranag-gio della moderna globalizzazione, come sta succedendo a tuttinoi, condizionati da richieste incalzanti, obbligati a ritmi freneti-ci, senza spazio per fermarsi ad osservare. E tutto può sembraresemplice. “Quando compriamo una lattina di Coca-Cola abbia-mo solo il problema di come smaltire quei sei grammi di allumi-nio. Se siamo intelligenti li ricicliamo, se siamo ottusi li gettiamo

nata dentro: non essere provvisto di ciò che molti o quasi tuttihanno, non poterselo permettere, non essere neppure in grado diavvicinarsi all’idea di fare un acquisto è, a volte, così insopporta-bile da generare astio e violenza. Molte rivolte nate nell’ultimoanno, ad esempio l’assalto delle Banlieue parigine, sono nate incontesti sociali di periferia, in cui il reddito percepito dalle fami-glie permette appena la sopravvivenza. Spaccare le vetrine perportare via i simboli della modernità o deturpare i santuari delbuon gusto o dello shopping della gente perbene, significa grida-re, con strumenti evidenti a tutti, l’odio e l’indignazione di doversempre stare nelle retrovie.

Se è capitato a noi di aver vissuto sentimenti contrastanti inbase alle nostre finanze, quella sensazione di libertà e pienezzadurante i giorni spensierati delle “vacche grasse” in cui lo shop-ping era possibile, alternata alla sensazione di frustrazione per unperiodo di magra in cui si evitavano addirittura le vetrine per noncadere in tentazione e ridursi sul lastrico, ebbene, se a noi è suc-cesso di vivere momenti così diversi, ciò significa che qualcosanon funziona. Un benessere altalenante non è un vero benessere,si resta in pista con l’ansia di dover essere cacciati.

Molte ricerche di mercato hanno individuato che è propriol’ansia il male del secolo. L’ansia che costa essere all’altezza diquesta modernità così trasformista. L’ansia di chi non ha ancoraafferrato o compreso fino in fondo una novità che essa è già statascartata, tolta dal mercato, sostituita da altro. L’ansia di chi develavorare il doppio per pagare gli acquisti che ha fatto o intendefare per stare al passo.

È proprio l’ansia, però, che accende i segnali d’allarme: moltisi lamentano o protestano, altri si interrogano, altri ancora prova-no a capire come funzionano le cose e dove sta il bandolo dellamatassa.

Un’economia sanguisugaNegli anni ottanta è successo qualcosa che ha cambiato le

regole del marcato. Fino ad allora le industrie producevanooggetti. Ma la crisi di molti colossi industriali, troppo grandi, conun esubero di personale e stoccaggi giganteschi di articoli fermiin magazzino, ha fatto intravedere un altro modo di produrre.

Come spiega bene Naomi Klein nel suo volume NO LOGO,alcune aziende, come la Nike, la Tommy, la Intel e e la Microsoft,iniziarono ad affermare che la produzione di prodotti non era cheuna parte secondaria della loro attività, mentre il lavoro maggio-re delle loro aziende era quello di produrre immagini dei loromarchi. Di conseguenza gli sforzi e le voci di spesa più rilevantivennero investite per il marketing. Da allora, sebbene con unabreve parentesi, il bombardamento della pubblicità non ha fattoche aumentare. Obiettivo delle aziende è diventata la corsa perstare in cresta, condizionando mode che a loro volta generano

14 Osservatorio sulla Cittadinanza 15Progresso: avanti tutta!...?

conto che siamo potenti: “le imprese sono in una posizione diprofonda dipendenza dal nostro comportamento di consumato-ri. Noi, infatti, con i nostri acquisti, abbiamo la possibilità di farsalire o scendere i loro profitti… dobbiamo sforzarci di riappro-priarci della nostra volontà decisionale e dobbiamo rivalutare ilpotere che abbiamo tra le mani. Un potere che preso singolar-mente, è certamente piccolo, ma che, moltiplicato per milioni dipersone, può condizionare le più grosse multinazionali, e al limi-te, l’intero sistema”. (“Guida al consumo critico” – Nuovo model-lo di sviluppo – EMI – pag. 23).

Ma non esiste solamente la possibilità di scegliere come indi-vidui. Una decisione collettiva, di un intero Stato o Continente, seavvenisse, avrebbe un valore inestimabile.

Sviluppo sostenibile?Fino ad oggi, si è molto discusso del concetto di sviluppo

sostenibile, a partire dalla prima definizione contenuta nel rap-porto Brundtland dell’1987 secondo la quale “lo sviluppo sosteni-bile è uno sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioniattuali, senza compromettere la possibilità che le generazionifuture riescano a soddisfare i propri”.

Nel 1991 si è arrivati ad una ulteriore definizione del concettocome “un miglioramento della qualità della vita, senza eccederela capacità di carico degli ecosistemi, dai quali essa dipende”(World Conservation Union) e si sono sintetizzati in tre punti glielementi fondamentali della sostenibilità:• il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere

superiore al loro tasso di rigenerazione;• l’immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell’ambiente

non deve superare la capacità di carico dell’ambiente stesso;• lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel

tempo.In seguito nel 1994 sono stati aggiunti alla definizione altri ele-

menti, da parte dell’ICLEI (International Council for LocalEnvironmental Initiatives) “uno sviluppo che fornisce elementiecologici, sociali ed opportunità economiche a tutti gli abitanti diuna comunità, senza creare una minaccia alla vitalità del sistemanaturale, urbano e sociale che da queste opportunità dipendono”.

E ancora nel 2001 l’UNESCO ha introdotto nella definizione“la diversità culturale come una delle radici dello sviluppo intesonon solo come crescita economica, ma anche come un mezzo percondurre un’esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale,emozionale, morale e spirituale”.

Su questi temi sono stati organizzati convegni di portatamondiale che hanno avuto come centro d’interesse soprattuttola reperibilità delle risorse energetiche. Ancora una volta losguardo è stato rivolto allo sviluppo economico piuttosto che aquello equo e sostenibile per tutti, a dimostrazione che per i

in discarica… Ma nella storia di quella lattina… i rifiuti veri sonoquelli che si formano a monte, durante la fase di produzione. Daquando si trova come bauxite nelle profondità della terra a quan-do arriva nel supermercato, quella lattina di sei grammi ha gene-rato più di un chilo di rifiuti solidi e ha utilizzato 19 litri di acqua.Questa parte invisibile di rifiuti che ogni prodotto lascia dietro disé, è stata battezzata “zaino ecologico” e per alcuni è davveromolto pesante. Per esempio, la produzione di un microchip da 32megabyte richiede almeno 72 grammi di sostanze chimiche, 700grammi di gas elementari, 32 litri d’acqua, 1200 grammi di com-bustibili fossili. In conclusione quell’oggettino, di appena 2 gram-mi, ha richiesto una massa di materiali che supera 17000 volte ilsuo peso finale”. (Tratto da “Sobrietà” – F. Gesualdi – Feltrinelli -pag. 35-41)

La realtà, oggi, aldilà dell’apparenza, è assai complicata e ci sichiede se è possibile agire sugli eventi quando sembrano essere lecircostanze a determinare le nostre azioni.

Scegliere si puo’?È successo a tutti di svegliarsi da un bel sogno e non voler

aprire gli occhi. Se fino ad ora siamo riusciti a stare al passo della modernità,

abbiamo oggetti che ci permettono un tenore di vita agile e pos-siamo sfoggiare diverse novità con gli amici, se, insomma, faccia-mo parte del 20% della popolazione mondiale, quella parte checonsuma l’80% delle risorse della terra, allora vedere le realtà puòessere molto triste. Così tanto da dire “non mi interessa”.Accorgersi di cosa accade al mondo che cosa comporta?Innanzitutto essere immersi in un ciclone di situazioni destabiliz-zanti: il clima impazzito, l’effetto serra, i ghiacciai sciolti, le fore-ste ridotte, il petrolio che scarseggia, i rifiuti che si accumulano, ipoveri assetati del Darfour e quelli dell’Etiopia, i milioni di immi-grati disposti a tutto pur di arrivare a far parte della nostra isolafelice…

Aprire gli occhi crea, soprattutto, paura. Paura di perdere pos-sibilità, privilegi, potere, beni, di dover rinunciare a quell’agiatez-za che è diventata indispensabile. Ma siamo veramente soddi-sfatti della ridondanza di oggetti, input, stimoli, proposte, ricette,consigli e… spazzature con cui oggi viviamo? Non usciamo, forse,distrutti da quei colossali ipermercati che propongono continuenovità e offerte di cui approfittare immediatamente?

Un altro fattore che blocca è lo sconforto. L’impressione diessere impotenti è uno dei motivi per cui molti non provano acomprendere come stanno le cose. Siamo sicuri, però, che non sipuò far nulla?

Qualcuno sostiene che in realtà, chi decide siamo noi.Purtroppo, non siamo consapevoli delle nostre possibilità.Eppure quando ci rechiamo a fare la spesa dovremmo renderci

17Progresso: avanti tutta!...?

cooperative edilizie, e altro ancora, sono espressioni di partecipa-zione diversa, creativa e attiva.

Chi si rende conto che questo pianeta è unico, un solo lago incui si incrociano i movimenti di ciascuno, comprende che starebene in pochi è dannoso: prima o poi “i poveri non ci lascerannodormire”. Al contrario operare per un benessere equo, meno esa-gerato ma più condiviso, potrà solo garantire più giustizia e quin-di più serenità, più relazioni, più positività, più tolleranza erispetto per tutti.

Partendo da me: questa è una bellissima prospettiva.Per iniziare vogliamo provare ad aprire gli occhi insieme: per

questo abbiamo chiesto ad alcuni studiosi e attivisti dell’agiresostenibile, una riflessione su diversi nodi fondamentali: l’acqua,le risorse energetiche, i rifiuti, le tecnologie e molto altro ancora.

Provare a capire cosa succede è il primo passo per avviare unprocesso che ci rende “soggetti della realtà” e non “utenti”, prota-gonisti e non passivi automi in balia dei venti dell’era globale.

La lettura dei capitoli seguenti viene proposta come stimolo didiscussione, pungolo per nuove domande e approfondimenti,spinta per idee e iniziative nuove.

A tutti noi, quindi, buon risveglio!

16 Osservatorio sulla Cittadinanza

governi della terra, la presa di coscienza del problema è statasuperficiale. Inoltre si è dato molto spazio a sostenere con tutti imezzi di comunicazione possibili, l’importanza del libero mer-cato, della tutela dei diritti privati, del raggiungimento deglistandard economici europei, del valore di appartenere agli ottograndi della terra, della crescita dello sviluppo economico mon-diale, … un milione di scuse possibili per non aprire gli occhidavvero.

Anche molti accordi e promesse di riduzione di consumi edemissioni inquinanti entro scadenze stabilite, che sono statistipulati ufficialmente dai partecipanti al G8, così come all’in-terno dell’Unione Europea, continuano ad essere disattesi eprocrastinati.

A ricordarlo sono gruppi sempre più numerosi di cittadini chesostengono e sperimentano forme diverse di conduzione dellavita, facendo attenzione alle piccole scelte che attivano grandiprocessi di vera sostenibilità ed equità nello sviluppo.

Soggetti, non burattiniNel 1979 durante la conferenza annuale dell’Associazione

americana per lo sviluppo scientifico, il fisico Edward Lorenz sidomandò se il battito d’ali di una farfalla in Brasile potesse provo-care un tornado in Texas.

“L’idea che sta alla base di tale supposizione è che fenomenimodesti che si generano su piccola scala, come il battito d’ali diuna farfalla, possono indurre trasformazioni di immensa portata enotevole intensità su larga scala, come lo sviluppo di un tornado.

Piccole turbolenze microscopiche possono, infatti, determina-re grossi mutamenti macroscopici, mentre semplici eventi dina-mici circoscritti possono originare processi straordinariamentecomplessi ed imponenti”. (da “Progetto: chiave di volta” - Univer-sità degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia).

Questo concetto è stato approfondito in diversi campi chevanno dalla meteorologia alla psicologia. Potremmo provare aconsiderarlo anche nell’individuazione di processi di economiasostenibile. Infatti, un movimento piccolo, come l’aprire gli occhi,guardare, scrutare, scoprire, conoscere, capire, scegliere… in altreparole non subire, ma essere consapevoli e protagonisti delle pro-prie condotte, può mettere in moto azioni che hanno una riso-nanza molto più grande di quella individuale.

Esistono comportamenti di singoli o di piccoli gruppi di perso-ne che nascono da una scelta ben precisa: quella di poter e volerdecidere il proprio futuro e quello del nostro pianeta. Ben lontanidalla manipolazione del marketing, ben consapevoli delle conse-guenze del proprio agire, alcune persone provano, già da qualcheanno, a sperimentare modi “solidali” di stare al mondo. I GAS(gruppi di acquisto solidale), il commercio equo e solidale, il boi-cottaggio, il consumo critico, il bilancio di giustizia, le MAG, le

RISORSE TRA LIMITI E POSSIBILITÀ

21Progresso: avanti tutta!...?

Acqua, risorsa preziosa: la situazione attualeIl nostro pianeta Terra è molto ricco di acqua, tanto è vero che

ne è ricoperto per il 70% della sua superficie, con un volume dicirca 1400 milioni di Km cubi, ma di tutto questo preziosissimoliquido:• il 97,5 è acqua salata, quindi non direttamente utilizzabile per

usi umani (bere o irrigare i campi);• il 2,5 è acqua dolce, intrappolata però in gran parte nei ghiacciai

polari, per cui solo lo 0,5 dell’acqua dolce presente sulla terra èveramente a nostra disposizione! (fiumi, laghi, falde).

L’acqua dolce si trova: • per il 69% nei ghiacciai• per il 29% nelle falde• per lo 0,9 nell’umidità suolo/aria• per lo 0,3 in superficie (laghi, fiumi)

Quando si costruiscono dighe, sommergendo bacini boscosi,o quando si canalizzano fiumi con opere di cemento, si violentain modo profondo il ciclo idrico dei corsi d’acqua. Per esempionella zona a sud del Sahara, l’imbrigliamento di due fiumi ha por-tato alla riduzione per tre quarti in 30 anni del lago Chad.

Infine dobbiamo ricordare che le masse d’acqua non sonodistribuite uniformemente nelle varie regioni del mondo, bensì:• 9 stati (Brasile, Russia, Canada, USA, Cina, India, Colombia,

Zaire, Indonesia) controllano il 60%dell’acqua dolce disponi-bile;

• il Medio Oriente più il Nord Africa hanno risorse idriche dispo-nibili che sono la decima parte rispetto a quelle del NordAmerica;

• l’Asia ospita il 36% delle risorse d’acqua ma ha il 60% dellapopolazione mondiale.

Con l’aumento della popolazione mondiale la distribuzionedell’acqua può diventare seriamente più problematica, visto chetale risorsa naturale è un bene rinnovabile, ma finito!

20 Osservatorio sulla Cittadinanza

Presentazione

Innanzitutto le RISORSE! Riflettere su quello che possediamo econsumiamo è sicuramente il primo passo per prendere coscienzadella realtà in cui siamo immersi. L’acqua, le fonti energetiche,questi elementi primari che utilizziamo costantemente, sono parteintegrante della nostra quotidianità, così tanto da non poterimmaginare di vivere senza. Le comodità delle nostre case e dellenostre città, sono garantite a tal punto da favorire l’idea che cispettino di diritto.

Chi ha avuto la fortuna di provare l’esperienza di un viaggionelle zone sub-sahariane, al di fuori dei villaggi turistici, natural-mente, o in qualche località sperduta tra le Ande o sulla catenaHimalayana, o ha raggiunto a dorso di mulo una “comarca” delCentroamerica, tra le migliaia di persone che abitano terre aride osbattute dagli eventi climatici e lontane dalle città, sa che è possi-bile non avere acqua, luce, strumenti e mezzi… questi beni nonsono, per forza di cose, “dovuti”, come potrebbe sembrare, bensìrarità da proteggere, tutelare e difendere.

Ogni anno l’attenzione alle risorse appare sui teleschermiquando si radunano le annuali convention mondiali sull’ambien-te. Per qualche giorno, le notizie affollano le prime pagine dei gior-nali. Eppure, poco viene modificato, perché l’interesse dell’attualemodello di sviluppo è ben altro: dominare nel settore produttivo,con tutti i mezzi possibili o leciti, e non solo, fare in modo che siaaccessibile a noi ogni risorsa, appartenga essa ad altre terre e altripopoli, e rendere facili le vie perché tutto ciò possa avvenire.

Ne consegue uno scarso interesse per le dinamiche e le conse-guenze che questo sviluppo comporta: l’appropriazione e l’usodiseguale delle risorse, la quantità di rifiuti prodotti da smaltire, ilmito della tecnologia di avanguardia che aumenta le disugua-glianze…

È importante comprendere che le risorse sono per tutti e nonsolo per il 20% dell’umanità; se pochi ne prendono abbondante-mente, per forza qualcuno si impoverisce. Il nostro modo di utiliz-zarle, quindi, va ad influire sullo sviluppo globale: senza volerlo oassolutamente senza immaginarlo ognuno di noi può favorirepovertà o al contrario promuovere benessere, semplicementefacendo attenzione a non esagerare nei consumi e pensando che laterra, e ciò che esiste sotto e sopra di essa, appartiene a tutti gli abi-tanti di oggi e di domani.

La difesadell’oro blu

di ROSINA RONDELLI

23Progresso: avanti tutta!...?

essere calcolato dal momento in cui la materia prima, diciamo lebarbabietole, entra nello zuccherificio; occorre acqua per pulirele barbabietole, per trasformarle in “fettucce”, per estrarre lo zuc-chero dalle fettucce di barbabietola.

Nel complesso si può stimare un “costo in acqua” dello zucche-ro di circa 3-10 t per t di zucchero secco, quello che va al commer-cio. Ma questo conto è parziale. La materia prima aveva quindi“dentro di se” qualcosa come 600 tonnellate di acqua che vannoaddizionate alle 10 tonnellate di costo in acqua del puro e sempli-ce processo di estrazione dello zucchero dalla materia prima.

Per questo motivo l’UNESCO ha elaborato un criterio pervalutare l’impatto dell’uomo sul sistema idrico naturale, chiama-to “impronta idrica”, cioè la quantità totale di acqua utilizzataper produrre i beni e i servizi consumati all’interno della nazio-ne stessa.

Non tutti i beni consumati in una nazione sono però prodottiall’interno di essa. Infatti esiste un’impronta idrica interna, data dalvolume delle risorse idriche utilizzate per produrre beni e servizidestinati al mercato interno e una esterna che prende in conside-razione la quantità di acqua utilizzata a produrre i beni importati.

Al concetto di impronta idrica è strettamente legato quello diacqua virtuale.

Per acqua virtuale si intende la quantità di acqua necessaria aprodurre un bene o un servizio.

Lo studio di questo indicatore, e soprattutto dei suoi flussi inentrata e in uscita, ci può dare informazioni rilevanti a propositodella scarsità di acqua di una nazione e della sua autosufficienzao dipendenza idrica.

Per riuscire a quantificare l’impronta idrica di una nazione,alla quantità di acqua utilizzata al suo interno per produrre benie servizi, si dovrà sottrarre il flusso di acqua virtuale relativo aibeni esportati e aggiungere il flusso relativo ai beni importati.

Secondo il rapporto UNESCO “Water footprints of nations”,l’impronta idrica, relativa all’intero pianeta, risulta essere di 7450Gm3 annui con una media pro capite di 1240 m3 annui.

Tra i vari paesi esistono però grossi divari: gli USA hannoun’impronta idrica media pro capite di 2480 m3 all’anno mentrela Cina solo 700 m3.

L’impronta idrica di un paese dipende da almeno quattro fattori:• Un primo fattore è la quantità totale dei consumi che dipende in

genere dal reddito nazionale lordo.• Un secondo fattore è dato dal tipo di consumi, cioè se essi sono

ad alta concentrazione di acqua oppure no. Ad esempio un ele-vato consumo di carni, essendo ad alta concentrazione diacqua, contribuisce a incrementare l’impronta idrica di unpaese, così come il consumo di prodotti industriali.

Gli Stati Uniti hanno un’ impronta idrica così elevata perchésenza dubbio, sono un paese altamente industrializzato maanche a causa del loro consumo di carne (120 kg annui pro capi-te) che è pari a circa tre volte la media mondiale.

22 Osservatorio sulla Cittadinanza

L’acqua che con tanta naturalezza facciamo scorrere nei nostrilavandini, girando semplicemente un rubinetto, è una parte infini-tesimale di quei 6.600 meri cubi che l’ONU calcola siano disponi-bili ogni anno per ciascuna persona presente sulla terra.

Peccato che nel 1950 ne avessimo a disposizione 17000 metricubi e che nel 2025 ne siano previsti solo più 4800!

Sfide aperte e nodi critici, questioni scottantiConsumi umaniSecondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la

quantità di acqua a necessaria per condurre una vita dignitosa èdi 50 litri ogni giorno, mentre per la sopravvivenza in una regionedal clima moderato sono indispensabili 5 litri giornalieri.

Ma quanta acqua consumiamo realmente? Un nordamericano consuma in media 700 litri di acqua al

giorno; un europeo 200 litri, (un italiano 250 litri) un palestinese70 litri, un africano 30 litri.

Uso dell’acqua• il 33% finisce negli scarichi del gabinetto• il 20-30% va per l’igiene personale• il 20-30% serve per lavare piatti e panni• solo il 3-4% ci serve per cucinare e bere

Da questo elenco appare evidente che utilizziamo acquapotabile (che quindi ha subito trattamenti costosi per farla diven-tare tale) per moltissimi usi nei quali si potrebbe impiegare tran-quillamente acqua non trattata.

A livello mondiale poi si calcola che in media:• il 70% venga usato per l’agricoltura;• il 20% sia utilizzato dall’industria;• il 10% serve per gli usi domestici

Queste percentuali variano in realtà da paese a paese, in rap-porto al livello di industrializzazione e al tipo di agricoltura pra-ticata.

L’impronta idricaAbitualmente si misura il “valore” delle cose, delle merci e dei

servizi, soltanto in unità monetarie e su tali indicatori si basanole misurazioni dell’economia, degli scambi, dei prezzi. In realtà, ilvalore in unità monetarie fornisce informazioni distorte sui feno-meni economici che sono basati non sullo scambio di soldi, masullo scambio di materia. Proviamo infatti a considerare il costoin acqua di una tonnellata di zucchero, ottenuta attraverso unprocesso di trasformazione di biomassa vegetale. Dal punto divista dell’economia dello zuccherificio il costo in acqua potrebbe

25Progresso: avanti tutta!...?

distribuzione idrica regolare e adeguata, non a causa delle preci-pitazioni scarse bensì dell’utilizzo poco accorto delle falde acqui-fere esistenti, della cattiva condizione degli acquedotti che pro-voca perdite del 30% del prezioso liquido canalizzato.

Cosa si fa: qualche esempio pratico ed esperienza significativaIl diritto all’acqua Che senza acqua non sia possibile vivere è un dato risaputo

per esperienza diretta di ciascuno di noi. Eppure, a ventunesimosecolo iniziato, non esiste ancora, da parte degli organismi inter-nazionali, una dichiarazione ufficiale del diritto all’acqua.

Questo bene comune così prezioso è riconosciuto solo comebisogno, il che equivale a considerarla una merce qualunque, lacui distribuzione può essere privatizzata!

Ancora nel marzo del 2006 a Città del Messico si è svolto il IVForum Mondiale dell’Acqua, in occasione del quale le 300 asso-ciazioni di 40 paesi che agiscono per il riconoscimento del dirittoall’acqua hanno chiesto a gran voce, inutilmente, di raggiungereil loro obiettivo.

Questa resistenza può essere certamente spiegata con il fattoche, tra gli organizzatori e sponsor del Forum stesso, era presen-te “AquaFed”, associazione di 200 operatori privati dell’acqua, trai quali ci sono le 10 grandi multinazionali che gestiscono e com-merciano l’acqua a pagamento, che ovviamente fanno di questo“oro blu” il loro business quotidiano.

Nel 1980 solo 12 milioni di persone nel mondo erano rifornitedi acqua da imprese private; nel 2000 erano salite a 300 milioni!

La distinzione tra diritto e bisogno non è perciò una banalescelta di termini.

Un diritto umano non può essere oggetto di compra-vendita;la sua distribuzione non può essere soggetta alle leggi di mercato,perché deve essere a disposizione di tutti, non solo di chi ha isoldi per pagare.

L’acqua è un bene comune dell’umanità, come l’aria, un beneirrinunciabile, quindi non può essere di proprietà di nessuno, madeve essere a disposizione di tutti.

Oltre agli intoppi generati dalle mancate dichiarazioni ufficia-li, sulla scena mondiale l’altro ostacolo gravemente presente allamessa in opera effettiva del diritto all’acqua è la povertà. Comespiega molto bene il “Rapporto sullo Sviluppo Umano 2006”dell’UNDP, l’agenzia dell’ONU che si occupa di ambiente, il fattoche un miliardo e mezzo di persone oggi non abbiano accessoall’acqua (cioè che debbano fare più di 3 Km per approvvigionar-si di acqua: se fanno solo… 2 Km non rientrano già più in questafascia!) e non abbiano servizi igienici; il fatto che 1 miliardo dipersone non beva acqua sicura per cui ogni anno muoiono per

24 Osservatorio sulla Cittadinanza

Anche il clima è un fattore importante. Nelle regioni con unalto tasso di evaporazione, la quantità di acqua utilizzata per l’a-gricoltura risulta essere più elevata.

Infine un dato significativo è la produttività dell’acqua utiliz-zata nelle produzioni agricole. Se si adottano tecniche agricoleinefficienti, la produzione richiederà una quantità di acqua mag-giore e quindi l’impronta idrica sarà più elevata.

Vediamo alcuni esempi:• 1 tazzina di caffè = 140 litri d’acqua• 1kg di mais = 900 litri d’acqua• 1 litro di latte = 1000 litri d’acqua• 1kg di frumento = 1350 litri d’acqua• 1kg di riso = 3000 litri d’acqua• 1kg di carne = 16000 litri d’acqua

I costi dell’acqua potabileIl gesto, così ovvio e scontato per noi cittadini occidentali, di

aprire il rubinetto e avere comodamente a disposizione tutta l’ac-qua che vogliamo, per essere compiuto richiede non poche ope-razioni, è il caso di dirlo … alla fonte!

Innanzitutto agli impianti di captazione (o dai fiumi o dallefalde sotterranee), poi quelli per la distribuzione; inoltre per arri-vare nelle nostre case ed essere bevibile da noi in tutta tranquil-lità, l’acqua deve subire dei trattamenti di potabilizzazione consostanze chimiche, per eliminare i germi che si possono celarenelle preziose gocce.

Tutte queste operazioni vanno ad incidere sul costo dell’ac-qua che in Italia continua ad essere quello più basso se confron-tato con quello di altri paesi europei: infatti in Germania, Olandae Danimarca ultimamente il costo annuo del servizio idrico perogni famiglia si aggira in media dai 300 ai 350 Euro, mentre inItalia si attesta sui 50 €. (Fonte COOP).

Tenendo conto che, un’alta percentuale di questa acqua pota-bile viene da noi utilizzata in usi per i quali la potabilizzazionenon sarebbe indispensabile (igiene personale e della casa) appa-re evidente la necessità di applicarci al risparmio idrico, per uti-lizzare con attenzione un bene cha ha richiesto operazioni e trat-tamenti costosi.

Se all’esaurimento del petrolio possiamo pensare di sopperirecon fonti energetiche alternative, alla diminuizione della quan-tità di acqua dolce non inquinata che ciascuna persona ha adisposizione, non possiamo contrapporre nient’altro che la pra-tica costante del risparmio idrico, per diventare capaci di spre-carla di meno e di utilizzarla al meglio.

Problemi italianiAbbiamo già accennato che gli italiani sono al primo posto tra

gli europei per i consumi idrici domestici (medi di l. 250 giorna-lieri). Tuttavia oltre il 35% degli italiani non usufruisce di una

27Progresso: avanti tutta!...?

Consigli pratici: cosa possiamo fare noi tuttiLa SMAT, società che gestisce il servizio idrico a Torino, ha

pubblicato questo

“DECALOGO PER IL RISPARMIO IDRICO”Ogni cittadino può dare il proprio contributo per un corretto

utilizzo della risorsa idrica attraverso dei semplici ma efficaci gestie non dimenticando di impiegare le stesse accortezze che si usanoin casa anche nei locali pubblici e nei luoghi di lavoro.

Assicurarsi che i rubinetti non abbiano perdite e chiuderebene quelli che gocciolano: un rubinetto che gocciola può pro-durre uno spreco annuo che va da 4.000 a 5.000 litri d’acqua.

Verificare il corretto funzionamento dello sciacquone delbagno poiché è responsabile del 30% dei consumi domestici del-l’acqua. Èopportuno scegliere gli scarichi diretti a leva regolabili(consumano 3 volte meno rispetto a quelli a pulsante facendorisparmiare oltre 20.000 litri d’acqua all’anno).

Non fare scorrere inutilmente l’acqua quando ci si lava ed evi-tare i getti d’acqua troppo forti.

Munire di frangigetto i rubinetti del bagno: il getto risultaarricchito d’aria, consentendo di risparmiare il 40% dell’acquaerogata.

Utilizzare lavatrici e lavastoviglie sempre a pieno carico, sipotranno risparmiare 10.000 litri d’acqua all’anno ed evitare leore di punta per l’utilizzo di elettrodomestici.

Per l’igiene personale è consigliabile fare la doccia piuttostoche il bagno: i 150 litri della vasca diventano solo 30 per la doccia.

Usare l’acqua con cui si lava verdura e frutta per innaffiare lepiante, fornendo così anche un apporto di sali minerali. L’acquadi cottura della pasta è ottima per lavare i piatti.

Lavare l’auto usando l’acqua contenuta in un secchio e nonquella corrente: si possono risparmiare fino a 130 litri d’acqua.

Sensibilizzare l’amministrazione condominiale al controllodel consumo dell’acqua e delle perdite occulte.

In caso di siccità limitare, per quanto possibile, l’irrigazionedei giardini innaffiandoli preferibilmente al mattino e dopo il tra-monto, in modo da evitare l’evaporazione d’acqua che avverreb-be nelle ore più calde della giornata. Evitare di riempire le piscinedi uso famigliare.

A questi si possono ancora aggiungere altri suggerimenti:

- controllare periodicamente il contatore dell’acqua la seraprima di andare a letto e il mattino successivo per accorgersi dieventuali perdite;

- utilizzare detersivi e igienizzanti ecologici per ridurre l’in-quinamento dell’acqua.

26 Osservatorio sulla Cittadinanza

malattie legate all’acqua impura 3 milioni e mezzo di persone,non dipende tanto dalla disponibilità dell’elemento, bensì inmassima parte dalla povertà che non consente loro di acquistarecon facilità un bene così indispensabile.

L’ONU calcola che ogni giorno muoiono 6000 bambini di etàinferiore a 5 anni per malattie legate al consumo di acqua nonpotabile; ma altrettanto grave è che 18 milioni di bambine e bam-bini non possano andare a suola perché devono fare i portatorid’acqua per tutta la famiglia.

È ancora l’ONU ad avvertirci che in meno di 25 anni, due terzidella popolazione mondiale sarà colpita da crisi idrica: un moti-vo in più per allenarci al risparmio idrico!

Nei Paesi del sud del mondo, dove la distribuzione dell’acquaè stata affidata alle multinazionali inevitabilmente si sono verifi-cati i seguenti fatti:• aumento dei prezzi• impossibilità per le classi più povere di accedere al servizio• deterioramento del servizio• aumento dei problemi di salute pubblica (diarrea, colera,

gastroenteriti ecc.)• investimenti concentrati nelle zone ricche, escludendo le zone

rurali e le periferie degradate.

Per restare in casa nostra, è risaputo come in Sicilia molte pro-vince soffrano costantemente la sete, nonostante piovano nor-malmente 7 miliardi di metri cubi di pioggia all’anno e il fabbiso-gno civile, agricolo e industriale sia calcolato sui 2 miliardi emezzo di litri all’anno, perché le famiglie mafiose, oltre ad aggiu-dicarsi gli appalti per le grandi opere, controllano i proprietari deipozzi, che vendono l’acqua a caro prezzo!

In Bolivia, a Cochabamba, quando l’acquedotto venne affida-to a due multinazionali dell’acqua, Bechtel e Suez, le tariffe del-l’acqua aumentarono del 68%, aumenti che si sono puntualmen-te verificati anche in città italiane, come Arezzo e Latina.

Sia a Cochabamba (con molti morti purtroppo) che a Napoli,la popolazione, opponendosi con tutte le sue forze alla privatiz-zazione dell’acqua , è riuscita a far cambiare la situazione, ma inmolte altre città italiane si sta ancora discutendo.

Al momento la Camera dei Deputati, su pressione dei movi-menti per l’acqua pubblica, ha deliberato una moratoria sullaprivatizzazione dell’acqua, ma manca ancora la discussione inSenato.

Nel periodo da gennaio a giugno 2007, 406.000 cittadini italia-ni hanno firmato per presentare una legge di iniziativa popolareche prevede la ripubblicizzazione dell’acqua: sta a tutti noi, d’orain avanti, vigilare per seguire gli sviluppi di tale proposta e garan-tire che l’acqua resti veramente un bene comune dell’umanità, inItalia e nel mondo.

29Progresso: avanti tutta!...?

BibliografiaSorcinelli Paolo, Storia sociale dell’acqua, Bruno Mondatori, Milano, 1998Emilio Molinari, ACQUA – Argomenti per una battaglia, Edizioni PuntoRosso, Milano, 2007Ilenia Grandi, Elena Camino, Un percorso interdisciplinare di conoscenzasull’acqua, Centro Studi Sereno Regis, Torino, 2005Aluisi Topolini,Davide Zoletto, Acqua finte di democrazia, EMI, Bologna,2004AA.VV. Acqua come cittadinanza attiva, EMI, Bologna 2003Marco Bersani, Acqua in movimento, Edizioni Alegre, 2007-09-10AA. VV., Acqua bene comune dell’umanità, Ed Punto Rosso. AA.VV. Economie e politiche dell’acqua. Afriche e orienti, Aiep editore,anno V, n°3/4, 2003. Altamore G., I predoni dell’acqua. Acquedotti, rubinetti, bottiglie: chi gua-dagna e chi perde.Edizioni San Paolo, 2004. Altamore, G., Qualcuno vuol darcela a bere, Fratelli Frilli editori, 2003. Barlow M., Clarke T., Oro blu. La battaglia contro il furto mondiale del-l’acqua. Arianna editrice,2004. Manuta M., Fuori i mercanti dall’acqua, Collana esse, MovimentiCambiamenti, 2002. Marq De Villiers, “Acqua. Storia e destino di una risorsa in pericolo”,Sperling&Kupfer Editori,2003. Petrella, R., Il diritto di sognare, Sperling & Kupfer, 2003. Petrella, R., Il manifesto dell’acqua, Ed. Gruppo Abele, 2001. Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, Feltrinelli, 2003. Teti V. (a cura di), Storia dell’acqua. Mondi materiali e universi simbolici.Donzelli editore, Roma,2003. Lacoste Y., Geopolitica dell’acqua, Edizioni Movimenti Cambiamenti, 2002.

Sitigrafiawww.contrattoacqua.itwww.unesco.org/science/waterday2000/www.worldwaterforum.org

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Al bando l’acqua mineraleGli italiani possono anche vantare il primato mondiale di con-

sumatori di acqua minerale. Poiché abitualmente l’acqua mine-rale è venduta in bottiglie di plastica (PET), materiale molto piùcostoso da smaltire in confronto al vetro, gli Enti Locali spendo-no nello smaltimento più di quanto incassano per le concessionial prelevamento delle fonti! Inoltre la produzione di 1 Kg di PETrichiede 17,5 litri di acqua, e con un chilo di PET si producono 30bottiglie da 1,5 litri: quindi per bere 45 litri di acqua se ne consu-ma la metà per produrre le bottiglie che la contengono!

Non va dimenticato, inoltre, che l’acqua del rubinetto è moltopiù controllata e sicura; non richiede imballaggio, quindi nonprovoca ulteriori inquinamenti.

Rosina Rondelli, laureata in pedagogia, docente di materie letterarie nellaScuola Media; attualmente in pensione. Presidente della ONG di TorinoCISV negli anni 1990 - 1999.Presidente dell’Associazione TRICICLO di Torino dal 2000, nella qualesegue in particolare le attività educative nelle scuole inerenti l’educazioneal risparmio idrico, alla riduzione dei rifiuti e alla raccolta differenziata,al risparmio energetico.

31Progresso: avanti tutta!...?

soprattutto nel sud del paese dove era maggiore la loro concentra-zione e la loro inadeguatezza rispetto agli standard previsti dalladirettiva europea in materia. Vengono destinati all’incenerimentoil 10,2% dei rifiuti gestiti pari al 3,8 milioni di tonnellate.

La sfiducia dei cittadiniDavanti a questi numeri, davanti alle ormai consuetudinarie

immagini, soprattutto in Campania, di montagne di rifiuti presen-ti in strada, cresce sempre più la sfiducia dei cittadini nei confron-ti delle varie amministrazioni che per troppo tempo hanno opera-to con un approccio distaccato verso la gestione dei rifiuti, facendodello smaltimento finale in discarica l’unica via di gestione.

Riduzione, raccolta differenziata, riuso, riciclaggio, in altreparole tutte le azioni che caratterizzano una seria politica di pre-venzione e smaltimento, sono state troppo spesso evocate, moltevolte scritte sui piani e sui programmi elettorali, ma nei fatti solosporadicamente sono divenute una concreta prassi di gestione.Un’amministrazione che davanti alla politica dei rifiuti ha semprepreferito glissare o rinviare, o in molti casi che ha preferito osteg-giare le scelte più innovative e strategiche che non praticarle, aiu-tate da un settore industriale poco pronto a cogliere l’opportunitàofferte da una innovazione tecnologica.

Eppure i segnali positivi e l’esperienze del passato dovrebberofar sperare. Soprattutto quando situazioni di crisi sono state fonda-mentali per segnare la svolta. E trasformare l’emergenza in eccel-lenza prima e quotidianità dopo. È il caso dell’emergenza rifiuti aMilano e in tanti comuni della Provincia, quando dieci anni fa inseguito all’emergenza rifiuti è stato necessario stravolgere il siste-ma di raccolta differenziata, passando ad un servizio domiciliare,porta a porta basato sulla raccolta differenziata della frazione secca(vetro, carta, plastica, alluminio) e di quella umida (scarti cucina).

Il virus della raccolta porta a porta ha cominciato a diffondersidalla Lombardia al Veneto. E sulla scia della nuova politica dei rifiu-ti esperienze positive hanno varcato i confini del Nord Italia arri-vando in Toscana, Abruzzo e contaminando anche regioni come laCampania e la Puglia. Oggi la raccolta differenziata secco/umidoviene praticata in oltre duemila comuni italiani. Ben 978 possonovantare una raccolta differenziata superiore al 50% (sono compre-si: comuni superiori e inferiori ai 10mila abitanti, capoluoghi delNord, del Centro e del Sud. Ancora dietro le metropoli come Milanoe Roma, quasi assenti Palermo, Napoli e Firenze.

Le scelte della politicaInsomma le possibilità per realizzare nel nostro paese un ciclo

integrato di smaltimento di rifiuti degno di un paese civile cisono, manca la volontà politica. Occorre più coraggio da parte

30 Osservatorio sulla Cittadinanza

La gestione e il corretto smaltimento dei rifiuti, è uno temiparticolarmente caldi su cui si misura la capacità di governo diuna classe dirigente. Lo è, sia che si tratti di spazzatura, monezzao comunque si voglia chiamare quella parte di rifiuti di cui ognu-no di noi, in varia misura, ne è produttore, sia che si tratti di sco-rie di origini industriali.

E sulla capacità o meno di risolvere questa questione, si misu-ra la qualità della vita di un paese, il suo modo di consumare eprodurre, la sua capacità di costruirsi un futuro. Per comprende-re le dimensioni del problema e le grandi difficoltà che ci sonoper risolverlo, è necessario tener presente che la produzione deirifiuti continua a crescere mentre di pari passo cresce troppo len-tamente la raccolta differenziata.

La produzione di rifiuti urbani fa registrare nel 2005 (ultimodato disponibile Ministero Ambiente) un ulteriore aumento, rag-giungendo i 31,7 milioni di tonnellate, con un incremento di ben1,6 milioni di tonnellate rispetto all’anno precedente ed un procapite di circa 539 kg/abitante per anno. Il 40% in peso ed il 60%in volume di questi 31 milioni di tonnellate di rifiuti che produ-ciamo è generato da imballaggi e contenitori. La raccolta diffe-renziata si colloca al 24,3% della produzione totale dei rifiutiurbani. Un valore che risulta, ancora sensibilmente inferiorerispetto al target del 35% previsto per il 2003 dal DecretoLegislativo 22/97 e successivamente posticipato al 31 dicembre2006. Un gap di oltre dieci punti percentuali, che difficilmentepotrà essere colmato, nell’arco di un anno considerando che, conla finanziaria 2007, il Governo ha fissato il raggiungimento dell’o-biettivo del 40% entro il 31 dicembre 2007. Una raccolta differen-ziata che presenta un quadro diversificato passando da unamacro area geografica all’altra. Infatti mentre il Nord, con untasso di raccolta differenziata pari al 38,1%, supera ampiamentel’obiettivo del 35%, il Centro ed il Sud, con percentuali rispettiva-mente pari al 19,4% ed all’8,7% risultano lontani.

Lo smaltimento in discarica rimane la via privilegiata, con oltre17 milioni di tonnellate di rifiuti, anche se si registra una progressi-va riduzione del numero di discariche (61 in meno rispetto al 2004)

I rifiutiche fanno la differenza

di BEPPE RUGGIERO

33Progresso: avanti tutta!...?

• Preferisci il vetro a rendere a quello a perdere.• Orientati su prodotti con imballaggi poco ingombranti.• Evita gli imballaggi fatti con tanti materiali diversi.• Preferisci le confezioni famiglia a quelle monodose.• Evita l’usa e getta: posate di plastica e rasoi si usano per 5 minu-ti le prime e 4 barbe i secondi ma restano nell’ambiente 100 anni.• Utilizza merce fabbricate con materiali riciclati.• Bevi acqua dell’acquedotto e ridurrai la produzione di plastica.

BibliografiaGuido Viale, Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti e i rifiuti dellaciviltà, Feltrinelli Editore Lucia Venturi, Pianeta Rifiuti editore Le BalzeAA.VV., Rifiuti, Filema edizioniLuca Ramacci, La nuova disciplina dei Rifiuti, La Tribuna editore,Collana: Universale Economica.

Peppe Ruggiero, giornalista professionista, dal 1997 tra i curatori del rap-porto ecomafia di Legambiente, collabora con Narcomafie, La Nuova eco-logia e il settimanale Left.

32 Osservatorio sulla Cittadinanza

delle Amministrazioni pubbliche. Coraggio per realizzare un ade-guata impiantistica a servizio della gestione integrata, dagliimpianti di compostaggio che permetterebbero la trasformazio-ne della frazione umida in compost per agricoltura, diminuendola quantità di organico conferito in discarica, alle piazzole e isoleecologiche per aiutare i cittadini a selezionare i multimateriali.Ma soprattutto si devono responsabilizzare di più i cittadini versole problematiche ambientali. Nella corretta gestione dei rifiuti, ilcittadino ha un ruolo fondamentale nell’applicazione delle poli-tiche di prevenzione e riciclo dei rifiuti. Avviare campagne di sen-sibilizzazione per indirizzare i consumi verso prodotti che inqui-nano meno, ma che sono soprattutto più facilmente riutilizzabilie riciclabili. La politica, con la P maiuscola non può non conside-rare il ruolo centrale svolto dal cittadino nei sistemi di raccoltadifferenziata, il cui successo è legato, soprattutto ad una correttainformazione ed ad un suo attivo coinvolgimento. Senza un cor-retto ciclo integrato delle responsabilità da parte degli ammini-stratori, qualsiasi raccolta differenziata servirà poco e sarà sem-pre più difficile realizzare i presupposti per quella cosiddetta“accettabilità sociale”. Basterebbe una seria pianificazione diinterventi mirati per allontanare definitivamente lo spettro del-l’emergenza perenne nei settori rifiuti. Semplici e sostenibili,chiedendo il rispetto delle regole del gioco. Il rifiuto deve essereprima ridotto nelle quantità prodotte, poi differenziato e ricicla-to e solo la parte residuale, molto marginale, sarà avviata allosmaltimento. Gran parte dei paesi europei ci sono riusciti. Oraspetta al nostro Belpaese fare la sua parte. È questa la strada piùsaggia da seguire. E non c’è un’alternativa più sostenibile.

Riciclare perché:• Carta: per ogni tonnellata di carta riciclata si risparmiano 14

alberi di alto fusto.• Plastica: con 11 bottiglie di plastica si confeziona una felpa in

pile.• Vetro: per ogni tonnellata riciclata si risparmiano energia pari a

200 kg di petrolio.• Legno: con 30 cassette di frutta riciclate si costruisce una scri-

vania.• Acciaio: con l’equivalente in peso di 13 barattoli di pelati si fab-

brica una pentola.• Alluminio: da 54 lattine si ricava una caffettiera.

Dieci buone regole per ridurre lo spreco:• Privilegia la merce sfusa alla merce già confezionata.• Scegli detergenti e detersivi in confezioni ricaricabili.• Usa borse di carta o meglio ancora carrelli e borse di cotone.

35Progresso: avanti tutta!...?

fornitura di energia mondiale. La domanda di petrolio cresceràdel 2,2% all’anno nei prossimi 5 anni, mentre la stima era del 2%.Al 2012 ogni giorno si produrranno 95,8 milioni di barili di petro-lio, mentre oggi sono 83 milioni. Per bilanciare il mercato c’è daaspettarsi un rialzo dei prezzi, un calo della produzione e l’assot-tigliamento delle riserve dei paesi Ocse. Poi toccherà al gas natu-rale: si prevede che entro 25 anni ci saranno solo tre importantifornitori: Russia, Qatar e Iran. Insomma, ancora una volta la corsaal petrolio o al gas rischia di aggiungere all’effetto serra un altret-tanto pericoloso “effetto guerra”.

Le opzioni energeticheA fronte della necessità di drastiche riduzioni delle emissioni

climalteranti nei prossimi decenni il mondo cerca di individuarele tecnologie e le politiche più efficaci. A parte l’aumento dell’ef-ficienza energetica, soluzione su cui tutti concordano, sono tre leopzioni che si contendono attenzione e finanziamenti.

Innanzitutto il nucleare, che forti interessi cercano di riporta-re alla ribalta dopo un paio di decenni di difficoltà. Molti dei pro-blemi iniziali rimangono e bisognerà aspettare una ventina dianni per verificare costi e affidabilità dei reattori di quarta gene-razione. Intanto i prezzi dell’uranio vanno alle stelle, con aumen-ti di quasi 20 volte rispetto al 2001, e il deterrente di un costo trop-po elevato si affianca ai forti dubbi sulla sicurezza. Oltre al fanta-sma sempre vivo di Chernobyl, il recente incidente alla centralenucleare giapponese di Kashiwazaki – causato da un terremoto dimagnitudo 6,8 nella scala Richter – ha contribuito a raffreddaregli entusiasmi di chi punta su un rilancio dell’ipotesi atomica.Una ulteriore fonte di diffidenza per l’opinione pubblica, allaquale non è ancora stata mostrata una soluzione per lo smalti-mento delle scorie radioattive.

La seconda opzione, cara in particolare ai produttori di petro-lio e di carbone, è data dal sequestro sotterraneo dell’anidridecarbonica. Per queste industrie la praticabilità della rimozionedel carbonio è questione di sopravvivenza. Anche in questo casonon sono esclusi rischi sanitari importanti e non si conoscono icosti reali delle operazioni di cattura e isolamento. Una soluzio-ne, insomma, ancora impraticabile.

A questo punto rimane da valutare la terza ipotesi, quella dellosviluppo su larga scala delle fonti rinnovabili, che sembra la piùpromettente e non presenta controindicazioni di carattereambientale tali da sbarrarne la crescita. Se però analizziamo leattività di ricerca, ci accorgiamo che il nucleare assorbe finanzia-menti cinque volte superiori rispetto alle energie verdi e il seque-stro dell’anidride carbonica attrae risorse sempre maggiori. Ilrischio è che le rinnovabili fatichino ancora a diffondersi perun’attenzione troppo modesta in termini di ricerca e innovazionerispetto al gigantesco potenziale che rappresentano.

34 Osservatorio sulla Cittadinanza

Il mondo deve fare i conti con le conseguenze delle alterazio-ni climatiche causate in prevalenza dalle attività umane.L’intensificarsi degli squilibri planetari è strettamente legato allescelte energetiche dei singoli e dei governi. Scelte che se riconsi-derate possono rappresentare la prima “buona azione” da mette-re in campo per affrontare seriamente il problema del riscalda-mento globale, soprattutto nei cosiddetti paesi industrializzati.Basti pensare che Usa e Canada consumano più di un quarto del-l’energia prodotta sul pianeta. L’Europa, compresa l’area dell’exUnione Sovietica, ne consuma quasi un terzo e paesi come Cinae India hanno fatto registrare in pochi anni un aumento vertigi-noso dei consumi. Un’autentica corsa all’”accaparramento difonti di energia” che crea squilibri non solo di natura ambientale.

Schiavitù fossiliLa gran parte dell’energia prodotta deriva dal petrolio, che

assieme al gas naturale copre il 50% del fabbisogno mondiale. Aqueste si aggiunge l’impatto di un’altra fonte fossile, il carbone,combustibile con le più alte emissioni specifiche di gas serra. Ilcosiddetto oro nero viaggia ormai stabilmente attorno agli 80euro al barile e secondo le previsioni di Goldman Sachs nel 2008per la prima volta nella storia potrebbe arrivare a 100 dollari. Selo scopo della guerra in Iraq fosse stato davvero quello di miglio-rare le forniture petrolifere, possiamo affermare che per gli Usa èstata un insuccesso anche sotto questo profilo, visto che primadell’invasione il prezzo del barile era di circa 30 dollari.

Molti analisti ritengono che in pochi anni saremo nel pienodel picco del petrolio, con gravissime conseguenze economicheche imporrebbero una reazione immediata e una riorganizzazio-ne dei consumi energetici a livello mondiale. Il rapportodell’International Energy Agency (“The Iea medium term oilmarket report”) ha previsto nei prossimi cinque una crescita delladomanda di petrolio ben superiore rispetto alle stime preceden-ti, mentre l’estrazione tenderà a diminuire, con forti rischi per la

Black out:la questione dell’energia

di RAFFAELE LUPOLI

37Progresso: avanti tutta!...?

imprese più piccole, ad esempio quelle che investono nelle fontirinnovabili, l’accesso al mercato energetico.

Opportunità rinnovabileA dimostrazione che ormai le rinnovabili sono una realtà,

basta pensare che i 15.200 Megawatt (MW) di nuove turbine eoli-che installate in tutto il mondo lo scorso anno generano abba-stanza energia elettrica pulita da evitare le emissioni di anidridecarbonica imputabili a 23 centrali a carbone americane di mediedimensioni. Lo dice il Worldwatch Institute, citando i dati del suo“Vital Signs update”. I 43 milioni di tonnellate di CO2 così evitatesono equivalenti alle emissioni causate dalla produzione di 7.200MW a carbone o da quasi 8 milioni di automobili.

Oltre a preoccuparsi per le conseguenze dell’effetto serra, isingoli governi hanno compreso l’importanza e l’opportunità intermini di innovazione tecnologica e nuova occupazione rappre-sentata dalle rinnovabili. Anche in quest’ottica il governo britan-nico a marzo 2007 ha varato un piano di riduzione del 60 percento delle proprie emissioni al 2050 (e del 26-32 per cento al2020) e la Germania si è posta l’obiettivo di ridurre le proprieemissioni del 40 per cento entro il 2020.

Con il meccanismo dei certificati bianchi e del “conto energia”per il fotovoltaico, anche in Italia il governo Prodi ha impressoun’accelerazione verso il risparmio energetico, l’efficienza e ilricorso alle rinnovabili. La potenza eolica installata nel Paese haraggiunto 2.123 MW nel 2006 e quest’anno si dovrebbero supera-re i 2.800 MW. Le installazioni di collettori solari termici sono rad-doppiate (140.000 mq) e cresceranno ulteriormente grazie alledetrazioni fiscali previste in Finanziaria. Ancora più netto è ilboom del solare fotovoltaico: nel solo 2007 sono stati completatio sono in via di installazione 145 MW, tre volte quanto era statoinstallato in Italia negli ultimi 20 anni.

Secondo lo studio europeo Optres, in Italia l’elettricità da fontirinnovabili potrebbe passare entro il 2020 dagli attuali 56 a 96TWh/a, coprendo circa un quarto del consumo elettrico previstoper quella data, percentuale che sarebbe più elevata in presenzadi efficaci politiche di risparmio energetico. Su questo versantel’Esecutivo ha presentato a Bruxelles il piano di azione nazionalesull’efficienza energetica, con le misure già predisposte e quellein cantiere per raggiungere l’obiettivo stabilito dalla direttivaeuropea 2006/32: 9,6% di risparmio energetico entro il 2016.

Gli impegni della battaglia climatica obbligano a un ripensa-mento profondo del nostro modello energetico.

La sfida è appena iniziata e durerà decenni. Occorre saperedare risposte efficaci nel breve termine e contemporaneamentepredisporre una strategia di riduzione di lungo respiro.Soprattutto si deve passare dalla posizione difensiva (quando nonostile) assunta negli ultimi anni a una linea propositiva. La con-

36 Osservatorio sulla Cittadinanza

Speranza dall’EuropaMolti osservatori hanno messo in luce la schizofrenia dei

paesi industrializzati, che per affrontare la prima crisi energeticasono alla ricerca disperata di fonti fossili e per affrontare la crisiambientale cercano di ridurle. Ma il punto di incontro e la solu-zione c’è ed è nell’efficienza energetica, nel risparmio e nello svi-luppo delle fonti pulite. La sfida è quella di evitare che la loro dif-fusione non sia sufficientemente rapido da consentirle di scon-giurare una crisi energetica e da questo punto di vista è fonda-mentale il contributo dei governi nell’applicazione del Protocollodi Kyoto. Redatto nel dicembre 1997 ed entrato in vigore nel feb-braio 2005 a seguito della ratifica di un numero di paesi che rap-presentasse il 55% delle emissioni climalteranti prodotte nel ’90,il protocollo è fondato sul principio di comuni ma differenziateresponsabilità e impegna i paesi industrializzati e quelli ad eco-nomia in transizione a ridurre le emissioni dei principali gas serraentro il 2012. Gli Stati Uniti, i principali produttori di questi gascon una quota del 36,1%, non hanno ratificato l’accordo. Il loroscetticismo sul legame tra attività umane e riscaldamento globa-le, e quindi sull’efficacia del protocollo, probabilmente è fruttodelle pressioni della lobby dei petrolieri. Sta di fatto che quest’at-teggiamento riduce pesantemente l’efficacia del meccanismomesso in moro dal protocollo.

Di diverso tenore l’atteggiamento dei paesi europei. Anche secon una certa difficoltà e con posizioni molto differenziate al suointerno, il Vecchio continente presenta un trend di riduzionedelle emissioni di gas serra. Considerando solo i Paesidell’Europa a 15 nel 2005 si è riscontrata una riduzione dello 0,8%rispetto al 2004 e dell’1,5% rispetto al 1990. Se l’analisi si estendea tutti i 27 Paesi dell’Unione la riduzione rispetto al 1990 risultadell’8%. I dati per l’Italia indicano invece un livello di emissioniclimalteranti del 13% più elevato rispetto al 1990 e ci pongonoquindi nella lista dei ritardatari.

Il 9 marzo 2007, i capi di governo europei hanno preso unadecisione che segna una svolta nelle politica energetica eambientale: l’approvazione dell’obbiettivo 20/20/20 al 2020 chedefinisce la riduzione delle emissioni climalteranti, la quota dienergia risparmiata e la frazione di energia verde da raggiungerealla fine del prossimo decennio. La rivoluzione energetica inizia-ta solo in alcuni paesi è destinata insomma a estendersi con unaradicalità di cui pochi ancora intravedono la portata.

Nella stessa direzione va il nuovo pacchetto di misure appro-vato lo scorso 19 settembre dalla Commissione europea peraumentare la competitività del settore. Fra i temi più importantila separazione proprietaria tra società di produzione e reti didistribuzione, estesa anche per le società “non Ue” che operanoin Europa. Bruxelles propone poi l’istituzione di un’Autoritycomunitaria che aumenti la cooperazione fra i regolatori nazio-nali, promuove l’efficienza energetica e assicura anche alle

39Progresso: avanti tutta!...?

BibliografiaButera, Federico, Dalla caverna alla casa ecologica. Storia del comfort edell’energia, pp. 238, euro 20, Edizioni Ambiente, 2007.Pietrogrande Paolo, Masullo Andrea, Energia verde per un paese rinnova-bile, Muzzio - Gruppo Editoriale, Edizione 2007 ampliata e aggiornata pp.240, euro 17.Worldwatch Institute, State of the world 2007. Il nostro futuro urbanizza-to. Rapporto sullo stato del pianeta, Edizioni Ambiente, 2007, pp. 431,euro 20.Pozzati Piero, Palmeri Felice , Verso la cultura della responsabilità,Edizioni Ambiente, 2007, pp. 320, euro 20Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, Italia 2020. Energia e ambiente dopoKyoto, a cura di Paolo Degli Espinosa, Edizioni Ambiente 2006, pp. 288,euro 20Scheer, Hermann, Autonomia energetica. Ecologia, tecnologia e sociologiadelle risorse rinnovabili, Edizioni Ambiente 2006, pp.256, euro 20

Raffaele Lupoli (Napoli, 1975), laureato in giurisprudenza e giornalistaprofessionista, vive e lavora a Roma. Dal 2005 è coordinatore di redazionede La Nuova Ecologia, il mensile di Legambiente. Dal 2002 al 2004 ha pro-gettato e coordinato www.lanuovaecologia.it, il primo quotidiano on linesull’ambiente in Italia ed è stato redattore delle riviste La Nuova Ecologia,Blumare, Isole, Jey. È fra gli autori del progetto editoriale di www.helpcon-sumatori.it, la prima agenzia di stampa on line sui consumi. Dal 2003 col-labora con le riviste Poliziamoderna e Narcomafie ed fra gli autori del“Rapporto Ecomafia” di Legambiente (Edizioni Ambiente, 2007). Suoi con-tributi sono publicati nei libri “Pianeta rifiuti” (Ed. Le Balze, 2006) e “Laguerra dei rifiuti” (Ed. Alegre, 2007). Da ottobre 2007 è direttore responsa-bile di www.lanuovaecologia.it, il quotidiano di Legambiente.

38 Osservatorio sulla Cittadinanza

versione in atto può rappresentare una straordinaria occasioneper riqualificare il nostro sistema produttivo, rivedere la strutturadei trasporti, garantire bassi consumi nelle abitazioni. Le rispostedovranno quindi riguardare trasversalmente le politiche delPaese e coinvolgere tutti i livelli istituzionali. Andrà rilanciata laricerca a livello italiano ed europeo, perché traguardi così ambi-ziosi non si possono raggiungere senza salti tecnologici. D’altraparte non ci si deve illudere che la tecnologia risolverà tutti i pro-blemi. Si dovranno ripensare le modalità produttive (e gli oggettidelle produzioni), organizzare in modo più efficace la mobilità erivedere gli stili di vita.

Kyoto a casa miaPer finire, proprio sul fronte del comportamento dei singoli,

ecco alcuni accorgimenti che ognuno di noi può adottare perapplicare lo spirito del Protocollo di Kyoto fra le mura domestichee nelle attività quotidiane. 1. Sostituire le lampadine a incandescenza con quelle a risparmio

energetico fluorescenti o a led.2. Acquistare elettrodomestici di classe A (categoria massima di

risparmio energetico), mantenendoli in efficienza e usandolicorrettamente.

3. Spegnere completamente gli apparecchi in stand-by (schermodel computer, radio, tv, e hi-fi).

4. Utilizzare la lavatrice solo a pieno carico o usare il programma“mezzo carico”. Separare il bucato in base al tipo di tessuto e disporco, evitare il prelavaggio e preferire temperature non ele-vate.

4. Prestare attenzione all’isolamento termico dell’abitazione(doppi vetri, pannelli isolanti).

5. Mantenere la temperatura degli ambienti tra i 18 e i 20°C. Lanotte ridurla a 16° (ogni grado in meno produce un risparmiodel 7% circa).

6. Ridurre gli sprechi d’acqua serve anche a consumare menoenergia (si pensi agli interventi necessari per captazione, pom-paggio, depurazione e potabilizzazione).

7. Riusare il più possibile gli oggetti e praticare la raccolta diffe-renziata.

8. Utilizzare il più possibile i mezzi pubblici.9. Installare pannelli solari sul tetto dell’abitazione e informarsi

sugli ecoincentivi previsti in Finanziaria.10. Piantare nuovi alberi.

41Progresso: avanti tutta!...?

fenomeno non è solo un aumento quantitativo, se un fenomenoaumenta quantitativamente cambia radicalmente il paesaggio,c’è una variazione qualitativa. Fa un esempio molto semplice: semi tolgo un capello sono uno che ha i capelli, se me ne tolgo due,sono ancora uno che ha i capelli, se me li tolgo tutti sono calvo.Quindi l’aumento quantitativo di un gesto determina una varia-zione qualitativa del mio cranio.

Quindi l’aumento quantitativo di un fenomeno non va trascu-rato. Il primo a catturare questo elemento e ad applicarlo alla eco-nomia è stato Marx: se il denaro diventa la condizione universaleper soddisfare qualsiasi bisogno e per produrre qualsiasi beneallora tutti vorranno il denaro che diventa il primo scopo, nonsarà più un mezzo, per realizzare il quale quelli che erano scopidiventeranno mezzi per produrre denaro, bisogni e beni diventa-no mezzi per produrre denaro. Se noi applichiamo questo teore-ma hegeliano e marxiano alla tecnica diciamo: se la tecnica è lacondizione universale per realizzare qualsiasi scopo, allora la tec-nica non è più un mezzo ma diventa il primo scopo che tuttivogliono e per ottenere il quale si sacrificheranno tutti gli altriscopi. […].

Qui abbiamo il capovolgimento dei mezzi in fini e abbiamoquesto imperialismo della tecnica che si annuncia, perché essen-do ciò che tutti vogliono è il primo scopo.

Al di là di tutti gli scopi umanistici, che non spariscono, masono realizzabili solo attraverso la disponibilità di dispositivi tec-nici. Questo produce degli sconquassi nel modo di intendere ilnostro tempo, nel senso che si modifica radicalmente il concettodi individuo, che all’interno di un apparato tecnico è sempre piùun funzionario, è sempre più un simil-macchina e sempre menoindividuo. Noi oggi per conoscerci, se ci troviamo tra sconosciuti,siamo identificati non dal nostro nome ma dal nostro biglietto davisita, che non fa altro che segnalare il nostro apparato di appar-tenenza, perché senza apparato di appartenenza diventiamoincomprensibili. Chi sei tu? Che fai? Questo vuol dire entrare nel-l’età della tecnica dove la funzione dice chi sono. Il mio nome nonè più importante, non siamo più chiamati per nome, anche se poioggi mettono le targhette con il nome. Ma questi sono inganni, inrealtà sono tutti funzionari di apparato. Si modifica il concetto dilibertà, la libertà non è più un evento individuale, è sempre piùassimilabile alla competenza, alla conoscenza dei giochi. Piùruoli posso occupare più sono libero, ma per occupare più ruolidevo essere competente, per cui la libertà è proporzionale allacompetenza tecnica.

[…] con la seconda guerra mondiale comincia la mentalitàdell’età della tecnica, che prima non c’era. Günther Anders Stern[…] diceva il mio maestro Heidegger mi ha detto che l’uomo è ilpastore dell’essere, qui in realtà mi rendo conto che è il pastoredelle macchine, nei confronti delle quali prova anche un senso divergogna rispetto alla loro perfezione e potenza decisamente supe-riore a quella umana, perché noi uomini abbiamo degli inconve-

40 Osservatorio sulla Cittadinanza

L’uomo nell’età della tecnica “Siamo tutti persuasi di abitare l’età della tecnica, riteniamo

ancora che la tecnica sia uno strumento nelle mani dell’uomo:non è più così. Nel senso che ormai la tecnica è diventata il nostroambiente, il nostro luogo di abitazione. Soprattutto è diventato ilsoggetto della storia. Il rapporto uomo/tecnica si è capovolto, nelsenso che non è più l’uomo il soggetto della storia, ma lo è diven-tato la tecnica. L’uomo è diventato il funzionario degli apparatitecnici a cui appartiene. […].

È possibile dire che la tecnica è l’essenza dell’uomo. L’uomo adifferenza degli animali non ha istinti che sono la qualifica tipicadell’animalità. L’animale appena viene al mondo sa quello chedeve fare per ragioni istintive. L’istinto è una risposta rigida aduno stimolo, per cui se io faccio vedere della carne ad un erbivo-ro questo erbivoro non la percepisce come cibo, se gli facciovedere una bistecca non realizza, se gli faccio vedere un covone difieno si mette a mangiare. Ecco gli uomini non hanno risposterigide agli stimoli e quindi non hanno istinti come conduttori,codici, regolatori immediati della modalità di essere al mondo edi condurre la propria vita. […].

Proprio perché non ha istinti l’uomo per stare al mondo deveessere immediatamente tecnico, il che non significa che appenaè comparso l’uomo è comparso un animale tecnico, diciamo chenell’evoluzione, nel momento in cui l’antropoide ha preso unpezzo di legno per staccare un frutto, in quel momento è natol’uomo. Quando tra sè e la soddisfazione del suo bisogno hamesso uno strumento: in quel momento è nato l’uomo. […].

L’età della tecnica è stata preconizzata da Hegel, che in unlibro di logica dedica un centinaio di pagine allo strumento.Hegel dice che la ricchezza delle nazioni non dipende tanto daibeni ma dagli strumenti, perché i beni si consumano mentre glistrumenti li producono. La vera ricchezza si sposterà dal posses-so dei beni al possesso degli strumenti e quindi intuisce un futu-ro tecnico. Una intuizione che a noi pare ovvia ma che a suoitempi non lo era. […].

Secondo teorema di Hegel che si trova sempre in quelle pagi-ne. Dice Hegel: state attenti che l’aumento quantitativo di un

Tecnologie: i limiti di un uomo senza limiti

di UMBERTO GALIMBERTI

43Progresso: avanti tutta!...?

a pensare come la macchina, perché garantisce la regolarità delprocesso. Oggi negli apparati tecnici-industriali burocratici, lavirtù che si predilige nell’assumere qualcuno non è la creatività,l’intelligenza... ma la sostituibilità immediata. Si prende una per-sona, le si dà un mansionario ridotto che garantisca che quelloche subentra in tre giorni lo impari, perché il valore supremo diun apparato tecnico è la sostituibilità degli individui. […].

La tecnica ti insegna l’efficienza, che devi arrivare svelto alloscopo, perché così ti insegna la funzione strumentale. […] La tec-nica non ci lascia indifferenti: passa e modifica l’uomo”.

Intervento. Io però vedrei anche l’aspetto utilitaristico dellatecnica, la tecnica come fattore di liberazione. Che cosa ne pensa?

“La tecnica ci ha reso più liberi, è ovvio, rispetto a quelli che cihanno preceduto. Io per mangiare non devo nè andare nell’orto aseminare, nè raccogliere frutti... basta che apra il frigo. Ci hadispensati dal lavoro, dalla fatica... addirittura il dolore... bastavaun mal di denti nel ‘700 per soffrire come cani. Ci ha reso liberi eanche fragili: noi occidentali siamo la popolazione più fragile delmondo, perché siamo la più assistita tecnicamente. […] La civiltàoccidentale può vivere solo se potenzia la tecnica perché è l’uni-ca forza esteriorizzata. Dovremo vivere sempre di più da assedia-ti. Noi siamo un quinto dell’umanità, però consumiamo l’80%delle risorse. Quindi il nostro modello non è esportabile. Noi pos-siamo vivere al nostro livello solo se manteniamo al livello dipovertà assoluta gli altri 4/5 dell’umanità, noi possiamo mante-nere i nostri livelli di vita solo se ci danno il petrolio a buon prez-zo, o dobbiamo andarcelo a prendere e fargli la guerra. […]. Noiabbiamo la colpa metafisica di avere questo tenore di vita, chepuò reggersi solo sullo sfruttamento dei 4/5 dell’umanità. Nessunteorico dei sistemi dice che un sistema del genere può reggere.Questi sono fatti. Il problema grosso, quello che io vedo comespaventoso […] è che il sistema tecnologico si propaghi in tutto ilmondo: allora lì c’è il collasso. La Cina che vuole vendere i suoiprodotti non è molto interessante, la cosa pericolosa è che iCinesi acquistino mentalità tecnologica e si mettano a consuma-re la terra come noi facciamo.”.

Tratto dal sito: http://pensierinpiazza.it/atti2006/galimberti.pdf

Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista italiano. Dal 1985 è membroordinario dell’IAAP (International Association for Analytical Psychology). Èprofessore ordinario titolare della cattedra di Filosofia della storia presso l’u-niversità Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna anche Psicologia dinamica.Dopo qualche anno di insegnamento presso istituti superiori, nel 1976 è pro-fessore incaricato di antropologia culturale presso la neonata facoltà diLettere e Filosofia dell’Università di Venezia. Diviene professore associato nel1983 ed è ordinario dal 1999. Dal 1987, inoltre, collabora regolarmente conquotidiani nazionali (Il Sole 24 ore e La Repubblica) e da una decina d’annicura una rubrica epistolare nell’inserto femminile de La Repubblica.

42 Osservatorio sulla Cittadinanza

nienti gravi, ogni tanto andiamo in depressione siamo stanchi, ciammaliamo, abbiamo una maternita?... l’uomo è diventato uninconveniente nel funzionamento dell’apparato... […].

Günther Anders dice […]: l’uomo ha visto trasformare la suaattività non più nella forma dell’agire, ma del puro e semplice fare.Questo è il sigillo dell’età della tecnica. Agire vuol dire che io com-pio un’azione in vista di uno scopo, fare vuol dire che io eseguoazioni descritte e prescritte senza conoscere gli scopi finali e, qua-lora li conoscessi, senza averne alcuna responsabilità. […].

Cosi è la nostra condizione negli apparati tecnici. E quandodico apparato tecnico intendo apparato burocratico, rete telema-tica, apparato amministrativo, non solo la catena di montaggio,apparato bancario, apparato scolastico. Quanti professori siprendono l’iniziativa di uscire fuori dalle regole per insegnaremagari con più passione e carisma? quanti sono? Fanno il lorodovere. Ma sotto la parola dovere, sotto la parola lavoro... atten-zione!! Si nasconde l’ir-responsabilità. L’età della tecnica esigeche noi siamo irresponsabili. […].

Questa è l’età della tecnica. Questa trasformazione antropolo-gica è l’età della tecnica.” […].

Intervento. Mi chiedo se nel suo ragionamento non emergaun pessimismo di base che non fa che dare concime a questa tec-nologia. Non pensa che ci possa essere un modo di vivere alter-nativo? Una dorata mediocrità? Se non seguo tutte le tecnologiedovrò accettare di non avere successo, potere, ma non si puòpensare che in una società ci siano persone con le quali condivi-dere un pensiero alternativo?

“Per tecnica intendo tutto l’ordine degli strumenti: frigorifero,cellulare... e poi, ad un livello più alto, la forma più alta di razio-nalità, come dicevo prima. Oggi noi abbiamo macchine che oltre-passano le nostre capacità: la memoria di un computer è piùgrande della nostra. La mia possibilità di comunicare con il cellu-lare oltrepassa la mia dimensione antropologica. Questo trasfor-ma inevitabilmente la qualità umana. L’umanità come l’abbiamoconosciuta sparisce. […].

Il problema è che la tecnica non passa come le altre epochestoriche lasciando l’umanità più o meno indenne, perché la tec-nica modifica la struttura del nostro cervello in maniera da ade-guarla all’apparato tecnico. Per esempio il modo di pensare di uncomputer è binario, il pensiero binario è di natura convergente,come quello che si usa a scuola: si dà un problema e si cerca lasoluzione. […] Il pensiero da computer è un pensiero che trasfor-ma radicalmente il modo di pensare dell’individuo e dellasocietà, perché se abbiamo solo le chances da uno a zero abbia-mo un pensiero molto ridotto, se poi a questo si aggiunge chepensare uno/zero, sì/no è diventato addirittura una trasmissioneda traino per i telegiornali, i quiz, se pensiamo che i quiz sonoentrati nell’esame di maturità, è spaventoso. La tecnica ci educa

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trasformare i «poveri» in «clienti». Soltanto mettendo da parte laretorica e ragionando con senso critico, le nuove tecnologiepotranno essere d’aiuto ai paesi poveri.

Gli indios Ashaninka vivono in una regione remota dello statodi Acre (Brasile), ai confini con il Perù. Per loro è il canto a scan-dire l’esistenza, accompagnato da strumenti rudimentali comeflauti di canna e tamburi di pelle. La loro vita quotidiana si snodalontano dai riflettori della modernità e scorre sui binari tranquil-li della tradizione: pochi sarebbero disposti a scommettere chequesto popolo sperduto possa nutrire il benché minimo interes-se nei confronti delle nuove tecnologie dell’informazione e dellacomunicazione. La realtà, tuttavia, non cessa di riservare sorpre-se: gli Ashaninka hanno inciso un Cd e hanno diffuso la loromusica proprio su Internet, vendendo online la loro realizzazio-ne. E così un altro popolo, tra quelli fino a questo momento rele-gati ai margini della cosiddetta civiltà, ha fatto il proprio ingressonella società dell’informazione.

Questa commistione di tradizione e modernità non deve stu-pire: Internet sembra rappresentare un luogo di incontro privile-giato tra gli indios e le associazioni che tutelano le culture indige-ne. Per rendersene conto è sufficiente visitare il portale «NativeWeb» (www.nativeweb.org), un ricco canale di accesso alle risor-se in rete dedicate alle culture indigene.

Se l’episodio degli indios Ashaninka è tutto sommato margina-le, circoscritto com’è a un ambito un po’ atipico e a una fascia dipopolazione limitata, altrettanto non si può dire del progettoGlobal Forest Watch (www.globalforestwatch.org), che si ripromet-te addirittura di monitorare le risorse forestali del mondo intero.

Global Forest Watch, creato dal «World Resources Institute», èuna rete mondiale di gruppi forestali locali, in contatto tra di lorograzie ad Internet ed equipaggiati con strumenti software avanza-ti. La grafica satellitare si unisce a una raccolta dettagliata di dati sulcampo, con l’obiettivo di confrontare le attuali pratiche forestalicon gli standard stabiliti dalle organizzazioni internazionali.

Questi ed altri sistemi di telerilevamento, via satellite e viainternet, consentono di fare l’inventario delle risorse terrestri, diprevedere i raccolti e di migliorare l’utilizzo dei terreni nei paesiin via di sviluppo, magari anticipando i segni premonitori di cata-clismi naturali.

Se la salute viaggia su InternetÈ confortante sapere che le tecnologie possano influire sui

processi di inclusione sociale o fronteggiare i guasti ecologicisempre in agguato. Lo sviluppo umano è però una realtà più vastae complessa. Per cominciare, si potrebbe obiettare che esistonobisogni ben più urgenti: la salute, per esempio.

Per la maggior parte degli operatori sanitari dei paesi del Sudl’accesso all’informazione è un problema: i testi per la formazio-

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Tecnologie e povertà *Autore del libro: “La sindrome del computer arrugginito.

Nuove tecnologie nel Sud del Mondo tra sviluppo umano e glo-balizzazione”. Ed. SEI

La tecnologia ha sempre prodotto effetti contrastanti neipaesi più poveri: da un lato l’attesa euforica di nuove opportunitàdi crescita, dall’altro la delusione per il rapido “arrugginirsi” dellediverse soluzioni tecnologiche, dovuto alla mancanza di infra-strutture e competenze. Anche Internet, punta di diamante dellenuove tecnologie, si presenta ambivalente: se, per il Nord delmondo, rappresenta uno strumento formidabile di partecipazio-ne e di democrazia, per i tanti esclusi dalla società dell’informa-zione, i cosiddetti “infopoveri”, si profila una nuova forma dicolonialismo. È possibile colpare il “fossato digitale” (il digitaldivide) che separa i paesi ricchi dai paesi poveri? Come superarela contrapposizione tra le aziende informatiche, che si rivolgonoalle nuove tecnologie per produrre magicamente grandi miglio-ramenti sociali, e il popolo di Seattle, per il quale il Sud delmondo ha bisogno piuttosto di medicine, di acqua e di scuole?Per uscire da questo dilemma è necessario comprendere a fondoqual è il ruolo più appropriato delle nuove tecnologie nei proces-si di sviluppo umano e, soprattutto, qual è l’impatto prodotto suicontesti sociali così diversi da quelli occidentali. (dalla quarta dicopertina).

Le nuove tecnologie: vanno sempre bene?

Per una tecnologia dal volto umanoInternet e le nuove tecnologie rappresentano una rivoluzione,

ma non hanno una valenza salvifica. A volte, nel Sud del mondo(con l’Africa in testa) sono più utili una radio ed un telefonomobile. Senza dimenticare che le grandi multinazionali tecnolo-giche non sono associazioni benefiche. Semplicemente vogliono

Tecnologie:contraddizioni e povertà

di GIAN MARCO SCHIESARO

* Articolo tratto da: www.missioniconsolataonlus.it

47Progresso: avanti tutta!...?

destinato ad essere utilizzato dai suoi compaesani. La domandadi questo servizio di comunicazione è davvero elevata. Sappiamoche, a causa della debolezza del mercato del lavoro locale, moltisono costretti a emigrare e i telefoni costituiscono un preziosocanale per mantenere legami sociali e familiari, oltre che pergarantire il flusso delle rimesse verso le famiglie.Non è tutto: per comprare e vendere i beni prodotti sono neces-sari frequenti viaggi verso i mercati delle località centrali di unaregione. Il servizio telefonico permette a molti di consultare i pro-pri contatti nelle città e di ottenere da loro le informazioni relati-ve ai prezzi di mercato, rompendo il monopolio dell’informazio-ne che appartiene ai mediatori e riducendo i rischi di sfrutta-mento. Le chiamate telefoniche possono sostituire un viaggio incittà, che ai contadini costerebbe dieci volte più di una chiamata,e li aiutano a ottenere prezzi più equi per i loro raccolti.

L’esempio ci insegna che non sempre le tecnologie migliorisono le più avanzate o quelle di ultima generazione. Saper inte-grare antico e moderno, facendo coesistere vecchie e nuove tec-nologie, è uno degli ingredienti fondamentali di una iniziativa disuccesso.

Cara, vecchia radioNella comunità di Kothmale, un’area di ben 350.000 persone

dello Sri Lanka, si è realizzata un’originale fusione del mezzoradiofonico con quello telematico. La «Kothmale CommunityRadio» (www.kothmale.org) trasmette quotidianamente un pro-gramma di un’ora, basato sulle semplici domande degli ascolta-tori, cui si provvede a dare risposta con l’aiuto di Internet. A que-sto scopo, è stato anche implementato un database contenente leinformazioni più richieste; mentre alcuni punti di accesso inter-net comunitari vengono utilizzati come portali per effettuare tra-smissioni dal vivo dall’interno della comunità.

La «radio comunitaria» ha una storia molto lunga: essa è stataimpiegata per raggiungere fasce di popolazione ampie, soprattut-to quelle non alfabetizzate o quelle che vivono in aree con scarseinfrastrutture. Il vantaggio delle radio è quello di avere un costoalquanto basso e di essere disponibili anche quando manca l’e-nergia elettrica, per esempio alimentate da batterie solari.È un peccato che esperienze simili a quella di Kothmale non sisiano replicate in gran numero nel continente africano, dove laradio è lo strumento di gran lunga più utilizzato e la telefoniamobile è ben più che una promessa, grazie a una configurazionegeografica favorevole (i cellulari privilegiano i territori pianeg-gianti) e al carattere di oralità della cultura africana.

Questi esempi gettano una luce nuova sul rapporto controver-so tra nuove tecnologie e paesi in via di sviluppo. Troppo spesso ilnostro immaginario si è nutrito di immagini deformate: pensia-mo alle raffigurazioni di villaggi in cui un personal computer, che

46 Osservatorio sulla Cittadinanza

ne sono spesso antiquati e l’informazione sui farmaci più recentio sui trattamenti preventivi è limitata. I medici si sentono isolatiperché non hanno la possibilità di chiedere un consulto nell’e-mettere la loro diagnosi.

La rete satellitare HealthNet (www.healthnet.org), creata nel1989, offre servizi e strumenti a circa 4.000 operatori sanitari inpiù di 30 paesi del mondo. Un esempio ci può aiutare a com-prendere di quali servizi si tratta.

In un remoto villaggio dell’Africa equatoriale alcune infermie-re adoperano una telecamera digitale per acquisire le immaginidi alcuni alimenti, scaricarle su un computer portatile e portarleda un medico affinché le esamini. Nel caso in cui questi debbavalutarle ulteriormente, può spedirle via Internet in GranBretagna, dove vengono sottoposte allo studio di specialisti ditutto il mondo. Oggi un software di compressione permette diridurre enormemente un’immagine a raggi X senza perdita diinformazione, e di spedirla senza difficoltà attraverso qualsiasirete esistente di telecomunicazioni.

Qualche interrogativo comincia timidamente ad affacciarsi. Èsaggio spendere tante risorse per una struttura vasta e imponen-te quale HealthNet? «L’Africa non ha bisogno di tecnologie sofi-sticate» sostiene Maria Musoke, esperta di informazione medicain un progetto ugandese. Maria ha ottenuto ottimi risultati, nellaprevenzione della mortalità infantile, grazie all’uso di sempliciwalkie-talkie. La telemedicina - sostiene Maria - è un’applicazio-ne dal grande potenziale, ma i costi attuali ne fanno uno stru-mento irrealistico. Per spezzare l’isolamento dei medici africani,il vero problema di questo continente, basterebbe un semplicecomputer, dotato di una connessione internet e collocato nellamaggior parte dei centri sanitari.

La «graamen phone»: piccolo è belloI progetti faraonici di grandi reti continentali, le immagini

patinate di giovani africani intenti a navigare in Internet com-piacciono certamente i governi, i diplomatici e gli editori di rivi-ste di massa. Sono però di dubbia utilità per la popolazione loca-le. L’autentico successo arride più frequentemente ai progetti dipiccole dimensioni, fondati su tecnologie accessibili e facilmentereplicabili. «Piccolo è bello», scriveva Schumacher qualchedecennio fa, ma la sua lezione è valida ancora oggi.

Dopo l’assegnazione del premio Nobel per la pace 2006 aMuhammed Yunus, inventore del microcredito, tutti conosconola sua creatura: la Graamen Bank, la «banca dei poveri». Menoconosciuta, probabilmente, è la sorella Graamen Phone, la «com-pagnia telefonica dei poveri», che ha esteso il modello del micro-credito alla telefonia rurale del Bangladesh. Beneficiario, in que-sto caso, è un imprenditore locale, solitamente una donna, cuiviene prestato il denaro per acquistare un telefono cellulare,

49Progresso: avanti tutta!...?

Purtroppo questa consapevolezza non è per nulla diffusa nellacomunità internazionale che, con una disinvoltura ormai ecces-siva, si rivolge a Internet e alle tecnologie dell’informazione neltentativo di caricare di significato progetti di sviluppo altrimentipoco significativi, in una qualsiasi realtà del Sud del mondo.

Dalle «cittadelle digitali» pianificate nei ghetti di Soweto e nel-l’isola di Mauritius ai «villaggi solari» (così chiamati perché dota-ti di computer alimentati da energia solare) realizzati inHonduras, la visione dominante nella comunità internazionale èaffetta da gigantismo. Si ritiene che un programma tecnologicodebba necessariamente funzionare su larga scala, raggiungendodecine di migliaia di comunità rurali, superando l’orbita limitatadei programmi di sviluppo convenzionali. E naturalmente, prota-goniste di tali programmi sono quasi sempre le grandi multina-zionali tecnologiche, le uniche che dispongano dei mezzi per ero-gare servizi a migliaia di utenti contemporaneamente. Perché - èla domanda ricorrente - non incoraggiarle a fornire esse stesse ibeni di consumo e i servizi di base, secondo i bisogni e il budgetdelle comunità povere?

Il ragionamento spiana la strada all’ingresso in massa delmondo del business, invitato a percorrere una nuova eccitantemissione: quella di trasformare gradualmente (a volte in manieradiretta e a volte in partnership con i governi o le reti di Ong) ipoveri in «clienti», destinati come tali a pagare servizi finalizzati(almeno teoricamente) a migliorare la qualità della loro vita e adaumentare la produttività delle loro attività.

Questo tipo di interventi è di solito condito da una fastidiosadose di retorica e da un’assoluta mancanza di senso critico, fre-quente ogni volta che ci si riferisce a internet. Il senso di ottimi-smo, uno sviluppo fatto piovere dall’alto e la convinzione di neu-tralità della tecnologia non sono certo le premesse migliori persviluppare una riflessione matura. In un’epoca in cui alle nuovetecnologie dell’informazione e della comunicazione si è giunti adattribuire un valore quasi salvifico, ci si chiede se abbia ancorasenso discutere le finalità che dovrebbero guidare il loro impiegoe l’impatto prodotto sulle fasce più deboli della popolazione.

GianMarco Schiesaro, è laureato in ingegneria presso l’Università diPadova. Ha conseguito il Master in Cooperazione allo Sviluppodell’Università di Pavia e il Master in Computer MediatedCommunication dell’Università di Milano. Lavora da alcuni anni nelmondo della cooperazione internazionale: in particolare si occupa pressoil VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) dei progetti e delle ini-ziative che richiedono l’utilizzo delle nuove tecnologie e conduce ricerchesull’impiego della formazione a distanza nei paesi in via di sviluppo.

48 Osservatorio sulla Cittadinanza

spunta nel mezzo delle capanne, viene venerato da un gruppo diindigeni straniti, che non ne capisce la funzione. Si potrebberoaggiungere molti altri stereotipi simili a questo: essi hanno purtrop-po grande peso nella pubblicistica, ma scarso riscontro nella realtà.

«Vendo capre»: su InternetQualche anno fa, un esperto della Banca mondiale si è recato

in Etiopia per parlare di e-business e ha esordito dicendo:«Immagino che nessuno di voi sappia che cosa sia un sito inter-net». Un tale ha alzato la mano e a sorpresa ha replicato: «Io lo so.Vendo capre su internet... Ci sono molti tassisti etiopi a Chicago,New York e Washington. La tradizione vuole che regalino dellecapre alle loro famiglie rimaste in Etiopia e così io gliele vendo daun cybercaffè...».

Questo aneddoto, tratto da un gustoso libro di Sergio Carbonee Maurizio Guandalini (intitolato appunto Vendo capre suInternet) serve a smentire un luogo comune tra i più radicati: chele comunità povere delle aree rurali abbiano bisogni «primitivi» eche le loro società siano autosufficienti e chiuse. Al contrario, nellamaggioranza dei casi, sono popolate di piccoli imprenditori e dicooperative locali, che hanno bisogno di informazioni sullo statodel mercato, sui prezzi correnti e sulla previsione di domanda peri loro prodotti e servizi: dai prodotti agricoli all’artigianato, dallerisorse naturali al turismo. C’è bisogno di frequentare i mercatiper accaparrarsi potenziali clienti, di comunicare con altri partnerper concludere accordi, organizzare i trasporti, ecc… Senzadimenticare che, affinché delle imprese concorrenziali si possanosviluppare nelle zone rurali, è necessario accedere ai servizi gover-nativi e disporre di informazioni in merito alle imposte e alle sov-venzioni. Privi di conoscenze rilevanti e della capacità di comuni-cazione necessaria per analizzarle e condividerle, i piccoli produt-tori rischiano di rimanere alla mercé del mercato mondiale.

Se volessimo ricavare una lezione, potremmo sintetizzarlacosì: i poveri non hanno strettamente bisogno di computer, ma diinformazione. Un’informazione che abbia senso per la loro vitaquotidiana e che, grazie anche a tecnologie semplici e accessibi-li, li renda capaci di gestire autonomamente i propri processi disviluppo. Sapranno ricordarsene i tecnocrati dello sviluppo?

Meno gigantismo, più fiducia e contattoContare sullo sviluppo umano comporta avere fiducia nelle

capacità delle comunità. Richiede tempo e pazienza, spesso incontrasto con l’immediatezza e il «bruciare le tappe» tipiche dellasocietà dell’informazione; richiede analisi e comprensione, che siacquisiscono con l’esperienza e il contatto diretto, più che quellomediato dallo strumento tecnologico.

51Progresso: avanti tutta!...?

ta differenziata, mancanza di centraline fisse per il monitoraggiodell’aria, un’assenza del piano del traffico e della zonizzazioneacustica.

In generale, i dati riferiti ai 111 capoluoghi monitorati mostra-no un aumento del tasso di motorizzazione (+0,7% rispetto al2005) e del numero di motocicli per mille abitanti (+7,3%), cosìcome sale la domanda di trasporto pubblico (+2,6%).Parallelamente accrescono la quantità di rifiuti urbani raccolti,pari a 633.9 kg per abitante (+1,6%), la densità di verde urbano(+1%) e il servizio di raccolta differenziata dei rifiuti (+7,1%).

Si assiste, inoltre, ad una contrazione del consumo di energiaelettrica per uso domestico e di gas metano, sia per uso domesti-co sia per riscaldamento (pari, rispettivamente, al 6,2% e al 4,8%),mentre il consumo d’acqua per uso domestico resta pressochéstabile (+0,1%).

Rispetto al 2005, aumentano di sei unità i capoluoghi di pro-vincia che dispongo di centraline fisse per il monitoraggio dellaqualità dell’aria, raggiungendo quota 97, mentre nei 73 comuniche effettuano il monitoraggio del PM10, le centraline di qualitàdell’aria hanno segnalato mediamente un superamento dei limi-ti previsti per 67.2 giorni, con un incremento del 7,3% rispettoall’anno precedente.

Sono inoltre in aumento i comuni dotati di una zonizzazioneacustica del territorio (+13,7%), di un piano del verde urbano(+19,0%) e quelli nei quali tutta la popolazione è servita dalla rac-colta differenziata dei rifiuti (+6,1%). Rimane invece stabile ilnumero delle città dotate di un piano urbano del traffico (81) e diquelle che hanno adottato un piano energetico comunale. Questeultime sono 24, distribuite principalmente al nord Italia, dovesono 14 contro le 10 del centro-sud. Un raffronto rispetto al pas-sato? Nel 2000 erano solo 16 i comuni adempienti l’obbligo.

Rapporto ISTAT sugli “Indicatori ambientali urbani” presentato ad agosto 2007

Il testo integrale, le note metodologiche e le tavole riferite all’indagine sugli“Indicatori ambientali urbani” sono consultabili sul sito www.istat.it

50 Osservatorio sulla Cittadinanza

Articolo tratto dal n. 7 – settembre 2007 di .ECO

Comuni fuori dal comuneQuali sono i comuni più ecologici d’Italia? Secondo i dati del

rapporto Istat (Istituto nazionale di statistica) sugli “Indicatoriambientali urbani”, riferiti all’anno 2006, ad aggiudicarsi il titolodi vincitrice è la città di Trento. L’analisi, condotta su 111 capo-luoghi di provincia, prende in considerazione tutti i principaliindicatori di cause generatrici di pressione ambientale, puntandol’attenzione su alcune tematiche strategiche: acqua, trasporti,inquinamento atmosferico, verde urbano, inquinamento acusti-co, rifiuti ed energia.

«Trento è il comune più “eco-compatibile” in quanto non tra-scura alcuno dei settori esaminati ed è particolarmente attivonegli interventi di bonifica del rumore – spiegano dall’Istat -.Inoltre, ha una percentuale di raccolta differenziata prossima al50%, un’alta densità di verde urbano e ha approvato i piani per ilverde e per l’energia».

Segue Venezia, al secondo posto per la sua politica dei traspor-ti. La città lagunare, infatti, indubbiamente aiutata dalla particola-re morfologia territoriale, registra un buon servizio di trasportopubblico, un basso tasso di motorizzazione e pochi motocicli. «Sirileva, inoltre, un elevato numero di inquinanti monitorati per ilcontrollo della qualità dell’aria e la conseguente adozione dei pianidel verde e dell’energia – si legge nel rapporto -. La città registralivelli superiori alla media nella quantità di rifiuti raccolti, nellegiornate di superamento del PM10 e nei consumi di gas metano».

Modena, Bologna, Bolzano, Livorno, Brindisi, Genova,Avellino e Aosta sono gli altri capoluoghi che rientrano a pienodiritto nella top ten dei virtuosi, mentre rispetto al 2005 si classi-ficano in netto miglioramento Sassari e Tortolì, in Sardegna,insieme a Bolzano e Siena.

Tra le ultime classificate Massa ed Enna, città, quest’ultima,dove si evidenziano una bassa attenzione per il servizio di raccol-

Quali sono i comuni più ecologici d’Italia?

Approfondimenti

CENTRALITÀ DELLE PERSONE

SPAZIO COME DIMENSIONE SOCIALE

55Progresso: avanti tutta!...?

Uguaglianza, diritti, legalità(Politica del diritto e impunità agli albori del terzo millennio)

1. La questione dell’uguaglianza e dei diritti domina l’inizia diquesto millennio. Il nuovo verbo, quello della «modernità», predi-ca il primato dell’economia anche sulla vita e sulla dignità dellepersone. E l’impunità si affaccia ovunque, ferendo gravemente, etalora lacerando, il principio di legalità. Questi tratti – pesante-mente presenti nel «caso italiano» - sono il segno di una malattiaistituzionale diffusa a livello planetario che mette in discussione ifondamenti stessi dello Stato contemporaneo.

2. L’uguaglianza, parola guida (con libertà e fraternità) dellarivoluzione borghese, è stata la chiave di volta delle costituzionisuccessive alla seconda guerra mondiale, fino a fondare, come èstato detto, un nuovo concetto di cittadinanza, consistente in uno«status di cui fanno parte un reddito decoroso e il diritto a con-durre una vita civile, anche quando si è ammalati, o vecchi, odisoccupati, o, comunque, in difficoltà». Nel nostro ordinamentocostituzionale, in particolare, il principio di uguaglianza, oltre afornire la chiave di lettura di norme fondamentali (basti pensareagli artt. 32, 34, 36 e 38, in tema di salute, istruzione, lavoro e assi-stenza), è oggetto, nell’art. 3, di una specifica e impegnativaenunciazione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sonoeguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, dilingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personalie sociali. / È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli diordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’u-guaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della per-sona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’or-ganizzazione politica, economica e sociale del paese». Questaenunciazione impegnativa diventa immediatamente denunciaesplicita delle disparità e delle ingiustizie in atto.

L’uguaglianza è rimasta ovunque incompiuta e la sua realizza-zione ha incontrato, sempre, opposizioni sorde (e, per lo più, vin-

54 Osservatorio sulla Cittadinanza

Presentazione

Progredire è sempre stato l’obiettivo dell’umanità. Ogni scoper-ta, dall’età della pietra ad oggi, si orienta a questo fine in quantol’uomo continua a cercare di migliorare il suo stato e avanzare nelcammino della vita.

Oggi il progresso ha raggiunto livelli molto alti in alcuni setto-ri: lo sviluppo tecnologico ad esempio è impegnato in una corsasenza precedenti. Ma non tutto sta migliorando. Molte persone,infatti, nonostante lo sviluppo in progress, non stanno bene, sento-no la fatica del vivere o addirittura provano un senso di emargi-nazione sociale e questo non solo all’interno delle periferie o tra lecategorie sociali più povere, bensì tra la gente comune che si bar-camena tra lavori precari, affitti alti, stipendi insufficienti, tempivelocizzati che non permettono spazi per le relazioni…

Esiste un gap tra lo sviluppo economico dei Paesi e quellosociale.

A volte questo divario è dettato da una differente possibilitàdi accesso ai diritti, dal limite che una società ingiusta imponead alcuni gruppi sociali, altre volte nasce dalla sensazione disopravvivere in una condizione di impoverimento generale, diessere inadeguati rispetto all’immagine che la modernizzazionepropone.

Il modello di sviluppo dei nostri Paesi è orientato infatti ad unperfezionamento dell’immagine: si deve riuscire ad essere vincentie adeguati sempre e ad ogni costo. Non è più permesso, né comesingoli né come comunità e Nazioni, essere diversi, fragili, in diffi-coltà, neanche per qualche momento della vita. Eppure la fragilitàfa parte di noi e ogni percorso umano è fatto di momenti di cresci-ta e decrescita che si alternano, non senza soluzione di continuità,ma in un avvicendarsi di azioni e di ripensamenti, di avanzamen-ti e pause.

Un modello di sviluppo che non tiene conto di questo non puòfavorire sicuramente il progresso sociale.

Cittadini di serie B:no grazie!

di LIVIO PEPINO

57Progresso: avanti tutta!...?

non è in crescita, e talora mostra una parabola discendente; idelitti connessi con l’uso degli stupefacenti e con l’immigrazioneirregolare (o determinati da tali fenomeni) sono, in parte signifi-cativa, artificiali, cioè provocati da una normativa improntata alpiù radicale e ottuso proibizionismo, il cui carattere criminogenoè ampiamente provato dalla storia; i sistemi penali (quello italia-no, in particolare) prevedono, di fatto, processi più rapidi e menogarantiti per la criminalità di strada che per quella dei collettibianchi e forme di fuoruscita dal penale (a seguito di comporta-menti risarcitori) per i reati di quest’ultima categoria e non per glialtri. Ciò che accade è, dunque, l’affermarsi in maniera semprepiù netta di due sistemi punitivi diversi a seconda del tipo diimputati, ovvero di un codice per i briganti e di un codice per igalantuomini.

Il dato ulteriore sta negli effetti della detenzione sui diritti esulla cittadinanza. Basti pensare che negli Stati Uniti, o almeno inalcuni degli stati che ne fanno parte, la detenzione è, di per sé,causa di esclusione dal voto (ciò accade, per esempio, in Florida, loStato che ha determinato l’elezione di Busch alla presidenza, doveun nero su tre non può votare perché è, o è stato, detenuto...).

4. Il secondo esempio del ruolo della disuguaglianza comeelemento di riorganizzazione della società sta nella disciplinadell’immigrazione, fonte crescente di un «doppio livello di citta-dinanza». Questo doppio livello caratterizzò – come noto – moltimodelli sociali e istituzionali premoderni, a cominciare da quellodell’Atene del V secolo avanti Cristo, pur definita culla dellademocrazia, nella quale i 15.000 meteci residenti, su 40.000 citta-dini, ebbero un ruolo e un’influenza di primaria importanza sulpiano economico, e tuttavia non si videro mai riconoscere lo sta-tus di cittadini, in una logica di chiusura simboleggiata dal siste-ma di trasmissione della cittadinanza esclusivamente per filiazio-ne. Fu il superamento, ancorché spesso solo formale, di questodoppio status a fondare la «civiltà dei moderni».

Le premesse per il ripristino in Italia di un sistema di cittadi-nanza duale sono molte e inquietanti per il permanere di un’am-pia fascia di irregolari, veri cittadini di serie B, la cui presenza ètollerata e favorita ma non regolarizzabile in via ordinaria (bastipensare che il numero degli irregolari regolarizzati con i quattroprovvedimenti legislativi di «sanatoria», intervenuti tra il 1986 e il1999, è stato di oltre 800.000 e che in occasione della nuova pro-cedura di «emersione», prevista dall’art. 33 legge n. 189/2002 e daldecreto legge 9 settembre 2002 n. 195, sono state proposte, secon-do i dati forniti dal Governo, 697.759 domande).

Ci sono anche univoci segnali normativi: la considerazionedell’immigrato come ospite in prova perpetua [implicito non solonella disciplina del permesso di soggiorno, ma anche in quelladella carta di soggiorno, prevista per stabilizzare la posizione del-l’immigrato, ma revocabile da parte del questore in caso di con-danna, anche non definitiva, per uno dei reati previsti dagli artt.

56 Osservatorio sulla Cittadinanza

centi). E tuttavia la proclamazione del principio di uguaglianzaha prodotto la trasformazione dello Stato liberale in Stato socialee dato vita alla categoria dei diritti sociali, conquiste di non pic-colo peso nel percorso di affermazione della dignità delle perso-ne. Di più, nella cultura diffusa, l’uguaglianza è diventata un valo-re ed è stata per generazioni un obiettivo.

La novità (dirompente) degli ultimi anni è la cancellazioneanche teorica della categoria dell’uguaglianza, o, più esattamente,la sua trasformazione in disvalore, tanto che lo smantellamentodello Stato sociale è, sempre più spesso, giustificato non con ragio-ni economiche (del resto insostenibili), ma con ragioni ideologi-che. Questa impostazione teorica, elaborata e diffusa dai thinktanks neocons («serbatoi di pensiero neoconservatori») americani,sta diventando pensiero comune anche in ampi settori della sini-stra. Basti una citazione: l’Italia – scrive un economista liberalcome Tommaso Padoa Schioppa (Corriere della sera, 26 agosto2003) – ha bisogno di un programma di «riforme strutturali» ispi-rato a «un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioniche nel corso del ventesimo secolo hanno progressivamente allon-tanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere,con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difet-ti o qualità». Questo requiem non solo dello Stato sociale, ma delpensiero e della cultura che lo ispirano ridisegna i sistemi istituzio-nali, i rapporti sociali, il concetto stesso di cittadinanza e di demo-crazia. Due soli esempi tra i molti.

3. Il sistema penale sta diventando ovunque strumento prin-cipe di riorganizzazione sociale in senso diseguale (e non a casosi parla, ormai, di passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale).Lo dicono i numeri: negli ultimi dieci anni del secolo appena con-cluso, i detenuti, nel nostro paese, sono raddoppiati, passandodai 25.804 del 31 dicembre 1990 ai 52.363 della corrispondentedata del 1999, e oggi, a fine 2003, hanno raggiunto (dopo esserestati 55.670 il 31 dicembre 2002) la soglia di 57.000, pari a unoogni mille abitanti; se si conteggia anche la cd «area esterna»,quella cioè delle sanzioni alternative al carcere (45.224 in corsonell’anno 2002)), il numero delle persone in esecuzione di penaraggiunge oggi, nel nostro Paese, le 100.000 unità. Ciò corrispon-de alla media europea, mentre negli Stati Uniti il rapporto tradetenuti e popolazione è, addirittura, di 7 su mille. Non basta. Ilsogno della nouvelle vague della criminologia americana – ormaitrasfuso anche in film di successo come Minority Report - è quel-lo di individuare le «categorie a rischio», da isolare e rinchiudereindipendentemente dalla commissione di reati. Già oggi delresto, in Italia, la popolazione detenuta è composta per due terzidi immigrati e di tossicodipendenti e, negli Stati Uniti, la condan-na per il terzo reato può aprire le porte dell’ergastolo indipen-dentemente dalla gravità (in attuazione dello slogan di derivazio-ne sportiva «al terzo fallo, fuori»).

In realtà la curva dei reati, almeno di quelli contro la persona,

59Progresso: avanti tutta!...?

za (da ultimo anche per effetto del riacutizzarsi del terrorismointernazionale). Superfluo dirlo: il problema sicurezza è serio egrave e la paura è un sentimento diffuso. Non solo, ma l’insicu-rezza, la paura, il senso di ingiustizia - oltre a complicare la vitadei singoli - minano le basi stesse della convivenza e della demo-crazia. Un tempo, peraltro, la cultura democratica considerava lasicurezza una componente del diritto alla felicità (proclamatodagli illuministi e dai costituenti americani) da perseguire conte-stualmente agli altri diritti in una prospettiva politica di cambia-mento e di più intensa partecipazione. Oggi lo scenario sembracambiato.

Anche qui mi limito ad alcuni esempi (scegliendoli tra i piùeclatanti).

Cardine dello Stato di diritto è l’habeas corpus, la possibilità dilimitare la libertà delle persone solo in presenza di un reato e conle garanzie di contestazione e di difesa. È un principio fonda-mentale che, pur con deroghe e contraddizioni (si pensi al tratta-mento della sofferenza psichiatrica e della devianza minorile), harappresentato un punto di riferimento della «civiltà dei moderni».Negli ultimi anni, nel nostro Paese (e nella intera Europa), il prin-cipio ha subito – sta subendo - un vero e proprio ribaltamento.Un esempio è la «detenzione amministrativa» per gli stranieriirregolari in attesa di espulsione, introdotta dalla legge n. 40/1998(Turco-Napolitano) e potenziata dalla legge n. 189/2002 (Bossi-Fini), che consente il trattenimento dello straniero, in assenza diqualsivoglia reato, per un periodo prorogabile fino a sessantagiorni. Le persone trattenute nei centri di detenzione (come sonoormai comunemente definiti i «centri di permanenza tempora-nea e assistenza», in considerazione delle loro caratteristiche tipi-camente detentive: strutture chiuse, sorvegliate dall’esterno eprive di possibilità di uscita per gli ospiti) sono ogni anno, secon-do i dati (non aggiornati) del ministero degli interni, oltre 10.000,e dunque circa un quinto dei detenuti in carcere La detenzioneamministrativa è entrata nel nostro ordinamento come conces-sione alle richieste di chi a gran voce sollecitava la configurazionedell’immigrazione clandestina come reato e a oggi i CPT ne man-tengono il marchio: quello di istituto sanzionatorio ad hoc, privodi significativa efficacia ai fini della esecuzione di provvedimentiespulsivi.

6. Nel paese guida (gli Stati Uniti d’America), poi, il devastan-te attentato dell’11 settembre ha determinato, nei fatti e nellanormativa, un vero e proprio terremoto. La detenzione nelle gab-bie di Guantanamo (in condizioni subumane) di 650 veri o pre-sunti talebani (detenuti perché considerati tali e non per fatti spe-cifici), non ferisce solo i corpi ma anche i princìpi, ché per essinon valgono le garanzie minime: la contestazione delle accuse, ilimiti della custodia cautelare, l’assistenza difensiva, il controllopubblico sulle condizioni di detenzione. Non solo, ma il PatriotAct e i provvedimenti paralleli adottati direttamente dal presi-

58 Osservatorio sulla Cittadinanza

380 e 381 cpp, e dunque finanche per il (possibile) furto di una lat-tina in un supermercato o per un (altrettanto ipotetico) danneg-giamento aggravato con danno di pochi euro]; la chiusura dell’or-dinamento italiano - a differenza di altri paesi europei (tra cuiSvezia, Danimarca, Olanda e alcuni cantoni svizzeri) - sul terrenodei diritti politici degli stranieri, a cominciare dai diritti di eletto-rato attivo e passivo nelle elezioni amministrative; l’estrema diffi-coltà per lo straniero di ottenere la cittadinanza italiana; un dirit-to amministrativo e penale (parzialmente) speciale per gli stranie-ri, di cui fanno parte l’obbligo di fornire a richiesta dell’autoritàpubblica sicurezza «informazioni e atti comprovanti la disponibi-lità di un reddito, da lavoro o da altra fonte legittima, sufficiente alsostentamento proprio e dei familiari conviventi nel territoriodello Stato» (art. 6 comma 5 testo unico n.286), il dovere di comu-nicare alla questura le eventuali variazioni del proprio domicilioabituale (art. 6, comma 8 testo unico), la previsione di un reato adhoc senza giustificato motivo, dei documenti di identificazione(art. 6 comma 3 testo unico), etc.

A ciò si sono aggiunti, con la legge Bossi-Fini, ulteriori maci-gni sulla strada della diseguaglianza. Due, su tutti: a) la obbliga-toria sottoposizione dello straniero che richiede il rilascio o il rin-novo dei titoli di soggiorno (art. 5 commi 2 bis e 4 bis del testounico), indipendentemente dalla condizione di irregolarità pre-gressa e dall’esistenza di dubbi sull’identità, al prelievo delleimpronte digitali e, dunque, la sua considerazione alla stregua dipotenziale delinquente (sol perché migrante); b) la degradazionedel soggiorno a contratto, appendice del parallelo contratto dilavoro (art. 5 bis del testo unico), con rinuncia da parte delloStato ai suoi poteri sul punto e attribuzione degli stessi al datoredi lavoro (nuovo signore feudale, padrone non solo della presta-zione lavorativa del dipendente, ma anche del suo status, e dun-que della sua libertà e del suo stesso corpo). Il «contratto di sog-giorno», condizionato dalla esistenza di un corrispondente «con-tratto di lavoro», ha, infatti, come effetto automatico la attribu-zione al datore di lavoro una sorta di potere assoluto sul lavora-tore, essendo evidente, nelle attuali condizioni economiche, cheil licenziamento è l’anticamera della espulsione. Si passa cosìdalla «importazione di braccia» al ripristino, nella organizzazionesociale, di modelli tipicamente feudali.

5. L’avvento dello Stato contemporaneo ha come segno distin-tivo la trasformazione del suddito in cittadino e, dunque, la centra-lità della questione dei diritti, a partire da quelli classici (di manife-stazione del pensiero, di parola, di riunione, di stampa, etc...).L’altra faccia dei diritti di libertà è, evidentemente, la riduzione deipoteri di intervento dello Stato nella sfera dei singoli.

Anche su questo piano si assiste, sulla scena interna e inter-nazionale, a preoccupanti regressioni e si va sempre più affer-mando l’idea che i diritti e le libertà possono (o devono) esseresacrificati sull’altare della sicurezza, diventata la prima emergen-

61Progresso: avanti tutta!...?

l’on. Craxi, prendendo la parola alla Camera nel dibattito sullaconcessione della autorizzazione a procedere nei suoi confrontiper sei episodi di corruzione (contestatigli dalle Procure dellaRepubblica di Milano e Roma), non negò i fatti ma chiamò in cor-reità il Parlamento, invitando chi non avesse «preso soldi» perfinanziare la politica ad «alzarsi in piedi»; questo provocò oltreall’indignazione dei colleghi, il rigetto di ben quattro delle auto-rizzazioni richieste... Da allora – come noto - la situazione è ulte-riormente precipitata sino ad arrivare alla torsione della funzionelegislativa in strumento di tutela di interessi personali o di gruppiristretti (anziché generali). Così l’impunità è diventata chiave divolta del sistema, simbolo della onnipotenza della politica e dellasottrazione dal controllo di legalità di chi è stato premiato dalvoto dei cittadini.

8. Che fare in questo quadro? Non ho, ovviamente, soluzionima solo una indicazione che traggo, quasi testualmente, da unosplendido scritto di Pier Luigi Zanchetta (Ordine globale e demo-crazia cosmopolitica, in Questione giustizia., 2000, p. 753 ss.).Gran parte delle proposte possibili per arginare la deriva in atto eriprendere un percorso interrotto hanno il sapore dell’utopia, mala storia è percorsa da eventi fino a pochi anni prima inimmagi-nabili. Non sarà impossibile, in un futuro più o meno prossimo,quello che oggi può sembrare l’assalto al cielo. Purché si sappia-no coniugare radicalità e collegamento con la società, senza elita-rismi e senza fughe in avanti (inutili e aristocratiche, quando nonpericolose). Agenti del cambiamento possono essere i multiformisoggetti che - a livello nazionale o internazionale, impegnati nellapolitica generale o su temi specifici – credono nell’uguaglianza enei diritti e per essi lavorano. La loro visibilità, per occhi distratti,è scarsa, ma loro azione efficace, capace di coinvolgere settorisempre più ampi di società civile. Il loro lavoro – come quellodella talpa - è sotterraneo: escono allo scoperto ogni tanto; poi siimmergono nuovamente per allargare le basi di consenso e in talmodo costruire una rete democratica e solidale. È così probabileche un giorno si saranno creati i presupposti per il cambiamento.In quel giorno – forse distante per la vita umana, un nulla per itempi dell’umanità – potremo anche noi esclamare, con le paroledel filosofo: «Ben scavato, vecchia talpa!».

Livio Pepino, consigliere della Corte di cassazione, componente delConsiglio superiore della magistratura; dal 1991 al 1996 è stato segretarionazionale di Magistratura democratica; direttore di Questione giustizia econdirettore di Narcomafie.

60 Osservatorio sulla Cittadinanza

dente estendono ben oltre Guantanamo l’abbattimento delloStato di diritto e delle sue garanzie in una logica di trasferimentodella guerra (preventiva) nella politica interna: vengono istituitiorgani giudiziari speciali i cui componenti sono nominati diretta-mente dal presidente, introdotte nuove fattispecie di reato, modi-ficate le regole processuali, abbattute le garanzie di difesa, trasfe-rite al presidente degli Stati uniti (anziché ai giudici) le decisionidi ultima istanza. E tutto ciò non solo nei confronti dei membri,attuali o passati di al Qaida, dei loro sostenitori e dei loro favo-reggiatori ma anche di «chiunque il Presidente degli Stati Unitiritenga sia nell’interesse della nazione da sottomettere all’appli-cazione dell’ordine militare». Fatto ancor più allarmante: ciò èdiventato cultura diffusa se è vero che, addirittura tra i giuristiliberal, trova cittadinanza il tema della tortura legittima e dellasua regolamentazione e sottoposizione ad autorizzazione delgiudice. Se ciò accade nel paese guida, l’“onda lunga” arriva,ormai, anche nel nostro paese, come testimonia – in modo scola-stico e agghiacciante – la notizia pubblicata sul Corriere dellaSera del 1° dicembre 2003: «Cinque giorni dopo la strage quattropersone “sospette” sono state fermate dai carabinieri. Tutte eranoperfettamente addestrate a resistere agli interrogatori. Ma è statosoprattutto uno a colpire i militari per la sua determinazione. Laprocedura seguita dai carabinieri è quella imposta dagli StatiUniti, che alla fine li hanno presi in consegna: i quattro sonorimasti chiusi in una cella al buio, inginocchiati, senza acqua nécibo, per quattro giorni. Una tecnica che mira a far crollare i pri-gionieri e spesso li porta a confessare. In questo caso non è suc-cesso. Usando qualcosa di simile all’autoipnosi, i quattro sospet-ti sono riusciti a restare in silenzio, sopportando le privazioni.Questo ha avvalorato l’ipotesi che possano essere terroristi, adde-strati a non parlare in caso di arresto» (Nassiriya, la strage in diecisecondi, di Fiorenza Sarzanini).

7. Tutto ciò non può restare senza conseguenze per la legalità,intesa come legalità costituzionale. L’attacco sul punto è sotto gliocchi di tutti: basti pensare al ripetersi della partecipazionedell’Italia alla guerra in violazione dell’art. 11 Costituzione (e,quasi sempre, senza neppure una decisione del Parlamento) o alvenir meno della Costituzione come sistema di valori condivisi.

Esemplare al riguardo è, poi, la vicenda dell’impunità, chefino a ieri sembrava interessare, come categoria politica, soloalcuni regimi del Sud America (dove era segnale di disuguaglian-za non solo per i beneficiari, ma anche per le vittime della vio-lenza di Stato impunita, per lo più esclusi o addirittura indocu-mentados, fantasmi privati persino dell’identità). In Italia, in par-ticolare, essa sempre esistita (con maggiore o minor ampiezza),ed è stata fino a pochi anni fa considerata un accidente (moral-mente e istituzionalmente riprovevole) e non un dato strutturaledel sistema. La trasformazione dell’impunità in categoria dellapolitica ha, in Italia, una data precisa: il 29 aprile 1993, quando

63Progresso: avanti tutta!...?

Dove siamoOccorre una mappa per capire dove stiamo andando. La rapida complessificazione e trasformazione della vita

sociale ed individuale (che ha come connotati di stabilità, ahimè,la transizione e la mobilità) ha reso largamente inadeguate, al finedella lettura e della gestione dei problemi, le categorie (giuridi-che, economiche, sanitarie) con cui per tanto tempo abbiamoorganizzato la nostra lettura del mondo. Le persone e le organiz-zazioni sono sempre meno in grado di rappresentarsi dove stan-no andando e perché.

Viviamo in un contesto in cui vacilla l’evidenza. Insieme alpunto di osservazione muta la visione della realtà. Sono legittimediverse letture - e probabilmente ognuna coglie un pezzo di verità- ma non esiste nessuno che possiede una visione talmente glo-bale e chiara da non aver bisogno di viaggiare con una mappa.

Alcuni segnali sul nostro cammino.

Sviluppo: che siamo dentro ad uno sviluppo che pensiamosenza fine, è evidente. Un indicatore classico per misurare lo svi-luppo è sempre stato il PIL: se cresce, le persone stanno meglio.Nel decennio 1992-2002 il PIL mondiale è raddoppiato e gli scam-bi commerciali sono triplicati.

In Cina e in India, i luoghi del turbocapitalismo, il PIL è rad-doppiato nell’arco di 5 anni.

Peccato che nel mondo occidentale il 50% del PIL sia in manoalle multinazionali.

Peccato che in Cina e India l’aumento del PIL abbia significa-to devastazione del territorio e che l’equazione “sviluppo ugualebenessere” non abbia retto: oltre il 50% della popolazione di que-sti due paesi vive con meno di 2 dollari al giorno, la soglia dipovertà definita dalla Banca Mondiale.

In Italia, accanto alla povertà, cresce il benessere: più poveri,più ricchi e in mezzo il vuoto.

In un’intervista, la proprietaria di una boutique nel centro diTorino sosteneva che la sua è una città ricca e benestante: “è evi-dente che la gente sta meglio, che è più serena, che spende piùvolentieri” diceva. Evidentemente, la sua realtà è filtrata dal suopunto di osservazione. “La mappa non è il territorio” è l’afferma-zione del filosofo Korzybski, diventata famosa grazie a Batenson.

Eppure, in molti sono convinti che qualità della vita e benes-sere siano aumentati: quest’ estate, in una località balneare delnord-ovest, la moglie di un piccolo industriale raccontava alla suavicina di ombrellone che (per il suo anniversario di matrimonio)si era regalata la borsa di un noto stilista, ma ne stava ancoraaspettando la consegna dato che era 675° nella lista d’attesa nellaboutique della sua città. Seicentosettantacinque persone aspetta-no una borsa da 25.000 euro.

I fatturati delle imprese continuano il loro incessante svilup-

62 Osservatorio sulla Cittadinanza

Uomini e donne di fronte allo sviluppoPiccola legendaFragilità e povertà non trovano facile albergo nei nostri voca-

bolari interiori. Sono parole da romantici, da nostalgici.Eppure, fragili sono la maggior parte delle cose preziose. I cri-

stalli sono fragili. Fragile è ciò che va maneggiato con cura.

“Noi siamo smaniosi della fretta.Ma, sapete, è un’ineziain quel che eterno permaneil fuggire del Tempo.Ogni precipitarsi è già morto:da ciò che sta fermo ci vienel’iniziazione.Gioventù, non dissolverenella velocità del tuo animo,non forzarti di volare.Perché riposo è tutto:l’oscuro e il luminoso,il libro, il fiore”

Rainer Maria Rilke

Per connotare positivamente la povertà occorre un po’ di fan-tasia. Povero, oltre che carente, scarso e mancante è portatoresano di leggerezza e di sobrietà perché privo di orpelli e di pesi.Ma è inutile lanciarsi in architetture del pensiero, qualche riferi-mento vicino a noi lo troviamo solo nel Vangelo che affronta iltema attraverso significati accrescitivi: povero di materialità peravvicinarsi allo spirito che soffia dentro di noi. È una proposta,forse solo un punto di vista.

Per la parola sviluppo invece, non occorrono grandi sforzi,incontra più facilmente le nostre simpatie: fa correre il pensieroall’aumento, al potenziamento, al miglioramento.

Il progresso di frontealla fragilità dell’uomo

di TIZIANA CIAMPOLINI

65Progresso: avanti tutta!...?

metà di quello medio sono invece 6 milioni. Il dato, che ormai èstabile, ha come elemento di novità il fatto di investire aree socia-li che statisticamente non erano mai state collocate nell’ambitodella povertà.

Ma questa non è la vera novità. Perché, al di là di pochi miopiche vivono in un’isola felice, è noto a tutti che la povertà non soloè aumentata, ma ha anche rotto gli argini. La povertà che primaera lontana, definita e circoscrivibile all’interno di spazi specifici,oggi si è avvicinata e ci sfiora, ammicca e minaccia di avviluppar-ci tra le sue spire.

La povertà lambisce il nostro quotidiano avvicinandosi sottoforma di fragilità.

Coloro che sono in via di esclusione non sono più le categoriesociali classiche, vale a dire i senza fissa dimora, i tossicodipen-denti, gli ex-carcerati, i disabili, i malati psichiatrici.

In un’indagine della Caritas Italiana sono stati individuatigli ambiti delle nuove povertà e delle nuove emergenze sociali.Sono quattro le forme emergenti di disagio/vulnerabilità socia-le, prese in considerazione dal Rapporto “Vuoti a perdere”(2004): le nuove dipendenze senza sostanze, la depressione, lademenza senile e le conseguenze psico-sociali della flessibilitàdel lavoro.

Dipendenze senza sostanze (gioco, shopping, internet, cellulare):

• nel 2002 i proventi del gioco del lotto (oltre 4 miliardi di euro)hanno superato quelli della vendita dei tabacchi;

• l’installazione dei video poker nel 2000 ha prodotto un giro d’af-fari pari a 40 miliardi delle vecchie lire;

• circa l’8% della popolazione italiana soffre di forme di shoppingcompulsivo;

• il 28% degli adolescenti non spegne mai il cellulare, il 33% rara-mente.

Depressione: • secondo l’OMS, la depressione è la causa principale di invalidità

globale;• è la prima causa di invalidità nel mondo;• a livello mondiale i disturbi neuropsichiatrici sono causa di

morte per 1.105.000 persone (2002); in 13.000 casi la morteavviene a causa della depressione.

Alzheimer e demenze senili:• il 60-70% dei casi di grave deterioramento cognitivo in età avan-

zata sono ascrivibili all’Alzheimer; • in Italia soffrono di questa malattia più di 500.000 anziani ultra-

sessantacinquenni e i costi diretti e indiretti della malattia sonostimati in 30-35.000 euro all’anno per paziente.

64 Osservatorio sulla Cittadinanza

po: nel 2006, le 500 maggiori imprese quotate a Wall Street hannoincamerato 816 miliardi di dollari, pari al PIL della Svizzera e delBelgio.

Il bilancio di Telecom comunica che il proprio amministrato-re delegato nel 2005 ha percepito emolumenti per 2 milioni dieuro, più 20.000 euro in benefici non monetari, 1.300.000 euro inbonus e 13.000 euro sotto forma di altri compensi. Senza consi-derare i benefici offerti dalle stock options. Sergio Marchionne,che ha avuto il merito di aver invertito il trend negativo della Fiat,conosce una plusvalenza, per ora teorica, di 100 milioni di euro.

Ma è un privilegio per gli eletti.In America, la retribuzione annua di un amministratore dele-

gato è pari a quella di 411 dipendenti. In Italia i fatturati crescono, ma la dinamica redistributiva

degli ultimi 30 anni porta il segno negativo per i salari a frontedella crescita dei dividendi.

I salari italiani sono tra i più bassi d’Europa con una media di16.242 euro. Il salario medio operaio è di circa 1.100 euro al mese,ma moltissimi percepiscono molto meno di 1.000 euro. I giovanitra i 15 e i 24 anni guadagnano in media 780 euro.

Ieri i nostri genitori, dentro le fabbriche, sentivano di lavorareper produrre una crescita che sarebbe toccata a loro e agli altri,vicini e lontani.

La sensazione spiacevole che ci rende tutti un po’ esperti diprocessi di impoverimento è il non sentirci produttori ma soltan-to consumatori: siamo homo consumens, come afferma Bauman.

Sentiamo un mondo in corsa verso uno sviluppo che noninvestirà noi.

Sarà di altri, pochi e inarrivabili. Ciò che si avvicina invece, è ilprosciugamento delle risorse destinate a produrre nuovo sviluppo.

La paura ci assale perché la sensazione di deupaperamentopervade tutte le sfere dell’esistenza umana: siamo produttori diquello che Rifkin definisce l’olocausto ecologico pagato oggi daipaesi poveri e domani dalla prossima umanità e sentiamo forte-mente interconnessi i problemi ambientali, sociali e geopolitici.

Una recentissima indagine sui giovani in Italia e GranBretagna evidenzia che essi guardano al futuro con sguardopreoccupato e pessimista. Si aspettano disastri naturali, migra-zioni, povertà, inquinamento, guerre, crisi economiche. Un’altraindagine, questa volta tutta italiana, prodotta dall’IRES ne“L’Italia del lavoro, oggi”, mette in luce che i giovani ed i lavorato-ri non hanno paura di perdere il lavoro, ma soffrono per il fattoche nessun lavoro è sicuro.

PovertàIn Italia, secondo l’Istat, sono due milioni e mezzo le famiglie

che vivono in stato di povertà (l’11,7% della popolazione, cioècirca 7.600.000 persone). Le persone che vivono in situazione dipovertà relativa, ovvero che percepiscono un reddito pari alla

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sato di svincolarsi dalla classe di origine e inoltre, secondo i datiCensis, è più frequente il fenomeno del declassamento: il 50% deigiovani appartenenti alla borghesia infatti, nel passaggio genera-zionale ha conosciuto un ridimensionamento, mentre solo il 13%è riuscito a salire nella classe sociale.

La frammentazione della nostra società produce vulnerabilitàsociale ed economica, quindi insicurezza e l’insicurezza genera ildisagio del vivere.

È come se mancasse un collettore comune, una sorta di tera-peuta collettivo, come lo definisce Mauro Magatti, un ruolo inpassato svolto dalla fabbrica. La fabbrica non toglieva nulla allesofferenze individuali e famigliari della classe operaia, ma il con-dividere una condizione esistenziale e lavorativa portava con séuna dimensione consolatoria, una sensibilità e un sentimentocomune che generava una forza collettiva.

Oggi al contrario, la società è attraversata da una forte scompo-sizione sociale e segnata da una grande immobilità. Mettere insie-me il pranzo con la cena è una fatica materiale, ma è anche metafo-ra della fatica di vivere il quotidiano in solitudine. Si sente che que-sta non è più una transizione, è diventata una condizione.

La fragilità diffusa ha però un innegabile vantaggio, quello diaiutare a considerare il fenomeno come appartenente a tutti.Questa è una sostanziale differenza rispetto al concetto di povertàche automaticamente rimandava all’immagine del disagio eco-nomico di un numero limitato di persone. Allo stesso tempo però,è importante non cadere nella trappola del “mal comune, mezzogaudio” pensando che la fragilità di tutti annulli la fragilità di cia-scuno.

Dentro alla fragilità comune c’è la maggiore fragilità di alcuni,persone verso le quali è prioritario concentrare le risorse umanee finanziarie disponibili. Il grosso nodo sta non solo nella fragilitàdi alcune porzioni di popolazione, ma nella debolezza dellerisposte istituzionali a questi problemi. Accanto ai problemi per iquali esiste una tradizione consolidata di risposte pubbliche,emerge infatti una crescente fetta di problemi trascurati a causadella debolezza nel sistema delle risposte. Inoltre, la presenza disituazioni di fragilità dai contorni non sempre definibili esige nonsolo una politica più mirata ad affrontare le cause del problema (illavoro, la casa, il fisco, la rete dei servizi alla persona e alla fami-glia...), ma anche una più profonda solidarietà sociale.

Verso doveA partire dalla considerazione che va ricostruito lo sfondo

entro il quale vedere i problemi sociali, dobbiamo rappresentarciin modo nuovo i nodi che attraversano le nostre esistenze. È den-tro il concetto di welfare che dobbiamo cercare nuovi significati.

Welfare non è solo assistenza, welfare è la custodia del benecomune. I servizi di welfare vanno ripensati all’interno di una più

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Lavoro flessibile: • in Europa le forme di lavoro atipico si attestano intorno al 30%;• in Italia, secondo l’IRES, circa 6 milioni di lavoratori sono atipi-

ci e sommersi.

FragilitàÈ questo il repertorio dei nuovi poveri, i fragili, quelli che con

un soffio rischiano di andare in pezzi. È questa la categoria sotto la quale vanno letti alcuni fenome-

ni emergenti.La precarizzazione del lavoro è la principale causa di fragiliz-

zazione. I redditi ridotti ed il lavoro stop and go producono, anche

come fenomeno temporaneo, ritardi nel pagamento delle bollet-te, difficoltà ad acquistare beni di prima necessità ed indebita-mento. Secondo l’ISTAT, un problema per quasi il 15% delle fami-glie italiane. Circa il 28% degli intervistati (ISTAT - Reddito e con-dizioni di vita in Italia 2004- 2005) sostiene di non essere in gradodi affrontare una spesa straordinaria di 600 euro.

L’Italia è uno dei pochi paesi in cui non esiste la garanzia di unreddito minimo e dove l’aumento della disuguaglianza è analogoa quello dei paesi più avanzati (Gran Bretagna e Stati Uniti).

Tra i cittadini si rilevano clamorose distanze nel campo dellavoro, dell’istruzione, delle condizioni abitative a causa di unagenerale inclinazione alla contrazione del welfare e al taglio dellaspesa sociale - fenomeno non solo italiano - ma che in Italia si èmanifestato in modo particolarmente disordinato e che ha avutoconseguenze che hanno colpito, come di solito avviene, chi nonaveva un ombrello sotto cui ripararsi.

In un interessante saggio, Riccardo Petrella afferma che sonosaltate le tessere del mosaico del welfare storico, cioè l’accumulodelle conquiste sociali successive alla rivoluzione industriale. Sipensi all’insieme di regole, istituzioni e pratiche della sicurezzasociale: diritto al lavoro a tempo pieno, salario decoroso, prote-zione sociale, piena occupazione, fiscalità progressiva, diritto allasussistenza (art. 38 della Costituzione), accesso egualitario all’i-struzione, alla casa e all’informazione.

In Italia, come nella maggior parte dei paesi sviluppati, l’ar-chitrave di questo sistema è ancora in piedi, ma alcuni pilastristanno cedendo ed il primo è il lavoro. La precarizzazione ali-menta uno scenario di insicurezza che invade sia l’intero corposociale che le biografie personali.

L’Italia appare non solo precaria, ma anche immobile ed insi-cura: i lavori precari sembrano riservati soprattutto alle donne, aigiovani ed agli immigrati.

In Italia, i giovani laureati hanno meno possibilità di trovarelavoro rispetto ai coetanei diplomati (quasi il 25% è disoccupatoa fronte di un dato europeo del 15%).

Attualmente, i giovani hanno molte meno chance che in pas-

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dizionali, reinterpretandoli in modo nuovo, pensandosi attori diun contesto di crescente frammentazione sociale, per diventarecostruttori di nuovi legami (dotati di senso) e creatori di consen-so (intorno ai prodotti realizzati).

Tutto ciò richiede attenzioni metodologiche congruenti con ladelicatezza dell’obiettivo: per mettere in circolo le nuove risorsedella comunità locale non è sufficiente la buona volontà o unavaga mobilitazione, occorre una strategia intenzionale e vigile, unascolto attento ed una delicata assunzione e rielaborazione dellemolte ambivalenze, delle tentazioni verso delega, accentramentoe protesta generica che attraversano abitualmente cittadini, ope-ratori ed amministratori coinvolti.

La metodologia diventa così lo snodo dell’etica e della demo-crazia.

Provare a non aumentare gli ultimi della filaUn welfare di tutti, senza dimenticare gli ultimi della fila. I

poveri non possono essere un capitolo isolato dall’insieme.Occorre, come sostiene Domenico Rosati nel Rapporto Caritas2006 “Vite fragili”, stabilire se sia corretto mantenere la rotta cheaffida la qualità della vita al mercato e alle sue crisi o non sia ilcaso di reintrodurre nel sistema un elemento di stabilità che offrauna base di sicurezza alle persone e svincoli l’esistenza dall’incu-bo della paura.

Il tema della sicurezza è oggi alla ribalta. La risposta politica alsenso di vulnerabilità delle persone è stata “ordine e pulizia”:ordine espresso da iniziative provocatorie (la proposta di segare lepanchine degli immigrati); pulizia, ovvero trasformare il centrocittadino nel salotto di casa (ripulito da stranieri, spazzatura edaccattoni). Iniziative di immagine che al massimo possono lenirela paura per poi amplificarla. Misure palliative sono anche l’au-mento della presenza delle forze dell’ordine, tanto invocato,senza il miglioramento della “densità sociale”: cioè quando l’azio-ne della polizia non è legata al contesto e alla comunità locale.Nulla cambierà davvero, finché il disegno delle città sarà nellemani delle imprese immobiliari, finché sentiremo il nostro vicinoostile e straniero, finché la sicurezza sarà affidata alle ronde o agliocchi liquidi dei sistemi di video-sorveglianza che riflettono unterritorio abitato da ombre.

Da dove si può cominciare per introdurre nelle agende econo-miche e politiche il mantenimento di una condizione dignitosaper le persone, a partire dal lavoro?

Occorre avere il coraggio di redigere un nuovo inventario dellerisorse e dei bisogni che corrisponda al reale, al reale di oggi, chesia lontano dalle idealizzazioni e dalle ideologizzazioni, per darevita, come diceva Giovanni Paolo II ad un progetto di “globalizza-zione della solidarietà” che rimetta al centro la politica e la ricer-ca del bene comune, in una scena occupata oggi solo dall’econo-

68 Osservatorio sulla Cittadinanza

complessiva visione dello sviluppo di un territorio, visto comeincrocio di dinamiche locali e globali. Il welfare deve essere levadi sviluppo, non spada di Damocle. Il sociale è proprio quellaterra di mezzo che incrocia urbanistica, ambiente, sanità e sicu-rezza attraversando le piccole biografie dei singoli. È nella quoti-dianità che aumentano le paure, che cresce la sfiducia nella poli-tica classica e dove queste paure si trasformano in domande disicurezza che passano proprio attraverso i servizi di welfare.

Il welfare diventa il luogo in cui si depositano gli scarti pro-dotti dallo sviluppo. Di quello sviluppo che produce ricchezzamateriale e desertifica tutto intorno a sé.

Saremo capaci di cogliere questa fase storica come un’occa-sione per realizzare delle forme più avanzate di vita umana (dovel’ambizione potrebbe spingerci a trovare l’equilibrio tra essereradicati ed essere aperti, sia in termini simbolici che concreti)dando vita a forme nuove di cultura e ad istituzioni capaci dimediare tra apertura e chiusura, tra vecchio e nuovo, tra locale eglobale?

Non saranno forse in ritardo le agende della nostra politica nelcomprendere le modificazioni che hanno luogo nella vita quoti-diana di milioni di persone? Occhieggiati “dalla società a respon-sabilità limitata e del debito differito” - così definita da TizianoVecchiato nel Rapporto Caritas, Zancan 2004 - le persone sonolasciate sole nelle loro fragilità, nel grave senso di disorientamen-to, nella povertà esperienziale di fronte ai trabocchetti che la fles-sibilità e la precarietà allestiscono.

Il welfare ha raggiunto la soglia di criticità e il punto di non-ritorno perché si è ridotto, come ha ben detto Domenico Rosati,a welfare discount.• Discount perché fornisce una serie di servizi che inconsapevol-

mente facilitano la creazione di ghetti sociali, dal momento chesi rivolgono ad una cerchia ristretta di persone;

• Discount perché fornisce servizi sociali e sanitari a basso costoanche ai ceti un tempo agiati, ora impoveriti. La differenza traun volo low cost e un servizio sociale low budget è che il volo -anche se spartano - ti porta a destinazione, ma un’operazioneal cervello a basso costo dove conduce?

Urge che il nuovo welfare sia costruito con i cittadini, alle-stendo nuovi contesti. Non basta fare un tavolo con gli abitanti diun territorio per avviare percorsi partecipativi: al massimo si faràun po’ di demagogia. Non basta convocare gli esperti della parte-cipazione (cioè operatori sociali e organizzazioni del terzo setto-re che hanno sviluppato particolari competenze nel partecipareai tavoli di progettazione sociale) chiedendo loro di segnalare iproblemi. Occorre uscire dal meccanismo perverso stimolo-risposta “i cittadini segnalano un problema e la PubblicaAmministrazione istituisce un servizio”, aprendo all’idea che i cit-tadini hanno diritti - ma anche doveri.

Il nostro tempo sembra chiedere di trasgredire ai mandati tra-

71Progresso: avanti tutta!...?

Alcuni dati sulla situazioneNel mondo vi sono 191 milioni di immigrati, di cui 20 milioni

richiedenti asilo o rifugiati, ai quali si aggiungono – secondostime - 30-40 milioni in situazione irregolare e 600-800 mila per-sone vittime della tratta.

Alla fine del 2004 i cittadini stranieri nei 25 Stati membridell’Unione, escludendo quelli che hanno già acquisito la cittadi-nanza, sono risultati 26 milioni e 61 mila su una popolazione di457 milioni di abitanti e un’incidenza di poco superiore al 5%,con punte del 9% in Germania e in Austria, dell’8% in Spagna, del5% nel Regno Unito e in Francia e superiore al 4% in Italia.

L’Italia è diventata ormai da decenni un’area di grande immi-grazione con un ritmo d’aumento sensibilmente sostenuto.

Il numero degli immigrati regolari in Italia ha quasi raggiuntoquello degli emigrati italiani nel mondo (3.000.000). Secondo lastima del Dossier Caritas/Migrantes gli immigrati sono 3.035.000alla fine del 2005: a questo risultato si perviene tenendo conto deidati registrati dal Ministero dell’Interno, del numero dei minori edi una quota di permessi di soggiorno in corso di rinnovo.

L’Italia si colloca, così, accanto ai grandi paesi europei diimmigrazione: Germania (7.287.980), Spagna (3.371.394), Francia(3.263.186) e Gran Bretagna (2.857.000). L’aumento degli immi-grati in Italia nel 2005 è dovuto sia ai nuovi arrivi (187.000) chealle nascite di figli di cittadini stranieri (52.000).

I soggiornanti in Italia dei paesi dell’Est Europa sono circa 1milione: i principali gruppi sono, tra gli extracomunitari, quelloalbanese e ucraino; tra i comunitari, quello polacco; tra gli Statiappena entrati a far parte della UE, quello romeno (che è in asso-luto il più numeroso). Tra i continenti, per l’Africa il primo grup-po è quello marocchino, per l’Asia il cinese e il filippino, perl’America il peruviano e lo statunitense. Dall’America Latina, inparticolare dall’Uruguay e dall’Argentina, vi è un flusso di oriun-di italiani che vengono formalmente come turisti, per completa-re la pratica relativa all’acquisizione della cittadinanza italianaper ascendenza, per poi spostarsi successivamente in Spagnadove gli italiani sono56.000, per lo più originari del Sud America.

70 Osservatorio sulla Cittadinanza

mia. Occorre rimettere in piedi una programmazione frutto dellapartecipazione, dell’assunzione di responsabilità (anche quelleindividuali) e dove il passaggio dal dire al fare sia concreto.

Per riprendere le parole di un grande programmatore politicodell’inizio del ‘900, Pasquale Saraceno, occorre “affermare unaconcezione di mercato che da regolatore supremo dell’economia sitrasforma in istituto che la politica economica utilizza per conse-guire in modo più economico i propri obiettivi”.

Occorre spremere le meningi, usare tutta la creatività possibi-le per trovare un modo nuovo - civile e pacifico, ma riconoscibile- per chiedere alla politica che sta nel Palazzo d’Inverno di ritro-vare il senso di quello che va fatto e che va oltre la piccola manu-tenzione ordinaria. Non è più tempo di affidarsi ai sondaggi o agliurlatori di piazza, occorre ritrovare la saggezza delle decisioniprese con calma, dopo aver sentito la voce di tutti.

E di educarci al bene comune. Fuori dai luoghi comuni.

Tiziana Ciampolini, Coordinatrice dell’ Osservatorio delle Povertà e delleRisorse della Caritas diocesana di Torino e Regione EcclesiasticaPiemonte e Valle d’Aosta.

Diritto ad emigrare:nord e sud si ritrovano

di SILVIA TRUFFO

73Progresso: avanti tutta!...?

Sono ancora deficitarie le condizioni di inserimento e quelledi partecipazione: 6 immigrati su 10 vorrebbero avere il diritto divoto, mentre per 1 su 5 la maggiore preoccupazione consiste neltrovare casa e lavoro.

La legge regionale sull’immigrazione del Friuli Venezia Giulia(n. 5/2005) ha previsto il diritto degli immigrati di partecipare aiconcorsi pubblici e questa impostazione, ancora dibattuta, abbi-sogna di essere generalizzata affinché i “nuovi cittadini” non sisentano esclusi.

Le carenze riscontrate riguardano tanto la normativa degli ufficipubblici quanto i diversi aspetti della convivenza sociale. Nel 2005sono stati segnalati all’Ufficio Nazionale AntidiscriminazioniRazziali (Unar) 867 casi di discriminazione, concentrati special-mente nel Centro-Nord. Le denunce sono venute per lo più dagliafricani (37,6%), perché per essi fa da catalizzatore il colore dellapelle. Le discriminazioni riguardano vari aspetti della vita quotidia-na, dal lavoro (28,4% con problematiche concernenti per lo più l’ac-cesso al mercato e il mobbing) agli alloggi (20,2%).

Inoltre, comparativamente con gli altri paesi europei, è ancorapoco quello che si fa per i rifugiati e i richiedenti asilo. Dall’insertospeciale curato dall’Unhcr risulta che, nel 2005, le domande perve-nute sono state 9.346, quelle esaminate14.651 e quelle riconosciute,o comunque risolte con protezione, 5.266, mentre i rifugiati inse-diatisi in Italia sono complessivamente circa 20.000.

Infine, è ancora ridotto, il numero di studenti stranieri iscrittipresso le università: 38.000 su 2 milioni e 300 mila studenti esterisparsi nel mondo (dato del 2004). Si tratta di una presenza mode-sta a fronte della quota del 10-12% sul totale mondiale spettantea Gran Bretagna, Germania e Francia. Del resto sono carentianche le borse di studio disponibili a favore degli studenti deipaesi in via di sviluppo.

Sfide aperteLa sfida economica: una strategia che va alla radice:rafforzare la cooperazione allo sviluppo.Il divario Nord/Sud del mondo è la prima causa dei flussi

migratori di questi anni dai paesi extraeuropei ai paesi occiden-tali e quindi anche verso l’Italia. Ci sono cause economiche; dipovertà e di mancanza di prospettive personali e collettive per ilfuturo; di mancanza di lavoro; di conflitti etnici e di guerre, checostringono milioni di persone ad emigrare nel nord del mondoin una ricerca disperata di una soluzione ai loro problemi.

La nuova immigrazione è utile ai paesi industrializzati, sia percontrastare l’invecchiamento della popolazione che per fornire lamanodopera mancante ma contemporaneamente sottrae aipaesi d’origine risorse umane ed intellettuali che potrebbero essereutili al loro sviluppo.

72 Osservatorio sulla Cittadinanza

Gli immigrati sono diffusi in tutta l’Italia, seppure in manieradifferenziata: Nord 59,5%, Centro 27% e Meridione13,5%.

La maggioranza dei permessi di soggiorno rilasciati è a carat-tere stabile, per cui più di 9 su 10 immigrati sono presenti perlavoro (62,6%) e per famiglia (29,3%), ai quali si aggiungono altrimotivi anch’essi connessi con una certa stabilità del soggiorno(motivi religiosi, residenza elettiva, corsi pluriennali di studio).

Gli immigrati sono in Italia una popolazione giovane, concen-trata per il 70% nella fascia d’età 15-44 anni (solo il 47,5% degliitaliani, invece, si colloca in quella fascia).

Tra gli immigrati prevalgono le persone sposate (52,7% deltotale delle presenze), anche se spesso sono rimasti in patria i figlie il coniuge, come attesta il forte flusso di ricongiungimenti (100mila l’anno). Si riscontra una sostanziale parità tra uomini edonne (queste ultime essendo il 49,9%), le quali in alcune regio-ni, come il Lazio e la Campania, sono la maggioranza per il cre-scente bisogno della loro presenza nei servizi alla famiglia e allepersone.

I minori sono 586 mila, pari a circa un quinto della popolazio-ne straniera, un’incidenza maggiore rispetto a quella riscontrabi-le tra gli italiani. Essi hanno conosciuto quasi un raddoppio nelvolgere di 5 anni (nel 2001 erano 326.101) e inoltre la metà deicasi (56%) si tratta di persone nate in Italia.

Gli studenti con cittadinanza straniera sono 424.683 (a.s.2005-2006).

1 ogni 10 occupati è nato in un paese non appartenenteall’Unione Europea (1.763.952 su 17.399.586 secondo la bancadati INAIL).

Le assunzioni nel 2005 sono avvenute per il 9,2% in agricoltu-ra, per il 27,4% nell’industria e per la restante quota nei servizi. Isettori prevalenti sono l’informatica e i servizi alle imprese(16,1%), le costruzioni (13,6%), gli alberghi e i ristoranti (11,9%),le attività svolte presso le famiglie (10,2%) e l’agricoltura (9,2%).

Sono titolari d’azienda 130.969 cittadini stranieri, sono con-centrati nei settori dell’edilizia e del commercio e sono caratte-rizzati dal crescente coinvolgimento delle donne.

Gli immigrati, così come avviene in tutta Europa, anche inItalia guadagnano di meno, come risulta dalla banca datidell’INPS: le loro retribuzioni sono mediamente pari alla metà diquelle degli italiani, anche a causa del loro impiego discontinuo.

Gli immigrati, come risulta dai risultati di diverse indagini sulcampo, sono persone che, pur dovendo operare in condizioni piùdisagevoli, si mostrano quale componente dinamica anche nelmercato del consumo.

Tra i vari problemi vissuti dagli immigrati la casa è da semprequello più spinoso. Circa il 12-15% degli immigrati lo ha risoltodiventando proprietario dell’immobile in cui abita (506.000 per-sone secondo la stima più alta). Sono stati 116 mila coloro chehanno acquistato un alloggio nel 2005 (il 14,4% degli acquirentitotali e addirittura il 20% a Roma), mentre il 72% vive in case inaffitto.

75Progresso: avanti tutta!...?

che permettano lo scambio tra credenti perché queste consentonodi andare all’essenza delle religioni monoteistiche e “conduconoall’amore e al rispetto reciproco, eliminano o almeno diminuisconoi pregiudizi e promuovono l’unità e l’amicizia tra i popoli”(Giovanni Paolo II, Christifidelis laici, n.35)

La sfida dell’informazione: la costruzione mediatica dei pregiudizi.“Nella vita quotidiana si rafforza un modo di pensare e di agire

razzista spesso indipendente dalla consapevolezza del singolo indi-viduo… se si lascia parlare la gente a ruota libera, spontaneamentee si ascoltano con attenzione le parole che dicono e come le dicono,dalla maggior parte delle conversazioni quotidiane viene fuori chesi hanno in mente aspetti e idee molto negativi sui gruppi che pro-vengono da altri paesi ed altre culture. Intanto si parla di loro sem-pre come un problema, come una minaccia, come gruppi di perso-ne pericolose e comunque in competizione nella spartizione dellerisorse” (intervento del Prof. Tuen van Dijk, docente all’università diAmsterdam, Roma 1991). I media e i libri di testo rafforzano spessoquesti sentimenti. Nei giornali si parla degli immigrati solo in riferi-mento a violenze, rivolte, a problemi di ordine pubblico e insicu-rezza sociale. Anche il linguaggio stesso, alcune parole ed espres-sioni utilizzate dai media portano in sé delle definizioni negative edescludenti che finiscono per “fare cultura”. La parola extracomuni-tario è un semplice esempio: essa conferma all’opinione pubblical’idea dell’”altro” che viene da “fuori”, da lontano ed è quindi datemere e allontanare.

Lo stesso ruolo è giocato dalla pubblicità: essa ha lo scopo divendere e per meglio raggiungere il risultato comunica attraversostereotipi; va incontro al sentire comune della gente.

I mezzi di comunicazione di massa giocano in questo momentoun ruolo negativo, ma potrebbero avere al contrario un’importantefunzione per l’eliminazione dei pregiudizi razziali e per la promo-zione dell’armonia dei rapporti fra comunità che vivono in Europa:è una sfida attirare l’attenzione dei responsabili dell’informazione atutti i livelli per farne prendere coscienza.

La sfida dell’educazione: la prospettiva interculturale.Questa sfida riguarda non soltanto la scuola ma tutta intera la

società. È tutta l’attività pedagogica che deve aprirsi ad una pro-spettiva transnazionale e interculturale.

L’educazione interculturale deve ormai essere considerata unacondizione strutturale della società multiculturale e non una nuovamoda pedagogica.

L’educazione all’interculturalità presuppone un progetto coo-perativo globale di tutti i potenziali agenti educativi presenti nelterritorio e una profonda trasformazione di tutte le agenzie educa-tive; esse infatti possono diventare luoghi di interculturalità a pattoche trasformino sostanzialmente se stesse. Ciò tocca in primis la

74 Osservatorio sulla Cittadinanza

Sono riduttivi e inefficaci gli interventi di politica migratoria tesisoltanto ad affrontare le ondate migratorie se non vengono messi inatto maggiori sforzi verso la promozione dello sviluppo economicoe sociale nei paesi d’origine degli emigrati e quindi rafforzata lacooperazione allo sviluppo.

La sfida politica: migranti- cittadini.Per la politica il tema più pressante legato all’emigrazione è quel-

lo dei diritti degli stranieri al lavoro, casa, servizi sociali, scuola, istru-zione professionale, centri religiosi e difesa del patrimonio etnico-culturale, è il riconoscimento all’elettorato attivo e livello locale e lapromozione della partecipazione alla vita della comunità di acco-glienza; è il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare;è facilitare l’acquisizione della cittadinanza del paese di residenza; èconsentire l’accesso all’impiego pubblico.

Un’attenzione particolare va data all’immigrazione al femminile:le donne che migrano hanno un ruolo estremamente importante:sono le custodi e le trasmettitrici principali della cultura di prove-nienza ai loro figli. La loro condizione tuttavia è spesso caratterizzatadalla solitudine ed esclusione dalla vita della comunità.

Anche i problemi di ordine pubblico sono una sfida politica: sonostrettamente legati al riconoscimento dei diritti di cittadinanza e alsenso di appartenenza degli immigrati ad una comunità ma riguarda-no anche un contrasto vigile e continuo alla criminalità organizzataitaliana che utilizza spesso la manodopera straniera.

La sfida religiosa: aprire un dialogo con l’Islam.Dopo gli attentati di Londra e le minacce ad altri paesi europei

ad opera di nuclei terroristici legati al fondamentalismo islamico,dopo le conseguenti strumentalizzazioni politiche in Italia, si è tor-nati a percepire l’Islam come il generico nemico dell’occidente e aparlare di “scontro tra civiltà”. Il tono spesso utilizzato soprattuttodai servizi giornalistici è quello allarmistico.

L’Islam è la seconda religione in Italia se si conteggiano gliimmigrati provenienti da società Islamiche, in realtà si tratta di unarealtà molto eterogenea e in continua evoluzione. Tra i musulmaninon tutti sono praticanti e frequentatori dei luoghi di culto; ci sonomusulmani moderati e radicali, ma anche gli indifferenti ai legamidella tradizione religiosa di provenienza.

Il dialogo con l’Islam va aperto su due fronti: • Dialogo Stato e Islam. Le istituzioni italiane attraverso il rapportocon le rappresentanze delle comunità musulmana devono giunge-re ad un’intesa per rispondere alle richieste sempre più pressantirelative al libero svolgimento delle pratiche religiose, alla costruzio-ne di luoghi di culto e cimiteri, al sostegno economico delle istitu-zioni islamiche, al riconoscimento dell’educazione religiosa rivoltaai figli dei musulmani.• Dialogo cristiano-islamico. Esso si deve fondare sulla ricerca delleradici comuni anziché sulle differenze, sul principio dell’unità nelladiversità di tradizioni. Vanno valorizzate al massimo le esperienze

77Progresso: avanti tutta!...?

La Tav, il ponte sullo stretto di Messina, Il Mose a Venezia,…imprese faraoniche che fanno discutere la nazione. A quale model-lo di sviluppo si rifanno? Favoriscono o bloccano lo crescita delPaese? Abbiamo raccolto gli interventi di alcuni pensatori cheindividuano molte criticità nell’attuale approccio alla moderniz-zazione.

Gli ambientalisti sono da sempre accusati di essere semprecontrari a tutto. Vediamo se è vero.

Siete sempre quelli del NO! Frenate lo sviluppo! Possibile chenon sappiate far altro che ostacolare le “magnifiche sorti e pro-gressive”? Queste le accuse - fortemente reiterate negli ultimimesi - che si rivolgono ai movimenti ambientalisti, attribuendoloro (in realtà una forza di poche migliaia di attivisti) un potered’interdizione immenso. Il fatto è che la forza delle associazioniche hanno a cuore la tutela deriva, dalla loro indipendenza poli-tica, dal buon senso e dall’esperienza di tante battaglie perse ovinte dai primi anni ‘50 dello scorso secolo. E che si basa sulcomune sentire, non viziato da ambizioni di potere o dalla forzadegli appalti. A maggior ragione per un’opera faraonica come ilponte sullo Stretto di Messina. Se l’opposizione a Grandi Opere,come il Ponte sullo Stretto di Messina, il Mose di Venezia, altreautostrade inutili e la TAV in Val di Susa può far pensare a prese diposizione estremiste e velleitarie di chi milita sempre e dovunquesul fronte opposto allo sviluppo, le proposte alternative sononumerose e ben documentate. Vediamo quali sono. Se si conside-ra che molti paesi, soprattutto in Sicilia, ricevono l’acqua nelleabitazioni solo poche ore alla settimana un’opera urgente e meri-toria dovrebbe essere quella di sistemare le reti idriche, collegarlemeglio con i bacini di raccolta, creare potabilizzatori e desaliniz-zatori nei luoghi più carenti di acqua potabile. I miliardi impiega-ti per accorciare di poche decine di minuti i viaggi in treno sulletratte più frequentate, potrebbero essere meglio utilizzati per ren-dere quelli normali, soprattutto per i pendolari, meno tragici.

76 Osservatorio sulla Cittadinanza

scuola. Occorre per la scuola una progettualità educativa basata ingenerale sul superamento di una formazione incentrata sul nessoleggere- assimilare nozioni e su discipline intese come universichiusi. Viceversa l’innovazione tecnologica (la multimedialità) e lalogica formativa per problemi (che come tali richiedono lo scambiofra saperi e diversità dei punti di vista) potrebbero rappresentareper la scuola un salto di qualità e un contributo all’educazioneall’interculturalità.

Per ciò che concerne i percorsi educativi per immigrati occorreevitare sia un’istruzione segregazionista (classi differenziali), sia latendenza integrazionista (l’assimilazione spinta). Questo perchéeducare all’interculturaslità significa riconoscere e valorizzare ognicultura .

L’educazione interculturale chiama in causa l’aggiornamentodei docenti e degli educatori in genere perché essi rivedano i proprimodelli etnocentrici, per superare atteggiamenti assimilazionistici(fare il diverso uguale a noi) e arrivare invece a momenti autenticidi interazione (valorizzazione della cultura altrui, educazione allaconvivenza democratica, l’altro come risorsa, ecc.).

Infine, le agenzie dovrebbero fare propri i seguenti principi-guida:• educare a vedere l’altro come una risorsa;• favorire per ogni soggetto portatore di diritti, la crescita in un

ambiente che lo riconosca come tale e lo aiuti a crescere;• aiutare chiunque a vivere la diversità come risorsa identitaria e

contributo alla crescita comune attraverso l’uguaglianza ed effi-cienza delle opportunità formative;

• incoraggiare la corresponsabilità e l’universalità dei doveri pernon enfatizzare e ghettizzare la diversità;

• promuovere processi di decostruzione degli stereotipi;• promuovere processi relativi alla ricerca di ciò che accomuna.

BibliografiaImmigrazione dossier statistico 2005, Roma, Nuova AnteremDemetrio D., Nel tempo della pluralità. Educazione interculturale indiscussione e ricerca, 1997, La nuova Italia.Ambrosini M., Molina S. (a cura di), Seconde generazioni.Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, 2004, FondazioneGiovanni Agnelli.Contadini M., Bevilacqua G., La sfida della mondialità e della intercultu-ralità, 2000, EllediciAa.Vv., Immigrazione l’accoglienza delle culture. Dalla scuola ai massmedia, 1998, EdUPKeshavjee S., Il re il saggio e il buffone, 1998, EinaudiOrsi M., Educare a una cittadinanza responsabile, 1998, EMI

Silvia Truffo, educatrice professionale, è attualmente dipendente delComune di Torino presso il Settore Politiche Giovanili.

Grandi opere

Il trucco c’è ma non si vede

di FULCO PRATESI

79Progresso: avanti tutta!...?

Il Piemonte sarebbe isolato senzala Torino - Lyon, anche perché lelinee attuali sarebbero sature.

Siamo in un’ emergenza, i costiper l’economia piemontese sareb-bero gravissimi in caso di mancatarealizzazione della linea.

Investire in “grandi Opere” faràcrescere l’economia e gli scambi

Il Piemonte ferroviario è già colle-gato ampiamente. Come dimostrano i dati Confetradel 2001 tutti i valichi ferroviarisono sottouilizzati: il Sempione uti-lizzato solo al 30% della sua poten-zialità, il Valico di Ventimiglia utiliz-zato al 4%.In particolare il Frejus, sulla lineaferroviaria internazionale valsusi-na è utilizzato al 38%.

Se ci fosse emergenza bisognereb-be agire subito, mentre invece ser-virebbero 15 anni di lavori. Lalinea non è intasata, l’unico puntocritico sulla linea è il passaggio aTorino, il cosiddetto “Nodo ferro-viario” dentro alla città, in partico-lare tra Avigliana e Torino, propriodove con la futura Metropolitanadi Torino si potrebbe liberare lalinea dai passeggeri.

Più di un esperto spiega che non èil trasporto la fase produttiva piùimportante, lo sono piuttosto laricerca scientifica e l’innovazionetecnologica. Trasferendo risorsedalla ricerca ed innovazione allarealizzazione di opere costosissi-me come questa si deprimerebbeancora di più l’economia.

78 Osservatorio sulla Cittadinanza

Raddoppiando i binari su molti tratti, elettrificando linee, rivi-talizzando “rami secchi” irresponsabilmente tagliati, rendendopiù vivibili le stazioni, mettendo in sicurezza e in pulizia i treni,lanciando con ogni mezzo una campagna per l’uso della ferrovia,si creerebbe una grande alternativa al pericoloso, ingombrante,energivoro e inquinante trasporto su gomma.

Soprattutto in vista degli obbiettivi posti dal Protocollo diKyoto. Ancora: dando mezzi e fondi alle aree protette perchèsempre di più intensifichino la loro azione di tutela ambientale esviluppo socioeconomico per le popolazioni in esse inserite(anche acquisendo foreste, scogliere, pascoli e paludi). E poiincentivare le autostrade del mare ancora in alto mare, restaura-re i centri storici minori per un turismo sensibile e intelligente.

Ancora, invece di svendere spiagge demaniali, creare undemanio naturalistico soprattutto lungo le coste e nelle piccoleisole, sul modello di quanto fanno il Conservatoire du Litoralfrancese o il National Trust britannico. Infine in un Paese come ilnostro ricchissimo di monumenti che formano, secondol’Unesco, una buona percentuale del patrimonio culturale dell’u-manità, una delle opere più urgenti e concrete potrebbe esserequella di rendere i monumenti adeguati alle norme sismiche. Inun territorio in gran parte esposto a terremoti, questa sarebbeun’iniziativa intelligente. Tutte opere razionali, intelligenti e posi-tive che hanno però il grande difetto di non essere vistose emegagalattiche, disponibili per inaugurazioni e tagli di nastricome quelle adorate dai politici.

(3/gennaio/2007)

Tratto da: http://beta.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=11512&content=1 nel sito: www.wwf.it

Grandi opereTorino-Lyon:conosciamo tutti i dati?

a cura della redazione diwww.ambientevalsusa.it

Le principali bugie sulla Torino - Lyon nascono da luoghi comunifacilmente contestabili.

BUGIE RACCONTATE LE CERTEZZE

Fulco Pratesi è giornalista, ambientalista e presidente del WWF italiano.Come giornalista è specializzato in argomenti ecologici e naturalistici, col-labora da molti anni con il Corriere della Sera, l’Espresso e numerose rivi-ste del settore. Dirige dal 1979 la rivista per ragazzi “L’Orsa”. Ha scritto eillustrato lui stesso numerosi libri.

81Progresso: avanti tutta!...?80 Osservatorio sulla Cittadinanza

La Nuova linea ferroviaria sarebbeun investimento economicamentegiustificabile ed è in grado diattrarre capitali privati

Solo aumentando l’offerta di tra-sporto è possibile influire positi-vamente sull’economia.

Il rapporto Costo / Benefici è afavore dell’opera.

La domanda futura di trasportoavrebbe un aumento di tipo geo-metrico. Sulla linea valsusina si passerebbedagli attuali 9.6 Milioni di Tonn. A55 MT nel 2025 e a 90 MT nel 2050.

Il corridoio Est-Ovest con la TorinoLyon collegherebbe Lisbona aKiev, attraendo attraverso l’Italia,con enormi vantaggi economici, iltraffico che oggi passa a Nord delleAlpi

Il trasporto merci su treno favori-rebbe la diminuzione dei gas discarico in Valle di Susa.

ed utilizzo massiccio di questalinea a discapito di altre concor-renti, il tutto più o meno contem-poraneamente.

Innanzi tutto la ComunitàEuropea per “corridoio” non inten-de nuove linee, quanto piuttostoun insieme di strutture ferroviarie,magari ammodernando linee esi-stenti.Il flusso Lisbona Kiev è inesistente,mentre la linea Torino Lyon hacome sbocco principale il centrointermodale di Dijon e la direzionedel flusso è evidentemente perciòsverso i porti del Nord Europa.Si tratta quindi di flusso Nord Sude non Est Ovest, questa è la bugiapiù grave.Il passaggio di merci non corri-sponde automaticamente ad unacreazione di reddito, piuttosto sot-topone un ampio territorio a vin-coli di invivibilità e basso valoreresidenziale, la questione è cono-sciuta come “Effetto Bronx”. Inoltre il Corridoio V avrebbealmeno due complicazioni in piùrispetto al corridoio a Nord delleAlpi: dovrebbe attraversare duevolte la catena Alpina e attraversa-re verso Est numerosi paesi econo-micamente poco inclini a realizza-re nuove linee ferroviarie.

Non esiste un accordo per cui siimpedisca il trasporto di merci sugomma favorendo nel contempoquello ferroviario. L’unica ideaeventuale è quella di tassare i Tirper invogliarli a salire sui treni.Questo aggravio di costi sarebbecaricato però sulle merci, ovverosull’acquirente finale. Gli studi ufficiali sull’opera preve-dono inoltre che solo la fase dicantiere eventuale provocherebbeun aumento del 3% di aumento disostanze inquinanti da idrocarburie polveri disperse.

Il Libro Bianco della UE sui tra-sporti indica in “alcuni decenni” iltempo necessario per un eventua-le inizio di redditività di questotipo di opere. In questo caso specifico il costo èdifficilmente stimabile a preventi-vo ed a lunga scadenza andrebbe-ro aggiunti i costi pesantissimi dimanutenzione. Per i costi stimatisi parla di 15miliardi di euro a pre-ventivo di cui solo il 10 % a caricodella Comunità Europea.Nessun privato ha ancora investitouna lira.

Complessivamente oggi via ferro sipotrebbero già trasportare attra-verso i tre valichi piemontesi 75milioni di tonnellate di merci, sene trasportano meno di 18 milioni. Nel 2000 le tonnellate di merci tra-sportate complessivamente attra-verso le Alpi sono state 135 milionidi cui il 23% ovvero 31 milioni ditonnellate via ferro.Se ne deduce che il 60% dellemerci trasportate su ferro passagià in Piemonte, mentre circa il 35% del totale delle merci trasportateattraverso le Alpi tra strada e ferropassano in Valle di Susa.Potremmo affermare che abbiamogià dato?

Mai nessun calcolo preciso è statorealizzato. Negli stessi studi deiproponenti LTF, RFI, RegionePiemonte emergono problemati-che che come si legge, a detta degliesperti “andrebbero approfondite”

I grafici proposti dai proponentiproiettano in alto la stima delladomanda da soddisfare in futurosulla base di dati vecchi che preve-dono aumenti del PIL tra il 1,8 e il2,4%.Si prevede erroneamente un mixdi questo tipo:riequilibrio tra ferro e gomma inun periodo di crescita economicaperenne, aumento geometricocorrispondente del traffico merci,

83Progresso: avanti tutta!...?82 Osservatorio sulla Cittadinanza

Il trasporto sarebbe più ecologicoe si favorirebbe l’industria ferro-viaria italiana.

La nuova linea servirebbe a rie-quilibrare il traffico tra strada eferrovia in Valle di Susa.

Con la “Gronda” ed il Tunnel diBase, ovvero la nuova linea, si evi-terebbe il passaggio delle mercinei paesi esistenti lungo la lineainternazionale attuale. Si trasfor-merebbe la linea storica in unalinea metropolitana dedicata aisoli viaggiatori.

Torino sarebbe collegata megliocon l’Europa.

Il costo della Torino-Lyon compre-so il tunnel di base di 54 km sareb-be di 15 miliardi di Euro Le spesesarebbero ripartite al 50% traItalia e Francia.

L’elettricità per muovere le loco-motive verrebbe prodotta inFrancia con le Centrali Nucleari,ecologica la produzione ma non ilciclo completo della centrale. I convogli per l’autostrada ferro-

viaria, costosissimi, sarebberocostruiti in Francia, così come iTGV per traffico persone.

Gli studi indipendenti realizzatidalla società Polinomia di Milanoda un gruppo di esperti che hannocollaborato in passato alla reda-zione del Piano Nazionale deiTrasporti indica nell’1% la realepercentuale di spostamento ditraffici merci dalla strada al ferrosu questa direttrice grazie allanuova eventuale opera. Allo stessodato perviene anche un altro stu-dio di fonte francese, denominatoSetec Economie.In nessun caso da parte dei propo-nenti si è pensato ad un limitesoglia di quantità trasportate conl’evidente trasformazione poten-ziale della valle in un “Corridoio diservizi” a danno della vivibilità edella residenzialità. Ove il traffico fosse minimo l’ope-ra sarebbe inutile con costi a cari-co della collettività. Nel caso delpassaggio di un treno ogni 2 minu-tu e 40 secondi come supposto daiproponenti nei progetti prelimina-ri (500 treni al giorno) la vallesarebbe invivibile ed il rischio diincidenti causa le merci pericolosetrasportate in galleria aumente-rebbe pericolosamente.

In realtà questa affermazione ècompletamente falsa, oltre ai trenipasseggeri, sui prospetti dei pro-getti si indica in 49 il numero(minimo) dei treni merci che infuturo dovrebbero continuare apassare sulla linea storica dentroai paesi. In più va detto che si trat-terebbe di merci pericolose, adalto peso, convogli meno sicuritecnologicamente e perciò inviatisulla linea storica più vecchia. Ciò

provocherebbe l’aumento deirischi per i centri attraversati e dirumore sulla linea storica. Comese non bastasse i convoglidell’Autostrada ferroviaria da e perOrbassano dovrebbero passareancora sulla linea storica almenofino a Bruzolo. In questo sensosarebbe eventualmente utile il col-legamento di Corso Marche cheinvece RFI non vuole assoluta-mente realizzare.

La linea nuova passerebbe fuori daTorino, il TGV quindi non ferme-rebbe più, salvo casi sporadici, aTorino, ma proseguirebbe perMilano. Intanto, la fermata del TGV a Lyonè stata già stata soppressa datempo, dal dicembre 2003 permancanza di passeggeri. Per ciòche riguarda le merci come giàdetto, senza collegamento conOrbassano bisognerebbe istituireun nuovo scalo tra Chivasso eNovara. Torino produttivamentesarebbe perciò praticamente isola-ta a livello ferroviario.

La stima è presunta, per fare unesempio calzante basti dire chel’Eurotunnel è costato 3 volte lastima, ed ha tre volte meno trafficodello stimato iniziale. Infatti haaccumulato in 10 anni circa 9miliardi di Euro di deficit, man-dando sul lastrico gli azionisti pri-vati investitori.Il costo non è ripartito equamente,ovvero è una favola quella che igoverni pagano la stessa cifra.Infatti la somma propagandatariguarda solo il Tunnel di Base,parte internazionale della linea,che sta per 22 km in Italia (12 diBussoleno più 10 dei 54 da Venausalla frontiera) e 44 in Francia.Come è facile calcolare perciòl’Italia paga anche una parte deltunnel francese, ovvero paga il63% del totale mentre la Francia

85Progresso: avanti tutta!...?84 Osservatorio sulla Cittadinanza

paga il 37%. N.B. solo 1/3 del per-corso sta in Italia ma pagheremmo i2/3. Bell’affare davvero. Ma per chi?

Quest’opera si inserisce in un dise-gno più complesso di una serie di“Grandi opere” tutte ancora darealizzare o appena iniziate. L’Europa non ha il denaro da inve-stire, i privati sembrano nicchiare,le banche finanziano le opere solose c’è un ritorno economico e lagaranzia dello Stato.In particolare lo Stato si dovrebbeassumere l’onere di garantire gliinvestimenti dei privati effettuatiper il tramite delle banche.Stabilito che le grandi opere adetta della stessa CommissioneEuropea impiegano decenni perdivenire produttive o andare apareggio, pare chiaro che lo Statodovrebbe garantire almeno ilpagamento degli interessi perqualche decennio sul capitaleinvestito dai privati tramite grosseoperazioni bancarie che in ognicaso non sarebbero promosse gra-tuitamente da parte del sistemabancario. Risulta chiaro che lo Stato prima diavere eventuali vantaggi dovrebbesborsare interessi cospicui vistol’ingente investimento necessarioed i tempi lunghi di ritorno.Altrettanto chiaro che gli interessipagati dallo Stato aumenterebberoil debito pubblico e quindi il pre-lievo fiscale sui contribuenti.

I comitati locali ed ecologisti repu-tano di dover supplire a quantonon viene fatto dalle instituzioni edai proponenti per contrastare leinformazioni inesatte o parzialifornite, la totale censura su alcuniargomenti e la pubblicità inganne-vole fatta a favore della TAV e dellaTorino Lyon a spese dei contri-buenti tutti.

Riguardo ai materiali nocivi è unostudio dell’Università di Siena,

Il Bilancio dello Stato Italiano nonavrebbe conseguenze negativedalla realizzazione dell’opera.Pagherebbero Europa, privati ebanche.Lo Stato avrebbe solo vantaggi dal-l’aumento degli scambi.Allo stesso modo i cittadini nonverrebbero coinvolti economica-mente a nessun titolo se nonvolontariamente partecipando alfinanziamento.

I comitati ambientalisti e gliAmministratori locali tendono aterrorizzare i cittadini sulla que-stione del rumore e dei materialinocivi estratti.In realtà non c’è alcun rischio,abbiamo già studiato attentamen-te la situazione.

commissionato da RFI a stabilireche la quantità minima di rocciaamiantifera estratta dalla“Gronda” sarebbe di 1.151.000metri cubi, allo studio sono allega-te analisi strumentali piuttostochiare sui materiali riscontrabilinell’area attraversata dalla trattaNazionale.

Allo stesso modo è stata l’Arpa diIvrea a stabilire che in un campio-ne di roccia dell’Ambin è contenu-to uranio 238 piuttosto pericolosoed affiorante in abbondanza nellostesso massiccio che sarebbe inte-ressato dai lavori della “Galleria diBase”, Tratta internazionale dellaTorino-Lyon.

Per quello che riguarda il rumoresono la stessa la quantità di barrie-re fonoassorbenti, oltre 16 km, e laloro dimensione, fino a 6 metri dialtezza, a far constatare la diffi-coltà di mitigare il rumore prodot-to dalla prima linea AV costruita inuna valle alpina nelle zone all’a-perto, tra le case dei cittadini. Unapposito studio sull’inquinamentoacustico evidenzia peraltro ilrischio che scuole ed edifici pub-blici con la realizzazione dellalinea debbano, almeno quelli, spo-stati ed allontanati dai binari

Diversi stimati professionistihanno evidenziato i rischi di carat-tere geologico, ambientale, idro-geologico, esondabilità della DoraRiparia, e ribadito la sismicità del-l’area.,

Lo studio della situazione da partedei proponenti appare perciòassolutamente insufficiente. SullaGronda pochissimi i sondaggi rea-lizzati, sulla tratta Internazionaleassolutamente insufficienti. L’ideache sembrano avere i proponenti èdel tipo: scaviamo e poi vediamo,nessuna autorizzazione può avervalore in questa situazione.

87Progresso: avanti tutta!...?

Era lunedì 22 giugno del 2005 quando alle sette del mattino laditta che aveva vinto l’appalto avrebbe dovuto entrare con i mac-chinari nel prato ed eseguire il primo sondaggio a Borgone.L’operazione garantita dalla polizia. Operai e forze dell’ordine sisono trovati di fronte centinaia di persone, compresi i sindaci conle fasce, ad impedirne il passaggio. Cinque giorni dopo la stessascena si ripeteva a Bruzolo, era di lunedì, e anche lì la partecipa-zione della gente è stata tale da impedire l’entrata sul sito. Il 29giugno venerdì è stata la volta di Venaus.

Nessuno avrebbe potuto immaginare la partecipazione popo-lare che ha permesso, da subito, la tenuta di tutti i tre presidi.All’inizio sui prati destinati ai sondaggi sono arrivate le sedia,qualche panca, un tavolino, poi un gazebo per proteggersi dalsole. Poi l’acqua con un tubo di gomma, poi un lavandino. Adessosui tre presidi, sono state costruite delle vere case, degli chalet ingrado di ospitare decine di persone per pranzi e cene, e nel casodi Venaus, in grado di essere ostello. Ci sono servizi igienici, estufe per riscaldare e superare l’inverno.

Il primo presidio di Venaus è stato distrutto dalla polizia lanotte del 5 dicembre, le forze dell’ordine sono intervenuti(modello Genova). Era l’8 dicembre, quando una manifestazione,spontanea, vedeva oltre trentamila persone salire a Venaus, orga-nizzarsi per scendere delle montagne e superare i posti di bloccofino a raggiungere il prato del presidio e Liberarlo.

Dal giorno dopo, a pochi metri di distanza, è stato ricostruito unnuovo presidio, ancora più grande, più bello. Il sindaco NiloDurbiano (in pieno inverno), ha concesso la licenza come chioscoper vendere angurie. Il presidio di Venaus è stato centrale per tuttigli eventi che sono poi successi nell’autunno e nell’inverno. Havisto oltre diecimila persone la sera del Capodanno 2005. Continuaad essere meta di visitatori, militanti, villeggianti, i quali arrivano efotografano, chiedono spiegazioni, cercano ragioni straordinarie(che continuano a non esistere) a questa lotta, questa resistenza,acquistano la bandiera notav, il giornale Sarà dura.

Questo movimento così radicato, che mette insieme associa-zioni di volontariato, Coldiretti, Agesci, sindaci, parroci e centrisociali, è nato poco alla volta, ha preso coscienza in quindici annidi lavoro costante. Un lavoro che ha visto all’inizio i tecnici, pro-fessori del Politecnico di Torino, mettere a disposizione gratuita-mente per la Comunità montana, i primi gruppi che si trovavano,il loro sapere in grado di decifrare progetti e bugie che venivanousate come propaganda per la bontà dell’opera. Negli anniNovanta nascono i primi comitati contro il Tav: Habitat, il comi-tato di lotta popolare. Da quando il progetto interessa anche la valSangone i comitati nati in ogni paese attualmente sono una set-tantina e compongono la variegata galassia del movimento. Lademocrazia è faticosa ma anche piacevole, sicuramente la qualitàdella vita dei valsusini è alta. Si discute, ci si confronta, si decideinsieme. Soprattutto si esce di casa, si lascia l’isolamento Tv e ci siincontra, il resto viene da solo.

86 Osservatorio sulla Cittadinanza

Per difendere i diritti della cittadinanza e dell’ambienteLa valle di Susa è una valle alpina densamente abitata nel cui

fondovalle, largo mediamente un kilometro e mezzo, scorre ilfiume che l’ha disegnata, una ferrovia e un’autostrada collegatealla Francia attraverso i rispettivi trafori del Frejus, due strade sta-tali a loro volta raccordate alla rete stradale francese da due vali-chi alpini, due centrali idroelettriche in caverna col relativo reti-colo di canali sotterranei di adduzione delle acque e altrettantielettrodotti collegati alla rete internazionale. Una valle che vuoleancora difendere la sua identità e non diventare un semplice cor-ridoio di passaggio.

Da alcuni anni, rappresentanti del movimento NOTAV vengo-no chiamati in molte parti d’Italia a raccontare l’esperienza dellavalle di Susa, quasi ci fosse una ricetta per tutti i mali, per tutti gliscempi che esistono sul territorio. Ovviamente non è così. Cisono parole che per un certo periodo scompaiono, vengono con-siderate desuete, poi all’improvviso tornano ad illuminare pen-sieri e azioni. Una di questi è “cittadini”. Dal giugno 2005 personedi ogni età, pensionati studenti, casalinghe e bambini, presidianosui tre campi interessati ai sondaggi Tav: Bruzolo, Borgone eVenaus. Che cosa ci fanno? Semplice, vivono la comunità, quellache è ancora possibile in piccoli paesi che si trovano in provincia.Stanno insieme, organizzano pranzi e cene, leggono i giornali,commentano le notizie. Sperimentano qualche cosa che ha a chefare con la politica, ma non quella tradizionale, anche la destra esinistra sono categorie lontane. È più facile viverla questa espe-rienza che raccontarla.

I presidi sono diventati veri luoghi di aggregazione, di crescitacollettiva, di conoscenza reciproca. Tutti gli eventi del quotidianocondivisi con una maturazione particolare, sapendo di essereprotagonisti e testimoni di qualche cosa che va oltre all’operastessa, al Tav, (che pure stravolgerebbe la valle). È un’analisi frut-to di un lavoro lungo, durato oltre quindici anni, un lavoro da cer-tosino che ha dato i suoi frutti.

Grandi opere

Un esempio di partecipazione

di CHIARA SASSO

88 Osservatorio sulla Cittadinanza

La valle di Susa è pesantemente segnata da bandiere notav atutti i balconi, le auto portano gli adesivi “Sara dura”, i bambinivanno a scuola con le cartelle “firmate” dagli adesivi notav, i cel-lulari hanno la suoneria che ripropone slogan e Saradura. Daqualche tempo è diventato qualcosa di più che una opposizionead una grande opera. È diventata una coscienza collettiva cheinveste i nostri modelli stili di vita. Ai presidi non si usa la plasti-ca, non si acquistano bottiglie di acqua che hanno alle spalle cen-tinaia di chilometri sui Tir. La valle di Susa non ha mai vissuto lasindrome Nimby.

Reggere per tanto tempo l’attenzione su di un problema,significa organizzarsi e mettere in campo tutte le idee possibili.Sono stati pubblicati dei libri, ci sono filmati, oltre alle magliettecappellini e gadget vari ci sono rappresentazioni teatrali. L’estate2006 è iniziata con una grande evento che ha visto artisti da tuttaItalia dipingere tele sui temi dell’ambiente. Uno striscione lungocinquecento metri. In luglio 2006 è partita la marcia Venaus -Roma a piedi e in treno, a Velocità d’uomo che ha permesso diincontrare molti comitati e associazioni lungo il tragitto. È nato ilPatto di solidarietà e mutuo soccorso, per superare i confini geo-grafici, la sindrome Nimby.

Chiara Sasso, vive e lavora a Bussoleno, in Val di Susa. È autrice di nume-rose opere di argomento sociale, fra cui: «Un passo oltre la soglia» (edDatanews Roma) «Dalla vigna al cuore del mondo» (ed Sonda Torino)«Canto per la nostra valle» (ed Morra) una testimonianza contro le gran-di opere (Tav) in valle di Susa. E «Una storia nella Storia e altre storie: donFrancesco Foglia sacerdote» (ed. Morra) una ricerca firmata con MassimoMolinero. È fra i fondatori del Valsusa Filmfest, festival cinematografico, eha firmato la regia di alcuni filmati.Attualmente è impegnata in Recosol, Rete dei Comuni Solidali per la coo-perazione decentrata (www.comunisolidali.org).

POLITICHE SOCIALIE DIRITTI

91Progresso: avanti tutta!...?

“La cittadinanza è una condizione sostanziale da raggiungere emantenere attraverso un percorso di impegno, di partecipazione,di responsabilità quotidiani.”.

Qualche riflessione dal mondo della scuola.

“Come sta la Scuola oggi in Italia?” La domanda rimanda al contesto, alla Società … “come sta la

Società oggi in Italia?”.Sembrano domande retoriche, ma è doveroso porsele. Vorrei ribadire l’importanza della consapevolezza che tutti gli

attori dello scenario scolastico (studenti, insegnanti, famiglie, cit-tadini e decisori ai vari livelli) condividono il fatto di essere collo-cati in un ambiente in cui vi è ristrettezza di spazi adeguati e libe-ri: la struttura urbanistica delle città, ma anche dei paesi, il pesan-te condizionamento televisivo e le forti spinte consumistiche edindividualistico-arrivistiche dell’organizzazione sociale e cultu-rale dominante, la mancanza di tempo e consuetudini, non favo-riscono relazioni interpersonali positive.

Inoltre lo scenario culturale di questo periodo storico è carat-terizzato da movimenti contraddittori rispetto alla promozione etutela dei diritti dei bambini e dei giovani: da un lato punte avan-zate di elaborazione e pratiche, dall’altro sfruttamento diretto edindiretto, violenza, distruzione di piccole vittime. Proprio unacerta diffusione di una più attenta cultura dell’infanzia (con ciòintendendo ciascun individuo fino a 18 anni) rende evidenti lezone d’ombra che ancora permangono.

Nonostante tante parole, la nostra cultura si caratterizza anco-ra per un forte adulcentrismo: gli adulti hanno difficoltà non tantoe non solo ad affermare una centralità dell’infanzia, quanto a met-tersi in contatto con ciò che questo significa, cioè con una crescitadella capacità di attenzione e risposta ai bisogni dei minori cherichiede una capacità di coinvolgimento a tutti i livelli:• capacità di rispetto ed elaborazione dei propri sentimenti edella propria vita emotiva,• rapporto con la propria storia e la propria infanzia,• consapevolezza delle dinamiche relazionali,• sviluppo congiunto di competenze emotive e relazionali e com-petenze tecnico-professionali.

90 Osservatorio sulla Cittadinanza

Introduzione

È possibile uno sviluppo che ponga al centro le persone? Sefosse attuato, come cambierebbe la realtà attuale?

È una questione di punti di vista. Se l’obiettivo dello sviluppo èla crescita economica del Paese, l’attenzione sarà rivolta all’au-mento del prodotto interno lordo, al raggiungimento degli equili-bri economici con l’Unione Europea e con il G8, alla partecipazio-ne nei rapporti commerciali con le nuove potenze che si affaccianosulla scena del mercato internazionale. Di conseguenza si decideràper una politica di Welfare a favore dell’efficienza, riducendo icosti della spesa pubblica, dimezzando gli organici, modificandol’organizzazione del lavoro, incrementando la tecnologia consistemi più avanzati e non solo.

Questo orientamento, secondo il quale le persone sono conside-rate al servizio dello sviluppo, ha dominato la scena del progressodalla rivoluzione industriale ad oggi, con la sottile differenza che neisecoli precedenti sono stati più espliciti sia il fine sia le modalità concui esso veniva raggiunto. L’obiettivo con cui si guarda lo sviluppo,genera, è evidente, delle conseguenze visibili nelle scelte politiche esociali di un Paese. A seconda dell’orientamento, vengono propostelinee di Welfare e leggi che regolano la vita sociale.

Una Nazione che individua come fattore di progresso il benes-sere sociale, per prima cosa, cerca di impostare una politica dellavoro che permetta una qualità dell’ esistenza migliore, modificaquelle leggi che favoriscono l’illegalità e la disuguaglianza nell’ac-cesso ai servizi e ai beni; cerca di fare tesoro di quello che è il benecomune, la ricchezza delle culture, nostre ed altre, valorizzandodiversità e favorendo piccole ma significative iniziative di svilup-po, sicuramente più eco-compatibili; e poi altro ancora.

Un Welfare orientato alla crescita del benessere delle persone enon solo a quella economica, porta ad azioni significativamenteumanizzanti.

Comprendere quale sia il punto di vista che oggi orienta le scel-te politiche e sociali dell’Italia e dell’Europa, nonché quelle mon-diali, è molto importante. Prendiamo come esempio la scuola o lasanità o il mondo del lavoro: quali contratti vengono stipulati?Quale tutela viene messa in atto per proteggere i soggetti che lavo-rano e quelli che utilizzano il servizio? Quali spazi, tempi e risorsevengono pensati e investiti in quei settori? Si propongono inter-venti sull’emergenza o sulla prospettiva di un progetto ampio ecomplesso che porta a migliorare lo “star bene” di tutti?

Aprire gli occhi su quelle che sono le incongruenze delle nostreNazioni, contestando l’idea che la prospettiva economica è l’unicapossibilità di sviluppo di un Paese, è un passo importante per pro-vare a immaginare, con altri, una proposta diversa.

Senza istruzionequale futuro?

di FILIPPO FURIOSO

93Progresso: avanti tutta!...?

una fase in cui l’identità e il mestiere dell’insegnante non sempresono accompagnati da un pensiero che si confronta continua-mente con le soggettività: (degli insegnanti e degli allievi), chepermette il recupero del protagonismo dei soggetti nella relazio-ne educativa, che si gioca nei processi di insegnamento/appren-dimento che caratterizzano la scuola. Senza la pretesa di raggiun-gere “verità assolute”, ma con un’intenzionalità che valorizza isoggetti-individui e che contempla scelte etiche, a partire dall’e-tica della responsabilità. Per questo è ora di mettere mano a stra-tegie di intervento per l’effettivo miglioramento della nostrascuola che incidano positivamente sulla pratica quotidiana.

Curare il contesto, con riferimenti precisiTutti ormai concordano sulla scarsa utilità dell’inserimento,

nei curricola scolastici, dell’ora di educazione alla convivenzademocratica. Ciò che maggiormente serve è una costante e cer-tosina cura dei diversi aspetti della quotidianità, dall’approcciolinguistico, alle competenze necessarie, dall’attenzione alla valo-rizzazione delle diverse capacità degli studenti, alla loro effettivapartecipazione alla vita della scuola.

Perché nella scuola oggi si può educare attraverso l’insegna-mento, se: - si considera come punto di partenza ogni soggetto in apprendi-

mento;- l’incontro fra diversi punti di vista non viene interpretato come

ostacolo, ma come risorsa;- si trovano linguaggi comuni che mettano in gioco dialogica-

mente noi stessi e l’altro, in un incontro che produce nuovasocialità;

- ci si indirizza ad una logica della moderazione, verso una scuo-la che offre strumenti per la conquista di prospettive di senso;

- l’ambiente scolastico diventa così luogo di ricomposizione dellaframmentarietà della società e fattore protettivo nello sviluppoevolutivo;

- si lavora insieme, in sintonia, in sinergia, con le altre agenzieeducative.

Perché ciò avvenga è necessario che:• La scuola si confronti e ricerchi modalità di indirizzo e coordi-

namento di una pluralità di interventi, con l’obiettivo di realiz-zare un sistema educativo allargato ed integrato a livello dellecomunità territoriali.

• L’impegno sia sempre più rivolto alla costruzione di supportiall’autonomia scolastica.

• Sia dato maggiore spazio alle iniziative degli studenti, realizzan-do una capillare applicazione dello Statuto degli studenti e dellestudentesse, nonché a quelle rivolte a rendere più efficienti leConsulte provinciali degli studenti; inoltre siano potenziate le

92 Osservatorio sulla Cittadinanza

Non possiamo dimenticare che negli anni passati la gestionedel precedente Governo, con il tentativo messo in atto di unariforma scolastica complessiva, ha reso palese una volontà di rot-tura con il passato. Credo si possa dire che la filosofia sottesa atutto l’impianto di quel tentativo di riforma, fosse quella dirafforzare l’aspetto di selezione sociale della scuola, mascheran-dolo da fatto naturale.

Proprio in questo ultimo anno scolastico ciascuno di noi si èdovuto confrontare con spiacevolissimi e gravissimi episodi chehanno coinvolto studenti di diverse età in situazioni differenti espesso lontane tra loro, ma che vedevano sempre alcune vittimeindifese attaccate proprio dai diversi personaggi che animavanoil loro contesto scolastico e di vita: compagni che quotidiana-mente condividevano con loro la vita scolastica o adulti che neerano i diretti responsabili.

Ha ragione Michele Serra quando scrive “…qualcosa è cam-biato, radicalmente cambiato… nella grande e strutturata societàdegli adulti. … Per dirla bruscamente, è saltato il meccanismoche regola il rapporto tra i diritti e i doveri. O meglio ancora tra idesideri e il loro limite1”?

E le sanzioni? Già, le sanzioni. Lo stesso mondo adulto inca-pace di impedire i fattacci, scopre talvolta un po’ di rigorismo: male sanzioni servono se inserite in un contesto con regole chiare,fatte rispettare sempre, possibilmente condivise. Ciò non signifi-ca giustificare gli aggressori né immaginare una scuola-societàpermissiva … solo porsi delle domande.

Infine, la dimensione scolastica è una postazione avanzata neirapporti interculturali: nella scuola, nelle classi, avvengono con-tatti intensi e continuativi tra culture diverse e dalle dinamicheche si sviluppano si possono cogliere i segnali più significativi inatto. Fatica ancora però ad affermarsi l’educazione interculturaleintesa come sfondo integratore dell’offerta formativa della scuo-la, come la costante educativa, come progetto intenzionale chetaglia trasversalmente tutte le discipline insegnate nella scuola eche si propone di modificare le percezioni e gli abiti cognitivi concui generalmente rappresentiamo sia gli stranieri, sia il nuovomondo delle interdipendenze.

Volutamente ho toccato solo alcuni aspetti macroscopici chemi portano ad una prima risposta che può sembrare paradossale:sembra un miracolo che alcuni milioni di bambini e ragazzi ognigiorno, per più di 200 giorni all’anno, continuino per un numeroconsiderevole di ore a stare-vivere-imparare a scuola. Questo mira-colo lo compiono gli studenti assieme a tutti gli adulti che nella (eper la) scuola operano. Proprio questa scuola italiana con tutti isuoi problemi, i suoi ritardi e le sue manchevolezze; proprio que-sta scuola che, come la società che la esprime, non sta molto bene.

È ora indispensabile provare insieme a superare la stagione incui anche nella scuola prevale una sorta di “disarmo pedagogico”;

1 La Repubblica, 19 novembre 2006

95Progresso: avanti tutta!...?

Lavoro e dirittiNel passare del tempo e con i grossi i cambiamenti succeduti-

si, è diventato sempre più complesso parlare di lavoro e dirittiperché sono aumentati gli elementi che giocano un ruolo fonda-mentale nella vasta discussione sull’argomento. I cambiamenti,avvenuti e in atto, sono così radicali che risulta necessario guar-dare “oltre la punta del proprio naso” per poter anche solo azzar-dare timide risposte, occorre confrontarsi con la storia e con leopportunità che il cambiamento ci pone, non possiamo vederesolo problemi, difficoltà e crisi ma imparare anche a cogliere lechance che si presentano sul nostro cammino.

Per questo motivo vorrei proporre un approccio che tieneconto dei quattro grossi cambiamenti che sono evidenti nel pas-saggio attuale delle nostre società, senza valutazioni di merito edanche senza lo scopo di aprire lunghe ed accademiche disquisi-zioni che lascio a persone più titolate di me, ma con il semplicescopo di osservare la realtà e, pur con tutte le difficoltà del caso,individuare possibili tracce di risposte concrete alle legittimedomande di cittadinanza.

Il primo elemento che caratterizza la nostra attualità non èsolo la flessibilità e la differenziazione ma anche - e forse prima -il nuovo rapporto tra imprese e mercato; il rapporto dei lavorato-ri - anche quelli dipendenti - con i consumi e di conseguenzacome questi determinano (?) il nuovo modo di essere delle impre-se. È una vera e propria modificazione del capitalismo.

Il secondo elemento fondamentale è quello demografico, sivive di più e ci sono meno giovani, si sta allargando la societàdella multietnicità ed i riflessi sulla composizione della forzalavoro per età e sesso, istruzione, cultura sono evidenti.

Terzo elemento è la globalizzazione - incompiuta - che starisultando diversa dalle aspettative ottimistiche che ne avevanoaccompagnato il comparire sugli scenari. Essa oggi pone questio-ni quali la diminuzione del ruolo delle istituzioni nazionali e ilbombardamento di informazioni - e di valori - che porta allo sgre-tolamento e (ri)costruzione di identità collettive secondo ambitidiversi da quelli con cui eravamo soliti rapportarci.

94 Osservatorio sulla Cittadinanza

sperimentazioni di percorsi di educazione fra pari e di appren-dimento cooperativo.

• Siano potenziati/qualificati gli spazi di ascolto e confronto coni ragazzi.

• Non siano dimenticati né sottovalutati gli spazi di interventoche nella scuola si possono realizzare contro la violenza nellerelazioni con i minori e fra minori: violenze, abusi e maltratta-menti sui minori possono essere più facilmente rilevati in unambiente in cui i bambini e i ragazzi passano un numero consi-stente di ore in attività e con adulti educatori, purché questiadulti siano minimamente preparati; così le violenze fra coeta-nei possono essere affrontate prima del cristallizzarsi di com-portamenti giudicati devianti.

• Sia ripreso il discorso sulle motivazioni ad apprendere, sullemetodologie e sul necessario coinvolgimento congiunto dei livel-li emotivo e cognitivo nei processi di apprendimento-insegna-mento.

• Siano reinventate forme di coinvolgimento della famiglia e favo-rita la sua partecipazione attiva e consapevole alla vita dellascuola. Anche attraverso momenti formativi congiunti.

• Si provi a proporre veri e propri patti educativi territoriali favo-rendo una lettura dei bisogni formativi di bambini e giovani cuirispondere con un’adeguata programmazione di interventi.

• Assuma maggiore incisività l’intervento per ridurre l’abbando-no-dispersione scolastica (perché ancora un grande problema èrappresentato, per dirla con Don Milani, dai ragazzi che la scuo-la perde!), per offrire seconde opportunità e permettere la for-mazione permanente e ricorrente.

• Vengano potenziati i progetti di prevenzione primaria cercandodi declinarli fin dalla loro elaborazione in termini di promozio-ne e di potenziamento di opzioni positive.

• Sia incrementata la ricerca di procedure e strumenti per realiz-zare la continuità educativa e didattica in dimensione orizzon-tale e verticale, tra le diverse scuole e fra esse e diverse espe-rienze e contesti formativi.

• Si offrano indirizzo e supporti sicuri, pur nel rispetto dell’auto-nomia di ciascuna scuola, a partire da un grande progetto diformazione del personale.

Su tutto questo, il dibattito deve essere aperto soprattutto alcontributo di realtà giovanili significative.

Filippo Furioso,dirigente scolastico di un Istituto Comprensivo di Torino. Hainsegnato per molti anni in aree “a rischio” della città, con esperienze diversein campo educativo istituzionale e non (progetto provinciale contro ladispersione scolastica, integrazione alunni disabili), di ricerca ed interventosui temi del maltrattamento e dell’abuso all’infanzia e sul bullismo-violenzaa scuola; come insegnante utilizzato è stato Referente provinciale perl’Educazione alla Salute e Responsabile del settore Educazione alla Legalitàed alla Convivenza democratica dell’ U.T.S. – Dip. Scienze Umane Sociali eUmanistiche. È stato, per tutti gli anni consentiti, Giudice Onorario presso ilTribunale per i Minorenni del Piemonte e Valle d’Aosta.

Il lavoroche rende poveri

di SERGIO MELIS

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di con le parti sociali del 1993, sono stati il “pacchetto Treu” e laLegge 30/2003 (Decreto attuativo 276/2003), sulla base di questemodificazioni la situazione è oggi così delineata.

I servizi per l’impiego Con l’obiettivo di migliorare le capacità di inserimento profes-

sionale dei disoccupati si è passati ad un sistema di collocamen-to non più solo pubblico ma misto, in cui al pubblico si affianca-no soggetti privati paritari provvisti dei requisiti (professionali,economici etc.) richiesti e autorizzati dallo Stato o accreditatidalle regioni.

I centri per l’impiegoIn tutte le regioni e in tutte le province, ogni 100.000 abitanti è

istituito un centro per l’impiego che è il soggetto, all’interno delsistema della riforma del collocamento, più vicino al territorio edeve curare per il suo bacino di riferimento la prestazioni di ser-vizi ai disoccupati.

I servizi privatiLa nuova legislazione ha istituito le agenzie per il lavoro con

l’obiettivo di rafforzare ed ampliare le possibilità per gli operato-ri privati e pubblici di fare collocamento. A fianco dei servizipubblici per l’impiego agiscono le agenzie per il lavoro. Questeultime per svolgere le funzioni di intermediazione di manodope-ra (collocamento), le funzioni di somministrazione, di selezione edi supporto alla ricollocazione del personale devono forniregaranzie economiche e professionali. Il servizio fornito alle per-sone in cerca di occupazione deve essere, a norma di legge, rigo-rosamente gratuito.

Tipologie contrattualiAlle classiche tipologie contrattuali - tempo determinato e

indeterminato - sono state affiancate (in alcuni casi si è trattato dirivisitazione o nuova regolamentazione) tipologie di nuovo conio- anche se già esistenti in altri Paesi - con l’intento di offrire nuovepossibilità ma soprattutto per far emergere l’esistente lavorosommerso e quello definito “nero”.

Somministrazione di lavoro Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto

mediante il quale una impresa (soggetto utilizzatore), si rivolgead un’impresa di somministrazione autorizzata per utilizzare leprestazioni di lavoro rese da lavoratori che sono assunti dall’im-

96 Osservatorio sulla Cittadinanza

Il quarto elemento è riferibile al forte impulso avuto dalla cul-tura liberista in seguito al crollo dell’esperienza socialista, questoaspetto ha avuto pesanti ricadute sul modello di cultura plurali-sta, sul ruolo giocato dai corpi intermedi della società civile sem-pre caratterizzati dal principio dell’autorganizzazione ed haavuto riflessi negativi sul principio della sussidiarietà tra partidella società.

Avendo chiari questi cambiamenti si possono leggere in mododiverso le necessità - e le difficoltà - di costruire nuove tutele perun tempo che ha nuovi profili occupazionali interessati dal temadella conciliabilità tra tempi di lavoro e tempi di cura, dal temadella povertà da lavoro (impensabile nell’era fordista), al tema deilavoratori - e gli espulsi dal mercato del lavoro - in età avanzata,al tema della precarietà, al tema della ormai esponenziale mobi-lità lavorativa.

Le nuove tutele oggi, come agli inizi storici del nascita delleorganizzazioni di sostegno mutualistico, devono crescere semprepiù fuori dall’ambiente di lavoro - inteso in senso letterale - perestendersi nel “mercato del lavoro”. Il discorso è ampio e toccaelementi fondanti della nostra concezione di tutela, chiama incausa le idee di contrattazione ed i modelli, s’intreccia condiscorsi quali le politiche sociali ed i servizi per il sostegno e lariqualificazione dell’occupazione e chiama in causa la necessitàdell’ammodernamento del sistema di formazione e dei serviziper l’impiego.

Oggi è sempre più individuale la partecipazione al mercatodel lavoro, ha come elementi portanti la qualità e le modalitàdella prestazione lavorativa, la flessibilità ed anche la precarietà,la professionalizzazione e l’aumento di modelli di lavoro autono-mo anche all’interno delle imprese. Esistono contemporanea-mente ed in modo evidente i problemi di esclusione, disegua-glianza, cattivi lavori tutti in un insieme che richiede, sempre ecomunque, risposte. Ci siamo girati un attimo ed il mercato dellavoro è cambiato, ma anche le richieste di lavoro sono diverse emirano - sempre di più - alla costruzione di una situazione checoniughi libertà e sicurezza, creatività e solidità, possibilità diesprimersi e soddisfazione economica, miglioramento professio-nale e prospettive di futuro. Il tema della libertà anche sul lavoroè una caratteristica importante della società post-industriale.

E con quest’ottica che il “Primo Mondo” ha cercato di rimo-dellare le sue strutture e le su proposte. L’Europa, per la sua sto-ria e tradizione ha tentato di corredare la sua impostazione conun adeguato sistema di Welfare per il XXI secolo. L’Italia ha ini-ziato negli anni novanta il percorso, è proceduta con stop and go,ha raggiunto qualche meta, a volte non è riuscita a raggiungere gliobiettivi prefissati, ha tentato cambiamenti, è tuttora in movi-mento ed ha necessità di accelerare il passo per non trovarsi mar-ginalizzata e per - soprattutto - fornire le giuste opportunità aisuoi cittadini.

Gli interventi nel settore, figli più o meno legittimi degli accor-

99Progresso: avanti tutta!...?

Il lavoro a tempo parziale (PART TIME)Per tempo parziale si intende l’orario di lavoro, fissato dal

contratto individuale, che risulti inferiore a quello a tempo pieno. Il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere:

• orizzontale: con una riduzione rispetto all’orario giornaliero; • verticale: con previsione di attività lavorativa in determinati

periodi della settimana, del mese o dell’anno;• misto: con una combinazione delle due modalità precedenti.

È fatto divieto di fornire al lavoratore a tempo parziale un trat-tamento economico e normativo meno favorevole rispetto allavoratore di pari livello full time, ma solo ridotto proporzional-mente alla prestazione svolta.

I contratti collettivi stabiliscono: • condizioni e modalità per modificare la collocazione temporale

della prestazione lavorativa; • condizioni e modalità per variare in aumento la durata della

prestazione lavorativa; • limiti massimi di variabilità in aumento della durata della pre-

stazione lavorativa.

Il contratto di inserimento È diretto all’inserimento o il reinserimento nel mercato del

lavoro di alcuni soggetti deboli, viene realizzato con un progettoindividuale di adattamento delle competenze professionali dellavoratore a un determinato contesto lavorativo.

Il datore di lavoro deve definire un piano individuale di inseri-mento secondo regole definite. La durata può essere tra 9 a 18mesi comprensiva di eventuale proroga. Per i lavoratori disabili sipuò arrivare fino a 36 mesi.

È ammesso per le seguenti categorie di lavoratori: • giovani tra 18 e 29 anni; • disoccupati di lunga durata da 29 a 32 anni; • disoccupati con più di 50 anni; • lavoratori inattivi da almeno 2 anni; • donne residenti in aree con problemi di occupazione femminile; • persone affette da grave handicap fisico, mentale o psichico.

Il lavoro intermittenteIl contratto di lavoro intermittente prevede che un lavoratore

si ponga a disposizione di un datore di lavoro che ne può utiliz-zare la prestazione lavorativa su chiamata.

Il contratto di lavoro intermittente è ammesso per esigenzeindividuate dai contratti collettivi.

Il lavoratore intermittente deve ricevere, per i periodi lavorati,un trattamento economico e normativo complessivamente noninferiore rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansionisvolte.

98 Osservatorio sulla Cittadinanza

presa di somministrazione ma che, per tutta la durata della som-ministrazione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto ladirezione ed il controllo dell’impresa utilizzatrice. Il lavoratoredipende dall’impresa di somministrazione e da questa vieneretribuito, ma svolge il suo lavoro presso altre aziende che hannobisogno di prestazioni professionali per periodi di tempo più omeno limitati.

La somministrazione di lavoro a tempo determinato (il vec-chio lavoro interinale) è utilizzabile per motivi di carattere tec-nico, produttivo, organizzativo o per sostituzioni. La sommini-strazione di lavoro può essere a tempo determinato o indeter-minato.

L’apprendistato La normativa relativa all’apprendistato viene completamente

ridisegnata dalla legge n. 30 e dal relativo decreto delegato, e dun-que le nuove disposizioni sostituiscono integralmente le prece-denti.

Con il contratto di apprendistato il lavoratore è impegnato peruna parte dell’orario in attività formative che il datore di lavoroha l’obbligo di fare impartire. Per incentivare tale contratto è dasempre possibile - e quindi praticato - sia l’inquadramento retri-butivo ridotto che l’esonero contributivo per i datori di lavoro.

È obbligatoria la forma scritta del contratto contenente, tral’altro, il piano formativo individuale e la qualifica da acquisire.

Modifica e introduzione di rapporti di lavoro flessibiliL’altro grande tema affrontato dalla riforma del mercato del

lavoro è la modifica e l’introduzione di rapporti di lavoro flessibili.Viene modificata in parte la normativa relativa al lavoro a

tempo parziale, viene riscritta la normativa sull’apprendistato,il vecchio contratto di formazione e lavoro scompare, sostituitodal contratto di inserimento, vengono introdotti il lavoro inter-mittente e il lavoro accessorio, quest’ultimo al fine di assorbirealmeno parte di alcune attività svolte in nero presso famiglie edenti senza fine di lucro (ad esempio le ripetizioni), vengono infi-ne ristrette le possibilità di utilizzo della collaborazione coordi-nata e continuativa, tramite il suo assorbimento nel lavoro aprogetto.

Inoltre il decreto attuativo della legge 30 introduce una nor-mativa di tipo legislativo per il lavoro ripartito, già regolamentatoda una circolare del ministero del lavoro del 1998.

Non viene modificata la regolamentazione generale dei rap-porti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, né la norma-tiva generale sui contratti a termine riscritta nel 2001.

101Progresso: avanti tutta!...?

pensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavo-ro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.

Si introduce il diritto alla sospensione del rapporto nei casi digravidanza, malattia e infortunio del collaboratore a progetto. Inquesti casi dunque il contratto non si può estinguere, ma essorimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. In caso dimalattia e infortunio, salva diversa previsione del contratto indi-viduale, la sospensione del rapporto non comporta una prorogadella durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il com-mittente può comunque recedere dal contratto se la sospensionesi protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabi-lita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiorea trenta giorni per i contratti di durata determinabile. In caso digravidanza, la durata del rapporto è invece automaticamenteprorogata per un periodo di 180 giorni, salva più favorevoledisposizione prevista dal contratto individuale.

Il lavoro ripartito Il contratto di lavoro ripartito è un contratto mediante il quale

due lavoratori sono obbligati in solido per una unica prestazionelavorativa.

Salve diverse intese tra le parti o previsioni dei contratti col-lettivi, i lavoratori possono determinare sostituzioni tra di loro emodificare la distribuzione dell’orario lavorativo. Sostituzioni daparte di terzi sono ammesse solo con il previo consenso del dato-re di lavoro.

La regolamentazione del rapporto di lavoro, salvo quantoesplicitamente previsto, è affidata alla contrattazione collettiva.In mancanza di contratti collettivi, si applica la normativa gene-rale del lavoro subordinato.

In base al principio di non discriminazione il lavoratore nonpuò ricevere un trattamento economico e normativo meno favo-revole rispetto al lavoratore di pari livello, ovviamente ripropor-zionato in ragione della prestazione effettivamente svolta.

FormazioneBisogna qui parlare di Istruzione e formazione, tutti sappiamo

che il sistema italiano ha vissuto stagioni alterne e diverse, in sin-tesi diciamo che le uniche vere riforme si sono fermate alla scuo-la dell’infanzia e primaria. Il resto dell’impianto è di giolittianamemoria. Per quanto concerne l’Università, l’introduzione dellalaurea triennale non ha sortito gli effetti auspicati e non è ancorastata operata una valutazione circa la qualità del percorso.

Formazione professionaleIn questo settore le situazioni sono variegate, essendo un

sistema regionale possiamo avere punte di eccellenza ma anche

100 Osservatorio sulla Cittadinanza

Il contratto di lavoro intermittente si può stipulare per leseguenti condizioni:• svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo o intermit-

tente secondo quanto previsto dai Ccnl;• per periodo predeterminati nell’arco della settimana, mese, o

anno;• in via sperimentale con soggetti in stato di disoccupazione con

meno di 25 anni o lavoratori con più di 45 anni espulsi dal cicloproduttivo, o iscritti nelle liste di mobilità e di collocamento.

Il lavoro accessorio Il lavoro accessorio può essere utilizzato esclusivamente da

famiglie ed enti senza fini di lucro, per attività di natura occasio-nale. Ambiti di utilizzo: • piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa la

assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane,ammalate o con handicap;

• insegnamento privato supplementare; • piccoli lavori di giardinaggio, di pulizia e manutenzione di edi-

fici e monumenti; • realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o cari-

tatevoli; • collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato

per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti acalamità o eventi naturali improvvisi, o di solidarietà.

Non devono superare la durata complessiva di trenta giorninel corso dell’anno solare e non possono fornire compensi supe-riori a 3 mila Euro nel corso di un anno solare.

Il pagamento del compenso e della contribuzione previden-ziale avviene tramite l’acquisto di buoni pre-pagati.

Possono essere impegnati nel lavoro accessorio soltanto iseguenti soggetti considerati a rischio di esclusione sociale: • disoccupati da oltre un anno; • casalinghe, studenti e pensionati; • disabili e soggetti in comunità di recupero; • lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia,

nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro.

Il lavoro a progetto Secondo la nuova regolamentazione i rapporti di collabora-

zione coordinata e continuativa devono essere “riconducibili auno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di essodeterminati dal committente e gestiti autonomamente dal colla-boratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamen-to con la organizzazione del committente e indipendentementedal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”.

Il compenso corrisposto deve essere proporzionato alla quan-tità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei com-

103Progresso: avanti tutta!...?

Il diritto alla saluteDal testo della Costituzione della Repubblica italiana:

Art. 32.La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto del-

l’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuiteagli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamentosanitario se non per disposizione di legge. La legge non può innessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della personaumana.

Questo è scritto nella Costituzione della nostra Repubblica:ma che cosa si intende per “salute”?

La definizione più attuale e condivisa è quella datadell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1948: lasalute è lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale enon semplicemente assenza di malattia o infermità.

La salute quindi non è un bene che si perde o si conquista in unmomento ma è il risultato di un percorso, a volte lungo, influenza-to da molti fattori, i cosiddetti “determinanti” che vanno studiati emonitorati, sui quali bisogna creare informazione e su cui la poli-tica deve agire per modificarli.

I determinanti della salute individuati dall’OMS sono suddivi-si in:• individuali (patrimonio genetico, sesso, età);• socio-economici (povertà, occupazione, esclusione, ambiente

sociale e culturale);• ambientali (aria, acqua e alimenti, luogo di vita/abitazione e di

lavoro);• stile di vita (alimentazione, attività fisica, fumo, consumo di

alcol e droghe, attività sessuale);• accesso ai servizi (sistema scolastico, servizio sociale, servizio

sanitario, trasporti, attività ricreative).

102 Osservatorio sulla Cittadinanza

assenza totale. Si impone un cambiamento che porti il sistema amantenere le giuste diversificazioni correlate alle specificità dirichieste lavorative locali ma che mantenga parametri di qualitàcomuni e permetta la spendibilità del titolo sul livello nazionalee, è il caso di dirlo, Europeo.

Formazione permanente e continuaNon possiamo ancora parlare di sistema perché esistono

esperienze diverse e non correlate tra loro. Occorre, oltre allariflessione teorica, mettere in rete esperienze già esistenti diUniversità ed Enti di Ricerca, Scuole Superiori e loro emanazioni(CTP ed EDA), Enti ed Agenzie formative accreditate dalle ammi-nistrazioni regionali, Società di consulenza e formazione nonaccreditate, Imprese formatrici. Occorre poi individuare stan-dard, certificazioni e soprattutto costruire percorsi, anche parzia-li, per rispondere alle esigenze attuali.

Oggi occorre pensare a rafforzare la formazione attraversol’acquisizione di successive competenze, individuabili attraversocrediti, perché l’evoluzione la continua trasformazione del lavoronon richiede solo la competenza del geometra, l’ingegnere, lasegretaria ma occorre avere doti di gestione, di comprensionedella novità e poi capacità tecniche, informatiche specifiche ecc.Occorre una duttilità e una continua capacità di essere al passocon un mondo sempre più rapido.

Sergio Melis, è segretario generale della CISL del Canavese in Piemonte.Insegnante, dopo aver trascorso 15 anni nel settore CISL Scuola, è passatoalla confederazione per occuparsi di mercato del lavoro e sistemi territo-riali.

Il mercatodella salute

di MAURO VALLE

105Progresso: avanti tutta!...?

svantaggi a carico delle regioni del meridione e delle posizionisociali più svantaggiate.

I risultati relativi alle diseguaglianze sociali nella salute e, inparticolare, quelli relativi alle peggiori condizioni di salute delleregioni meridionali e a come gli effetti negativi sulla salute di unabassa posizione sociale siano più forti al sud che nel resto delpaese, chiamano in causa tutti i fattori che influenzano la distri-buzione dei determinanti dello svantaggio sociale (produzione edistribuzione di ricchezza, occupazione femminile, istruzione,legalità), e le politiche che si preoccupano di moderare gli effettisfavorevoli sulla qualità della vita e sulla salute dello svantaggio(in particolare i servizi di sostegno alle persone e alle famiglie, iservizi sanitari, la rigenerazione urbana, ecc).

Le differenze sociali nella salute degli anziani indicano che,nella prospettiva demografica di rapido invecchiamento dellapopolazione, occorre che le politiche si concentrino a contrasta-re i meccanismi di transizione da pre-disabilità a disabilità, cheagirebbero con particolare virulenza sui gruppi più svantaggiati.Analogamente, la popolazione lavorativa che invecchia nondimostra la stessa probabilità di mantenere un livello adeguato dicapacità lavorativa, con le professioni manuali più colpite e conle politiche di sviluppo della tecnologia, di ergonomia dei posti dilavoro e di revisione dell’organizzazione del lavoro che stentanoad adeguarsi a queste nuove evidenze.

Questi differenziali sono poi ereditati nella transizione al pen-sionamento con svantaggi nella speranza di salute, che possononon essere adeguatamente compensati da riforme previdenzialiche trattano tutte le carriere lavorative allo stesso modo, sia perl’età pensionabile, sia per il trattamento pensionistico: quando siparla di incremento dell’età pensionabile bisogna necessaria-mente riflettere su questo dato.

I minori continuano a rappresentare il gruppo più vulnerabileper gli effetti precoci degli svantaggi sociali sulla salute e sugli stilidi vita. I comportamenti dannosi per la salute appaiono solomoderatamente sensibili alle politiche di informazione e di edu-cazione sanitaria, che comunque dovrebbero essere mirate aigruppi di popolazione più svantaggiati e del meridione, gruppi incui tali abitudini mostrano una particolare tendenza a concen-trarsi.

Un’assistenza sanitaria organizzata in modo gratuito e univer-salistico non sembra sufficiente a garantire un equo accesso acure tempestive, appropriate ed efficaci, se non è espressamenteorientata a porre attenzione particolare alle persone e ai gruppisocialmente più vulnerabili, attraverso formule di medicina d’ini-ziativa e di prossimità per i soggetti più difficili da assistere.

Il progetto “Guadagnare Salute “realizzato dal Ministero dellaSalute così come i progetti di prevenzione allestiti dalle Regioniper attivare comportamenti più salutari da parte degli Italiani e

104 Osservatorio sulla Cittadinanza

Come si vede la “sanità” è solo uno tra i tanti determinanti eneanche il più importante che contribuisce a definire lo stato disalute e quindi di benessere dell’individuo, sebbene la prevenzio-ne, la diagnosi tempestiva di malattia, l’accesso alle cure e ai per-corsi riabilitativi facciano guadagnare salute al singolo cittadino.

Del resto è poco utile ad esempio avere degli ottimi sistemiaccessibili a tutti per la diagnosi e cura del tumore del polmone,se non si modifica lo stile di vita (abolizione del fumo).

Ma tuttavia non è sufficiente leggere la malattia, qualunquemalattia, come l’effetto di un solo elemento di rischio (il fumo):esse è l’intreccio fra più determinanti che creano una rete di cau-salità con un impatto significativo sulla salute.

Non esiste una persona che fuma e basta: una donna chefuma da vent’anni, ma ha un’istruzione elevata, un lavoro gratifi-cante, vive in collina, si alimenta bene, fa sport, ha una vita direlazione vivace, probabilmente ha meno rischi di ammalarsi, o liallontana nel tempo, rispetto a una donna con basso livello diistruzione e scarse risorse economiche che fuma da dieci anni,vive in una zona urbana ad alto tasso di inquinamento, e si trovaad allevare un figlio da sola, con un lavoro precario, un’alimenta-zione squilibrata e rapporti parentali difficili.

Negli ultimi anni le diseguaglianze sociali nella salute nelnostro paese sono diventate un tema importante nella sanitàpubblica, i principali indicatori ricavabili dall’indagine specialesulla salute condotta dall’ISTAT (Istituto Superiore di Statistica)dimostrano che l’Italia è attraversata da profonde differenze intutte le dimensioni di salute osservate: salute soggettiva, salutefisica, salute mentale, morbosità cronica, disabilità. Le differenzepiù intense si osservano per la disabilità e per la salute soggetti-va, segue la morbosità cronica con differenze di minore intensità,quasi che si sommino gli effetti di due meccanismi di generazio-ne delle disuguaglianze: un primo, che si esplica attraverso unadiversa probabilità d’insorgenza del problema di salute, e unsecondo, che si riferisce a una diversa probabilità di soffrire delleconseguenze sfavorevoli di questi problemi, in termini di salutepercepita e di capacità funzionali.

Tali differenze sono sia geografiche, a sfavore soprattutto delleregioni del meridione, sia socio-demografiche, a sfavore delleposizioni sociali più svantaggiate, in particolare i meno istruiti, imeno abbienti, e i più poveri di risorse di rete familiare.

A questo profilo di salute corrisponde un profilo degli stili divita per nulla incoraggiante. Se la distribuzione degli stili di vitapredice, infatti, la distribuzione della salute futura, l’indaginesulla salute del 2000 evidenzia una serie di criticità, riguardantitutti gli stili di vita più pericolosi per la salute (sovrappeso, obe-sità, sedentarietà, cattiva alimentazione, dipendenza da alcool efumo), che vanno tutte nel segno di un approfondimento degli

107Progresso: avanti tutta!...?

“federalismo”, con il rischio fondato di avere 20 sistemi sanitaridifferenti nel paese nonché dalla limitatezza delle risorse finan-ziarie che sostengono il Servizio Sanitario.

BibliografiaCosta G, Spadea T, Cardano M (a cura di). Diseguaglianze di salute inItalia. Epidemiol Prev 2004; 28 suppl (3);Costa G, Spadea T, Relazione sullo stato sanitario del Paese 2003-2004,Ministero della salute, 2005,Costa G., Gnavi R., Misure e problemi per la salute e la sanità, RegionePiemonte, maggio 2006,Assessorato per le Politiche che per la Salute, Il Servizio SanitarioRegionale dell’Emilia Romagna, Regione Emilia Romagna, settembre2006,ISTAT, Indagine Speciale sulla Salute, 2005Ministero della Salute, Annuario Statistico del Servizio SanitarioNazionale, 2005,Ministero della Salute, Sistema Informativo del Servizio SanitarioNazionale, luglio 2007,Ministero della Salute, Progetto “Guadagnare Salute”, 2006,Città di Torino, “La salute a Torino… verso un profilo di salute”, gennaio2006,Cittadinanzattiva, Rapporto sulle politiche della cronicità, giugno 2007.

Mauro Valle, Medico, Coordinatore IV Commissione (Sanità & Assistenza),IV Circoscrizione della Città di Torino.

106 Osservatorio sulla Cittadinanza

che si articolano con programmi specifici sui comportamentisalutari alimentari, la lotta al tabagismo, la lotta all’abuso di alcoled a promuovere l’attività fisica, responsabilizzando individual-mente i singoli cittadini, hanno il limite di intervenire solo su unodei determinanti della salute (gli stili di vita), non interessandosidi tutti gli altri.

Analizzando alcuni problemi specifici di salute, si può osser-vare attraverso gli indici di mortalità come alcuni elementi socia-li siano direttamente chiamati in causa nel determinarla.

Nel documento “La salute a Torino…verso un profilo di salu-te” della Città di Torino, gennaio 2006, viene rilevato come i sog-getti maschi con bassi livelli di istruzione, operai o disoccupati,che vivano in situazione di monogenitorialità e/o in abitazionedisagiata, abbiano avuto un rischio relativo (RR) di mortalità tra il1997 ed il 2003 più elevato rispetto ad altre situazioni.

La ricerca individua come la causa principale di mortalità trai giovani siano gli eventi traumatici (incidenti stradali e sul lavo-ro), mentre nelle età successive si osserva un incremento dellamortalità legato ai tumori e poi alle malattie del sistema circola-torio.

Prevenire tra i giovani gli eventi traumatici (incidenti stradaliper lo più) è quindi una necessità reale e non dovuta ad eccessiallarmistici legati a fatti di cronaca riportati dai media.

L’incremento della età media della popolazione con indicedi vecchiaia nel 2005 pari 140,4 e con percentuale di popola-zione ultra 65 di 19,8% rispetto alla popolazione generale,determina l’accumulo di problemi di salute legati alle malattiecroniche che interessano l’80,7 della popolazione anziana (fonteCittadinanzattiva): non sempre vivere di più significa viveremeglio.

Migliorare i contesti di vita e di lavoro, il livello di istruzione,le condizioni di vita e le reti di welfare sono le grandi sfide chedeve affrontare la politica.

A queste deve affiancarsi ovviamente l’impegno di ognuno dinoi nell’avere stili di vita salutari, in particolare per ciò che con-cerne l’alimentazione, l’abolizione del fumo e l’abuso di alcol e losvolgimento di attività fisica.

I sistemi sanitari devono garantire l’equità, cioè le stesseopportunità di accesso al servizio da parte dei cittadini.

Ciò si deve tradurre in capillari e mirati progetti di prevenzio-ne, in una riduzione dei tempi di attesa per prestazioni sanitarie(visite specialistiche e prestazioni diagnostiche), ma anche l’abo-lizione dei ticket che allontano il cittadino dal sistema sanitariouniversalistico concepito dal dettato costituzionale.

La sfide quindi sono ardue e la vittoria non è sicura, essendocondizionata anche dalle modifiche del titolo V dellaCostituzione che realizzano, seppur parzialmente il cosiddetto

109Progresso: avanti tutta!...?

diventa sintomo di Fobia Sociale e la tensione premestruale unamalattia mentale chiamata Sindrome Pre-Mestruale. Le piùcomuni difficoltà sessuali viste come disfunzioni sessuali, il natu-rale cambiamento dell’organismo è una malattia da deficienzaormonale chiamata menopausa, mentre gli impiegati distrattiadesso sono affetti da una forma acuta del Disturbo da Deficit diAttenzione.

Il semplice fatto di essere “a rischio” di una patologia è diven-tato esso stesso una “malattia”, per cui donne di mezza età saneoggi soffrono di un male latente alle ossa chiamato osteoporosi euomini in piena forma hanno un disturbo cronico chiamato cole-sterolo alto.

Nel caso di molti problemi di salute, ci sono persone all’estre-mità dello spettro che sono realmente affette da una malattia o adalto rischio di contrarla, le quali possono trarre grande beneficioda una definizione medica o da una cura farmaceutica potente.Tuttavia per la gente relativamente sana distribuita nel resto dellospettro, una definizione e un farmaco possono portare notevoledisagio, costi enormi e il pericolo molto concreto di effetti colla-terali a volte mortali. Questo ampio territorio è diventato il nuovovastissimo mercato dei potenziali pazienti - decine di milioni dipersone – e un obiettivo chiaro dei budget promozionali multimiliardari stanziati dall’industria farmaceutica.

Il fulcro di queste vendite è costituito ovviamente dagli StatiUniti, patria di molte delle maggiori società farmaceutiche mon-diali e scenario di gran parte dell’azione descritta in questo libro.Pur contando meno del 5% della popolazione mondiale, gli USAricoprono già il 50% del mercato globale per i farmaci con l’obbli-go di ricetta medica. Eppure la spesa negli USA continua a cre-scere più rapidamente che altrove, e in soli sei anni è salita quasidel 100%, non solo per i notevoli aumenti dei prezzi dei farmaci,ma anche perché i medici ne prescrivono in numero sempremaggiore.

Le ricette mediche per le categorie di farmaci più pubblicizza-te, quali i medicinali per il cuore o gli antidepressivi, sono aumen-tate negli USA, e la somma spesa per questi farmaci è raddoppia-ta in meno di cinque anni. Anche in molti altri paesi la tendenzaè al rialzo. I giovani australiani nel 2000, hanno assunto dieci voltepiù antidepressivi rispetto al 1990, e in un arco di tempo simile, inCanada il consumo di nuovi farmaci per abbassare il colesteroloha compiuto un balzo stupefacente del 300%. Molte di quelle pre-scrizioni hanno migliorato o allungato delle esistenze, ma si hasempre l’impressione che troppe ricette mediche siano dettatepiù dagli influssi malsani di strategie promozionali fuorvianti cheda una autentica necessità. E quelle strategie promozionali, comele case farmaceutiche, oggi sono in tutto e per tutto globali.

Con l’attività che svolge nel suo ufficio nel cuore di Manhattana New York, Vince Parry rappresenta l’avanguardia di tale marke-ting mondiale. Parry è un esperto di pubblicità che ora si sta spe-cializzando nella formula più sofisticata di medicinali collabora

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Farmaci che ammalano*Trent’anni fa il capo di una delle più famose case farmaceuti-

che al mondo rilasciò alcune dichiarazioni estremamente fran-che. Ormai prossimo al pensionamento Henry Gadsden, energi-co direttore generale della Merck, confessò alla rivista Fortuneche per lui il fatto che il potenziale mercato della società fosselimitato alla gente malata era sempre stato un cruccio. Gadsdenavrebbe voluto che la Merck assomigliasse di più alla Wrigley’s, lafabbrica di gomme da masticare, e da tempo il suo sogno era pro-durre farmaci per gente sana. Perché in tal caso la Merck avrebbepotuto “vendere a tutti”. A distanza di tre decenni, il sogno deldefunto Henry Gadsden si è avverato.

Le strategie di marketing delle maggiori case farmaceutichemondiali oggi prendono massicciamente di mira le persone inperfetta salute. Gli alti e bassi della vita quotidiana sono diventa-ti disturbi mentali, indisposizioni comuni vengono trasformatein malattie spaventose, e sempre più persone normali vengonofatte figurare come pazienti.

Con campagne promozionali che sfruttano le nostre più ata-viche paure della morte, del decadimento e della malattia, l’indu-stria farmaceutica, che vanta un fatturato di 500 miliardi di dolla-ri, sta letteralmente cambiando il modo di intendere la condizio-ne umana. Giustamente ricompensati per salvare vite e ridurre lesofferenze, giganti della farmaceutica mondiale, tuttavia, non siaccontentano più di vendere medicinali solo ai malati. Perché,come Wall Street sa molto bene, si èpuò fare un sacco di soldidicendo alla gente sana che è malata.

In un’epoca in cui molti di noi conducono esistenze più lun-ghe, più sane e più attive rispetto ai nostri antenati, una pubbli-cità a tappeto e abili campagne “di sensibilizzazione” stanno tra-sformando i sani preoccupati in malati preoccupati. Problemilievi vengono dipinti come patologie gravi, per cui la timidezza

Venderemalattie

di DI RAY MOYNIHAN E ALAN CASSELS

* Tratto da “Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasfor-mano in pazienti” – Ray Moynihan, Alan Cassels – Nuovi Mondi Media

111Progresso: avanti tutta!...?

zioni per la tutela dei pazienti, politici e redattori di riviste medi-che si stanno muovendo per cercare di far recedere l’influenza diquesta industria sulla ricerca scientifica e sulle prescrizioni deimedici. È arrivato il momento di capire in che modo tale influen-za oggi si estenda fino alle stesse definioni delle malattie.

I dirigenti del marketing non si siedono materialmente a tavo-lino a scrivere le direttive su come diagnosticare una malattia, masempre più sovvenzionano coloro che lo fanno. Ormai è diventa-to abituale che l’industria farmaceutica sponsorizzi convegnimedici di cruciale importanza in cui si discutono e si aggiornanole definizioni delle malattie. In alcuni casi, come vedremo, gliespertidel settore medico che redigono le direttive al tempo stes-so prendono soldi dai produttori dei farmaci che hanno la possi-bilità da fare miliardi a seconda di come vengono redatte quellestesse direttive. […]

Riguardo a molte patologie c’è grande incertezza su dove sidebba tracciare la linea che separa i sani dai malati. I confini tra“normale” e “anormale” spesso sono estremamente flessibili,possono differire enormemente da paese a paese, e possonocambiare nel corso del tempo. È evidente che più si ampliano iconfini che definiscono una malattia, più si espande il bacino dipotenziali pazienti e con esso anche i mercati di coloro che pro-ducono farmaci. […]

Le strategie promozionali utilizzate per vendere le malattiesono tante, ma il fattore che le accomuna è la promozione dellapaura. La paura dell’infarto è stata sfruttata per vendere alledonne l’idea che la menopausa sia una malattia per la quale ènecessaria una terapia ormonale sostitutiva. La paura del suicidiotra i giovani viene usata per vendere ai genitori l’idea che persinouna lieve depressione debba venire curata con farmaci potenti.La paura di una morte prematura viene utilizzata per vendere ilcolesterolo alto come un qualcosa che richieda automaticamen-te la prescrizione di farmaci. Eppure, per ironia della sorte, a voltele medicine tanto pubblicizzate causano proprio il male chedovrebbero prevenire.

Una ormonoterapia prolungata accresce il rischio di infartinelle donne, mentre sembra che gli antidepressivi aumentino leprobabilità di pensieri suicidi nei giovani. Almeno uno dei piùvenduti farmaci anticolesterolo è stato ritirato dal mercato per-chè aveva contribuito a causare dei decessi. In uno dei casi piùorribili, un medicinale venduto come in grado di aiutare a risol-vere dei banali problemi intestinali in alcune persone ha indottocostipazioni così gravi da causarne la morte. […]

L’industria farmaceutica e i suoi fautori difendono le loro cam-pagne promozionali sostenendo che aiutano a fare chiarezza sumalattie fraintese e forniscono informazioni qualificate sui medici-nali più nuovi […] sono un servizio prezioso, secondo i suoi criticistanno ponendo la malattia al centro della vita umana. […]

110 Osservatorio sulla Cittadinanza

con società farmaceutiche per contribuire a creare nuove malat-tie. In un sorprendente articolo intitolato “The art of branding acontition” (L’arte di fabbricare una malattia), Parry ha rivelato direcente in quali modi le società farmaceutiche “stimolano la crea-zione” di patologie mediche. A volte si dedica attenzione a unamalattia poco conosciuta, altre volte si danno un nuovo nome euna nuova definizione a un disturbo vecchio, altre ancora vienecreata una sindrome totalmente nuova. Tra i preferiti di Parry visono la disfunzione erettile, il disturbo da deficit di attenzionenegli adulti e la sindrome premestruale: una malattia così con-troversa che secondo alcuni ricercatori non esiste nemmeno.

Con rara franchezza, Parry ha spiegato come le case farma-ceutiche oggi assumono la guida non solo nel promuovere le loropillole campioni di incassi come il Prozac e il Viagra, ma anchenel promuovere i disturbi che creano il mercato di tali pillole.

Sotto la direzione dei venditori di farmaci, i guru di MadisonAvenue come Parry collaborano con esperti del campo medico per“creare nuove idee su disturbi e malattie”. Il fine, dice è di offrire aiclienti delle case farmaceutiche in tutto il mondo “un nuovo mododi pensare alle cose”. L’obiettivo, sempre, è quello di creare il colle-gamento tra la malattia e la propria medicina, allo scopo di massi-mizzare le vendite. L’idea che le case farmaceutiche contribuisca-no a creare nuove malattie può sembrare strana a molti di noi, maè anche troppo familiare per chi è dentro a tale industria.

Un recente resoconto del Reuters Business Insight, concepitoper i dirigenti delle case farmaceutiche, afferma che la capacità di“creare nuovi mercati per le malattie” sta fruttando innumerevolimiliardi grazie al notevole incremento nelle vendite dei farmaci.Una delle principali strategie di vendita, dice il resoconto, è cam-biare il modo in cui la gente pensa ai propri mali consueti, tra-sformando “processi naturali” in patologie mediche. Le personedevono poter venire “persuase” che “problemi che prima magariaccettavano come semplice inconveniente” – come la calvizie, lerughe e le difficoltà sessuali – ora sono considerati “degni di unintervento a livello medico. […]“Gli anni futuri assisteranno inmisura crescente alla creazione di malattie sponsorizzata dallecase farmaceutiche” 1

La malsana influenza dell’industria farmaceutica è diventatauno scandalo mondiale. Tale influenza sta sostanzialmente stra-volgendo la scienza medica, corrompendo il modo in cui vienepraticata la professione e minando la fiducia del pubblico neipropri medici. L’occultamento di risultati sfavorevoli in ricerchesui bambini e gli antidepressivi, i pericoli di farmaci contro l’ar-trite e le inchieste sui casi di presunta corruzione di medici inItalia e negli Usa sono solo gli ultimi di una serie di eventi spiace-voli. […]. In conseguenza di ciò molti medici, scienziati, associa-

1 J.Coe, Healthcare:the lifestyle drugsoutlook to 2008, unlocking new value inwell-being, Reuters Business Insight, rDatamonitor, PLC, 2003

112 Osservatorio sulla Cittadinanza

“Farmaci che ammalano” smaschera le tecniche promoziona-li più nuove nelle campagne stratificate dell’industria farmaceu-tica. Tecnica dopo tecnica, disturbo dopo disturbo, emerge unoschema, una formula per cambiare il modo in cui pensiamo allemalattie allo scopo di ampliare il mercato dei medicinali. Lemalattie prese in esame qui non sono le uniche a venire iperven-dute, tuttavia sono tra gli esempi più eclatanti, coinvolgenti erecenti che abbiamo a disposizione. Una volta acquisita dimesti-chezza con la formula e con i trucchi del mestiere, si inizia a scor-gere ovunque in azione la magia nera della promozione dellemalattie. […]

Non si ripropone di screditare ulteriormente un’industria farma-ceutica già molto denigrata o i suoi molti prodotti validi, nè di dif-famare le tante brave persone di saldi principi che lavorano all’in-terno di queste società gigantesche e che, come molti volontero-si ricercatori nel campo medico al di fuori, sono impegnati a tro-vare ed elaborare nuove terapie efficaci e sicure. L’obiettivo èinvece di svelare il modo in cui la macchina promozionale del-l’industria farmaceutica stia trasformando una fetta troppo gran-de di vita normale in patologia medica, allo scopo di ampliare imercati dei medicinali. […]

Come ogni indagine scientifica che si rispetti, questa opera diinformazione deve essere intesa come parte di una conversazio-ne ininterrotta che bisogna proseguire con amici, familiari emedici, con altri operatori della sanità, con colleghi di lavoro,funzionari sanitari e rappresentanti dei cittadini: una conversa-zione che mette in discussione la vendita di malattie sponsoriz-zata dalle case farmaceutiche ed esplora nuovi modi per definiree comprendere i problemi di salute. È una conversazione chepotrebbe trarre notevole beneficio dall’energia e dall’entusiasmodi una collaborazione del tutto nuova tra ricercatori indipenden-ti e patrocinatori dei diritti dei pazienti, il cui obiettivo principa-le è promuovere un dibattito pubblico piu razionale e informatosulla salute umana, e non vendere la paura allo scopo di vendereprodotti farmaceutici.

Ray Moynihan, è uno dei più stimati giornalisti scientifici; per anni si èoccupato del “businnes della salute”scrivendo per il British MedicalJounal, il Lancet e l’Australian Financial Review.Alan Cassels è un ricercatore canades, si occupa da tempo di politiche far-maceutiche Sono autori del libro “FARMACI CHE AMMALANO – e case farmaceuticheche ci trasformano in pazienti” edizione Nuovi Mondi Media da cui è trat-to il seguente articolo (Prologo, pag.7/15)

SVILUPPOE PROGRESSO

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Meno stato, più mercato*Il processo di globalizzazione è complesso e per nulla univoco.All’origine non vi è solo il miglioramento delle comunicazioni,

ma in primo luogo il fallimento dei regimi ed economia pianifica-ta e il trionfo dell’idea del “libero mercato”. La liberalizzazione èinfatti il dogma che sta alla base di questo rapido processo diintegrazione dei flussi internazionali del commercio,della finanzae dell’informazione. […]

Il predominio delle società globaliIl processo di globalizzazione ha portato ad una enorme con-

centrazione di potere nelle mani di pochi. Nonostante i progressiformali registrati in decine di paesi, la mancanza di trasparenza edi democrazia nella vita politica tocca secondo la UNDP almenoil 60% della popolazione mondiale, che appare infatti sempre piùscettica nei confronti delle rispettive classi dirigenti. L’accusa piùricorrente è quella di anteporre agli interessi delle popolazionilocali quelli delle grandi imprese transnazionali. Le maggiori traqueste imprese controllano, ormai senza distinzioni, settore pri-mario, secondario, terziario e hanno un’influenza diretta sullavita politica dei paesi dove si trovano. Secondo i dati raccolti da“Le Monde Diplomatique”, due terzi delle esportazioni mondialisono gestiti da imprese multinazionali, soprattutto statunitensi,giapponesi e inglesi. Mentre ancora più illuminante è l’annualeclassifica stilata da “Forbes”, secondo la quale ExxonMobil,impresa petrolifera con sede negli USA è la più ricca multinazio-nale del mondo, avendo ricavato nel 2002 oltre 200 miliardi didollari, pari alla ricchezza prodotta ad esempio dalla Turchia inun anno. Il colosso dell’auto giapponese Toyota ha fatturato 132miliardi di dollari, superiore al PIL di Portogallo e Slovenia insie-me. I petrolieri inglesi di BP hanno raccolto 178 miliardi di dolla-

114 Osservatorio sulla Cittadinanza

Introduzione

Nella storia si sono alternati diversi punti di vista sul significatodella parola “progresso” che sono oscillati, in generale, tra l’incondi-zionata fiducia nelle potenzialità della scienza e della tecnica - cheavrebbero reso più semplice e serena la vita dell’uomo - e, all’opposto,la visione del progresso come di un deterioramento della comunità.

Secondo il dizionario, crescita equivale ad avanzamento,miglioramento assoluto e sviluppo delle strutture economiche esociali basato sullo sviluppo delle scienze applicate alla tecnica. Ilprogresso sociale, invece, è definito come miglioramento delle con-dizioni di vita per una parte crescente della popolazione.

Nasce spontaneo l’interrogativo su quale sia il modello di svi-luppo a cui facciamo riferimento.

La crescita economica, orientata alla modernizzazione, allacompetizione, all’avanzamento tecnologico, che le nostre societàstanno promuovendo, rischia di mettere in secondo piano l’eticache i processi di sviluppo dovrebbero avere come fondamento:quell’etica che orienta le scelte legislative, educative, di governo,che resta inflessibile nelle molteplicità delle proposte e delle figureche si alternano sulla scena politica, economica e sociale.Quell’etica che favorisce la saggezza nell’analisi delle situazioni,che orienta gli obiettivi di lavoro e affronta le complessità con luci-dità e obiettività, soprattutto senza moralismi.

Oggi si cerca essere vincenti, ma non ci sono regole di gara.Vieneeliminato subito chi si accontenta, chi corre può farlo con qualun-que mezzo, anche sleale. Ne consegue che il nostro progresso fonda lesue radici su profondissime ingiustizie: è facile vincere se abbiamoeliminato gli altri concorrenti, se abbiamo tolto loro scarpe e forzeper correre e se abbiamo sfruttato le loro risorse a nostro favore.

“Stritolati da questo sistema economico che inneggia al liberomercato come nella Bibbia si inneggiava al dio Mooloc, quarantamilioni di persone soccombono ogni anno per fame. Dobbiamoconcludere che […] questo sistema economico mondiale è immo-rale, è il peccato più grave perché produce morte, la stessa che ioincontro a Korogocho, nei sotterranei della vita. Qui è il nocciolodel problema, ciò che crea tutte le Korogocho esistenti, il miliardoe duecentomilioni di uomini senza futuro, e i quaranta milioni dimorti all’anno” (A.Zanotelli – “I poveri non ci lasceranno dormi-re”- ed. Monti – 96 – pag.44)

La spirale che può nascere da tutto ciò non è piacevole: da sem-pre ingiustizia ha generato sofferenza, povertà e rabbia e questehanno suscitato violenza.

Diventa fondamentale, allora, il ruolo dell’educazione che deveformare capacità critica, permettendo di crescere come cittadiniattivi e responsabili di scelte singole e collettive.

Globalizzazione,economia e politica

di SILVIA POCHETTINO

* Tratto da: “Dizionario del cittadino del mondo”, di S. Pochettino e A.Berruti, edito da Emi, (pag. 79 /83).

117Progresso: avanti tutta!...?

Speculazioni senza frontiereMa ci sono altri elementi che caratterizzano il processo di glo-

balizzazione, innanzitutto va chiarito che questo processo è,prima ancora che industriale, un processo finanziario. I capitalisono stati i primi a non conoscere frontiere nazionali. Oggi, con icosiddetti mercati a termine e la speculazione, gli scambi sulmercato finanziario sono rapidissimi, proseguono ininterrotta-mente nelle borse di tutto il mondo e raggiungono cifre esorbi-tanti. Si calcola che ogni giorno il volume delle somme virtual-mente scambiate si aggiri intorno ai 2.000 miliardi di dollari,quasi completamente slegati da scambi reali di prodotti. Si trattadi investimenti a breve termine, ossia di capitali che mutano col-locazione in meno di una settimana.

Ruotando però sempre intorno agli stessi poli, ossia i paesi giàpiù ricchi.

L’economia mondiale negli ultimi anni è divenuta assai piùfragile proprio a causa di questa enorme bolla finanziaria flut-tuante sui mercati, dove i capitali viaggiano vorticosamente cer-cando maggiori margini di guadagno, ma accrescendo anche,non a caso, le crisi bancarie, le oscillazioni di valore delle monetenazionali e l’instabilità economica di interi paesi.

Com’è possibile questo?Per capirlo è importante chiarire cosa si intende per specula-

zione. In generale la speculazione consiste nell’acquistare perrivendere subito dopo, o viceversa vendere per riacquistare, alfine di guadagnare sulla differenza tra il prezzo attuale e quellofuturo. Il punto nodale sta nel fatto che la differenza di prezzo trail “prima” e il “dopo” è influenzata dagli speculatori stessi. Adesempio, tante più quote di caffè sono acquistate in borsa, tantopiù sale il loro valore e viceversa. Grazie a questo meccanismo igrandi speculatori realizzano straordinari profitti.

Il pensiero unicoInfine esiste ancora un aspetto inquietante della globalizza-

zione, tutt’altro che secondario: si tratta della perdita delle iden-tità territoriali, dell’omologazione delle culture diverse al model-lo capitalista, “l’occidentalizzazione del mondo” per dirla con leparole dell’economia francese Serge Latouche, o l’avvento di una“modernità liquida”, secondo la suggestiva metafora coniata dalsociologo Bauman.

Si assiste ad una sorta di mercificazione del mondo, dove con-sumare, comprare e vendere ogni cosa diventano la norma; unatendenza alla quale però recenti proteste ad ogni latitudine, sisono opposte.

E per alcuni aspetti l’omologazione è anche fisica: “Da unaeroporto all’altro, da un hotel Hilton all’altro - ha scrittoLatouche - voi potete percorrere il mondo dall’est all’ovest e dal

116 Osservatorio sulla Cittadinanza

ri, pari alle ricchezze dei trenta paesi più poveri del mondo, leimprese globali, sono in grado di controllare l’economia e la poli-tica di molti paesi e hanno formato alleanze complesse che fannosfumare i confronti reali delle aziende. Nel settore della produ-zione automobilistica, ad esempio, General Motors e Toyota sonoimpegnate in una Joint venture, la stessa General Motors possie-de una parte dell’italiana Fiat, che a sua volta controlla parte dellaIveco Truck, di proprietà della Ford. Una matassa difficile dadistricare, nella quale i pesci grandi inghiottono costantementequelli più piccoli.

Calano i salari, crescono i profitti In secondo luogo la transnazionalizzazione delle imprese

comporta che esse producano là dove la manodopera costameno. Con il sistema degli appalti è possibile spostare rapida-mente la produzione affidandola sovente, come in una grandecatena di montaggio mondiale, a piccole imprese locali che siassumono l’onere di produrre a minor costo offrendo salari piùbassi, meno tutele sindacali o norme per la difesa dell’ambientepiù blande.

È il caso, ad esempio, della Nike, famosa multinazionale diarticoli sportivi. Come sostengono Brecher e Costello, fino al 1990l’impresa produceva nella Corea del Sud e a Taiwan, ma, quandoin questi paesi a seguito delle riforme democratiche e della sin-dacalizzazione dei lavoratori i salari minimi sono saliti, ha spo-stato gli appalti in Cina, Thailandia e Indonesia, dove sono impie-gate donne che ricevono 1,35 dollari al giorno, lavorando anche12 ore. Nel 1992 l’ammontare totale dei salari pagati nelle fabbri-che indonesiane dalla Nike era inferiore al compenso dato aMichael Jordan per fare pubblicità alle scarpe, cioè 20 milioni didollari. Le imprese si giustificano appellandosi alle regole delmercato: appaltare le produzioni dove costa meno è necessarioper essere competitivi.

La guerra tra i poveri Ed ecco il terzo elemento che contribuisce allo “stravolgimen-

to sociale”: l’esaltazione della competitività, come legge chegoverna il mondo.

Un’economia globale senza regole costringe lavoratori, comu-nità e stati a mettersi in competizione tra loro per attrarre gliinvestimenti; ciascuno si sforza di portare il costo del lavoro, lespese sociali e ambientali al di sotto di quelle altrui. Così la com-petitività globale diventa in primis guerra tra i poveri, al Nord e alSud del mondo, tra chi è disposto ad accettare contratti semprepiù svantaggiosi pur di conservare il posto di lavoro, in una spira-le verso il basso di cui non si vede la fine.

119Progresso: avanti tutta!...?

Globalizzazione e criminalitàDivenuto uno dei concetti chiave per l’analisi e l’interpreta-

zione dei fenomeni sociali, il termine “globalizzazione” è oramaientrato a far parte del linguaggio comune, nonostante faccia rife-rimento a fenomeni e processi eterogenei di cui non sempre sifornisce una chiara definizione. Volgendo lo sguardo al dibattitointernazionale si nota come l’espressione sia utilizzata per desi-gnare l’accresciuta interdipendenza esistente a livello mondiale,l’intensificazione delle relazioni sociali su scala globale, la ridefi-nizione del rapporto spazio-tempo legata all’emergere dellenuove tecnologie e di maggiori possibilità di movimento fra luo-ghi distanti, l’incorporazione degli abitanti del mondo in un’uni-ca società mondiale, i processi di deterritorializzazione dei rap-porti sociali e delle dinamiche economiche e produttive, l’emer-gere di flussi culturali, politici, sociali e finanziari particolarmen-te ramificati ed estesi. Nella gran parte dei casi la globalizzazioneviene intesa come una sorta di Giano bifronte: un processo, cioè,in grado di sortire sia effetti positivi che negativi. Come sottolineaBauman, essa ridistribuisce privilegi e privazioni di diritti, ric-chezze e povertà, risorse e impotenza, potere e mancanza dipotere, libertà e vincoli (2002, pp. 78-79). Un fenomeno, quindi,che se da un lato può essere definito e analizzato in relazione aisuoi effetti visibili, dall’altro necessita di essere indagato anche inriferimento ai risvolti più perversi ed oscuri che è in grado diinnescare.

La criminalità, assieme alla crescente povertà, ai conflitti, allanegazione dei diritti, allo sfruttamento intensivo delle persone edelle risorse della Terra, alla crescita della violenza – e non solo diquella, per così dire, di strada, ma anche della violenza di tipo piùstrutturale: quella delle istituzioni, dell’economia, della politica,degli apparati di controllo – è uno dei lati oscuri, in realtà moltovisibile, della globalizzazione. Ma è opportuno notare come, nelcorso dell’ultimo decennio, il diffondersi di una percezione socia-le diffusa dell’esistenza di una minaccia rappresentata da feno-meni e soggetti criminali, il cui raggio d’azione non è più circo-

118 Osservatorio sulla Cittadinanza

sud al nord senza sentirvi mai straniero in alcun luogo.Dappertutto le stesse architettura di vetro e acciaio, le stesseautostrade, gli stessi ingorghi. Gli stessi oggetti di plastica, glistessi televisori e le stesse bottiglie di Coca-Cola. Fino ai souveniresotici, che ora sono fabbricati per tutto il mondo nelle stessefabbriche”. È chiaro che paesaggi e stili di vita cambiano radical-mente non appena ci si addentra, ad esempio, nel cuoredell’Africa rurale o tra le selve latinoamericane, o anche solo silancia un sguardo alla periferia delle maggiori metropoli. Quisopravvive un altro mondo, quello degli esclusi dai mutamentiglobali, degli “inutili al mercato”, di coloro che attendono ancorauna globalizzazione dei diritti.

Silvia Pochettino, direttrice responsabile della rivista VOLONTARI PER LOSVILUPPO, lavora da anni per il CISV che porta avanti progetti di coope-razione in vari paesi del mondo. È autrice di diversi libri sullo sviluppo ela mondialità.

Criminalitàe legalitàdi MONICA MASSARI

121Progresso: avanti tutta!...?

Asimmetria globale Una seconda prospettiva sottolinea il potenziale criminogeno

dei fenomeni di globalizzazione: della loro capacità, cioè, di pro-durre continuamente nuove opportunità criminali. Ciò che lagran parte degli individui sperimenta quotidianamente è l’esi-stenza di una globalizzazione asimmetrica, selettiva, segmentata,che evidenzia chiaramente le connessioni esistenti fra un nuovosistema socio-economico di matrice neo-liberista e la comparsa,su scala planetaria e in proporzioni mai viste, della disuguaglian-za, dell’esclusione sociale, della violenza. Proprio una delle carat-teristiche principali della nuova economia globale è questa capa-cità di includere ed escludere simultaneamente persone, territo-ri, attività, culture.

Le asimmetrie sociali, economiche, politiche e culturali pro-vocate dalla globalizzazione creano un contesto di indebolimen-to dei legami sociali e di ineguaglianza strutturale di cui si avvan-taggiano i soggetti illegali. Se da un lato, infatti, il mondo diventaapparentemente più libero, più democratico, più vivibile e piùuguale, dall’altro, invece, emerge con chiarezza come gli individuisi ritrovino ad essere, in realtà, più poveri, sfruttati e obbligati afronteggiare maggiori difficoltà. Chi è escluso dall’accesso adun’occupazione regolare e ai più elementari diritti, in molti casi,entra a far parte della manovalanza criminale: costituisce, cioè,quell’“esercito industriale di riserva” da cui i gruppi criminaliattingono continue risorse per i propri affari.

Parallelamente, l’aggravamento degli squilibri territoriali e deidivari sociali, unitamente ai processi di finanziarizzazione dell’e-conomia, costituiscono dei dati strutturali che operano in dire-zione criminogena, facilitando la diffusione della criminalitàorganizzata (Santino, 2002). Alcuni dei sostenitori di questa pro-spettiva concludono, quindi, che il problema principale con cuioccorrerebbe confrontarsi non è costituito dall’espansione dellacriminalità su scala globale, quanto piuttosto dalla creazione dicrescenti disuguaglianze fra una società e l’altra (Nelken 1998).

Illegalità legalizzataInfine, nell’analisi dei nessi esistenti fra globalizzazione e cri-

minalità è necessario soffermarsi non solo sui fattori che hannoconsentito l’espansione della criminalità a livello globale e la per-cezione di una sua rafforzata egemonia, quanto piuttosto sullaquestione del parallelo ampliamento di quella zona grigia, quel-l’area di confine esistente fra ciò che è legale e ciò che, invece, èillegale. È oramai riconosciuto come questa globalizzazioneasimmetrica faccia sempre più ricorso alla manipolazione, se nonaddirittura al vero e proprio annullamento, delle regole del giocoe delle norme che producono la leale competizione in campo

120 Osservatorio sulla Cittadinanza

scritto solo a determinate aree del pianeta, abbia innescatoanche una sorta di globalizzazione delle preoccupazioni legatealla criminalità che, pur interessando soprattutto i paesi occiden-tali, non manca di farsi strada nelle aree del Sud del mondo.

I nessi e le relazioni esistenti fra il processo di globalizzazionee le dinamiche di mutamento che hanno investito recentementele forme più complesse di criminalità possono essere analizzatida punti di vista differenti.

Deregulation senza confiniUna prima prospettiva sottolinea come l’abbattimento pro-

gressivo delle barriere fra Stati, il tendenziale allargamento deimercati finanziari, la crescente deregulation dei movimenti dicapitali e la diffusione delle tecnologie dell’informazione e dellatelecomunicazione si siano rivelati benèfici non solo per gli atto-ri economici legali, ma anche per quelli illegali che hanno saputosfruttare a proprio vantaggio le possibilità d’azione offerte da unmondo sempre più senza confini. A questo riguardo si fa riferi-mento all’incremento del numero e della eterogeneità di gruppicriminali attivi attraverso le frontiere di più Stati, all’allargamen-to dei confini dei mercati entro cui vengono scambiati beni e ser-vizi di natura illecita, alle opportunità di sfruttamento criminaledei canali utilizzati per la commercializzazione di beni di varianatura, alle possibilità di accesso anonimo ai circuiti della finan-za internazionale e alla capacità di manipolazione dei punti divulnerabilità dei sistemi informativi. All’origine vengono segna-lati alcuni fattori facilitanti. In primo luogo, sul lato della doman-da di beni e servizi illeciti, si è assistito, recentemente, all’espan-sione di mercati criminali, come quelli legati allo sfruttamentodella prostituzione e dell’immigrazione clandestina, o alla crimi-nalità ambientale, che in passato risultavano avere dimensionipiù circoscritte.

Il successo riscontrato da approcci incentrati sul proibizioni-smo e l’adozione di politiche fortemente repressive in tema, adesempio, di migrazioni, droghe, prostituzione hanno costituitoun’opportunità formidabile per alcuni network criminali chesono stati in grado di costruirsi veri e propri spazi “extragiuridi-ci” di attività (Palidda 2001). Inoltre, si sottolinea come molti deipaesi di provenienza di queste nuove “mafie” globali abbianosperimentato, a partire dal crollo della cortina di ferro, un irri-mediabile processo di crisi dell’autorità statale che i soggetti cri-minali, in alcuni casi, hanno contribuito ad alimentare, mentrein altri hanno sfruttato per i propri interessi. Si tratta di paesi incerca di una via democratica che tuttora stenta ad affermarsi;paesi martoriati da conflitti etnici e religiosi; paesi in cui il pro-cesso di privatizzazione delle proprietà statali si è svolto senzaun solido apparato di controllo e il sostegno di una legislazioneadeguata.

123Progresso: avanti tutta!...?

BibliografiaBauman Z., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone,Laterza, Roma-Bari 2002Beck U., Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società pla-netaria, Carocci, Roma 1999Becucci S., Massari M., Globalizzazione e criminalità, Laterza, Roma-Bari2003de Maillard J., Il mercato fa la sua legge. Criminalità e globalizzazione,Feltrinelli, Milano 2002Gallino L., Globalizzazione e diseguaglianze, Laterza, Roma-Bari 2000Massari M., I confini globali della società criminale, in S. Ciappi (a curadi), Alle periferie del capitalismo. Globalizzazione, criminalità e margina-lità sociale, DeriveApprodi, Roma 2003Nelken D., Globalizzazione del crimine e giustizia penale: ambiti e proble-mi, in «Dei delitti e delle pene», 2, 1998Palidda S., Migrazioni e società postfordista-globale, relazione presentataall’incontro di studio “Fenomeni migratori, minoranze e razzismo”, orga-nizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 22-24 ottobre2001Ruggiero V., Economie sporche, Bollati Boringhieri, Torino 1996Ruggiero V., Delitti dei deboli e dei potenti. Esercizi in anticriminologia,Bollati Boringhieri, Torino 1999Santino U., Modello mafioso e globalizzazione, in. Pirrone M. A, VaccaroS., a cura di, I crimini della globalizzazione, Asterios editore, Trieste 2002Sassen S., Globalizzati e scontenti, Il Saggiatore, Milano 2002

Monica Massari, ricercatrice, studiosa dei fenomeni legati ai processi diglobalizzazione, ha lavorato come esperta presso il centro per la preven-zione delle criminalità delle Nazioni Unite di Vienna fino al 2000. È con-sulente per diversi organismi internazionali, organizzazioni non governa-tive e istituti di ricerca. Fa parte del comitato scientifico Narcomafie.

122 Osservatorio sulla Cittadinanza

economico e imprenditoriale. La ricerca di profitti crescenti acosti sempre più limitati attraverso la frode, l’inganno e il ricorsosistematico alla negazione dei diritti elementari fa sì che settoricrescenti delle cosiddette élites utilizzino frequentemente com-portamenti illegali, se non manifestatamene criminali, per rag-giungere i propri obiettivi. Si tratta dell’emergere di vere e proprie“economie sporche” che trovano una collocazione, talvolta otti-male, nei meandri dell’economia ufficiale: un’arena in cui crimi-nalità organizzata e attori legali tendono a scambiarsi servizi, aoffrirsi reciprocamente favori, a promuoversi vicendevolmentenelle loro attività imprenditoriali (Ruggiero 1996; 1999).

Le relazioni esistenti fra globalizzazione e criminalità possonoessere viste, secondo questo approccio, nei termini di una sortadi doppio movimento: da un lato assistiamo ad un’espansionedel crimine nell’economia – sia di natura lecita che illecita – e,dall’altro, è divenuto evidente un frequente scivolamento delleélites nella criminalità (de Maillard 2002). Il pendolarismo fralecito e illecito costituisce una delle caratteristiche più perversedi questa globalizzazione.

125Progresso: avanti tutta!...?

tecnica. Le scoperte straordinarie hanno inseguito un sogno,dando a molti la sensazione di poterlo realizzare: il raggiungi-mento, senza troppi sforzi, della libertà e della capacità di domi-nio sulla realtà.

Così, rincorrendo questo sogno, praticamente in tutti i campi,in tutte le dimensioni della quotidianità, l’uomo ha cercato disuperare limiti e ostacoli, di potenziare le sue capacità grazie aglistrumenti della scienza. Fino a circondarsi di scienza. Forse finoal punto di costruirsi intorno un mondo virtuale, in cui sentirsiprotetti e a proprio agio.

Un mondo che però può anche produrre, invece che agio,libertà e sicurezza, forme di disagio, smarrimento, dipendenza.Pensa solo, banalmente, quando si rompe un computer, untelefono cellulare o un’autovettura, a come ci sentiamo… quellasensazione di non saper più cosa fare, di non poter far nulla… diessere persi.

Esagero? Non lo so. Ma è certo che la libertà tanto sognata,tanto ricercata dall’essere umano, ha assunto oggi, per molti, unsignificato simile a questo: una libertà assoluta, che vorrebbe nonavere più limiti né legami che vincolino, che consenta in sostan-za la possibilità di fare ciò che si vuole. È sufficiente procurarsi imezzi necessari, prodotti della scienza, e il gioco è fatto.

Siamo diventati quindi liberi, o almeno lo siamo di più rispet-to a chi ha vissuto prima di noi?

Sta maturando in me, e forse anche in altri, l’impressione chepiù che libertà la nostra sia un’illusione di libertà.

Non credo di sbagliare di molto se dico che nella nostrasocietà è diventato dominante un certo modello di vita che ponecome obiettivo assoluto il successo personale, la vittoria in qual-siasi ambito si sia impegnati; sostiene che è giusto farlo sempre,ed è lecito, anzi doveroso, farlo a tutti i costi; insegna che si puòottenere tutto ciò che si vuole; convince che i desideri possonoessere soddisfatti attraverso il consumo.

Un’idea di come dovrebbe essere la nostra vita talmente forteche praticamente tutti vi facciamo riferimento più o meno cansa-pevolmente, e con la quale tutti dobbiamo fare i conti. Sia perchécontinuamente riproposta dai mezzi di comunicazione, sia per-ché ciascuno di noi la applica nei propri comportamenti contri-buendone allo sviluppo.

Questo modello di sviluppo ci invita poco a sperimentare esviluppare il nostro essere, e spinge a concentrare le nostre ener-gie sul possedere. Le tante opzioni che la nostra società propone– situazione che sembrerebbe dischiudere le porte della libertà discelta – sono in realtà spesso riconducibili alla decisione di checosa acquistare.

Questo modo di vivere, apparentemente innocuo, mette lepersone sotto pressione e non rispetta i limiti e le diversità di cuiciascuno è portatore, perchè fa sentire sempre in dovere di appa-rire al massimo (anche oltre le proprie possibilità); e quando ciònon riesce, è in agguato il senso di frustazione e inadeguatezza.

124 Osservatorio sulla Cittadinanza

Lettera aperta a...Torino, Settembre 07

Ciao Fabio,

ieri pomeriggio ho assistito a una discussione interessante evolevo parlarne un po’ con te, come sempre facciamo quando cicapitano di queste avventure.

Due amici parlavano di “2nd life”, il “gioco” della realtà vir-tuale in cui, in un mondo fatto al computer, si ha la possibilità dicostruirsi un personaggio come più piace, nel quale immedesi-marsi e poter andare in giro, “fare cose”, incontrare delle altre per-sone, o forse meglio degli altri personaggi. Un gioco dalle possi-bilità straordinarie, mi veniva da pensare. Ma loro due non eranomolto dell’idea: hanno detto che lo trovano assurdo ed inutile, larealtà basta ed avanza, e solo gli sciocchi possono stare delle oree trovare soddisfazione in un mondo virtuale. E forse è pure dan-noso, perché uno rischia di perdersi. Io non sono intervenutosubito, perché volevo pensarci su. Così ti scrivo quello che hopensato.

Sinceramente non sono d’accordo con la posizione dei dueamici. Mi sembra un giudizio affrettato. Avvicinarsi a questi argo-menti con superficialità rischia di non farci cogliere appieno isignificati di ciò che ci succede intorno.

Un mondo virtuale, in cui sperimentare ed esplorare unanuova identità, incontrare altre persone e costruire nuove rela-zioni, non è una cosa da poco. È una cosa grossa. Sembra darelibertà, possibilità di realizzazione. Però una domanda viene dapormi, e porti, ed è perché ci sia bisogno di una “seconda vita”…Capisci perché dico che non è una cosa da poco.

Penso sia piuttosto condivisibile l’affermazione che la realtà èdifficile. Ma, probabilmente, così è da sempre. E da sempre l’uo-mo ha cercato di renderla più vivibile. Questo suo continuo sfor-zo ha subito un’accelerazione fortissima negli ultimi decenni. Haportato a livelli mai raggiunti prima la conoscenza, la scienza, la

Scienza e progresso:tra libertà e responsabilità

di KRISTIAN CAIAZZA

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incontriamo per la prima volta, che siano con il quartiere in cuiviviamo o con il mondo intero, quando sono autentiche, compor-tano; fare in modo che le conquiste della conoscenza diventinopatrimonio condiviso, che siano fonte di miglioramento dellecondizioni di vita di un numero sempre maggiore di persone, enon causa di nuove disparità.

Sperimentare e imparare a coniugare la libertà con la respon-sabilità può essere la strada per ritrovare un senso, un gusto allavita. Imparare a fare le cose difficili.

Fra tanti dubbi, di questo, almeno, sono convinto.Attendo con trepidazione le tue considerazioni: è solo il con-

fronto con gli altri che ci permette di comprendere davvero, e coltempo, di crescere.

Come sempre, scrivimi su [email protected] presto, Kristian

Kristian Caiazza, animatore socio-culturale del Piano Giovani del GruppoAbele, si occupa in particolare di progetti di sensibilizzazione alla cittadi-nanza e alla partecipazione attiva nelle scuole superiori, di stage formati-vi, e del progetto Albachiara.

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Effetto di questo modo di vedere le cose è che ci si sente in com-petizione contro tutti e che si guarda all’altro come ad un nemi-co da sconfiggere o tutt’al più uno strumento da utilizzare perraggiungere i propri scopi. Risultato è una società molto conflit-tuale, in cui non si vive bene, in cui le esistenze di troppi smarri-scono il loro senso.

Ecco perché ho parlato di illusione di libertà.In tutto questo la scienza, la tecnica, il “virtuale”, giocano un

ruolo molto importante.Possono alimentare l’illusione di libertà, quando sono viste

dall’uomo come vie di fuga dalla realtà o come soluzione dei malie dei problemi di un’epoca. Ma possono anche tornare ad essereviste come strumenti, ed essere utilizzate dall’uomo per aiutarload incontrare la realtà.

Prendere coscienza di questo, credo possa essere un primopasso per ridare un senso alla libertà. Non si può credere che“2nd life”, che alla fine è solo uno strumento, sia un male in sé. Èsempre l’uomo la causa ultima, a lui rimane la responsabilità diquello che sta facendo. Non sono gli strumenti ad essere sbaglia-ti, ma è il grado di consapevolezza nel loro uso a fare la differen-za. Per cui “2nd life” può diventare una via di fuga da una realtàin cui non ci ritrova più; la scienza può diventare fonte di nuoveincertezze e paure; le medicine possono diventare causa dimalattia; l’energia invece che essere usata per costruire può dive-nire, e lo è già stato tragicamente, fonte di distruzione. Ma questiritrovati, straordinari ed inimmaginabili fino a poco tempo fa,sono e rimangono strumenti, e in quanto tali possono essere uti-lizzati; sta all’uomo decidere verso che direzione, in quale modoe per quali scopi.

Che cosa permette di fare questa scelta? È importante riusciread analizzare e comprendere criticamente il nostro tempo, ma èdifficile essere parte di questo contesto e riuscire contempora-neamente a prendere le distanze da ciò che si vive, per definirlo,strudiarlo e capirlo.

Anche perché se quello che ho detto è verosimile, anche lamia libertà, come la tua, è condizionata, intaccata, parziale: è unaschiavitù che si ritiene libera, vissuta insieme ad altre personeche si trovano nella stessa condizione. Questa è la sfida: liberarela nostra libertà. Tanto più affascinante perché difficile, perché cicoinvolge e attraversa in pieno; e perché nessun esito è già stabi-lito.

Liberare la libertà significa prendere coscienza che la man-canza di senso nasce dall’illusione di una libertà assoluta, priva diresponsabilità, dal legame con l’altro. Perché solo insieme all’al-tro, e attraverso l’altro, si può ritrovare un senso. Perché è quan-do ci sentiamo parte di qualcosa, quando siamo in contattoprofondo con gli altri, quando il mondo ci coinvolge, che ci sen-tiamo bene.

Vivere le relazioni a fondo significa farsi carico della respon-sabilità che queste, che siano intessute con persone care o che

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• la salvaguardia della natura e delle risorse del pianeta, per la vitaindividuale e sociale e per le future generazioni, comporta losviluppo di una conoscenza approfondita delle controversequestioni ambientali, nonché la capacità di condurre azioniconseguenti, prendendo decisioni individuali e collettive, assu-mendo responsabilità e rischi.

In quale modo si può raccogliere in ambito educativo la sfidadella complessità?

Ogni agire educativo ha alle spalle una teoria, o un insieme diteorie, che possono essere coscienti o no, implicite oppure espli-cite, coerenti o contraddittorie. Si tratta di concezioni su come siimpara, su cos’è importante imparare o insegnare, su come fun-ziona il mondo, sui compiti degli educatori. Non intendiamo par-lare di costrutti mentali astratti e formalizzati, quanto di queiprincipi e di quelle logiche che ispirano, danno forma e governa-no i nostri comportamenti e i nostri progetti educativi.

È di grande importanza riuscire a esplicitare queste concezio-ni soggiacenti alle nostre azioni, soprattutto per cambiarle inmeglio.

Una prima opzione su cui riflettere: a quale concetto di “citta-dinanza” vogliamo educare?

In una concezione tradizionale, lo spazio di azione del cittadi-no è molto ristretto, e secondo la definizione data dal Manuale dicittadinanza attiva di Giovanni Moro:• i cittadini non hanno tempo di occuparsi di faccende politiche

perché devono lavorare o curare la famiglia;• i cittadini non hanno le competenze per pronunciarsi o agire su

questioni che travalicano la loro esperienza e la loro cultura,come la pace e la guerra, lo stato dell’economia e della finanza,la creazione e la gestione di servizi e di infrastrutture;

• i cittadini, infine, sono incapaci di superare, nelle questioni cheriguardano la vita pubblica, i propri interessi particolari e dicogliere il senso dell’interesse generale.

Sulla base di queste teorie, l’unica azione compatibile è l’eser-cizio del diritto di voto, per scegliere dei rappresentanti che sianocompetenti e non perseguano interessi particolari.

Si è affermata, però, anche un’altra modalità di esercitare lacittadinanza sociale, in azioni che riguardano in concreto la vitaquotidiana, il funzionamento dei servizi, l’ effettiva protezionedei diritti. Le società civili o i cittadini comuni,che finora eranorimasti ai margini della scena della storia, sono ora al suo centrocome irriducibili protagonisti.

Nella comunità scientifica si è arrivati a coniare una nuovaparola per definire questa nuova modalità: se citizenship indica-va la cittadinanza tradizionale, citizenry indica invece la cittadi-nanza in azione. In italiano il termine è intraducibile letteralmen-te e lo si rende con cittadinanza attiva.

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Educare alla cittadinanza attiva mondiale*Oggi tutto si mondializza: i mercati, l’informazione, il lavoro,

la cultura e…la povertà. Ma l’interdipendenza planetaria, puressendo ormai un dato di fatto, non è ancora pienamente entra-ta nel nostro modo di pensare, di relazionarci, di scegliere.

“Viviamo in un età planetaria”, aveva affermato provocatoria-mente qualche anno fa il teologo Ernesto Balducci, “con unaconoscenza neolitica”.

Abbiamo l’impressione che passi avanti in questa direzionenegli ultimi anni siano stati compiuti, grazie soprattutto ai movi-menti in atto nella società civile globale, che hanno “reinventatola cittadinanza”.

Il compito dell’Educazione alla cittadinanza attiva mondiale èproprio accompagnare questo difficile passaggio: colmare il diva-rio tra percezione e realtà, per diventare cittadini capaci di futuro.

Le trasformazioni in atto nella nostra società pongono compi-ti e responsabilità nuovi all’educazione:

• la partecipazione alla vita democratica e la promozione dellapace richiedono ad ogni cittadino un alto grado di capacità diinformazione, confronto e giudizio, nonché di iniziative percondurre azioni individuali e collettive;

• le nuove tecnologie dell’ informazione e il loro impetuoso svi-luppo esigono dai giovani e dagli adulti, oltre che disponibilitàall’adattamento, anche conoscenza critica degli scopi e delleconseguenze e capacità di controllo sugli stessi;

• il contatto fra etnie, culture e religioni diverse, a seguito dellamondializzazione dell’economia e dell’informazione, richiede asingoli e gruppi sociali un radicamento più profondo e criticonella propria identità culturale e, al tempo stesso, apertura acomprendere e ad apprezzare forme di alterità;

Pedagogia: educarecittadini del mondo

di PIERA GIODA

* Tratto da: “Dizionario del cittadino del mondo”, di S. Pochettino e A.Berruti, edito da Emi, 2003.

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• Non basta informare, occorre innescare processi educativi piùcomplessi.

L’attenzione si è gradualmente spostata dal compito di faracquisire nuove conoscenze, alla necessità di creare atteggiamen-ti costanti e di costruire mentalità e modi di pensare.

Il limite delle risorse, l’irreversibilità di molti interventi del-l’uomo sulla natura, la portata planetaria del gesto quotidiano delconsumo sono concetti da “costruire” attraverso processi educa-tivi complessi, fatti di esperienze sul campo, coinvolgimentianche emotivi, ricerca di informazioni, scelte e azioni che si rea-lizzano direttamente nel mondo, venendo a contatto con i pro-blemi reali che in esso si incontrano.

Per essere efficaci, occorre agire sul piano dei contenuti, maanche dei metodi e dello stile di relazione tra educatore e educato.

Detto altrimenti: non si può educare alla partecipazione atti-va con una relazione in cui la maggior parte del tempo vieneusata per trasmettere contenuti. Oppure non si può proporre unamodalità competitiva come il premio individuale per promuove-re comportamenti pro-sociali.

• Bisogna superare un pensiero che separa, a favore di uno checonnette.

Vi è una coscienza sempre più diffusa dell’iterdipendenza difatti e fenomeni a livello di eco-socio-sistema globale: per com-prendere ciò che ci accade intorno è necessario seguire piste checi portano lontano.

Gli stessi concetti di “vicino” e “lontano” si sono profonda-mente modificati e non possono più essere utilizzati nel modocon cui si teorizzava anni fa la necessità di educare i bambini apartire da esperienze vicine per poi gradualmente aprirsi.

Bisogna imparare a “pensare per relazioni”, a correlare il loca-le con il globale, per non promuovere cittadini e coscienze“miopi”.

• Creare solo allarmismo sui problemi del mondo può generarepassività e rassegnazione.

Le parti del sé che entrano in gioco nell’educazione alla mon-dialità hanno a che fare sia con gli aspetti cognitivi (conoscenza,informazione), sia con gli aspetti emotivi (cambiamento, rischio,conflitto). In particolare su certi argomenti (le immigrazioni, ilimiti delle risorse del pianeta, l’iniqua distribuzione di ricchezza,le nuove schiavitù), che vengono spesso trattati con toni “allarmi-stici” dai mass media, si genera facilmente ansia, incertezza,smarrimento, senso di impotenza.

Le reazioni a queste “emozioni dolorose”, provate di fronte allagravità dei problemi, possono esprimersi in vari modi: da una

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Lo sfondo “globale” su cui essa può essere esercitata è bendelineato nel saggio introduttivo di Sergio Marelli.

Un secondo passo da compiere è quello di prendere atto chenon esiste una definizione teorica univoca e condivisa diEducazione alla cittadinanza attiva, ma molte “educazioni” eorientamenti pedagogici hanno dato un contributo alla forma-zione della nuova “coscienza della mondialità”:

1. l’educazione internazionale ha caratterizzato i primi decennidel secondo dopoguerra, come necessità di uscire dai rappor-ti angusti dei rapporti tra popoli a favore dell’unità del genereumano e della cittadinanza universale;

2. l’educazione alla pace ha ampliato progressivamente il suocampo, attorno al concetto di “pace positiva” che non silimita a essere assenza di guerra, e all’ambito relazionale(dalla dimensione “micro” dei rapporti personali alladimensione “macro” dei rapporti tra nazioni). Si parla oggidi “educazione al conflitto”, intesa come capacità di so-starenelle situazioni conflittuali, ricercandone trasformazioninonviolente;

3. l’educazione ambientale, nata come informazione sui proble-mi ambientali e conoscenza degli ambienti, si definisce oggiin Italia piuttosto come una “educazione orientata alla societàsostenibile”;

4. l’educazione allo sviluppo, che ha fatto i suoi primi passi nelclima di ottimismo degli anni ’60, si riferiva inizialmente a unmodello di sviluppo tipicamente occidentale che confidavanella modernizzazione e nella crescita economica che avreb-be colmato il divario esistente tra i paesi sviluppati e quelli invia di sviluppo. Passata attraverso critiche radicali al concettostesso di sviluppo, pone oggi come oggetto di lavoro principa-le la questione della sostenibilità e della cooperazione tra sog-getti del Nord e del Sud del mondo;

5. l’educazione interculturale è nata come presa di coscienzadell’ importanza della dimensione culturale nelle relazioni trapersone di differenti nazionalità ed etnie. Si è confrontataconcretamente, negli ultimi dieci anni in Italia, con la neces-sità di occuparsi degli alunni immigrati, ma definisce la suafinalità in senso più ampio, come l’affermarsi di “identità dia-logiche”.

Le trasformazioni cui abbiamo accennato precedentementestimolano il mondo delle ONG a collaborare con altre agenzieeducative (scuola, Enti locali, associazioni, mezzi di informazio-ne) alla costruzione di ambienti educativi che sappiano promuo-ve modelli culturali più adeguati.

Pur con “oggetti di lavoro” differenti, le “educazioni” primacitate convergono su alcuni approcci trasversali e attenzionimetodologiche, che costituiscono ormai un patrimonio comune.

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• L’educazione alla cittadinanza attiva mondiale si costruisce conil territorio.

L’“oggetto di lavoro” dell’Educazione alla cittadinanza attivamondiale, cioè la difesa dei “beni pubblici globali”, ci impone la“via obbligata” della progettazione territoriale, in grado di coin-volgere in un processo formativo globale scuola, cittadini, asso-ciazioni locali, ONG ed Enti locali.

Il concetto stesso di territorio va ridefinito. Tradizionalmentesi indicava con esso lo spazio fisico, geografico, la zona ben defi-nita entro cui si realizzavano gli interventi. Oggi emerge unanuova concezione di territorio, meno oggettiva e spaziale. I con-fini perdono di valore rispetto a quello che esso contiene: attori,relazioni, significati, risorse. Il territorio di identifica così con il“capitale sociale”, il patrimonio di relazioni che permette di agire.Se dovessimo usare delle metafore, potremmo dire che il territo-rio è oggi più una facciata (una risorsa da usare per intervenire)che un bersaglio (target) da colpire.

Piera Gioda docente di scuola secondaria, è presidente del settore diEducazione alla Mondialità dell’Organizzazione Non Governativa CISV epresidente della Cooperativa Sociale di Servizi Educativi CISV - SOLIDA-RIETÁ. È consulente e docente di educazione interculturale per diversi entidi Torino e provincia.

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distaccata indifferenza (“le guerre e i poveri sono sempre esistiti”)a una passiva rassegnazione (“non si può cambiare il mondo”,“coltiviamo il nostro orticello”), o a un desiderio di fuga e allonta-namento dai problemi (“meglio cambiare canale!”, “pensiamo acose migliori”).

Nella consapevolezza di tali dinamiche emozionali, qualcunoha inventato la “spettacolarizzazione a fondo emozionale”, checoinvolge i grandi centri commerciali o le varie Disneyland delpianeta, ma anche la cosiddetta cultura alta, le università, lescuole.

• L’educazione alla mondialità ha come finalità l’empowerment,individuale e sociale.

La tensione della ricerca educativa deve essere forte soprat-tutto su questo punto, per elaborare dispositivi pedagogici checonsentano di contenere l’ansia e sfruttino appieno lo spiazza-mento cognitivo che l’incontro con le differenze può apportare alprocesso di apprendimento e di crescita. Dispositivi pedagogiciin grado di generare empowerment (cioè consapevolezza dei pro-pri diritti e del proprio potere di cittadino) e assertività, piuttostoche impotenza e rassegnazione.

• Il traguardo non è sapere di più, ma motivare al cambiamento ealla partecipazione.

La questione però (e in questo risiede la difficoltà) è che nonsi tratta di far acquisire saperi diversi da quelli che circolano giànelle agenzie educative, ma di far sì che “ciò che si sa” si traducain vita vissuta, in comportamenti, in azioni: non solo sapere, maanche saper fare e soprattutto saper essere.

I percorsi educativi devono promuovere quindi qualità dina-miche:a) autonomia, insieme a senso dei limiti, e quindi etica della

responsabilità;b) competenze dinamiche, atte:

- a prendere decisioni in situazioni di incertezza;- a contenere ed elaborare l’ansia che ne deriva;- ad agire nei processi decisionali.

• Non esistono metodi infallibili o ricette sicure in campo educa-tivo.

Se esistessero sarebbe uno strumento formidabile di mani-polazione delle menti e di controllo del consenso. Esiste invecela ricerca seria di metodologie coerenti ed efficaci che ci per-mettano di affrontare temi sicuramente “scottanti” e “contro-corrente”.

PROSPETTIVE

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tutti l’uso e il consumo di oggetti, che dapprima attirano e con-centrano la nostra attenzione tanto da risultare indispensabili epoco dopo averli posseduti, perdono il loro fascino e non ci basta-no più.

Questo desiderio naturale di essere migliore, oggi ha assuntoun valore estremo. L’obiettivo della modernizzazione globale èinfatti, principalmente, la realizzazione assoluta delle possibilitàe lo scavalcamento di tutte le barriere che ostacolano la crescita.Forse per la prima volta nella storia dell’umanità, sicuramentegrazie alle nuove forme della comunicazione mediatica, questacorsa sta contagiando tutti, anche chi abita gli angoli remoti delpianeta. Stare nel limite, oggi, non è più permesso. Chi ci vede dalontano vorrebbe essere al nostro posto: l’immagine di opulenzache scaturisce dalle nostre televisioni, dalle nostre strade, dai luo-ghi di villeggiatura, dai nostri armadi, è così forte che spingepoveri lontani ad attraversare i pericoli del mare o quelli di unviaggio clandestino per vivere come noi.

Coloro che ci invidiano, però, non sanno quanta scontentezzapervada le nostre società.

È la delusione di chi vive condizionato da input che spingonoal perfezionamento, ma intuisce la presenza costante della fini-tezza. Di fatto, la logica della crescita costante, se da un lato pre-senta al suo interno una spinta creativa e sicuramente positiva,dall’altro nasconde un grosso limite: l’insoddisfazione. Si vivesenza essere mai contenti o godendo solo passeggere serenità.

Come afferma Umberto Galimberti “un senso di inquietudinepervade sia i singoli individui sia le imprese che si sentono impo-tenti a modificare l’andamento dell’economia […] quella parolasubdola: «crescita», che gli economisti applicano sia ai paesi dise-redati che raccolgono tra l’altro i quattro quinti dell’umanità, siaai paesi già sviluppati che nonostante ciò «devono crescere».

Fin dove? E a spese di chi? E a quali costi ambientali? Qui l’e-conomia tace perché il problema non è di sua competenza, e conl’economia tacciono anche le voci degli uomini che alle leggi del-l’economia si devono piegare.

Quando dico «economia» non dico solo agricoltura, commer-cio, industria e finanza, ma dico soprattutto mentalità diffusa,modo di sentire, categoria dello spirito del nostro tempo, perchéquesto è diventato, nel modo di pensare e di sentire di tutti, l’im-perativo categorico della crescita.

Figli come siamo di padri, che a loro volta sono cresciuti sullavoro dei nonni, siamo ormai alla terza o quarta generazione checresce con un ritmo che la storia non ha mai conosciuto. La cate-goria della crescita è così diventata una forma mentis, uno statod’animo, un rimedio all’angoscia, una garanzia per sé e per i pro-pri figli, una caparra per il futuro, per cui, se per effetto diMaastricht, se per mettere in ordine i conti, se per una finanziaria

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Perfetti per forza

Scrive Fausto Piazza sul libro “Invito alla sobrietà felice” (a.v. -EMI – 2000 – pag. 38, 39)

“[…] Il limite. Esso segna, fin dal concepimento, la nostra esi-stenza: non siamo noi a decidere di venire al mondo. […] Ciaccompagna durante tutta la nostra vita, rendendosi presente inogni sofferenza che ci ricorda che siamo vulnerabili, in ogni scel-ta, che è sempre un de-limitare un percorso tra possibili alterna-tive, perfino nella conoscenza, che riesce ad essere tanto più pre-cisa quanto più ne de-limitiamo l’oggetto. Alla fine ci vieneincontro nelle sembianze della morte, limite estremo […] E tutta-via, durante tutta la vita, ci accompagna anche l’esperienza for-tissima del desiderio di superare il limite che sentiamo comeafflizione. […] È il desiderio di libertà.

Quanti, come me, amano la montagna sanno che gioia siprova quando, dopo una salita faticosa, all’improvviso si presen-ta lo spettacolo meraviglioso di monti e valli che si susseguono aperdita d’occhio. Io credo che la gioia derivi, in parte, dalla con-sapevolezza di essere riusciti a superare le fatiche del sentiero[…]. Più ancora credo che la gioia sia legata alla visione stessa diun orizzonte che spazza via, per un momento, ogni prospettivaangusta cui siamo costretti quando viviamo a quote più basse.[…]. L’orizzonte segna il confine di ciò che possiamo vedere, mainsieme attira la nostra curiosità su ciò che potremmo trovare aldi là di esso e ci spinge a muoverci per saperlo. Dopo averlo fatto,ciò che ci appare è semplicemente un altro orizzonte, certo diver-so e magari più ampio, ma pur sempre limitato”.

Sul concetto di limite e di libertà si stanno giocando i proces-si economici e sociali degli ultimi anni. La propensione al supe-ramento di orizzonti definiti verso spazi e opportunità semprepiù ampi è la stessa che ci spinge a cercare continuamente qual-cosa di nuovo; viviamo questo altalenarsi di insoddisfazione ericerca di novità, in moltissimi aspetti della nostra vita, primo tra

Qualche considerazioneper orientarsi

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la metafora dell’esistenza. Se solo tutti noi potessimo andareoltre, viaggiare in luoghi mai visti e sconosciuti, se potessimoconfrontarci con l’alterità, quell’altro così diverso da me, tanto dapermettermi di conoscere veramente “chi sono io”.

È quella diversità che mi apre gli occhi e mi dà la lucidità dicomprendere che ci sono tanti punti di vista, che ci sono salite ediscese, momenti facili e difficili sofferenze; che ci sono millemodi per vestirsi o per cucinare, mille modi per costruire unacasa e inventare un lavoro; che non ha senso pensare di esseresempre quelli che hanno ragione; che a volte è meglio farsi sor-passare dagli altri piuttosto di sorpassare. Che una casa povera tipuò far conoscere un mondo diverso, che una vita piena di ric-chezze ti può appesantire e isolare. Che uno straniero può acco-glierti come un fratello, che accogliere qualcuno come amico tiapre le porte della conoscenza. Non c’è un’unica possibilità, nep-pure un solo e unico giudizio delle cose: ognuno di noi vale per-ché, ovunque vada, non ha uguali. La nostra diversità è l’unicaricchezza che ci appartiene veramente.

Se, nel corso della storia, l’umanità ha fatto passi importan-ti, è grazie al contributo di tantissimi soggetti creativi, autono-mi, capaci di pensiero indipendente, critico, alternativo e sti-molante. Soggetti che spesso, sono stati cacciati dalle società,derisi, insultati, esiliati o imprigionati perché proponevano unpunto di vista differente. Soggetti con una forza interiore capa-ce di verità, non omologati, ma riflessivi e propositivi, non adat-tati ma consapevoli. Persone vere che hanno lasciato emergerela propria autenticità, che non hanno provato la vergogna diessere diversi. Se non fosse stato per Copernico, Galileo,Francesco d’Assisi, Gandhi, Willy Brandt, Bertolt Brecht, percitarne alcuni e ancora Tenzin Gyatso, Milan Kundera, Aung SanSuu Kyi, uomini e donne di ieri e di oggi dal pensiero libero,preoccupati di rimanere lucidi in una società che confonde gliorrori con la modernità, le ingiustizie con il progresso, le discri-minazioni con la necessità di sviluppo.

Mi stupisco sempre quando oggi la Politica o la Chiesa pro-nunciano indicazioni per dividere i “giusti” da chi non lo è: siamocosì diversi gli uni dagli altri che possiamo solo riconoscerci perle originalità che ci caratterizzano. Creare categorie sociali è unmodo di banalizzare il problema, affrontando il gruppo come sefosse una sola entità: è più semplice, ma è anche segno di povertàpolitica e morale.

Oggi questa diversità dell’essere umano non riesce ad essereespressa. Se Luis Vitton inventa la carta igienica col proprio mar-chio, la sua creatività ha modo di manifestarsi. Ma quale origina-lità si esprime nell’essere in coda davanti alla vetrina di un suonegozio per acquistare la stessa borsa? Quello che ci interessa èindossare l’immagine che il simbolo evoca: chi vede camminare

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dura questa speranza nella crescita si affievolisce accade una para-lisi del pensiero, una confusione del sentimento, un’ansia per ilfuturo, un senso di inquietudine come quando sugli aerei si infilaun vuoto d’aria e tutti composti ostentiamo quella tranquillitàsmentita dai brividi del nostro ventre che però avvertiamo solo noi.

E così ciascuno per sé sente il brivido della crescita zero a cuinon sa con che strumenti reagire, soprattutto se ha il sospetto chela crescita zero sarà sempre più il nostro futuro, non solo perchénon possiamo continuare a pensare che i quattro quinti dell’uma-nità continuino a sacrificarsi per la nostra crescita, ma perchéquando la crescita non ha altro scopo che continuare a crescere, èl’uomo stesso del mondo privilegiato a divenire semplice «funzio-nario» di questa idea fissa che, se diventa lo scopo collettivo dellavita di tutti, affossa e seppellisce il «senso» della vita, il suo sapore,il suo significato per noi”. (Tratto da “Smettiamo di crescere” -Umberto Galimberti - La Repubblica, 2 settembre 2005).

Quando il “crescere” diventa un dogma, perde di valore e siconnota di aspetti contradditori. Si conducono esistenze, barca-menandosi tra situazioni confuse: diventiamo più ricchi di possi-bilità ed oggetti e proviamo l’insoddisfazione di non potere avereo fare abbastanza, viviamo in un mondo globale e possiamointerfacciarci velocemente con i cittadini di tutto il mondo, mastiamo soli davanti ai nostri computer, con sempre meno tempoda dedicare alle relazioni; possiamo accedere a moltissime infor-mazioni e conoscenze, ma capiamo sempre meno il senso delnostro andare, abbiamo molte possibilità di curare il nostroaspetto, la nostra salute e la nostra psiche, ma viviamo con lapaura che qualcuno, gli altri ci vedano inadeguati. Quanta faticaci costa tutto ciò!

Forse per questo viviamo correndo, sperando di fuggire datutto, dagli altri, da noi stessi, dalle inadeguatezze che ci circon-dano e da quelle che ci appartengono.

Preziosa fragilitàPer tutti noi, soprattutto per chi è giovane oggi, essere diversi

è un dramma! Che vergogna si prova a vestire fuori moda, a nonavere il marchio giusto, un taglio di capelli non aggiornato, a fareuna proposta diversa per il sabato sera, a bere un succo di fruttain un pub, a girare su una vecchia punto, a farti vedere con tuamadre che sembra dell’’800. Modernità vuol dire farcela sempre astare al passo di un paradiso terrestre che viene venduto nellevetrine di un centro commerciale.

Ma se non fosse così? Se dovessimo restare soli in un’altraparte del mondo dove gli abitanti si stupiscono e ci deridono percome ci vestiamo e ci comportiamo? “Non ci resta che piangere”,il capolavoro di Benigni e Troisi, spiega la fatica di provare a ritro-varsi quando tutto intorno improvvisamente viene a cambiare: è

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Allora? … ci sono prospettive?Certo! È possibile pensare diversamente. Qualcuno ci prova,

qualche voce si alza nello stagno dell’ uniformità in cui ci toccavivere. Non ci sono ricette, né un unico sentiero.

Proprio per quella bellezza che ci appartiene, che è la diver-sità, si possono creare mille modi per stare al mondo.

Qualcuno, ad esempio, ha inventato un sistema per acquista-re direttamente i prodotti da chi li produce, evitando di far arric-chire i distributori e impoverire artigiani o piccoli contadini(Commercio Equo-Solidale), qualcun altro ha trovato più giustoorganizzare con amici gli acquisti in modo da risparmiare e averemaggiore qualità (Gruppi di Acquisto Solidale), qualcuno ha scel-to la denuncia pubblica o la manifestazione in corteo per attirarel’attenzione sulle questioni importanti di cui soffre la nostra terra(Marcia della pace, Global Social Forum); qualcuno ha scelto dicondividere le proprie capacità, scambiando con altri un po’ delsuo tempo (Banca del tempo).

Qualcuno, partendo da una riflessione sull’ingiusta distribu-zione delle ricchezze, ha creato modi per sostenere piccoli pro-getti di sviluppo nei paesi poveri (Fondo di Solidarietà). Altri sisono associati per creare luoghi di lavoro alternativi, più vivibili esostenibili (Cooperative Sociali), qualcuno ha creato banche cheprovano a investire i risparmi in modo non speculativo, ma pro-muovendo azioni eticamente corrette (Finanza Etica), e altriancora hanno dato vita a gruppi che producono energia usandofonti rinnovabili. E poi molti, avendo compreso che in questaterra di tutti non ci sono risorse da sprecare, provano a limitare iconsumi, semplicemente facendo attenzione all’uso della luce,del gas, non appesantendo le pattumiere di rifiuti da smaltire.

Non esiste un’unica prospettiva perché tocca a ognuno di noitrovare la strada nella propria quotidianità e nel proprio territo-rio, inventando soluzioni o proposte con l’attenzione a chi fa piùfatica. Solo questo criterio permette di assicurare uno vero svi-luppo per tutti, senza escludere nessuno.

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per la strada una donna con quella borsa, sa che è ricca o perlo-meno una raffinata benestante. Mi raccontava la padrona diuna boutique di una città che molte signore di un prestigiosoClub internazionale compravano da lei abiti, borse, scarpe ecappelli, a rate, senza poterseli permettere, lasciando da pagareper mesi, per mantenere un’immagine di classe nelle riunionidel Circolo.

Che tristezza! Pensare che ognuno di noi è una persona singo-lare, originale, unica, non ha bisogno di “sembrare” ma di poteresprimere ciò che è veramente. Questa caratteristica che ciappartiene è la nostra bellezza: quello che siamo, con le nostrefragilità e le nostre sicurezze.

Insieme ad altriRecuperare la dimensione della relazione con l’altro, con gli

altri, è la prima chiave per aprire gli occhi. Più il confronto avvie-ne tra diversità, più esiste possibilità di comprendere. Questa tri-ste ossessione che caratterizza l’Italia oggi - la voglia di unifor-mità, definizione, controllo, sicurezza, che viene espressa condichiarazioni e prese di posizione contro molti “diversi” dellasocietà – porta a trovarsi tra simili, ragionare con le stesse moda-lità di pensiero, delle medesime opinioni.

Dove sta la ricchezza? Chi ha una amico gay o “zingaro” oextracomunitario o appartenente ad una delle moderne sacchesociali da esiliare, sa quanta ricchezza ci sia in ogni incontro, per-ché il confronto tra vite diverse regala la scoperta di orizzontinuovi e la capacità di intendere meglio ciò che avviene nelmondo.

Molte delle questioni politiche e sociali attuali soffrono per lamancanza di questa opportunità.

L’attenzione verso l’altro, la pratica delle relazioni, il valoriz-zare la differenza, sono spunti che offrono risposte a quei pro-blemi .

Quando alcuni uomini hanno iniziato a vedere cosa esistevadietro al ciclo produttivo delle nostre società, a confrontarsi conchi aveva un altro punto di vista perché viveva in una diversaparte del Pianeta, è nato un pensiero che ha iniziato a farsi senti-re, dapprima su qualche rivista, poi su internet e si è diffuso sulibri che sono stati tradotti in molte lingue e ha permesso ad altridi provare ad aprire gli occhi. Un esempio, non certo l’unico, èPadre Zanotelli che grazie all’incontro con gli abitanti diKorogocho, una delle bidonville del Kenya, ha conosciuto l’altrafaccia del nostra ricchezza, il lato nascosto dei nostri acquisti, deinostri sprechi, dei nostri rifiuti.

Vedere, osservare, iniziare a comprendere, confrontare opi-nioni e intuizioni permette di trovare connessioni, scoprireincongruenze, sviluppare un pensiero critico che sa proporremodi diversi di stare al mondo e generare vero sviluppo.

143Progresso: avanti tutta!...?

Gli obiettivi sono realizzabili tecnicamente ed economica-mente e mettono in luce quello che manca per eliminare lapovertà e le disuguaglianze: la volontà politica, la capacità di met-tere tali azioni al centro delle agende politiche e delle prioritàlocali, nazionali e internazionali.

Per realizzarli è necessario attuare un modello di sviluppo cherenda protagonista la persona. Fondamentale è il ruolo di pres-sione che la società civile può e deve esercitare sui leader politicidei Paesi ricchi e dei Paesi poveri perché vengano rispettati gliimpegni assunti.

Tutti i cittadini del mondo dovrebbero far sentire la propriavoce schierandosi apertamente a favore di un mondo più giusto.

Per fare in modo che questi obiettivi siano raggiunti entro il2015 e che le promesse vengano rispettate nasce la Campagnadelle Nazioni Unite “No excuse 2015”.

http://www.millenniumcampaign.it

Campagna Onu “No Excuse 2015”La Campagna del Millennio è una

campagna delle Nazioni Unite chemira ad informare i cittadini delmondo sugli Obiettivi di Sviluppo delMillennio e a ricordare ai governi gliimpegni assunti nel settembre del 2000presso le Nazioni Unite quando adotta-rono la Dichiarazione del Millennio,impegnandosi ad aumentare lo sforzo per eliminare la povertà,incrementare l’accesso ai servizi sociali di base, promuovere lapace, i diritti umani e la sostenibilità ambientale.

E’ una campagna di sensibilizzazione che coinvolge i cittadinidi tutto il mondo, le organizzazioni della società civile e gli entilocali con il comune obiettivo di eliminare la povertà nel mondoe ottenere il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio.

Nel 2000 i leader mondiali si impegnarono a raggiungere entroil 2015 otto Obiettivi di Sviluppo; obiettivi concreti, misurabili,dettagliati, inseriti in un orizzonte temporale definito e scanditoda tappe intermedie. Per la prima volta è stato siglato un pattoglobale basato sull’impegno e la responsabilità reciproca deipaesi ricchi e dei poveri per costruire un mondo più giusto e sicu-ro per tutti entro il 2015. Per la prima volta i paesi poveri e i paesiricchi non sono gli uni contro gli altri ma insieme per porre finealla povertà estrema. Per la prima volta non abbiamo scuse persottrarci alle nostre responsabilità. Eppure a 7 anni dalla firmadella Dichiarazione, gli obiettivi intermedi previsti non sono statiraggiunti.

Il 2007 è un anno cruciale per la lotta alla povertà perchésegna il medio termine per il raggiungimento degli Obiettivi delMillennio. E’ il momento di fare dei bilanci e di accelerare il per-

142 Osservatorio sulla Cittadinanza

Gli obiettivi del millennio: otto impegni di sviluppoNel settembre del 2000, durante il Vertice del Millennio presso

le Nazioni Unite, 189 capi di Stato e di Governo si sono impegna-ti a raggiungere, entro il 2015, gli otto obiettivi di sviluppo:

1 Eliminare l’estrema povertà e la fame• Ridurre della metà la proporzione di chi vive con menodi 1 dollaro al giorno.• Ridurre della metà la proporzione di chi soffre la fame.

2 Garantire la formazione scolastica di base• Garantire che tutti, ragazze e ragazzi, completino uncorso di educazione primaria.

3 Promuovere la parità tra i sessi e l’empowerment fem-minile• Eliminare la disparità tra i generi nell’educazione prima-ria e secondaria entro il 2005 e a tutti i livelli.

4 Ridurre la mortalità infantile• Ridurre di due terzi l’incidenza della mortalità per i bam-bini sotto i 5 anni.

5 Migliorare la salute delle madri• Ridurre di tre quarti la mortalità per parto.

6 Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie • Fermare e cominciare a ridurre la diffusione di HIV/AIDS.• Fermare e cominciare a ridurre l’incidenza della malariae di altre gravi malattie.

7 Garantire un ambiente sostenibile• Integrare i principi di uno sviluppo sostenibile nelle poli-tiche e nei programmi dei diversi paesi.

8 Sviluppo di una partnership mondiale per lo sviluppo• Sviluppare ulteriormente e aprire sistemi commerciali efinanziari basati su regole, su cui si possa contare e >>.

Approfondimenti

145Progresso: avanti tutta!...?

Protocollo di Kyoto Con il Protocollo di Kyoto i paesi industrializzati si impegna-

rono a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 5,2%rispetto al 1990. Il negoziato venne stipulato a Kyoto, inGiappone, nel dicembre 1997 durante la Conferenza COP3 dellaConvenzione Quadro delle Nazioni Unite sui CambiamentiClimatici (Unfccc).

La sottoscrizione iniziale dei paesi era un atto puramente for-male. Soltanto la successiva ratifica dell’accordo da parte dei par-lamenti nazionali formalizzava l’impegno del paese a ridurre leemissioni.

Dal protocollo di Kyoto erano esclusi i paesi in via di sviluppoper evitare di frapporre ulteriori barriere alla loro crescita econo-mica. Un punto molto dibattuto e che trova ancora oggi il disac-cordo degli Stati Uniti soprattutto per l’esclusione dagli impegnidei grandi paesi emergenti dell’Asia, India e Cina. L’assenza degliUsa e della Russia hanno penalizzato per molti anni il lancio ope-rativo dell’accordo, rimasto a lungo tempo “sospeso”. Nel 2002avevano ratificato l’atto già 55 paesi senza però coprire il 55%della produzione globale di emissioni di gas serra. Solo dopo laratifica della Russia nel settembre 2004 si è superato finalmente illimite minimo previsto del 55% e data operatività al Protocollo.

Restano, in ogni caso, ancora fuori paesi come Australia e StatiUniti, rei di non aver ratificato l’accordo per paura di danneggia-re il proprio sistema industriale.

Tratto da: www.ecoage.com

GAS - Gruppi di Acquisto SolidaleUn gruppo d’acquisto è formato da un insieme di persone che

decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti ali-mentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro.

Un gruppo d’acquisto diventa solidale nel momento in cuidecide di utilizzare il concetto di solidarietà come criterio guidanella scelta dei prodotti. Solidarietà che parte dai membri delgruppo e si estende ai piccoli produttori che forniscono i prodot-ti, al rispetto dell’ambiente, ai popoli del sud del mondo e a colo-re che - a causa della ingiusta ripartizione delle ricchezze - subi-scono le conseguenze inique di questo modello di sviluppo.

Ogni GAS nasce per motivazioni proprie, spesso però alla basevi è una critica profonda verso il modello di consumo e di econo-mia globale ora imperante, insieme alla ricerca di una alternativapraticabile da subito. I gruppi cercano prodotti provenienti dapiccoli produttori locali per avere la possibilità di conoscerlidirettamente e per ridurre l’inquinamento e lo spreco di energiaderivanti dal trasporto. Inoltre si cercano prodotti biologici o eco-logici che siano stati realizzati rispettando le condizioni di lavoro.

I gruppi di acquisto sono collegati fra di loro in una rete che

144 Osservatorio sulla Cittadinanza

corso di riforme per vincere la povertà. La mobilitazione di otto-bre con la seconda edizione dell’evento Stand Up! per ricordare lagiornata delle Nazioni Unite contro la povertà e per gli Obiettividi Sviluppo del Millennio vedrà milioni di persone nel mondoalzarsi in piedi per la lotta alla povertà e per il rispetto dei dirittiumani. Verrà lanciato l’appello “Stand Up! Speak out! Alzati e faisentire la tua voce!”. La Campagna del Millennio dell’Onu è pre-sente in Italia dal 2001.

Agenda 21È parte degli impegni sottoscritti da 178 paesi nel quadro della

Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo di Riode Janeiro nel 1992. Contiene strategie e misure utili a promuo-vere lo sviluppo sostenibile. Il piano d’azione elaborato a livellocomunale, provinciale e regionale viene chiamato “Agenda 21locale”.

BoicottaggiolI boicottaggio, inteso come “strumento democratico”, ed effi-

cace, che i consumatori hanno a disposizione per costringere leAziende ritenute non etiche a rivedere il proprio comportamen-to, è invece una scelta più radicale delle campagne di pressione],una scelta decisa e mirata su un prodotto od azienda specifica.Esso consiste nella interruzione volontaria, temporanea, dell’ac-quisto di prodotti , generalmente accompagnata da una intensacampagna stampa, avente il fine ultimo di far desistere le azien-de dalla adozione di certe politiche aziendali.

Le campagne di boicottaggio sono difficili; alcune di queste nonraggiungono l’obiettivo per tantissimi anni ed ormai i grandigruppi economici riescono ad reagire in maniera rapida, forman-do cartelli in settori vitali come quello farmaceutico, agro-ali-mentare o delle comunicazioni, al fine di contenere e limitarel’efficacia di dette campagne.

L’esperienza, comunque, dimostra che dove i consumatori sifanno sentire, le imprese sono disposte a cambiare, non perché siconvertono all’ambiente o alla giustizia, ma perché non voglionoperdere quote di mercato. La pressione dei consumatori e dell’o-pinione pubblica ha indotto multinazionali famose come DelMonte, Levi’s e Reebok ad adottare un codice di comportamentoper il rispetto dei lavoratori. In Europa, realtà consolidate qualiCoop ed Ikea, hanno deciso di vendere solo prodotti di aziendeche garantiscano il non utilizzo di lavoro minorile, ed in generaleil rispetto dei lavoratori.

147Progresso: avanti tutta!...?

- trasparenza degli scambi - abuso del potere - armi ed esercito - sicurezza dei lavoratori - regimi oppressivi - rispetto animali

Tratto da: www.utopie.it www.centroconsumatori.it

Bilanci di giustiziaRaccolgono famiglie intenzionate a revisionare criticamente i

loro consumi, confrontandosi e aiutandosi all’interno del gruppo.Le famiglie sono poi collegate a livello nazionale per scambiare leesperienze, incontrarsi, elaborare statistiche sui loro bilanci dispesa familiare e promuovere una cultura della sostenibilità.L’esperienza di queste famiglie e i loro bilanci dimostrano che èpossibile revisionare i propri stili di vita e di consumo nel sensodella sostenibilità e che in questo modo migliora anche la qualitàdella propria vita.

Tratto da Invito alla sobrietà felice di G. Bologna, F. Gesualdi, F. Piazza, A. Saroldi - EMI

MAG (Mutue di Auto Gestione)Le MAG sono cooperative per la gestione del risparmio che

utilizzano i risparmi dei soci per finanziare progetti nel settore“no profit”: attività sociali, ambientali e culturali. E’ ora nata laBanca Popolare Etica che riprende a livello nazionale i principidella autogestione del risparmio e della trasparenza sul suo uti-lizzo. Sul territorio sono attive le Circoscrizioni Territoriali (CIT)che si occupano di promuovere il progetto Banca Etica e di sensi-bilizzare sulle tematiche della finanza.

Tratto da Invito alla sobrietà felice di G. Bologna, F. Gesualdi, F. Piazza, A. Saroldi - EMI

Cooperative (edilizie)Le cooperative edilizie hanno lo scopo di associare persone di

varie professioni e condizioni per assicurare loro l’acquisto diun’abitazione in proprietà o in affitto; sono volte pertanto a pro-curare un alloggio direttamente al soci, differenziandosi in talmodo dalle cooperative di produzione e lavoro nel settore dell’e-dilizia, che svolgono un’attività di produzione per conto terzi.

Tratto da: www.ambientediritto.it

146 Osservatorio sulla Cittadinanza

serve ad aiutarli e a diffondere questa esperienza attraverso loscambio di informazioni. Attualmente in Italia sono censiti uncentinaio di GAS.

Tratto da: www.retegas.org

Commercio Equo e SolidaleIl Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al

commercio convenzionale: il suo scopo è promuovere giustiziasociale ed economica e sviluppo sostenibile attraverso il com-mercio, la formazione, la cultura, l’azione politica.

Il Commercio Equo e Solidale vuole riequilibrare i rapporti coni Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l’accesso almercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati.

Garantisce, infatti, ai produttori un giusto guadagno e condi-zioni di lavoro dignitose. Elimina le intermediazioni speculative esostiene, con il prefinanziamento, progetti di autosviluppo.

Il Commercio Equo e Solidale propone una nuova visione del-l’economia e del mondo, attenta agli interessi di tutti. […].

Il Commercio Equo e Solidale è un movimento che vanta oltre40 anni di attività a sostegno di contadini e artigiani del Sud delmondo. Si tratta oggi di un’ alternativa concreta e sostenibile alleiniquità del commercio internazionale, che nelle idee dei pionie-ri iniziò con piccole azioni di solidarietà per dimostrare la possi-bilità effettiva di una sintesi tra concretezza e idealismo. Lavorarenel Commercio Equo e Solidale, o sostenerlo come consumatoriconsapevoli o come volontari, significa credere che un mondodiverso è possibile nella misura in cui accettiamo le nostre picco-le grandi responsabilità quotidiane di cittadini inevitabilmenteinseriti nei meccanismi economici della società globale.

Tratto da: www.commercioequo.org

Consumo criticoIl consumo critico è un comportamento che consiste nel

comprare un prodotto sulla base non solo del prezzo e della qua-lità, ma anche in base all’impatto ambientale e sociale. Le valuta-zioni possono essere svolte sia sul prodotto che si vuole acquista-re, sia più in generale sul comportamento del produttore o delgruppo industriale cui appartiene. Dall’interazione sinergicadelle azioni svolte nei rispettivi campi (produzione, regolamenta-zione, distribuzione di servizi, controllo consapevole) può venireun nuovo modello di consumo sostenibile, che riesca a rafforza-re coesione e benessere sociale in risposta a limiti ambientali esociali.

Alcuni criteri su cui si può basare la scelta per i consumi:- rispetto ambiente e salute - rispetto del lavoratore e dei minori

149Progresso: avanti tutta!...?

guidare nell’acquisizione di una buona capacità di spesa e dirisparmio.

• Il concetto di gruppo che garantisce ciascun beneficiario: il pre-stito infatti viene concesso solo a condizione che il richiedentefaccia parte di un gruppo di 5 persone, le quali devono obbliga-toriamente risiedere nello stesso villaggio. I gruppi si auto-sele-zionano in base a criteri stabiliti dalla banca: le donne devonoappartenere allo stesso villaggio, ma non alla stessa famiglia,avere le stesse condizioni economiche e, più o meno, lo stessolivello di educazione. Il sistema si basa sulla convinzione che ledonne del gruppo, conoscendosi, possono controllarsi e valuta-re l’attendibilità di ciascun componente del gruppo stesso.

Un fattore rilevante è che la Banca si muove verso il gruppo,ossia è la banca che va incontro alle esigenze dei poveri offrendoloro un servizio, eliminando così gli ostacoli culturali, politici,amministrativi, che generalmente non permettono ai poveri diavvicinarsi ad un normale servizio bancario. Questo fa in modoche il cliente trovandosi direttamente a contatto con il funziona-rio a casa propria o nel proprio villaggio non si senta inferiore eriesca ad aumentare la stima di se stesso, base fondamentale perla creazione di un’attività produttiva autonoma.

Tratto da: www. ospiti.peacelink.it

Certificati bianchiTitoli di efficienza energetica commerciabili. Il meccanismo

prevede la creazione di un mercato di titoli di efficienza energetica,attestanti gli interventi realizzati, per certi versi simile a quello deicertificati verdi per la generazione di energia elettrica da rinnova-bili. Gli interventi ammissibili sono numerosi: ad esempio, instal-lazione di elettrodomestici o motori industriali ad alta efficienza,sistemi solari termici o a biomassa, isolamento termico degli edifi-ci, sistemi di teleriscaldamento, impianti fotovoltaici.

Certificati verdi (REC Renewable Energy Certificates)Introdotti dal Decreto Ministeriale 11 novembre 1999 per

incentivare il mercato dell’energia da fonti rinnovabili, rappre-sentano la “certificazione” che un certo quantitativo di energiaelettrica è prodotto da fonte rinnovabile. Dal 2001 tutti i soggettiche importano o producono energia elettrica da fonti non rinno-vabili dovranno immettere in rete anche una quota prodotta dafonti rinnovabili. La quota è inizialmente stabilita nel 2% dellaproduzione (o importazione) di energia eccedente i 100GWh/anno.

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Cooperazione internazionaleLa parola “cooperazione “ indica un operare insieme per la

crescita di tutti gli attori cooperanti.La cooperazione internazionale è quell’insieme di attività e

processi che, sia a livello statuale e intergovernativo, sia a livellodi associazioni non governativo (ONG), vengono messe in atto,secondo finalità condivise, per combattere alla radice le varieforme di sottosviluppo o di divario socio-economico. La coopera-zione proprio per questo suo carattere più ampio si distinguedagli aiuti economici.

Turismo responsabileOrganizzazioni di vario tipo propongono viaggi secondo i cri-

teri del turismo responsabile, utilizzando i loro contatti con realtàlocali come cooperative di produttori, Organizzazioni NonGovernative, associazioni culturali, missioni.

Tratto da Invito alla sobrietà felice di G. Bologna, F. Gesualdi, F. Piazza, A. Saroldi - EMI

Banca dei poveriLe banche dei poveri sono istituti bancari che operano,

soprattutto nei paesi del Terzo Mondo, Yunus Muhammad hafondato la Grameen Bank che è diventata una vera e propriaBanca per i poveri nel 1983, ed opera esclusivamente con lepopolazioni che vivono nelle zone rurali del paese, dove è più dif-ficile trovare opportunità lavorative. La Banca concede prestitisolo al 20% più povero di quel 35% della popolazione che inBangladesh si trova al di sotto della soglia della povertà. Questo20% dei “più poveri dei poveri”, è rappresentato da coloro chenon possiedono nulla: né terra, né casa, né lavoro. Oggi il 95% deibeneficiari di Grameen è rappresentato dalle donne è ciò perché,in gran parte dei paesi sottosviluppati.

Il metodo sul quale si fonda il sistema Grameen è basato sualcuni punti considerati fondamentali per la realizzazione delprogetto:• concedere prestiti a coloro che non possono fornire alcuna

garanzia, per il sistema bancario tradizionale; • aiutare i poveri che vivono nelle zone rurali a svincolarsi dall’u-

sura; • incentivare un sistema che permetta ai poveri di autogestirsi

sviluppando un’attività economica autonoma, che generi red-dito e che permetta l’auto-sostentamento in modo da demolireil circolo vizioso della povertà: “niente investimento, nienteguadagno, niente risparmi, niente investimento”;

• far sì che i poveri si strutturino in un organizzazione che li possa


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