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Biodiversit., biopirateria, biosicurezza · 1.4 Il Progetto sulla conservazione della diversità...

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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Politiche ‘Cesare Alfieri’ Corso di laurea in Scienze Politiche, Indirizzo Politico-Internazionale BIODIVERSITA', BIOPIRATERIA, BIOSICUREZZA il diritto internazionale frammentato Tesi di laurea in Diritto Internazionale Relatrice: Prof.ssa Spinedi Candidato: Simone Vezzani Anno accademico 2002-2003
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Università degli Studi di Firenze

Facoltà di Scienze Politiche ‘Cesare Alfieri’

Corso di laurea in Scienze Politiche, Indirizzo Politico-Internazionale

BIODIVERSITA', BIOPIRATERIA, BIOSICUREZZA

il diritto internazionale frammentato

Tesi di laurea in Diritto Internazionale

Relatrice: Prof.ssa Spinedi

Candidato: Simone Vezzani

Anno accademico 2002-2003

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INDICE

Tavola delle abbreviazioni p. 7

INTRODUZIONE p. 9

CAPITOLO I

LA TUTELA INTERNAZIONALE DELLA BIODIVERSITÀ

Paragrafo 1: Lo sviluppo del regime pattizio e la Convenzione di Rio1.1 Una sola Terra! p. 21

1.2 L'approccio settoriale: dalla ‘preistoria’ del diritto internazionale p. 22 dell’ambiente agli anni ’70

1.3 Dalla Carta mondiale della natura alla Conferenza di Rio p. 26

1.4 Il Progetto sulla conservazione della diversità biologica elaborato p. 29 dall’Unione internazionale di protezione della natura

1.5 I lavori preparatori della Convenzione di Rio p. 32

1.6 L'esito della negoziazione: gli obblighi posti agli Stati p. 34 dalla Convenzione

1.7 (segue) Il meccanismo di controllo p. 37

1.8 (segue) Il meccanismo di finanziamento p. 38

1.9 (segue) Una convenzione-quadro p. 41

1.10 (segue) Un diritto verde? p. 44

1.11 (segue) La dottrina della ‘preoccupazione comune dell’umanità’ p. 45

Paragrafo 2: La tutela della biodiversità nel diritto consuetudinario2.1 Relazioni bilaterali e ‘bonum comune totius orbis’ p. 54

2.2 La Convenzione di Rio e il diritto consuetudinario p. 56

2.3 Pinnipedi e ‘bonos mores’ p. 59

2.4 Sovranità sulle risorse biologiche e ‘trust for the benefit of mankind’ p. 61

2.5 Dalla dottrina Harmon all’uso non nocivo del territorio p. 66

2.6 Obblighi bilaterali e ‘erga omnes’ p. 69

2.7 (segue) La tutela della biodiversità: obbligo ‘erga omnes’? p. 73

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CAPITOLO II

IL REGIME GIURIDICO DELLE RISORSE GENETICHE

Paragrafo 1: 'Semina libera' e patrimonio comune dell’umanità1.1 Semi, sultani e ladri di caffé p. 81

1.2 I ‘munera telluris’ e la nozione di patrimonio comune dell’umanità p. 85

1.3 (segue) Il patrimonio comune dell’umanità nel diritto del mare p. 86

1.4 (segue) Patrimonio comune dell’umanità e risorse genetiche p. 91

Paragrafo 2: Sovranità e ‘recinzione’ delle risorse genetiche2.1 Il vento della sovranità p. 94

2.2 (segue) Dalla Convenzione di Rio all’approccio regionale p. 97

2.3 Oltre la sovranità: il Trattato internazionale sulle risorse p. 105 fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO 2001)

CAPITOLO III

BIODIVERSITÀ E DIRITTI DI PROPRIETÀ INTELLETTUALE

Paragrafo 1: Dalle ‘litterae patentes’ ai brevetti sui geni1.1 Premessa p. 111

1.2 L’invenzione e il brevetto: un cenno storico p. 112

1.3 Il brevetto nelle legislazioni moderne p. 114

1.4 E’ vivente quindi non è brevettabile p. 116

1.5 ‘Seeds’ e ‘grains’ p. 117

1.6 Il regime UPOV e le privative sui ritrovati vegetali p. 119

1.7 Verso la privatizzazione dei ‘semina rerum’ p. 122

1.8 (segue) L’affare Diamond contro Chakrabarty p. 124

1.9 E’ vivente… ma è brevettabile p. 126

1.10 La revisione della Convenzione UPOV (1991) p. 129

1.11 La dimensione internazionale dei diritti di proprietà intellettuale: p. 131 dalla Convenzione di Parigi all’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale legati al commercio (Accordo TRIPs)

1.12 L’art. 27 dell’Accordo TRIPs p. 135

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1.13 (segue) Procedimenti essenzialmente biologici, non biologici e p. 138 microbiologici per la produzione di piante e animali

1.14 (segue) La brevettabilità degli organismi viventi geneticamente p. 140 modificati e delle loro componenti

1.15 (segue) La revisione dell’art. 27, par. 3, lett. b) p. 141

1.16 (segue) La brevettabilità delle invenzioni pericolose per l’ambiente p. 143

Paragrafo 2: Diritti di proprietà intellettuale e ripartizione giusta ed equa dei benefici derivanti dallo sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche 2.1 Premessa p. 145

2.2 Biorazzia e biopirateria: due neologismi p. 146

2.3 Brevetti e accesso alle risorse biologiche e genetiche: la biorazzia p. 155

2.4 (segue) Brevetti e accesso alle risorse biologiche e genetiche p. 158 situate in aree non soggette alla sovranità degli Stati

2.5 Ripartizione dei vantaggi e diritti degli agricoltori p. 159

2.6 Ripartizione dei vantaggi e diritti dei popoli autoctoni p. 163

2.7 Biopirateria e protezione delle tecnologie collettive p. 169

2.8 Biorazzia, biopirateria e ‘spazio giuridico europeo’ p. 175

2.9 Ripartizione dei vantaggi: trasferimento finanziario e trasferimento tecnologico

2.10 (segue) Cactus dietetici e ‘riso d’oro’ p. 178

2.11 (segue) Biotassa e World Gene Fund p. 182

2.12 (segue) Una proposta possibile. p. 188

CAPITOLO IV

BIOINQUINAMENTO E BIOSICUREZZA

Paragrafo 1: La nozione giuridica di bioinquinamento1.1 Norme internazionali sull’introduzione ed il controllo delle specie p. 191 alloctone e invasive

1.2 (segue) Il caso degli organismi geneticamente modificati p. 194

1.3 (segue) Organismi geneticamente modificati e p. 198 sistemi agricoli nazionali

1.4 Bioinquinamento e risarcimento del danno: qualche p. 201 considerazione preliminare

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Paragrafo 2: Protocollo di Cartagena e biosicurezza2.1 Verso il Protocollo sulla biosicurezza p. 207

2.2 Il Protocollo di Cartagena: obiettivi e ambito di applicazione p. 211

2.3 (segue) La procedura di accordo preliminare in conoscenza di causa p. 213

2.4 (segue) La cornice istituzionale p. 216

2.5 Accordi ambientali multilaterali e libertà del commercio internazionale p. 218

2.6 Biosicurezza e principio di precauzione p. 220

2.7 Biosicurezza e diritto dell’organizzazione mondiale del commercio p. 223

2.8 (segue) Il rapporto fra il Protocollo di Cartagena e gli accordi p. 226 gestiti dall’Organizzazione mondiale del commercio

CONCLUSIONE p. 230

BIBLIOGRAFIA p. 239

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TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

AFDI Annuaire français de droit international

AJIL American Journal of International Law

AYIL Australian Yearbook of International Law

CJIELP Colorado Journal of International Environmental Law & Policy

ICLQ International and Comparative Law Quarterly

ILM International Legal Materials

IPLR Intellectual Property Law Review

IJIL Indian Journal of International Law

JDI Journal de droit international

JWT Journal of World Trade

JEL Journal of Environmental Law

EELR European Environmental Law Review

EIPR European Intellectual Property Review

EJIL European Journal of International Law

RECIEL Review of European Community & International Environmental Law

Recueil des cours Recueil des cours de l’Académie de droit international de la Haye

RDI Rivista di diritto internazionale

RGDIP Revue générale de droit international public

RIDC Revue internationale de droit comparé

RJE Revue juridique de l’environnement

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INTRODUZIONE

A partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, il termine ‘biodiversità’ ha fatto

il suo ingresso nel linguaggio giuridico, ed occupa attualmente un ruolo importante

nell’agenda diplomatica e nella vita di relazioni internazionali.

La parola, la cui paternità viene attribuita ad Edward Wilson1, padre della

sociobiologia, è una contrazione dell’espressione ‘diversità biologica’ ed indica la

ricchezza e la molteplicità delle forme di vita. La biodiversità si manifesta a tre livelli

diversi:

- la varietà degli ecosistemi che ospitano gli organismi viventi (foreste pluviali, zone umide, ambienti marini, savana, gariga, tundra, etc.);

- l’eterogeneità delle specie che popolano un particolare habitat (varietà interspecifica)2;

- la variabilità genetica all’interno di una stessa specie (varietà infraspecifica) 3.

Per una serie complessa di cause ambientali, la diversità biologica non è ugualmente

ripartita sulla Terra. Motivazioni di tipo paleoclimatico spiegano in gran parte la summa

divisio esistente fra i paesi temperati dell’emisfero Nord (come Europa e Nord America),

generalmente poveri in termini di biodiversità, e le regioni tropicali in particolar modo

dell’emisfero meridionale (in Asia, Africa, America ed Oceania) che non hanno subito

l’effetto delle ultime glaciazioni (18000 anni fa) ed ospitano attualmente allo stato

naturale la grande maggioranza delle specie viventi4.

1 Di questo autore si ricorda in particolar modo l’opera seminale Biodiversity (a cura di WILSON),Washington, 1986, forse la prima della vasta letteratura scientifica attualmente disponibile sull’argomento.2 Sono state identificate sino ad oggi circa 1,7 milioni di specie. Se risulta praticamente impossibileinventariare tutte le specie che popolano il nostro pianeta, le estrapolazioni indicano in genere una cifracompresa fra 7-20 milioni. I modelli matematici utilizzati, comunque, danno adito a risultati alquantodivergenti e le stime variano da 3 fino a 100 milioni (LEVEQUE, La biodiversité, Paris, 1997 p. 25).3 Secondo l’art. 2 della Convenzione sulla biodiversità, si definisce come diversità biologica ‘la variabilitédes organismes vivants de toute origine y compris, entre autres, les écosystèmes terrestres, marins et autresécosystèmes aquatiques et les complexes écologiques dont ils font partie; cela comprend la diversité ausein des espèces et entre espèces ainsi que celle des écosystèmes’ (il testo della Convenzione è rinvenibilesu Internet all’indirizzo www.biodiv.org, pagina base).4 LEVEQUE, op. cit., pp. 26 ss. Secondo alcune stime recenti, ad esempio, il Messico ospita da solo il14% delle specie mondiali. Si è parlato più volte, a questo riguardo, di 'debito ecologico' dei PaesiOccidentali. E’ sintomatico constatare come l'unica pianta di interesse agronomico originaria degli StatiUniti sia il girasole! (LEVEQUE, op. cit., p. 50).

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Le comunità umane, legate per secoli ad un determinato territorio, hanno modellato

su questo non soltanto le pratiche agricole e di allevamento, ma anche i costumi, i riti, le

tradizioni, il linguaggio5. D’altra parte, fin dalla sua apparizione, l’Homo sapiens

sapiens ha trasformato in maniera incisiva l’ambiente che lo circondava per adattarlo alle

sue esigenze e al soddisfacimento dei propri bisogni. L’addomesticamento degli animali

e soprattutto la scoperta dell’agricoltura (circa 10000 anni fa) hanno rappresentato un

momento importante nella storia biologica del pianeta. L’uomo agricoltore ha infatti

modificato sensibilmente i paesaggi, gli habitat naturali e la biosfera, disboscando vaste

aree, irrigando i campi e selezionando nuove varietà vegetali.

Con l’avvento della rivoluzione industriale, le nuove e sempre più potenti tecnologie a

disposizione dell’uomo hanno cominciato ad interagire velocemente e su scala globale

con i delicati equilibri ambientali e biologici. Nonostante gli ultimi decenni siano stati

caratterizzati da una crescente presa di coscienza delle opinioni pubbliche come dei

governi nazionali dei limits to growth e delle limitate carrying capacities del pianeta, le

più recenti ricerche scientifiche non sembrano propiziare considerazioni molto

rassicuranti sul futuro della biodiversità. La comunità scientifica è concorde nel

sottolineare come, sotto l'impatto delle attività antropiche, gli ecosistemi naturali

continuino a conoscere una degradazione rapida e generalizzata sia nei paesi

industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo6. Se la comparsa e la scomparsa di specie

rientra nell’ordine dell’evoluzione, l’estinzione massiccia di piante, animali e insetti nel

corso del secolo appena trascorso è del tutto eccezionale e può essere confrontata per

dimensioni con la sparizione dei dinosauri di 65 milioni di anni fa. Anche se l'attenzione

dei media e dei decisori politici si limita spesso alla macrofauna carismatica (panda,

tigre, balene, elefante, etc.), il problema interessa ormai tutta la biosfera.

5 Non si fa qui riferimento soltanto alle culture indigene che rischiano di essere distrutte per sempreinsieme alle foreste equatoriali. L'importanza che nel terzo millennio riveste la politica agricola nei grandiPaesi industrializzati (Stati Uniti, Unione europea, Giappone) mostra come i legami costruiti intorno allespecificità territoriali - difficilmente riducibili alla sola dimensione economica e commerciale -rappresentino in tutte le civiltà un elemento importante dell'identità e della coesione sociale. Per una sintetica ed efficace ricostruzione delle relazioni fra esseri umani e agricoltura, v.PORCEDDU, DE PACE, TANZARELLA, Biodiversità e biotecnologie, relazioni e conflitti, in Quadernidei Georgofili, Firenze, 1999, in particolare pp. 29 ss.6 Sarà sufficiente ricordare che, secondo alcune recenti stime, più di 33 000 specie vegetali sonoattualmente a rischio di estinzione insieme al 12,5% della fauna mondiale (WWF Italia, Programma diconservazione 2003). Secondo The State of the World 2003, in particolare, rischiano l'estinzione il 25% deimammiferi e il 12% degli uccelli. Stime analoghe risultano da uno studio pubblicato dalla rivista Naturenel 2003, secondo il quale entro il 2050 la Terra potrebbe perdere, soprattutto a seguito dei cambiamenticlimatici, una quota variabile dal 15 al 37% delle specie attualmente esistenti. Ulteriori approfondimentipossono essere rinvenuti su Internet, nei siti www.uicn.int, www.wri.org, www.worldwatch.org,www.wwf.it, (pagine base).

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Senza dubbio la distruzione della foresta equatoriale, vero e proprio 'santuario' della

biodiversità, gioca un ruolo importante in questo processo di erosione7. Ad essa si

uniscono il drenaggio delle zone umide, i fenomeni di desertificazione, l'inquinamento

industriale, l’incremento demografico e il conseguente processo di urbanizzazione, il

commercio internazionale delle specie rare o a rischio di estinzione, etc.8

Da sempre l'uomo ha sfruttato gli organismi viventi del pianeta, oltre che come fonte

alimentare, per trarne numerose utilità. Le piante, oggetto principale del presente lavoro,

vengono ancora oggi utilizzate come materie prime in numerosi processi produttivi:

come fonte di fibre, farmaci e combustibili. Secondo alcune stime, il 40% delle medicine

e dei principi attivi commercializzati attualmente negli Stati Uniti sono ricavati,

direttamente o indirettamente, da risorse biologiche e la percentuale sale all'80% nei

paesi in via di sviluppo9.

Non essendo possibile conoscere l'utilità che potrà rivestire in futuro una certa specie

oggi priva di interesse commerciale, la conservazione della diversità interspecifica

mondiale è fondamentale per non privare in maniera irreversibile le generazioni future di

nuovi strumenti e opportunità10. Prima degli anni ’60 del secolo scorso, ad esempio,

nessuno avrebbe potuto immaginare che la società inglese Eli Lilly sarebbe riuscita ad

estrarre una potente sostanza antitumorale da una pianta selvatica del Madagascar (la

vinca rosea), apparentemente insignificante11.

Per quanto riguarda la diversità infraspecifica, come evidenziato in numerosi studi e

documenti della FAO, la base genetica ristretta delle coltivazioni costituisce una grave

7 E’ stato calcolato che da 1700 al 1980, circa 12 milioni di chilometri quadrati di foreste (ossia il 20%delle foreste mondiali) sono scomparsi per lasciare il posto alle terre coltivate (LEVEQUE, op. cit., p. 78).Il processo si è accelerato dopo il 1980. Attualmente, secondo alcune stime, scompaiono ogni anno 27milioni di acri di foreste (BOSSELMANN, Plants and Politics: the International Legal RegimeConcerning Biotechnology and Biodiversity, in CJIELP, 1996, p. 113).8 Stimato per un valore di 5 miliardi di dollari all’anno, il commercio di specie rare (orchidee, farfalle, tigri,etc.) è il terzo a livello internazionale dopo quello delle armi e delle sostanze stupefacenti! (KISS,BEURIER, Droit international de l’environnement, Paris, 2000, p. 250)9 SHIVA, Campi di battaglia. Biodiversità e agricoltura industriale, Milano, 2002, p. 24 e s. Il 62% delle medicine contro il cancro approvate negli Stati Uniti dall’US Food and Drug Administrationsono di origine naturale o sviluppate comunque a partire da prodotti naturali (LAIRD, Biodiversity andTraditional Knowledge, London, 2002, p. 246). Per altri dati, cfr. anche TEN KATE, LAIRD, TheCommercial Use of Biotechnology: Access to Genetic Resources and Benefit-Sharing, London, 1999.10 Spesso viene citato il caso del vaiolo che, scomparso in natura, è conservato in due laboratori situati inRussia e negli Stati Uniti. La comunità scientifica ritiene che anche questo temibile agente patogenopotrebbe rivelarsi utile nel futuro per la ricerca medica.11 Il farmaco ottenuto ha poi avuto un’ampia commercializzazione, fruttando alla multinazionale 160milioni di dollari nel solo 1993, ma senza alcuna remunerazione per il Madagascar o le popolazioni locali(RIFKIN, Il secolo biotech, Milano, 2002, p. 78). Si deve sottolineare che, se la pianta veniva da tempoutilizzata dai guaritori locali per il trattamento del diabete (LOUKA, Biodiversity & Human Rights, NewYork, 2002, p. 137), era comunque presente allo stato naturale in numerose altre regioni del mondo, fra lequali il Texas (BIRNIE-BOYLE, International Law and the Environment, Oxford, 1992, p. 734).

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minaccia per la sopravvivenza di una specie e, quindi, per la sicurezza alimentare12.

Quando le piante hanno fra loro un genoma troppo simile, condizioni climatiche avverse

o agenti patogeni che avrebbero potuto colpire in maniera selettiva gli individui con

diverso corredo cromosomico, possono provocare la distruzione di interi raccolti ed avere

conseguenze drammatiche sull'economia di un Paese.

Numerosi sono gli episodi riportati in letteratura. La proliferazione della Phytophora

Infestans nelle coltivazioni di patate geneticamente omogenee dell’Irlanda è tristemente

famosa per aver provocato la gravissima carestia del 1846. Meno note, ma ugualmente

distruttrici, sono state l'epidemia di ruggine del caffé che ha investito l'India nel 1870 e

quelle che hanno attaccato nel secolo scorso il frumento e il mais statunitensi13.

Quest'ultimo caso è emblematico e illustra bene sia il valore delle specie selvatiche, sia

l'imperativo ecologico di salvaguardarle.

Infatti, un rimedio all'epidemia vegetale che alla fine degli anni '60 stava colpendo il

granoturco americano fu trovato incrociando la varietà coltivata con una specie selvatica

(Zea Diploperennis) originaria delle foreste montane del Messico e della quale

rimanevano soltanto poche migliaia di esemplari14.

Gli studiosi di geopolitica hanno messo più volte in evidenza come il controllo delle

risorse naturali costituisca un fattore importante della politica estera degli Stati15.

Per quanto riguarda le risorse biologiche, occorre rilevare che, dal punto di vista

economico, esse sono molto diverse da altre risorse naturali quali il petrolio, i minerali

preziosi o il gas naturale. Non sempre, infatti, il materiale di origine animale o vegetale

viene utilizzato direttamente, rendendo necessario un approvvigionamento costante di

'materie prime', come accade nell'industria tradizionale estrattiva. Infatti, nel settore

biochimico e farmaceutico, il prelievo di alcuni campioni è spesso sufficiente a fornire

12 Un'ampia documentazione al riguardo è disponibile sul sito Internet della FAO www.fao.org (paginabase).13 Nel 1904, gran parte del grano americano andò distrutta perché le piante non erano resistenti alla rugginedei fusti del frumento. Altre epidemie devastanti, causate dalla ristretta base genetica delle specie coltivate,hanno colpito negli anni '90 gli alberi di arance e le piante di caffé del Brasile.14 HUFTY, La gouvernance internationale de la biodiversité, in Revue d' études internationales, 2001, pp.5 ss. Da questo punto di vista, i moderni sistemi di agricoltura intensiva, diffusi nel mondo a partire daglianni '50-'60 con la c.d. Rivoluzione verde, si rivelano particolarmente fragili. Se il progresso tecnologico ela selezione di nuove varietà hanno portato incontestabilmente ad un aumento della produttività dei terreni,questo è avvenuto infatti in tutto il mondo anche a costo della scomparsa di molte varietà locali e delladiminuzione della variabilità genetica. Un esempio fra i tanti riguarda il riso: se nelle aree rurali dell'Indiasi coltivavano un tempo più di 30 000 tipi diversi di riso, attualmente tre quarti dei raccolti nazionaliderivano da 10 varietà (http://www.unimondo.org/globpopoli/schede/biodiv_001.html). Le cifre sono, ancora una volta, significative: delle circa 250 000 piante commestibili che sono statecatalogate, soltanto 150-200 vengono coltivate oggi su larga scala (LEVEQUE, op. cit., p. 49); il 95% delfabbisogno alimentare mondiale è legato a trenta specie vegetali e i tre quarti della nostra dieta si basano suotto colture cereaicole (SHIVA, Campi, op. cit., p. 23).

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agli scienziati le indicazioni necessarie sulla composizione delle sostanze aventi le

proprietà ricercate, le quali, in alcuni casi, vengono poi riprodotte per via sintetica nei

laboratori16.

Nell’ambito delle risorse biologiche (che comprendono gli organismi viventi ed i loro

elementi) vanno acquisendo una crescente importanza le risorse genetiche, ovvero il

materiale di origine vegetale, animale o di altra natura contenente delle unità funzionali

dell’eredità17.

Ben prima della scoperta dell’esistenza e della struttura del DNA18, l’importanza

delle risorse genetiche era nota alle popolazioni rurali e agli agronomi che conservavano

di anno in anno il materiale di riproduzione degli organismi vegetali con caratteristiche

fenotipiche più utili (maggiore produttività, resistenza agli stress ambientali o agli agenti

patogeni, etc.).

Il problema del controllo delle risorse genetiche ha assunto un nuovo significato a

partire dagli anni ’70 quando, grazie agli straordinari progressi delle biotecnologie19, è

divenuto possibile manipolare batteri, piante e animali (e tutta la loro progenie) inserendo

nei loro nuclei cellulari segmenti estranei di acidi nucleici20. Essendo la struttura del

15 Per uno studio ormai classico, cfr. SPYKMAN, The Geography of Peace, Honcout, etc., 1945, p. 5.16 Fra le sostanze scoperte in origine a partire da materiale biologico e successivamente prodotte inlaboratorio si ricorderanno l’acido acetilsalicilico (aspirina), un tempo estratto dalla filipendola(LEVEQUE, op. cit., p. 45) e il tassolo, inizialmente estratto dall’albero del tasso (BIRNIE-BOYLE, op.cit., p. 733). Negli Stati Uniti sono stati concessi brevetti per la produzione di tassolo tramite un processochimico (US Patent No 4924011) e grazie all’utilizzo di batteri (US Patent No 6329193).17 La definizione qui proposta ricalca quella di ‘materiale genetico’ contenuta all’art. 2 della Convenzionedi Rio sulla biodiversità. Ai sensi della convenzione, per ‘risorse genetiche’ si intende il materiale geneticoche ha un valore effettivo o potenziale (ibidem). Occorre sottolineare che le risorse genetiche costituiscono un sottoinsieme delle risorse biologiche (cfr.Convenzione sulla biodiversità, preambolo (1° riconoscendo), definizione di risorse biologiche). Perragioni di praticità e conformità all’uso prevalente nella letteratura specialistica, nel lavoro si utilizzaspesso la formula ‘risorse biologiche e genetiche’. Questa deve essere letta come ‘risorse biologiche ed inparticolare genetiche’, espressione che sarebbe filologicamente più corretta.18 Acido deossiribonucleico. La scoperta del DNA, forse uno dei due più importanti eventi scientifici delventesimo secolo, è avvenuta nel 1953.19 Col termine 'biotecnologie' si intende lato sensu ogni tecnologia che utilizza organismi o lorocomponenti per produrre beni o servizi utili all'uomo. E' ovvio che, intesa in questa accezione, labiotecnologia è una scienza antichissima. Molto prima di Pasteur, pur ignorando l'esistenza dei batteri chene erano alla base, 6000 anni fa gli Egizi utilizzavano la tecnica della fermentazione dei cereali perprodurre il pane e la birra. Nel corso del presente lavoro, tuttavia, si farà riferimento con questo termine alle c.d. 'biotecnologieavanzate' o 'innovative' e in particolar modo alla transgenesi.20 Prima della diffusione di questa tecnologia, il miglioramento genetico veniva realizzato esclusivamenteattraverso i procedimenti tradizionali di selezione di mutanti naturali, di incrocio di specie sessualmentecompatibili o, in seguito, inducendo delle mutazioni attraverso agenti chimici o fisici (radiazioniultraviolette, raggi X o gamma). Recentemente, limitando qui il discorso al regno vegetale, è stato possibilesuperare la barriera di incompatibilità sessuale incrociando specie diverse attraverso procedimenti piùraffinati come l'ibridazione somatica (fusione di cellule private di parete cellulare). Con le nuove tecnichedel DNA ricombinante, in estrema sintesi, è possibile tagliare selettivamente in punti prestabiliti attraversoun enzima di restrizione il frammento determinato di DNA che si vuole prelevare. Questo viene poitrasportato nel cromosoma cellulare di destinazione in maniera meccanica (microiniezione o cannone a

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DNA la stessa in tutti gli esseri viventi, l'ingegneria genetica permette di modificare una

specie introducendo nel suo genoma uno o più geni eterologhi portatori di un determinato

carattere, prelevati da esemplari appartenenti a specie o regni diversi, anche se

filogeneticamente molto distanti21.

In altre parole, nell' 'era biotecnologica', ogni essere vivente (pianta, pesce, insetto,

etc.) si è trasformato in potentia in un contenitore di 'unità' trasferibili in altri organismi

riceventi (accettori): le singole sequenze genetiche (codificanti caratteri utili) sono

divenute quindi un’importante risorsa, assimilabile per molti aspetti ad una nuova

'materia prima'.

E’ evidente che un solo trasferimento può essere sufficiente a privare le risorse

genetiche del loro valore economico. Dopo aver riprodotto le adeguate condizioni

ambientali, piante e animali (così come le varietà da essi derivate) possono essere

moltiplicati facilmente lontano dai loro foyer di origine. Una volta prelevati e isolati (in

linea teorica da una sola cellula), gli acidi nucleici introducono inoltre le caratteristiche

volute negli organismi nei quali sono stati inseriti e in tutta la loro discendenza.

A partire dagli anni ’80, allo sviluppo tecnologico si è accompagnato un

cambiamento delle discipline nazionali sulla protezione della proprietà intellettuale ed in

particolar modo delle legislazioni brevettuali, molte delle quali hanno cominciato a

riconoscere la brevettabilità degli organismi viventi e delle loro componenti, geni

compresi. Il crescente valore assunto dalle risorse genetiche, considerate da alcuni

economisti come un nuovo ‘oro verde’, ha portato - soprattutto sotto la spinta dei paesi in

via di sviluppo - alla graduale affermazione del principio della sovranità degli Stati sulle

risorse genetiche, precedentemente riconosciuto in riferimento alle altre risorse

biologiche.

Secondo Jeremy Rifkin, specialista di grandi affreschi di storia economica e sociale,

la 'recinzione' delle risorse genetiche rappresenterebbe la conclusione di un secolare

processo di ‘commodification’ che ha condotto alla privatizzazione dei beni comuni22. La

trasformazione dei common goods in proprietà commerciali sarebbe iniziata

nell'Inghilterra dei Tudor con le enclosures le quali, privando le comunità e i villaggi

particelle di DNA) o per mezzo di un vettore batterico (ad esempio il plasmide Ti del l'AgrobacteriumTumefaciens). Per una sintesi rigorosa, ma accessibile anche ai non specialisti, sulle biotecnologie si vedaOGM una risorsa per il futuro, Le Scienze Dossier (edizione italiana di Scientific American), Milano, 2001.21 A titolo esemplificativo: nella soia geneticamente modificata dalla Pioneer è stato introdotto un geneestratto da una noce brasiliana, nella soia Bt della Monsanto un gene prelevato dalle cellule di un batteriodel suolo (Bacterium Tumefaciens) mentre geni 'anticongelamento' di pesce vengono inseriti nel patrimoniogenetico di fragole e pomodori per renderli resistenti alle basse temperature.

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dell'uso dei terreni comuni adibiti a pascolo, li avevano resi suscettibili di essere venduti

e scambiati sul mercato come beni individuali23.

Comunque lo si voglia interpretare, il principio della brevettabilità degli organismi

viventi (autoriproducibili) e dei geni ha provocato uno straordinario impatto emotivo

nell'immaginario collettivo, dando vita a movimenti di protesta in numerose parti del

mondo. I problemi di carattere giuridico, etico e religioso si intrecciano con una

costellazione di interessi diversi: quelli degli scienziati e delle aziende (che hanno

incrociato varietà vegetali, isolato dei geni, etc.), ma anche delle generazioni di

agricoltori che, di anno in anno e in ogni parte del mondo, hanno conservato e migliorato

il genoma delle specie coltivate.

Un problema diverso si pone quando i bioprospettori utilizzano, nella ricerca delle

piante medicinali, le conoscenze delle popolazioni rurali o autoctone. Le industrie

farmaceutiche si avvalgono infatti comunemente di studiosi di etnobotanica ed

etnofarmacologia (chiamati in gergo gene hunters) che si recano nei villaggi per

richiedere informazioni sulla farmacopea tradizionale e sciamanica24. Il termine

'biopirateria', neologismo entrato recentemente nel linguaggio corrente, riassume in

maniera efficace l'idea di un’espropriazione delle conoscenze indigene da parte di

imprese e istituti di ricerca, avvertita da molti paesi come un vero e proprio strumento di

ricolonnizzazione25.

I recenti sviluppi tecnologici nel settore biochimico stanno introducendo profonde

trasformazioni in molti ambiti produttivi, ma in particolar modo nel mercato agricolo, già

attraversato da forti tensioni economiche nei paesi industrializzati e, soprattutto, in quelli

poveri del Sud del mondo. Come è noto, la contrazione dei costi di produzione nel lungo

periodo dei prodotti naturali, unitamente alla rigidità della loro domanda rispetto a prezzo

e reddito, ha determinato negli ultimi decenni una caduta drastica dei prezzi sul mercato

22 Cfr. anche FROW, Gift and Commodity, in Time and Commodity Culture: Essays on Cultural Theoryand Postmodernity, Oxford, 1997, pp. 102 ss.23 Sull'affievolimento dei diritti sociali in seguito alla scomparsa delle comunità di villaggio, si vedano leefficaci osservazioni del politologo inglese Marshall (MARSHAL, BOTTOMORE, Citizenship and SocialClass, London, 1992). Con specifico riferimento alla biodiversità cfr. poi SHIVA, Il mondo sotto brevetto,Milano, 2002. Vandana Shiva è una delle figure simbolo della difesa della biodiversità. Fisica ed ecologistaindiana della Research Foundation for Technology and Natural Resources Ecology, ha fondato in Indiaalla fine degli anni '80 il movimento Navdanya (democrazia viva) che si batte per la salvaguardia dellabiodiversità attraverso la creazione di banche di semi (seed savers) nei villaggi dell'Himalaya e per ladifesa dei diritti intellettuali collettivi.24 Le medicine tradizionali sono una fonte preziosa di informazioni che facilita il lavoro dei ricercatori. Lasola medicina cinese conosce e cataloga 5100 specie vegetali!25 La letteratura di carattere politologico sul tema è amplissima. Si vedano, in senso piuttosto polemico,WALLACH, SFORZA, Wto. Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale, Milano,2001; TAMINO, PRATESI, Ladri di geni. Dalle manipolazioni genetiche ai brevetti sul vivente, Roma,2001; SHIVA, La biopiraterie, ou le pillage de la nature et de la connaissance, Paris, 2002.

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mondiale che si è particolarmente accentuata a partire dagli anni '9026. Le conseguenze di

oscillazioni anche lievi dei prezzi si rivelano ogni volta drammatiche sulle economie di

molti paesi non industrializzati i quali, per una serie di ragioni storiche, dipendono spesso

dall'esportazione di pochi prodotti agricoli.27 Se è vero che gli accordi di base sui prodotti

naturali hanno rappresentato una delle forme più efficaci della cooperazione

internazionale28, i generosi finanziamenti del settore agricolo nei paesi industrializzati ed

il recente fallimento del vertice di Cancun (settembre 2003) mostrano quanto sia difficile

concludere a livello internazionale accordi soddisfacenti per tutte le Parti, in un settore

contraddistinto da una crescente frattura fra i paesi del Nord e del Sud del mondo29. Le

politiche redistributive sono particolarmente conflittuali a livello nazionale, come

internazionale30!

Studi recenti, condotti nel 2002 dalla FAO e dall'UNCTAD, hanno messo inoltre in

evidenza come i mercati mondiali dei prodotto agricoli, pur interessando le esistenze di

26 Estremamente significativo è il caso del caffé, il cui prezzo mondiale, dal 1989 al 2003, è sceso intermini reali del 70% (per tutti i dati, cfr. www.ico.org).27 Si pensi al cotone del Mali o del Burkina Faso, al caffé dell'Etiopia, al cacao della Costa d'Avorio, etc. La conservazione della struttura economica di questi paesi, spesso eredità funesta del periodo coloniale, èfavorita da noti principi economici. Come mette in luce il modello di Heckscher-Ohlin i paesi sispecializzano infatti sul mercato mondiale nella produzione dei prodotti che sfruttano in maniera intensivail fattore abbondante (nel caso di molti paesi in via di sviluppo terra e lavoro scarsamente qualificato) Lo sviluppo nei paesi in via di sviluppo di monocolture è stato favorito anche dalle politiche delleorganizzazioni finanziarie internazionali, soprattutto negli anni '80 e '90. In particolare, il Fondo monetariointernazionale, tramite i programmi di aggiustamento strutturale, ha condizionato la concessione di nuoviprestiti alla realizzazione di programmi drastici di riforma per comprimere le spese pubbliche e ristabilirel'equilibrio finanziario e budgetario. Questo ha condotto i Paesi del Sud a sviluppare ben al di là delragionevole i pascoli e le colture intensive di esportazione, con conseguenze devastanti per gli ecosisteminaturali: deforestazione accelerata, aumento dei pesticidi e dei concimi chimici immessi in assenza diadeguate regolamentazioni. Questa 'politique du ventre' (Jean François Bayart), caratterizzata daconcessioni forestiere e minerarie poco riguardose dell'ambiente e guidate dalla sola preoccupazione delprofitto a breve termine ha costituito, fra le altre cose, una seria minaccia alla biodiversità locale. Per quanto riguarda la Banca Mondiale, è stato messo più volte in evidenza come essa abbia finanziatocon disinvoltura progetti quanto meno discutibili, come la costruzione di grandi dighe (Ghosi Baratho,Arun, etc.) che comportano il trasferimento di masse enormi di popolazione e producono effetti negativiper l’ambiente, oppure di oleodotti e industrie estrattive senza un adeguato studio di impatto ambientale. Le conseguenze drammatiche sulle popolazioni locali e i danni della messa in opera del c.d. Washingtonconsensus sono stati sottolineati dalla sentenza con la quale il Tribunale Internazionale dei Popoli haconcluso la sua sessione di Madrid (1995) dedicata alle 'Politiche del FMI e della BM' (disponibile sul sitowww.grisnet.it, pagina base). Come è noto, le due istituzioni finanziarie sono state oggetto di un 'fuococrociato' di critiche provenienti dagli orizzonti più diversi: non soltanto il summenzionato tribunale diopinione e numerose organizzazioni non governative, ma anche le istituzioni politiche (a partire dalParlamento europeo) e ampi settori del mondo accademico (STIGLITZ, La grande désillusion, Paris,2002).28 Si veda la Convenzione di Lomé (rinnovata nel 2002 a Cotonou) che istituisce una regolamentazioneglobale coprendo il regime commerciale e gli aiuti allo sviluppo. Attraverso i sitemi Sysmin e Stabex, laComunità europea garantisce ai paesi ACP una cooperazione automatica grazie alla previsione di tariffepreferenziali sull'importazione di prodotti agricoli e minerari.29 E’ sintomatico constatare come i paesi ricchi stanzino in media per le sovvenzioni interne agli agricoltorisei volte la somma destinata all’aiuto pubblico allo sviluppo (MIRAGLIA, E’ ormai ‘guerra del cotone’tra Usa e Continente nero, in Il Sole 24 ore, 18 luglio 2003).

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milioni di agricoltori nel mondo, siano caratterizzati da una grande concentrazione

economica e vengano spesso controllati da un numero ridotto di attori economici31.

Nel settore biotecnologico, la prassi recente mostra come sia soprattutto un gruppo

ristrettissimo di industrie private (e non i loro Governi nazionali) a contrattare con gli

Stati l'acquisizione del loro materiale biologico e genetico, ad instaurare con i paesi in via

di sviluppo programmi di cooperazione tecnica, ad introdurre nei territori nazionali

tecnologie e ritrovati biotecnologici. I progressi dell'ingegneria genetica, del resto, non

possono che assecondare quel processo di deterritorializzazione delle imprese messo in

evidenza con grande lucidità dallo studioso russo di relazioni internazionali Wladimir

Andreff, rendendone ancora più complesso il controllo da parte degli Stati territoriali 32.

Negli ultimi anni, la diffusione in numerosi Paesi di coltivazioni transgeniche ha reso

quello degli organismi geneticamente modificati e dei prodotti da essi derivati uno dei

settori più sensibili del commercio internazionale. Molti Stati, infatti, hanno adottato

delle misure legislative o amministrative volte a restringere l’importazione di piante

transgeniche che, ad avviso delle autorità nazionali, potrebbero costituire una minaccia

30 Sulla nozione di politica redistributiva, v. LOWI, Four Systems of Policy, Politics and Choice, in PublicAdministration Review, 1972, pp. 298 ss.31 Come è stato messo in rilievo dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo nel Rapporto sullosviluppo umano del 1999, le multinazionali rappresentano una parte importante dell’economia globale(secondo alcune stime econometriche, contribuiscono al 20% della produzione mondiale e al 70% delcommercio mondiale, HELD, MCGREW, Globalismo e antiglobalismo, Bologna, 2001, p. 68). Ilfenomeno, visibile in numerosi settori economici, è particolarmente evidente nel settore agroalimentare. E'sintomatico constatare come nel caso del caffé le prime 4 multinazionali del settore controllino l'80-90%del mercato mondiale (quota delle esportazioni mondiali, dati riferiti al 2002). Riflessioni analoghepossono farsi per il grano, il cacao il cotone, etc. Si tratta spesso, come nel caso della Cargil, di aziende nonquotate in borsa. A parere di molti economisti, si può parlare talvolta di monopsonio, ovvero di monopoliodel compratore (che controlla anche la fase di marketing, trasporto e commercializzazione). Fenomeni di concentrazione, in seguito a fusioni e acquisizioni, si registrano in tutto il settoreagrochimico dove le prime 10 industrie controllano l'81% dei 29 miliardi di dollari del mercato mondiale(RIFKIN, op. cit., p. 123). Per una sintesi estremamente efficace dei risultati dei rapporti del 2002 dellaFAO e dell’UNCTAD, si veda RICCI, Le dodici 'sorelle' che decidono il futuro del terzo mondo, in LaRepubblica, 23 agosto 2002. Sul ruolo delle multinazionali nel decision making degli Stati e nella governance globale esiste unavastissima bibliografia interdisciplinare. Per menzionare soltanto alcuni 'classici' della letteraturasociologica e di relazioni internazionali: REICH, The Work of Nations, New York, 1991, STRANGE, TheRetreat of the State: The Diffusion of Power in the World Economy, Cambridge, 1996; CROUCH,Postdemocrazia, Bari, 2003 (in particolare pp. 55-60 e 118-123).32 ANDREFF, Les multinationales globales, Paris, 1996. Secondo la teorizzazione di Andreff alla primagenerazione di multinazionali, diffusa soprattutto negli anni '60 (supply-oriented), sarebbe seguita unaseconda generazione (production-oriented), basata sulla decentralizzazione delle attività produttive instabilimenti situati all'estero. La terza generazione di multinazionali (multinazionali c.d. postfordiste:modello Nike, banche multinazionali, etc.) si distinguerebbe invece più che per la produzione industriale,per la specializzazione nella commercializzazione o nell'innovazione tecnologica e la realizzazione di‘nuove forme di investimento’ diverse dai tradizionali IDE (accordi di licenza e di assistenza tecnica,franchising, marchi, brevetti, etc.). Anche nel settore agricolo e farmaceutico, gli sviluppi delle biotecnologie stanno portando ad una rapidadiffusione di multinazionali 'di terza generazione', caratterizzate dalla sostituzione di immobilizzazionimateriali con 'nuove forme di investimento', nel caso di specie volte a controllare le informazioni genetichetramite le forme di protezione della proprietà intellettuale.

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alla biodiversità del loro territorio. Tenuto conto che la produzione di piante

geneticamente modificate si caratterizza normalmente per la minore intensità del fattore

lavoro, ai rischi ecologici si aggiungono le conseguenze negative in termini di

occupazione, in particolar modo nei paesi non industrializzati dove il settore primario

occupa una percentuale consistente della popolazione attiva. In questi paesi, d’altra parte,

i costi relativi all’acquisto delle sementi e al pagamento delle royalties sulle tecnologie

importate, incidendo sul saldo nazionale delle partite correnti, potrebbero accrescere

ulteriormente le ingiustizie di uno ‘sviluppo ineguale’.

Altre restrizioni all’importazione di prodotti biologicamente inerti derivati da

coltivazioni transgeniche sono state giustificate da numerosi Governi con l’esistenza di

rischi potenziali per la salute umana o con la necessità di tutelare i diritti dei consumatori

all’informazione e alla libera scelta (etichettatura obbligatoria).

La legittimità di queste misure alla luce dei sistemi normativi che tutelano la libertà

del commercio internazionale è una questione molto controversa. Come è noto, il

dibattito sulla sicurezza ha raggiunto i toni più accesi soprattutto fra Europa e Stati Uniti,

e il ricorso presentato dal Governo di Washington all’Organizzazione mondiale del

commercio, nel maggio del 2003, ha segnato un ulteriore momento di crisi nei già

difficili rapporti euro-atlantici.

Anche da questi rapidi cenni introduttivi, emerge chiaramente come il controllo e lo

sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche del Pianeta coinvolgano interessi

economici e politici ingenti e sollevino problematiche sociali ed ecologiche la cui

regolamentazione rappresenta una sfida agli ordinamenti giuridici interni, ma soprattutto

al diritto internazionale, pattizio e consuetudinario.

Si tratta di tematiche assai complesse che, coinvolgendo settori normativi eterogenei

(in materia di conservazione dell’ambiente, diritti di proprietà intellettuale, gestione dei

rischi tecnologici), è sembrato opportuno trattare separatamente.

Nel primo capitolo sarà affrontato il problema della tutela internazionale della fauna e

della flora e degli eventuali limiti che gli Stati incontrano nel loro sfruttamento, alla luce

del diritto pattizio e consuetudinario.

Dopo aver ricostruito nel capitolo II l’evoluzione storica dello status giuridico delle

risorse genetiche del pianeta, nel terzo capitolo si affronteranno le questioni relative al

trasferimento tecnologico e alla ripartizione equa dei vantaggi derivanti dallo

sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche. La disamina degli aspetti più

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prettamente internazionali sarà preceduta da una rapida ricostruzione dello sviluppo delle

normative pertinenti sui diritti di proprietà intellettuale, con particolare attenzione alla

prassi europea e statunitense.

Il quarto capitolo tratterà infine il tema della biosicurezza, concentrandosi soprattutto

sul Protocollo di Cartagena, entrato in vigore l’11 settembre del 2003.

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Capitolo I

LA TUTELA INTERNAZIONALE DELLABIODIVERSITÀ

‘Questo noi sappiamo. La terra non appartiene all’uomo; l’uomo appartiene alla terra. Questo noi sappiamo. Tutte le cose sono connesse come il sangue che unisce una famiglia. Tutte le cose sono connesse. Tutto ciò che accade alla terra accade ai figli della terra. L’uomo non tesse la tela della vita: è soltanto un filo dell’ordito.Tutto ciò che fa alla tela, fa a sé stesso.’

Capo Seattle

Paragrafo 1: Lo sviluppo del regime pattizio e la Convenzione di Rio

1.1 Una sola Terra!

'Gli animali, più felici degli uomini, non conoscono le giurisdizioni e le frontierenazionali e praticano non il diritto internazionale, ma l''internazionalismo' puro esemplice, considerando tutto il mare come una sola patria, così come Ovidio, cheproclamava che tutta la terra era una per l'umanità... Le ricchezze del mare, ed inparticolare le ricchezze immense delle regioni antartiche, costituiscono un patrimoniodell'umanità... Per salvare queste ricchezze che oggi, appartenendo arbitrariamente a tutti,non appartengono a nessuno, non resta che rinunciare alle forme antiche dei trattatiesistenti, che mirano ad altri fini, abbracciare degli orizzonti più vasti e cercare il diritto,non nella legislazione positiva inoperante che non ha saputo interpretarlo, ma nei datiscientifici ed economici che i paesi interessati, ciascuno con la sua propriadocumentazione, possono riunire, comparare e discutere in una Conferenza tecnica, perestrarre da questi dati il diritto che noi non discerniamo e non possiamo discernere oggi,dal momento che non abbiamo mai previsto la necessità che motiva attualmente i nostrigiusti allarmi'.33

33 Il testo, nella versione originale francese, è citato in SCOVAZZI, The Evolution of International Law ofthe Sea: New Issues, New Challenges, in Recueil des cours, vol. 286, 2000, pp. 91 e 93.

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Con queste parole, dal sapore molto moderno, in un rapporto al Consiglio della

Società delle Nazioni, il giurista argentino Suarez lamentava nel 1927 i difetti ed i limiti

del diritto internazionale del suo tempo, fondato sui principi di sovranità, indipendenza e

reciprocità. I rapporti tradizionali di tipo bilaterale e sinallagmatico fra gli Stati,

caratteristici del modello 'westfaliano' di relazioni interstatuali, erano incapaci di

rispondere all’emergere nella comunità internazionale di nuovi valori, come la protezione

dell'ambiente (e dei diritti umani), ritenuti degni di una tutela particolare.

La ricerca degli 'orizzonti più vasti' già intravisti da Suarez avrebbe ispirato a lungo

politici e studiosi, rendendo il diritto internazionale dell'ambiente una vera e propria

fucina, un ‘atelier di sperimentazione giuridica’ (Condorelli)34.

Quasi sei decenni dopo l'entrata in vigore della Carta di San Francisco, tuttavia, il

vagheggiamento di istituti giuridici innovativi capaci di incarnare nuovi valori

solidaristici, nel superamento delle 'forme antiche dei trattati', continua ad animare le

ricerche e le passioni dei giuristi. Molti problemi sono lontani dall'essere risolti o chiariti

e la disciplina normativa resta ancora, in gran parte, incerta ed insoddisfacente.

Negli ultimi anni in particolare, mentre i fondamenti stessi del 'modello Carta delle

Nazioni Unite' sono messi in discussione e apertamente contraddetti, lo sviluppo del

diritto dell'ambiente riveste un ruolo marginale nell'agenda internazionale e all'interprete

non resta che prendere atto, insieme ad Abi Saab, di trovarsi spesso di fronte ad un 'droit

assourdi'35.

1.2 L'approccio settoriale: dalla ‘preistoria’ del diritto internazionale dell’ambiente agli anni ‘70

Ben prima dell'emergere dei grandi problemi globali nella seconda metà del secolo

scorso (maree nere, incidenti nucleari, piogge acide, cambiamenti climatici, rarefazione

dello strato di ozono, etc.) era apparso evidente ai decisori politici che un'azione efficace

per tutelare la biosfera non poteva essere svolta dai singoli Stati e limitata al loro

territorio, ma necessitava di un'azione concordata a livello internazionale.

Fin dall'inizio del 1900, numerose sono state le convenzioni che hanno cercato di

istituzionalizzare, sia pur in maniera rudimentale, la cooperazione fra gli Stati nella

salvaguardia delle specie viventi ed in particolare di quelle migratrici, una frazione

34 Citato in PELLET, Droit international public, Paris, 1999, p. 1221.35 Citato in PELLET, op. cit., p. 1245 .

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importante delle quali oltrepassa ciclicamente e in maniera prevedibile una o più

frontiere nazionali36.

Soprattutto i volatili sono stati oggetto di tutela nella prima fase di sviluppo del diritto

internazionale ambientale. La prima grande convenzione multilaterale per la protezione

della fauna selvatica, la Convenzione di Parigi sulla protezione degli uccelli utili

all'agricoltura (1902), è emblematica dell'approccio pragmatico ed antropocentrico

dominante in questi strumenti almeno fino agli anni '70. Pur prevedendo alcune tecniche

di conservazione ancora utilizzate nei trattati più recenti (proibizione di certi metodi di

caccia, eccezioni per la ricerca scientifica, etc.), fin dal titolo la Convenzione lascia

trapelare una visione utilitaristica di breve termine molto lontana dalle concezioni

ecologiche attuali. Oggetto di protezione sono soltanto gli uccelli utili all'uomo,

soprattutto quelli insettivori, mentre fra le specie classificate come nocive all'Annesso II

compaiono molti rapaci diurni come falchi e aquile37.

Esula dagli obiettivi di questa indagine la ricostruzione dettagliata dell'evoluzione

storica del diritto pattizio che si rivelerebbe, peraltro, ben ardua impresa38. Questo settore

ha conosciuto infatti una moltiplicazione accelerata di strumenti a livello bilaterale o su

scala regionale, privi generalmente di alcun collegamento fra di loro39. Tale approccio

frammentato e 'proteiforme' (Pellet) 40 ha dato origine, come si è asserito, a dei 'fuochi di

artificio’ istituzionali senza eguali nelle altre aree del diritto.

E' comunque possibile identificare alcune grandi linee di tendenza delle quali

converrà delineare, con esprit de synthèse, i tratti essenziali.

36 Fra gli animali migratori si trovano uccelli, mammiferi, pesci, insetti e rettili.37 M.A. FITZMAURICE, International Protection of the Environment, in Recueil des cours, vol. 293,2001, p. 29. Alcuni accordi per la protezione di certe specie di notevole interesse economico erano staticonclusi già alla fine dell'800, come ad es. quello fra Regno Unito e Russia sulla protezione delle otarie nelPacifico. Uno spirito simile a quello della Convenzione di Parigi aveva animato nel 1900 la Convenzionedestinata ad assicurare la conservazione delle diverse specie animali viventi allo stato selvaggio in Africache sono utili all’uomo o inoffensive (19 maggio 1900).38 Per un’esauriente panoramica sul soggetto, v. HEIJNSBERGEN, International Legal Protection of WildFauna and Flora, Amsterdam etc., 1997.39 Altre convenzioni aventi ad oggetto la protezione delle specie selvatiche e degli ecosistemi naturali, cheè opportuno almeno menzionare sono (in ordine cronologico): Convenzione sulla preservazione eprotezione delle foche da pelliccia nell’Oceano Pacifico del Nord (7 luglio 1911); Convenzione sullaprotezione della fauna, della flora e delle bellezze naturali dei paesi di America (12 ottobre 1940);Convenzione per la regolamentazione della caccia alla balena (2 dicembre 1946); Convenzione africanasulla conservazione della natura e delle risorse naturali (Algeri, 15 settembre 1968); Convenzione sullaconservazione delle specie migratrici appartenenti alla flora selvatica (Bonn, 23 giugno 1979);Convenzione di Camberra sulla conservazione della fauna e della flora marine dell’Antartico (20 maggio1980); Accordo sulla conservazione degli uccelli d’acqua migratori di Africa-Eurasia (L’Aia, 16 giugno1995). Per un'analisi di questo vasto corpus normativo: KISS, BEURIER, op. cit., HEIJNSBERGEN, op.cit.40 PELLET, op. cit., p. 1259.

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La Conferenza di Stoccolma del 197241 ha rappresentato senza dubbio una pietra

miliare nello sviluppo del diritto internazionale ambientale, contribuendo alla

cristallizzazione di molti suoi principi fondamentali e sottolineando, sia pur in maniera

vaga e imprecisa, i legami fra protezione ambientale, sviluppo economico e tutela dei

diritti umani42. La Dichiarazione con la quale la Conferenza si è conclusa, adottata per

acclamazione, testimoniava della convinzione degli Stati circa la necessità di

salvaguardare l'ambiente naturale in tutte le sue componenti (piante animali, minerali,

aria, etc.) nell'interesse delle generazioni presenti e future43 . Per quanto interessa più da

41 Conferenza sullo sviluppo umano (Stoccolma, 5-16 giugno 1972). Alla Conferenza hanno partecipato6000 delegati, 113 Stati e tutte le più grandi organizzazioni internazionali (KISS, BEURIER, op. cit., p.31).42 Secondo il Principio 1 della Dichiarazione di Stoccolma:‘Man has the fundamental right to freedom,equality and adequate conditions of life, in an environment of quality that permits a life of dignity andwell-being’. Il testo della Dichiarazione è consultabile su Internet, all’indirizzo www.unep.org, paginabase.43 Principi 2-7. L'idea che le risorse naturali, trasmesseci dai nostri antenati, debbano essere conservate perle generazioni a venire non nasce ex abrupto negli anni ’70 del secolo scorso, ma ha radici antichissime (adesempio nella legge consuetudinaria africana). Di rilievo centrale nelle civiltà più antiche a struttura tribale,la considerazione degli interessi delle generazioni future è ricorrente nelle tradizioni culturali e giuridichedi molti paesi. Per quanto concerne il mondo anglo-americano, 'children and posterity' sono menzionati innumerosi documenti: nella First Charter of Virginia (1606), nel Virginia Bill of Rights (1776), nellaCostituzione federale degli Stati Uniti (Preambolo), etc. Sempre a livello costituzionale, un riferimento alle generazioni future si trova all'art. 20 della Leggefondamentale della Repubblica federale tedesca (M. A. FITMAURICE, op. cit., p. 198). Il richiamo alle generazioni ancora non nate è presente poi in numerosi strumenti internazionali. Prima diStoccolma e di Rio, si trova nella Convenzione di Washington del 1946 sulla protezione delle balene, nellaConvenzione di Bonn e nella Convenzione di Berna del 1979, così come nella maggior parte dei trattati atema ambientale degli anni ’90; tanto da costituire per Dupuy una delle 'matrici concettuali' del dirittointernazionale ambientale (P.-M. DUPUY, Où en est le droit international de l’environnement à la fin dusiècle?, in RGDIP, 1997, p. 886). Concetto nobile e dotato di straordinaria forza morale, è tuttaviaestremamente problematico da realizzare sul piano operazionale perché l’elaborazione di meccanismigiuridici capaci di attribuire un locus standi a persone che non sono ancora nate si scontra con problemigiuridici difficilmente sormontabili. In alcuni ordinamenti dei progressi sono stati realizzati in questosenso. Con una famosa sentenza del 1993 (Minors Oposa v. Secretary of the Department of Environmentand Natural Resources, in International Legal Materials, 1994, pp. 174 ss.) la Corte suprema delleFilippine ha riconosciuto la legittimità dei minori a rappresentare le generazioni presenti come quelleancora non nate. Nelle parole della Corte: 'needless to say, every generation has a responsibility to the nextto preserve that rhythm and harmony for the full enjoyment of balanced and healthful ecology. Put a littledifferently, the minors' assertion of their right to a sound environment constitutes, at the same time, theperformance of their obligation to ensure the protection of that right for generations to come'. Per ragioni evidenti, sul piano internazionale immaginare una tutela efficace dei diritti delle generazionifuture richiede uno sforzo intellettuale ancora maggiore, dato che le gravi deficienze dell'assetto esistentedi relazioni interstatuali rendono già alquanto precaria la garanzia dei diritti delle generazioni presenti! A proposito dell'equità intergenerazionale, deve essere menzionata comunque la sofisticata elaborazioneteorica di Edith Brown-Weiss (BROWN-WEISS, In Fairness to Future Generations: International Law,Common Patrimony, and Intergenerational Equity, Tokyo, 1989; BROWN-WEISS, Our Rights andObligations to Future Generations for the Environment, in AJIL, 1990, pp. 198 ss.). Per rappresentare gliintereressi di individui che adesso non esistono, molti autori hanno proposto la creazione di una sorta diOmbudsman internazionale per le generazioni future o di altri organi analoghi istituiti per raccogliere lelamentele delle associazioni ambientaliste. Ciò sarebbe in armonia con le iniziative già prese in alcuni Statia livello nazionale, come la creazione in Francia nel 1993 del Conseil pour les droits des générationsfutures (Décret No 93-298 dell’8 marzo 1993, citato in KISS, Les traités cadres: une technique juridiquecaractéristique du droit international de l’environnement, in AFDI, 1993, p. 792). Secondo laprofessoressa americana, conforme al principio di equità intergenerazionale sarebbe anche la creazione di

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vicino questa indagine, il tema conservazionista era inserito nell'agenda internazionale

dalle raccomandazioni 38-45 del Piano di azione, le quali facevano riferimento anche

all’esigenza di tutelare la 'diversità genetica'.

Si tornerà in seguito sul Trattato CITES44 (Washington, 3 marzo 1973), disciplinante

il commercio delle specie a rischio di estinzione.

Vale la pena soffermarsi invece brevemente su alcuni importanti accordi ambientali

multilaterali45 a vocazione universale che, sempre negli anni '70, hanno cercato di

disciplinare settori puntuali della cooperazione internazionale. Si citeranno qui, fra le più

importanti, la Convenzione di Ramsar (adottata il 3 febbraio 1971 sotto gli auspici

dell'UNESCO) che ha previsto la protezione negli Stati parte di zone umide di particolare

interesse internazionale per la sosta e la nidificazione degli uccelli d'acqua46, e la

Convenzione sul Patrimonio Mondiale (UNESCO, 16 novembre 1972), la quale ha

contemplato l'inserimento nella Lista Mondiale anche di beni di interesse naturalistico47.

Entrambi i trattati istituzionalizzano la collaborazione, l'assistenza e lo scambio di

informazioni fra gli Stati, ma restano questi ultimi ad identificare e a gestire le aree da

proteggere. Come era già avvenuto per la tutela dei diritti umani, inoltre, i meccanismi di

supervisione, consistenti essenzialmente nella redazione di rapporti periodici da parte dei

Membri, si sarebbero presto rivelati insufficienti a garantire un adeguato controllo sulla

appositi fondi finanziari per compensare le generazioni future delle perdite (in termini di biodiversità,qualità dell'ambiente, etc.) causate dallo sviluppo economico presente. Non è qui possibile approfondireoltre questo progetto che, benché messo più volte in discussione dalla dottrina per una presunta mancanzadi realismo (BOYLE, Review of the Book of Brown-Weiss, in ICLQ, 1991, p. 230), mantiene un indubbiofascino dal punto di vista dello sviluppo progressivo del diritto. Preme infine rilevare che la necessità di tutelare gli interessi (se non i diritti) delle generazioni future èstata riconosciuta autorevolmente anche dalla Corte internazionale di giustizia. Si fa qui riferimento alParere consultivo sulla legittimità di utilizzo delle armi nucleari dell’8 luglio 1996 (par. 29). Un giudicedella Corte, nelle sue opinioni individuali, ha sostenuto persino che il riconoscimento dei diritti dellegenerazioni future costituisce un principio generale di diritto riconosciuto dalle nazioni civili (sentenzarelativa all’affare Esperimenti nucleari II, pronuncia del 22 settembre 1995, opinione dissenziente delgiudice Weeramantry; si veda anche l’opinione individuale dello stesso giudice nella sentenza relativaall’affare Gabcikovo- Nagymaros del 25 settembre 1997. Questi documenti sono consultabili in Internet sulsito della Corte internazionale di giustizia www.icj.org , pagina base).44 Dall’acronimo inglese Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna andFlora.45 Nel linguaggio diplomatico sono noti come MEAs, dall'acronimo inglese Multilateral EnvironmentalAgreements. Si tratta di una panoplia di strumenti dal contenuto molto diverso fra di loro: nel 1992 eranogià stati contati più di 900 MEAs! (M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 98).46 Sui due strumenti, v. KISS, BEURIER, op. cit., pp. 236 ss. Il testo della Convenzione di Ramsar èconsultabile in Internet al’indirizzo www.ramsar.org (pagina base).47 Ai sensi dell’art. 2, rientrano nel campo di applicazione della Convenzione ‘-les monuments naturelsconstitués par des formations physiques et biologiques ou par des groupes de telles formations qui ont unevaleur universelle exceptionnelle du point de vue esthétique ou scientifique; - les formations géologiques etphysiologiques et les zones strictement délimitées constituant l’habitat d’espèces animale et végétalemenacées, qui ont une valeur universelle exceptionnelle du point de vue de la science ou de laconservation; - les sites naturels ou les zones naturelles strictement délimitées qui ont une valeur

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gestione delle risorse ricadenti sotto le diverse giurisdizioni territoriali. I risultati non

sempre soddisfacenti di questo approccio conservazionista, basato in ultima analisi sulla

buona volontà delle Parti, avrebbero spinto, il decennio seguente, alla ricerca di soluzioni

diverse e innovative.

1.3 Dalla Carta mondiale della natura alla Conferenza di Rio

Dieci anni dopo Stoccolma, un approccio meno antropocentrico alle questioni

ecologiche è stato consacrato a livello internazionale con la proclamazione solenne da

parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite della Carta mondiale della natura

(1982) 48. La conservazione della natura veniva considerata, prima di tutto, un obbligo

morale e tutte le forme di vita riconosciute meritevoli di rispetto, indipendentemente dal

loro valore per l'uomo (culturale, economico, scientifico, estetico, educativo, sociale,

ricreativo, etc.)49. La Carta, anche se non vincolante, ha esercitato una notevole

influenza sull’adozione di importanti strumenti internazionali, accelerando, insieme ai

rapidi progressi tecnico-scientifici, la presa di coscienza dell'unità profonda

dell'ecosistema, dell'insufficienza dell'approccio settoriale (piece meal approach), così

universelle exceptionnelle du point de vue la science, de la conservation ou de la beauté naturelle’. Il testodella Convenzione si trova in Internet sul sito www.unesco.org (pagina base).48 Contenuta nella Risoluzione dell’Assemblea Generale 37/7 del 28 ottobre 1982 (consultabile sul sitowww.un.org, pagina base). Soltanto gli Stati Uniti votarono contro, ma tutti gli Stati dichiarano lostrumento non essere vincolante.49 Il Preambolo riconosce infatti che 'every form of life is unique, warranting respect regardless of its worthto man and, to accord other organism such recognition, man must be guided by a moral code of action'. A partire dagli anni '70, alcuni giuristi hanno auspicato perfino l'attribuzione di diritti alle entità naturaliper fare acquisire loro una forma di soggettività giuridica (si vedano, a questo proposito, il brillante saggiodi STONE, Should Trees Have Standing? Toward Legal Rights for Natural Objects, Los Altos, 1974, el’articolo D’AMATO, CHOPRA, Whales: Their Emerging Right to Life, in AJIL, 1991, pp. 21 ss.). Atestimonianza di una maggiore sensibilità ecologica, considerazioni di tipo etico sono contenute in alcuneconvenzioni internazionali, ad es. nella Convenzione internazionale per la protezione degli uccelli del1950, la quale impedisce di infliggere agli uccelli sofferenze inutili. Considerazioni simili hanno animatol’adozione in molti ordinamenti di alcune leggi sulla protezione degli animali (v. ad es. la Convenzioneeuropea sulla protezione degli animali nel trasporto internazionale (Parigi, 1968) e la direttiva della CEE77/489 relativa al trasporto degli animali. E’ significativo che un riferimento agli animali sia statointrodotto recentemente in alcune Costituzioni nazionali (in Germania, nel 2002). Nel febbraio 2004 ancheil Parlamento italiano ha discusso una modifica dell’art. 9 della Carta fondamentale per riconoscere latutela delle esigenze degli animali in quanto esseri senzienti). Diversi anni fa, asserendo che non esisteva nel diritto internazionale una soggettività giuridica degliindividui, Quadri paragonava la situazione di questi ultimi a quella delle balene, meri beneficiari materialidi norme dirette agli Stati. E' inutile ricordare che, se oggi la maggioranza della dottrina riconosce lasoggettività internazionale dell'individuo, piante e balene sono rimaste fuori del 'cerchio magico' deisoggetti di diritto! Parafrasando l’internazionalista italiano, si potrebbe dire che esse sono al massimo‘oggetti e non subietti’ di diritto (QUADRI, Diritto internazionale pubblico, Palermo, 1960, p. 353).

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come della necessità di conservare gli interi ecosistemi e gli habitat naturali piuttosto che

le singole specie animali o vegetali50.

Dopo l'adozione della Convenzione di Berna sulla tutela dell'ambiente e della vita

selvatica (elaborata nel 1979 nel quadro del Consiglio di Europa), sempre a livello

regionale progressi in questa direzione sono raggiunti in ambito ASEAN con l'Accordo

sulla conservazione della natura e delle risorse naturali (Kuala Lumpur, 9 luglio 1985)51.

Quest'ultimo strumento, entrato in vigore nel 1996, si contraddistingue per il carattere

olistico, riconoscendo la necessità di proteggere l'ambiente nelle sue componenti biotiche

e abiotiche (suolo, aria, risorse idriche), attraverso l'adozione di metodi agricoli

sostenibili, la regolamentazione dei procedimenti estrattivi e dell'emissione di sostanze

tossiche. E' anche il primo trattato che, dopo aver preso atto della necessità di difendere

la diversità delle specie viventi, ha previsto esplicitamente il mantenimento di banche di

geni ex situ52.

Un’altra tendenza che si sviluppa negli anni ’80 consiste nel controllo a livello

internazionale dell’emissione o del trasporto di alcuni prodotti chimici nocivi per

l’ambiente come gli inquinanti che attaccano lo strato atmosferico di ozono53 o i rifiuti

pericolosi54.

Un bilancio dei progressi compiuti e delle nuove sfide del diritto internazionale

ambientale è stato steso nel 1987 dal rapporto ‘Our Common Future’, elaborato dalla

Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo istituita alla fine del 1983 dalla

Risoluzione 38/161 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il documento,

conosciuto anche come Rapporto Brundtland, dal nome del presidente della

Commissione, è famoso per avere introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, definito

50 In realtà, già la Convenzione di Algeri (elaborata nel quadro dell' OUA nel 1968) adotta un approccioestremamente moderno e comprensivo. Regola infatti l'utilizzo e la conservazione delle risorse naturalipraticamente in ogni aspetto, prevedendo l'istituzione di riserve e parchi naturali, disciplinando in manieraprecisa i metodi di caccia, il commercio di animali e trofei. Un ruolo importante viene riconosciuto allasalvaguardia della flora, delle acque e dei suoli. E' interessante confrontare questa convenzione con quella(di cui rappresenta lo sviluppo) sulla conservazione degli animali selvaggi 'utili all'uomo o inoffensivi'adottata nel periodo coloniale. Quest'ultima incoraggiava la distruzione o la riduzione degli animali ritenutinocivi, quali coccodrilli, serpenti, leoni, pantere e rapaci (KISS, BEURIER, op. cit., pp. 28 ss.).

51 Vedine il testo in Basic Documents of International Environmental Law (a cura di HOHMANN), London, etc., 1992, pp. 1550 ss.

52 KISS, BEURIER, op. cit., p. 272.53 Convenzione di Vienna sulla protezione della fascia di ozono (22 marzo 1985) e Protocollo di Montrealad essa relativo (16 settembre 1987). Documenti consultabili su Internet, www.admin.ch, pagina base54 Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi(testo riprodotto in Basic Documents, op. cit., pp. 1585 ss.).

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come uno sviluppo ‘that meets the needs of the present generation without compromising

the ability of future generations to meet their own needs’55.

Dopo aver esaminato le conclusioni del Rapporto Brundtland, il 22 dicembre del

1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 44/228, decideva di

convocare a Rio la Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, i cui lavori

preparatori sarebbero stati svolti da un comitato istituito dalla risoluzione stessa, aperto a

tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e, in qualità di osservatori, alle organizzazioni

non governative dovutamente accreditate56. Apertasi ufficialmente il 3 giugno 1992 e

passata poi alla storia come Vertice della Terra, la Conferenza di Rio vide la

partecipazione di 178 Governi, rappresentati ai più alti livelli (erano presenti più di 100

capi di Stato) e di circa 40000 persone fra delegati, giornalisti ed esperti di

organizzazioni intergovernative57.

La Conferenza ha adottato tre testi di carattere non vincolante (la Dichiarazione di

Rio, la Dichiarazione di principi sulle foreste, il piano di azione Agenda 21) che hanno

contribuito alla cristallizzazione delle norme fondamentali del diritto internazionale

ambientale già affermate dalla Dichiarazione di Stoccolma e alla consacrazione di nuovi

principi. Non è qui possibile soffermarsi in maniera dettagliata su questo ampio corpus

normativo (la sola Agenda 21, divisa in 40 capitoli, si estende per ben 600 pagine!) che,

traducendo nella sua complessità la ricchezza dei dibattiti, costituisce ormai l’oggetto di

una copiosa letteratura.

A Rio sono poi state firmate due convenzioni elaborate parallelamente al processo

preparatorio della Conferenza da due diversi comitati intergovernativi: la Convenzione

sui cambiamenti climatici e, appunto, la Convenzione sulla biodiversità58.

La necessità di un trattato che tutelasse la diversità biologica e genetica del pianeta

era stata messa in evidenza fin dalla prima metà degli anni ’80 dalle associazioni

ambientaliste, insoddisfatte della disciplina frammentata in materia di protezione della

55 Il principio dello sviluppo sostenibile, inteso come l’esigenza per gli Stati di conciliare sviluppoeconomico e protezione dell’ambiente, è stato riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizianell’affare Gabcikovo-Nagymaros (sentenza del 25 settembre 1997, par. 140, consultabile sul sitowww.icj.org, pagina base).56 Sulla Conferenza di Rio e i lavori del comitato durante la lunga fase preparatoria, si veda la ricostruzionedettagliata KISS, DOUMBLE-BILLE, La Conférence des Nations Unies sur l’environnement et ledéveloppement, in AFDI, 1992, pp. 823 ss.57 Ibidem, p. 830.58 Nonostante il processo di elaborazione delle due convenzioni sia avvenuto in un contesto istituzionalediverso da quello in cui sono stati negoziati la Dichiarazione di Rio e l’Agenda 21, le influenze sono statenumerose. In particolare la negoziazione della Convenzione sulla biodiversità ha influito sui lavori relativiai capitoli 15 e 16 della Dichiarazione di Rio (rubricati rispettivamente ‘Préservation de la diversitébiologique’ e ‘Gestion écologiquement rationnelle des biotechniques’), condotti nel Gruppo di lavoro n°1istituito in seno al Comitato preparatorio.

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natura (c.d. treaty congestion problem); l’adozione di uno strumento del genere era stata

auspicata successivamente dal Rapporto Brundtland59.

Iniziata nel 1988 sotto l’egida del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente

(UNEP, PNUE60), la negoziazione di una convenzione sulla diversità biologica si sarebbe

rivelata però estremamente difficile e dopo quattro anni di lunghe ed accese discussioni,

l’accordo sul suo contenuto sarebbe potuto essere raggiunto soltanto a prezzo di un

grande ridimensionamento degli obiettivi iniziali.

Entrata in vigore il 29 dicembre 1993, pochi mesi dopo la sua adozione, la

Convenzione sulla biodiversità è in assoluto uno fra gli strumenti più largamente

ratificati, contando ad oggi 188 Stati parte61. Gli Stati Uniti hanno firmato la

Convenzione nel 1993 sotto la Presidenza Clinton, ma sono l’unico grande Paese a non

averla ancora ratificata, a seguito del rifiuto del Senato di dare il proprio advise and

consent a norma dell'art. II, sez. 2, c. 2, della Costituzione federale (facendo prova di

quell’‘unilateralismo da inazione’62 che ha caratterizzato spesso in maniera infausta la

politica estera statunitense, dagli anni della Società delle Nazioni a quelli più recenti che

hanno visto la firma del Protocollo di Kyoto e l’entrata in vigore del trattato istitutivo

della Corte penale internazionale).

1.4 Il Progetto sulla conservazione della diversità biologica elaborato dall’Unione internazionale di protezione della natura

Prima di affrontare gli esiti della negoziazione intergovernativa, è opportuno

soffermarsi brevemente sul Progetto elaborato dall’Unione internazionale di

conservazione della natura (UICN)63 che costituì la base delle negoziazioni condotte in

seno all’UNEP. Il documento, la cui elaborazione era iniziata nel 1984, fu rivisto nel

59 Nel Rapporto (cap. 6) si fa riferimento ad una futura 'Species Convention'.60 Secondo gli acronomi inglese e francese.61 Situazione al 3 aprile 2004.62 BODANSKY, What’s Bad About Unilateral Action to Protect the Environment? , in EJIL, 2000, p. 341.63Draft Articles Prepared by IUCN for Inclusion in a Proposed Convention on the Conservation ofBiological Diversity and for the Establishment of a Fund for that Pur pose with Explanatory Notes (Draft6, giugno 1989), gentilmente messo a disposizione dal servizio giuridico dell’UICN. L’UICN (Unioneinternationale de conservation de la nature) è un’importante organizzazione ‘semi-governativa’ creata aFontambleau nel 1948 e della quale fanno parte circa 900 membri, fra agenzie governative e associazioniambientaliste. Ha avuto spesso un ruolo importante nell'elaborazione degli accordi ambientali multilaterali,come nel caso della Convenzione CITES o della Convenzione di Bonn sulle specie migratrici(www.iucn.org, pagina base). Meno usato è l’acronimo IUCN (International Union for the Conservation of Nature).

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1987 dall’Assemblea Generale dell’UICN per essere redatto nella versione finale nel

198964.

Fin dal Preambolo, il testo riconosceva che:

'wild species have a right to exist independently from the benefits they may provide tohumanity and… man has a duty to share the Earth with other forms of life'.65

Per raggiungere l’obiettivo di conservazione delle specie viventi, il Progetto si

proponeva la creazione di una rete mondiale di zone protette per assicurare la tutela degli

ecosistemi contenenti ‘the greatest feasible proportion of the Earth biological diversity’66.

I redattori erano mossi soprattutto da considerazioni di tipo biologico: molti studi

scientifici hanno messo infatti in evidenza come la diversità biologica sia ripartita in

modo disomogeneo nel mondo ed esistano alcune 'zone testimoni' di importanza

strategica67. Le aree protette sarebbero state individuate secondo dei criteri stabiliti in una

Lista mondiale68 continuamente aggiornata dal Comitato consultivo, un organo tecnico

64 Si tratta di un Progetto estremamente dettagliato, composto da 53 articoli per un totale di 35 pagine. Anche se esistono alcune bozze precedenti, si fa qui riferimento all’ultimo progetto, adottato nel giugno1989. Non è quindi del tutto corretta l’osservazione di Hermitte secondo la quale la soluzione del ‘liberoaccesso remunerato’ alle risorse genetiche fu accolta nel progetto dell’UICN ‘puisqu’elle avait étéconsacrée par l’Engagement de 1989 sur les ressources phytogénétiques (FAO)’ (HERMITTE, LaConvention sur la diversité biologique, in AFDI, 1992, p. 850). In realtà la risoluzione dell’AssembleaFAO è successiva perché risale al novembre 1989. Nell’aprile del 1990 anche la FAO elaborò un progetto di convenzione sulla biodiversità (Outline for aDraft International Convention on the Conservation and Utilisation of Biological Diversity) che giocòcomunque un ruolo meno importante nei lavori preparatori in seno all’UNEP.65 Sul piano assiologico, in armonia con lo spirito dalla Carta mondiale della natura, la frase rappresenta unsuperamento del vecchio approccio utilitarista. Secondo Hermitte sarebbe stato proprio questoatteggiamento ‘filosofico’ a determinare il rifiuto della nozione di ‘patrimoine commun de l’humanité’,peraltro accolta nel testo nelle sue linee essenziali in riferimento alle risorse biologiche (HERMITTE, op.cit., p. 850). Un malinteso terminologico relativo all’utilizzo dell’espressione ‘patrimonio comunedell’umanità’, più che questioni sostanziali, spinsero a rifiutare l’intera espressione, per certi ecologistisvilente il valore intrinseco della natura. Qualcosa di simile era avvenuto qualche anno prima quando l’Unione Sovietica aveva considerato consospetto l’uso del termine heritage perché troppo legato al concetto di proprietà, considerato inapplicabileai corpi celesti (A. CASSESE, Il diritto internazionale nel mondo contemporaneo, Bologna, 1984, p. 445).66 Preambolo, par. 9.67 Secondo un recente rapporto dell'Unione internazionale per la conservazione della natura, ad. es., nellazona del vulcano Ngoro Ngoro (Tanzania) si trova la maggiore concentrazione al mondo di animaliselvatici. Particolare importanza rivestono i c.d. centri vaviloviani di diversità biologica (dal nome del botanicorusso Vavilov che per primo individuò i centri di origine delle coltivazioni più importanti, quasi tutti inpaesi in via di sviluppo). La tutela degli ambienti più rappresentativi degli ecosistemi europei, nel contestopiù ristretto (ed integrato) dell’Unione è stata realizzata grazie al progetto Natura 2000, attraversol’adozione della c.d. direttiva Habitat (Direttiva del Consiglio 92/43/CEE).68 World List of Areas of Outstanding Importance for the Conservation of Biological Diversity (art. 5, par.2)

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composto da un numero ristretto di esperti nominati dalla Conferenza delle Parti ed

agenti nella loro capacità individuale69.

Gli Stati, considerati semplici 'guardians of biological diversity'70, avrebbero

dovuto assumersi obblighi molto gravosi ed adottare nei propri ordinamenti tutte le

misure legislative o amministrative idonee ad assicurare le protezione della biodiversità,

riducendo e controllando le fonti di inquinamento e prevedendo sanzioni adeguate per

punire i reati ambientali71. L'uso del territorio avrebbe dovuto essere compatibile con le

finalità del Trattato (art. 6) e studi di impatto sarebbero stati obbligatori per tutte le

attività suscettibili di minacciare la diversità biologica (art. 14).

Il contenuto concreto di questi obblighi di natura solidale sarebbe stato determinato a

maggioranza dalla Conferenza delle Parti, sulla base delle proposte avanzate dal

Comitato consultivo. Agendo in nome e per conto dell'intera comunità internazionale,

questo organo - indipendente affatto dalla volontà degli Stati - avrebbe rivestito un ruolo

rilevante: non soltanto avrebbe redatto la lista mondiale di aree da proteggere ed i criteri

della loro sorveglianza, ma anche l’elenco delle specie minacciate di estinzione e delle

sostanze nocive per l’ambiente, le linee guida relative all’introduzione di specie esotiche

o geneticamente modificate, i criteri di selezione delle domande di finanziamento, etc.72

Gli ampi poteri concessi ad un organo tecnico, nonché il meccanismo decisionale

basato sulla regola della maggioranza, risultavano chiaramente inaccettabili agli Stati,

soprattutto (ma non solo) ai paesi non industrializzati, i quali avrebbero dovuto

condizionare le proprie politiche di sviluppo al rispetto di rigidi parametri ambientali.

Un altro aspetto saliente del Progetto, di chiara impronta ‘mondialista’73, concerneva

il finanziamento della tutela ambientale e la creazione di un Fondo per la conservazione

della diversità biologica, utilizzato per finanziare gli Stati e le organizzazioni

internazionali nella realizzazione di progetti di conservazione (ricerca scientifica,

creazione di aree protette, riduzione dell’inquinamento, etc.) tramite prestiti o pagamenti

69 Art. 20, par. 4. Questi esperti altamente qualificati avrebbero dovuto essere scelti in modo darappresentare in maniera adeguata le varie discipline scientifiche concernenti la tutela della biosfera(botanica, zoologia, scienze marine, etc.), nonché le differenti aree biogeografiche della Terra (art. 20, par.3). Nelle note esplicative annesse al Progetto (Explanatory Notes to Draft Articles Prepared by IUCN forInclusion in a Proposed Convention on the Conservation of Biological Diversity and for the Establishmentof a Fund for that Purpose.) compaiono numerose proposte concernenti la designazione dei membri delComitato. Secondo una di esse, gli esperti sarebbero stati scelti da alcune organizzazioni internazionaliesperte nei vari settori disciplinari (UNEP, FAO, UNESCO, UICN, etc.); la Conferenza avrebbe avuto ildiritto di avanzare delle obiezioni e chiedere una nuova designazione (Explanatory, ibidem, p. 23).70 Progetto dell’UICN, cit., Preambolo, par. 5 e art. 3.71 Ibidem, artt. 10 e 36.72 Per le funzioni del Comitato consultivo, v. ibidem, art. 21.73 HERMITTE, op. cit., p. 850.

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a titolo gratuito74. Si avrà modo di tornare sul reperimento delle risorse del Fondo nel

capitolo III, dopo aver affrontato il problema della tutela dei diritti di proprietà

intellettuale. Si sottolineerà per adesso che, nelle intenzioni ambiziose dei redattori del

Progetto, il Fondo per le conservazione della diversità biologica, amministrato dalla

Conferenza o da un organo da questa designato, sarebbe stato finanziato da meccanismi

automatici indipendenti dalla volontà degli Stati. Gli accordi ambientali precedenti sulla

protezione delle aree inserite nella Lista mondiale, pur restando in vigore, si sarebbero

trovati in una posizione chiaramente subordinata, dipendendo in gran parte dal Fondo

per l’accesso alle risorse economiche75.

Il Progetto dell'UICN, nel quale alcuni commentatori hanno riconosciuto un'impronta

romantica ed umanista se non ‘utopica'76, si ispirava ad uno spirito di gestione scientifica

e razionale dell'ambiente su scala globale.

E’ agevole constatare come la soluzione prospettata avrebbe rappresentato senz'altro

una rottura rispetto alle vecchia grammatica conservazionista, ossequiosa della sovranità

degli Stati. Sovrastando il vecchio edificio, come la cupola del Brunelleschi la

costruzione gotica, ne avrebbe rinnovato la struttura e il linguaggio, aprendo nuovi,

inediti orizzonti.

Il Progetto, tuttavia, era troppo avanzato per una comunità poco integrata come quella

internazionale che ricorda la 'città partita' di dantesca memoria piuttosto che il sistema

internazionale universale teorizzato da Kaplan77. Né la distensione internazionale, né la

fine della guerra fredda, a dispetto delle speranze di molti, avrebbero posto le basi di un

partenariato mondiale fondato sulla cooperazione internazionale e sulla valorizzazione

delle grandi organizzazioni multilaterali.

1.5 I lavori preparatori della Convenzione di Rio

Nella consapevolezza che la razionalizzazione della pletora di accordi settoriali e

regionali e il superamento della 'nebulosa istituzionale'78 avrebbero permesso una

gestione più efficiente del patrimonio biologico mondiale, nel 1988 il Consiglio dei

Governatori dell’UNEP stabilì un Gruppo di lavoro ad hoc per esaminare ‘the

74 Progetto dell’UICN, cit., Art. 23.75 Sul rapporto del progetto con le altre convenzioni ambientali v. ibidem, art. 38.76 M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 39.77 KAPLAN, Systems and Processes of International Politics, New York, 1957.78 L’espressione si trova in PELLET, op. cit., p. 1225.

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desirability and possibile form of an umbrella convention to rationalise current activities

in this field, and to address other areas which might fall under such a convention’79. Il

Gruppo di lavoro si riunì tre volte fra il novembre del 1988 ed il luglio del 199080.

Inizialmente si pensava ad una 'convenzione ombrello' che avrebbe dovuto

disciplinare la materia nella sua totalità, portando alla graduale estinzione dei trattati

precedenti o riducendo alcuni di essi (ad es. la Convenzione di Ramsar) a dei semplici

protocolli allegati alla Convenzione81. Le difficoltà non soltanto tecniche di

un’operazione del genere, unite al timore che i negoziati potessero arenarsi portarono

presto, tuttavia, a circoscrivere l’oggetto dello strumento; era ancora viva la memoria dei

dieci anni di dibattiti che avevano preceduto l’adozione della nuova convenzione sul

diritto del mare. Nel 1990, il gruppo di lavoro si era già orientato verso l’elaborazione di

un trattato quadro che si sarebbe affiancato alle convenzioni precedenti, senza istituire

alcun preciso sistema di gestione internazionale delle aree protette. Insomma, più lavoro

di consolidazione che di sovversione.

Fin dal 1988, era emersa chiaramente in seno all'UNEP una delle grandi fratture

(cleavages) che avrebbe diviso il Nord ed il Sud del mondo qualche anno dopo durante il

Vertice della Terra. Mentre gli Stati più industrializzati si mostravano favorevoli

all’estensione su scala mondiale degli standard ambientali recentemente introdotti nelle

proprie legislazioni nazionali, i paesi in via di sviluppo erano riluttanti a vincolarsi ad un

trattato che, ponendo loro obblighi specifici di conservazione, limitasse la loro sovranità

sul territorio e sulle risorse naturali. Essi ritenevano che, in assenza di un efficace

meccanismo di finanziamento e di trasferimento tecnologico obbligatorio a carico dei

paesi industrializzati, una 'total globalisation of environmental issues' avrebbe

rappresentato un freno inaccettabile alle loro politiche economiche e alla necessità

inderogabile di lotta alla povertà82.

79 Decisione del Consiglio dei governatori 14/26, citata in BURTHENNE-GUILMIN, CASEY-LEFKOWITZ, The Convention on Biological Diversity: a Hard Won Global Achievement, in Yearbook ofInternational Environmental Law, p. 44 e s.80 Sui lavori preparatori della Convenzione in seno all’UNEP, vedi HERMITTE, op. cit., pp. 851 ss.;ANSARI, JAMAL, The Convention on Biological Diversity: a Critical Appraisal with Special Referenceto Malaysia, in IJIL, pp. 74 ss.; BURTHENNE-GUILMIN, CASEY-LEFKOWITZ, op. cit., pp. 44 ss.;BELL, The 1992 Convention on Biolological Diversity: the Continuing Significance of U.S. Objections atthe Earth Summit, in The George Washington Journal of International Law and Economics, 1992, pp. 505ss.81 Risoluzione del Consiglio di amministrazione dell'UNEP, giugno 1987.82 Come avrebbe sostenuto a Rio il rappresentante della Malesia, riassumendo le ragioni politiche edideologiche terzomondiste, i pvs non volevano sopportare i costi della conservazione (e del mancatoutilizzo) delle risorse biologiche, tenendo le proprie foreste in custodia per quelli che avevano distrutto leloro.

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Dopo la stesura da parte del Segretariato di una prima bozza informale di trattato nel

gennaio del 199183, in febbraio cominciò formalmente il processo di negoziazione. Il

gruppo di lavoro incaricato di predisporre il testo, denominato Comitato negoziale

intergovernativo per una Convenzione sulla diversità biologica, si riunì 5 volte fra il

giugno del 1991 e il maggio del 199284. I negoziati furono molto difficili ed il

raggiungimento di un accordo rimase incerto fino all’ultimo giorno, il 22 maggio del

1992, quando il Comitato riunito a Nairobi adottò l’atto finale, dichiarando che la

Convenzione sulla biodiversità sarebbe stata aperta alla firma dopo pochi giorni al

Vertice della Terra. E’ sintomatico constatare come, su proposta del Presidente del

Comitato, il documento concordato fu adottato attraverso un’unica votazione sull’intero

testo, procedimento senza dubbio alquanto inconsueto. Molti Stati espressero perplessità

circa tale metodo e per protesta la Francia si rifiutò di firmare l’atto finale. Gli Stati

Uniti, che non avrebbero poi firmato la Convenzione a Rio, firmarono invece il testo

concordato all’interno del comitato intergovernativo, pur esprimendo alcune riserve85.

1.6 L'esito della negoziazione: gli obblighi posti agli Stati dalla Convenzione

Frutto di un compromesso fra gli interessi polarizzati dei paesi in via di sviluppo e di

quelli industrializzati, il testo finale riflette bene, nelle sue contraddizioni, gli

orientamenti recenti del diritto internazionale ambientale, in certi suoi sviluppi innovativi

come nei limiti persistenti. Prendendo in prestito una famosa metafora di Calamandrei,

verrebbe da dire che la Convenzione contiene al suo interno ‘ruote di legno’ e ‘ruote di

acciaio’.

Gli obiettivi dell’accordo, quali enunciati all’art. 3, sono molto estesi e riguardano: 1)

la conservazione della diversità biologica; 2) l’uso sostenibile dei suoi elementi; 3) la

condivisione giusta ed equa (partage juste et équitable, equitable sharing) dei vantaggi

derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.

Senza realizzare alcuna Lista mondiale e nessun meccanismo di gestione a livello

internazionale delle aree protette, la Convenzione affida alle istanze nazionali, ‘dans la

83 Per facilitare la redazione in articoli, il gruppo di lavoro fu diviso in due sottogruppi: il primo fuincaricato di discutere le questioni generali, le tecniche di conservazione e la relazione con gli altristrumenti; il secondo si occupò dei temi dell’accesso alle risorse genetiche, del trasferimento tecnologico edei meccanismi di finanziamento (BURTHENNE-GUILMIN, CASEY-LEFKOWITZ, op. cit., p. 46). Fuevidentemente questo sottogruppo a dover affrontare le questioni più spinose.84 BURTHENNE-GUILMIN, CASEY-LEFKOWITZ, op. cit., p. 46.

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mesure du possibile et selon qu’il conviendra’, il compito di tutelare gli organismi viventi

all’interno dei loro ecosistemi di origine (protezione in situ, art. 8)86 o, in subordine, in

apposite strutture come giardini botanici, parchi zoologici, banche di semi o di

germoplasma (conservazione ex situ, art. 9).

Richiede ad ogni Stato, ‘en fonction des conditions et moyens qui lui sont propres’, di

integrare, ‘dans toute la mesure possibile et comme il convient’, la conservazione e l’uso

sostenibile della diversità biologica nelle proprie politiche settoriali87 e nel processo

decisionale nazionale88. A questo proposito, l’art. 14 impone alle Parti, sempre ‘dans la

mesure du possibile et selon qu’il conviendra’, di esigere valutazioni di impatto

ambientale sui progetti suscettibili di nuocere sensibilmente all’ecosistema naturale89.

Disposizioni specifiche, pur senza imporre obblighi stringenti, esortano gli Stati ad

inventariare il patrimonio biologico presente nel proprio territorio90, favorire l’uso

sostenibile della biodiversità attraverso incentivi economici91, agevolare la ricerca

scientifica e la presa di coscienza dell’importanza della tutela della natura attraverso

l’educazione e la sensibilizzazione del pubblico92.

Dopo aver incoraggiato la cooperazione degli Stati nella tutela delle risorse comuni o

situate al di fuori delle giurisdizioni nazionali93, la Convenzione auspica lo scambio di

informazioni concernenti le attività condotte sotto la giurisdizione di uno Stato che

potrebbero nuocere sensibilmente alla diversità biologica di altri Stati o di zone al di

fuori delle giurisdizioni nazionali94. Nel caso in cui sussista il pericolo di un danno grave

e imminente (situation critique, emergency), lo Stato nel cui territorio si svolge l’attività

all’origine del pericolo dovrà notificarlo immediatamente agli Stati che potrebbero essere

coinvolti e prendere le misure adeguate per prevenirlo o a ridurne gli effetti95. Gli artt. 17

85 BELL, op. cit., p. 507.86 L’idea che la conservazione del patrimonio mondiale debba essere realizzata prevalentemente nei luoghidi origine e non in musei o laboratori fa parte di un approccio più moderno, inaugurato dalla Convenzionedi Berna del 1979 (KISS, BEURIER, op. cit., p. 267).87 Art. 6, lett. b).88 Art. 10, lett. a).89 Art. 14, lett. a). Introdotta per la prima volta nel 1969 nella legislazione statunitense (NationalEnvironmental Policy Act), la valutazione di impatto ambientale era già stata prevista negli anni ’70 e ’80in Canada e nei Paesi europei, anche sotto le pressioni dell’OCDE. A livello internazionale, la valutazionedi impatto ambientale in un contesto oltre frontiera era stata disciplinata in maniera stringente dallaConvenzione ESPOO, adottata nel 1991. Essa è contemplata poi dalla Dichiarazione di Rio (Principio 17).90 Art. 7, lett. a).91 Art. 11.92 Art. 13.93 Art. 5.94 Art. 14, lett. c).95 Art. 14, lett. d). Il dovere di notifica delle attività che potrebbero avere effetti negativi su Stati stranieriera stato affermato fin dagli anni ’70 in alcune risoluzioni dell’Assemblea Generale delle NU (Ris.3281/XXI del 12 dicembre 1971, art. 3; Ris. 3139/XXVIII del 13 dicembre 1973, consultabili su Internet

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e 18 disciplinano la cooperazione tecnica e scientifica fra gli Stati, la quale deve

avvenire attraverso scambi di esperti nell’ambito delle tecniche relative alla

conservazione e all’uso sostenibile della diversità biologica (tecniche di catalogazione,

tecniche di base di laboratorio: criocongelamento, stoccaggio, estrazione di materiale

genetico, etc.), prestando particolare attenzione ai bisogni dei paesi in via di sviluppo. Il

vero e proprio trasferimento tecnologico, in particolare delle tecnologie oggetto di diritti

di proprietà intellettuale, costituisce invece l’oggetto di apposite disposizioni96.

Come ha sottolineato Hermitte97, nei quattro anni di lavori preparatori la

Convenzione - che all'inizio avrebbe dovuto creare un reticolo di aree protette per

preservare le ‘zone testimoni’ della diversità biologica - cambiò oggetto e il dibattito fra i

Governi si concentrò sulla ripartizione dei benefici derivanti dallo sfruttamento delle

risorse genetiche.

Secondo l’art. 1 del testo definitivo, la ripartizione ‘juste et équitable’ dei vantaggi

derivanti dallo sfruttamento di queste ultime dovrà essere realizzata grazie ad un accesso

‘satisfaisant’ alle dette risorse e ad un ‘transfert approprié’ delle tecniche pertinenti.

Questi aggettivi sono tipici di un linguaggio estremamente flessibile (loose language); il

concetto di equità in particolare, non essendo ulteriormente precisato, è suscettibile di

interpretazioni affatto diverse nella sua applicazione in situazioni specifiche.

Dopo aver affermato il dovere per ogni Parte (nella misura del possibile) di

controllare e regolare i rischi associati all’utilizzo e all’immissione nell’ambiente di

organismi viventi modificati geneticamente98, la Convenzione prevede all’art. 19, par. 4,

che l’importazione in uno Stato di organismi geneticamente modificati sia preceduta

dalla comunicazione di tutte le informazioni relative al loro utilizzo e al possibile impatto

sfavorevole conseguente alla loro introduzione nell’ambiente. La questione troppo

all’indirizzo www.un.org, pagina base). Gli obblighi di cooperazione (particolarmente in funzionepreventiva), di informazione e consultazione erano stati poi previsti in numerosi trattati bilaterali eregionali (ad es. Convenzione di Kuala Lumpur, art. 20) e nella Convenzione di Vienna adottata nelquadro dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica il 26 settembre 1986, immediatamente dopo ildrammatico incidente di Chernobil. Il principio di informare con sufficiente anticipo gli Stati vicini sulle attività pericolose che possonoavere effetti seriamente negativi sul loro territorio, intraprendendo con essi rapidamente ed in buona fedenegoziazioni, e di notificare immediatamente il pericolo imminente di incidenti (o di incidenti in atto) chepotrebbero avere effetti nocivi importanti sul loro ambiente sono espressi nella Dichiarazione di Rio(Principi 18 e 19). Questi doveri, specificazioni del principio generale di cooperazione, hanno ormaiassunto, secondo la dottrina prevalente, natura di norma consuetudinaria (KISS, BEURIER, op. cit., p. 55).A questa conclusione giunge anche Conforti, peraltro piuttosto prudente circa l’esistenza di obblighiconsuetudinari relativi agli usi nocivi del territorio (CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1997, p.246).96 Vedi infra, capitolo II.97 HERMITTE, op. cit., p. 846.98 Convenzione sulla biodiversità, art. 8 lett. g).

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conflittuale della ‘biosicurezza’ veniva in gran parte posposta; senza che fosse stato

possibile raggiungere un accordo sulle procedure da adottare per trasferire questi

organismi, né sulle modalità di manifestazione del previo consenso dello Stato di

importazione, l’art. 19, par. 3, rinvia semplicemente alle decisioni successive delle Parti

e all’eventuale adozione di un Protocollo.

1.7 (segue) Il meccanismo di controllo

Molto tradizionale e assolutamente insoddisfacente appare il meccanismo di controllo

internazionale del rispetto della Convenzione. Secondo il combinato disposto degli artt.

26 e 23, par. 4, lett. a), gli Stati devono redigere periodicamente dei rapporti sulle misure

prese dalle loro autorità nazionali concernenti l’applicazione della Convenzione. Se è

vero che la mera redazione dei rapporti e la loro discussione esercitano una pressione di

tipo politico-psicologico sugli Stati, il fatto che essi vengano esaminati dalla Conferenza

delle Parti lascia piuttosto delusi. Si tratta infatti di un organo politico composto

dall’insieme degli Stati contraenti e non da esperti indipendenti, come avviene ormai da

molto tempo nei procedimenti posti in essere dai trattati sulla tutela dei diritti umani. Fra

gli altri difetti della Convenzione deve essere segnalata anche la mancanza di qualsiasi

procedura di inchiesta o di fact-finding, praticamente indispensabile per un efficace

monitoraggio in ambito ambientale99.

La risoluzione delle controversie internazionali concernenti l’interpretazione o

l’applicazione della Convenzione è regolata dall’art. 27. Qualora i procedimenti

negoziali, i buoni uffici o la mediazione100 si siano conclusi senza successo, se entrambe

le Parti hanno precedentemente dichiarato di accettare come obbligatorio l’arbitrato o la

giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, la controversia sarà risolta attraverso

il regolamento arbitrale o giudiziale con l’emanazione di una sentenza vincolante.

In ogni caso, la Convenzione prevede il ricorso obbligatorio alla conciliazione (c.d.

conciliazione obbligatoria), ossia anche senza il consenso di una delle Parti in lite,

secondo il meccanismo stabilito dall’Annesso II (seconda parte). La possibilità di mettere

unilateralmente in moto questo procedimento per la soluzione delle controversie, già

contemplata in determinati casi dalla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei

99 Procedure di inchiesta erano già state previste nella Convenzione CITES e nella Convenzione diCamberra.100 Art. 27.

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trattati e dalla Convenzione del 1982 sul diritto del mare, è piuttosto comune negli

accordi ambientali multilaterali e deve essere salutata positivamente, inserendosi in una

tendenza alla procedurizzazione della soluzione delle controversie internazionali101. La

Convenzione non prevede invece procedure di non rispetto (non compliance measures,

procédures de non respect), prima di Rio inserite già nel Protocollo di Montreal alla

Convenzione di Vienna del 1985 sulla protezione della fascia di ozono102.

1.8 (segue) Il meccanismo di finanziamento

Come sottolineato dal Rapporto Brundtland (par. 162), tenuto conto che la maggiore

ricchezza di specie viventi si trova nei territori dei paesi poveri subtropicali, il

reperimento di adeguate risorse finanziarie rappresenta una conditio sine qua non per la

conservazione efficace della biodiversità mondiale. Proprio partendo da queste

considerazioni, il Progetto dell’UICN aveva fatto della ripartizione degli oneri di

conservazione (burden sharing) il fulcro di tutto il sistema.

Venendo al meccanismo di finanziamento previsto dalla Convenzione di Rio, esso

risulta particolarmente ambiguo se non ‘misterioso’103.

L’art. 20 recepisce il principio delle responsabilità comuni ma differenziate,

distinguendo la situazione giuridica delle Parti contraenti in base al loro livello di

sviluppo economico e prendendo in considerazione il contributo alla creazione dei

problemi ambientali globali nonché le capacità di porvi rimedio104. Come è evidente, il

principio delle responsabilità comuni ma differenziate deroga a quello tradizionale di

reciprocità e di uguaglianza formale degli Stati, per realizzare più pienamente gli

obiettivi di giustizia riconosciuti dalla Carta delle Nazioni Unite. Nella sostanza viene

101 Sul ricorso obbligatorio alla conciliazione, v. A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 331.102 Sulle misure di non rispetto, vedi, in generale, M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit.,pp. 346 ss.103 HERMITTE, op. cit., p. 867.104 Il principio delle ‘common but differentiated responsibilities’ è riconosciuto nelle più importanticonvenzioni mondiali sull’ambiente a partire dalla fine degli anni ’80 (vedi, ad es., Convenzione di Basileadel 22 marzo 1989 sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e loro eliminazione, art.10, par. 2). Si ritrova ovviamente anche nella Convenzione sui cambiamenti climatici e nellaDichiarazione di Rio. Secondo il Principio 7 della Dichiarazione, infatti, ‘States shall co-operate – in aspirit of global partnership to conserve, protect and restore health and integrity of the earth’s ecosystem. Inview of the different contributions to global environmental degradation, States have common butdifferentiated responsibilities. The developed countries acknowledge the responsibility that they bear in theinternational pursuit of sustainable development in view of the pressure their societies place on the globalenvironment and of the technologies and financial resources they command.’

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quindi accolta nella Convenzione la teoria dell’ineguaglianza compensatrice, espressione

non menzionata esplicitamente forse perché troppo socialista per l’aria del tempo.

I Paesi sviluppati, elencati in una lista predisposta dalla Conferenza delle Parti,

dovranno fornire ai paesi in via di sviluppo o in transizione le ‘ressources financières

nouvelles et additionnelles pour permettre aux Parties qui sont des pays en

développement de faire face à la totalité des surcoûts convenus que leur impose la mise

en oeuvre des mesures par lesquelles ils s’acquittent des obligations découlant de la

présente Convention’105, tenendo conto delle condizioni e dei bisogni specifici dei paesi

meno avanzati106 e di quelli più vulnerabili dal punto di vista ambientale come gli Stati

insulari107, costieri, montagnosi, aridi, etc.108

I paesi non sviluppati, incoraggiati a fornire nuove risorse a titolo volontario, non

sono obbligati a sopportare alcun costo economico aggiuntivo ed il rispetto degli obblighi

di conservazione previsti dalla Convenzione è espressamente subordinato

all’ottemperanza da parte dei paesi sviluppati dei loro oneri finanziari e della

realizzazione del trasferimento tecnologico.

Riconosce infatti l’art. 20, par. 4:

‘ [l]es pays en développement ne pourront s’acquitter effectivement des obligations quileur incombent en vertu de la Convention que dans la mesure où les pays développéss’acquitteront effectivement des obligations qui leur incombent en vertu de laConvention s’agissant des ressources financières et du transfert de tecnologie et où cesderniers tiendront pleinement compte du fait que le développement économique et socialet l’élimination de la pauvreté sont les priorités premières et absolues des pays endéveloppement’109.

Questa disposizione rappresenta senz’altro una vittoria dei paesi in via di sviluppo ed

in particolare del Gruppo dei 77, ai quali la Convenzione non impone de facto alcun

obbligo aggiuntivo di conservazione rispetto a quelli che essi abbiano assunto attraverso

la stipulazione di altri strumenti internazionali (Convenzione di Ramsar, Convenzione di

Algeri, Convenzione di Kuala Lumpur, etc.). Senza che sia stato creata alcuna rete di

aree protette gestite a livello internazionale, la tutela efficace della biodiversità nei paesi

che ne sono più ricchi è per adesso rimandata sine die. I paesi sviluppati sono infatti

105 Art. 20, par. 2.106 Art. 20, par. 5.107 Art. 20, par. 6.108 Art. 20, par. 7.109 Analoga disposizione si trova nella Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Rio, 1992) all’art.4, par. 7.

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molto lontani dall’avere fornito le risorse finanziarie richieste dalla Convenzione

attraverso vie bilaterali, regionali o multilaterali110 .

Ben pochi risultati ha dato per adesso anche il meccanismo di finanziamento stabilito

all’art. 21 e funzionante sotto l’autorità della Conferenza delle Parti, responsabile

quest’ultima della determinazione dei criteri di accesso alle risorse da parte dei paesi in

via di sviluppo sotto forma di doni o prestiti concessi a condizioni di favore, così come

del loro utilizzo. Il primo paragrafo dello stesso articolo afferma in maniera sibillina:

‘[l]es contributions seront telles qu’elles permettront de prendre en compte la nécessitéde versements prévisibles, adéquats et ponctuels comme il est prévu à l’article 20, enrapport avec le montant des ressources nécessaires, dont la Conférence des Partiesdécidera périodiquement, et l’importance du partage du fardeau entre les Partiescontribuantes…’111.

Anche se questo meccanismo fu definito da Bush come eccessivamente ‘open

ended’112 e rappresentò una delle ragioni della mancata firma statunitense, la lettera della

Convenzione non attribuisce in nessun modo alla Conferenza delle Parti il potere di

stabilire l’ammontare dei contributi individuali degli Stati contro la loro volontà.

Questa interpretazione, avanzata dopo la negoziazione finale a Nairobi da 19 Paesi

industrializzati in una dichiarazione congiunta113, appare suffragata anche dall’analisi

dell’art. 23, par. 3, in base al quale la Conferenza delle Parti adotta il proprio

regolamento interno (e stabilisce quindi le modalità di voto) per consensus.

In attesa della designazione ai sensi dell’art. 21 di una nuova struttura istituzionale

incaricata della gestione del meccanismo di finanziamento, questa è stata affidata dalla

Convenzione in via provvisoria al già esistente Fondo per l’ambiente mondiale (art. 39),

sotto la guida e l’autorità della Conferenza delle Parti114. Tale soluzione fu favorita dal

Regno Unito e dagli Stati Uniti115, nonostante le riserve della Malesia e di molti paesi in

110 Art. 20, par. 3.111 Corsivo aggiunto.112 BELL, op. cit., p. 513.113 ANSARI, JAMAL, op. cit., p. 93; BURTHENNE-GUILMIN, CASEY-LEFKOWITZ, op. cit., p. 56;BELL, op. cit., p. 511.114Art. 39: ‘ Sous riserve qu’il ait été intégralement restructuré, conformément aux dispositions de l’article21, le Fonds pour l’environnement mondial… est, provisoirement, la structure institutionnelle prévue parl’article 21, pour la période allant de l’entrée en viguer de la présente Convention à la première réunion dela Conférence des Parties ou jusqu’à ce que la Conférence des Parties ait désigné une structureinsitutionnelle conformément à l’article 21’. Creato nel 1990 dalla Banca mondiale in consultazione con l’UNEP e l’UNDP, il Fondo per l’ambientemondiale è indicato come meccanismo di finanziamento dall’Agenda 21 (Capitolo 33). Su di esso, v.BOISSON DE CHAZOURNES, Le Fonds sur l’environnement mondial, recherche et conquête de sonidentité, in AFDI, 1995, pp. 612 ss.115 BELL, op. cit., p. 514.

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via di sviluppo che volevano subito la creazione di un fondo ad hoc nel quale disporre di

un maggiore potere decisionale116.

1.9 (segue) Una convenzione-quadro

La Convenzione aperta alla firma durante la Conferenza delle Nazioni Unite su

ambiente e sviluppo il 5 giugno 1992 era molto diversa da quella vagheggiata dalle

associazioni ambientaliste. Come sarebbe avvenuto per gli altri documenti adottati a Rio,

il raggiungimento di un compromesso fra gli Stati aveva portato ad un testo con molte

ambiguità e lacune, tenuto insieme – come è stato detto sarcasticamente – dalla vaghezza

interpretativa del classico ‘Un-ese’117.

A dispetto della generosità nelle affermazioni di principio in merito alla

conservazione degli ecosistemi e delle specie viventi, molti dubbi possono avanzarsi sul

contributo innovativo dello strumento rispetto alla disciplina normativa previgente, dato

che la Convenzione difetta di una precisa enucleazione di chiari obblighi sostanziali.

Tutte le disposizioni più significative sono accompagnate dalla locuzione ‘dans la mesure

du possible’118, affiancata spesso da altre come ‘selon qu’il conviendra’ o espressioni

analoghe, la cui presenza aggiunge un ulteriore elemento di incertezza119. E’ evidente che

l’asserito dovere di integrare gli obiettivi di tutela della biodiversità nelle proprie

politiche interne, previsto nell’art. 6, lett. b), a carico degli Stati ‘en fonction des

conditions et moyen qui lui sont propres’ e ‘dans la measure du possibile et comme il

convient’, appare così fluido ed indeterminato da essere svuotato di significato,

rendendo particolarmente complessa la prova di una sua violazione.

La vaghezza dei singoli articoli meriterebbe un’analisi lessicale. Essa spicca ancora

di più qualora si confrontino gli articoli della Convenzione con il Progetto dell’UICN,

secondo il quale le azioni di tutela ambientale avrebbero dovuto essere intraprese dagli

Stati ‘to the maximum extent possible’120, ‘to the fullest extent possible’121, ‘to the best

of their abilities’122, etc. Senza effettuare un’analisi comparata dei due testi, si

116 ANSARI, JAMAL, op. cit., p.101. Ad oggi, il meccanismo di finanziamento continua ad essere affidatoal Fondo per l’ambiente mondiale.117 PORRAS, The Rio Declaration: a New Basis for International Cooperation, in Review of EuropeanCommunity & International Environmental Law, 1992, p. 247.118 Questa formula è presente agli artt. 5, 6, 7, 8, 9, 10, 14.119 Si deve sottolineare, peraltro, che gli esempi di questo fenomeno sono numerosi. Si confronti, ad es.,l’art. 5 della Convenzione dell’UNESCO sulla tutela del patrimonio mondiale, secondo il quale ‘[c]hacunedes Parties contractantes, en fonction des conditions et moyens qui lui sont propres… intègre, dans toute lamesure du possibile et comme il convient...’.120 Draft, cit., art. 3, par. 1, e art. 7, par. 1.121 Ibidem, art. 5, par. 6.122 Ibidem, art. 5, parr. 2 e 7, e art. 6, par. 3.

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raffronteranno qui soltanto a titolo di esempio le disposizioni relative alla valutazione di

impatto ambientale. Mentre quest’ultima è citata timidamente all’art. 14 della

Convenzione di Rio123, l’art. 14 del Progetto dell’UICN prevede expressis verbis che

‘[s]tates…shall always require such an assessment whenever a proposed activity may

result in significant damage to an area included in the World List’124.

Alla luce delle considerazioni svolte sin ora, sembra che la Convenzione abbia

sostanzialmente fallito nella razionalizzazione degli accordi settoriali e regionali.

Riprendendo la metafora architettonica, più che l’audace costruzione del Brunelleschi, la

Convenzione evoca il tempio malatestiano e l’esile copertura progettata dall’Alberti per

rivestire il vecchio edificio, lasciandone inalterata la struttura.

Come hanno sottolineato Birnie e Boyle, la Convenzione sulla biodiversità può essere

qualificata come una convenzione-quadro o cornice (traité-cadre, framework

convention)125. Secondo la definizione data da Kiss, per ‘traité-cadre’ si intende ‘un

instrument conventionnel qui énonce les principes devant servir de fondement à la

coopération entre les Etats parties dans un domaine déterminé, tout en leur laissant le

soin de définir, par des accords séparés, les modalités et les détails de la coopération, en

prévoyant, s’il y a lieu, une ou des institutions adéquates à cet effet’126.

L’enunciazione di principi la cui portata sarà precisata da ulteriori protocolli è molto

comune nel diritto internazionale ambientale e risponde adeguatamente all’esigenza, già

intravista da Suarez all’inizio del secolo scorso, di permettere un’evoluzione della

disciplina giuridica, adattandola agli sviluppi scientifici e tecnologici e all’emergere dei

nuovi problemi ecologici.

Come nelle nuove generazioni di accordi ambientali multilaterali, la Conferenza delle

Parti gioca un ruolo estremamente importante in questo processo127. Non soltanto deve

123 Convenzione di Rio, art. 14, par.1, lett. a): ‘Chaque Partie contractante, dans la mesure du possibile etselon qui’il conviendra: a) adopte des procédures permettant d’exiger l’évaluation des impacts surl’environnement des projets qu’elle a proposés et qui sont susceptibles de nuire sensiblement à la diversitébiologique en vue d’éviter et de réduire au minimum de tels effets, et, s’il y a lieu, permet au public departiciper à ces procédures’ (corsivo aggiunto).124 Corsivo aggiunto.125 BIRNIE, BOYLE, op. cit., p. 571.126 KISS, op. cit., p. 793. E’ per lo meno curioso rilevare come la Convenzione sulla biodiversità non vengamenzionata nell’elenco di convenzioni-quadro citate dall’autore. Fra queste figurano invece laConvenzione di Bonn, la Convenzione sulla protezione dello strato di ozono (Vienna 1985) e laConvenzione sui cambiamenti climatici (Rio 1992). Sulla qualificazione della Convenzione come trattatoquadro, cfr. BURTHENNE-GUILMIN, CASEY-LEFKOWITZ, op. cit., p. 56 e s.127 HENNE, FAKIR, The Regime Building of the Convention on Biological Diversity on the Road toNairobi, in Max Planck Yearbook of United Nations Law, 1999, p. 319. Alla Conferenza si affianca unConsiglio tecnico e scientifico pluridisciplinare (art. 25), incaricato di fornire avvisi scientifici, tecnici etecnologici e aperto alla partecipazione di tutte le Parti. Se taluni ha sostenuto la Conferenza delle Parti

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vegliare in modo permanente sull’attuazione e sul corretto funzionamento della

Convenzione, ma ha anche il compito di modificarne il contenuto normativo, in primo

luogo emendandola128 o aggiungendo degli annessi disciplinanti questioni tecniche,

procedurali o amministrative129. Ai sensi dell’art. 29, gli emendamenti possono essere

adottati anche a maggioranza qualificata, ma non incidono sulla posizione giuridica

degli Stati che non li abbiano accettati130. Più innovativo è il meccanismo di adozione

degli annessi e degli emendamenti agli annessi, contemplato all’art. 30. Approvati a

maggioranza di due terzi, questi entrano in vigore dopo un anno per tutte le Parti, salvo

quelle che abbiano espressamente notificato la loro volontà di non essere vincolati (c.d.

clausola di opting out)131.

La portata dei principi enunciati nella Convenzione potrà essere fatta avanzare

soprattutto grazie all’adozione di protocolli, regolata dall’art. 28. Si tratta di strumenti

aventi un’esistenza giuridica indipendente e attraverso i quali un gruppo di Stati più

limitato rispetto alla sfera soggettiva di efficacia della Convenzione principale potrà

gettare le basi di una cooperazione più stretta, risolvendo le antinomie e le ambiguità del

testo principale132.

Non importa richiamare l’esperienza di integrazione europea, né le teorie di Monnet,

di Schuman e dei funzionalisti per comprendere l’importanza dell’istituzione di un

quadro istituzionale comune, anche se imperfetto, capace di permettere una negoziazione

continua fra gli Stati.

D’altra parte, si deve considerare che l’attribuzione agli organi internazionali della

competenza di adottare decisioni che impongono alle Parti - indipendentemente dalla

essere dotata della facoltà di interpretare le disposizioni della Convenzione (potestas interpretandi), taleaffermazione non sembra trovare una base sufficiente nel dato positivo. Sulla natura giuridica, le funzioni ed i poteri delle conferenze delle Parti ai trattati ambientali, si vedanole acute osservazioni di Ferrajolo (FERRAJOLO, Les réunions des Etats parties aux traités relatifs à laprotection de l’environnement, in RGDIP, 2003, pp. 73 ss.). L’autrice, non ammettendo l’esistenza di unadistinta personalità giuridica internazionale delle conferenze delle Parti come organizzazioni internazionali,considera i trattati ambientali che le istituiscono (Convenzione di Ramsar, Convenzione sulla biodiversità,Convenzione di Bonn, etc.) come strumenti cooperativi sui generis che danno luogo ad una nuova forma dicooperazione fra gli Stati. Gli accordi stipulati con altri soggetti di diritto (ad es. il Memorandum ofUnderstanding fra la Conferenza delle Parti alla Convenzione di Rio e il Fondo per l’ambiente mondiale)devono essere interpretati, secondo la Ferrajolo, non come la manifestazione di un autonomo treaty-makingpower, bensì come l’ennesima manifestazione del prevalere del pragmatismo sul formalismo nel dirittocontemporaneo (FERRAJOLO, op. cit., p. 84).128 Art. 29.129 Art. 30.130 Art. 29.131 Art. 30, lett. c). Un meccanismo analogo è previsto in molti accordi ambientali multilaterali (AccordoCITES, art. XV; Convenzione di Ramsar, art. 10 bis; Convenzione sui cambiamenti climatici, art. 16, etc.).132 I rapporti fra la Convenzione ed i suoi protocolli sono disciplinati dall’art. 32, in base al quale, come ècomune, nessuno Stato o organizzazione internazionale può divenire parte ad un protocollo senza essereparte alla convenzione principale.

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loro accettazione - la modifica della disciplina normativa, costituisce un fenomeno del

tutto eccezionale133. La previsione di forme di ‘cooperazione rafforzata’ fra nuclei

ristretti di Stati può rivelarsi quindi, in certi casi, una soluzione di ‘second-best’.

Per quanto concerne la Convenzione di Rio, ad oggi è stato adottato soltanto il

Protocollo sulla biosicurezza. L’art. 14 prevede però espressamente l’esame da parte

della Conferenza delle Parti del problema, complicatissimo, della responsabilità degli

Stati e del risarcimento dei danni causati alla diversità biologica134 e numerosi altri

protocolli sono stati proposti in dottrina e dagli Stati.

1.10 (segue) Un diritto ‘verde’?

L’assetto fluido e incompiuto della Convenzione riflette una delle caratteristiche

peculiari del diritto dell’ambiente, un’area ‘sismica’ del diritto internazionale

contraddistinta spesso dall’adozione di documenti non vincolanti (impegni, dichiarazioni

di intenti, gentlements’ agreements, etc.) o di convenzioni quadro ‘presbiti’ dalla portata

essenzialmente esortativa, talvolta più ‘incantatoria’ che programmatica135.

Confrontando questi strumenti col rigore che caratterizza altri settori più consolidati

del diritto internazionale, sembra quasi di passare dalla prima cantica dantesca, teatro

dell’uomo e delle sue passioni (Auerbach), alle rime evanescenti e rarefatte del Paradiso

dove, nelle parole del De Sanctis, tutte le forme fisiche e spirituali svaporano

nell’incolorata semplicità della luce136!

In riferimento a questo tipo di norme, caratterizzato da un non ben definito ‘grado

intermedio di giuridicità’, è stata proposta spesso in dottrina la nozione di soft law,

affiancata talvolta da altre formule analoghe, come weak law, fragile law, droit vert,

droit mou, etc137. Si tratterebbe - secondo la definizione più largamente accolta - di

principi non vincolanti, i quali possono tuttavia testimoniare l’emergere di una opinio

133 Un’eccezione degna di nota, in ambito ambientale, è la procedura di ‘aggiustamento’ prevista all’art. 2,par. 2, del Protocollo di Montreal del 1987 (cfr. M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit.,p. 102).134 Art. 14, par. 2. Questa disposizione è in armonia col Principio 22 della Dichiarazione di Rio, secondo ilquale ‘[s]tates shall co-operate to develop further the international law regarding liability and compensationfor the victims of pollution and other environmental damage caused by activities within the jurisdiction orcontrol of such States to areas beyond their jurisdiction’.135 KISS, BEURIER, op. cit., p. 400.136 DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, Roma, 1993, p. 176.137 L’espressione ‘droit vert’ è di Dupuy (citato in CORTEN, L’interprétation du ‘raisonable’ par lesjuridictions internationales: au delà du positivisme juridique?, in RGDIP, 1998, p. 32).

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iuris e porre le basi per la graduale cristallizzazione di norme consuetudinarie attraverso

un ‘hardening process’138.

Molti autori ricomprendono sotto la stessa categoria di soft law (o similia) sia le

dichiarazioni politiche che si trovano all’interno di strumenti privi di obbligatorietà, sia le

norme che, pur essendo contenute in trattati internazionali vincolanti, si

contraddistinguono per un contenuto vago ed indeterminato.139 Come hanno sottolineato

alcuni giuristi (soprattutto di civil law), sfumando i confini della giuridicità, questa

soluzione dà luogo una situazione di pericolosa incertezza giuridica e sembra più corretto

utilizzare la nozione di soft law soltanto per descrivere quegli strumenti non vincolanti

(dichiarazioni politiche congiunte, risoluzioni delle organizzazioni internazionali, etc.) la

cui caratteristica è proprio quella di trattare materie intorno alle quali non è stato

possibile raggiungere una convergenza di vedute tale da rendere possibile la conclusione

di veri e propri accordi internazionali140.

Per evitare qualsiasi ambiguità, in questo lavoro non si fa volutamente impiego della

formula soft law, né a proposito degli strumenti non vincolanti (Dichiarazione di

Stoccolma, Dichiarazione di Rio, etc.), né tanto meno della Convenzione di Rio.

1.11 (segue) La dottrina della preoccupazione comune dell’umanità

A seguito del rifiuto degli Stati di accettare l’estensione alle risorse genetiche della

dottrina del patrimonio comune dell’umanità, la Convenzione di Rio si è limitata a

definire la biodiversità come una preoccupazione comune dell’umanità (common concern

of humanity, préoccupation commune à l’humanité)141. E’ una nozione dai connotati

138 M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 132. Sintomatica della natura ambigua checaratterizza certi strumenti c.d. di soft law è la Dichiarazione sulle foreste adottata a Rio nel 1992, il cuititolo completo è Dichiarazione di principi, non giuridicamente vincolante ma facente autorità, per unconsenso mondiale sulla gestione, conservazione e sfruttamento ecologicamente sostenibile di tutti i tipi diforeste (corsivo aggiunto).139 In merito, cfr. M. A. FITZMAURICE, ibidem, pp. 125 ss.140 In questo senso, A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 230.141 Convenzione sulla biodiversità, cit., Preambolo: ‘Les Paries contractantes, … Affirmant que laconservation de la diversité biologique est une préoccupation commune à l’humanité’ (corsivo aggiunto). Sulla nozione di patrimonio comune dell’umanità, vedi infra, capitolo II. Molti autori (vedi per tutti GESTRI, La gestione delle risorse naturali di interesse generale per lacomunità internazionale, Torino, 1996, pp. 393 ss.) traducono l’espressione ‘common concern ofhumanity’ come ‘interesse comune dell’umanità’. In questa sede, si preferisce usare la dizione‘preoccupazione comune dell’umanità’, innanzitutto per la maggiore somiglianza col testo francese. Vasottolineato, poi, che nella dottrina anglofona si effettua talvolta una distinzione fra ‘Doctrine of CommonConcern’ e ‘Doctrine of Common Interest’ (M. A. FITZMAURCE, International Protection, op. cit., p.

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giuridici molto meno definiti, la quale, introdotta per la prima volta nel 1988

dall’Assemblea Generale in riferimento al clima globale142, nella sua voluta vaghezza

rappresentò un espediente diplomatico per raggiungere durante le negoziazioni un

consenso su un tema estremamente controverso nel dibattito fra il Nord ed il Sud del

mondo. Anche per questo, risulta di non agevole interpretazione ed ha costituito in

letteratura l’oggetto di ampie discussioni.

Come è stato messo in evidenza da più parti, si tratta di un concetto che si distingue

da quello di patrimonio comune dell’umanità perché basato sulla divisione degli oneri

piuttosto che su quella delle risorse143.

Detto questo, la nozione di préoccupation commune de l’humanité – per P.-M.

Dupuy ‘écho assourdi’di quella di patrimonio comune144 - è considerata da molti autori

più politico-filosofica che giuridica 145. Si tratterebbe di una formula di compromesso,

frutto di un’’evaporazione concettuale’ dell’illustre ‘antenato’ la quale, inserita nel testo

ad pompam, come dicevano gli antichi, colorem habet, substantiam nullam. A sostegno

di questa interpretazione dottrinale, si è rimarcato che la necessità di conservazione ed

uso sostenibile delle risorse naturali a profitto delle generazioni future, così come il

riferimento generico all’umanità e al suo benessere, sono molto frequenti nelle

convenzioni più recenti di carattere ambientale146.

In realtà, se è vero che il riconoscimento da parte degli Stati che la conservazione

della biodiversità rappresenta una preoccupazione per tutta l’umanità è piuttosto anodino,

163 e s.). Traducendo la parola ‘concern’ con ‘interesse’, non sarebbe possibile cogliere in italiano questasfumatura.142 Risoluzione dell’Assemblea Generale 43/53 (6 dicembre 1988), par. 1: ‘climate change is a commonconcern of mankind, since climate is an essential condition which sustains life on earth’ (corsivo aggiunto).Come il concetto di common heritage of mankind, quello di preoccupazione comune dell’umanità fuproposto per la prima volta da Malta (Ris. 43/53, consultabile sul sito www.un.org, pagina base). Ilconcetto di common concern era stato riutilizzato fra il 1988 e il 1992 in alcune Dichiarazioni conclusive diimportanti meetings internazionali (LEIGH, Liability for Damage to the Global Commons, in AYIL, 1993,p. 147). Una formula lievemente diversa è stata inserita nella Convenzione-quadro delle Nazioni Unite suicambiamenti climatici, adottata a Rio nel 1992, il cui incipit recita: ‘[l]es Parties à la présente Convention,Conscientes que les changements du climat de la planète et leurs effets néfastes sont un sujet depréoccupation pour l’humanité toute entière…’ (corsivo aggiunto).143 ‘The ‘common heritage of mankind’ is different from the ‘common concern of humankind’. The formeremphasizes the assumption that there are profits to share, while the latter recalls the burdens that will beborne.’ (SCOVAZZI, Biodiversity in the deep seabed, in Yearbook of International Environmental Law,1996, p. 486).144 P. -M. DUPUY, Où en est le droit, op. cit., p. 891.145 SAND, International Environmental Law After Rio, in EJIL, 1993, pp. 377 ss. Secondo taluni, essasarebbe stata influenzata dalla filosofia del ‘principio di responsabilità’, teorizzato da Jonas negli anni ’80(HERMITTE, op. cit., p. 859).146 Già nel preambolo della Convenzione africana per la conservazione della natura e delle risorse naturalidel 1968 si rinviene la formula ‘pour le bien être présente et futur de l’humanité’.

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non può essere interpretato comunque tamquam non esset : oltre ad essere dotato di un

alto valore pedagogico, esso non è privo di conseguenze giuridiche.

Per ragioni meramente espositive si possono individuare cinque punti fondamentali:

a) Una prima questione riguarda la natura stessa delle norme stabilite dalla

Convenzione. Secondo alcuni studiosi, i trattati ambientali fondati sul principio delle

responsabilità comuni ma differenziate che diversificano la situazione giuridica dei Paesi

in base al loro livello di sviluppo economico avrebbero soltanto in apparenza un carattere

multilaterale o universale. Ad avviso della Professoressa Fitzmaurice, ad esempio, ‘[d]ue

to the application of the principle of ‘common but differentiated responsibilities’…

parties to these treaties are under modified obligations (see, e.g., the Tokyo Protocol to

the Climate Change Convention), both qualitatively and quantitatively, discharged to a

customized time-table. Different obligations, fitted within an adjusted time-table, in

reality erase the general, universal character of these types of environmental treaties and

result in bilateralization of treaty relations between parties’147.

Queste conclusioni non paiono del tutto convincenti. Il fatto che gli obblighi incidano

sugli Stati in maniera diversa in funzione del loro sviluppo economico non sembra

contraddire di per sé il loro carattere solidale: semplicemente, potrebbe trattarsi di

obblighi che, nella loro portata variabile, sono dovuti da ciascuno Stato all’intera

‘comunità particolare’ nel suo insieme148.

Per arrivare al caso specifico della Convenzione di Rio, a fugare ogni possibile

dubbio viene in rilievo appunto il riferimento alla ‘dottrina’ della preoccupazione

comune dell’umanità. Le Parti hanno riconosciuto che gli obblighi da esse assunti a tutela

della biodiversità non sono dovuti agli altri Contraenti in base a principi di reciprocità.

Sono posti altresì a salvaguardia di un interesse superiore: l’interesse di tutta l’umanità!

Una conseguenza dell’inserimento della clausola consiste allora nel riconoscimento del

carattere non bilaterale degli obblighi ai quali gli Stati hanno deciso di vincolarsi

divenendo Parte alla Convenzione; si deve notare poi, a questo riguardo, che la parola

‘concern’ è la stessa usata dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza relativa

all’affare Barcelona-Traction nel famoso obiter dictum sugli obblighi erga omnes (vedi

infra).

147 M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 389 e s.148 Per l’uso della terminologia ‘comunità particolare’, vedi infra, capitolo I, paragrafo 2.

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b) Una volta riconosciuto il carattere solidale degli obblighi di conservazione, per

quanto vaghi essi siano, resta da stabilirsi quali siano i titolari dei diritti ad essi

corrispondenti. La locuzione common concern of mankind farebbe pensare primo visu a

dei diritti dovuti nei confronti di tutta la comunità internazionale. Sembra comunque

prematuro equiparare il ‘common concern of humanity’ con il ‘common concern of all

States’ alla base degli obblighi erga omnes.

Come regola generale, infatti, un trattato non modifica la posizione giuridica degli

Stati terzi che non si sono vincolati ad esso attraverso un’adeguata manifestazione di

volontà: per questi lo strumento internazionale resta una res inter alios acta.

Ora, alcune eccezioni alla normale sfera soggettiva di efficacia dei trattati sono

previste dall’art. 36 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (che codifica

probabilmente in questo il diritto consuetudinario), in base al quale una disposizione

contenuta in un trattato può fare sorgere un diritto in capo uno Stato terzo qualora ‘the

parties to the threaty intend to accord that right either to the third State, or to a group of

States to which it belongs, or to all States, and the third State assents thereto’149.

Dato che - come mostra l’analisi della prassi - l’attribuzione di diritti soggettivi a

Stati terzi rappresenta un fenomeno del tutto eccezionale150, non sembra che il solo

riferimento alla preoccupazione comune dell’umanità sia sufficiente a dimostrare

l’intenzione delle Parti che hanno stipulato il trattato di attribuire un vero e proprio diritto

soggettivo a tutti gli Stati terzi151. Né tanto meno una possibilità di azione per far valere

le violazioni del regime convenzionale!

c) A dire il vero, l’amplissima sfera soggettiva della Convenzione di Rio, già ratificata

da 188 Stati, sotto il profilo pratico rende il problema del conferimento di diritti a Stati

terzi una questione de lana caprina! Oltretutto, al di là di considerazioni puramente

149 Art. 36, par. 1 della Convenzione di Vienna, consultabile su Internet a partire da www.un.org, paginabase. Ai sensi del secondo paragrafo dello stesso articolo, ‘[a] State exercising a right in accordance withparagraph 1 shall comply with the conditions for its exercise provided for in the treaty or established inconformity with the treaty’(ibidem).150 Per l’analisi della prassi, vedi GIULIANO, SCOVAZZI, TREVES, Diritto internazionale. Partegenerale, Milano, 1991, pp. 322 ss.151 In senso parzialmente contrario, secondo Birnie e Boyle l’inserimento nella Convenzione dellalocuzione preoccupazione comune dell’umanità ‘at the very least… provide some general basis forinternational action, giving all states an interest in, and the right to conserve biodiversity, and for theparties to the Convention and even non-parties to observe and comment upon the progress of others infulfilling their respective obligations and responsibilities for this purpose, both within their own nationaljurisdiction and beyond it.’ (BIRNIE, BOYLE, op. cit., p. 573). Il carattere erga omnes degli obblighi di conservazione della biodiversità, come è evidente, potrebbesvilupparsi in futuro a seguito dell’emergere di una norma di diritto non scritto; questa si indirizzerebbeperò a tutti gli Stati e non soltanto a quelli parte alla Convenzione di Rio!

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algebriche, è evidente che, salvo il caso di inquinamento transfrontaliero, l’intervento

decentrato dei Governi nazionali per far valere la violazione delle norme poste a tutela

della diversità biologica è assolutamente inadeguato.

Il carattere unilaterale e soggettivo della valutazione effettuata dai singoli Stati in

base a condizionamenti di tipo politico e diplomatico non si attaglia al carattere solidale

degli obblighi che rende necessario un approccio multilaterale e l’apertura di una

discussione pubblica a livello internazionale tale da permettere un accertamento ed una

valutazione imparziali dei fatti e del diritto e, eventualmente, un’azione collettiva

organizzata.

Come si è detto, un ruolo fondamentale nella verifica della retta applicazione della

Convenzione sulla biodiversità deve essere svolto dalla Conferenza delle Parti. La

partecipazione alla quale delle istituzioni specializzate delle Nazioni Unite, degli Stati

terzi e delle organizzazioni non governative in qualità di osservatori 152 contribuisce a

farne uno dei loci più importanti dello ‘spazio pubblico internazionale’, capace di

esercitare meglio sugli Stati meno sensibili alla realizzazione degli obiettivi del trattato la

pressione della comunità organizzata, attraverso l’adozione di ‘sanzioni’ di tipo sociale,

etico e politico.

Occorre inoltre osservare che, ai sensi dell’art. 23, par. 4, la Conferenza delle Parti

‘[e]xamine et prend toute autres mesure nécessaire à la poursuite des objectifs de la

présente Convention en fonction des enseignements tirés de son application’153. Questa

clausola ‘valvola’, anche se letta alla luce del principio delle competenze di attribuzione

caratteristico del diritto delle organizzazioni internazionali154, contiene un potenziale

giuridico che per adesso non sembra essere stato adeguatamente sfruttato.

Oltre a conferire alla Conferenza delle Parti il potere di adottare tutte le misure

necessarie al conseguimento dei vastissimi obiettivi della Convenzione, pone essa stessa

le basi di una interpretazione evolutiva, nella parte in cui specifica che tali misure

dovranno prendere in considerazione gli insegnamenti derivanti dall’applicazione

pregressa della Convenzione.

Detto questo, per quanto riguarda la responsabilità degli Stati per atti costituenti una

violazione delle norme poste a tutela della biodiversità, occorre distinguere due

fattispecie distinte.

152 V. Convenzione sulla biodiversità, cit., art. 23, par. 5.153 Convenzione sulla biodiversità, cit., art. 24, par. 4, lett. i).154 DRAETTA, Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, Milano, 1997, p. 87.

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Nel caso in cui siano dei Paesi sviluppati a venire meno in maniera persistente agli

obblighi di conservazione previsti dalla Convenzione155 compiendo attraverso i propri

organi (o lasciando compiere a persone soggette alla propria giurisdizione o controllo)

atti che ledono in maniera grave e irreversibile la biodiversità del pianeta, la Conferenza

delle Parti, dopo aver esaminato i rapporti periodici e le informazioni messe a

disposizione dai propri organi sussidiari, dovrebbe in primo luogo raccomandare allo

Stato in questione le misure necessarie per conformarsi ai propri obblighi. Qualora tali

raccomandazioni venissero disattese, se del caso, la Conferenza potrebbe raccomandare

agli Stati membri il ricorso ai procedimenti previsti dalla Convenzione stessa per la

soluzione delle controversie156.

Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, come si è detto, l’art. 20, par. 4,

prevede per questi una clausola esonerante di responsabilità, nella misura in cui

subordina il rispetto degli obblighi di conservazione che incombono su di loro

all’ottemperamento da parte dei Paesi sviluppati degli obblighi di finanziamento e di

trasferimento tecnologico. Nessuna norma giuridica può ignorare del resto

l’imprenscindibile considerazione in base alla quale la tutela efficace della biodiversità

del pianeta potrà avvenire attraverso un’intensa cooperazione internazionale: il compito

della Conferenza delle Parti consiste sostanzialmente nel verificare che i Paesi

industrializzati onorino il proprio dovere consistente nella messa a disposizione delle

risorse finanziarie nuove e addizionali necessarie a coprire tutti i costi aggiuntivi che i

paesi in via di sviluppo devono sopportare per conformarsi alla Convenzione.

La realizzazione dei meccanismi che, ai sensi dell’art. 21, permetteranno alla

Conferenza e ai suoi organi sussidiari di contare su una sufficiente base economica

derivante da versamenti ‘prévisibles, adéquats et ponctuels’ resta per adesso, insieme

155 Conservazione in situ ed ex situ, identificazione e sorveglianza, valutazione d’impatto ambientale,riduzione degli effetti nocivi, etc.156 Qualora il comportamento dello Stato si rivelasse incompatibile con l’oggetto e scopo del trattato, laConferenza delle Parti potrebbe interpretare i propri poteri ai sensi della Convenzione in modo dasospendere tale Stato dal godimento dei privilegi e benefici derivanti dalla sua qualità di Parte. In un regime pattizio diverso, un comportamento del genere ha caratterizzato del resto la prassi piùrecente del World Heritage Committee, l’organo esecutivo della Convenzione sulla tutela del patrimoniomondiale adottata sotto gli auspici dell’UNESCO, pur in assenza di qualsiasi specifica disposizione nellaConvenzione del 1972 (FRANCIONI, LENZERINI, The Destruction of the Buddhas of Bamiyan andInternational Law, in EJIL, 2003, pp. 639 ss.). Ai sensi dell’art. 23, par. 4, della Convenzione di Rio, sembra che la Conferenza delle Parti potrebberaccomandare, senza agire ultra vires, l’adozione da parte dei Contraenti di ritorsioni nei confronti deiGoverni responsabili di violazioni ripetute della Convenzione ed insensibili alle osservazioni dellaConferenza stessa. La previsione nella Convenzione di un ricorso obbligatorio alla conciliazione pareinvece rendere non auspicabile la raccomandazione agli Stati di adottare vere e proprie contromisure,soprattutto prima che l’organo di conciliazione abbia raggiunto le proprie conclusioni.

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all’avanzamento del progresso tecnologico, una delle sfide più importanti che la

comunità internazionale dovrà affrontare nella tutela della diversità della vita.

d) Un problema diverso, in riferimento alla dottrina del common concern of humanity,

riguarda l’eventuale ruolo degli organi delle Nazioni Unite come il Segretario Generale,

la Commissione per lo sviluppo sostenibile, il Consiglio economico e sociale e

soprattutto l’Assemblea Generale la quale, pur non essendo un organo giuridicamente

rappresentativo dell’intera umanità, rappresenta senz’altro da un punto di vista politico e

sociologico l’opinione pubblica mondiale e gli interessi dell’umanità nel suo complesso.

Secondo il limite ratione materiae stabilito dall’art. 2, par. 7, della Carta di San

Francisco, come interpretato da Conforti e dalla dottrina maggioritaria, l’Organizzazione

ha il potere di emanare in ogni ambito risoluzioni di tipo generale ed astratto indirizzate

indifferentemente a tutti i membri della comunità internazionale. Nelle materie che

rientrano essenzialmente nel dominio riservato di ogni Stato, non può adottare invece

risoluzioni aventi come destinatari i singoli Stati157.

Come sarà messo in evidenza nel prossimo paragrafo, allorché è ormai pacifico il

venire meno del limite della domestic jurisdiction alla luce della Carta delle Nazioni

Unite per quanto riguarda la tutela dei diritti umani158, non è ancora chiaro in quale

misura gli Stati siano in linea di principio liberi da obblighi internazionali concernenti

l’utilizzazione del proprio territorio159.

Ci si potrebbe chiedere se, limitatamente alla ‘comunità particolare’ delle Parti alla

Convenzione di Rio, qualcosa sia cambiato in seguito al riconoscimento che la tutela

della biodiversità situata nel territorio degli Stati costituisce, non un affare interno, ma

una preoccupazione comune dell’umanità. Un principio di estoppel deve indurre ad

interpretare tale riconoscimento come costituente una preclusione ad invocare la

157 CONFORTI, Le Nazioni Unite, Padova, 2000, p. 140 ss. In tema ambientale, l’Assemblea Generale ha adottato numerose risoluzioni di carattere generale eastratto. Con la Risoluzione 44/225 del 22 dicembre 1989, ad esempio, ha invitato tutti i membri dellacomunità internazionale ad imporre una moratoria sull’uso nell’alto mare di certe reti pelagiche derivanti(driftnets) particolarmente nocive per la biodiversità marina. Tale risoluzione, anche se non vincolante, haspinto molti Stati (Stati membri della Comunità europea, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, etc.) amodificare le proprie legislazioni secondo i desiderata dell’Assemblea Generale (DE KLEMM, FisheriesConservation and Management and the Conservation of Marine Biological Diversity, in Development inInternational Fisheries Law (a cura di HEY), Amsterdam, 1999, p. 467 e s.), tanto che, secondo alcuniautori, il divieto di queste tecniche di pesca sarebbe stabilito da una norma consuetudinaria in fase diaffermazione (GESTRI, op. cit., p. 408).158 CONFORTI, Le Nazioni Unite, op. cit., p. 149.159 I limiti della giurisdizione domestica sono, come è noto, in continua evoluzione. Sul tema, per certiversi analogo, della conservazione del patrimonio culturale, per la prassi recente degli organi delle NazioniUnite, cfr. FRANCIONI, LENZINI, op, cit.

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domestic jurisdiction innanzi alle grandi organizzazioni internazionali (soprattutto della

famiglia delle Nazioni Unite) che agiscono a nome dell’umanità160?

Qualora questa fosse la soluzione corretta, certi organi internazionali, al pari degli

Stati contraenti, sarebbero legittimati a chiedere il rispetto degli obblighi assunti dalle

Parti alla Convenzione di Rio, discutendo ed esercitando i normali poteri che la Carta

attribuisce loro, senza che i presunti autori degli illeciti gravemente lesivi della

biodiversità dovessero considerare le osservazioni e le raccomandazioni loro rivolte

come atti ostili o inimichevoli161.

Le difficoltà connesse all’intero concetto di common concern rendono praticamente

impossibile pronunciarsi a riguardo in modo definitivo e l’attribuzione di un contenuto

concreto alla dottrina della preoccupazione dell’umanità dipenderà, in definitiva, soltanto

dalla prassi futura degli Stati e delle Nazioni Unite.

e) A conclusione di questo primo paragrafo, preme sottolineare che la nozione di

preoccupazione comune dell’umanità potrebbe essere utilizzata come base giuridica per

consentire un’interpretazione evolutiva della Convenzione sulla biodiversità. Oltre che al

regime di responsabilità per danno ambientale, più in generale sarebbe auspicabile che

questa trovasse applicazione in riferimento a tutte le disposizioni dell’accordo, come

quelle che impongono il trasferimento tecnologico e la messa a disposizione da parte dei

Paesi sviluppati di risorse finanziarie nuove e addizionali.

Quello di ’préoccupation commune de l’humanité’ è per eccellenza un concetto

mobile e mutevole. L’umanità muta, non soltanto in numero e composizione (ci

immergiamo e non ci immergiamo in uno stesso fiume, siamo e non siamo), ma in

seguito all’accumulazione delle conoscenze, all’emergere e alla diffusione di nuove idee

e valori.

160 Come ricorda, tra l’altro, l’incipit della Carta di San Francisco: ‘We the peoples of the UnitedNations…’.161 L’Assemblea generale, ad esempio, potrebbe adottare raccomandazioni o atti di natura organizzativa. A norma dello stesso art. 2, par. 7, della Carta delle Nazioni Unite, l’intervento del Consiglio disicurezza ai sensi del Capitolo VII della Carta sarebbe in molti casi sottratto ai limiti della competenzadomestica (v. CONFORTI, Le Nazioni Unite, op. cit., pp. 152 ss.). Un intervento del genererappresenterebbe comunque un caso limite: è difficile infatti immaginare che la commissione di atti lesividella biodiversità, anche estremamente gravi, possa concretare da sola una minaccia alla pace. Alla luce della prassi recente del Consiglio, caratterizzata da un’interpretazione estremamente estensivadella nozione di minaccia alla pace, una tale eventualità non sembra comunque potersi escludere a priori. Oltretutto, si deve sottolineare che con la Risoluzione 687 del 3 aprile 1991, il Consiglio di Sicurezza hacondannato molto duramente la devastazione dell’ambiente provocata dall’Iraq a seguito dell’invasione delKuwait, istituendo un apposito fondo per i danni così causati (sulla Decisione e la prassi dellaCommissione di compensazione delle Nazioni Unite, v. M. A. FITZMAURICE, International Protection,op. cit., pp. 413 ss.).

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Come la Clausola Martens nel contesto diverso del diritto umanitario dei conflitti

armati, probabilmente al di là della volontà stessa dei suoi estensori, il riferimento alla

preoccupazione comune dell’umanità potrebbe allora acquistare in futuro un notevole

potenziale giuridico per lo sviluppo del diritto ambientale e rivelarsi una scelta

intelligente e lungimirante.

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Paragrafo 2: La tutela della biodiversità nel diritto consuetudinario

2.1 Relazioni bilaterali e ‘bonum commune totius orbis’

Come si è già accennato, nel diritto internazionale tradizionale, contraddistinto dalla

giustapposizione di sfere delimitate di sovranità, gli Stati godevano di un potere assoluto

nella determinazione della propria organizzazione di governo, nell’utilizzazione del loro

territorio e nel trattamento dei propri sudditi. Si trattava di materie che, non interessando

una comunità internazionale ancora molto poco integrata, venivano ritenute di esclusiva

competenza dei Governi nazionali, inerenti alle loro prerogative sovrane (ius imperii,

summa potestas) e non regolate dal diritto non scritto.

Secondo la nozione accolta nel Patto della Società delle Nazioni (art. 15, par. 8), così

come interpretata dalla Corte permanente di giustizia internazionale, questi settori della

vita interna degli Stati rientravano in linea di principio nella loro competenza domestica

(domestic jurisdiction, domain reservé). I Governi erano cioè liberi da obblighi, salvo

quelli che essi stessi si assumevano volontariamente tramite la conclusione di trattati

particolari in materia162. Come si è visto, ciò accadeva piuttosto raramente. Fino al

termine del secondo conflitto mondiale, infatti, il dominante modello ‘westfaliano’ di

rapporti internazionali era fondato essenzialmente su relazioni bilaterali e ‘private’ fra gli

Stati, i quali si accordavano fra di loro per assicurarsi vantaggi equivalenti, secondo una

logica di do ut des. Gli interessi il cui rispetto non comportava vantaggi immediati per i

singoli Stati non ricevevano in questa prospettiva alcuna tutela internazionale.

Come mostra una prassi diffusa e costante, i Governi erano molto restii ad effettuare

proteste diplomatiche che avrebbero potuto concretare ingerenze illecite negli affari

interni altrui, ad esempio pretendendo la garanzia del rispetto dei diritti umani

fondamentali da parte degli organi di un Paese straniero 163. Non è un caso che, in

162 Sulla nozione di domestic jurisdiction, v. CONFORTI, Le Nazioni Unite, op. cit., pp. 138 ss.163 Estremamente significativa al riguardo è la lettera dai toni assai prudenti che il Ministro degli EsteriLamarmora indirizzava nel 1864 al console generale d’Italia a Tunisi, dopo essere venuto a conoscenza deigravi maltrattamenti subiti da alcune minoranze ebraiche. Scriveva Lamarmora: ‘Nemmeno conosco se gliIsraeliti che sarebbero stati vittime delle incriminate spoliazioni e nefandità, sianvi dei sudditi o protettiitaliani, la quale circostanza sarebbe di capitale influenza sulla condotta da tenere. Ove infatti gli Israelitioffesi fossero soggetti alla protezione del Regio Consolato, ed i danni inflitti ai medesimi fossero realmentedella gravità indicata, è evidente il diritto ed anzi l’obbligo della Signoria Vostra di elevare tosto doglianzefacendo sentire che Ella è in dovere di recare a precisa conoscenza del Regio Governo quei deplorabiliavvenimenti e che molto bramerebbe di farlo annunciando ad un tempo che furono concesse quelle giusteriparazioni che sarebbero certamente dallo stesso Governo richieste. Ma se, sussistendo i fatti, ed essendorealmente atroci, nessun suddito o protetto del Re fosse in essi implicato, sarebbe pur sempre dovere diVostra Signoria di parlare in nome dell’umanità e d’invocare misure efficaci a tutela degli interessi degli

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un’ottica affatto bilaterale, il principio di libertà nel trattamento delle persone sottoposte

alla giurisdizione o al controllo delle autorità governative fosse limitato soltanto dal

rispetto delle norme relative al trattamento dei cittadini stranieri (e dei loro beni), la cui

violazione avrebbe comportato quella della sovranità dello Stato di cittadinanza,

legittimato ad intervenire in base all’istituto della protezione diplomatica.

Questo assetto ‘bilateral-minded’, che favoriva evidentemente le grandi potenze

economiche e militari, si è mostrato presto largamente inadeguato di fronte all’emergere

di nuovi valori solidaristici. La creazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro e

la considerazione dei diritti delle minoranze nei trattati di pace stipulati alla fine della

prima guerra mondiale hanno rappresentato senz’altro un riconoscimento importante del

rilievo di interessi non statali anche al livello delle relazioni internazionali.

Ma è soprattutto dopo l’entrata in vigore della Carta di San Francisco che la tutela dei

diritti umani e la presa di coscienza dell’interdipendenza economica ed ecologica degli

Stati hanno portato ad una graduale erosione del dominio riservato attraverso, da un lato

la conclusione di un numero crescente di trattati, e dall’altro l’emergere di nuove norme

di diritto comune che hanno ormai compresso fortemente l’autonomia degli Stati,

indipendentemente dalla loro autonoma manifestazione di volontà.

L’effetto dirompente e ‘rivoluzionario’ della dottrina dei diritti umani è stato più

volte accostato a quello (per adesso a dire il vero più modesto) del diritto internazionale

ambientale, il cui sviluppo contribuisce alla realizzazione di quegli interessi planetari

(mantenimento della pace, rispetto dei diritti dell’uomo e, appunto, tutela dell’ambiente)

alla base del bonum commune totius orbis164.

La più volte vagheggiata ‘rivoluzione copernicana’ del diritto internazionale, che

molti vorrebbero non gravitare più soltanto intorno allo Stato sovrano165, è però lontana

dall’essere compiuta e, accanto agli elementi innovativi che spingono verso una

‘pubblicizzazione’ della vita internazionale, ne sopravvivono molti tipici del vecchio

assetto166.

Israeliti procurando però di assicurarsi il concorso dei Consoli Colleghi degli Stati amici e potenti ed inspecie di quelli di Francia e d’ Inghilterra, che in consimili circostanze seppero nel Marocco intervenirecon forza a favore degli Ebrei’ (citato in GIULIANO, SCOVAZZI, TREVES, op. cit., p. 68 e s.).164 L’espressione, coniata nel sedicesimo secolo dal giusnaturalista spagnolo Francisco de Vitoria, è citatain A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 30.165 KISS, BEURIER, op. cit., p. 24.166 Sul concetto di ‘pubblicizzazione’ del diritto internazionale, si vedano le osservazioni di SIMMA, FromBilateralism to Community Interests in International Relations, in Recueil des cours, 1994, pp. 217 ss. Fra gli studiosi che non rilevano invece alcun processo significativo di integrazione nella comunitàinternazionale, si distingue nella dottrina italiana Arangio-Ruiz. Di questo autore vedi, in particolare,ARANGIO-RUIZ, L’Etat dans le sens du droit des gens et la notion du droit international, Bologna, 1975;

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Dopo aver descritto i risultati principali raggiunti dal diritto pattizio ed in special

modo dalla Convenzione di Rio, ci si è proposti in questo paragrafo di ricostruire lo stato

delle norme consuetudinarie poste a salvaguardia della biodiversità. Il compito è

tutt’altro che agevole. Intesa lato sensu, la tutela della diversità biologica è una nozione

‘pigliatutto’ che coinvolge regimi diversissimi come l’immissione nell’ambiente di

sostanze nocive e l’inquinamento transfrontaliero, il commercio internazionale, il diritto

del mare e dei corsi d’acqua internazionali, etc.

Non essendo possibile né utile tracciare una summa del diritto internazionale

dell’ambiente nei confini angusti di questo paragrafo, ci si limiterà ad analizzare le

principali linee di tendenza, circoscrivendo il discorso ad alcune questioni specifiche.

2.2 La Convenzione di Rio e il diritto consuetudinario

Tenuto conto dei pochi Stati la cui posizione giuridica si troverebbe modificata

dall’esistenza di norme non scritte regolanti le materie disciplinate dalla Convenzione

sulla biodiversità, pare legittimo domandarsi se la ricostruzione del diritto

consuetudinario non costituisca un’indagine meramente speculativa, ‘mutt’, come

direbbero gli inglesi.

Al di là dell’interesse teorico, questo sforzo sembra trovare alcune giustificazioni

importanti. L’art. 38 della Convenzione, infatti, prevede che i Contraenti possano

sottrarsi con grande facilità al regime pattizio, denunciando la Convenzione in qualsiasi

momento dopo almeno due anni dall’entrata in vigore dello strumento nei loro riguardi.

La presenza della superpotenza americana fra i (pochissimi) Stati che non hanno

stipulato l’accordo, costituisce una ragione ulteriore per proseguire nella difficile

indagine.

Occorre domandarsi allora, prima di tutto, se la Convenzione di Rio abbia generato

delle norme di carattere consuetudinario ed in quale misura rifletta attualmente il diritto

internazionale generale167.

The ’Federal Analogy’ and the UN Charter Interpretation: a Crucial Issue, in EJIL, 1997, pp. 1 ss.;Dualism Revisited. International Law and Interindivuidual Law, in RDI, 2003, pp. 909 ss.167 Sul rapporto fra trattati multilaterali e il diritto consuetudinario, si vedano, più in generale, KISS, Lacontribution de la Conférence de Rio de Janeiro au développement du droit international coutumier, inInternational Legal Issues Arising under the United Nations Decade of International Law (a cura di AL-NAUIMI, MEESE), The Hague, 1995, pp. 1072 ss. e Multilateral Treaty-Making, The Current Status ofChallenger to and Reforms Needed in the International Legislative Process (a cura di GOWLLAND-DEBBAS), The Hague etc., 2000.

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La possibilità che un trattato multilaterale dia origine a norme non scritte è stata

riconosciuta autorevolmente dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza sulla

piattaforma continentale del Mare del Nord (1969). A detta della Corte,

‘ … [i]t would be the first place necessary that the provision concerned should, at allevents potentially, be of fundamentally norm-creating character as could be regarded asforming basis of a general rule…With respect to the other elements usually regarded asnecessary before a conventional rule can be considered to have become a general rule ofinternational law, it might be that, even without the passage of any considerable period oftime, a very widespread and representative participation in the convention might suffice,provided it included that of States whose interests were specially affected’168.

L’Alta Giurisdizione ha evidenziato come, qualora una convenzione multilaterale

raggiunga rapidamente un’efficacia soggettiva molto ampia e rappresentativa, l’elemento

temporale (time element) assuma un ruolo minore nella ricostruzione dell’esistenza delle

norme consuetudinarie corrispondenti a quelle in essa contenute.

Nella prassi, la formazione di una norma di diritto internazionale generale in seguito

all’ampia accettazione di un trattato in un periodo relativamente breve di tempo è stata

sostenuta in seguito da Australia e Nuova Zelanda nell’affare degli esperimenti nucleari

(1973), portato anch’esso innanzi alla Corte internazionale di giustizia. Nella fattispecie,

la norma di cui si invocava la natura consuetudinaria era quella che proibisce gli

esperimenti nucleari nell’atmosfera e lo strumento in questione era il Trattato di Mosca il

quale, all’epoca dei fatti, poco più di dieci anni dopo la sua firma, aveva ottenuto 104

ratifiche169.

L’affievolirsi della diuturnitas nella formazione del diritto non scritto è stata descritta

con efficacia da R.-J. Dupuy fin dagli anni ‘70. Mentre le antiche ‘consuetudini sagge’ si

cristallizzavano gradualmente in seguito alla ripetizione costante di precedenti lungo un

arco di tempo molto esteso, le nuove aree del diritto (a partire dal diritto del mare)

sarebbero caratterizzate, secondo il giurista francese, dalla rapida formazione di

‘consuetudine selvagge’170 .

Sulla linea tracciata dalla Corte internazionale di giustizia, molti studiosi hanno

cercato di precisare ulteriormente le caratteristiche che le convenzioni multilaterali

168 Sentenza del 20 febbraio 1969, in ICJ Reports, 1969.169 Sulla vicenda, v. RAGAZZI, The Concept of Obligation Erga Omnes, New York, 1997, pp. 173 ss.170 Citato in A. CASSESE, Il diritto, op. cit., p. 209. Il ruolo minore giocato dalla vetustà della prassi e, ingenerale, dall’elemento materiale della consuetudine, del resto, sembra essere un fenomeno più generale.Esso è stato riconosciuto recentemente dal Tribunale penale per la ex Jugoslavia (ICTY) nella sentenzarelativa all’affare Kupreskic, sia pur limitatamente al diritto umanitario e grazie ad un’interpretazione

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devono rivestire per essere generatrici di norme di diritto internazionale generale,

aggiungendo altri requisiti a quello di una membership ampia e rappresentativa che veda

la partecipazione degli Stati i cui interessi sono specificatamente coinvolti.

Secondo Carr e Scott, che si sono occupati in maniera particolare dei trattati

ambientali, per portare alla formazione di consuetudini gli strumenti multilaterali non

devono prevedere la possibilità di apporre riserve che ne limitino l’efficacia nei confronti

di alcune Parti171. Anche partendo da questo assunto teorico più stringente, molti

elementi militano a favore della qualificazione della Convenzione di Rio come norm

creating. Forse insieme a pochi altri trattati, essa risponde in pieno alle condizioni

indicate dai due autori: non soltanto non è riservabile, ma conosce un grado di

partecipazione praticamente universale, essendo già stata ratificata da 188 Stati. Questi

ultimi sono largamente rappresentativi dei paesi industrializzati come di quelli in via di

sviluppo e in transizione, ed ospitano nel proprio territorio la quasi totalità del patrimonio

biologico del pianeta.

Alla tesi che la Convenzione abbia avuto un effetto creativo di consuetudini si

potrebbe obiettare che, relativamente a certe disposizioni, ed in special modo a quelle che

riguardano il trasferimento tecnologico e i meccanismi di finanziamento, gli Stati hanno

formulato molte dichiarazioni interpretative. Non è chiaro in quale misura queste ultime,

di incerto valore giuridico172, potrebbero testimoniare la mancanza di un’opinio juris e

rendere più difficile la ‘prova di una pratica generale accettata come diritto’173.

A ben vedere, comunque, la questione è mal posta. Più che interrogarsi sulla natura

dell’intera Convenzione come creatrice o meno di norme consuetudinarie, sembra

metodologicamente più corretto analizzarne separatamente le singole disposizioni.

Come si avrà modo di evidenziare funditus nei prossimi capitoli, non sussiste alcun

dubbio che la norma più importante stabilita dall’accordo, concernente la sovranità degli

Stati sulle risorse genetiche, abbia avuto un effetto di cristallizzazione, portando a

compimento il processo di formazione di una norma di diritto internazionale generale au

dehors della Convenzione. Numerosi Paesi si sono dotati di apposite legislazioni che

limitano e regolano anche in maniera stringente l’accesso al materiale biologico e

evolutiva della c.d. clausola Martens (su quest’ultima, v. A. CASSESE, The Martens Clause: Half a Loafor Simply Pie in the Sky?, in EJIL, 2000, pp. 193 ss.).171 CARR, SCOTT, Multilateral Treaties and the Environment: A Case Study in the Formation ofCustomary International Law, in Denver Journal of International Law & Policy, 1999, p. 314. Fra leconvenzioni che per i due autori non sono creatrici di consuetudini, vi è la Convenzione CITES, la qualepermette all’art. XXIII, par. 2, lett. b), di apporre delle riserve concernenti l’applicazione della disciplinaconvenzionale a qualunque specie animale o vegetale elencata negli annessi.172 Vedi infra, capitolo II.

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genetico da parte di soggetti stranieri e il principio della sovranità non è stato oggetto di

obiezioni significative da parte di alcun membro della comunità internazionale, Stati

Uniti compresi.

Per quanto concerne le norme poste a tutela della biodiversità, relative alla protezione

in situ ed ex situ, alla valutazione di impatto ambientale, etc., la loro coincidenza col

diritto consuetudinario è tutto sommato secondaria. Come si è già messo in evidenza,

piaccia o non piaccia, si deve prendere atto che molte di esse, difettando di chiarezza e

precisione, appaiono più dei principi direttivi blandi e generali che non degli obblighi la

cui violazione è giuridicamente sanzionabile174.

2.3 Pinnipedi e ‘bonos mores’

Al di là degli obblighi pattizi discendenti dalla stipulazione delle convenzioni

specifiche volte a proteggere certe specie o determinati habitat, esistono allora delle

norme di diritto internazionale generale che fanno divieto agli Stati di compiere atti

gravemente lesivi della biodiversità del pianeta? La domanda, apparentemente banale,

comporterebbe una risposta estremamente complessa e articolata.

Non si svilupperà qui la questione delle risorse situate in aree non soggette ad alcuna

giurisdizione nazionale, la quale dovrebbe essere analizzata alla luce dei regimi

particolari che regolano il mare non territoriale175, l’Area176, l’Antartide 177 e (in linea

173 Statuto della Corte internazionale di giustizia, art. 38, par. 1, lett. b).174 Una possibile violazione della Convenzione di Rio è stata evocata, sia pur senza successo,dall’Ungheria nell’affare relativo al progetto di Gabcikovo-Nagymaros. Innanzi alla Corte internazionale digiustizia, l’Ungheria affermava che il regime di gestione comune del Danubio doveva essere ‘capable ofavoiding damage, including especially damage to biodiversity prohibited by the [1992 Rio Convention onBiological diversity]’ (Corte internazionale di giustizia, sentenza del 25 settembre 1997, par. 125, corsivoaggiunto, consultabile su Internet all’indirizzo www.icj.org (pagina base); per un commento su questacomplessa sentenza, v. SOHLE, Irruption du droit de l’environnement dans la jurisprudence de la C.I.J. :L’affaire Gabcikovo-Nagymaros, in RGDIP, 1998, pp. 85 ss.). Il Governo di Budapest sosteneva, come ènoto, che la realizzazione della variante provvisoria (c.d. variante C) da parte della Slovacchia avevaconcretato un illecito internazionale. Oltre a chiedere la riparazione dei ‘damages suffered by theHungarian population on account of the increase in the uncertanties weighing on its future (pretiumdoloris)’, pretendeva il risarcimento dei danni causati all’ambiente, facendo riferimento esplicitamente aquelli arrecati ‘to the fauna, the flora, the soil, the subsoil, the groundwater and the aquifer’ (ibidem, par.127, corsivo aggiunto).175 Secondo l’art. 192 della Convenzione di Montego Bay, gli Stati hanno l’obbligo generale di ‘proteggeree preservare l’ambiente marino’, indipendentemente dal fatto che esso si trovi o meno in aree soggette allapropria giurisdizione. Altre misure di tutela ambientale sono previste nella Parte XII (Protezione epreservazione ambiente marino), ad esempio in riferimento agli ‘ecosistemi rari o delicati, come purel’habitat di specie in diminuzione, in pericolo o in via di estinzione’ (ibidem, art. 194, par. 5). Obblighi specifici sono posti a carico dello Stato costiero in relazione alla conservazione delle risorsebiologiche della zona economica esclusiva. Lo Stato costiero deve assicurare ’attraverso misure appropriatedi mantenimento e di utilizzo, che la conservazione delle risorse biologiche della zona economica esclusiva

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teorica) gli spazi extra atmosferici. Gran parte della biodiversità, del resto, si colloca sul

territorio degli Stati dove i regimi di tutela internazionale delle risorse biologiche si

trovano a urtare con il principio di sovranità che, almeno nel diritto tradizionale, lasciava

i Governi liberi di sfruttare in maniera assoluta ed esclusiva le risorse naturali (e quindi

biologiche) situate nel proprio territorio.

Già alla fine del XIX secolo, tuttavia, un principio diverso era stato invocato

nell’affare che vide opporsi l’Inghilterra e gli Stati Uniti sullo sfruttamento delle foche da

pelliccia.

In primo luogo, gli Stati Uniti rivendicavano sui pinnipedi nidificanti nelle loro isole

situate nel Mare di Behring un diritto di proprietà che, a loro avviso, non veniva meno

quando gli animali si trovavano al di là del mare territoriale; da questo diritto sarebbe

disceso quello di tutelarne la sopravvivenza, minacciata dalla caccia incontrollata ad

opera delle navi canadesi. Le pretese statunitensi venivano fondate su ‘the established

principles of the common and the civil law…the practice of nations…the laws of natural

history, and…the common interest of mankind’178. In realtà, come spesso avviene quando

i giuristi cercano di affermare principi innovativi nell’assenza di una prassi precedente

cui far riferimento, gli Stati Uniti avanzavano soprattutto argomentazioni di tipo

extragiuridico, qualificando lo sterminio di una specie animale come immorale (contra

bonos mores)179, o facendo discendere il loro diritto di proprietà sulle foche dall’istinto

che riportava gli animali a riprodursi nelle proprie isole (c.d. animus revertendi)180. E’

quantomeno curioso notare come, alla fine dell’800, il Governo di Washington

giustificasse l’estensione della propria giurisdizione (c.d. fenomeno di creeping

jurisdiction) in base a considerazioni ecologiche ante litteram, anticipando alcune

esigenze di ‘unilateralismo ricco’ che molti decenni dopo avrebbero portato alla ‘dottrina

Trudeau’ e all’affermazione della zona economica esclusiva.

Fra i numerosi argomenti giuridici addotti dagli Stati Uniti innanzi al tribunale

arbitrale, quello che qui più interessa è quello secondo il quale l’asserita proprietà sulle

non sia messa in pericolo da uno sfruttamento eccessivo’ (ibidem, art. 61, par. 2), prendendo le misureadeguate al mantenimento e alla ricostruzione delle specie sfruttate (ibidem, art. 61, par. 2). Sulla conservazione delle specie marine, in generale, v. DE KLEMM, op. cit., soprattutto pp. 423 ss.176 Vedi, in particolare, Convenzione di Montego Bay, artt. 145 e 209.177 Per il regime pattizio, v. la Convenzione sulla conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide(firmata a Camberra nel 1980, nota con l’acronimo inglese CCAMLR, consultabile sul sitowww.ccamlr.org, pagina base) e il Protocollo sulla protezione ambientale del 1991 al Trattato Antartico (iltesto è riportato in una traduzione italiana non autentica in Codice, op. cit., pp. 517 ss.).178 Citato in A. CASSESE, International Law, Oxford etc., 2000 (corsivo aggiunto).179 Lettera del Segretario di Stato americano del 22 gennaio 1890, citata in SCOVAZZI, The Evolution, op.cit., p. 80.180 SCOVAZZI, ibidem, p. 81.

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foche e, in generale, su tutte le risorse biologiche di un Paese, non avrebbe dovuto essere

considerata assoluta, ma ‘coupled with a trust for the benefit of mankind’181 che ne

avrebbe impedito lo sfruttamento abusivo e irrazionale. A dispetto degli sforzi degli Stati

Uniti, il Governo inglese ebbe buon gioco nel dimostrare nella propria memoria che le

asserzioni statunitensi erano infondate e ‘entirely without precedent’182. Nessuna

argomentazione, per quanto erudita, venne ritenuta dal tribunale arbitrale adeguata a

giustificare una deroga ai principi tradizionali e consolidati di libertà dell’alto mare e di

libero sfruttamento delle sue risorse183.

La teoria del trust, comunque, applicata alle risorse viventi sottoposte alla

giurisdizione o al controllo di uno Stato, è stata successivamente richiamata più volte in

dottrina. Si tratta di un istituto tipico del common law, in virtù del quale il trustee deve

amministrare in buona fede e far fruttare nell’interesse altrui i beni oggetto del trust,

tenendone per sé i benefici; non può tuttavia alienarli e li deve ritrasmettere al futuro

proprietario184.

2.4 Sovranità sulle risorse biologiche e ’trust for the benefit of mankind’

Per venire alla prassi più recente, si è visto come la sovranità degli Stati sulle risorse

naturali e biologiche (a prescindere dalla questione specifica delle risorse genetiche)

costituisca uno dei cardini essenziali del modello ‘Carta di San Francisco’. Senza essere

stata mai messa in discussione, dopo il 1962 è stata riaffermata in una pletora di

strumenti internazionali, fra i quali la Dichiarazione di Stoccolma (Principio 21) 185, la

181 Citato in A. CASSESE, International Law, op. cit., p. 376.182 Ibidem.183 Il riconoscimento da parte del tribunale arbitrale dell’illegittimità di misure unilaterali di conservazioneal di fuori dei limiti territoriali ricorda abbastanza da vicino la giurisprudenza del GATT/WTO nei due casisui delfini e nell’affare dei gamberetti e delle tartarughe (vedi infra, capitolo IV). Si veda, al riguardo,BOISSON DE CHAZOURNE, Unilateralism and Environmental Protection: Issues of Perception andReality of Issues, in EJIL, 2000, pp. 315 ss.184 Nel Second Restatement of Trusts (1959), il trust è definito come una ‘ fiduciary relationship withrespect to property, subjecting the person by whom the property is held to equitable duties to deal with theproperty for the benefit of another person ‘(citato in KISS, La notion de patrimoine commun de l’humanité,in Recueil des cours, vol. 175, 1982, p. 129).185 Secondo il Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma (cit.): ‘[c]onformément à la Charte desNations Unies et aux principes du droit international, les Etats ont le droit souverain d’exploiter leurspropres ressources selon leur politique d’environnement ’.

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Dichiarazione di Rio186 e, ultima ma non meno significativa, la Convenzione sulla

biodiversità187.

Resta da chiedersi, tuttavia, se l’indiscusso diritto degli Stati di sfruttare il proprio

territorio e le sue risorse biologiche per soddisfare le legittime esigenze di sviluppo

economico incontri o meno attualmente delle limitazioni in obblighi imposti dal diritto

consuetudinario188. Se, per riprendere il linguaggio usato nella summenzionata memoria

statunitense, gli Stati debbano considerarsi in altri termini ‘absolute owners’ delle piante

e degli animali situati sul loro territorio o se, viceversa, incombano su di loro delle

‘custodial obligations’ a beneficio degli altri Paesi, dell’umanità o delle generazioni a

venire. Tali obblighi costituirebbero una limitazione della facoltà di godimento del

territorio degli Stati che, sul piano internazionale, si troverebbero in una situazione per

certi versi paragonabile a quella del proprietario di un fondo servente gravato da una

servitù prediale189.

Il rifiuto del Progetto dell’UICN, le posizioni espresse dagli Stati durante la

negoziazione della Convenzione di Rio e negli anni successivi, mostrano come la

qualifica degli Stati come meri ‘guardiani della biodiversità’ sia ancora prematura e non

corrispondente allo sviluppo attuale del diritto positivo. Secondo alcuni autori, tuttavia, il

diritto vigente impone comunque dei limiti alla libertà di sfruttamento della fauna e della

186 Dichiarazione di Rio, Principio 2: ‘[c]onformément à la Charte des Nations Unies et aux principes dudroit international, les Etats ont le droit souverain d’exploiter leurs propres ressources selon leur politiqued’environnement et de développement’ (corsivo aggiunto). Non sfuggirà la formulazione lievemente diversa rispetto a quella del Principio 21 della Dichiarazione diStoccolma. L’aggiunta, non casuale, del riferimento alla politica di sviluppo ha registrato all’inizio deglianni ’90 un cambiamento nell’equilibrio raggiunto a Stoccolma fra il diritto sovrano a sfruttare le proprierisorse e il dovere di proteggere l’ambiente, subordinando maggiormente quest’ultimo alle esigenze dellacrescita economica.187 Quasi a testimonianza di come il linguaggio giuridico sia ‘conservative’, la Convenzione sullabiodiversità, all’art. 3 ripete parola per parola il Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma. Ciò nondeve stupire: la stessa formula era già stata inclusa negli anni precedenti nelle sezioni preambolari di moltitrattati. Per la prima volta, tuttavia, con la Convenzione di Rio il principio è stato inserito nella parteoperativa di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante (BURTHENNE-GUILMIN, CASEY-LEFKOWITZ, op. cit., p. 47).188 E’ evidente che gli obblighi derivanti dal diritto convenzionale variano da uno Stato all’altro, a secondadei trattati che esso ha liberamente stipulato.189 ‘La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenentead un altro proprietario’ (art. 1027 del Codice civile italiano). Il riferimento all’istituto della servitù, oltreche a quello del trust (estraneo ai sistemi di civil law), è stato avanzato più volte in dottrina (KISS,BEURIER, op. cit., p. 133). Un problema analogo riguarda, mutatis mutandis, la tutela internazionale del patrimonio artistico eculturale, situato anch’esso (nella quasi totalità dei casi) nel territorio degli Stati. Secondo molti autoriesiste ormai una norma di diritto generale che limita la sovranità degli Stati e proibisce loro la distruzionedeliberata delle opere di importanza significativa per tutta l’umanità (‘a general opinio juris exists in theinternational community on the binding character of the principle prohibiting deliberate destruction ofcultural heritage of significant importance for humanity’, FRANCIONI, LENZERINI, op. cit., p. 635).L’obbligo di tutela a carico degli Stati avrebbe natura di obbligo erga omnes (FRANCIONI, LENZERINI,

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flora, nella misura in cui vincola gli Stati ad assicurare la sopravvivenza delle specie

minacciate di estinzione.

Tale obbligo discenderebbe per Glennon dalla generalizzazione delle disposizioni

contenute nei diritti interni, cioè da un principio generale di diritto comune agli

ordinamenti giuridici interni (general principle of law), ai sensi dell’art. 38, par. 1, lett.

c), dello Statuto della Corte internazionale di giustizia190.

Anche ammettendo l’esistenza di tale principio, si deve riconoscere che il contenuto

degli obblighi a carico degli Stati appare, ancora una volta, tutt’altro che chiaro. In primo

luogo, si pone il problema dell’identificazione dei criteri che permettono di qualificare

una specie come ‘a rischio di estinzione’. Ma, soprattutto, risulta particolarmente difficile

stabilire quali misure di protezione un Governo debba prendere in concreto. A questo

riguardo, secondo alcuni internazionalisti, altri principi generali di diritto imporrebbero

agli Stati di prevedere nei propri ordinamenti valutazioni di impatto ambientale per le

attività potenzialmente dannose e il risarcimento fondato sulla responsabilità civile dei

danni arrecati all’ambiente191.

L’analisi di queste problematiche richiederebbe una disamina delle normative interne

previste nei principali sistemi giuridici interni che non è qui possibile effettuare. Non

sfuggirà comunque come, almeno nelle indagini della dottrina, si stia intensificando in

questo settore il ricorso ai ‘principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili’ i

quali, tradizionalmente, hanno rivestito un ruolo estremamente marginale nella prassi

della Corte internazionale di giustizia e, più in generale, nella soluzione delle

controversie internazionali192. Mentre gli sviluppi recenti del diritto internazionale

penale sembrano aver ridato una nuova attualità a questa fonte sussidiaria193, soltanto la

prassi futura potrà chiarire il ruolo che essa rivestirà nello sviluppo del diritto

internazionale dell’ambiente.

Detto questo, si è da più parti osservato come le peculiarità del danno ecologico

(indipendentemente dal luogo ove esso si manifesti) rimettano profondamente in causa

op. cit., p. 638). Sullo stesso argomento, vedi anche FRANCIONI, Thirty Years on: is the World HeritageConvention Ready for the 21st Century?, in Italian Yearbook of International Law, 2002, pp. 13 ss.190 GLENNON, Has International Law Failed the Elephant?, in AJIL, 1990, pp. 1 ss. Alla stessaconclusione pervengono Kiss e Beurier (KISS, BEURIER, op. cit., p. 55 e s.).191 KISS, BEURIER, Ibidem.192 GIULIANO, SCOVAZZI, TREVES, op. cit., pp. 225 ss.193 A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 227 e s.

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le regole tradizionali della responsabilità internazionale194. In particolare, per quanto

concerne il danno alla biodiversità (che costituisce una species nel genus di danno

ecologico), è evidente come gli effetti irreversibili che derivano dall’estinzione di una

specie, dalla distruzione di un ecosistema o dalla riduzione della variabilità genetica

infraspecifica, rendendo impossibile il ripristino dello status quo ante attraverso una

restitutio in integrum, privino in gran parte di significato il risarcimento del danno. Sul

piano più prettamente internazionale, a queste considerazioni generali si aggiungono le

difficoltà – pratiche oltre che di carattere giuridico – derivanti dall’identificazione degli

194 Consapevole di queste difficoltà, la Corte internazionale di giustizia ha riconosciuto che ‘[i]n the fieldof environmental protection, vigilance and preservation are required on account of the often irreversiblecharacter of damage to the environment and of the limitations inherent in the very mechanism of reparationof this type of damage’ (sentenza sul progetto di Gabcikovo-Nagymaros, cit., par. 140). Una delle caratteristiche dei trattati ambientali consiste proprio nella previsione di nuove normeprimarie che impongono di prendere misure per prevenire l’insorgere dei danni ambientali o comunquecercano di assicurare il rispetto della disciplina normativa attraverso non compliance measures piuttostoche agire sul terreno delle regole secondarie caratteristiche del diritto della responsabilità. Convinta dell’impossibilità di ricondurre i danni ambientali nel ‘letto di Procuste’ della responsabilitàinternazionale degli Stati, la Commissione di diritto internazionale ha lavorato per molti anniall’elaborazione di una serie di Progetti sulla prevenzione dei danni transfrontalieri derivanti da attivitàpericolose (International Liability for Injurious Consequences Arising out of Acts Not Prohibited byInternational Law). In estrema sintesi, secondo l’approccio seguito dalla Commissione di dirittointernazionale, il dovere di riparare il danno transfrontaliero derivante dallo svolgimento di attività di persé lecite non dovrebbe essere considerato come basato sulla commissione di un fatto illecito. Esso sarebbeprevisto invece da una norma primaria indipendente che, fra le altre cose, richiederebbe agli Stati dirisarcire i danni causati, in conformità al diritto internazionale o al diritto interno come forma diresponsabilità civile. Le conclusioni della Commissione sono state oggetto di numerose critiche. Adesempio secondo Boyle – considerato che la violazione della norma primaria di risarcire il dannoconcreterebbe comunque un fatto illecito – la distinzione fra ‘liability’ e ‘responsibility’ per dannoambientale risulta nella migliore delle ipotesi non necessaria (BOYLE, State Responsibility andInternational Liability for Injurious Consequences not Prohibited by International Law: a NecessaryDistinction?, ICLQ, 1990, pp. 1 ss.). Per una sintesi del lavoro della Commissione e del contributo diciascuno dei Relatori speciali, v. M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., pp. 233 ss. Vista la complessità ed il carattere controverso della materia, ai fini della presente trattazione si seguiràun approccio più tradizionale, facendo esclusivo riferimento alla responsabilità (responsibility) degli Statiper atti illeciti. Non si analizzerà invece la questione, di altra natura, della (eventuale) responsabilità penale degliindividui che hanno posto in essere atti gravemente lesivi della biodiversità (distruzione di siti di grandeimportanza biologica, distruzione di banche di germoplasma, etc.). Certamente, le sanzioni penali possono rappresentare uno strumento efficace per garantire la tuteladell’ambiente e molte convenzioni recenti richiedono esplicitamente agli Stati di introdurre nei propriordinamenti sanzioni penali severe per scoraggiare la commissione delle infrazioni più gravi. E’ questo ilcaso, per citare alcuni esempi, della Convenzione di Bamako del 30 gennaio 1991 (art. 4) o dell’Accordoadottato a New York il 4 agosto 1995 sulla conservazione e la gestione degli stock di pesci migratori (art.19). Nell’ambito del Consiglio di Europa, l’insieme del problema è stato affrontato dalla Convenzionesulla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale (Strasburgo, 4 novembre 1998). Questostrumento, assai avanzato, impegna gli Stati ad introdurre nei propri ordinamenti una serie di reati di naturaambientale (immissione nell’ambiente di certe sostanze o radiazioni ionizzanti, trasporto, stoccaggio,esportazione o importazione di rifiuti pericolosi, commercio illecito di specie protette, etc.), determinati inmaniera estremamente dettagliata nei loro elementi soggettivi ed oggettivi (cfr. KISS, BEURIER, op. cit.,p. 394 e s.). Molto controversa è invece l’esistenza di norme di diritto internazionale generale che prevedono deicrimina juris gentium in materia ambientale. La responsabilità penale internazionale delle persone fisicheautrici di atti gravemente lesivi della biosfera è stata oggetto di studio in dottrina e da parte dellaCommissione di diritto internazionale.

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eventi all’origine del danno secondo una relazione di causalità, dall’imputabilità agli

Stati di comportamenti illeciti, dall’identificazione dei soggetti attivi legittimati ad

invocare il rapporto di responsabilità e degli eventuali beneficiari di un risarcimento.

Ammettendo con Glennon che esista l’obbligo per i Governi di proteggere le specie

in via di estinzione, di fronte alla distruzione massiccia di interi ecosistemi o di specie

endemiche di particolare interesse scientifico o culturale (episodi isolati e di dimensioni

ridotte non interessano evidentemente la comunità internazionale), ad esempio a seguito

di una politica di disboscamento selvaggio o ad un inquinamento particolarmente grave e

persistente, chi potrebbe far valere una qualche forma di responsabilità dello Stato

territoriale?195. Quali misure potrebbe pretendere? Nella risposta a queste domande,

l’analisi della prassi non risulta certo di grande aiuto nel gettare luce sul contenuto delle

norme consuetudinarie poste a tutela delle biodiversità.

Molti giuristi, a questo proposito, non hanno mancato di sottolineare come le norme

non scritte giochino un ruolo marginale nel diritto ambientale196. Il problema, a dire il

vero, è più generale. Gli è che, anche in settori meno recenti del diritto, in assenza di uno

Stato specificatamente leso a seguito della commissione di un illecito internazionale197, la

cornice giuridica esistente difetta largamente di organi e meccanismi giuridici adeguati a

far valere il rapporto di responsabilità e a garantire il rispetto degli obblighi a carico degli

Stati attraverso un intervento della società internazionale organizzata.

195 Da un punto di vista dello sviluppo progressivo del diritto, il risarcimento dei danni ambientali arrecatiagli spazi non soggetti ad alcuna giurisdizione nazionale si rivela, almeno dal punto di vista teorico, piùsemplice (una questione ben diversa concerne ovviamente la volontà politica dei Governi di vincolarsi adei regimi convenzionali!). Si è proposto più volte in dottrina di creare dei fondi ad hoc ai quali gli Stati siimpegnerebbero a risarcire i danni sofferti dai beni comuni in assenza di Stati specificatamente lesi. Unapposito organo internazionale (ad esempio un Alto commissario per l’ambiente) potrebbe agirenell’interesse di tutta la comunità internazionale facendo valere il rapporto di responsabilità (SCOVAZZI,State Responsibility, op. cit., p. 63). Esigenze analoghe hanno spinto alla creazione di un meccanismo per certi versi analogo all’interno dellaConvenzione (non entrata in vigore) sullo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Antartide, la qualeprevede la creazione di un organo agente nel nome della comunità internazionale cui gli Stati si impegnanoa riconoscere la personalità giuridica ed il potere di adire i tribunali interni per chiedere la riparazione deidanni arrecati all’ambiente antartico (LEIGH, op. cit., p. 152). Per quanto riguarda l’Area, secondo alcuni autori il combinato disposto degli articoli 139 e 145conferirebbe all’Autorità internazionale la possibilità di far valere la responsabilità degli Stati per danniarrecati all’ambiente marino posti in essere violando la regolamentazione da essa stabilita sulla conduzionedi attività nell’Area (KISS, BEURIER, op. cit., p. 366).196 M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 106. In senso contrario, altri autori hannoevidenziato il ruolo crescente delle consuetudini nella comunità internazionale odierna, specialmente nellearee in cui si delineano rapidamente nuovi interessi economici (vedi, ad es., A. CASSESE, DirittoInternazionale, op. cit., p. 175).197 Nella terminologia della Commissione di diritto internazionale ‘specially affected State’.

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2.5 Dalla Dottrina Harmon all’uso non nocivo del territorio

Dai contorni più definiti è senza dubbio la disciplina giuridica dell’inquinamento

transfrontaliero, non a caso riconducibile a relazioni di tipo bilaterale fra Stati vicini o

confinanti198. Si tratta di un settore che, tanto interessante quanto complesso sotto il

profilo della teoria generale del diritto, riveste però dal punto di vista ecologico

un’importanza relativamente secondaria nella tutela della biodiversità mondiale, salvo

aver acquistato una nuova dimensione in seguito agli sviluppi delle tecnologie nucleari e,

più recentemente, alla diffusione su vasta scala delle biotecnologie (vedi infra, capitolo

IV)199.

Come si è detto, il diritto internazionale tradizionale era estremamente permissivo nel

lasciare ai Governi la possibilità di sfruttare in maniera assoluta ed esclusiva tutte le

risorse del proprio territorio (oltre alla terraferma, il mare territoriale e gli spazi loro

sovrastanti) a seconda dei loro obiettivi di sviluppo economico e industriale e a

prescindere dai pregiudizi che la propria condotta avrebbe potuto causare agli altri Stati

vicini o confinanti.

Emblematica di questa concezione era la cosiddetta dottrina Harmon, dal nome del

Ministro della Giustizia (Attorney General) degli Stati Uniti che la teorizzò nel 1895 in

un parere reso al Dipartimento di Stato americano. Affermando il diritto degli Stati Uniti

di deviare unilateralmente il fiume Rio Grande, indipendentemente dai danni cagionati

allo Stato a valle (il Messico), Harmon asseriva che uno Stato ha un diritto assoluto di

fare quello che vuole con l’acqua che si trova nel proprio territorio200. Dopo aver

sostenuto soltanto qualche anno prima argomentazioni molto avanzate nell’affare delle

foche da pelliccia, gli Stati Uniti si facevano portavoce di una posizione conservatrice ed

egoista, ma che coincideva maggiormente col diritto positivo all’epoca vigente.

198 Come si è detto, si tralascia qui il diverso problema dei danni ambientali che coinvolgono aree al di làdella giurisdizione nazionale come l’alto mare, i fondali oceanici e l’Antartide per i quali si rimanda aLEIGH, op. cit., pp. 129 ss. e a M. A. FITZMAURICE, Liability for Environmental Damage Caused to theGlobal Commons, in RECIEL, 1996, pp. 361 ss.199 Sulla responsabilità degli Stati per danni ambientali, v. P.-M. DUPUY, La responsabilité internationaledes Etats pour les dommages d’origine technologique et industrielle, Paris, 1976; KISS, L’affaire del’Amoco-Cadiz, responsabilité pour une catastrophe écologique, in JDI, 1985, pp. 575 ss; InternationalResponsibility for Environmental Harm (a cura di FRANCIONI, SCOVAZZI), London, 1991 (inparticolare gli articoli di BOYLE, CONFORTI, FRANCIONI, MAFFEI, MCGARITY, PISILLO-MAZZESCHI, SCOVAZZI, SPINEDI) ; LEFEBER, Transboundary Environmental Interference and theOrigin of State Liability, The Hague, 1996; P.-M. DUPUY, Où en est le droit, op. cit., pp. 873 ss.;JABBARI-GHARABAGH, Type of State Responsibility for Environmental Matters in international Law,in R.J.T., 1999, pp. 59 ss; M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., pp. 203 ss.;SCOVAZZI, State Responsibility for Environmental Harm, in Yearbook of International EnvironmentalLaw, 2002, pp. 43 ss.; HANQIN, Transboundary Damage in International Law, Cambridge etc., 2003.

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Come è noto, l’esistenza di un obbligo in forza del quale i Governi non devono usare

il proprio territorio, o permettere che venga usato, in modo da causare danni gravi alle

persone e ai beni degli Stati vicini o confinanti, è stato affermato per la prima volta nella

celebre sentenza resa l’11 marzo 1941 dal tribunale arbitrale istituito per risolvere la

controversia sorta fra Stati Uniti e Canada, relativa all’emissione di fumi nocivi da parte

della fonderia di Trail201.

Nelle parole del tribunale:

‘under the principles of international law, as well as of the law of the United States, noState has the right to use or permit the use of his territory in such a manner as to causeinjury by fumes in or to the territory of another or to the properties or persons therein,when the cause is of serious consequence and the injury is established by clear andconvincing evidence’202.

Più recentemente, l’obbligo per i Governi di assicurare che le attività (anche quelle di

per sé lecite) svolte sotto la propria giurisdizione rispettino l’ambiente al di fuori dei

confini nazionali è stato ribadito nel Principio n° 21 della Dichiarazione di Stoccolma203,

nella Dichiarazione di Rio (Principio n° 2)204 e anche in numerosi strumenti vincolanti,

fra i quali la Convenzione sulla biodiversità 205.

Il principio dell’uso non nocivo del territorio è stato poi sostenuto dalla Corte

internazionale di giustizia nel caso relativo al Canale di Corfù (1949)206 e, con maggiore

ampiezza, nel parere consultivo sulla liceità dell’utilizzo e della minaccia delle armi

200 Sulla dottrina Harmon, vedi M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 432 e s.201 Si trattava di una fonderia canadese di zinco e piombo situata a Trail, a qualche chilometro dal confinecon gli Stati Uniti. Le emissioni di diossido di zolfo, trasportate dal vento, avevano causato danni ingentiagli alberi e alle coltivazioni nello Stato americano federato di Washington. Sulla vicenda, v. KISS-BEURIER, op. cit., pp. 104 ss.; GAUBATZ, KANE, The Tail Smelter Case, in www.gwu.edu, paginabase).202 Il comportamento illecito imputabile al Canada era quello dei suoi organi statali che avevano permessoad una società privata di usare il territorio canadese in modo da causare dei danni ad un altro Stato.203 Dichiarazione di Stoccolma, cit., Principio 21: ‘Conformément à la Charte des Nations unies et auxprincipes du droit international, les Etats ont le droit souverain d’exploiter leur propres resources selon leurpolitique d’environnement et ils ont le devoir de faire en sorte que les activités exercées dans les limites deleur juridiction ou sous leur controle ne causent pas de dommages à l’environnement dans d’autres Etats oudans des régions ne relevant d’aucune juridiction nationale’.204 Dichiarazione di Rio, cit., Principio 2: ‘[c]onformément à la Charte des Nations Unies et aux principesdu droit international, les Etats…ont le devoir de faire en sorte que les activités exercées dans les limites deleur juridiction ou sous leur contrôle ne causent pas de dommage à l’environnement dans d’autres Etats oudans des regions ne relevant d’aucune juridiction nationale’.205 Convenzione sulla biodiversità, cit., art. 3: ‘[c]onformément à la Charte des Nations Unies et auxprincipes du droit international, les Etats…ont le devoir de faire en sorte que les activités exercées dans leslimites de leur juridiction ou sous leur contrôle ne causent pas de dommage à l’environnement dansd’autres Etats ou dans des zones ne relevant d’aucune juridiction nationale’. Per un elenco dettagliato deglistrumenti che hanno incorporato il Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma, v. KISS, BEURIER, op.cit., p. 111.206 La Corte riconobbe che gli Stati hanno l’obbligo ‘not to allow knowingly its territory to be used for actscontrary to the rights of other States’.

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nucleari207 come nella sentenza relativa all’affare del progetto di Gabcikovo-

Nagymaros208. Secondo la dottrina prevalente, esso è ormai imposto da una specifica

norma consuetudinaria e rappresenta uno dei cardini fondamentali del diritto

internazionale ambientale209: non pare quindi necessario fare ricorso alla teoria del

divieto di abuso di diritto come principio generale di diritto comune ai principali

ordinamenti giuridici interni210.

Occorre tuttavia sottolineare sin d’ora che i Governi hanno raramente invocato la

responsabilità internazionale per atti di inquinamento transfrontaliero, anche se

particolarmente gravi211. A questi sono seguiti talvolta il pagamento a titolo grazioso (ex

gratia) di somme di denaro da parte degli Stati di origine dell’inquinamento ma, nella

207 Parere consultivo dell’8 luglio 1996, reso ai sensi dell’art. 96 della Carta delle NU. Il par. 29 del Parererecita: ‘[t]he existence of the general obligation of States to ensure that activities within their juridictionand control respect the environment of other States or areas beyond national control is now part of thecorpus of international law relating to the environment’.208 Sentenza del 25 settembre 1997, relativa all’affare Gabcikovo-Nagymaros, par. 53: ‘[t]he existence ofthe general obligation of States to assure that activities within their jurisdiction and control respect theenvironment of other States or of areas beyond national control is now part of the corpus of internationallaw relating to the environment’. Secondo alcuni interpreti, un riconoscimento implicito del principio dell’uso non nocivo del territorio èstato effettuato nella sentenza arbitrale del 16 novembre 1956, relativa all’affare del Lago Lanoux. Lacontroversia, sorta fra Francia e Spagna, concerneva la costruzione di una centrale idroelettrica e l’utilizzoda parte della Francia delle acque del lago pireneo che defluiscono poi in un fiume spagnolo. Pur nonaffrontando specificatamente il tema dell’inquinamento transfrontaliero, il tribunale arbitrale riconobbe inun obiter dictum che ‘[o]n aurait pu soutenir que les travaux avaient pour conséquence une pollutiondéfinitive des eaux du Carol, ou que les eaux restituées auraient une composition chimique, ou unetempérature, ou telle autre caractéristique pouvant porter préjudice aux intérets espagnols, L’Espagneaurait alors pu pretendre qu’il était porté atteinte à ses droits. Ni le dossier, ni les débats de cette affaire neportent la trace d’une telle allégation’ (citato in KISS, BEURIER, op. cit., p. 107).209 Vedi, per tutti, KISS, BEURIER, op. cit., p. 111. Non è qui necessario indagare se l’obbligo a caricodegli Stati sia un obbligo assoluto che configura una responsabilità oggettiva senza che la vittima debbadimostrare l’esistenza di una colpa qualsiasi da parte del responsabile (responsabilità sine culpa) o si limitiinvece a richiedere agli Stati di adottare tutte le misure preventive appropriate secondo il parametro delladiligenza del buon governo (due diligence). Su questo argomento, v. PISILLO-MAZZESCHI, The DueDiligence Rule and the Nature of International Responsibility of States, in Georgetown Yearbook ofInternational Law, 1992, pp. 5 ss.210 Riassunto dalla gens togata con il brocardo sic utere tuo ut alterum non laedas, il divieto di abuso didiritto costituisce un principio fondamentale di tutti i sistemi giuridici ed è per molti autori un principiogenerale di diritto riconosciuto dalle nazioni civili (Oppenheim, citato in LEIGH, op. cit., p. 141).211 Ad esempio, nessuno degli Stati coinvolti dall’incidente di Chernobyl chiese una riparazione all’UnioneSovietica, preferendo negoziare nuovi trattati multilaterali per scongiurare in futuro la ripetizione di episodisimili (SCOVAZZI, State Responsibility, op. cit., p. 57). In quel caso, il danno transfrontaliero essendostato causato dalle attività svolte da un’entità statale, l’attribuzione di un illecito allo Stato di originesarebbe stata molto facile. A differenza di quanto avvenuto nel caso della fonderia di Trail, non sarebbestato necessario dimostrare la negligenza degli organi statali per non aver esercitato i poteri di controllosulle attività svolte da una società privata. Anche in seguito all’incidente delle fabbriche Sandoz vicino a Basilea (1986), la questione dellaresponsabilità della Svizzera per il grave inquinamento del fiume internazionale Reno non venne sollevata.Fu direttamente la società privata svizzera a risarcire il danno subito dalle persone straniere (personefisiche, federazioni di pescatori, etc.), comprese le spese sostenute dallo Stato francese e dai suoi entipubblici. Sulla vicenda, v. KISS, BEURIER, op. cit., pp. 201 ss. Per una prassi poco nota successiva all’affare Trail Smelter, vedi comunque SCOVAZZI, StateResponsibility, op. cit., p. 47.

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maggior parte dei casi, il risarcimento dei danni subiti dalle vittime (persone fisiche o

giuridiche di diritto privato o anche enti pubblici territoriali) è avvenuto senza fare

ricorso alle relazioni interstatuali, attraverso il risarcimento dei danni in base al diritto

domestico applicabile dal tribunale interno competente, secondo le norme pertinenti di

diritto internazionale privato.

2.6 Obblighi bilaterali e ’ erga omnes’

Senza alcuna pretesa di affrontare i problemi complessi relativi agli elementi

costitutivi degli illeciti ambientali e alle conseguenze derivanti dalla loro commissione, si

è qui voluto evidenziare che, a ben vedere, il divieto di compiere atti nocivi per

l’ambiente di Stati stranieri, non è che un corollario del principio tradizionale della

sovrana uguaglianza. Esso è posto a presidio, non di un interesse comunitario, ma di

quello dei singoli Stati a che il proprio territorio venga rispettato212.

Il caso diverso in cui la violazione degli obblighi di tutela imposti agli Stati ha effetti

immediatamente limitati al loro stesso territorio chiama in gioco la questione

dell’applicazione al diritto ambientale dei concetti di obbligo erga omnes e di jus cogens.

Come mostrano i lunghi e complessi lavori della Commissione di diritto internazionale

nell’elaborazione del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati, si tratta di

categorie giuridiche estremamente controverse, sia nell’elaborazione teorica, sia nella

prassi degli Stati213.

La nozione di obbligo erga omnes è stata accolta nella giurisprudenza della Corte

internazionale di giustizia nella sentenza del 1970 relativa all’affare Barcelona Traction.

In un celebre e studiatissimo obiter dictum, la Corte affermò che:

‘ [a]n essential distinction should be drawn between the obligations of a state toward theinternational community as a whole, and those arising vis-à-vis another state… By their

212 Il carattere reciproco degli interessi coinvolti emerge chiaramente dalla sentenza del tribunale arbitralenell’affare della fonderia di Trail (decisione del marzo 1941): ‘[a]s between the two countries involved,each has an equal interest that if a nuisance is proved, the indemnity to damaged parties for proven damageshall be just and adequate and each has also an equal interest that unwarranted claims shall not be allowed.For, while the United States’ interests may now be claimed to be injured by the operations of a Canadiancorporation, it is equally possible that at some time in the future Canadian interests might be claimed to beinjured by an American corporation’.213 Il Progetto è stato approvato in seconda lettura nel 2001, in seguito alla discussione dei commenti fornitidai Governi. La prima redazione del testo aveva occupato la Commissione di diritto internazionale per piùdi trenta anni, sotto l’impulso dei Redattori speciali Ago, Riphagen e Arangio-Ruiz.

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very nature the former are the concern of all states. In view of the importance of therights involved, all states can be held to have a legal interest in their protection: they areobligations erga omnes’214.

Per la prima volta, l’Alta Giurisdizione riconobbe l’esistenza di obblighi indivisibili

di natura solidale che incombono su ogni Stato nei confronti di tutti gli altri Membri della

comunità internazionale: si tratta di obblighi posti a tutela di valori fondamentali come la

pace, il divieto dell’uso della forza o l’autodeterminazione dei popoli. Per il loro carattere

di indivisibilità, tali obblighi si distinguono da altri che derivano da norme il cui rispetto

è posto a tutela di tutti gli Stati (o a tutte le Parti ad un trattato multilaterale), come ad

esempio quelle che impongono di garantire la libertà dell’alto mare o le immunità

diplomatiche e consolari. E’ pacifico che alla violazione di queste regole segue una

‘bilaterizzazione’ dei rapporti giuridici e l’instaurazione del regime ordinario di

responsabilità, in base al quale solo lo Stato leso ha il diritto di far valere le conseguenze

dell’illecito.

Diversamente, ad un obbligo dovuto all’intera comunità internazionale nel suo

insieme215 corrisponde un ‘diritto collettivo, ossia un diritto la cui violazione da parte di

uno Stato viola simultaneamente i diritti di tutti gli altri Stati’216.

Prima di andare avanti, occorre fare una precisazione di carattere terminologico. In

queste pagine, con l’espressione obblighi erga omnes si farà riferimento esclusivamente

agli obblighi solidali il cui rispetto è dovuto nei confronti dell’intera comunità

internazionale. Per alludere agli obblighi solidali che hanno origine in un trattato

multilaterale e vincolano fra di loro un gruppo ristretto di Stati (che si è chiamato qui

‘comunità particolare’) verrà utilizzata la formula ‘obblighi erga omnes partes’ o quella

equivalente ‘obblighi erga omnes contractantes’217.

Le condizioni che concretano una violazione degli obblighi solidali, così come le

conseguenze giuridiche da essa discendenti, sono disciplinate da un corpus di norme

secondarie, il cui contenuto continua a costituire in dottrina l’oggetto di un acceso

dibattito.

214 ICJ Reports, 1970, sentenza del 5 febbraio 1970 sul caso Barcelona Traction (Belgio c. Spagna), par.33, corsivo aggiunto.215 Lo Stato che ha subito un pregiudizio particolare (Stato leso ai sensi dell’art. 42, par. b), lett. i), delProgetto adottato dalla CDI nel 2001 sulla responsabilità degli Stati) si trova infatti in una posizioneanaloga a quella di uno Stato leso in un contesto bilaterale. Si instaura il regime di responsabilità ordinarioche si esaurisce nel rapporto fra lo Stato che ha commesso l’illecito e quello che l’ha subito, sopportandoun danno morale o materiale. Quest’ultimo potrà eventualmente adottare delle contromisure per indurrel’Autore dell’illecito ad adempiere gli obblighi discendenti dalla violazione.216 A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 314.

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Secondo il Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati, adottato dalla

Commissione di diritto internazionale nel 2001, nel caso di mancato adempimento di

obblighi solidali, tutti gli Stati titolari del corrispondente ‘diritto solidale’218, anche senza

aver subito un danno morale o materiale, possono agire in nome dell’intera comunità ed

invocare la responsabilità dello Stato presunto autore dell’illecito. Il solo pregiudizio

giuridico subito (legal injury) dà loro il diritto di chiedere la cessazione del

comportamento antigiuridico (nel caso di illecito continuo) e a pretendere le adeguate

garanzie e assicurazioni di non ripetizione dell’illecito219. Come è evidente, vista la

natura particolare degli obblighi violati, la riparazione sarà chiesta a vantaggio dello

Stato specificatamente leso (qualora questo esista), o degli individui che, in conseguenza

dell’illecito internazionale, abbiano subito effetti sfavorevoli.

Non è invece chiaro, anche alla luce dell’interpretazione non univoca che può essere

data dell’art. 54 del Progetto, se ed in quale misura gli Stati non lesi possano adottare

legittimamente contromisure pacifiche220. Anche per questo, si è espresso da più parti

insoddisfazione per lo stato attuale di sviluppo del diritto internazionale positivo che non

appronta rimedi giuridici efficaci alla tutela dei ‘diritti solidali’ corrispondenti agli

obblighi erga omnes.

Bisogna peraltro riconoscere che, anche qualora espressamente prevista in specifici

regimi convenzionali, la possibilità per gli Stati di azionare dei meccanismi per far valere

217 Secondo una terminologia ancora utilizzata da qualche autore, questi trattati si distinguerebbero daitrattati-contratto (traités-contrats) basati su principi di reciprocità.218 Ovverosia, tutti gli Stati nel caso di obblighi erga omnes di natura consuetudinaria e tutte le Parti altrattato multilaterale nel caso di obblighi erga omnes partes. Per l’uso della terminologia ‘diritto solidale’,vedi A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 30.219 Secondo l’articolo 48 del Progetto sulla responsabilità degli Stati, adottato in seconda lettura dallaCommissione per il diritto internazionale nel 2001, ‘[a]ny State other than the injured State is entitled toinvoke the responsibility of another State in accordance with paragraph 2 if… (b) the obligation is owed tothe international community as a whole’. Un problema diverso riguarda l’esistenza in capo agli Stati non lesi di un diritto procedurale di adire untribunale internazionale, ed in particolar modo la Corte internazionale di giustizia (c.d. problema del locusstandi). Come è noto, nel 1966, nella sentenza sull’Africa del Sud Ovest, l’Alta Giurisdizione negòl’esistenza nel diritto internazionale positivo di un’actio popularis (‘a plea that the Court should allow theequivalent of an ‘actio popularis’ or a right resident in ant member of a community to take legal action invindication of a public interest. But although a right of this kind may be known to certain municipalsystems of law, it is unknown to international law as it stands at present’). Non è ancora del tutto chiaro in quale misura l’overruling del 1970, riconoscendo il carattere erga omnesdi certi obblighi internazionali, abbia mutato le conclusioni raggiunte dalla Corte quattro anni prima circal’inesistenza di un’actio popularis. In merito, cfr. FORLATI, Azioni dinanzi alla Corte internazionale digiustizia rispetto a violazione di obblighi erga omnes, in RDI, 2001, pp. 69 ss.220 Il tema è forse uno dei più complessi e controversi del diritto internazionale pubblico. E’ evidente, in ogni caso, che non si pone nemmeno il problema dell’adozione di contromisure implicantil’uso della forza. Questo tipo di rappresaglie è infatti vietato dall’art. 2, par. 4, della Carta di San Franciscoe dalla norma consuetudinaria ad esso corrispondente. Fatti salvi il diritto di legittima difesa individuale ocollettiva in risposta ad un attacco armato in atto e l’intervento del Consiglio di Sicurezza ai sensi della

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la presunta violazione di obblighi erga omnes contractantes in mancanza di un

pregiudizio arrecato ai propri interessi particolari non è pienamente sfruttata dai Governi

nazionali.

L’esempio della Corte europea dei diritti dell’uomo è, a questo riguardo,

particolarmente significativo e illustra bene la già evidenziata coesistenza di elementi del

vecchio e del nuovo modello, tipica dell’assetto attuale di relazioni internazionali.

Come è noto, il sistema internazionale di garanzie istituito dalla Convenzione

europea attribuisce ancora oggi ad ogni Alta Parte contraente la possibilità di adire la

Corte, deferendo alla sua supervisione ogni inosservanza delle disposizioni della

Convenzione (e dei suoi protocolli) che essa ritenga imputabile ad un’altra Parte,

indipendentemente dalla nazionalità delle persone fisiche vittime della violazione e senza

dover giustificare un interesse nella partecipazione al procedimento221.

E’ facile constatare come gli Stati si siano avvalsi molto raramente di questa

possibilità, non intromettendosi negli affari degli altri Contraenti se non nei casi in cui

erano in gioco questioni importantissime di tipo politico. Il ricorso alla Corte da parte

dell’Irlanda in seguito alle violazioni commesse nella prima metà degli anni ’70 dal

Regno Unito nella gestione della crisi nord-irlandese e nella repressione del terrorismo

unionista è a questo riguardo emblematico.

Un altro elemento che, per altre ragioni, mostra la persistente tutela da parte degli

Stati dei propri interessi nazionali è la possibilità, prevista dall’art. 36 della Convenzione,

che un’Alta Parte contraente un cui cittadino sia ricorrente possa partecipare al

procedimento instaurato innanzi alla Corte europea prendendo parte alle udienze o

presentando osservazioni scritte222. L’intervento dei Governi nazionali a titolo

tradizionale di protezione, evidentemente un residuo del passato, sembra estraneo alla

logica di tutto il sistema che, fondato sul riconoscimento di valori universali, garantisce

nello ‘spazio giuridico europeo’ la tutela dei diritti fondamentali degli individui,

indipendentemente dalla loro nazionalità.

Carta delle Nazioni Uniti, nessuna presunta ragione umanitaria o di altro tipo può giustificare la violazionedi una norma fondamentale della quale è indubbio il carattere imperativo.221 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 33, comesostituito dal Protocollo n. 11 firmato a Strasburgo l’11 maggio del 1994 (ex art. 24).222 Della facoltà prevista dall’art. 36 (come sostituito dal Protocollo n. 11 firmato a Strasburgo l’11 maggiodel 1994) si sono avvalsi, ad esempio, i Paesi Bassi nel 1999, prendendo parte al procedimento relativoall’affare Selmouni, un ricorrente dotato anche della nazionalità olandese. Gli atti relativi all’affareSelmouni sono rinvenibili su Internet all’indirizzo www.ehcr.coe.int (pagina base).

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2.7 (segue) La tutela della biodiversità: obbligo erga omnes?

Non a caso si sono menzionati i diritti dell’uomo. Come ha sottolineato P.-M. Dupuy

in un noto articolo, se il concetto di obbligo solidale può avere applicazione in numerosi

ambiti, esso trova il proprio terreno di elezione nel diritto umanitario e nella salvaguardia

dell’ambiente.

L’esistenza di obblighi erga omnes nel settore della protezione ambientale è stata

oggetto di numerosi studi. Secondo la ricostruzione di Picone, obblighi erga omnes

sarebbero previsti da alcune norme internazionali sulla protezione dell’ecosistema marino

facenti parte del diritto non scritto vigente o in statu nascendi 223. L’autore si riferisce

alla norma consuetudinaria che fa divieto ad uno Stato costiero di riversare rifiuti

radioattivi nel proprio mare territoriale, almeno quando tale atto comporti un alto livello

di inquinamento marino224, o a quella emergente che imporrebbe allo Stato costiero di

prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento derivante dalle attività di sfruttamento del

fondale marino condotte all’interno della propria zona economica esclusiva225.

L’esistenza di un obbligo erga omes che vieta la conduzione di esperimenti nucleari

nell’atmosfera è stata sostenuta con forza nel 1973 dall’Australia e dalla Nuova Zelanda

nella già menzionata questione degli esperimenti nucleari.

Secondo la memoria presentata dall’Australia alla Corte internazionale di giustizia, il

divieto degli esperimenti atmosferici doveva essere considerato ‘in terms of an erga

omnes obligation and not in terms of an obligation owed to particular States. The duty to

refrain from atmospheric nuclear testing is stated in absolute terms, rather than in terms

relative to the incidence of the effect of nuclear testing upon particular States. The duty is

thus owed to the international community; it is a duty of every State towards every other

State’226.

In termini analoghi, la Nuova Zelanda sostenne che il diritto alla preservazione

dell’ambiente da contaminazioni radioattive e quello a non vedere effettuare esperimenti

nucleari nell’atmosfera

223 PICONE, Obblighi reciproci ed erga omnes degli Stati nel campo della protezione internazionaledell’ambiente marino, in Diritto internazionale e protezione dell’ambiente marino (a cura di STARACE),1982, pp. 32 ss. Sugli obblighi erga omnes emergenti nell’ambito ambientale, v. anche RAGAZZI, op. cit.,pp. 154 ss.224 PICONE, op. cit., p. 114.225 Ibidem, pp. 116 ss.

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‘are shared in the sense that their violation in relation to any one nation will necessarilyinvolve a violation of the same rights vested in other members of the internationalcommunity. The degree of attention which individual countries are prepared to give tothe protection of these rights and the degree of anxiety displayed in the event of theirviolation may, and obviously does, vary. Yet the rights are the same for all. They reflecta community interest in the protection of the security, life and health of all peoples and inthe preservation of the global environment. The rights are held in common and thecorresponding obligation imposed on France (and on any other nuclear power) is owed inequal measure to New Zeland and to every other member of the international community.It is an obligation erga omnes’227.

Sfortunatamente, il caso non è stato deciso nel merito dall’Alta Giurisdizione, la

quale ha mancato un’occasione preziosa per contribuire alla chiarificazione del diritto.

Il carattere erga omnes degli obblighi che vietano l’inquinamento massiccio del mare

e dell’atmosfera è stato riconosciuto, comunque, in maniera implicita dalla Commissione

di diritto internazionale nel Progetto sulla responsabilità degli Stati, adottato in prima

lettura nel 1996. L’art. 19, accogliendo l’idea del Relatore Speciale Ago sull’esistenza di

un regime aggravato di responsabilità internazionale, qualificava infatti come crimine

internazionale ‘a serious breach of an international obligation of essential importance for

safeguarding and preservation of the human environment, such as those prohibiting

massive pollution of the atmosphere or of the seas’ (art. 19, par. 3, lett. d) 228. Se il

rapporto fra crimini internazionali e jus cogens non era del tutto chiaro, sembra pacifico

che, per la CDI, la commissione di un crimine internazionale non poteva consistere che

nella violazione di un obbligo erga omnes229.

Comunque sia, preme sottolineare ancora una volta che gli esempi citati dalla

Commissione di diritto internazionale, come quelli identificati dalla dottrina, riguardano

delle forme particolarmente gravi di inquinamento che manifestano i loro effetti dannosi

in aree al di fuori della giurisdizione degli Stati autori dell’illecito.

226 I.C.J. Pleadings, Nuclear Tests, i, pp. 334-5, par. 448.227 Ibidem, p. 204, par. 191 (citati in RAGAZZI, op. cit., p. 178).228 Come è noto, il riferimento alla controversa categoria di crimini internazionali è stato cancellato dalProgetto adottato nel 2001 in seconda lettura dalla Commissione di diritto internazionale, in seguitoall’opposizione di molti giuristi e di una parte consistente della comunità internazionale. Si devesottolineare, inoltre, che il riferimento nell’art. 19 alla violazione di norme poste a tutela dell’ambiente nelsottoparagrafo d), non fu accolto positivamente dagli Stati, anche dalla maggioranza di quelli favorevoliall’introduzione della nozione di crimini internazionali (SPINEDI, Crimes of State: the Legislative History,in International Crimes of State. A Critical Analysis of the ILC’s Draft Artiche 19 on State Responsibility(a cura di WEILER, A. CASSESE, SPINEDI), Berlino, etc., 1989, p. 61 e s). Anche il Progetto del 2001, comunque, riconosce l’esistenza di di fatti illeciti più gravi e di obblighi neiconfronti di tutta la comunità internazionale. (Al riguardo, vedi SICILIANOS, The Classification ofObligations and the Multilateral Dimension of International Responsibility, in EJIL, 2002, pp. 1127 ss.).229 SPINEDI, Crimes of States, op. cit., p. 137.

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Dal punto di vista esclusivamente logico, se si ammette che alla base del divieto

dell’inquinamento massiccio dell’atmosfera e dei mari, imposto dal diritto

consuetudinario, vi sia la tutela di valori comunitari quali la difesa degli ecosistemi

naturali e della diversità biologica, non si vede per quale ragione il diritto

consuetudinario non dovrebbe vietare atti altrettanto gravi o ancora più distruttivi,

soltanto perché essi producono i loro effetti immediati sulle acque interne o sul territorio

dello Stato di origine dell’inquinamento (o dello sfruttamento irrazionale delle risorse).

In maniera analoga, ammettendo che le norme menzionate dalla Commissione di

diritto internazionale siano assurte al rango di norme juris cogentis, sembrerebbe

incoerente ammettere la nullità di un trattato col quale due Stati si accordassero, ad

esempio, per svolgere attività gravemente inquinanti nell’alto mare e riconoscere allo

stesso tempo la validità di accordi la cui realizzazione comportasse effetti altrettanto

devastanti per la biosfera, anche se (immediatamente) circoscritta al territorio dei

Contraenti230.

Gli è che, ad una più attenta analisi, gli obblighi di carattere ambientale sembrano

essere sorretti da una giustificazione sociale diversa da quella alla base delle norme che

impongono agli Stati il rispetto dei diritti umani fondamentali nei confronti della

comunità internazionale nel suo insieme e fanno divieto, ad esempio, ai loro organi di

compiere atti di tortura o di genocidio. Sono, questi ultimi, dei comportamenti che, salvo

casi particolari, non hanno alcuna conseguenza sui cittadini o sul territorio degli altri

Stati, ma che costituiscono ormai la premessa per un legittimo intervento della comunità

internazionale (nei limiti inderogabili imposti dal rispetto della Carta delle Nazioni Unite

e dal diritto consuetudinario di natura imperativa) perché scuotono profondamente la

coscienza di tutta l’umanità231.

230 Nella sentenza sul progetto di Gabcikovo-Nagymaros (Ungheria contro Slovacchia, sentenza del 25settembre 1997), la Corte ha affermato: ‘[n]either of the Parties contended that a new peremptory norm ofenvironmental law had emerged since the conclusion of the 1977 Treaty, and the Court will consequentlynot be required to examine the scope of art. 64 of the Vienna Convention on the Law of Treaties230’ (par.112). Da questa pronuncia incidentale si può inferire, a contrario, che l’Alta Giurisdizione non escludel’esistenza di norme juris cogentis in ambito ambientale.231 L’evidente natura non sinallagmatica degli obblighi imposti dalla Convenzione per la prevenzione e larepressione del crimine di genocidio è stata riconosciuta nel famoso parere consultivo reso dalla Corteinternazionale di giustizia sulle riserve alla suddetta Convenzione. Nelle parole della Corte, ‘[l]aConvention a été manifestement adopté dans un but purement humain et civilisateur. Dans une telleconvention, les Etats contractants n’ont pas d’intérêts propres; ils ont seulement tous, et chacun, un intérêtcommun, celui de preserver les fins supérieures qui sont la raison d’être de la convention. Il en résulte quel’on ne saurait, pour une convention de ce type, parler d’avantages ou de désavantages individuels desEtats, non plus que d’un exact équilibre contractual à maintenir entre les droits et les charges. Leconsiderations des fins supérieures de la Convention est, en vertu de la volonté commune des Parties, lefondement et la mesure de toutes les dispositions qu’elle renferme’.

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Nel caso della protezione dell’ambiente, l’esistenza degli obblighi in questione

sembra risiedere, non nella lesione di un interesse meramente giuridico degli Stati, ma

piuttosto nel danno materiale che tutti loro, in maniera più o meno diretta, subiscono o

subiranno nel futuro a seguito della commissione dell’illecito232. L’inquinamento del

mare, ad esempio, potrebbe impoverire in maniera irreversibile le risorse dell’alto mare

alle quali tutti gli Stati hanno accesso e avere ripercussioni sul mare territoriale e sulla

zona economica esclusiva degli Stati costieri. In maniera ancora più evidente, i fenomeni

delle piogge acide, del riscaldamento globale e della rarefazione del buco dell’ozono

mostrano come la natura fluida del mezzo aereo faccia sì che l’immissione di sostanze

nocive a partire dal territorio di uno Stato abbia in potentia effetti sul territorio di tutti gli

altri.

Questa interpretazione sembra sorretta dalla pratica degli Stati e trapela dalla

posizione espressa, oltre che dalla Francia, dalla stessa Australia nel citato affare degli

esperimenti nucleari. Secondo il Governo di Canberra, infatti, gli esperimenti nucleari

nell’atmosfera si distinguevano da quelli svolti in altri ambienti dal momento che tale

attività, per la sua stessa natura, produce delle ricadute radioattive che sono

potenzialmente nocive per tutti gli Stati, con la conseguenza che ogni Stato ha un

interesse nel fermarla233.

Ora, per tornare al presente oggetto di studio, è evidente che – come gli oceani o

l’atmosfera - la biodiversità costituisce dal punto di vista ecologico un’entità globale da

proteggere nella sua interezza. L’estinzione di piante e animali, il restringimento della

base genetica delle specie e la distruzione degli habitat naturali rappresentano una

minaccia per tutta la terra, dimora dell’umanità, e per la sopravvivenza stessa della vita

sul pianeta.

Tuttavia, il legame causale fra gli atti di inquinamento o di sfruttamento irrazionale

delle risorse in un Paese e il danno che questi comportamenti arrecano agli altri Stati è, in

genere, di difficile identificazione e percezione. Gli svantaggi derivanti dalla perdita

232 In questo senso, un autore (Smith) ha sostenuto che all’interno degli obblighi erga omnes si dovrebberodistinguere due categorie: quelli che, per la loro stessa natura non possono immaginarsi che dovuti a tuttala comunità internazionale nel suo insieme, e quelli dovuti bilateralmente a tutti gli Stati (citato in LEIGH,op. cit., p. 150). Al di là delle discussioni sulle etichette definitorie, che rischiano di risolvere questionisoltanto verbali, l’inclusione sotto la stessa categoria concettuale di obblighi solidali e non solidali non èdel tutto persuasiva.233 I.C.J. Pleadings, Nuclear Tests, i, pp. 411. Diversamente dalla Nuova Zelanda e coerentemente conquesti postulati, l’Australia sosteneva che ‘ [t]he Court must ultimately consider, in our view, France’sresponsibility based on the deposit of nuclear fall-out on Australian soil and its dispersion throughAustralian air space. Australia’s primary argument is that the intrusion alone of a harmful substanceviolates her rights for which violation satisfaction may be awarded and that further, and additionally, the

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irreversibile di diversità biologica come l’estinzione di specie, la scomparsa di ecosistemi

e la perdita di variabilità interspecifica coinvolgono fenomeni ecologici assai complessi e

sono spesso impossibili da identificare nel breve periodo234.

Queste ragioni, nonché il persistere del ‘dogma della sovranità’, hanno fatto sì che, in

assenza di uno specifico regime convenzionale, anche gli Stati tradizionalmente più

sensibili alla protezione dell’ambiente e alla ‘globalizzazione’ della sua conservazione si

siano sempre astenuti –a quanto risulta - dal manifestare proteste o prese di posizione

ufficiali in risposta agli atti omissivi o commissivi degli Stati che hanno avuto

conseguenze pregiudizievoli per l’ambiente, quando questi hanno manifestato i loro

effetti immediati soltanto sul territorio dello Stato supposto autore dell’illecito, portando

anche alla distruzione di interi ecosistemi o all’estinzione di specie endemiche.

L’esistenza di specifici obblighi di conservazione, d’altra parte, è stata negata con forza e

fermezza da una porzione larghissima della comunità internazionale ed in particolar

modo dai paesi in via di sviluppo.

Detto questo, un impulso importante allo sviluppo delle norme secondarie di natura

consuetudinaria che regolano i rapporti giuridici sorgenti a seguito della commissione di

illeciti ambientali potrebbe essere dato dalla Conferenza delle Parti alla Convenzione di

Rio.

Infatti, ai sensi dell’art. 14, par. 2, della Convenzione,

‘[l]a Conférence des Parties examine, sur la base des études qui seront entreprises, laquestion de la responsabilité et de la réparation, y compris la remise en état etl’indemnisation pour dommages causés à la diversité biologique, sauf si cetteresponsabilité est d’ordre stictement interne’235.

Se concretamente attuati, gli studi sulla responsabilità internazionale per danni alla

biodiversità e l’eventuale adozione di un Protocollo da parte della Conferenza delle Parti,

rappresenterebbero un fatto importantissimo e, stante la portata estremamente ampia

della Convenzione, contribuirebbero in maniera incisiva alla chiarificazione e allo

sviluppo del diritto internazionale. Per adesso, occorre guardare a tale eventualità con

cauto scetticismo, visto che le analoghe disposizioni previste in numerosi altri trattati di

armful substance which has intruded because of acts for which France is responsible inflicts serious, eventhough it may be presently incalculable, harm or damage to Australia and its population’ (ibidem, p. 479).234 Inoltre, limitandosi qui a considerazioni puramente utilitaristiche, è per definizione impossibile saperequali benefici le generazioni future potrebbero trarre dall’esistenza di determinati organismi viventi o dalloro patrimonio genetico.235 Corsivo aggiunto.

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carattere universale o regionale sono rimaste fino ad oggi – come si è scritto con efficacia

– ‘dead letters in the sea’236.

Frutto come tutta la Convenzione di un compromesso, oltretutto, l’art. 14 sopra citato

dà adito a numerosi problemi interpretativi. Non è chiaro in particolar modo cosa debba

intendersi per responsabilità di ordine strettamente interno. Mentre è da escludersi che,

ove correttamente interpretata, questa disposizione debba essere considerata come una

limitazione della competenza della Conferenza delle Parti alla responsabilità degli Stati

per danni transfrontalieri (transboundary harms) o comunque per atti lesivi della

biodiversità situata in aree non soggette ad alcuna giurisdizione nazionale237, l’attività

dell’interprete è resa particolarmente complessa dall’assenza di ogni ulteriore

specificazione. La distruzione irreversibile di una specie endemica o di un habitat unico

di straordinaria importanza biologica, ad esempio, può considerarsi un fatto di ordine

strettamente interno?

Alla luce delle precedenti osservazioni, viene da domandarsi se – a parte forse le

norme consuetudinarie che regolano lo status delle risorse biologiche nell’Area e

nell’Antartide - le norme poste a tutela della biodiversità diano origine veramente a degli

obblighi erga omnes come quelli posti a salvaguardia della dignità umana. A differenza

di questi ultimi, che per la loro stessa natura non possono immaginarsi che dovuti a tutta

la comunità internazionale nel suo insieme, per adesso gli obblighi ambientali sembrano

piuttosto essere dovuti bilateralmente ai Governi di volta in volta danneggiati. Che gli

Stati lesi siano anche tutti gli Stati e non solo lo Stato confinante come nel caso classico

di inquinamento oltre frontiera, pare dipendere più dalla natura di res communis omnium

dell’alto mare o dalle caratteristiche fisiche del mezzo aereo piuttosto che da una

differenza qualitativa degli interessi protetti.

236 L’espressione, coniata da Lefeber, allude alla presenza del riferimento alla futura adozione di unadisciplina sulla responsabilità per danni in molte convenzioni sui mari regionali (citato in SCOVAZZI,State Responsibility, op. cit., p. 44). Un analogo pactum de contrahendo si trova all’art. 16 del Protocollo sull’Antartide relativo allaprotezione ambientale adottato a Madrid nel 1991 (‘le Parti si impegnano ad elaborare regole e procedurerelative alla responsabilità per danni derivante da attività che si svolgono nella zona del Trattato Antarticoe che sono oggetto del presente Protocollo’, traduzione italiana non autentica riportata in Codice, op. cit., p.522) e all’art. 235, par 3, della Convenzione di Montego Bay (Codice, op. cit., p. 462).237 Occorre ricordare che l’art. 4 della Convenzione, disciplinando l’ambito di applicazione della stessa,afferma: ‘[s]ous réserve des droits des autres Etats et sauf disposition contraire espresse de la présenteconvention, les dispositions de la Convention s’appliquent à chacune des Parties contractantes: a) Lorsqu’ils’agit des éléments de la diversitè biologique de zones situées dans les limites de sa juridiction nazionale;b) Lorsqu’il s’agit des processus et activités qui sont réalisés sous sa juridiction ou son contrôle, que ce soità l’intérieur de la zone relevant de sa juridiction nationale ou en dehors des limites de sa jurisdictionnationale, indépendamment de l’endroit où ces processus et activités produisent leurs effets’.

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Senza che sia possibile arrivare a conclusioni definitive, l’analisi della prassi sembra

indurre comunque a molta cautela nel rilevare l’esistenza nel diritto ambientale di norme

che impongono agli Stati obblighi erga omnes nel senso stabilito dalla Corte

internazionale di giustizia di obblighi solidali238. Forse non resta che prendere atto con

Cassese che, sino ad oggi, ‘no specific obligation to protect the environment has arisen in

international law with the caracteristics of a community obligation, that is, an obligation

towards all the other members of the international community, attended by a

corresponding legal entitlement accruing to all the other members of the world

community, to demand the fulfilment of the obligation’239. Queste conclusioni

estremamente prudenti non pregiudicano ovviamente il riconoscimento dell’esistenza di

obblighi erga omnes partes che vincolano solidarmente gli Stati appartenenti ad una

‘comunità particolare’, né tanto meno della possibilità di uno sviluppo progressivo del

diritto.

238 Sentenza relativa all’affare Barcelona Traction, cit.239 A. CASSESE, International Law, op. cit., p. 380.

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Capitolo II IL REGIME GIURIDICO DELLE RISORSE

GENETICHE

‘Praeterea cur vere rosam, frumenta calore vitis autumno fundi suadente videmus, si non, certa suo quia tempore semina rerum cum confluxerunt, patefit quodcumque creatur, dum tempestates adsunt et vivida tellus tuto res teneras effert in luminis oras?’

Tito Lucrezio Caro

Paragrafo 1: 'Semina libera' e patrimonio comune dell’umanità

1.1 Semi, sultani e ladri di caffé

Nelle sue millenarie migrazioni, l'uomo ha trasportato liberamente da un estremo

all'altro del pianeta piante selvatiche e coltivate ad uso alimentare, medicinale, liturgico o

di altro tipo e dai primordi del Neolitico ha selezionato empiricamente i semi di quelle

più adatte alle condizioni del luogo, fino a creare nuove varietà.

Nel corso della storia, d'altra parte, nessuna comunità o organizzazione di governo

ha mai posseduto una superiorità tecnologica o militare tale da impedire durevolmente

l'accesso alle proprie risorse fitogenetiche ed il loro trasferimento ad opera di

commercianti, coloni, viaggiatori.

Come si è detto, del resto, il prelievo di una piccola quantità di campioni non produce

normalmente un impatto ecologico significativo nei biotopi di origine, mentre può dare

luogo ad uno sfruttamento commerciale anche su larga scala nel paese 'importatore',

grazie alla capacità riproduttiva intrinseca della materia vivente240. E’ ampiamente

240 In alcuni casi limite, comunque, anche un prelievo per finalità di ricerca può minacciare lasopravvivenza di una specie. Un rischio del genere è stato corso quando il National Cancer Institute diWashington ha scoperto un composto attivo contro il melanoma in una rara spugna della Nuova Zelanda,della quale rimaneva una popolazione di dimensioni estremamente ridotte (BOSSELMANN, op. cit., nota41).

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risaputo che gran parte delle specie vegetali di interesse commerciale coltivate

attualmente sono originarie dei paesi tropicali. Particolare importanza, nella storia

dell'umanità, ha avuto la scoperta delle piante dell'America Centrale (patate, mais,

zucchine, pomodori, arachidi, fagioli), la cui introduzione nel Vecchio Continente può

considerarsi una delle conseguenze più importanti dell'impresa colombiana241.

Un caso esemplare, sul quale vale la pena di soffermarsi brevemente, riguarda il caffé

(Caffea Arabica), una pianta originaria delle foreste e degli altipiani etiopici scoperta

intorno al 2000 a.C., il cui frutto era esportato a partire dal XIV secolo verso lo Yemen

per essere utilizzato durante alcuni riti religiosi. Trovando un ampio mercato in molte

città dell'Islam, il 'gelsomino d'Arabia' venne coltivato direttamente in tutta la penisola a

partire dal 1500. Prodotto estremamente raro e costoso, il caffé macinato lasciò più volte

i paesi del Levante per raggiungere i mercati di Venezia e fu perfino portato in dono da

un ambasciatore di Solimano il Magnifico alla corte di Luigi XIV.

Per mantenere il proprio monopolio sulle risorse genetiche, i sultani avevano

escogitato una tecnica particolarmente ingegnosa: prima di lasciare l'Arabia, tutti i

sacchi di caffé dovevano essere controllati ed i chicchi sbollentati per impedire loro di

germogliare ed essere riprodotti fuori dai territori dell'Impero Ottomano.

In realtà, già alla fine del 1600, nonostante gli sforzi di solerti doganieri, gli Olandesi

riuscirono a sottrarre alcune piante dalla città di Moka, e da allora, in meno di un secolo,

'la preziosa bacca dello Yemen' si diffuse per il mondo.

Attraverso viaggi avventurosi, infatti, alcune piante furono trasportate dagli Olandesi

in India, a Silon e a Giava. La Francia - il Re Sole aveva ricevuto alcuni esemplari in

dono dalla Compagnia delle Indie Orientali - introdusse nella prima metà del '700 la

coltura nelle Martiniche, poi in Guiana e in Indocina242.

Recenti ricerche mostrano come il Caffea Arabica, coltivato attualmente in quasi

tutte le regioni tropicali-umide, discenda dalle due varietà diffuse a partire dallo Yemen

nel XVIII secolo ed abbia quindi una base genetica molto ristretta243. Questo spiega, fra

l'altro, l'importanza che riveste oggi l'accesso al patrimonio genetico delle altre varietà e

specie di caffé, presenti soprattutto negli Stati dell'Africa Centrale.244

241 Cfr. CROSBY, Lo scambio colombiano. Conseguenze biologiche e culturali del 1492,Torino, 1992.242 Sul caso del caffé si veda: CIRAD (Centre de coopération internationale en recherche agronomiquepour le développement), Le café, des terroirs & des hommes', febbraio 2003, pp. 2-6.243 Ibidem, p. 12 e s.244 Scontri a fuoco si sarebbero registrati fra le guardie di frontiera dell'Etiopia e dei commandos sudanesiche cercavano di impadronirsi di alcune varietà di caffé che il regime di Menghistu non voleva esportare(www.unimondo.org/globpopoli/schede/biodiv_001.html).

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Come era avvenuto per il caffé, nei secoli passati alcuni Paesi (fra i quali la stessa

Olanda!) cercarono di conservare dei monopolio sulla produzione di alcune specie

vegetali particolarmente pregiate245.

In realtà, tutti questi tentativi – tutto sommato abbastanza sporadici - fallirono e nessun

Governo riuscì ad impedire a lungo la diffusione nel mondo dei ‘semina libera’246.

Si è già visto come nell'affare Foche da pelliccia (1893), il Governo degli Stati Uniti

aveva sostenuto che tutto il genere umano doveva partecipare al godimento delle cose

della Terra, sulle quali i singoli Stati non avevano un diritto di proprietà assoluta.

Secondo gli Stati Uniti:

' [t]he coffee of Central America and Arabia is not an exclusive property of those twonations, the tea of China, the rubber of South America are not the exclusive property ofthose nations where it is grown; they are, so far as not needed by nations which enjoy thepossession, the common property of mankind; if nations which have custody of themwithdraw them that are failing in their trust, and other nations have a right to interfereand secure their share'247.

E’ interessante notare che, dopo aver affermato in generale l’esistenza di una

sovranità limitata sulle risorse biologiche, in questo passo della loro memoria, gli Stati

Uniti contestavano implicitamente i tentativi di alcuni Stati di restringere l’accesso alle

proprie risorse genetiche, asserendo l’esistenza di un diritto di tutti gli Stati a beneficiare

di una proprietà comune del genere umano.

Il riferimento al caucciù è, a questo riguardo, particolarmente significativo. Nel 1876,

infatti, Henry Wickham era riuscito ad ingannare le autorità brasiliane che cercavano di

impedire l’esportazione del materiale di riproduzione di questa pianta, contrabbandando

245 Per alcune eccezioni storiche al regime di libero accesso alle risorse genetiche, v. LOUKA, op. cit., p.135. Ancora in epoca coloniale, gli Olandesi distruggevano nelle isole Mulucche le piante di noce moscatae di chiodi di garofano (con l'esclusione di quelle da loro stessi coltivate) proprio per impedirne ai localil'esportazione (ibidem)246 Il sostanziale monopolio degli olandesi sul commercio di alcune spezie, ad esempio, fu infranto dopoche nel 1755 Pierre Piovre riuscì a trasportare clandestinamente esemplari di pepe e cannella nell’Ile deFrance (BOSSELMANN, op. cit., p. 121). Un altro caso meno famoso di trasporto internazionale di specie vegetali è quello dello zafferano (crocussativus), un bulbo di origine araba coltivato nell’antichità soltanto in Turchia e sulle montagne dell’Oxianain Asia Minore. Arrivato in Spagna nel 961 d. C. in seguito all’invasione araba, lo zafferano cominciò adessere coltivato in Abruzzo ed in Toscana a partire dal XIV secolo, dopo che il frate domenicanoDomenico Santucci era riuscito a portare dei bulbi in Italia (CAPPELLI, Raccolti & Ricordi, in I viaggi diRepubblica, 27 novembre 2003, pp. 33 ss.).247 Pacific Fur Seal Arbitration, 15 agosto 1893, (corsivo aggiunto). La citazione è riportata in M. A.FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 163.

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un carico di 70 000 semi e, all’epoca dei fatti (1893), l’albero della gomma si stava

diffondendo rapidamente nelle colonie inglesi asiatiche248.

Per venire alla prassi più recente, il problema dell’accesso ha assunto particolare

rilievo strategico e geopolitico dopo la fine del periodo coloniale e l'emergere dei grandi

paesi del Sud, principali detentori delle risorse genetiche del Pianeta, come soggetti di

diritto internazionale.

Fino agli anni '80 del secolo appena trascorso, comunque, era prevalente nella

comunità internazionale la convinzione che le risorse genetiche appartenessero in

qualche modo a tutta l'umanità e non ai singoli Governi. Esisteva infatti una pratica

ampiamente diffusa (che avrebbe assunto, per taluni, natura di norma consuetudinaria)

secondo la quale gli Stati tolleravano le campagne di bioprospezione botanica da parte di

istituti di ricerca stranieri pubblici o privati249. Si era sviluppata, per usare l'espressione di

Hermitte, una sorta di 'codice di condotta'250, in virtù del quale le spedizioni straniere più

importanti richiedevano un'autorizzazione agli Stati territoriali, instauravano una

collaborazione con gli scienziati locali e, se del caso, con gli abitanti dei villaggi,

fornendo alle autorità del paese un esemplare della specie prelevata.

Negli anni '50-'60, questa situazione si è rivelata particolarmente vantaggiosa per il

progresso dell'agricoltura, permettendo la creazione, da parte degli agronomi, delle nuove

varietà della Rivoluzione verde. Un caso più volte citato in letteratura riguarda la

creazione e la diffusione in tutto il mondo del grano ad alta produttività, ottenuto

incrociando alcune varietà messicane con altre nipponiche (NORIN 10 e 15) prelevate da

un botanico statunitense nel 1945, durante l'occupazione alleata. Il grano NORIN, diffuso

in Giappone negli anni '30 era a sua volta il risultato di un incrocio fra una varietà

autoctona ed una di origine americana introdotta dalla Russia nel 1892. Pare che

quest'ultima fosse stata trasportata nella seconda metà dell'800 dagli Stati Uniti alla

Russia da alcuni emigranti menonniti251.

248 BOSSELMANN, op. cit., p. 121. La diffusione delle coltivazioni di caucciù ebbe evidenti ripercussionieconomiche per il paese sudamericano: mentre alla fine dell’800 il 98% del caucciù proveniva dal Brasile,alla fine del primo conflitto mondiale era Singapore a godere del primato della produzione (ibidem). 249 HERMITTE, op. cit., p. 846 e s.; KISS, BEURIER, op. cit., p. 307.250 HERMITTE, op. cit., p. 845.251 BERLAN, OGMs et génétique agricole, rinvenibile su Internet[http://perso.wanadoo.fr/jpe.berlan/articles]

Page 85: Biodiversit., biopirateria, biosicurezza · 1.4 Il Progetto sulla conservazione della diversità biologica elaborato p. 29 dall’Unione internazionale di protezione della natura

1.2 I 'munera telluris' e la nozione di patrimonio comune dell'umanità

Come si è detto, il comportamento degli Stati, almeno fino agli anni '80 del secolo

scorso, farebbe pensare all'esistenza di una norma consuetudinaria secondo la quale

questi si sarebbero sentiti obbligati a garantire, sia pure nei modi e secondo le procedure

previste dalla legislazione nazionale, il libero accesso alle proprie risorse genetiche.

Tralasciando i casi storici relativi all’epoca coloniale, occorre tuttavia rimarcare che,

già dai primi anni '80, diversi paesi (Brasile, India, Cina, etc.) ponevano delle restrizioni

al prelievo di talune specie di interesse economico ed in particolar modo di quelle

animali. Ci si potrebbe domandare, allora, se l'atteggiamento predominante degli Stati

fosse motivato dalla convinzione della doverosità sociale del contegno o piuttosto da

semplici considerazioni di cortesia internazionale. Quale che sia la posizione adottata

circa l'esistenza o meno dell'opinio juris, particolare attenzione deve essere rivolta

all'Impegno internazionale sulle risorse fitogenetiche del 1983 (Risoluzione 6/83 della

Conferenza FAO252), un documento che ha considerato tali risorse parte del 'patrimonio

comune dell'umanità’ (patrimoine commun de l'humanité, common heritage of mankind).

La risoluzione, anche se non vincolante, sembra riflettere una convinzione allora diffusa

nei Governi tanto quanto nella comunità scientifica253.

Secondo l'art. 1 dell'Engagement:

'[l]’objectif du présent Engagement est de faire en sorte que les ressourcesphytogénétiques présentant un intérêt économique et/ou social, notamment pourl’agriculture, soient prospectées, préservées, évaluées et mises à la disposition dessélectionneurs et des chercheurs. Cet Engagement se fonde sur le principeuniversellement accepté selon lequel les resources phytogénétiques sont le patrimoinecommun de l’humanité et devraient donc être accessibles sans restriction’254.

Continua poi l'art. 5:

252 Testo rinvenibile nel sito http://www.fao.org (pagina base).253 Deve essere sottolineato, comunque, che alcuni paesi sviluppati (molti dei quali erano già parteall'Union pour la potection des obtention vegétales, vedi infra, capitolo III) espressero numerose riserve,affermando che la decisione non poteva essere interpretata in modo da disconoscere le privative sullenuove varietà vegetali. Se la quasi totalità dei paesi in via di sviluppo sosteneva il regime di patrimoniocomune dell'umanità, pensando di accedere così gratuitamente alle varietà di interesse commercialeselezionate dai costitutori dei paesi occidentali, anche qualche voce isolata fra i paesi meno avanzatiespresse alcuni dubbi sul regime di libero accesso alle specie selvatiche. Cfr. BOSSELMANN, op cit., p.132 e s. e FOOTER, Intellectual property and Agrobiodiversity: Towards Private Ownership of theGenetic Commons, in Yearbook of International Environmental Law, 1997, p. 63.254 Corsivo aggiunto.

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'[l]es gouvernements et instituts adhérant au présent Engagement qui disposent deressources phytogénétiques assureront le libre accès à des échantillons de ces ressourceset en autoriseront l’exportation lorsq’elles sont demandées pour la recherchescientifiques, la sélection ou la conservation. Les échantillons seront fournis gratuitementsous reserve de réciprocité, ou à des conditions approuvées d’un commun accord'255

1.3 (segue) Il patrimonio comune dell'umanità nel diritto del mare

Il concetto di patrimonio comune dell'umanità (PCU), teorizzato per la prima volta

nel 1967 dall'ambasciatore di Malta Irvin Pardo, era stato accolto nel 1982 nella

Convenzione di Montego Bay in riferimento alle risorse dei fondali oceanici.

Il diritto del mare, in tutto il suo sviluppo storico, è caratterizzato da un rapporto

dialettico fra il principio di libertà e quello di sovranità (i due 'venti' che - per riprendere

una efficace metafora di R.-J. Dupuy - da sempre soffiano sulle distese degli oceani256) e

anche per questo può essere conveniente rievocarne brevemente alcune linee essenziali.

L'idea che il mare non possa essere l'oggetto di un diritto esclusivo che ne limiti agli

altri il godimento (jus omnes alios excludendi) è molto antica:

'Quid prohibetis aquis? usus communis aquarum est: Nec solem proprium natura, necaera fecit, nec tenues undas: in publica munera veni' (Ovidio, Metamorfosi, 6, 349)257

Nonostante i numerosi argomenti extragiuridici fondati sulla tradizione, su ragioni di

equità o di altra natura, in concreto il principio di libertà di navigazione e di pesca, che

trova il suo fondamento teorico nel Mare Liberum di Grozio (1609), si è affermato

all'inizio del diciassettesimo secolo in seguito al fallimento delle grandi Potenze

marittime, come la Spagna, di esercitare sull'alto mare i poteri inerenti alla sovranità e di

allargare il loro controllo sulle acque al di là della regione immediatamente adiacente

alla costa. Non è un caso che, almeno fino a tutto il XVII secolo, i confini del mare

territoriale fossero stabiliti in base alla così detta 'cannon shot rule', secondo il brocardo

potestas terrae finitur ubi finitur vis armorum.

Già agli inizi del '600, in seguito ai progressi notevoli nelle tecniche di pesca da parte

di Danesi ed Olandesi, alcuni Stati (primo fra tutti il Regno Unito di Re Giacomo e di

255 Corsivo aggiunto.256 Citato in A. CASSESE, Il diritto internazionale, op. cit., p. 433.257 Citato in SCOVAZZI, The Evolution, op. cit., p. 53.

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Carlo I258) i cui pescatori venivano particolarmente danneggiati dalla diminuizione degli

stock di pesci, cercarono di rivendicare dei diritti esclusivi di pesca in ampie zone al di là

del mare territoriale, pretendendo che le navi straniere non potessero pescarvi senza avere

ottenuto la preliminare licenza dallo Stato costiero. In realtà queste misure unilaterali,

che si sarebbe tentati di accostare mutatis mutandis ai decreti del sultano contro i ladri di

caffé, non riuscirono a trovare se non raramente una realizzazione pratica e furono eluse

con estrema facilità.

Se il principio di libertà sembrava quindi trionfare col fallimento del tentativo delle

grandi Potenze marittime e della piccola Repubblica di Venezia di conquistarsi un mare

clausum, il 'vento della sovranità' riprese a soffiare con forza fin dagli albori del XX

secolo e soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si è già fatto riferimento

precedentemente al caso delle foche da pelliccia dell'Oceano Pacifico che vide gli Stati

Uniti opporsi al Regno Unito, nel tentativo di affermare il diritto di preservare questi

animali per il beneficio dell'umanità. Si ricorderà qui che, pur affermando la necessità di

una cooperazione per impedire l'estinzione delle foche, la maggioranza degli arbitri

riconobbe che:

'les Etats Unis n’ont aucun droit de protection ou de propriété sur les phoques à fourrurequi fréquentent les îles appurtenant aux Etats-Unis dans la mer de Behring, quand cesphoques se trouvent en dehors de la limite ordinaire de trois milles'259

Nel secondo dopoguerra, con la scoperta delle risorse minerarie della piattaforma

continentale, il regime di libertà apparve particolarmente inadeguato agli Stati costieri, i

quali riuscirono ad affermare su di esse la propria sovranità, facendo emergere una norma

codificata poi dalle Convenzioni di Ginevra del 1958.

La disciplina pattizia del '58, riflettendo anche in questo il diritto consuetudinario

vigente260, non riconosceva invece alcun diritto esclusivo sulle risorse ittiche al di fuori

del mare territoriale, dando origine ad una situazione divenuta ben presto insoddisfacente

sia per i paesi sviluppati, sia per i paesi in via di sviluppo.

La lettera inviata dal Presidente del Senegal Léopold Senghor al Segretario Generale

delle Nazioni Unite, con la quale lo Stato africano, nel giugno del 1971, denunciava le

Convenzioni di Ginevra sul mare territoriale e sulla pesca in alto mare, è emblematica

258 Ibidem, pp. 59 ss.259 Citato in SCOVAZZI, The Evolution, op. cit. p. 86. La sentenza originale, della quale si riporta spessouna traduzione in inglese, è in francese, circostanza comunque piuttosto singolare essendo le parti in litedue paesi anglofoni260 Come riconosciuto in maniera autorevole dalla Corte internazionale di giustizia.

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dell'atteggiamento che avrebbe spinto venti anni dopo i paesi in via di sviluppo a

rivendicare la propria sovranità sulle risorse genetiche.

Prendendo atto dell'incolmabile divario tecnologico fra i paesi poveri e quelli

industrializzati, Senghor affermava:

'Les états riches, industrialisés, épouseront toujours des thèses qui restreignent l'étenduede la mer territoriale et font de la haute mer un domaine où la superiorité de leurs moyensfinanciers et techniques leur permettent de jouir, d'une façon presque exclusive, desrichesses des eaux au large des côtes sénégalaises. Le régime de la liberté profite auxplus riches, aux mieux équipés, et non aux sous développés, aux plus pauvres'261.

L' 'unilateralismo povero' dei paesi non industrializzati, che rivendicavano il diritto

alla sovranità alimentare sui 'propri' pesci, fu presto affiancato dall' unilateralismo ricco'

dei paesi sviluppati. Nel 1976, spinti soprattutto da esigenze di tutela ambientale, anche il

Canada, gli Stati Uniti e alcuni Stati europei emanarono delle leggi nazionali per istituire

zone economiche esclusive estese fino a 200 miglia dalla costa. Si sviluppò quindi

rapidamente una norma di diritto internazionale generale, codificata dalla Convenzione

di Montego Bay del 1982262, che riservava allo stato costiero lo sfruttamento delle risorse

del mare fino a 200 miglia dalla costa (ZEE).

E' in questo contesto, nella ricerca di un tertium genus che superasse l'antica dialettica

fra libertà e sovranità nel nome di nuovi valori solidaristici, che si inserisce l'elaborazione

del concetto di patrimonio comune dell'umanità263.

Nel suo celebre e accorato discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 1

novembre 1967 l'ambasciatore di Malta riconosceva l'importanza strategica del controllo

sul fondale oceanico. In effetti in quegli anni era stata scoperta la presenza di noduli

polimetallici (contenenti elementi pregiati come manganese, nickel e cobalto) il cui

sfruttamento industriale pareva aprire nuove prospettive di profitti economici

(dimostratesi poi ampiamente sopravvalutate) per gli Stati dotati delle capacità tecniche

adeguate per sfruttarli.

Il processo di estensione della giurisdizione nazionale sui fondali oceanici da parte

delle grandi Potenze avrebbe portato, secondo Pardo, ad una gara competitiva per

accaparrarsi queste risorse. Ciò avrebbe condotto fatalmente ad una aumento della

261 Citato in SCOVAZZI, ibidem, p. 107 e s.262 Da qui in poi indicata come Convenzione MB. L’autorizzazione alla ratifica è stata data con legge del 2dicembre 1994, n. 689 (G.U. 19-12-1994, n. 295, s.o.). A meno che la citazione di un testo autentico (aisensi dell’art. 320) non sia resa necessaria per evitare ambiguità, si farà riferimento in questo lavoro allatraduzione italiana della Convenzione, disponibile in Codice, op. cit., pp. 400 ss.

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tensione internazionale, forse fino al ricorso alle armi, e avrebbe avuto delle conseguenze

molto gravi, superiori 'per grandezza e implicazioni alla gara coloniale del secolo scorso

per il territorio in Asia e in Africa'. Uno sfruttamento incontrollato, condotto

individualmente ed in via esclusiva da pochi Stati per il perseguimento di propri scopi ed

il soddisfacimento di propri interessi, avrebbe probabilmente minacciato le attività

tradizionali di pesca in alto mare e causato un grave inquinamento. Ma, soprattutto,

sarebbe stato all'origine di una 'intollerabile ingiustizia', riservando 'la maggioranza delle

risorse del mondo al beneficio esclusivo di meno di una manciata di Stati'. Insomma, 'il

forte sarebbe stato più forte, il ricco più ricco, e fra i ricchi stessi si sarebbe sviluppata

una crescente ed insuperabile differenziazione fra due o tre ed il resto'.

Il nuovo regime giuridico proposto da Pardo, basato sul riconoscimento di interessi

solidaristici, avrebbe dovuto superare un'impostazione tradizionale ispirata alla sovranità

e al nazionalismo per stabilire dei sistemi di gestione collettiva, uno sfruttamento

congiunto e una distribuzione giusta dei profitti economici.

Non a caso, il termine 'heritage', suggestivo anche se giuridicamente meno

significativo, fu preferito a quello di 'property' per enfatizzare l'assenza di un diritto

proprietario di esclusione e la necessità dell'equo sfruttamento di una risorsa da

preservare per il beneficio di tutti e da trasmettere alle generazioni future264. Del resto,

alcuni famosi giuristi come Andreas Bell nel XIX secolo e De La Pradelle negli anni '30

(1930) avevano già fatto un sia pur rapido e generico accenno agli oceani e alle loro

ricchezze come ad una 'eredità indivisa dell'umanità', ovvero a un non meglio specificato

'patrimonio comune'265.

Il riconoscimento dell' 'Area' ('il fondo del mare, il fondo degli oceani e il relativo

sottosuolo, al di là dei limiti della giurisdizione nazionale'266) e delle sue risorse come

patrimonio comune dell'umanità, nell'accezione più precisa e 'operazionale' di Pardo, fu

accolto dall' Assemblea Generale267 e inserito poi, dopo lunghi dibattiti, nella

Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Parte XI). Quest'ultima

prevede in particolare che:

263 Sulla nozione di patrimonio comune dell’umanità la dottrina giuridica si è molto esercitata. Si veda, pertutti, KISS, La notion de patrimoine commun, op. cit., pp. 103 ss.264 SCOVAZZI, The Evolution, op. cit., p. 119.265 M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 150. Per quanto riguarda i fondali marini,Kiss e Beurier ricordano che, già nel 1955 il grande internazionalista francese Scelle aveva proposto lacreazione di un sistema di concessioni internazionali gestito da un apposito organo nel quadro delleNazioni Unite (KISS, BEURIER, op. cit., p. 199).266 Convenzione MB, art. 1, par. 1, (1).267 Risoluzione della AG No 2749 (XXV), adottata il 17 dicembre 1970 con 108 voti a favore e 14astensioni.

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- le risorse dell'Area non sono delle res nullius e non possono costituire oggetto di una appropriazione, né da parte di Stati, né di soggetti privati (persone fisiche o giuridiche)268;

- la loro esplorazione e il loro sfruttamento devono essere condotti secondo i principi della Carta delle Nazioni Unite e, in particolare, soltanto a fini pacifici269;

- lo sfruttamento deve avvenire tenendo conto dell'obbligo di proteggere in maniera adeguata l'ambiente marino270;

- devono essere prese in debita considerazione le esigenze della ricerca scientifica nell'interesse dell'umanità271;

- le risorse devono essere soggette ad una gestione internazionale272 che ne assicuri lo sfruttamento a vantaggio di tutti gli Stati e non soltanto di quelli costieri, tenendo in particolare considerazione i bisogni dei paesi più svantaggiati273.

Per raggiungere queste finalità, la Convenzione istituisce un’Autorità internazionale

dei fondi marini (AIFM), della quale sono parte tutti gli Stati contraenti. Secondo il testo

adottato nel 1982, l'AIFM avrebbe regolato l'intero ciclo di produzione economica,

dall'estrazione dei minerali, al trasporto, fino alla commercializzazione. O direttamente,

tramite una propria Impresa274, o concedendo a Stati e compagnie private le opportune

licenze.

Durante i lavori preparatori, queste disposizioni della Convenzione relative all'Area

furono sostenute con forza dai paesi del Terzo Mondo, rappresentati dal Gruppo dei 77, i

quali, usciti da non molto dallo sfruttamento coloniale, videro riconosciuto

nell'importante strumento internazionale il principio di giustizia redistributiva più volte

affermato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e alla base del Nuovo Ordine

Economico Internazionale.

Sotto il profilo gestionale, il sistema dirigista istituito dalla Convenzione sarebbe

stato non molto dissimile da quello dell'Euratom, voluto dai padri fondatori delle

Comunità europee per regolamentare il mercato 'sensibile' delle materie fissili,

dall'approvvigionamento, alla distribuzione, fino alla condivisione fra gli Stati dei

programmi comuni di ricerca e di insegnamento. Non diversamente dall'Agenzia

268 Art. 137 Convenzione MB.269 Art. 141 Convenzione MB.270 Art. 145 Convenzione MB.271 Art. 143 Convenzione MB.272 Artt. 156 ss. Convenzione MB.273 Artt. 140 e 144 Convenzione MB.274 Art. 170 Convenzione MB.

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dell'Euratom, l'Autorità o gli enti da essa autorizzati avrebbero detenuto infatti un

controllo di tipo monopolistico, nella fattispecie sulla fornitura dei minerali dell'Area.

Come è facilmente intuibile, le grandi Potenze industrializzate e in particolar modo

gli Stati Uniti di Reagan, uscirono dalla negoziazione del testo particolarmente

insoddisfatte dalla scelta di un processo decisionale che, a loro avviso, non riconosceva

un ruolo adeguato alla loro superiorità economica. Allo stesso tempo, esse non

accettarono un sistema contrario ai principi del libero mercato, considerando come

particolarmente oneroso il finanziamento dell'Autorità e soprattutto il trasferimento

obbligatorio di tecnologie strategiche, anche se in mano a privati.275

Si delineavano già con chiarezza i termini del dibattito che dieci anni dopo, a Rio,

avrebbe animato i lavori preparatori della Convenzione sulla biodiversità (vedi infra) e la

volontà dei paesi in via di sviluppo di vedere riconosciuto il diritto di sovranità sulle

risorse genetiche presenti nel proprio territorio sarebbe stata determinata, fra le altre cose,

proprio dal fallimento della gestione internazionale dei fondali marini.

Come è noto, la Convenzione sul diritto del mare è entrata in vigore soltanto dopo

l'adozione nel 1994 dell'Accordo sull’attuazione della Parte XI che, con un procedimento

del tutto anomalo alla luce del diritto dei trattati, ha modificato sostanzialmente la

disciplina relativa all'Autorità e all'Impresa e, pur mantenendo il riferimento al

'patrimonio comune dell'umanità', ha rafforzato il potere decisionale dei paesi

industrializzati, abolito i finanziamenti obbligatori e previsto un trasferimento

tecnologico remunerato in termini commercialmente ragionevoli276.

1.4 (segue) Patrimonio comune dell'umanità e risorse genetiche

Alla luce di quanto detto, pare legittimo interrogarsi sull'utilità euristica di un istituto

giuridico che, dopo la sua enunciazione nel 1967, è stato esteso indistintamente ad altre

aree o attività umane.

Il Trattato riguardante le attività degli Stati sulla Luna e sugli altri corpi celesti del

1979277, ad esempio, riconosce come patrimonio comune dell’umanità le (improbabili e

275 Quattro Stati (Stati Uniti, Israele, Turchia e Venezuela) votarono contro la Convezione delle NazioniUnite sul diritto del mare del 1982 e 17 si astennero (in prevalenza i Paesi occidentali e l’UnioneSovietica). Per la posizione degli Stati Uniti, si veda anche United States, Departement of State Bullettin,ottobre 1982, p. 71.276 Il testo, in una traduzione italiana non autentica, è riportato in Codice, op. cit., pp. 481 ss.277 Da qui in seguito Trattato sulla Luna.

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per adesso difficilmente accessibili) risorse extraterrestri, affermando i principi di non

appropriabilità278, di uso per scopi pacifici279, di condivisione dei benefici280 e di gestione

internazionale281. Discipline simili sono state elaborate per regolare lo spazio

extraatmosferico e l'Antartide. Per alcuni autori, secondo il diritto internazionale generale

sarebbero da considerarsi patrimonio comune dell’umanità anche le frequenze delle onde

radioelettriche e le orbite geostazionarie282. Molte perplessità possono essere avanzate a

questo riguardo283 e la teorizzazione di più species distinte di patrimonio comune

dell'umanità284 non pare essere di soccorso. Occorre sottolineare in particolare che, se si

eccettua la Convenzione di Montego Bay, nessun regime istituisce un meccanismo di

gestione congiunta e di supervisione dello sfruttamento delle risorse, del trasferimento

tecnologico e della distribuzione dei benefici economici.

A proposito del patrimonio genetico (rectius fitogenetico), l'Engagement della Fao

era ugualmente silenzioso a riguardo. Come nel caso dello spazio extra-atmosferico285, il

riferimento al patrimonio comune dell'umanità appare enfatico e ridondante e tutta la

disciplina giuridica sembra fondata sul principio permissivo di libertà piuttosto che volta

alla realizzazione di interessi comunitari. Più che alla ‘mise en oeuvre des intérets

globaux de l’espèce humaine’286, viene da pensare alla gestione di una res communis

omnium come l’alto mare, il libero accesso alla quale consente a ciascuno,

individualmente, di sfruttare le risorse tecnicamente raggiungibili287.

278 Trattato sulla Luna, art. 11.279 Trattato sulla Luna, art. 3, par. 1.280 Trattato sulla Luna, art. 11, par. 7, lett. d).281 Trattato sulla Luna, art. 11, par. 5 e art. 11, par. 6.282 KISS, BEURIER, op. cit., p. 22. Altri autori, come Weiss o Bronwlie, hanno incluso nella categoria dipatrimonio comune dell’umanità perfino le foreste pluviali, l’atmosfera, l’acqua, lo strato di ozono el’eredità culturale (cfr. M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 158). L’allargamento eccessivo ed enfatico della nozione di patrimonio comune rischia evidentemente disvuotarla completamente di significato. Nel discorso tenuto il 20 novembre 2000 alla VI Conferenza delleParti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ad es., il Presidente dellaRepubblica francese Chirac è arrivato ad estendere l’idea di patrimonio comune a tutta la Terra! (CHIRAC,Discours du Président, 6 Conférence des Parties à la Convention-cadre des Nations Unies sur leschangements climatiques, in Documents d’actualité internationale - La Documentation française, 2001, p.8).283 A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 102.284 M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., p. 158.285 A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., cap. 6.286 L’espressione, in riferimento al patrimonio comune dell’umanità, è di Dupuy (R.-J. DUPUY, Lacommunauté internationale entre le mythe et l’histoire, Paris, 1986, p. 180) Altri autori hanno definito ilpatrimonio comune dell’umanità come la ‘matérialisation de l’intéret commun du genre humain’ (KISS,BEURIER, op cit., p. 22).287 In questo senso, la confusione fra i due concetti (patrimonio comune e libero accesso sic et simpliciter)ha portato Delage a descrivere le industrie dell’agro-business come i più calorosi partigiani delriconoscimento delle risorse viventi quali common heritage of mankind. Tale equivoco conduceall’affermazione, evidentemente ossimorica, secondo la quale il principio di patrimonio comunedell’umanità garantirebbe ‘à des intérets particuliers l’accès à des ressources dont nul ne sait encore le role

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Il principio di patrimonio comune dell’umanità sarebbe stato comunque riaffermato

dagli Stati nel 1989 tramite l'adozione, in seno alla Conferenza FAO, di una risoluzione

sull'Interpretazione concertata dell'impegno internazionale (Ris. 4/89)288. Questa ribadiva

i principi del libero accesso e del libero scambio, così come la necessità di utilizzare le

risorse fitogenetiche nell'interesse delle generazioni presenti e future, ma, allo stesso

tempo, ammetteva per la prima volta che gli Stati fornitori potessero pretendere una

remunerazione.

L'Interpretazione riconosceva 'l'énorme contribution que les agriculteurs de toutes les

régions ont apportée à la conservation et à la mise en valeur des ressources

phytogénétiques, qui constituent la base de la production végétale dans le monde

entier…' (art. 3) e, pur non riuscendo a dare loro un contenuto normativo preciso,

affermava l'esistenza dei 'diritti degli agricoltori'289. Secondo l'art. 4, questi diritti

avrebbero dovuto essere tutelati dalla comunità internazionale tramite la realizzazione di

programmi di conservazione e di assistenza tecnica, rivolti soprattutto ai 'pays en

développement et [à] ceux qui sont des sources importantes de matériel phytogénétique’,

finanziati dal già esistente Fondo internazionale per le risorse fitogenetiche della FAO.

Per quanto riguarda il punctum prudens del reperimento delle risorse economiche, il

documento rappresentava senz'altro un passo avanti nell'affermazione di un principio

solidaristico e nell'ammissione della 'responsabilité des pays ayant le plus bénéficié de

l’utilisation du matériel génétique'290. Tuttavia, a proposito dei nuovi contributi dei

Governi, dopo aver riconosciuto la necessità di dare al Fondo 'une base solide et un

caractère permanent'291, l'Interpretazione rimandava a decisioni future la concreta

attuazione dei meccanismi istituzionali, lasciando quindi nel frattempo agli Stati l'onere

di dare contenuto concreto ai 'diritti degli agricoltori' all'interno dei propri ordinamenti292.

Il carattere vago e meramente esortativo del documento testimonia chiaramente la

riluttanza dei Paesi del Nord a vincolarsi a qualsiasi tipo di finanziamento obbligatorio

delle attività operative delle organizzazioni internazionali: ancora una volta gli interessi

qu’elles peuvent jouer dans l’avenir de l’humanité’ (DELEAGE, Histoire de l’écologie. Une science del’homme et de la nature, Paris, 1991, p. 301 e s.).288 Risoluzione 4/89, Conferenza FAO, sessione 11-29 novembre 1989, Roma (testo rinvenibile nel sitoInternet http://www.fao.org, pagina base).289 Ibidem, art. 3. Sui diritti degli agricoltori, si veda in particolare la Risoluzione FAO 5/89 (testorinvenibile nel sito Internet http://www.fao.org, pagina base).290 Ibidem , art. 4.291 Ibidem, art. 4.292 Sulla Risoluzione 4/89 e la difficoltà di concretizzare i 'diritti degli agricoltori', cfr. LOUKA, op. cit.,pp. 155-157. Nel prosieguo del lavoro, si avrà modo di tornare su alcune soluzioni adottate a livellonazionale (vedi capitolo III).

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degli stati uti singuli prevalevano sui valori di solidarietà che sono alla base delle

aspirazioni 'kantiane', solennemente consacrate nella Carta di San Francisco.

Paragrafo 2: Sovranità e ‘recinzione’ delle risorse genetiche

2.1 Il vento della sovranità

Per una serie convergente di ragioni - il fallimento della Convenzione di Montego

Bay, gli sviluppi delle biotecnologie moderne e della legislazione brevettuale293, il

diffondersi di filosofie neoliberiste e la crisi del socialismo reale - la nozione di

patrimonio comune dell'umanità fu considerata dai paesi in via di sviluppo uno strumento

inefficace e irrealistico.

Più adeguato alla tutela dei propri interessi, in quanto detentori della maggior parte

della 'libreria genetica' del Pianeta, apparve loro il principio tradizionale di sovranità, già

riconosciuto universalmente a proposito delle altre risorse naturali294.

Mentre il Comitato intergovernativo stava ancora lavorando al testo della futura

Convenzione sulla biodiversità, era la FAO a prendere atto per prima del mutato clima

internazionale, adottando la Risoluzione 3/91295. Quest'ultima modificava sensibilmente

il contenuto dell'Engagement dell'83, anche come novellato nel 1989, e ammetteva che:

'la notion de patrimoine de l’humanité, telle qu’elle est appliqué dans l’Engagementinternational sur les ressources phytogénétiques, est subordonnée au principe de lasouverainété des Etats sur leurs ressources phytogénétiques'296.

Se il Preambolo sottolineava che le condizioni di accesso dovevano essere precisate

ulteriormente297, in maniera inequivocabile il punto 1 riconosceva che:

' les nations ont des droits souverains sur leurs ressources phytogénétiques'298.

293 Vedi capitolo III.294 Si vedano, inter alia, le numerose Risoluzioni dell'AG : Ris. 1803 del '62 sulla Sovranità Permanentedei Popoli sulle Risorse Naturali; Ris. 1201 del '74 sul Nuovo Ordine Economico; Ris. 3281 del '74, Cartadei Diritti e dei Doveri Economici degli Stati (tutti i documenti sono rinvenibili nel sito Internetwww.un.org, pagina base). Nella Ris. 1803 (Preambolo) il diritto di sfruttare e usare pienamente per ipropri fini le risorse del proprio territorio è definito come un ‘inalienable right of all States’.295 Il testo è stato adottato il 25 novembre 1991.296 Risoluzione FAO 3/91, preambolo, primo 'riconoscendo'.297 Ibidem, Preambolo, quarto considerando.298 Corsivo aggiunto.

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Come sarebbe accaduto anche nel caso della Convenzione di Rio, la vittoria dei paesi

in via di sviluppo fu molto ridimensionata dall'incapacità di stabilire un regime

istituzionalizzato capace di permettere l'equa distribuzione dei vantaggi derivanti dallo

sfruttamento delle risorse fitogenetiche e la concretizzazione dei diritti degli agricoltori.

Senza prevedere alcun meccanismo di attuazione, il testo ribadisce che essi 'deviendront

réalité grâce à un fonds international pour les ressources phytogénétiques, qui appuiera

les programmes de conservation et d’utilisation des ressources phytogénétiques, en

particulier, mais pas exclusivement, dans les pays en développement'299. '[L]a

conservation effective et l’utilisation durable des ressources phytogénétiques' - continua

poi - 'sont une nécessité urgente et permanente et, par conséquent, les ressources

destinées au fonds international et aux autres mécanismes de financement, devraient être

substantielles, régulières et fondées sur les principe d’équité et de transparence'300. Belle

parole, che, come quelle di un famoso carme catulliano, 'in vento et rapida scribere

oportet aqua'301.

Uno sforzo generoso per istituzionalizzare la gestione internazionale della

biodiversità era stato effettuato, come abbiamo visto, nei progetti 'mondialisti' delle

associazioni di protezione della natura e in particolare nel Progetto dell’UICN.

Quest'ultimo aveva previsto la costituzione di un Fondo per finanziare, in base a principi

di equità, i costi della conservazione e, riprendendo lo spirito della Risoluzione FAO

4/89, aveva riconosciuto un libero accesso ai campioni genetici per fini di ricerca e

selezione. L' accesso avrebbe potuto essere anche non gratuito per remunerare i diritti

degli agricoltori.

Fu soprattutto all'interno del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente che,

grazie alle pressioni dei Paesi del Sud ed in particolare di quelli ricchi di 'capitale

genetico' come il Messico, si andò completando il processo di 'recinzione' delle risorse

genetiche. Un ruolo non secondario giocò la (sapiente) publicizzazione, qualche mese

prima della Conferenza di Rio, di un contratto stipulato nel settembre 1991 tra una

impresa farmaceutica americana, la Merck, e l'Istituto INbio (Instituto Nacional de

Biodiversidad) del Costa Rica302.

299 Ibidem, punto 3.300 Ibidem, punto 4.301 Valerius Catullus, Nulli se dicit mulier mea nubere malle, in Carmina selecta (a cura di M. LenchantinDe Gubernantis), Torino, 1993, p. 142.302 Sull'accordo INbio-Merck, cfr. LOUKA, op. cit., p.74 e s. ; LEVEQUE, op. cit., p. 70; COUGHLIN,Using the Merck-Inbio Agreement to Clarify the Convention of Biological Diversity, in Columbia Journalof Transnational Law, pp. 337 ss. Coughlin esprime un giudizio estremamente positivo sul contratto che, a

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Vale qui la pena di soffermarsi sugli elementi essenziali di questo accordo perché,

agli occhi di molti rappresentanti del Terzo Mondo, avrebbe dovuto costituire il modello

dei futuri contratti di bioprospezione, strumenti per concretizzare finalmente la più volte

vagheggiata 'condivisione giusta ed equa dei vantaggi' derivanti dallo sfruttamento

commerciale delle risorse genetiche303.

La multinazionale americana, in cambio della possibilità di raccogliere e studiare

tutto il materiale biologico presente nel territorio costaricano, si impegnava a pagare ad

INbio una somma di 1,35 milioni di dollari304 in un periodo di due anni e,

successivamente, delle royalties di circa l'1% sui prodotti sviluppati per estrazione o in

via sintetica a partire dai campioni raccolti. Gli introiti ricavati sarebbero stati utilizzati

dall'Istituto per finanziare progetti di conservazione, ad esempio all'interno del Parco

Nazionale del Costa Rica.

Non è superfluo sottolineare, anzitutto, che, nonostante la superficie poco estesa, il

piccolo paese dell'America Centrale, ricco di foreste tropicali ombrofile, ospita nel suo

territorio una percentuale molto elevata della biodiversità mondiale, pari secondo alcune

stime al 6%305. Muovendo da queste considerazioni, con la consueta e icastica efficacia,

l'autore de Il secolo biotech insieme a molti altri ecologisti militanti come Vandana

Shiva, hanno paragonato il compenso elargito dalla Merck ai 'gingilli’ regalati agli

aborigeni in cambio del tesoro306.

Se il riferimento polemico alle spoliazioni e agli appetiti coloniali appare forse

sproporzionato, rimandando ad altro luogo considerazioni di diversa natura, basterà qui

suo parere, potrebbe servire da modello per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla Convenzione diRio. Transazioni private del genere avrebbero il merito di risolvere concretamente le ambiguità dellaConvenzione e, rispetto ad altri mecanismi 'centralizzati' e gestiti a livello internazionale, permetterebberodi evitare inutili spese amministrative, non coinvolgendo oltretutto in lunghe e difficili negoziazioni ilGoverno di nazionalità delle imprese (ibidem, p. 368). Nelle parole dell'autore, 'the kind of praticalarrangements that are reached in a deal like that between Merck and Costa Rica may be more indicative ofthe parties' real positions than those found in treaties, whose negotiations commonly, if not exclusively,involve a great deal of posturing for the benefit of political constituency. Specifically, parties in real lifemay be willing to make concessions wich, from an abstract perspective, seem intolerable..' (ibidem, p.357). Piuttosto che sull'analisi equanime dei benefici derivanti dai contratti di bioprospezione e dallenumerose difficoltà da essi sollevati, questo giudizio sembra fondato sui (presunti) benefici derivanti daforme spinte di 'deregulation' in vista del raggiungimento di una 'State-less society'. Nelle pagine seguentisi cercherà di mostrare come, ad avviso di chi scrive, il solo affidamento ai contratti di prospezione e almercato come meccanismo di allocazione dei valori, non soltanto non sembra condurre a soluzionisocialmente eque, ma soprattutto pone in concreto problemi praticamente insormontabili.303 Secondo la ricostruzione di Hermitte, contratti dello stesso tipo esistevano già dal 1985 (HERMITTE,op. cit, p. 857).304 Più specificatamente, si trattava di 1 milione di dollari in liquidità ed il resto in attrezzature dilaboratorio (COUGHLIN, op. cit., p. 356). Sui termini dell'accordo, cfr. anche BURTHENNE-GUILMIN,CASEY-LEFKOWITZ, op. cit., p. 53.305 BELL, op. cit., p. 530.306 RIFKIN, op. cit., p. 99.

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rilevare che, da un punto di vista meramente economico, la cifra di 1 milione di dollari

appare in ogni caso largamente inadeguata307. Anche le royalties dell'1% sono

chiaramente insoddisfacenti, soprattutto alla luce delle percentuali (8-10%) previste in

contratti analoghi di bioprospezione, stipulati recentemente in alcuni paesi del Nord308.

Sotto un profilo più prettamente giuridico, è interessante notare la natura atipica

dell'accordo, realizzato non fra due Stati, ma direttamente tra la Merck e Inbio:

un’impresa multinazionale ed un’associazione no-profit che, creata nel 1989 per volere

del Governo del Costa Rica, non aveva con questo alcun legame formale. Se il contratto

della Merck sembrava molto simile a quelli di esplorazione-produzione tipici del settore

petrolifero, la questione dell'accesso alla 'miniera genetica' pareva spostarsi, con l'avallo

o con la acquiescenza di uno Stato, dall'ambito pubblicistico a quello del diritto privato,

dalla ricerca di interessi generali alla 'freedom of contract', all'autonomia e alla

discrezioanalità dello ius privatorum.

2.2 (segue) Dalla Convenzione di Rio all'approccio regionale

Come era accaduto un decennio prima a proposito del diritto del mare, i recenti

sviluppi tecnologici offrivano all'inizio degli anni '90 la possibilità di stabilire un regime

completamente nuovo. La comunità internazionale si trovava, ancora una volta, a dovere

effettuare una scelta fra due possibilità: la (difficile) sperimentazione di strade inedite che

permettessero di governare a livello internazionale e in base a principi di equità

l'emergere di nuovi valori economici e materiali, oppure lo sbarramento dell'accesso ai

geni, la loro 'petrolizzazione', la miope ricerca da parte dei singoli Stati di guadagni

immediati in luogo di una reale cooperazione.

Dall'analisi dei lavori preparatori della Convenzione di Rio emerge chiaramente che,

come era già accaduto negli anni '60, i paesi in via di sviluppo pensavano di offrire

l'accesso alle proprie risorse per ricevere in cambio le tecnologie dei Paesi del Nord,

307 Soltanto per avere un ordine di grandezza, secondo la classifica annuale della rivista Fortune, la Merckha conquistato nel 2002 l'undicesimo posto, realizzando profitti per 7 218 milioni di dollari! Coughlinricorda poi come le vendita di un solo farmaco (Ivermectin), scoperto in un microrganismo del suologiapponese, ha fruttato alla Merck 100 milioni di dollari nel solo 1991 (COUGHLIN, op. cit., p. 357).308 Negli Stati Uniti, un accordo analogo è stato concluso fra il Parco Nazionale di Yellowstone ed unasocietà di San Diego, interessata ad alcuni microorganismi rinvenuti nei geyser del parco. Sull’episodiovedi DOREMUS, Nature, Knowledge and Profit: the Yellowstone’s Bioprospecting Controversy and theCore Purposes of America’s National Parks, in Ecology Law Quarterly, 1999, pp. 402 ss.; MURPHY,Biotechnology and International Law, in Harvard International Law Journal, 2001, p. 140.

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spesso coperte dalla protezione brevettuale. Questo spirito, espresso chiaramente nella

seconda sessione di Ginevra (1990) dal direttore esecutivo Mostapha Tolba, permea di sé

tutto il testo della Convenzione adottato a Rio, anche se annacquato dalla ricerca del

compromesso della quale si trova traccia negli articoli più controversi.

Come si è visto, la Convenzione riconosce all'art. 1 l'obiettivo principale dello

strumento: la necessità di realizzare un 'partage juste et équitable des avantages

découlant de l’exploitation des ressources génétiques, notamment grâce à un accès

satisfaisant aux ressources génétiques et à un transfert approprié des techniques

pertinentes'309.

Il concetto di patrimonio comune dell’umanità è stato abolito, come si è visto, per

essere sostituito dalla nozione molto più evanescente di 'preoccupazione comune

dell'umanità'.

Dopo aver affermato il diritto di sovranità, l'art. 15 ribadisce il potere degli Stati di

disciplinare, in base alla legislazione nazionale, l'accesso alle proprie risorse310. Pur non

dovendo essere ristretto per fini contrari agli obiettivi della Convenzione, l'accesso deve

essere sottoposto al 'consentement préalable en connaissance de cause' 311dello Stato

309 Corsivo aggiunto.310 Per ragioni di economia espositiva, in questo lavoro si farà riferimento soltanto agli Stati. In realtà, è evidente che anche le organizzazioni internazionali dotate di personalità giuridica e inpossesso di banche di germoplasma legittimamente acquisito, nel caso in cui tale potere rientri nelle lorofunzioni, possono stipulare accordi analoghi ai contratti di bioprospezione conclusi dagli Stati. Nell'assenza (almeno primo visu) di una prassi pertinente, ci si potrebbe domandare se, per ragioni dilogica giuridica, tutti i soggetti di diritto internazionale che controllino in maniera effettiva un determinatoterritorio possano disporre delle sue risorse biologiche e genetiche. Sembra comunque che né i movimentidi liberazione nazionale, né tanto meno gli insorti potrebbero legittimamente disporre delle risorse naturalisituate sul territorio da essi controllato (vedi A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 153). Se è incorso una lotta di liberazione nazionale, tuttavia, questo diritto non spetta nemmeno alla Potenza coloniale,razzista o straniera. Ciò è stato riconosciuto in maniera autorevole da un tribunale arbitrale nella sentenzarelativa alla Delimitazione della frontiera marittima tra Guinea Bissau e Senegal (parr. 49-52). Come confermato da una prassi ormai consolidata (vedi, inter alia, Ris. 541 del CdS (1983) e, sempre aproposito di Cipro, sentenza della Corte europea dei diritti umani relativa al caso Loizidou c. Turchia (par.42); vedi anche: ICTY, caso Furundzija, sentenza del 10 dicembre 1998), gli altri membri della comunitàinternazionale dovrebbero negare validità internazionale agli atti posti in essere in violazione di una normadi jus cogens, nella fattispecie quella che stabilisce il diritto all'autodeterminazione dei popoli. L'esistenzadi un tale obbligo è stata autorevolmente riconosciuta dalla Commissione di diritto internazionale (art. 40 es. del Progetto sulla responsabilità degli Stati adottato nel 2001). I tribunali interni degli Stati, ad esempio, non dovrebbero considerare come legittima l'acquisizione dimateriale biologico e genetico tramite accordi di bioprospezione stipulati dal Governo coloniale, razzista ostraniero. E’ evidente che tali accordi (contratti con imprese o trattati stipulati con altri soggetti di dirittointernazionale) non sarebbero giustificati da esigenze militari o di sicurezza, né dalla protezione degliinteressi e del benessere degli abitanti; né costituirebbero atti di mera amministrazione del territorio, poichéla loro conclusione diminuirebbe in maniera permanente il valore delle risorse in parte trasferite. Sui limitiimposti dal diritto internazionale alle potenze occupanti nello sfruttamento del territorio e per l’analisi dellaprassi pertinente, cfr. A. CASSESE, Powers and Duties of an Occupant in Relation to Land and NaturalResources, in International Law and the Administration of Occupied Territories (a cura di PLAYFAIR),1992, pp. 419 ss.311 Convenzione sulla biodiversità, art 15, par. 5, corsivo aggiunto.

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fornitore cui sarà garantita, secondo modalità mutualmente convenute, una giusta ed equa

condivisione...dei vantaggi312.

L'accesso alla tecnologia e il suo trasferimento, senz'altro una delle questioni più

spinose affrontate nella negoziazione, sono regolati dall'art. 16 che porta il segno del

conflitto fra le posizioni dei paesi in via di sviluppo e di quelli industrializzati esportatori

di tecnologie.

L'art. 16, par. 2, nel suo incipit, sembra accogliere infatti le rivendicazioni

terzomondiste, riconoscendo che:

'[l]’accès à la tecnologie et le transfert de celle-ci, tels que visés au paragraphe 1 ci-dessus, sont assuré et /ou facilité pour ce qui concerne les pays en développement à desconditions justes et les plus favorables, y compris à des conditions de faveur etpréférentielles s’il en est ainsi mutuellement convenu’.

Come è stato opportunamente sottolineato, la mancanza della virgola prima di ‘s’il

en est ainsi mutuellement convenu' sembrerebbe generalizzare il principio dell'accesso

dei paesi in via di sviluppo alle tecnologie pertinenti a condizioni giuste e favorevoli,

indipendentemente dalla volontà dei paesi detentori313.

Ma l'articolo continua subito dopo:

'lorsque les technologies font l’objet de brevets et autres droits de propriété intellectuelle,l’accès et le transfert sont assurés selon des modalités qui reconnaissent les droits depropriété intellectuelle et sont compatibles avec leur protection adéquate et effective' .314

312 Ibidem, art 15, par. 7. Ai sensi dell’art. 15, par. 2, ‘[c]haque Partie contractantee s’efforce de créer lesconditions propres à faciliter l’accès aux resources génétiques aux fins d’utilisation écologiquementrationnelle par d’autres Parties contractantes et de ne pas imposer de restrictions allant à l’encontre desobjectifs de la présente Convention’. In realtà, come ha sottolineato Bosselmann, i principi enunciati neiparagrafi successivi dello stesso articolo (previo consenso e accesso secondo termini mutuamenteconvenuti) svuotano in gran parte di significato l’obbligo di facilitare l’accesso alle proprie risorse e‘[t]aking this provisions as a whole, it seems that a country can block access to genetic resources forenvironmentally sound uses by other Contracting Parties’(BOSSELMANN, op. cit., p. 138). La tesi opposta è stata sostenuta da Gestri, secondo il quale gli Stati non potrebbero negare in maniera‘arbitraria’ o ‘ingannevole’ l’accesso alle proprie risorse genetiche (GESTRI, op. cit., p. 67).313 ANSARI, JAMAL, op. cit., p. 393 e s.314 Corsivo aggiunto. L'endiadi 'adeguata ed effettiva' implica in maniera molto chiara un rispetto totaledella proprietà intellettuale. Non è un caso che l'espressione fosse stata utilizzata per la prima volta dalSegretario di Stato degli Usa Hull a proposito dell'indennizzo che i Paesi avrebbero dovuto versare in casodi espropriazione di beni detenuti da cittadini stranieri. In quel contesto, il significato giuridico dei duetermini è ben illustrato dal secondo Restatement degli Stati Uniti sulle relazioni estere. Secondo ildocumento, il risarcimento deve essere 'effettivo' in quanto 'equivalente al valore pieno della proprietàespropriata (secondo il valore di mercato), e deve includere gli interessi alla data del pagamento' e effettivoperché effettuato 'in contanti o in sotto forma di beni prontamente convertibili in contanti'. Si veda, aquesto proposito, A. CASSESE, Il diritto internazionale, op. cit., p. 364 e s.

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I paragrafi 3 e 4 dello stesso articolo richiedono che i paesi fornitori delle risorse

genetiche, in particolare quelli che sono dei paesi in via di sviluppo, abbiano accesso alle

tecnologie sviluppate a partire dalle proprie risorse, anche se protette da brevetti o da altri

diritti di proprietà intellettuali. Spetta tuttavia ad ogni Parte prendere, come è

conveniente, le misure legislative, amministrative o di politica generale appropriate.

Senza che sia specificato nessun obbligo preciso, la Convenzione sembra qui richiedere,

di volta in volta, una condotta agli Stati sviluppati tale da assicurare ai paesi di origine

delle risorse licenze non eccessivamente onerose che permettano loro di usufruire delle

tecnologie sviluppate a partire dai campioni prelevati. Nella reticenza del trattato, si

potrebbe pensare ad una modifica ad hoc della legislazione brevettuale interna, oppure

alla predisposizione di un apposito fondo statale per acquistare le licenze da trasferire al

paese fornitore (vedi infra, capitolo III).

Come si evince dalle dichiarazioni interpretative di molti paesi sviluppati e

dall'insoddisfazione della Malesia, che cercò invano di ottenere un riconoscimento del

trasferimento tecnologico in termini preferenziali, la Convenzione non è riuscita ad

imporre al 'Primo Mondo' obblighi concreti315. E' significativo constatare che, ad oggi,

nessuna riforma legislativa o di altro tipo in tale direzione pare essere stata attuata da

alcuno Stato e questa parte della Convenzione è rimasta, sostanzialmente, lettera morta.

Senza che i paesi del Sud abbiano ottenuto la creazione di nuovi istituti giuridici, né

un sistema multilaterale stabile ed efficace, la Convenzione enuncia dei principi e delle

linee di condotta, e lascia agli Stati, rectius ai singoli operatori economici e alla loro

forza contrattuale316, il compito di dare loro un contenuto concreto.

Gli unici mezzi per realizzare gli obiettivi della Convenzione restano quindi degli

strumenti atipici e non meglio determinati, presumibilmente libere variazioni dell'accordo

315 Sulla posizione della Malesia, vedi ANSARI, JAMAL, op. cit., in particolare pp. 100 ss. Emblematica dell’atteggiamento dei Paesi sviluppati è invece la dichiarazione interpretativa che haaccompagnato la ratifica della Convenzione da parte della Francia, ai sensi della quale: ‘[l]a Républiquefrançaise souhaite réaffirmer l’importance qu’elle attache au transfert de tecnologie et à la bioditechnologieen vue de garantir la protection et l’utilisation durable de la diversité biologique. Le respect des droits depropriété intellectuelle constitue un élément essentiel à la mise en oeuvre des politiques de transfer detechnologie et de coinvestissement. Pour la République française, le transfert de technologie et l’accès à labiotechnologie, tels que définis dans le texte de la Convention (…), s’effectueront en conformité avecl’article 16 de ladite Convention et dans le respect des principes et des règles de protection de la propriétéintellectuelle, et notamment des accords multilateraux signés ou négociés par les Parties contractantes à laprésente Convention. La République française encouragera le recours au mécanisme financier établi par laConvention pour promouvoir le transfert volontaire des droits de propriété intellectuelle détenus par desopérateurs français, notamment en ce qui concerne l’octroi des licences, par des décisions et desmécanismes commerciaux classiques, tout en assurant une protection appropriée et efficace des droits depropriété’ (citato in GALLOUX, La protection juridique de la matière biologique en droit français, inR.I.D.C., 1998, p. 505 e s.)

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Merck-INbio fondate sulla fantasia degli Stati e dei soggetti economici: contratti fra

impresa e Stato, fra Stato e Stato, fra impresa e istituto di ricerca, fra istituto di ricerca e

comunità territoriale...

Non sostiene forse Girodaux che il 'diritto è la migliore scuola dell'immaginazione'?

La 'vittoria' dei paesi del Terzo Mondo si rivelava, di nuovo, in gran parte illusoria e

pare legittimo domandarsi se l’accettazione della logica dei contratti di bioprospezione,

già stipulati negli anni '80, richiedesse veramente la stipulazione di una Convenzione

internazionale. Il ricorso ai principi del libero mercato, mentre sembrava offrire una

scorciatoia facile e rapida, si sarebbe mostrato particolarmente inadeguato e

insoddisfacente, del tutto incapace di risolvere il 'nodo gordiano' del trasferimento

tecnologico.

Rimandando al terzo capitolo l'analisi dei problemi inerenti alla legislazione

brevettuale e alla c.d. 'biopirateria', basterà qui sottolineare come il riconoscimento

astratto della nozione di sovranità sollevi de facto problemi estremamente complessi e

suscettibili di dare adito ad un numero incalcolabile di controversie. Tanto più nell'epoca

della globalizzazione, caratterizzata dalla straordinaria mobilità delle persone e delle

merci, dalla 'immediatezza degli scambi' e dalla 'compressione spazio-temporale'.

Secondo la Convenzione di Rio, inoltre, al momento della stipulazione gli Stati sono

ritenuti come detentori in buona fede di tutte le risorse genetiche che si trovino nel

proprio territorio, e quindi anche dei campioni presenti nelle banche di germoplasma,

siano essi o meno originari del paese317. E' noto che la politica della conservazione ex

situ, favorita dalla FAO soprattutto negli anni '60 e '70, ha spinto molti paesi (in

particolar modo quelli sviluppati) a dotarsi di banche di geni provenienti da tutto il

mondo. Basti pensare allo storico Istituto Vavilov di San Petroburgo, creato nel 1927, o

alla Banca di Dresda con i suoi 35 000 campioni di cereali318.

Molte di queste banche fanno parte del network CGIAR (Consultative Group of

International Agricultural Research), un’associazione informale che conta attualmente

62 membri appartenenti al settore pubblico o privato, come fondazioni o banche di

sviluppo, creata nel 1971 sotto gli auspici della FAO, dell'UNDP e della Banca

Mondiale319. Secondo una pratica sviluppatasi in maniera spontanea, queste istituzioni

316 Particolarmente difficile sembra, in questo contesto, immaginare i presupposti dell' equalitascontrahentium...317 Vedi art. 2 (definizione di 'paese fornitore') e art. 15.318 Nel 1996 esistevano nel mondo 1308 banche di geni diffuse nel mondo in 130 paesi (LOUKA, op. cit,p. 94) e 1500 giardini botanici, 700 dei quali dotati di strutture di raccolta del germoplasma (ibidem, p. 97).319 Sullo statuto giuridico delle collezioni di germoplasma, con particolare riferimento al Gruppo consultivoe ai Centri di ricerca agricola internazionali, si rimanda qui a LOUKA, op. cit., pp. 157-174, FOOTER, op.

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hanno mantenuto un regime di libero accesso e di libero scambio, permettendo lo

stabilirsi di un ingente flusso genetico attraverso i confini degli Stati e senza stabilire

sulle varietà da essi rinvenute o create dei diritti di proprietà intellettuale. Tuttavia

recentemente, in seguito alla concessione a terzi di diritti di proprietà intellettuale sul

germoplasma da loro messo a disposizione, istituti come il Maize and Wheat

Improvement Center (Messico) manifestano sempre più l'intenzione di ricorrere alla

protezione brevettuale o ad altri tipi di diritti di proprietà intellettuale.

Incerto resta poi il regime di campioni prelevati dalle zone non soggette alla sovranità

degli Stati e in particolar modo quelle presenti nel continente antartico e sul fondo

oceanico (vedi infra, capitolo III). Questi ecosistemi sono particolarmente ricchi di

organismi estremofili che, vivendo in condizioni fisico-chimiche particolari (pressioni

altissime, temperatura bassa o etremamente elevata etc.), costituiscono l'oggetto di

numerosi studi per i loro geni che codificano enzimi potenzialmente di grande interesse

industriale.

Infine, se lo jus imperii pare potersi applicare al genoma di organismi endemici (nulla

quaestio), molte specie si trovano in natura in regioni molto estese e lontane fra di loro,

situate sotto la giurisdizione di più Stati. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla pianta

dell'ulivo presente in tutto il bacino mediterraneo, o al riso nel Sud Est asiatico... Il fatto

che frequentemente gli stessi geni si rinvengano nel genoma di specie diverse, anche

morfologicamente molto lontane, complica ulteriormente le cose e la rivendicazione di

pretese sovrane sopra un gene potrebbe richiedere ai giuristi una vera e propria probatio

diabolica!

La ‘fantasia giuridica' deve portarci quindi a concepire la formazione di 'cartelli' o di

qualche foma di 'consorzio' fra i detentori delle stesse risorse genetiche?

In effetti, assecondando il processo di regionalizzazione che contraddistingue

nell'ultimo decennio la vita di relazioni internazionali, la prassi recente degli Stati sembra

andare proprio in questa direzione320.

Dell’esigenza di una cooperazione regionale si sono resi conto pochi giorni dopo

l’adozione della Convenzione di Rio, i presidenti di Belize, Costa Rica, El Salvador,

Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama, che, il 6 giugno del 1992, firmarono una

cit., p. 62, PAVONI, Accesso alle risorse fitogenetiche e diritti di proprietà intellettuale dopo il Trattatodella FAO del 2001, in La comunità internazionale, pp. 372 ss.320 Lo studio del fenomeno è al centro dei filoni più recenti di sociologia delle relazioni internazionali, inparticolar modo europei. Si veda, ad esempio, BADIE, SMOUTS, Le retournement du monde, Paris, 1999.

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risoluzione non vincolante per incoraggiare l’adozione di legislazioni che regolassero

l’estrazione delle piante medicinali e delle risorse biogenetiche dall’istmo321.

Dei veri e propri regimi di gestione comune sono stati posti in essere

successivamente all'interno del Patto andino e dell'Associazione sud asiatica di

cooperazione regionale.

In particolare, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela hanno stabilito fra di

loro nel 1996 un regime comune di accesso alle risorse genetiche presenti nei loro

territori che permette di facilitare la ricerca e il progresso agronomico nella regione e,

allo stesso tempo, rafforza il potere contrattuale dei singoli Stati nei confronti dei soggetti

economici stranieri interessati alla stipulazione di contratti di bioprospezione322. A

quattro anni dall’entrata in vigore della Convenzione sulla diversità biologica appariva

evidente come, nel caso di risorse genetiche comuni, il consenso all’accesso espresso da

un singolo Stato attraverso un’autonoma manifestazione di volontà potesse risultare in

contraddizione con i criteri di giustizia e di equità riconosciuti dalla Convenzione stessa a

proposito della condivisione dei vantaggi. Nella logica di Rio, infatti, gli Stati in possesso

della stessa risorsa non hanno aperitio oris sugli atti di disposizione effettuati dagli altri

soggetti sovrani.

Certamente residua loro la possibilità di concludere autonomamente contratti di

prospezione con altre compagnie private (o trattati analoghi con Stati terzi), ma è chiaro

che in tale eventualità gli organismi viventi presenti nel loro territorio avranno perso

ormai gran parte del loro valore economico, soprattutto qualora i loro geni o le

invenzioni da esse derivate siano stati oggetto di brevetti. La Decisione 391/96, dopo

aver stabilito la competenza degli Stati (rappresentati dalle Autorità nazionali

competenti) a stipulare i contratti di accesso (access contracts)323, prevede la concessione

321 COUGHLIN, op. cit., p. 352.322 Andean Community Commission. Decision 391: Common Regime on Access to Genetic Resources,luglio 1996 (per un commento, vedi Country/Region Reports, in Yearbook of International EnvironmentalLaw, 1996, p. 278; ROSELL, Access to Genetic Resources: a Critical Approach to Decision 391 'CommonRegime on Access to Genetic Resources' of the Commission of the Cartagena Agreement, in RECIEL,1997, pp. 274 ss.; GRAHAM, DUTFIELD, Intellectual Property Rights, Trade and Biodiversity: Seedsand Plant Varieties, London, 2002, pp. 108 ss.). Il testo integrale della Decisione (in lingua inglese) èdisponibile in Internet all'indirizzo http://www.sice.oas.org/trade/JUNAC/decisiones/DEC391e.asp,consultato il 13/11/2003).323 ‘The parties to the access contract are: a) The State, represented by the Competent National Authority; and b) The applicant requesting the access.The applicant must be legally empowered to make a contract in the Member Country in which it requeststhe access.’ (Decisione 391/96, cit., art. 32). La Decisione esclude quindi la legittimità di accordi del tipo Merck-INbio. Prevede altresì al Titolo VI laconclusione di ancillary contracts fra il richiedente e ‘the owner, possessor or manager’ della terra dove sitrova il materiale biologico contenente la risorsa genetica (art. 41, lett. a), i centri di conservazione ex situ

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del trattamento nazionale e non discriminatorio a tutti i cittadini aventi la nazionalità di

uno Stato membro324. Disciplina poi i requisiti essenziali che devono avere le domande e

i contratti di accesso325. Gli aspetti procedurali sono estremamente importanti. Oltre a

richiedere che gli atti delle autorità governative siano ‘clear, effective, well-grounded and

lawful’326, la Decisione impone alle Autorità nazionali competenti di rendere pubbliche,

anche attraverso pubblicazioni su quotidiani tutte le richieste e gli atti relativi ai contratti

di accesso327 e soprattutto di notificare immediatamente ogni documento pertinente agli

altri Stati membri328. Per realizzare uno degli obiettivi principali dell’atto, quello di

‘strengthen the negotiating capacity of the Member Countries’329, viene creato un

Comitato andino sulle risorse genetiche composto dai dirigenti delle Autorità nazionali

competenti o da altri rappresentanti designati dagli Stati330. Questo organo dovrà

raccomandare i meccanismi per stabilire un ‘Andean information network’ sulle richieste

e i contratti di accesso nella regione331. E’ poi investito del compito di ‘promote

management, surveillance, control and supervision of access authorizations relating to

genetic resources and their by-products that exist in two or more Member Countries’332.

(art. 41, lett. b) e ‘the owner, possessor or manager’ della risorsa biologica contenente la risorsa genetica(art. 41, lett. c). Questi contratti regolano le attività connesse al prelievo e alla gestione delle risorsegenetiche, ma non autorizzano per se l’accesso. La loro efficacia giuridica è subordinata infatti a quelladell’access contract e, ai sensi dell’art. 44 ‘[t]he nullity of the access contract produces the nullity of theancillary contract’.324 Art. 11: ‘The Members Countries grant each other national, and not discriminatory, treatement inmatters relating to access to genetic resources’. In armonia con una logica di progressiva espansione adaltri Stati del regime di reciproco accesso facilitato, l’art. 12 afferma che ‘[t]he Member Countries maygrant national treatment and non-discriminatory treatment to third countries that give them equaltreatment’.325 Identificazione delle aree alle quali si applica l’accesso e dei fornitori della risorsa, depositoobbligatorio di esemplari dei campioni prelevati in apposite istituzioni designate dall’Autorità nazionalecompetente, obbligo di informare le autorità statali dei risultati della ricerca etc. (cfr.Titolo V, Capitolo I eII).326 Ibidem, art. 15.327 Ibidem, artt. 18, 21 e 28.328 ‘The Member Countries shall notify each other immediately through the Board, of all applications foraccess and access resolutions and authorizations, as well as of the suspension and termination of suchcontracts as are signed.They shall also advise each other about the signing of any bilateral or multilateral agreement on thesubject, which must be in keeping with the provisions of this Decision’ (ibidem, art. 48). Si confronti anche l’art. 49, secondo il quale ‘[w]ithout prejudice to the stipulations of the previousarticle, the member Countries shall immediately inform each other though the Board of all provisions,decisions, regulations, judgements, resolutions and other rules and acts adopted nationally that have to dowith the provisions of this Decision’.329 Ibidem, art.2, lett. e).330 Ibidem, art. 51.331 Ibidem, art. 48, lett. c).332 Ibidem, art. 48, lett. f). In maniera più generale, la ‘Second Final Provision’ ribadisce come ‘[i]nnegotiating the terms of access contracts to genetic resources that originated in more than one MemberCountry or to their by-products and in carrying out activities connected with that access, the CompetentNational Authority shall bear in mind the interests of the other Member Countries, which may present theirviewpoints and such informations as they deem advisable’.

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La creazione di un cartello per rafforzare il potere contrattuale degli Stati detentori di una

stessa risorsa naturale, ricordando da vicino, con gli ovvi distinguo del caso, il modello

dell’OPEC, è senz’altro emblematica del già evidenziato processo di ‘petrolizzazione’

delle risorse genetiche!

Un regime analogo, sia pur meno istituzionalizzato, è stato sviluppato alla fine degli

anni ’90 del secolo scorso fra Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri

Lanka333.

2.3 Oltre la sovranità: il 'Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l'agricoltura' (FAO 2001)

Ci si potrebbe domandare se la scelta del riconoscimento del principio della

sovranità, sancito dalla Convenzione di Rio, rappresenti ormai un elemento

incontrovertibile. Electa una via non datur recursus ad alteram?

In realtà, un ritorno 'ben temperato' al regime del libero accesso, è stato proposto

recentemente in seno alla FAO la quale, preoccupata per le possibili minacce alla

sicurezza alimentare mondiale, ha elaborato il Trattato internazionale sulle risorse

fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura (Roma, 3 Novembre 2001)334. Il trattato,

adottato dai rappresentanti di 116 paesi (con l'astensione significativa di Stati Uniti e

333 In una Dichiarazione ministeriale del 1997, dopo aver riaffermato il principio di sovranità, anche iMinistri dell’Ambiente dei Paesi dell’Associazione sud asiatica di cooperazione regionale (SAARC)cominciarono a prendere atto dei problemi relativi all’utilizzazione e allo sfruttamento delle risorsebiologiche della regione, spesso condivise fra più Stati. V. New Delhi Declaration of EnvironmentMinisters on a Common Position of the South Asian Association for Regional Cooperation before theSpecial Session of the General Assembly on the Implementation of Agenda 21 (la Dichiarazione è riportatacome Annesso nella Nota verbale (Overall Review and Appraisal of the Implementation of Agenda 21)datata 23 giugno 1997 ed indirizzata al Segretario Generale dalla Missione Permanente delle Maldive alleNazioni Unite (http://www.un.org/documents/ga/docs/_S-19/plenary/as19-32.htm). Il documento riconosce le difficoltà oggettive dei Governi nazionali nella regolamentazione deltrasferimento delle risorse biologiche ‘particularly because very small quantities of genetic material aresufficient for research and development purposes and that there is the possibility that these can crossborders undetected’ (ibidem ,sezione ‘Biodiversity’, par. 4). Richiede quindi agli Stati di sforzarsi al fine diformulare ‘a common approach for access to genetic resources that are common to more than one membercountry in the region’ (ibidem, sezione ‘Biodiversity’,1) ). Per gli sviluppi successivi si rimanda al sito www.saarc-sec.org e in particolare alla Declaration of theeleventh SAARC Summit (Nepal, 4-6 gennaio 2002), p. 51. In riferimento alla gestione su scala regionale delle risorse biologiche e genetiche di origine animale, siricorderà la Convenzione sulla conservazione e la gestione della vigogna (adottata a Lima il 20 dicembre1979). La convenzione vincola gli Stati parte (Bolivia, Argentina, Chile, Ecuador, Perù) a non esportareverso Paesi terzi animali fecondi o altro materiale di riproduzione (KISS, BEURIER, op. cit., p. 291).334 Il testo del Trattato e il numero aggiornato delle ratifiche sono consultabili sul sito della FAOhttp://fao.org. Per i primi commenti sullo strumento, vedi LOUKA, op. cit, pp. 149-154 e l’articolo diPAVONI, Accesso alle risorse, op. cit., 2003, pp. 369 s.

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Giappone) e già ratificato da più di 40 Stati, entrerà in vigore il 29 giugno 2004335 e

garantirà il libero accesso ad un elenco prioritario di specie (fra queste figurano le specie

più importanti per l'alimentazione umana, come cereali, agrumi, leguminose, patate,

etc.)336.

Lo strumento, a dire il vero piuttosto complesso e non sempre di facile

interpretazione, afferma che le risorse fitogenetiche costituiscono una 'préoccupation

commune de tous les pays'337, in quanto sono 'la matière première indispensabile à

l’amélioration génétique des plantes cultivées, que ce soit par la sélection des

agriculteurs, par des méthodes classiques d’amélioration des plantes ou par des

biotechnologies modernes'338.

Nel riconoscimento del principio di sovranità degli Stati e del loro potere di

autorizzare i prelievi come disciplinato dalla legislazione nazionale, il Trattato mira alla

creazione di un 'Sistema multilaterale' (Parte IV) aderendo al quale gli Stati rinunceranno

in parte alla loro sovranità a vantaggio degli altri Contraenti, ottenendo in cambio un

accesso facilitato al loro 'capitale genetico' a fini di ricerca, selezione e creazione di

nuove varietà a scopi agricoli e alimentari.

In particolare gli Stati si impegnano - limitatamente alle risorse 'qui sont gérées et

administrées par les Parties contractantes et rèlevent du domaine public'339 - ad accordare

rapidamente l'accesso alle altre Parti e alle persone fisiche e giuridiche sottoposte alla

loro giurisdizione, 'gratuitement ou, lorsqu’un paiement pour frais est requis, il ne doit

pas dépasser les coûts minimaux engagés'340.

In estrema sintesi, gli Stati forniranno ai privati o agli enti beneficiari i campioni

richiesti secondo un accordo di trasferimento del materiale (ATM) che disciplinerà, nei

casi previsti, il pagamento ad un conto fiduciario di una percentuale equa dei benefici

335 Il Trattato ha ottenuto 79 firme (compresa quella degli Stati Uniti) ed è aperto a tutti gli Stati membridelle Nazioni Unite. Fino al marzo del 2004, con l’eccezione del Canada, avevano ratificato il Trattatosoltanto paesi in via di sviluppo. La soglia dei 40 Stati è stata superata il 31 marzo del 2004, quando sonoStati depositati 13 strumenti di ratifica da parte della Comunità europea e di 11 Stati membri. Ad oggi (3aprile), fra gli Stati ratificanti non figura ancora l’Italia.336 Annesso I. Sono state tenute fuori dal Sistema alcune specie economicamente importanti: la soia, certepiante foraggiere, la canna da zucchero, la palma, etc. Questo risultato è frutto ovviamente di uncompromesso fra i vari interessi degli Stati. I pvs, in particolare, pur avvertendo l'importanza di avereaccesso ad una base genetica adeguata per le risorse dalle quali dipende la sussistenza delle propriepopolazioni, dall'altro lato hanno ritenuto che, in riferimento alle altre specie, il regime consolidato dellasovranità permettesse loro di trarre benefici economici maggiori (LOUKA, op. cit., p. 153).337 Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, Preambolo.338 Ibidem, Preambolo.339 Ibidem, art. 11, par. 2.340 Ibidem, art. 12, par. 3, lett. b).

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economici derivanti dalla commercializzazione di prodotti elaborati a partire dal

materiale in questione (art. 13, par. 2, lett. d), (ii) ).

I beneficiari non potranno rivendicare nessun diritto di proprietà intellettuale o altro

diritto che limiti l'accesso facilitato alle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e

l'agricoltura, o a loro parti o componenti genetiche ‘sous la forme reçue du Système

multilateral' 341.

I detti beneficiari dovranno effettuare il pagamento delle somme previste dall'ATM

qualora ottengano dei diritti di proprietà intellettuale su un prodotto che sia una risorsa

fitogenetica per l'alimentazione e l'agricoltura e che incorpori del materiale genetico al

quale essi hanno avuto accesso grazie al Sistema multilaterale, nel caso in cui questi

diritti di proprietà intellettuale limitino ad altri beneficiari l'accesso al prodotto

commercializzato a fini di ricerca e di selezione342.

E' evidente che il Trattato rappresenterebbe, in linea di principio, un grande passo

avanti rispetto ai regimi degli anni '80 e '90, istituendo all'interno di un gruppo di Stati e

potenzialmente a livello universale, non soltanto un sistema di contributi volontari, ma

anche un conto fiduciario gestito in nome della comunità internazionale e finanziato in

qualche modo dai privati che hanno tratto dei benefici economici dalle risorse

fitogenetiche del Sistema multilaterale.

Risorse alle quali, in ultima analisi, essi hanno potuto accedere grazie a 3 miliardi di

anni di evoluzione biologica e alle innumerevoli generazioni di donne e di uomini che,

nel corso dei secoli e in tutti i luoghi della Terra, hanno conservato e accresciuto, col

proprio lavoro, la grande 'tela della vita'.

Occorre rilevare tuttavia che, nonostante i molti aspetti positivi del Trattato,

quest'ultimo ha un campo di applicazione piuttosto circoscritto. Tutte le utilizzazioni non

agricole delle risorse fitogenetiche, finalizzate ad esempio alla ricerca chimica o

farmaceutica, sono escluse dal Sistema e dalla disciplina pattizia, come sottolinea l'art.

12, par. 3, lett. a).

Ma soprattutto, un altro limite importante riguarda le specie che, pur rientrando in

quelle elencate, sono protette negli Stati da diritti di proprietà intellettuale o altri diritti di

proprietà343. Il Trattato aggiunge soltanto che, per raggiungere una copertura più

341 Ibidem, art. 12, par. 3, lett. d).342 Ibidem, art. 13, par. 2, lett. d), (ii). Come sarà chiarito in seguito (vedi infra, capitolo III) rientrerebberoin questa fattispecie le persone fisiche o morali che, avuto accesso ad una pianta resa disponibile da unoStato all'interno del Sistema multilaterale, riuscissero ad ottenere un brevetto su una varietà derivata daquesta attraverso procedimenti tradizionali o la transgenesi. I titolari di un 'certificat d'obtention végétale',sul modello UPOV, sarebbero meramente 'invitati' ad effettuare il pagamento.343 Ibidem, art. 12, par. 3, lett. f).

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completa possibile del regime, le Parti prenderanno 'les measures appropriées pour

encourager les personnes physiques et morales relevant de leur juridiction qui détiennent

des ressources phytogénétiques pour l’alimentation et l’agriculture… à incorporer de

telles ressources phytogénétiques pour l’alimentation et l’agriculture dans le Système

multilatéral'344.

Anche il trasferimento tecnologico, incoraggiato a beneficio dei paesi meno avanzati

e in transizione a condizioni preferenziali e di favore, è subordinato al rispetto dei diritti

di proprietà intellettuali.345 La formula vagamente anfibologica, ricorda da vicino il

'compromesso di Rio' e le contraddizioni dell'art. 16 della Convenzione sulla biodiversità.

La portata concreta dei principi stabiliti nel Trattato dipenderà essenzialmente dalle

decisioni prese, dopo la sua entrata in vigore, dall'Organo direttore. Nella sua prima

riunione l'Organo, dotato di poteri amplissimi, stabilirà infatti il contenuto degli ATM ed

in particolare 'le montant, la forme et les modalités du paiement', nonché la categoria dei

soggetti beneficiari obbligati al pagamento delle somme di cui all'art. 13, par. 2, lett. d),

(ii)346. Secondo la decisione dell'Organo, potranno essere esonerati i piccoli agricoltori

dei paesi in via di sviluppo e dei paesi in transizione, mentre un pagamento obbligatorio

potrà essere previsto anche nei casi in cui i prodotti commercializzati siano accessibili

senza restrizioni ad altri beneficiari a fini di ricerca e di selezione347..

Un potere estremamente incisivo è previsto poi all'art. 11, par. 4, secondo il quale

'[d]ans les deux ans qui suivent l’entrée en viguer du Traité, l’Organe directeur évalue les

progrès réalisés dans l’inclusion dans le Système multilatéral des ressources

phytogénétiques pour l’alimentation et l’agriculture’ detenute dalle persone fisiche e

morali soggette alla sovranità delle Parti. ‘Suite à cette évaluation, l’Organe directeur

décide si l’accès continue d’être facilité pour les personnes physiques et morales… qui

n’ont pas inclus lesdites ressources phytogénétiques pour l’alimentation et l’agriculture

dans le Système multilatéral, ou s’il prend toute autre measure qu’il juge approprée'348.

344 Ibidem, art. 11, par. 3.345 Ibidem, art. 13, par.2, lett. b), (iii): ' L'accès aux technologies, y compris les technologies protégées pardes droits de propriété intellectuelles, et leur transfert... sont assurés et/ou facilités à des conditions justes etles plus favorables...y compris à des conditions de faveur et préferentielles, s’il en a été ainsi mutuellementconvenu, notamment grâce à des partenariats de recherche-développement dans la cadre du Systèmemultilatéral. Cet accès et ce transfert sont assurés dans des conditions qui garantissent une protectionadéquate et efficace des droits de propriété intellectuelle et qui soient conformes à ceux-ci' (corsivoaggiunto).346 Ibidem, art. 13, par. 2, lett. d), (iii).347 Ibidem, art.13, par. 2, lett. d), (iii).348 Ibidem, art. 11, par. 4.

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In altri termini, secondo quanto sembra emergere da un’interpretazione letterale e

sistematica349 dell'art. 11, par. 4, nell'attuazione del suo potere di supervisione, l'Organo

potrebbe escludere dal regime di libero accesso quei privati che, possedendo dei diritti di

proprietà intellettuale su varietà vegetali di particolare interesse agricolo e alimentare, si

rifiutino di metterle a disposizione.

Il riferimento ad 'ogni altra misura che esso giudichi appropriata', nella sua ampiezza,

lascia immaginare un potere molto penetrante dell'Organo. Questo potrebbe, proprio

motu, imporre dei veri e propri provvedimenti sanzionatori nei confronti degli operatori

economici, tanto più che l'art. 19 gli riconosce, fra le altre cose, il potere ‘de s’acquitter

de toute autre fonction nécessaire à la réalisation des objectifs du présent Traité'350.

Se concretamente attuato, questo meccanismo, previsto in organizzazioni

internazionali estremamente integrate come le Comunità europee ma assolutamente

straordinario in un contesto del genere, permetterebbe alle decisioni dell'Organo di

raggiungere direttamente, sicut sagitta, delle persone fisiche e morali sottoposte alla

giurisdizione delle Parti e di incidere sulla loro situazione giuridica soggettiva.

Detto tutto questo, molte perplessità derivano dal sistema decisionale previsto in seno

all'Organo, composto da tutte le Parti contraenti. Le decisioni saranno prese seguendo la

regola del consensus o, per certe misure, attraverso un altro metodo di votazione deciso a

sua volta per consensus351. Peraltro appare poco probabile che uno Stato, dopo non avere

adottato le misure possibili all'interno del proprio ordinamento giuridico, consenta

all'adozione di 'sanzioni' nei confronti di propri cittadini o di proprie aziende per

incoraggiarli a rinunciare ai loro diritti di proprietà intellettuale352.

Un’altra questione lasciata irrisolta concerne il rapporto del Trattato con gli accordi

già stipulati dagli Stati o dalle persone fisiche o giuridiche abilitate nell’ordinamento

interno, qualora questi prevedano un accesso esclusivo anche alle risorse fitogenetiche

per l’alimentazione e l’agricoltura incluse nel Sistema multilaterale353.

349 Si veda anche l'art. 12, par. 2.350 Ibidem, art. 19, par. 3, lett. k).351 Ibidem, art. 19, par. 2.352 Come sarà chiarito in seguito, queste misure potrebbero spaziare da incentivi fiscali, o di altro tipo, finoa misure più incisive quali il pagamento delle royalties da parte dello Stato o la concessione di licenzeobbligatorie.353 Il possibile conflitto di obblighi non è sfuggito agli estensori della Decisione del Patto andino 391/96.Questa pone così a carico degli Stati membri l’onere di rinegoziare o non rinnovare, a seconda delledisposizioni pertinenti, i contratti o gli accordi già stipulati il cui contenuto non è conforme alledisposizioni della Decisione. (‘Contracts or agreements signed by Member Countries or their public orState institutions with third parties in regard to genetic resources, their by-products, the biologicalresources containing them or associated intangible components, that are not in conformity with thisDecision, may be renegotiated or may fail to be renewed, as applicable.

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The renegotiation of such contracts or agreements, as well as the signing of new ones, shall beaccomplished by common agreements among the Member Countries. To this end, the Andean Committee

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Capitolo III

BIODIVERSITA’ E DIRITTI DI PROPRIETA’INTELLETTUALE

‘I brevetti di oggi prolungano i privilegi accordati a Cristoforo Colombo’

Vandana Shiva

Paragrafo 1: Dalle ‘litterae patentes’ ai brevetti sui geni

1.1 Premessa

Sia in ambito FAO sia durante i lavori preparatori della Convenzione di Rio, la tutela

dei diritti di proprietà intellettuale è stato uno dei temi più controversi, e ha visto la

contrapposizione degli interessi dei paesi in via di sviluppo e delle grandi potenze

esportatrici di tecnologia.

Un documento interno all'USPTO (United States Patent and Trademark Office),

apparso poche settimane dopo il Vertice della Terra, mostra chiaramente come una delle

ragioni principali nel determinare il rifiuto statunitense di firmare la Convenzione sulla

biodiversità sia stata proprio la (presunta) insufficiente tutela dei diritti di proprietà

intellettuale. Si legge infatti nel memorandum:

‘Reference to preferential, concessional or most favorable terms in favour of developingcountries are inappropriate and unacceptable to the Us, particularly when they refer to

on Genetic Resources shall establish the common criteria.’, Decision 391/96, Temporary provisions,second).

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commercially-oriented technology. The only acceptable terms in this context are thosewhich would be set through the free market process’354

Questa posizione era sostenuta particolarmente dalla influente lobby

biotecnologica355, secondo la quale il trattato era viziato e avrebbe legittimato da parte

dei paesi in via di sviluppo un 'global pirating'356.

Secondo alcune stime, il mercato americano delle biotecnologie valeva già allora 5,8

miliardi di dollari e la salvaguardia della proprietà intellettuale dalle infrazioni all'estero

era fin dagli anni '80 con Reagan uno degli obiettivi più importanti della politica estera

statunitense357.

Prima di analizzare le problematiche di rilievo più prettamente internazionale, è

opportuno, ai fini della presente indagine, ricostruire brevemente lo sviluppo dei diritti di

proprietà intellettuale nelle legislazioni nazionali. Considerato che le altre forme di

protezione (marchi, segreti commerciali, denominazioni di origine, copyrights, etc.)

svolgono un ruolo assai secondario per quanto riguarda le invenzioni realizzate a partire

da materiale biologico e genetico, ci si limiterà, almeno in questo paragrafo, alle

privative sui ritrovati vegetali e alla legislazione brevettuale.

1.2 L’invenzione e il brevetto: un cenno storico

354 Citato in BELL, op. cit., p. 517. Si deve sottolineare che il messaggio col quale Clinton trasmetteva il trattato al Senato nel novembre1993 testimoniava chiaramente della volontà del Presidente di interpretare l'accordo (peraltro nonriservabile) in modo da svuotare di significato le disposizioni concernenti il trasferimento tecnologico.Questo avrebbe dovuto, a suo avviso, prendere 'fully into account exclusive rights that a party may possessand that transferts of proprietary technology will take place only at the discretion of the owner of thetechnology' (citato in BIRNIE, BOYLE, op. cit., p. 736).355 In particolare l'Association of Biotechnology Companies e l'Industrial Biotechnology Association.356 Sui problemi generali relativi alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale si farà principaleriferimento a International Intellectual Property Law (a cura di D'AMATO e LONG), London etc., 1997.357 Secondo le stime dell'US Trade Commission, le perdite delle industrie americane in seguito allacontraffazione e al contrabbando di prodotti oggetto di brevetto ammontavano nel 1986 a 43-61 miliardi didollari (PETERSON, Recent Intellectual Property Trends in Developing Counries, in HarvardInternational Law Journal, 1992, p. 279). Il timore che la Convenzione avrebbe potuto danneggiare gliinteressi americani traspare chiaramente anche dalla dichiarazione ufficiale degli Stati Uniti fatta allaConferenza dell’UNEP il 22 maggio 1992 (United States: Declaration Made at the United NationsEnvironment Programme Conference for the Adoption of the Agreed Text of the Convention on BiologicalDiversity, riportata in ILM, 1992, p. 848). Dopo aver ribadito il ruolo di ‘original proponent’ dellaConvenzione, gli Stati Uniti affermavano il testo essere ‘seriously flawed in a number of importantrespects’ (ibidem, par. 3). Si legge nel quarto paragrafo: ‘[a]s a matter of substance, we find particularlyunsatisfactory the text’s treatment of intellectual property rights; finances, including, importantly, the roleof the Global Environment Facility (GEF); technology transfer and biotechnology’ (ibidem).

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Il brevetto si sviluppa in Europa sull'evoluzione delle litterae patentes attraverso le

quali, fin dal VI secolo, il Sovrano conferiva ai sudditi particolari titoli o privilegi.

Frequentemente, per favorire il trasferimento delle tecnologie straniere, venivano

concessi dei monopoli temporanei sulla commercializzazione dei prodotti o

sull'utilizzazione dei nuovi procedimenti introdotti dagli artigiani e dagli scienziati:

questi abili 'immigrati' erano così messi al riparo per un periodo sufficiente di tempo

dalla concorrenza dei loro apprendisti358.

La prima disciplina generale sui brevetti si sviluppò comunque nell'Italia del

Rinascimento, a Venezia.

'Abbiamo tra noi uomini di grande ingegno, capaci di inventare e scoprire macchinestraordinarie[...]. Orbene, se per i congegni e i procedimenti scoperti da costoro fosserointrodotte remunerazioni tali da impedire, a chi ne venisse a conoscenza, di costruirle apropria volta, usurpando la gloria del vero inventore, vi sarebbe un maggior numero diuomini disposti a esercitare il proprio ingegno per scoprire e costruire congegni di grandeutilità per il nostro bene comune'359.

Così recitava il preambolo della legge adottata dal Senato veneziano nel 1474, la

quale contiene in nuce tutti gli elementi delle più recenti legislazioni brevettuali. La ratio

(l'incentivo all'inventiva umana per favorire la diffusione di opere dell'ingegno di

carattere creativo360) appare evidente, e le 'remunerazioni' ricordano molto da vicino le

moderne 'royalties' 361.

Fin dal XVII secolo, il brevetto non fu fenomeno soltanto europeo. Legislazioni in

materia furono adottate in alcune colonie americane prima dell'Indipendenza e favorirono

358 Letters patent furono così concesse nell'Inghilterra di Edoardo III al tessitore fiammingo John Kempe(1331) e a tre orologiai di Delft (1338)… cfr. SHIVA, Il mondo, op. cit., p. 17.359 SHIVA, Il mondo, op. cit., p. 16.360 Si fa qui riferimento al c.d. argomento dell’incentivo, molto enfatizzato nelle legislazioni moderne.Molte sono comunque le giustificazioni economiche e filosofiche dei diritti di proprietà intellettuale chesono state avanzate ('reward theory', 'prospect theory', 'trade secret avoidance theory', 'rent dissipationtheory'; per un’ampia panoramica cfr. International Intellectual Property, op. cit., pp. 18 ss.). Fra queste, lapiù importante è senz’altro la tutela della proprietà privata quale mezzo per proteggere la libertàindividuale del creatore, colui che, per usare le parole di Locke,‘has mixed his or her labour with andjoined it to something of his own, and thereby makes his own property’.361 La Repubblica Veneta utilizzò molto spesso la concessione di brevetti per favorire l'importazione neisuoi Dominii di tecnologie estere e nel 1469, ad esempio, un monopolio sull'arte della stampa venneconcesso al tedesco Johann von Speyer. Nella sua Vita di Galileo, Brecht ricorda come il grande fisicotoscano fosse stato lautamente remunerato dal Governo veneziano per l''invenzione' del telescopio, in realtàutilizzato da tempo dagli Olandesi!

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l'introduzione sull'altra sponda dell'Atlantico di nuovi metodi di lavorazione, macchine e

prodotti industriali362.

1.3 Il brevetto nelle legislazioni moderne

Per brevetto si intende oggi un documento concesso dagli organi competenti di uno

Stato alla persona fisica o giuridica che ha presentato la rituale domanda, a conclusione

di un procedimento amministrativo. Il documento mira a realizzare la pubblicità363 di una

invenzione industriale (metodi o processi di lavorazione, nuovi prodotti industriali,

applicazioni tecniche di nuovi principi scientifici364) della quale attesta, per un periodo di

tempo limitato, il diritto esclusivo al godimento e allo sfruttamento economico.

Il diritto di brevetto sull'invenzione deve essere distinto dal diritto morale ad esserne

riconosciuto il creatore (diritto della personalità). In molti ordinamenti è considerato

come un vero e proprio diritto di proprietà su un bene immateriale (quae tangi non

potest) e si parla spesso di 'proprietà industriale'365.

Si tratta in ogni caso di un diritto patrimoniale, subordinato al pagamento di una tassa

generalmente annuale, cioè il diritto esclusivo all'utilizzazione economica dell'invenzione

nel territorio nazionale. Esso viene tutelato dalle autorità statali attraverso mezzi

preventivi tesi ad inibire comportamenti costituenti delle violazioni oppure mezzi

362 La legge del Connecticut definiva espressamente come invenzione 'l'importazione di beni già in usofuori dai confini del nostro Stato, ma non al loro interno' (citato in SHIVA, Il mondo, op. cit., p. 19). Inaltri termini, non era riconosciuto l'uso precedente dell'invenzione al di là delle frontiere.363 La disclosure deve avvenire in modo sufficientemente chiaro e completo perché l’invenzione possaessere riprodotta da una persona esperta nel settore tecnico pertinente. Ad esempio, secondo l'AccordoTRIPs (vedi infra), ‘[m]embers shall require that an applicant for a patent shall disclose the invention in amanner sufficiently clear and complete for the invention to be carried out by a person skilled in the art’(art.29, par. 1).364 Si distinguono, per usare la terminologia inglese, product patents e process patents (IntellectualProperty and International Trade – The TRIPS Agreement (a cura di CORREA, YUSUF), London etc.,1998, p. 204 e s.).365 L’espressione è stata coniata dai giuristi alla fine dell’800 e compare, fin dal titolo, nella Convenzionedi Parigi del 1883 (Convenzione per la protezione della proprietà industriale). Qualche anno dopo la Cortesuprema federale degli Stati Uniti ha riconosciuto che nell’ordinamento statunitense i brevetti sono unaproprietà nel significato del V emendamento (sentenza del 1918, 246 U.S. 28 del 1918). E' opportunodistinguere la creazione intellettuale dal bene materiale che la incorpora, noto nel linguaggio giuridicocome 'corpo meccanico dell'opera'.

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repressivi, volti a garantire al titolare del brevetto utilità equivalenti a quelle oggetto della

violazione.

In particolare il detentore del brevetto, secondo la disciplina processuale vigente nel

proprio ordinamento, potrà rivolgersi al giudice per pretendere la cessazione dello

sfruttamento abusivo da parte di terzi esercitando l'azione di contraffazione e, se del caso,

quella di risarcimento dei danni.

Il diritto si estende, oltre che alla fabbricazione, anche all'uso e alla

commercializzazione del prodotto cui l'invenzione si riferisce, e quindi anche alla sua

importazione366. E' opportuno sottolineare tuttavia che, una volta immesso sul mercato

per la prima volta il corpo meccanico dell'opera, la sua rivendita non è più subordinata al

consenso del titolare del brevetto.

Il diritto patrimoniale di inventore è trasferibile e può costituire l'oggetto di contratti

(licenze di brevetto) attraverso i quali il titolare si accorda con l'altro contraente per

permettergli lo sfruttamento dell'invenzione, in cambio di una retribuzione monetaria. La

definizione dell'entità delle somme di denaro (royalties), così come della modalità

attraverso le quali esse saranno conferite, è affidata all'accordo, all'incontro di volontà

delle parti, secondo i principi generali dell'autonomia contrattuale367. Soltanto in alcuni

casi - quando la diffusione dell'invenzione brevettata è necessaria per soddisfare interessi

primari della popolazione e il suo detentore si rifiuta di concedere delle licenze in termini

ragionevoli - la maggior parte degli ordinamenti riconosce, con maggiore o minore

ampiezza, la possibilità del ricorso a licenze obbligatorie. Si tratta di un contratto

involontario imposto dallo Stato attraverso il quale l'inventore (o il suo cessionario)

garantisce l'autorizzazione all'uso del brevetto dietro il pagamento di un canone adeguato

la cui entità può essere stabilita ex imperio dall'autorità pubblica competente368.

366 Secondo l'art. 28 dell'Accordo TRIPs (vedi infra), '[a] patent shall confer on its owner the followingexclusive rights: (a) where the subject matter of a patent is a product, to prevent third parties not having theowner's consent from the acts of: making, using, offering for sale, selling, or importing for these purposesthat product; (b) where the subject matter of a patent is a process, to prevent third parties not having theowner's consent from the act of using the process, and from the acts of: using, offering for sale, selling, orimporting for these purposes at least the product obtained directly by that process'.367 Per la definizione di brevetto si è fatto qui riferimento a: PAJARDI, Dizionario giuridico, Milano 1990,pp. 123 ss. e GALGANO, Diritto privato, Padova, 1999, par. 27.2. Per quanto concerne l'ordinamentoitaliano cfr. Codice Civile, artt. 2575-2597 (utili informazioni sono reperibili anche sul sito dell’ufficiobrevetti italiano, www.ufficiobrevetti.it, pagina base).368 Alcune legislazioni, come quella svizzera, prevedono con generosità licenze obbligatorie, anche quandoqueste siano necessarie alla realizzazione di altre invenzioni derivate. Ad esempio, secondo l’art. 36 dellalegge svizzera sui brevetti, se un’invenzione brevettata non può essere usata senza violare un brevettoprecedente, il proprietario del brevetto più recente avrà diritto alla concessione di una licenza nella misurarichiesta per l’uso della propria invenzione, a condizione che l’invenzione abbia uno scopo del tuttodiverso da quello del brevetto precedente o che comporti un avanzamento tecnico considerevole. Quandoentrambe le invenzioni hanno la stessa finalità economica, il proprietario registrato del brevetto precedente

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Affinché un'invenzione sia brevettabile, deve avere i requisiti previsti dalla legge. In

generale le tre caratteristiche richieste dagli Stati per accordare la protezione brevettuale

sono (secondo il modello statunitense): 1) novità, 2) non ovvietà, 3) utilità intrinseca.

Si avrà modo di tornare in seguito sul principio di novità369, sulle differenze fra le

varie legislazioni brevettuali e sul problema della loro armonizzazione. Qui basterà

ricordare che, al di là delle divergenze terminologiche, nell'interpretazione degli uffici

brevetto e dei giudici nazionali il secondo requisito pare indicare in tutti i Paesi la non

ovvietà per una persona di ordinaria abilità nel campo tecnico dell'invenzione. Il terzo

requisito permette di escludere in genere le invenzioni inutili o a scopo meramente

decorativo370.

1.4 E’ vivente quindi non è brevettabile

Ritornando all'oggetto della presente indagine, si deve sottolineare che, fino agli anni

'80 del XX secolo, nessun ordinamento del mondo - né di civil law, né di common law -

riconosceva forme di protezione della proprietà intellettuale sugli organismi viventi in

virtù della legislazione generale sui brevetti, secondo l'adagio caro ai giuristi dell'800 'è

vivente, quindi non è brevettabile'. Una limitata eccezione riguardava i procedimenti

basati sull'utilizzo di microrganismi (ma non i microrganismi stessi!) e i prodotti da essi

concederà la licenza alla condizione che il proprietario del brevetto più recente gli conceda in cambio unalicenza o l’uso della propria invenzione. In caso di disaccordo, il giudice deciderà sulla concessione dellelicenze, il loro contenuto, la loro durata e il compenso da pagare (citato in una traduzione inglese inInternational Intellectual Property, op. cit., p. 358).369 Non può essere brevettata la semplice identificazione di qualcosa che è già esistente in natura(scoperta).370 In altri Stati, come in quelli europei, la formulazione dei requisiti richiesti è leggermente diversa e fariferimento all'esistenza di: 2) un’attività inventiva, 3) una applicazione industriale. Secondo l’art. 52, par. 1, della Convenzione europea sui brevetti, sono brevettabili tutte le 'inventionswhich are susceptible of industrial application, which are new and which involve an inventive step'. Dellasostanziale coincidenza dei due criteri si è preso atto a livello internazionale (Accordo TRIPs, nota 5,relativa all’ art. 27, par. 1): ‘[f]or the purpose of this article, the terms ‘inventive step’ and ‘capable ofindustrial application’ may be deemed by a Member to be synonymous with the terms ‘non-obvious’ and‘useful’ respectively’; la stessa espressione si ritrova quasi verbatim nell’Accordo nordamericano di liberoscambio (Accordo NAFTA) all’art. 1709: ‘[f]or purposes of this Article, a party may deem the terms‘inventive step’ and ‘capable of industrial application’ to be synonymous with the terms ‘non-obvious’ and‘useful’, respectively’. Firmato nel 1992 dai Presidenti di Stati Uniti, Messico e Canada e completatonell’agosto del 1993, l’Accordo NAFTA è entrato in vigore il 1 gennaio 1994 ed è consultabile su Internet,all’indirizzo www.nafta-sec-alena.org, pagina base).

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derivati: a partire dal XIX secolo, potevano costituire oggetto di brevetto nella maggior

parte dei Paesi occidentali371.

Per secoli, del resto, la creazione delle nuove varietà era avvenuta tramite una

selezione massale empirica alla quale avevano contribuito diverse generazioni di

contadini, senza che alcun singolo soggetto potesse rivendicare la qualifica di

'inventore'372.

Fino a dopo la prima guerra mondiale, nessuna norma statale distingueva la

dimensione corporea e incorporea (informazionale) del materiale biologico e, secondo la

disciplina tradizionale del diritto privato, i semi e le piante erano considerate delle cose

(res) appropriabili e soggette al diritto di proprietà corporale (proprietas in rem, droit de

proprieté corporelle). Il contadino che piantava i semi o altro materiale di riproduzione

nel proprio campo diveniva proprietario, dopo la separazione dal terreno, delle piante

cresciute su di esso (nella maggior parte degli ordinamenti secondo il modo di acquisto

della proprietà a titolo originario per accessione373). Salvo l'esistenza di oneri reali374,

poteva così godere e disporre di tutto il proprio raccolto (delle piante, dei loro elementi e

prodotti) in maniera piena ed esclusiva. In particolare il suo diritto di proprietà

comprendeva, fra le altre cose, la possibilità di ripiantare parte dei semi ottenuti o

rivenderli liberamente a terzi.

1.5 ’Seeds’ e ‘ grains’

371 Un apposito trattato (Trattato di Budapest sul riconoscimento internazionale del deposito dimicrorganismi ai fini della procedura di brevettabilità, Budapest, 28 aprile 1977, emendato il 26 settembre1980) avrebbe poi disciplinato il riconoscimento internazionale degli enti di deposito dei microrganismi aifini della procedura in materia di brevetti.

372 Considerazioni del tutto analoghe si potrebbero fare per gli allevatori di specie animali.373 Secondo l'art. 522 del Code Civil francese, 'La propriété du sol emporte la propriété du dessus et dudessous'. Ciò implica tra le altre cose che, negli ordinamenti come quello francese nei quali non esistonoterrae nullius, non esistono nemmeno piante nullius. Si vedano anche l'art. 821 del Codice civile italiano ('Ifrutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce...') e l'art. 934 ('Qualunquepiantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo...').Prima della separazione, ovviamente, i prodotti della terra fanno corpo con il terreno, ne sono parteintegrante e incorporata e, come tale, appartengono al proprietario del fondo. Analogamente, per quanto riguarda il regno animale (che non sarà trattato che marginalmente in questasede), negli ordinamenti che si ispirano al diritto romano, la discendenza appartiene al proprietario dellafemmina (mater semper certa) indipendentemente da chi sia il maschio e salvo l'eventuale remunerazionedell'atto di fecondazione. L'art. 547 del Code Civil prevede ad esempio che '[l]e croit des animauxappartient au proprietaire par droit d'accession'. Sul tema dello status giuridico della materia biologica (microrganismi, piante, animali, collezioninazionali di campioni biologici ex situ) si vedano, in riferimento al diritto francese, le lucide ed efficaciosservazioni di GALLOUX, La protection, op. cit.

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Questa situazione è apparsa particolarmente insoddisfacente all'inizio del XX secolo

quando, in seguito alla riscoperta delle leggi mendeliane sull'ereditarietà, la creazione

delle nuove varietà attraverso metodi scientifici è stata affidata sempre più alla figura

professionale del selezionatore375.

Permettendo ai contadini, come avveniva da secoli in tutto il mondo, di utilizzare e

commercializzare a fini riproduttivi parte del proprio raccolto, gli ordinamenti giuridici

non garantivano alcuna protezione al lavoro intellettuale degli agronomi. Se le aziende

semenziere potevano stabilire il prezzo iniziale di vendita delle sementi, infatti, una volta

introdotta la varietà sul mercato, la cifra precipitava rapidamente, avvicinandosi al costo

marginale di riproduzione nel campo. La parte terza che fosse entrata in possesso del

materiale di riproduzione, quindi, avrebbe potuto duplicare liberamente e con grande

facilità l’informazione in esso contenuta e trarre vantaggio, senza alcun onere, dei frutti

dell’investimento dei costitutori in ricerca e sviluppo.

Per ragioni di tipo extragiuridico, un'eccezione riguardava gli ibridi, organismi

vegetali eterogizoti aventi tutti lo stesso genotipo. Se coltivate in uno stesso campo,

queste piante producono dei semi che, se ripiantati, danno origine ad un raccolto di

pessima qualità (c.d. sterilità economica). Gli ibridi si ottengono incrociando una o più

volte a due a due linee 'pure' omozigote ricavate per autofecondazioni successive,

secondo una tecnica già nota agli inizi del 1900 e diffusasi su larga scala dagli anni '20-

'30, soprattutto per alcune specie come il mais376. Soltanto le industrie semenziere

detengono le linee parentali, facilmente copribili da segreti industriali377 e, pertanto, il

contadino deve rivolgersi loro ogni anno per riacquistare nuove sementi.

Come è stato giustamente messo in evidenza, la tecnica dell'ibridazione permette di

distinguere biologicamente i semi ad uso riproduttivo da quelli ad uso alimentare o

industriale, privatizzando le risorse fitogenetiche e attribuendo de facto alle imprese un

monopolio con ampi margini di profitti378.

374 Molto incisivi, ad esempio, nel sistema feudale: decime, censi, misure, livelli, etc.375 Si deve sottolineare che, in ogni caso, prima della Seconda Guerra Mondiale, gli investimenti delleindustrie private nella ricerca agronomica erano assai scarsi e la selezione delle varietà vegetali era svoltasoprattutto negli istituti pubblici e finanziata dai Governi nazionali (BAI, Protecting Plant Varieties underTRIPS and NAFTA: Should Utility Patents be Avaiable for Plants?, in Texas International Law Journal,1997, p. 143).376 Dopo averne castrata una, le due linee parentali vengono seminate una accanto all'altra perché sipossano fecondare. I semi sicuramente eterozigoti sono prelevati dalle piante omozigote castrate.377 Per segreto industriale si intende un'informazione (una formula, una tecnica di produzione, etc.) divalore economico che non è nota pubblicamente ed è oggetto di sforzi ragionevoli, secondo le circostanze,per mantenerla segreta. L’acquisizione impropria dell’informazione è sanzionata con una penalità(International Intellectual Property, op. cit., p. 5).378 Basti pensare alla differenza fra il costo relativo (rispetto al raccolto) dei semi di mais e di quelli digrano, una specie per la quale non si è riusciti a creare ibridi. In genere un quintale di sementi costa come

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Molte lingue utilizzano due termini diversi per riferirsi ai due aspetti del seme

(materiale di riproduzione o granaglia ad uso alimentare/industriale). In inglese si

distinguono i ‘seeds’ dai ‘grains’, in francese si parla di ‘graines’ e di ‘grains’379… La

lingua italiana, in questo caso, non sembra essere d’aiuto.

1.6 Il regime UPOV e le privative sui ritrovati vegetali

Un equilibrio soddisfacente fra le esigenze degli agronomi e l'interesse pubblico

parve essere raggiunto dopo la prima guerra mondiale col riconoscimento in alcuni Paesi

occidentali delle privative sui ritrovati vegetali (plant breeders rights, certificats

d'obtention végétale)380. Piuttosto che analizzare le singole legislazioni nazionali, si

prenderà qui in esame la Convenzione sulla protezione dei ritrovati vegetali del 1961,

attraverso la quale è stata istituita l’Unione internazionale per la protezione dei ritrovati

vegetali (UPOV)381. Si tratta infatti di una convenzione di diritto uniforme adottata per

armonizzare le normative sui certificats d'obtention végétale (COV)382 e garantire in tutti

i Paesi membri standard comuni di protezione.

La Convenzione (nota come Convenzione UPOV ’61) è stata modificata nel 1972,

nel 1978 e, in maniera incisiva, nel 1991383. Qui di seguito si farà riferimento al testo del

'78, ancora in vigore per 26 Stati384, mentre si tornerà in seguito sulla Convenzione del

1991 che ha mutato l'intera disciplina.

Ai sensi dell'art. 5, rubricato 'Droits protégés', il certificato concesso dalle autorità

statali conferisce al detentore l'esclusiva sulla produzione per scopo commerciale, sulla

due quintali di grano, la differenza di prezzo essendo dovuta alla procedura di selezione, al trattamento confungicidi e pesticidi, all'imballaggio etc. Un quintale di sementi ibride costa invece come 30-40 quintalidelle pannocchie di mais che da essi si ricavano! (BERLAN, op. cit.).379 FOOTER, op. cit., p. 53. Utilizzando il linguaggio dell’informatica, Berlan ha indicato la dimensioneimmateriale del seme come un 'programma' (logiciel) memorizzato su un dischetto (disquette), cioé il semeinteso come supporto fisico (BERLAN, op. cit.). Negli ultimi anni, ha fatto molto discutere l’applicazione ad alcune varietà vegetali del c.d. TecnologyProtection System, consistente nella creazione di piante transgeniche (ribattezzate polemicamente‘terminator’) trasformate per produrre semi sterili. Questa tecnologia è stata oggetto di aspre critiche daparte delle opinioni pubbliche come in seno alla FAO. Recentemente, in India, il Plant Variety Protectionand Farmers' Rights Bill del 2001 (vedi infra) ha escluso la concessione di privative sulle varietà vegetaliincorporanti questo tipo di tecnologia (SAHAI, India: Plant Variety Protection, Farmers' Rights Billadopted, http://www.twnside.org.sg/title/variety.htm, visitato il 27 settembre 2003).380 Sull'evoluzione della legislazione europea e con particolare riferimento al caso tedesco, v.BOSSELMANN, op. cit. p. 122).381 Dall’acronimo francese di ‘Union internationale pour la protection des obtentions végétales’ (in inglese,Union for the Protection of New Varieties of Plants).382 Anche dal momento che, ai sensi dell’art. 42, par. 1, della Convenzione UPOV 1978, in caso didifferenza fra i diversi testi fa fede quello francese, da qui in poi si farà riferimento alle privative suiritrovati vegetali da essa previste utilizzando l'acronimo COV.383 La Convenzione UPOV '91 è entrata in vigore il 24 aprile 1998 ed è stata attuata in Italia col d.lgs. 3novembre 1998 n. 445 (G.U. 30 Dicembre 1998, n. 303).384 Su un totale di 54 (situazione al 28 marzo 2004).

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vendita e sulla commercializzazione del materiale vegetale di riproduzione385. Questo

comprende, oltre ai semi, anche le piante intere o alcune loro parti386. Sulla falsariga della

disciplina brevettuale, la produzione o la commercializzazione del materiale vegetale di

propagazione richiedono una previa autorizzazione da parte del costitutore.

Due eccezioni importanti sono tuttavia possibili alla luce dalla Convenzione (anche

come rivista nel 1978): il privilegio di ricerca (breeder’s privilege)387 e il c.d. privilegio

dell'agricoltore (farmer's privilege). Se ai contadini non è concesso vendere a terzi il

materiale di riproduzione in quanto tale, viene riconosciuto loro, secondo

un’interpretazione costante della Convenzione, il diritto secolare di ripiantare

liberamente nel proprio campo parte del raccolto388.

L'art. 5, par. 3, prevede poi che nessuna autorizzazione debba essere richiesta 'pour

l’emploi de la variété comme source initiale de variation en vue de la création d’autres

variétés, ni pour la commercialisation de celles-ci’, a meno che per la loro produzione

non sia necessario l'uso ripetuto della varietà protetta389. La ratio della disposizione è

quella di garantire il progresso tecnico e la libertà di ricerca: i selezionatori possono

creare e commercializzare liberamente nuove varietà sviluppate a partire da altre protette,

con l'unica eccezione delle piante ibride derivanti da linee parentali certificate.

Affiché una nuova varietà sia suscettibile di protezione secondo il sistema UPOV,

essa deve essere: 1) distinta, 2) omogenea, 3) stabile.

Il primo requisito impone che la varietà sia chiaramente distinguibile in base a

caratteristiche morfologiche o fisiologiche da quelle esistenti notoriamente conosciute

(già coltivate, pubblicate in registri ufficiali, descritte in pubblicazioni)390. Al momento

della domanda, la varietà non deve inoltre essere stata commercializzata o offerta alla

vendita con l'accordo del selezionatore o almeno non per un periodo superiore ad un anno

nel territorio dello Stato o a quattro anni al di fuori dei suoi confini391.

385 Convenzione UPOV 1978, art. 5, par. 1.386 A differenza degli animali, i vegetali (dotati di cellule totipotenti) si riproducono facilmente anche pervia agamica, cioè asessuata. Molte piante possono essere clonate facilmente tramite talee e, con tecnichepiù raffinate, anche a partire da una sola cellula.387 Ibidem, art. 5, par. 3.388 ROUDART, Appropriation des ressources génétiques végétales, implications pour les relations Nord-Sud et la sécurité alimentaire, in Mondes en développement, 2000, p. 76.389 Ibidem, art. 5, par. 3.390 Ibidem, art. 6, par. 1, lett. a).391 Ibidem, art. 6, par. 1, lett. b). In teoria i COV potrebbero essere concessi anche su varietà rinvenute innatura; generalmente sarà tuttavia richiesta una certa selezione per ottenere i requisiti di omogeneità estabilità .

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Le piante devono essere poi riconoscibili, presentando caratteristiche sufficientemente

omogenee392, e rimanere stabili nelle loro caratteristiche essenziali, dopo ripetute

riproduzioni o, se previsto, ciclo di riproduzioni393.

Prima di concedere il certificato, le autorità possono richiedere tutte le informazioni

necessarie, documenti, semi o altro materiale di riproduzione394. La durata della

protezione, variabile in funzione della categoria di appartenenza della specie botanica in

questione (alberi da frutta, piante ornamentali, etc.), deve essere di almeno 15-18 anni395.

Come nel caso delle licenze obbligatorie in riferimento ai brevetti, la Convenzione

prevede la possibilità di restringere i diritti protetti soltanto per ragioni ‘d’intérêt

public'396 , in particolar modo per assicurare la diffusione della varietà protetta397. In tal

caso lo Stato prenderà le misure necessarie per garantire che il titolare del certificato

riceva un'equa remunerazione.398

Secondo una logica di progressiva espansione, gli Stati parte alla Convenzione

UPOV del 1978 si impegnano ad estendere il trattamento nazionale ai cittadini e alle

imprese degli altri Membri399 e ad allargare nel proprio ordinamento il numero delle

specie vegetali certificabili400. Come nell'ambito degli altri diritti di proprietà

intellettuale, per permettere alle persone fisiche e giuridiche di ottenere una tutela

giuridica al di fuori della propria giurisdizione nazionale, viene garantito loro in tutti gli

Stati parte un diritto di priorità di dodici mesi a decorrere dalla prima domanda401.

Deve essere sottolineato che negli anni '60 e '70 il sistema dei COV era previsto

soltanto in una dozzina di Stati, quasi tutti paesi occidentali, mentre veniva considerato

con sospetto dalla maggioranza dei paesi in via di sviluppo. Con l'evolversi della

legislazione brevettuale negli anni '80 (vedi infra), la situazione è profondamente mutata

392 Ibidem, art. 6, par. 1, lett. c).393 Ibidem, art. 6, par. 1, lett. d). E' stato più volte sottolineato come i requisiti accolti dalla Convenzionefossero stati introdotti nelle legislazioni nazionali nel primo dopoguerra in riferimento alle piante che siriproducono soprattutto per via asessuata e conservano inalterate le caratteristiche genetiche di generazionein generazione. La privativa non copriva in molti paesi la riproduzione delle piante attraverso i semi. Adesempio, come emerge chiaramente da un rapporto del Senato statunitense, il Plant Patent Act del 1930 erastato voluto dal Legislatore per la protezione di specie come fiori e alberi da frutto che si riproducono pervia agamica (meli, etc.), mentre l'estensione alle specie importanti per l'alimentazione era stata consideratainopportuna. Una ricostruzione sintetica, ma esauriente, dell'evoluzione della legislazione statunitense pertinente sipuò trovare negli atti processuali del caso J.E.M. AG Supply, Inc. et Al. v. Pioneer Hi-Bred International,Inc 534 U.S. (2001), rinvenibili sul sito Internet www.supremecourtus.gov (pagina base).394 Ibidem, art. 7, par. 2.395 Ibidem, art. 8.396 Ibidem, art. 9, par. 1.397 Ibidem, art. 9, par. 2.398 Ibidem, art. 9, par. 2.399 Ibidem, art. 3.400 Ibidem, art. 4.

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e la Convenzione UPOV (nel testo del 1978) è considerata sempre più dai paesi del Sud

come un sistema sui generis abbastanza equilibrato. In particolare, in ambito FAO, la

Risoluzione 4/89 ha riconosciuto nel par. 1 che '[l]es droits des obtenteurs tels qu’ils sont

reconnus par l’UPOV...ne sont pas incompatibles avec l’Engagement international'402.

Non si possono sottacere comunque alcune perplessità. L' estensione di una species di

diritti di proprietà intellettuale a del materiale vivente e autoriproducente, è potuta

avvenire negli ordinamenti nazionali soltanto a prezzo di una limitazione incisiva dei

diritti di proprietà (jus utendi et fruendi), come del principio di libera circolazione dei

beni. Ciò ha rappresentato un' inversione isolata di un trend ormai secolare che vede

l'emergere di un favore legislativo per la piena proprietà.

Emblematica di questa tendenza moderna è la tipicità dei diritti reali su cosa altrui

(iura in re aliena). In molti ordinamenti, come quello italiano, esiste infatti un numerus

clausus di diritti reali minori (nel nostro ordinamento: diritto di superficie, usufrutto, uso

e abitazione, enfiteusi, servitù) e i privati non possono crearne dei nuovi403.

Nel caso di piante appartenenti a varietà vegetali protette da privative, il proprietario

del terreno sulle quali esse crescono, una volta avvenuta la separazione, non può disporre

di esse in maniera piena ed esclusiva, ma deve rispettare il loro vincolo di destinazione.

Si prenda, come esempio, il caso di un agricoltore A che acquisti da un selezionatore

B dei semi di grano protetti da un COV. Una volta effettuata la mietitura, A potrà

utilizzare il grano raccolto per ogni uso personale e nella maggior parte degli ordinamenti

avrà la facoltà di mettere da parte una certa quantità di chicchi per ripiantarli l'anno

seguente in base al principio del c.d. privilegio dell'agricoltore. Potrà anche venderli sul

mercato senza chiedere nessuna autorizzazione a B, ma soltanto per finalità alimentari e

industriali, o comunque non finalizzate alla riproduzione.

Indipendentemente dalla circolazione del bene e dalle sue vicende proprietarie, il

vincolo di destinazione ha diritto di sequela (droit de suite) ed è opponibile a tutti i

proprietari successivi. L’acquirente che qualche anno più tardi si trovasse in possesso dei

chicchi di grano nati nel campo di A dopo vari cicli riproduttivi a partire dai primi semi

del selezionatore, dovrebbe chiedere la previa autorizzazione di B per piantarli nel

proprio campo o venderli come semi. Pur ignorando la distinzione aristotelica fra forma

e sostanza, potrebbe insomma utilizzarli come 'grains', ma non come 'seeds'!

401 Ibidem, art. 12. Sul diritto di priorità, vedi infra.402 Risoluzione FAO 4/89, cit. (vedi supra, capitolo II).403 GALGANO, Diritto privato, Padova, 1999, capp. 5 e 8.

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L'atto di piantare i semi, assimilato in qualche modo alla contraffazione di un

brevetto, concreterebbe infatti un illecito derivante non dall'infrazione di un

obbligazione contrattuale, ma della legge nazionale sui diritti dei costitutori.

1.7 Verso la privatizzazione dei 'semina rerum'

In seguito ai progressi delle scienze biotecnologiche, il sistema UPOV del 1978 è

apparso insufficiente ai costitutori e alle imprese semenziere. Il rilascio di un COV su

una varietà geneticamente modificata rappresenta infatti una tutela molto fragile poiché si

applica ad una varietà che esiste fisicamente, non coprendo in alcun modo il transgene

impiantato la cui codifica determina il carattere favorevole introdotto404. Si pensi, per

fare un esempio concreto, alla soia Round-up Ready della Monsanto. Nel genoma della

soia è stato inserito un gene che permette alla pianta di neutralizzare gli effetti nocivi del

famoso erbicida a largo spettro 'Round-up', prodotto dalla multinazionale stessa. La

caratteristica della pianta così modificata si rivela particolarmente utile (almeno in

termini di produttività), permettendo tramite l'irrorazione dell'erbicida una rapida

eliminazione di tutte le piante infestanti cresciute nel campo, anche dopo la germinazione

della soia. Un COV sulla varietà ottenuta non impedirebbe alle aziende concorrenti di

ottenere per mezzo di incroci nuove varietà di soia aventi la stessa caratteristica di

resistenza. Né tanto meno di inserire il transgene in altre specie vegetali, come cotone,

grano, etc.

La creazione di batteri e animali geneticamente modificati ha ulteriormente

indebolito l'efficacia di un regime esteso soltanto al regno vegetale, portando ad una

crescente pressione da parte delle aziende biotecnologiche per il riconoscimento di nuove

forme di diritti di proprietà intellettuale sulla materia vivente.

Dalla fine degli anni '70, si è cominciato a parlare dell'avvicinamento dei COV ai

brevetti, con l'eliminazione del privilegio dell'agricoltore ed il ridimensionamento del

privilegio di ricerca; alcuni giuristi hanno auspicato poi la creazione di forme di

404 Quanto detto non impedisce che dei COV possano essere concessi su varietà vegetali ottenute tramite latransgenesi. Alcune legislazioni più recenti prevedono anzi esplicitamente questa possibilità. E' il caso della leggesulle privative vegetali adottata dal Nicaragua nel 1999 (Law N° 318, pubblicata nella Gazzetta UPOV No93, Giugno 2002, consultabile sul sito www.upov.org, pagina base), secondo la quale '[t]he purpose of thislaw is to establish the legal provisions for the protection of the rights of natural or legal persons who, bynatural means or genetic engineering, have created or discovered and developed a new plant variety, and towhom shall be granted the title of breeder' (art. 1, corsivo aggiunto).

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protezione sui generis per i 'selezionatori animali'. In realtà, in molti Paesi occidentali

l'evoluzione del regime giuridico avrebbe trovato nel decennio seguente un percorso più

semplice, portando in pochi anni all'assimilazione della materia vivente alle cose

inanimate e al riconoscimento di brevetti direttamente sul materiale biologico e genetico.

1.8 (segue) L’affare Diamond contro Chakrabarty

Questo trend è stato inaugurato negli Stati Uniti, con una famosa e discussa sentenza

emessa dalla Corte suprema federale nel 1980405.

Il caso, arrivato alla Supreme Court dopo una serie di vertenze giudiziarie, vedeva

opporsi Ananda Chakrabarty, un microbiologo indiano impiegato della General Electric,

e un funzionario dell'United States Patent and Trademark Office (Diamond). Chakrabarty

contestava la legittimità della decisione con la quale l'ufficio brevetti, in armonia peraltro

con una giurisprudenza quasi secolare e costante in tutto il mondo406, si era rifiutato di

concedere un brevetto su un batterio transgenico capace di metabolizzare il petrolio.

Per ricostruire il ragionamento della Corte, conviene soffermarsi brevemente sulle

norme che potevano applicarsi alla fattispecie. Occorre richiamare innanzitutto la

Costituzione stessa, il cui art. I, sez. VIII, c. 8, attribuisce al Congresso il potere:

' to promote the progress of science and useful arts by securing for limited time to authorsand inventors the exclusive right to their respective writings and discoveries'.

Stupisce, a dire il vero, rinvenire in una 'costituzione breve' del 1787 un riferimento

ai diritti di proprietà intellettuale, assente in molte e più dettagliate Carte fondamentali407.

405 Diamond, Commissioner of Patents and Trademarks vs. Chakrabarty, 447 U.S. (riprodotta in ILM,1980, pp. 981 ss.). Su questa cause célèbre si vedano, fra gli altri, CHAMBERS, Patent Eligibility ofBiotechnological Inventions in the United States, Europe and Japan: How Much Patent Policy is PublicPolicy?, in The George Washington International Law Review, 2002, pp. 228 ss.406 Secondo la quale: è vivente, quindi non è brevettabile!407 Così, ad es., la Costituzione della Repubblica italiana del 1948.

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Questa clausola, che si ritiene scritta da Charles Pickney e da James Madison408, fu

adottata dai Founding Fathers senza generare un grande dibattito, forse perché riflette

bene il loro retroterra culturale, la struttura tipicamente borghese della società americana

come l'esaltazione dell'intrapresa e dello spirito di iniziativa individuale409. Diffusa era

inoltre la convinzione, ribadita da Publius (Madison) nel Federalist n°43, che 'il bene

pubblico coincide[sse] pienamente, in entrambi i casi, con i diritti individuali' di scrittori

e inventori. Dieci anni dopo la pubblicazione dell'Inquiry into the Nature and Causes of

the Wealth of Nations410, il fatto che i diritti d'autore fossero stati 'solennemente

riconosciuti e sanciti' nel Regno Unito411, patria di Adam Smith, pareva sufficiente a

porre anch'essi sotto il segno rassicurante dell'invisible hand!

In maniera più specifica, la concessione di brevetti era disciplinata dal Patent Act,

sezione 101 del titolo 35 dell'US Code, una legge emanata nel 1793 e poi più volte

modificata412.

Stabilisce questa:

'Whoever invents or discovers any new and useful process, machine, manufacture, orcomposition of matter, or any new and useful improvement thereof, may obtain a patentthereof, subject to the conditions and requirements of this title'

Nonostante l'ampiezza e l'elasticità della formula e benché molti costituenti e senatori

fossero (come Franklin) dei selezionatori di varietà vegetali, non pare rinvenibile nella

mens legislatoris del 1793 l'intenzione di includere fra le invenzioni brevettabili gli

organismi viventi. Un giudice dissenziente413 evidenziò giustamente, al riguardo, che

quando aveva voluto riconoscere delle forme di protezione su alcune specie vegetali, il

Legislatore era intervenuto adottando un apposito atto414.

408 International Intellectual Property, op. cit. , p. 164.409 Vedi anche SACERDOTI-MARIANI, REPOSO, PATRONO, Guida alla Costituzione degli Stati Unitid'America, Milano, 1999 (Cenni introduttivi). Con toni quasi lirici, Abraham Lincoln avrebbe descrittoqualche decennio dopo il sistema brevettuale come capace di aggiungere 'the fuel of interest to the fire ofgenius, in the discovery and production of new and useful things' (Second Lecture on Discoveries andInventions, in The Collected Works of Abraham Lincoln, (a cura di BASLAR et al.), New Brunswick,1990, vol. 3, p. 363).410 L'opera è del 1776.411 MADISON, Federalist n°43, traduzione italiana di Sacerdoti-Mariani, in Il Federalista (a cura diSACERDOTI-MARIANI, Torino, 1997, p. 238). Il riferimento è allo Statute of Anne del 1709, la primalegge inglese sul copyright.412 Nel 1836, nel 1870, nel 1874, etc. La revisione del 1952, in particolare, aveva sostituito nelladisposizione in questione la parola art con quella più 'moderna' process.413 Diamond, Commissioner of Patents and Trademarks c. Chakrabarty, 447 U.S,. Souter, dissentingopinion.414 Così, ad es., il Plant Patent Act del 1930 prevedeva: 'Whoever invents or discovers any new and usefulprocess, machine, manufacture, or composition of matter, or any new and useful improvements thereof, or

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Come in altre più famose sentenze che hanno segnato la vita costituzionale

americana415, la Corte suprema adottò tuttavia un'interpretazione estremamente estensiva

della norma416. La maggioranza dei giudici417 stimò che l’espressione 'any new and

useful process, machine, manufacture, or composition of matter'418 fosse inclusiva

(inclusive) e ritenne che il Congresso avesse utilizzato di proposito un linguaggio ampio

(broad); non soltanto perché i nuovi tipi di invenzione sono imprevedibili419, ma anche

perché ciò era necessario per il perseguimento del fine previsto all'art. I, sez. VIII, c. 8,

della Costituzione federale.

Dopo aver citato un'espressione utilizzata dal Comitato del Congresso nel 1952,

secondo la quale sarebbe stato brevettabile 'anything under the sun that is made by

man'420, la Corte statuì che:

'the relevant distinction was not between living and inanimate things, but betweenproducts of nature, whether living or not, and human-made inventions'421

Riconobbe quindi che l'invenzione di Chakrabarty doveva essere considerata' a non-

naturally occurring manufacture or composition of matter - a product of human

ingenuity'422.

Suscitando in tutto il mondo un vero e proprio 'choc culturale', questa conclusione ha

segnato per molti sociologi, attraverso una rottura epistemologica, l'inizio del 'secolo

biotech'423.

who has invented or discovered and asexually reproduced any distinct and new variety of plant, other thana tuber-propagated plant, not known or used by others in this country, before his invention discoverythereof,.... may.... obtain a patent thereof' (corsivo aggiunto). La protezione delle piante sessualmente riproducibili è stata introdotta dal Plant Variety Protection Actdel 1970.415 Si pensi all’interpretazione estensiva della c.d. necessary and proper clause, ovvero all'art. I, sez. VIII,c. 18, della Costituzione, utilizzato per ampliare la potestà legislativa federale secondo la dottrina dei poteriimpliciti (implied powers).416 Come riconosciuto in un'altra sentenza dal giudice Scalia, un'interpretazione letterale mostra come laparola 'matter' sia usata qualche volta nella lingua inglese proprio in riferimento ad una cosa 'inert,senseless and lifeless', in un senso che esclude proprio il vivente. (J.E.M. Ag Supply, Inc. et Al. c. PioneerHi-Bred International, Inc., 534 U.S. (2001), Scalia, concurrent opinion).417 La sentenza fu adottata con una maggioranza di 5 a 4.418 Corsivo aggiunto.419 Diamond, Commissioner of Patents and Trademarks vs. Chakrabarty, 447 U.S., par. 101.420 Ibidem, par. 309.421 Ibidem, par. 313.422 Ibidem, p. 309 e s. La sentenza ebbe effetti evidenti anche sul mercato borsistico e fece balzare in alto ilprezzo delle azioni delle società biotecnologiche quotate a Wall Street (BOSSELMANN, op. cit., p. 128).423 Si veda anche il fascicolo elaborato dalla People's Business Commission (di Rifkin) come amicuscuriae. Un’analoga interpretazione estensiva della legislazione brevettuale nazionale è stata effettuata qualcheanno dopo da un tribunale canadese nel caso Pioneer hi-Bread c. Commission of Patents (1987). Secondo

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1.9 E’ vivente…ma è brevettabile

Occorre riflettere attentamente sull'innovatività del passaggio logico-giuridico,

ricordando col poeta che' 'l vel è ora ben tanto sottile, certo che'l trapassar dentro è

leggero'424. Numerosi brevetti erano stati concessi in più Stati su procedimenti che

facevano uso di microrganismi (processi di fermentazione, etc.); nell'ambito delle

biotecnologie, poi, avevano ottenuto la protezione brevettuale alcune tecniche di

manipolazione così come le apparecchiature utilizzate.

In questo caso, l'invenzione oggetto di brevetto era direttamente l'organismo vivente

in quanto tale, insieme a tutta la sua discendenza425. L'introduzione di un trasgene

(modifica, in definitiva minima rispetto alla complessità dei meccanismi fisico-chimici

alla base della vita) veniva in qualche modo assimilata alla creazione di un nuovo

'programma genetico' non meno meritevole di tutela di un programma di software426!

Anche ammettendo la necessità sociale di forme sui generis di tutela della proprietà

intellettuale nell'ambito delle scienze della vita, non manca di stupire l'assimilazione sic

et simpliciter del vivente alle cose inanimate, avvenuta oltretutto senza l'introduzione di

alcuna innovazione normativa e senza un adeguato dibattito pubblico e parlamentare.

Strumenti giuridici antichi per affrontare problemi di una nuova era tecnologica. Non

a caso, si è parlato, in maniera efficace benché giuridicamente impropria, di brevet

détourné per indicare lo stravolgimento delle finalità di una legislazione nata

storicamente con riferimento al campo dell’ingegneria meccanica e della chimica427.

la Court of Appeals, la legislazione canadese 'does not support the assumption that life forms are definitelynot patentable' (sentenza citata in BAI, op. cit., p. 149).424 Dante Alighieri, Purgatorio VIII, 20-21.425 Unico mezzo per estendere il monopolio nel tempo.426 Col riferimento alle biotecnologie, l'analogia informatica è ripresa più volte in letteratura. Nelle paroledel fisico Freeman Dyson: '[l]'hardware elabora l'informazione; il software rappresenta l'informazione.Queste due componenti hanno i loro esatti analoghi nella cellula vivente; la proteina è l' hardware e gliacidi nucleici sono il software'.427 Perplessità sull'estensione della legislazione brevettuale al vivente, privato della sua specificità e del suovalore intrinseco, sono state espresse anche dal Parlamento europeo e da alcuni Parlamenti nazionali (AttiParlamentari, Camera dei Deputati- XIII Commissione Agricoltura, 1997, p. 247: '[s]i ritienediscutibile...il postulato di fondo posto a base della legislazione internazionale sulla brevettabilità dellamateria vivente e cioè sull'assimilazione della stessa a cose inanimate. Non è pensabile che l'unico modoper proteggere la proprietà intellettuale nel campo biotecnologico sia quello di annullare la specificità dellamateria vivente per assimilarla a cose inanimate'. Si veda anche il Rapporto d’informazione 301 (2002-2003) del Senato francese (Quelle politique des biotechnologies pour la France? Mission d’informationsur les enjeux économiques et environnementaux des organismes génétiquement modifiés, Chapitre III,Proposition II, B: ‘Lutter contre l’appropriation du vivant en defendant le certificate d’obtention végétale(COV)’. Il Rapporto può essere scaricato da Internet sul sito www.senat.fr, pagina base).

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Dal 1980 l'area delle invenzioni brevettabili si è progressivamente estesa nella prassi

dell'USPTO, fino ad includere animali428, piante429, loro macrocomponenti (semi, fiori,

frutti...) o microcomponenti (linee cellulari, plasmidi, etc.), fino ad arrivare agli stessi

geni.

L'inclusione dei geni fra le invenzioni (sic!) brevettabili ha sollevato particolari

perplessità nelle opinioni pubbliche e nella comunità scientifica430 visto oltretutto che

428 Il primo brevetto su un mammifero (un topo transgenico) è stato concesso dall’USPTO nel 1988 allaDuPont (US Patent No 4736866). Per la prassi successiva dell'ufficio brevetti americano, vedi:CHAMBERS, op. cit., pp. 229 ss. Il testo integrale di tutti i brevetti concessi negli Stati Uniti può essere consultato con grande facilità sulsito www.uspto.gov (pagina base), attraverso delle ricerche per parola chiave o inserendo direttamente ilnumero attribuito all’invenzione.429 In assenza di un'apposita innovazione legislativa, brevetti per modelli di utilità (utility patents) sullevarietà vegetali transgeniche sono stati concessi dall’USPTO a partire dal 1985 (il primo brevettoriguardava una varietà di mais transgenico arricchito in triptofano, ROUDART, op. cit., p. 77). Una recentesentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (J.E.M. Ag Supply, Inc. et Al. c. Pioneer Hi-BredInternational, Inc, 534 U.S. (2001)) ha riconosciuto la legittimità di questa prassi. Il caso riguardava unbrevetto detenuto dalla Pioneer che proteggeva una linea di grano (piante e semi) e gli ibridi prodotti apartire da questa. Un'altra società (J.E.M. Ag Supply, Inc) aveva comprato i semi protetti e li avevarivenduti sostenendo che, stanti due regimi ad hoc distinti, per il principio di specialità non si potevaapplicare alle piante la disciplina brevettuale. Per una convincente critica delle conclusioni raggiunte dallamaggioranza della Corte, si veda l'opinione dissenziente del giudice Breyer. La sentenza può essereconsultata all’interno del sito www.suprecortus.gov (pagina base).430 Per molti biologi ammettere dei brevetti sui geni sarebbe non meno assurdo che averli concessi suglielementi chimici al tempo della loro scoperta, quando pure furono isolati con un'operazione non banale eutile. Particolari perplessità vengono avanzate da medici e biologi sulle possibili minacce al progressoscientifico. L'eccessiva competitività fra gli scienziati e l'isolamento dei gruppi di ricerca rappresenta unostacolo alla formazione di quella che il demografo ed economista Kuznets chiama la 'conoscenzasperimentata', la quale si avvantaggia di fattori di scala (rendimenti di scala crescenti). Mentre si assistesempre di più ad una 'corsa' alla brevettazione dei geni, anche prima di averne individuata chiaramente lafunzione (c.d. brevetto di sbarramento o 'pigliatutto'), la ricerca scientifica diviene sempre più difficile ecostosa, essendo subordinata alla concessione di tutte le licenze necessarie per ottenere la FTO (freedom tooperate). Qualche dato può essere utile per cogliere l'ordine di grandezza assunto ormai dal fenomeno: nel1991 l'USPTO aveva ricevuto 4000 richieste di brevetto per sequenze di acidi nucleici e nel 1996 ilnumero era salito a 500000! (Coordinamento di Mobilitebio (a cura di), Biobugie & Tecnoverità, atti delconvegno internazionale Biodiversità e globalizzazione nel rapporto Nord-Sud del mondo (Genova,maggio 2000), Genova, 2000, p. 69). Nel settembre 2001 erano stai concessi negli Stati Uniti 5.022 privative su varietà vegetali e 1800 brevettiper modelli di utilità su piante o componenti di piante (il dato è citato nel caso J.E.M. Ag Supply, Inc. et Al.c. Pioneer Hi-Bred International, Inc, 534 U.S. (2001), Oral Argument of Bruce E. Johnson, p. 41,consultabile insieme alla sentenza sul sito della Corte suprema statunitense). Secondo Berlan, l’80% delgenoma dell’Arabidopsis thaliana, la pianta modello della genetica vegetale, è già stato brevettato o è inprocinto di esserlo (BERLAN, op. cit.)! In una situazione di questo tipo, il raggiungimento di un accordo con tutti i detentori di brevetti su geni,linee proteiche e enabling technologies può rivelarsi estremamente lungo, faticoso e incerto, soprattutto sesi rendono necessarie licenze obbligatorie. Si vedano anche, a questo proposito, gli atti della AllianceProgram Inaugural Conference, 'Revising Global Public Policies for Sustainable Development. ATrasatlantic Dialogue' (Parigi, Sciences-Po, 26 maggio 2003): panel 2, 'Intellectual Property Rights andInternational Cooperation at the Interface of Public Health and Sustainable Development'. Non è un casoche proprio negli Stati Uniti - dove i brevetti concessi su geni, varietà vegetali e tecniche sperimentalihanno raggiunto un numero elevatissimo - sia stato istituito recentemente un consorzio fra 10 università edue centri di ricerca il cui compito è quello di facilitare e promuovere l'avanzamento della ricerca agricola.Il consorzio, chiamato PIPRA (Public-sector Intellectual Property Resource for Agriculture) istituirà unarchivio di tutti i brevetti in possesso del settore pubblico e li riunirà in 'pacchetti' per facilitare ilraggiungimento della freedom to operate (per tutti i dettagli, si consulti il sito www.pipra.org, pagina base).

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l'elemento umano di innovazione è minimo, consistente nell'isolamento e nel

sequenziamento svolto ormai facilmente attraverso macchinari.

Gli Stati Uniti, notoriamente molto rispettosi dei diritti proprietari, sono il Paese che

garantisce la più ampia copertura della legislazione brevettuale. Secondo l'USPTO

potrebbe in teoria costituire oggetto di brevetto qualsiasi materiale biologico e genetico,

con l'esclusione di un essere umano in virtù del XIII emendamento della Costituzione431.

Sono però brevettabili singolarmente le componenti del corpo: cellule somatiche, organi,

tessuti, geni.

Per quanto riguarda le specie vegetali, la Corte Suprema432 ha riconosciuto la

legittimità di una duplice protezione e i due regimi (brevetto e privativa vegetale sul

modello UPOV) coesistono. Il costitutore di una nuova varietà vegetale potrà scegliere

quindi se richiedere un COV (dimostrando che la varietà è nuova, distinta, omogenea e

stabile) o un brevetto in base alle caratteristiche più stringenti di novità, non ovvietà e

utilità intrinseca. La protezione brevettuale è ovviamente più estesa poiché non

contempla il privilegio dell'agricoltore433.

1.10 La revisione della Convenzione UPOV (1991)

Sotto l’impulso della giurisprudenza Chakrabarty, per ragioni di competitività

internazionale un numero crescente di ordinamenti ha cominciato a riconoscere negli

ultimi anni il principio della brevettabilità degli organismi viventi e dei geni.

431 CHAMBERS, op. cit., pp. 231 e 242. Il XIII emendamento recita: '[n]either slavery nor involuntaryservitude, except as a punishment for a crime whereof the party shall have been duly convicted, shall existwithin the United States, or any place subject to their jurisdiction'.432 J.E.M. Ag Supply, Inc. et Al. c. Pioneer Hi-Bred International, Inc, 534 U.S. (2001).433 L'atto del contadino che ripianta nel proprio campo il materiale vegetale (semi o parti di piante) fruttodel proprio raccolto viene assimilato ad un atto di contraffazione. Le conseguenze in caso di violazionesono previste spesso direttamente dai contratti di vendita delle sementi. E' questo il caso del Round-up-Ready Gene Aggreement della Monsanto. Con la stipulazione di questo contratto per un periodo di tre annil'impresa si riserva la facoltà di compiere ispezioni nei campi per verificare se parte del raccolto è stataripiantata. In tal caso l'accordo stesso prevede una penale molto elevata (TAMINO, PRATESI, op. cit., p.51). Dati recenti mostrano che, dove coesistono i due regimi, secondo una sorta di ‘darwinismo giuridico’ iselezionatori e le industrie semenziere richiedono sempre più spesso brevetti in luogo di breeders' rights(vedi Statistique sur la pretection des obtentions végétales pour la période 1997-2001. Document établipar le Bureau de l'UPOV e atti del Simposio Wipo-Upov su coesistenza di brevetto e PBR nellapromozione di sviluppi biotecnologici (Ginevra 2002). Entrambi i documenti sono disponibili in Internetnel sito dell'Unione http://www.upov.int, pagina base). Il COV offre una protezione più limitata in quantoprotegge la pianta nella sua interezza, ma non le sue singole componenti chimiche o biologiche (cfr.BOSSELMANN, op. cit., p. 124).

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Il panorama mondiale è comunque molto articolato. Senza che sia qui possibile né

ricostruire, né soltanto citare le innumerevoli soluzioni adottate434, basterà ricordare che

esistono alcuni paesi non industrializzati i cui ordinamenti non conoscono né i COV, né i

brevetti su materiale biologico. In ogni caso, la maggior parte degli Stati del Mondo non

considera come invenzioni gli organismi viventi (e le loro parti), né il materiale biologico

preesistente in natura, compresi i geni435. Legislazioni simili a quella statunitense sono

previste invece nei Paesi europei436 e in Giappone437.

434 Si rimanda qui a PETERSON, op. cit., pp. 277 ss. Per quanto riguarda le privative sui ritrovati vegetali,molte legislazioni nazionali si possono consultare (nella traduzione inglese) sul sito dell'UPOV.435 Fra gli altri: Brasile, Stati membri del Patto andino (Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela),Argentina, etc. Pochissimi sono i Paesi che ad oggi consentono la brevettabilità delle varietà vegetali, fra i quali StatiUniti, Italia, Australia, Corea del Sud, Ungheria e Mongolia (FOOTER, op. cit., p. 59, BAI, op. cit, p. 151;PAVONI, Brevettabilità genetica e protezione della biodiversità: la giurisprudenza dell'Ufficio Europeodei Brevetti, in RDI, 2000, p. 435). Per l'Italia, si veda il Decreto Ministeriale del 22 Ottobre 1976 (GU No15, 3 gennaio 1976). In ogni caso, una protezione analoga a quella di un brevetto su una varietà vegetaletransgenica può essere raggiunta ottenendo un COV sulla varietà stessa insieme ad un brevetto sultransgene introdotto.436 A livello europeo, oltre alle singole legislazioni nazionali, viene in rilievo la Convenzione europea suibrevetti (Monaco 1973, per l’Italia la ratifica è stata autorizzata con la legge del 26/5/78 n. 260). Questaistituisce un Ufficio europeo dei brevetti (EPO, European Patent Office) che è responsabile dellaconcessione di brevetti validi in più Stati membri ed è totalmente autonomo dalle istituzioni della UE (sonoparte alla Convenzione anche Svizzera, Norvegia, Principato di Monaco e Liechtenstein). La Convenzionefissa le norme per la definizione delle invenzioni brevettabili, la procedura da seguire, etc., lasciandoinvece agli ordinamenti interni la definizione degli effetti conseguenti al rilascio del brevetto. Secondo l'art.53 lett. b), '[e]uropeans patents shall not be granted in respect of plant or animal varieties or essentiallybiological processes for the production of plants or animals; this provision does not apply tomicrobiological processes or the products thereof'. Gli organi istituiti dalla Convenzione (ExaminingDivision, Opposition Division, Board of Appeal) hanno interpretato la disposizione nelle diverse istanzesecondo una prassi non uniforme (vedi infra). La brevettabilità del vivente ha ottenuto ampio riconoscimento nei Paesi dell'Unione europea tramitel'adozione, dopo dieci anni di accesi dibattiti, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sullaprotezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (Direttiva 98/44/CE). Dopo aver affermato nelPreambolo l'importanza delle biotecnologie e dell'ingegneria genetica per lo sviluppo industriale europeo,la direttiva impone agli Stati di adottare entro e non oltre il 30 luglio 2000 i provvedimenti necessari perpermettere la brevettabilità nel proprio ordinamento di 'invenzioni nuove che comportino un'attivitàinventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistentein materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato oimpiegato materiale biologico' (art. 3). Secondo l'art. 8, par. 1, '[l]a protezione attribuita da un brevettorelativo ad un materiale biologico dotato, in seguito all'invenzione, di determinate proprietà, si estende atutti i materiali biologici da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica odifferenziata e dotati delle stesse proprietà'. L'art. 4 stabilisce che: 'non sono brevettabili a) le varietà vegetali e le razze animali, b) i procedimentiessenzialmente biologici di produzione di vegetali e animali' (ciò non riguarda le invenzioni che abbiano adoggetto un procedimento microbiologico o altri procedimenti tecnici ovvero un prodotto ottenutodirettamente attraverso siffatti procedimenti' (art. 4, par. 3). Sono tuttavia brevettabili alla luce delladirettiva '[l]e invenzioni che hanno quale oggetto piante o animali...se l'eseguibilità tecnica dell'invenzionenon è limitata ad una determinata varietà vegetale o razza animale' (art. 4, par. 2). Secondo l'art. 3, par. 2, può essere oggetto di invenzione 'un materiale biologico che viene isolato dal suoambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico... anche se preesisteva allo stato naturale'.Per conformarsi alla direttiva gli Stati devono consentire quindi nei propri ordinamenti la brevettabilità deigeni e delle sequenza di DNA suscettibili di applicazione industriale i quali per definizione sono statiidentificati, purificati e moltiplicati con dei procedimenti tecnici. Adottata dopo una lunga ed intensa azione di lobbying da parte delle aziende biotecnologiche, laDirettiva 98/44 ha sollevato grande opposizione nelle opinioni pubbliche nazionali ed è stata impugnata

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L'allargamento dei diritti di proprietà intellettuale al quale l'Occidente ha assistito

negli anni '80 ha spinto anche l'Union pour la protection des obtentions végétales a

modificare il regime del 1978 con l'adozione di un nuovo Trattato nel 1991 (Trattato

UPOV 1991).

I cambiamenti introdotti, in armonia con la maggiore tutela della proprietà

intellettuale negli ordinamenti interni, sembrano segnare il passaggio da un approccio più

simile al copyright ad un altro non molto diverso dal brevetto.

L'art. 3 richiede che, entro un certo limite di tempo (5-10 anni) le Parti estendano

l'applicazione del regime dei COV a tutti i generi e le specie vegetali. Le disposizioni più

innovative rispetto alla regolamentazione previgente concernono però l'estensione dei

diritti dei costitutori. Secondo l'art. 15, par. 2, gli Stati hanno soltanto la facoltà (e non

l’obbligo) di riconoscere il privilegio dell'agricoltore 'dans des limites raisonables et sous

réserve de la sauvegarde des intérêts légitimes de l’obtenteur'438. Anche i breeder’s rights

sono stati molto ridotti. Se l’accesso alla varietà protetta è libero per finalità di ricerca,

l’art. 14, par. 5, stabilisce che debba essere necessaria l’autorizzazione del costitutore per

la commercializzazione delle varietà essenzialmente derivate dalla varietà protetta439.

La Convenzione ammette la possibilità di una doppia protezione, precedentemente

esclusa440, delle specie vegetali tramite COV e brevetti441.

nell'ottobre 1998 da parte dei Paesi Bassi (col sostegno dell' Italia e della Norvegia) davanti alla Corte digiustizia (Ricorso del Regno dei Paesi Bassi contro il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unioneeuropea, in G.U.C.E., 5 dicembre 1998 C 378, p. 13). Fra i motivi del ricorso, espresso riferimento venivafatto alla violazione degli obblighi discendenti dalla Convenzione sulla diversità biologica. La Corte hariconosciuto comunque la legittimità della direttiva (sentenza del 9 ottobre 2001, Causa C - 377/98, vediinfra). Il 31 gennaio 2003, il Comitato misto dello Spazio economico europeo ha deciso che la direttiva98/44 sarebbe divenuta parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo (www.els.stjr.is, pagina base). La Commissione ha iniziato una procedura di infrazione nei confronti di molti Paesi che, come l’Italia,non hanno ancora dato attuazione alla direttiva. Nel marzo del 2004 è allo studio del Parlamento italianouna legge di delegazione che delega il Governo a varare un decreto legislativo per la tutela delle invenzionibiotecnologiche (per lo stato dei lavori e la presentazione dei risultati principali sino ad adesso raggiunti,vedi MAR.B., Il Ddl sui brevetti è in vista del traguardo, in Il Sole 24 ore, 6 marzo 2004).437 CHAMBERS, op. cit., pp. 223 ss.438 L’Unione europea sta discutendo da qualche anno la possibilità di restringere il ‘privilegiodell’agricoltore’ soltanto alle piccole aziende agricole (LESSER, The Role of Intellectual Property Rightsin Biotechnology Transfer Under the Convention on Biological Diversity, in ISAAA Briefs, No. 3, NY,1997, disponibile in www.isaaa.org, pagina base).439 L'art. 14, par. 5, lett. c), definendo il significato di 'varietà essenzialmente derivata', vi include le varietàottenute per selezione o creazione di individui mutanti o attraverso trasformazioni di ingegneria genetica.440 Convenzione UPOV 1978, art. 2, par. 1. Secondo tale articolo, uno Stato è libero di prevederel'applicazione della legislazione brevettuale o dei diritti dei selezionatori, ma non tutti e due per lo stessogenere o la stessa specie botanica (c.d. double-protection prohibition).441 A questo riguardo, per una plaidoirie sulla necessità di riconoscere la brevettabilità delle varietàvegetali, BAI, op. cit.

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1.11 La dimensione internazionale dei diritti di proprietà intellettuale:dalla Convenzione di Parigi all’Accordo sui diritti di proprietàintellettuale legati al commercio (Accordo TRIPs)

Come avviene per i COV e per tutti i diritti di proprietà intellettuale, la concessione

di un brevetto attribuisce al suo titolare situazioni giuridiche positive limitatamente al

territorio di uno Stato: qualora l'invenzione non sia brevettata in un altro Paese, potrà

essere ivi prodotta e commercializzata senza corrispondere alcun pagamento al titolare

del brevetto all’estero.

Gli attori economici che vogliono sfruttare un’invenzione in un mercato più ampio

devono brevettarla pertanto in più Stati, ammesso che questi contemplino nel proprio

ordinamento una simile forma di protezione in riferimento al prodotto o al procedimento

in questione442.

A partire dal XIX secolo, il commercio internazionale, i processi di regionalizzazione

economica e lo sviluppo delle multinazionali hanno reso necessario il coordinamento

delle legislazioni nazionali. Un passo significativo è stato l'adozione della Convenzione

di Parigi per la protezione della proprietà industriale del 1883, la quale ha dato vita

all’Unione per la protezione della proprietà industriale.443 La Convenzione di Parigi,

rivista più volte ed emendata da ultimo nel 1979, obbliga le Parti ad estendere ai cittadini

di tutti i membri dell’Unione il trattamento nazionale (art. 2) e a concedere nei propri

ordinamenti un diritto di priorità agli inventori che abbiano presentato nelle forme

dovute in un altro Stato contraente una domanda per ottenere il riconoscimento di diritti

di proprietà intellettuale (brevetto, modello di utilità, design industriale o marchio)444.

Il diritto di priorità, esteso ad un periodo di tempo fissato in 6 o 12 mesi, costituisce

un’eccezione imposta alla regola del first to file system445 vigente nella maggior parte

degli ordinamenti ed in virtù della quale la priorità è attribuita come regola generale alla

442 Per semplificare le pratiche amministrative e ridurre i costi per ottenere la protezione di una stessaproprietà intellettuale in più Paesi, è stato stipulato, sotto gli auspici della Organizzazione mondiale per laproprietà intellettuale (WIPO), il Trattato sulla cooperazione internazionale in materia di brevetti (PatentCooperation Treaty, Washington 19 giugno 1970, emendato il 28 settembre 1979, modificato il 3 febbraio1984 e il 3 ottobre 2001, testo consultabile su Internet, www.wipo.int, pagina base). Diversamente dalla Convenzione di Monaco, tuttavia, il trattato non prevede il rilascio di un brevetto daparte di un organo internazionale; semplicemente, la domanda di brevetto si scinde in una serie di domanderivolte ai singoli uffici nazionali; ogni domanda segue un iter diverso in ogni Stato ed i brevettieventualmente rilasciati, disciplinati dalle legislazioni nazionali, sono completamente indipendenti fra diloro.443 La Convenzione, della quale sono parte attualmente (2 marzo 2004) 167 Stati, è amministrata dallaWIPO.444 Ibidem, art. 4.445 Pochi sono gli ordinamenti che si ispirano al modello statunitense, dove vige il first to invent system.

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persona che ha depositato per prima la rituale domanda all’ufficio brevetti nazionale446.

La Convenzione permette di risolvere l’incertezza giuridica che nasce a livello

internazionale dalla territorialità delle legislazioni brevettuali e dall’intervallo di tempo

necessario all’inventore per presentare le domande negli altri Stati. In mancanza del

diritto di priorità, infatti, il vero creatore dell’invenzione potrebbe trovarsi a dovere

contestare in ogni Paese le domande depositate da parte di altre persone nel frattempo

venute a conoscenza della sua invenzione. Ma soprattutto rischierebbe di vedersi negare

la concessione di diritti di proprietà intellettuali in quanto molti Stati (con l'eccezione

parziale degli Stati Uniti) interpretano il requisito di novità in modo tale da richiedere che

l'inventore non abbia reso pubblica o commercializzata l’invenzione all’interno del

proprio territorio e in nessuna altra parte del mondo447.

Se la Convenzione di Parigi è efficace nell’agevolare la concessione di titoli di

protezione sulla stessa invenzione all’interno dell’Unione, non disciplina invece in

maniera stringente il contenuto delle legislazioni brevettuali, in riferimento ad esempio al

tipo di invenzioni coinvolte, alle penalità in caso di infrazioni, alla durata della

protezione, etc.

D'altra parte, il tema è sempre stato estremamente conflittuale a livello

internazionale.

Fra gli economisti non esiste un consenso sull'esistenza di una correlazione positiva

fra la crescita economica e l'introduzione di normative sulla tutela dei diritti di proprietà

intellettuale, soprattutto negli Stati piccoli o scarsamente industrializzati.

Infatti, se l'assenza di un'adeguata protezione può spingere le industrie a non investire

nel Paese448, per gli Stati importatori netti di tecnologia una legislazione brevettuale più

stringente si traduce soprattutto in un aumento delle royalties da pagare ai soggetti

economici stranieri; quindi in un aggravamento della bilancia dei pagamenti e in un

ostacolo all'industria nascente (infant industry)449. Da un punto di vista dinamico, ciò può

portare evidentemente alla cristallizzazione di una sfavorevole divisione internazionale

del lavoro.

446 International Intellectual Property, op. cit., pp. 401 ss.447 International Intellectual Property, op. cit., p. 17.448 La mancanza di investimenti e di importazioni a seguito dell'assenza di una protezione adeguata deidiritti di proprietà intellettuale potrà quindi impedire o ritardare il trasferimento nel paese delle nuovetecnologie. Per quanto concerne i diritti dei selezionatori, sembra che essi siano stati introdotti in Canadanel 1990 proprio per favorire l'accesso ad alcune qualità di patate olandesi (cfr. COOPER, Plant Breeders'Rights: Some Economic Considerations, in Economic Working Paper, Ottawa, 1984, p. 47).449 Secondo alcune stime, il 98% dei brevetti concessi dagli uffici brevetti dei paesi in via di sviluppo èdetenuto da persone fisiche e da imprese straniere (LESSER, op. cit.). Molto spesso le invenzioni tutelate

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Non è un caso che un paese piccolo come la Svizzera abbia attraversato la

rivoluzione industriale senza adottare fino a pochi anni fa alcuna legge sui brevetti450 e

che tutti i newly industrialised countries del Sud Est abbiano storicamente protetto poco

la proprietà intellettuale451.

Sul piano interno, la prospettiva di ottenere nel proprio Stato dei monopoli sulla

produzione e commercializzazione di nuove invenzioni favorisce gli investimenti da

parte delle aziende private, soprattutto in quei settori che, come quello farmaceutico o

biotecnologico, richiedono investimenti molto ingenti per ottenere nuovi prodotti

commercializzabili452.

D'altra parte è risaputo che, pur avendo una durata limitata nel tempo453, il diritto di

brevetto conferisce ad un soggetto economico (pubblico o privato) un vantaggio di tipo

monopolistico nel territorio nazionale, con tutti gli inconvenienti dell'accentramento

dell'offerta del mercato da parte di un solo venditore. Per remunerare gli investimenti in

ricerca e sviluppo (R&D), la protezione della proprietà intellettuale fa aumentare i costi

di utilizzo delle nuove tecnologie, conduce ad un'offerta limitata e ad un'allocazione

inefficiente delle risorse.

Frutto spesso di lunghi dibattiti parlamentari, la legge sui brevetti implica un difficile

bilanciamento di opposte esigenze sociali: da una parte l'interesse dell'industria a trarre

profitto dall'innovazione e dall’altra quello della società a disporre dei benefici

dell'invenzione.

Per tutte queste ragioni, la disciplina dei brevetti rappresenta una vera e propria

cartina di tornasole per cogliere la cultura politica dominante in un paese e in un

determinato momento storico.

Non stupisce che molte legislazioni, soprattutto nei paesi in via di sviluppo,

contemplino dei meccanismi posti a salvaguardia dell’interesse pubblico (licenze

obbligatorie, minore durata della protezione, possibilità di revoca, etc.) ed escludano dal

vengono importate e non prodotte in loco, senza alcuna ricaduta sul paese in termini di reddito o dioccupazione.450 La mancanza di una tale legislazione, non impedì alla Svizzera di divenire parte alla Convenzione diParigi, nel pieno rispetto del principio del trattamento nazionale!451 Incluso il Giappone, almeno fino agli anni '60-'70.452 Secondo alcune stime, i costi per la ricerca e la sperimentazione di un nuovo farmaco possono arrivaread un totale di 230 milioni di dollari distribuiti in 10 anni (PUTTERMAN, Model Material TransferAgreements for Equitable Biodiversity Prospecting, in CJIELP, 1996, pp. 149 ss.).453 Nella maggior parte degli ordinamenti 20 anni a decorrere dalla data di deposito della domanda,conformemente alla disposizione dell’art. 33 dell’Accordo TRIPs (vedi infra).

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novero delle invenzioni brevettabili quelle inerenti a settori 'sensibili' (farmeceutico454,

medico455, agricolo, alimentare).

Fino dagli anni '80 i paesi industrializzati ed in special modo gli Stati Uniti, maggiori

esportatori di tecnologie avanzate, hanno esercitato pressioni economiche, politiche e

diplomatiche nei confronti dei paesi in via di sviluppo per spingerli ad adottare,

attraverso una sorta di legal transplant, normative più efficaci di tutela della proprietà

intellettuale456. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno spesso minacciato l'applicazione del

Titolo III, Capitolo I del Trade Act del 1974 (clausola speciale 301) che permette

l'applicazione di sanzioni di natura commerciale in risposta a restrizioni del commercio

ritenute ingiustificate.457

Una spinta notevole al processo di armonizzazione verso l'alto è avvenuta negli anni

’90 del secolo scorso con l'adozione, nel quadro dell' OMC, dell’Accordo sui diritti di

proprietà intellettuale legati al commercio (da qui in poi Accordo TRIPs458) che ha

stabilito standard minimi di tutela, imponendo per la prima volta a livello internazionale

il principio della brevettabilità del vivente e delle biotecnologie.

454 L'assenza di brevetti permette di contenere in maniera rilevante il costo dei medicinali. In India, i prezzidei prodotti farmaceutici sono restati a lungo il 7-20% di quelli statunitensi (vigente la legge del 1970); perragioni opposte la brevettabilità dei medicinali introdotta in Italia nel 1979 ha condotto nel nostro Paese adun incremento dei prezzi del 200%! (BODEKER, Indigenous Medical Knowledgw: the Law and Politics ofProtection, atti dell' Oxford Intellectual Property research Center Seminar in St. Peter's College, Oxford,25/1/2000).455 Ad oggi, la brevettabilità dei metodi terapeutici e chirurgici non è ammessa nella maggior parte deipaesi in Europa, in America latina, etc. E' riconosciuta invece negli Stati Uniti, in Austria e Australia(Intellectual Property and International Trade, op. cit., p. 194).456 Le legislazioni brevettuali di molti paesi in via di sviluppo sono state rafforzate fra la fine degli anni '80ed i primi anni '90 (in Malesia, Cile, Colombia, Indonesia, etc.). Una serie di riforme nella disciplina deidiritti di proprietà intellettuale è stata adottata in India nel 1998-1999 per rimuovere le limitazioni al settoreagrochimico contemplate dalla legge del 1970.457 A partire dal 1987, ad es., gli Stati Uniti hanno imposto delle tariffe sulle esportazioni brasiliane inseguito al rifiuto del paese sudamericano di rafforzare la propria legislazione sui diritti di proprietàintellettuale, criticata per non attribuire alcuna protezione a farmaci, varietà vegetali e microrganismi.Dopo numerose pressioni diplomatiche, la legge è stata modificata nel 1996 (CORBETT, Protecting andEnforcing Intellectual Property Rights in Developing Countries, in The International Lawyer, 2001, p.1009 e s.). All’inizio degli anni ’90, la minaccia dell’applicazione della clausola speciale 301 ha spinto anche laTailandia a modificare la propria legislazione sui brevetti. Questa, risalente al 1979, escludevaespressamente i prodotti farmaceutici, agricoli e biologici; prevedeva con larghezza revoche e concessionedi licenze obbligatorie; imponeva in certi casi al titolare del brevetto di lavorare il prodotto in loco(International Intellectual Property, op. cit., pp. 68 ss.). Dopo il 1995, la partecipazione all’Organizzazione mondiale del commercio ha impedito agli Stati Unitidi adottare legittimamente mezzi di autotutela di questo tipo nei confronti degli altri Membri, se non altermine della procedura contenziosa disciplinata dall’Accordo stesso. I limiti imposti all’applicazione dellaclausola speciale 301 non si applicano evidentemente agli Stati non membri e per tutti gli anni ’90 ilGoverno statunitense ha usato la minaccia di sanzioni commerciali unilaterali per persuadere la Repubblicapopolare cinese a riformare la propria legge sulla proprietà intellettuale sul copyright e sulla protezione deiprogrammi software (CORBETT, op. cit., p. 1101). Sulla Sezione 301del Trade Act vedi ancheInternational Intellectual Property, op. cit., pp. 342 ss. e G. ADINOLFI, L’organizzazione mondiale delcommercio. Profili istituzionali e normativi, Padova, 2001, pp. 318 ss.458 Trade-Related Intellectual Property Rights.

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1.12 L’art. 27 dell’ Accordo TRIPs

Il riconoscimento di diritti di proprietà intellettuale sul materiale vivente - che negli

anni '80 in seno alla FAO e poi nel 1992 durante l'Earth Summit aveva animato un lungo

ed intenso dibattito fra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo – fu uno dei temi

più spinosi affrontati dall'Uruguay Round459. Una soluzione di compromesso fu raggiunta

faticosamente con l'adozione dell'art. 27 dell'Accordo TRIPs460 sui brevetti. Questo

riconosce invero con grande ampiezza la categoria di invenzioni delle quali i membri

dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) devono ammettere la brevettabilità

nei propri ordinamenti interni461:

'patents shall be available for any inventions, whether products or processes, in all fieldsof technology, provided that they are new, involve an inventive step and are capable ofindustrial application462'

Contempla però all'art. 27, par. 3, alcune importanti eccezioni, conferendo agli Stati

la facoltà di:

' exclude from patentability: (a) diagnostic, therapeutic and surgical methods for thetreatment of humans or animals; (b) plants and animals other than micro-organisms, andessentially biological processes for the production of plants or animals other than non-biological and microbiological processes. However, Members shall provide for theprotection of plant varieties either by patents or by an effective sui generis system or byany combination thereof. The provisions of this subparagraph shall be reviewed fouryears after the date of entry into force of the WTO Agreement'.

459 Fra gli attori non statali che hanno avuto un ruolo molto incisivo nelle negoziazioni figurano le societàstatunitensi riunite nell'Intellectual Property Committee. Tra queste, oltre alla General Electric e allaGeneral Motors, anche importanti industrie biotecnologiche come la Merck, la Du Pont e la Monsanto. LaConvenzione sulla diversità biologica e l'Accordo TRIPs sono stati discussi quasi contemporaneamente dadue diverse delegazioni; fra queste non risulta tuttavia che siano intercorse stabili consultazioni (BIRNIE,BOYLE, op. cit, p. 732).460 Vedine il testo in www.wto.org (pagina base). Contenuto nell’Allegato 1C all’Accordo OMC, è unaccordo commerciale multilaterale (ACM) di cui sono parte automaticamente tutti gli Stati (attualmente146) che aderiscono all’Organizzazione. Sulla travagliata negoziazione dell’Accordo TRIPs, vedi GERVASIS, The TRIPs Agreement: DraftingHistory and Analysis, London, 2003. Con specifico riferimento all'art. 27, par. 3, cfr. BAI, op. cit., p. 141 es.461 E' interessante notare che nel preambolo, auspicando un'armonizzazione degli ordinamenti nazionaliverso standard comuni, l'Accordo richiede una protezione 'adequate and effective' dei diritti di proprietàintellettuale. Sul significato dello stesso lessema all'interno della Convenzione di Rio, vedi supra, capitoloII.462 Accordo TRIPs, art. 27, par. 1.

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Come è stato più volte rilevato, il testo scaturito dai negoziati, riproduttivo in gran

parte della normativa europea e soprattutto della Convenzione di Monaco del 1973463,

non brilla per chiarezza redazionale. In special modo il paragrafo 3, lett. b), è

estremamente ambiguo e si presta ad applicazioni diverse e anche contraddittorie.

Tralasciando qui i problemi relativi alla concreta identificazione dei metodi

terapeutici, questione che non rientra negli obiettivi di questo scritto, si evidenzierà

come l’Accordo obblighi gli Stati ad accordare una protezione ai microrganismi (come

batteri, virus, alghe, protozoi, etc.)464. Dopo aver riconosciuto la possibilità per gli Stati

di escludere dalla brevettabilità le piante e gli animali465, lo stesso articolo impone loro di

463 Convenzione europea sui brevetti. Si confronti in particolare il già citato articolo 53, lett. b), secondo ilquale '[e]uropeans patents shall not be granted in respect of plant or animal varieties or essentiallybiological processes for the production of plants or animals; this provision does not apply tomicrobiological processes or the products thereof'. Formula analoga è stata introdotta nell’Accordo NAFTA all’art. 1709, par. 3: ‘[a] Party may also excludefrom patentability: (a) diagnostic, therapeutic and surgical methods for the treatment of humans or animals;(b) plants and animals other than microorganisms; and (c) essentially biological processes for theproduction of plants and animals, other than non-biological and microbiological processes for suchproduction. Notwithstanding subparagraph (b), each Party shall provide for the protection of plant varietiesthrough patents, an effective scheme of sui generis protection, or both’.464 BHAGIRATH, The WTO Agreements: Deficiences, Imbalances and Required Changes, London, etc.,1998, p. 82. Va tuttavia sottolineato che il termine 'microrganismo’, non è usato in modo uniforme. Adesempio è incerto se le cellule o le linee cellulari rientrino in questa categoria e gli Stati mantengono unampio margine di discrezionalità. Se nelle scienze naturali la sistematica non conduce sempre a risultatiunivoci, l'incertezza giuridica che può nascere dal riferimento a 'piante' o 'microrganismi' senza che sianofornite ulteriori qualificazioni è rappresentata in maniera emblematica dagli atti processuali relativi al giàcitato affare J.E.M. Supply, Inc. c. Pioneer Hi Bred International (Oral Argument of Bruce E. Johnson).Nella discussione emerge infatti una divergenza di opinione circa la natura del famoso batterio brevettatoda Chakrabarty. Mentre secondo un esperto si trattava di un microrganismo e non di una pianta, ad avvisodi un giudice della Corte suprema federale, in base alla definizione del dizionario (sic!) si trattava di una'asexually reproducing plant' (ibidem, p. 14). Un’ulteriore fonte di confusione deriva dalla prassi applicativa del Trattato di Budapest del 28 aprile1977 (vedi supra), nell’ambito del quale la nozione di ‘microrganismo’ è stata interpretata in modo dacomprendere anche colture cellulari (animali, vegetali e umane), componenti subcellulari e perfino geni esequenze di DNA! (PAVONI, Accesso alle risorse, op. cit., p. 387).465 In questo senso, la categoria è più ampia di quella prevista dalla Convenzione europea sui brevetti, aisensi della quale non sono brevettabili le varietà di piante o di animali. La nozione di piante e animali dicui all'art. 27, par. 3, lett. b), deve essere interpretata in modo estensivo, fino ad includere singoli animali epiante come i gruppi tassonomici superiori: razze animali, specie vegetali, etc. (Intellectual Property andInternational Trade, op. cit., p. 195) Secondo la ricostruzione di Bai, l’esclusione delle varietà vegetali sarebbe stata introdotta in seguito adun malinteso dei redattori della Convenzione di Monaco, convinti che l'esclusione delle varietà vegetalifosse imposta dalla Convenzione UPOV (BAI, op. cit., pp. 142-146). Per lo stesso autore 'the historicalmistake was propagated through major European conventions and finally made its way into TRIPs andNAFTA’ (BAI, ibidem, p. 153). Tale tesi appare quantomeno bizzarra e non sembra sostenibile. L'art. 2,par. 1, della Convenzione UPOV 1961 vigente all'epoca dell'adozione della Convenzione europea suibrevetti riconosceva infatti che '[e]ach member State of the Union may recognise the right of the breederprovided for in this Convention by the grant either of a special title of protection or of a patent.Nevertheless, a member State of the Union whose national law admits of protection under both these formsmay provide only one of them for one and the same botanical genus or species'. Stante la chiarezza deldispositivo, non vi è luogo per difficoltà interpretative e nessun operatore giuridico avrebbe potutorinvenire nel testo il divieto della brevettabilità delle varietà vegetali! Questa, oltre ad essere ammessaesplicitamente dalla Convenzione, era prevista negli ordinamenti di alcuni Paesi che, come l'Italia, erano

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proteggere le varietà vegetali attraverso un sistema sui generis efficace ('effective').

Insieme al riferimento ad un riesame della disciplina, questo aggettivo fu introdotto nel

testo sotto la pressione statunitense466. Pur nell'assenza di una prassi interpretativa in

materia da parte degli organi competenti dell'Organizzazione mondiale del commercio,

sono da condividersi le argomentazioni della prevalente dottrina, secondo la quale il

sistema delle privative sui ritrovati vegetali (modello UPOV 1978 o UPOV 1991)

sarebbe sufficiente a soddisfare il requisito richiesto di efficacia467.

Nessun dubbio pare sorgere sulla sussunzione dei metodi fitosanitari e delle

tecniche di coltivazione nella categoria di 'not biological processes' 'for the creation of

plants and animals' dei quali gli Stati devono garantire la brevettabilità.

1.13 (segue) Procedimenti essenzialmente biologici, non biologici e microbiologici per la produzione di piante e animali

L'interpretazione della formula 'essentially biological processes for the production of

plants or animals other than non-biological and microbiological processes', contenuta

all’art. 27, par. 3, lett. b), è invece tutt'altro che agevole.

La prassi applicativa della Convenzione di Monaco ha messo in luce in maniera

manifesta le difficoltà inerenti all'applicazione concreta da parte degli uffici brevetti del

criterio discretivo fra procedimenti biologici e non biologici o microbiologici per la

creazione di piante ed animali.

Se la maggioranza dei giuristi ritiene ad esempio che i metodi classici di selezione

rientrino fra i procedimenti 'essenzialmente biologici', in almeno un caso l'Ufficio

europeo dei brevetti è giunto ad una conclusione diversa, ammettendo la brevettabilità di

una tecnica per ottenere degli ibridi468.

Nel 1993, prima dell'adozione dell'Accordo TRIPs, il significato di 'essentially

biological process' e di 'microbiological process' era già stato discusso in una famosa

decisione dal Comitato tecnico dell'Organizzazione europea dei brevetti469. Viste

parte all'Unione. La soluzione adottata dai redattori sembra riflettere dunque una precisa scelta politica, enon certo, come asserisce Bai, una 'mistaken interpretation of the double protection prohibition in the UpovConvention' (BAI, ibidem, p. 146).466 Gli Stati Uniti spinsero per inserire una clausola sulla revisione del sottoparagrafo nella convinzione chequesto non tutelasse sufficientemente le invenzioni biotecnologiche.467 PAVONI, Brevettabilità, op. cit., p. 438.468 Caso Lubrizol, citato in Intellectual Property and International Trade, op. cit., p. 195.469 Plant Genetic Systems, Decision T 356/93-3.3.4, in O. J. Eur. Pat. Off., pp. 545 ss. Per un commentoalla decisione, vedi CHAMBERS, op. cit., p. 235 e s.

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l'identità della formula e la già illustrata derivazione della normativa TRIPs dalla

Convenzione di Monaco, è opportuno soffermarsi brevemente sulle conclusioni raggiunte

dal Comitato.

A detta di questo organo, i 'processes' non devono essere considerati 'essentially

biological' qualora comprendano 'at least one technical step, which cannot be carried out

without human intervention and which has a decisive impact on the final result'470.

Le tecniche di ingegneria genetica facenti uso diretto di microrganismi erano

considerate a tutti gli effetti come processi microbiologici; la sola presenza di un

'microbiological step', tuttavia, non era sufficiente a qualificare come microbiologico

l’intero procedimento471.

Nel caso in esame, passando dal piano dei 'processes' a quello dei 'products' da esso

derivati, il Comitato riconobbe come brevettabili le cellule vegetali geneticamente

modificate. Negò invece la brevettabilità delle piante fatte crescere a partire dalle stesse

cellule perché frutto di una serie complessa di processi biologici nella quale soltanto il

primo intervento di transgenesi aveva avuto carattere microbiologico472.

L'argomentazione del Comitato tecnico, condotta quasi more geometrico e con la

consequenzialità di una dimostrazione logica, appare a prima vista convincente.

In realtà, ad una più attenta analisi, il ragionamento risulta bizantino e dà adito ad una

situazione di estrema confusione, ponendosi in aperto contrasto con la prassi precedente

dell'organo stesso. E’ risaputo infatti che tre anni prima, con la decisione T 19/90, il

Comitato aveva ammesso la brevettabilità del c.d. oncotopo di Harvard473. Si trattava di

un roditore nel cui genoma gli scienziati avevano introdotto un gene che aumentava la

predisposizione dell'animale ad ammalarsi di patologie degenerative. Dopo aver

affermato che la proibizione di brevetti sulle 'animal varieties' prevista dall'art. 53, lett.

b), della Convenzione non impediva di per sé la concessione di brevetti sugli animali, il

Comitato non si era preoccupato affatto di verificare se il topo o la sua discendenza

fossero il prodotto di un procedimento microbiologico o non essenzialmente biologico.

Dal momento che i processi fisico-chimici alla base della crescita cellulare e della

riproduzione animale non sono certamente meno complessi di quelli analoghi che

avvengono nelle piante, risulta veramente difficile conciliare le due conclusioni del

470 Ibidem, p. 578.471 Ibidem, p. 581.472 Ibidem, p. 581 e s.473 La decisione fu motivata dal fatto che la Convenzione fa riferimento alle 'animal varieties' e non aglianimali lato sensu.

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Comitato tecnico. Se non forse all'interno di qualche audace costruzione filosofica come

l'Assoluto schellinghiano nel quale, come è stato detto, 'tutte le vacche sono nere'474!

Tornando all’Accordo TRIPs, dato che esso non fornisce nessuna indicazione

sull'identificazione dei procedimenti microbiologici e non essenzialmente biologici,

all'interprete non resta che prendere atto dell'incertezza giuridica della soluzione

normativa accolta.

1.14 (segue) La brevettabilità degli organismi geneticamente modificati e delle loro componenti

Non è ancora chiaro se l'art. 27 dell'Accordo vincoli gli Stati a riconoscere soltanto la

brevettabilità dei procedimenti biotecnologici o anche quella degli organismi viventi

ottenuti in base ad essi, delle loro microcomponenti e macrocomponenti.

Occorre effettuare un distinzione al riguardo. In riferimento ai microrganismi

geneticamente modificati, non vi è dubbio che questi rientrino nella più ampia categoria

dei microrganismi di cui all'art. 27, par. 3, lett. b). Ai sensi dell'Accordo, tutti i membri

dell'OMC devono quindi contemplare nei propri ordinamenti il rilascio di brevetti sui

microrganismi transgenici che (come quello ‘inventato’ da Chackrabarty) siano nuovi,

implichino un passo inventivo e siano suscettibili di applicazione industriale.

Per quanto concerne invece le piante e gli animali geneticamente modificati, è

evidente che essi sono 'plants and animals' agli effetti dell’art. 27, par. 3, lett. b). Gli Stati

sono pertanto autorizzati ad escluderli dal novero dei prodotti brevettabili475.

Ma quid dei loro microcomponenti e macrocomponenti?

Limitando il discorso al regno vegetale, i membri dell'Organizzazione mondiale del

commercio hanno l'obbligo di riconoscere nei propri ordinamenti la brevettabilità delle

cellule, dei semi e delle componenti subcellulari delle piante quando questi 'prodotti'

rispondano ai requisiti indicati dall'art. 27, par. 1. E' altrettanto evidente, tuttavia, che

qualora gli Stati si avvalgano della facoltà di non concedere brevetti sui procedimenti

essenzialmente biologici per la produzione delle piante, salvi gli obblighi derivanti dal

474 HEGEL, Prefazione alla fenomenologia dello Spirito. E’ difficile dire se l'assoluta incoerenza della prassi dell'Ufficio europeo dei brevetti come di molti ufficinazionali dipenda dall’impreparazione in un campo fino a qualche anno fa estraneo alla legislazionebrevettuale o se, piuttosto, una volta aperto il 'vaso di Pandora' della brevettabilità del vivente e dei geni, ladistinzione fra processi microbiologici e macrobiologici continui ad avere significato. E’ stato sostenuto inquest’ultimo senso che '[t]he traditional dichotomy between macrobiological and microbiologicalprocesses in deciding patentability is legally unsound' (BAI, op, cit., p. 148).475 A questa conclusione giungono BIRNIE, BOYLE, op. cit., p. 735.

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rispetto delle normative sui generis sulle varietà vegetali, ogni operatore venuto in

possesso legittimamente del materiale riproduttivo può disporne liberamente per

moltiplicarlo attraverso i metodi tradizionali di riproduzione sessuata o agamica.

Si deve comunque constatare che, in seguito agli sviluppi più recenti delle

biotecnologie, l'esclusione delle piante dalla brevettabilità potrebbe venire svuotata di

significato. Sono già stati realizzati infatti vegetali transgenici nei quali i meccanismi

biologici di resistenza agli agenti patogeni o l’accelerazione della crescita sono attivati da

agenti di natura chimica o da altre tecniche di coltivazione476. La concessione di diritti di

proprietà intellettuale su questi 'non biological processes for the production of plants' può

conferire de facto un monopolio sulla produzione dei prodotti agricoli formalmente non

oggetto di brevetto.

E’ invece da escludersi che l’Accordo TRIPs imponga il riconoscimento dei brevetti

sui geni. La prassi degli uffici brevetti nazionali mostra come non esista un consenso sul

fatto che l'identificazione e l’isolamento di frammenti di DNA sia un’operazione idonea a

soddisfare i requisiti di novità, attività inventiva e applicazione industriale477. Per

giustificare l’esclusione del materiale genetico dal novero delle invenzioni brevettabili,

sembra quindi superfluo il riferimento alla difesa della morale e dell’ordine pubblico

contemplata dall’art. 27, par. 2 (vedi infra).

1.15 (segue) La revisione dell’art. 27, par. 3, lett. b)

Nonostante l'indeterminatezza dell'Accordo TRIPs investa gli Stati di un ampio

margine di discrezionalità478, il rifiuto sempre più esteso (soprattutto da parte dei paesi

del Terzo Mondo) all’imposizione a livello internazionale dei brevetti sul materiale

vivente ha rimesso in discussione dell'art. 27, par. 3, lett. b), in senso chiaramente

opposto a quello immaginato dagli Stati Uniti. Significativa a questo riguardo è la

proposta del Kenya (a nome dei paesi africani) di escludere espressamente la

brevettabilità di piante e animali, microrganismi e ogni altro essere vivente479. Anche se

476 ROUDART, op. cit., p. 78.477 Intellectual Property and International Trade, op. cit., p. 198.478 FOOTER, op. cit., p. 74.479 Dichiarazione del gruppo dei Paesi africani a l'OMC del 6 agosto 1999 (doc. WT/GC/W/302),confermata in un documento del 20 settembre 2000 (doc. IP/C/W/206, scaricabile da Internet all’indirizzowww.wto.org, pagina base). Questa posizione è stata sostenuta anche da India, Pakistan, Indonesia,Filippine, Brasile, Costa Rica, Honduras. In merito, cfr. anche ROUDART, op cit., p. 82 e MALJEAN-

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il termine di quattro anni dall'entrata in vigore dell'Accordo istitutivo dell'Organizzazione

mondiale del commercio è da tempo spirato480, le profonde divergenze esistenti fra gli

Stati hanno impedito, fino ad oggi, la revisione della disciplina ai sensi dell'art. 27, par.

3481.

Del resto, è sintomatico rilevare che molti paesi non si sono ancora dotati di una

legislazione sulla protezione del materiale biologico come richiesto dall'art. 27, par. 3482,

anche se quasi tutti i membri dell’OMC avrebbero già dovuto conformarsi agli obblighi

stabiliti dall'Accordo TRIPs483. La connessione stretta fra i regimi stabiliti dall'Accordo

TRIPs e dalla Convenzione di Rio, già oggetto di ampio studio in dottrina, è stata

evidenziata anche dalla terza Conferenza delle Parti (COP) alla Convenzione sulla

biodiversità, 'in particular on issues relating to technology transfer and conservation and

sustainable use of biological diversity and the fair and equitable sharing of benefits

arising out of the use of genetic resources, including the protection of knowledge,

innovations and practices of indigenous and local communities embodying traditional

lifestyles relevant for the conservation and sustainable use of biological diversity' 484.

L'utilizzo nei singoli Stati dei diritti di proprietà intellettuale per realizzare gli

obiettivi della Convenzione di Rio costituisce l'oggetto di studio del prossimo paragrafo.

DUBOIS, Biodiversité, biotechnologies, biosécurité: le droit international désarticulé, in J.I.D., 2000, p.969. Una proposta di modifica dell’art. 27, par. 3, lett. b), dell’Accordo TRIPs è stata avanzata il 17 ottobre2002 anche dalla Comunità europea (doc. IP/C/W/383, consultabile su Internet all’indirizzo, www.wto.org,pagina base). Il documento cerca chiaramente di raggiungere una mediazione fra gli interessi dei paesi invia di sviluppo e quelli dei maggiori Stati industrializzati, in particolare degli Stati Uniti. Significative diquesto carattere compromissorio sono le previsioni proposte concernenti l’indicazione nelle domande dibrevetto dell’origine geografica delle risorse genetiche e delle conoscenze tradizionali a partire dalle qualile invenzioni sono state realizzate. Secondo la Comunità, l’auspicata modifica dell’art. 27 dovrebbeincoraggiare gli Stati a fornire le dette informazioni, ma, come previsto dalla direttiva europea 98/44, ‘sucha disclosure should not act de facto or de jure as an additional formal or substantial patentability criterion’.La mancata indicazione delle informazioni concernenti le origini della risorsa non pregiudicherebbe quindila validità del brevetto concesso.480 L'Accordo è entrato in vigore, come si è detto, il 1° gennaio 1995.481 Il par. 19 della Dichiarazione di Doha ha richiesto al Consiglio TRIPs di proseguire nel suo lavoro direvisione dell’art. 27, par. 3, lett. b), esaminando, fra le altre cose, ‘the relationship between the TRIPsAgreement and the Convention on Biological Diversity, the protection of traditional knowledge andfolklore’ (Dichiarazione ministeriale di Doha, 14 novembre 2001, consultabile su Internet all’indirizzowww.wto.org, pagina base) Preme ricordare che gli emendamenti proposti dell’art. 27 dei TRIPs dovrebbero essere adottati secondo laprocedura di emendamento ordinaria, mentre la procedura semplificata per la modifica dell’AccordoTRIPs - prevista dall’art. X, par. 6, dell’Accordo OMC – non troverebbe applicazione, non trattandosi dimisure volte al perseguimento di un livello di protezione più elevato della proprietà intellettuale.482 Per una panoramica sintetica (aggiornata al 2002) sulle legislazioni brevettuali in materia di varietàvegetali e organismi viventi, v. ROUDART, op. cit., p. 82.483 Il termine era il 1 gennaio 1996 per i paesi sviluppati, il 1° gennaio 2000 per i paesi in via di sviluppo eil 1° gennaio 2006 (con possibilità di proroga) per i paesi meno avanzati (Accordo TRIPs, artt. 65 e 66).484 Decisione III/17 COP (Conferences of Parties), novembre 1996, par. 8, rinvenibile su Internet nel sitowww.biodiv.org, pagina base. La decisione incoraggia una più intensa collaborazione con l'OMC (in

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1.16 (segue) La brevettabilità delle invenzioni pericolose per l’ambiente

Un problema diverso riguarda i brevetti su microrganismi o su procedimenti

biotecnologici la cui realizzazione è suscettibile di arrecare un serio pregiudizio

all'ambiente, minacciare la salute umana, la sopravvivenza delle piante o degli animali.

Recita l'art. 27, par. 2:

'[m]embers may exclude from patentability inventions, the prevention within theirterritory of the commercial exploitation of which is necessary to protect ordre public ormorality, including to protect human, animal or plant life or health or to avoid seriousprejudice to the environment, provided that such exclusion is not made merely becausethe exploitation is prohibited by their law'.485

Come ha messo in evidenza Pavoni, sia pur con specifico riferimento alla prassi

dell'Ufficio europeo (EPO), il rilascio di brevetti su tecnologie dannose per l'ambiente

può porsi 'in aperto contrasto con il fine di salvaguardia che è alla base della

Convenzione sulla biodiversità e reca[re] pregiudizio all'adempimento rigoroso degli

obblighi derivanti dalla medesima'486.

particolare col Comitato commercio e ambiente) e lo svolgimento di studi comuni (cfr. parr. 4-8 eAnnesso).485 Queste eccezioni alla brevettabilità non sono previste nell'ordinamento statunitense. I lavori preparatorimostrano che esse furono introdotte come una concessione da parte degli Stati Uniti ai paesi in via disviluppo per suscitare un maggiore consenso nei confronti dell'Accordo TRIPs (CHAMBERS, op. cit. , p.243). Anche l’articolo 27, par. 2, trae chiaramente ispirazione dall’art. 53, lett. a), della Convenzioneeuropea sui brevetti ('[e]uropean patents shall not be granted in respect of inventions the publication ofwhich would be contrary to ordre public or morality, provided that the exploitation shall not be deemed tobe so contrary merely because it is prohibited by law or regulation in some or all of the ContractingStates'). In riferimento all'Accordo TRIPs, si veda anche la clausola di salvaguardia generale secondo la quale:'[m]embers may, in formulating or amending their national laws and regulations, adopt measures necessaryto protect public health and nutrition... provided that such measures are consistent with the provisions ofthis Agreement' (art. 8). Nonostante la portata concreta di questa disposizione debba essere ancora chiarita,essa potrebbe essere in gran parte svuotata di significato, vista l'interpretazione restrittiva chedell’aggettivo 'necessary' è stata data dai panel e dall’Appellate Body in riferimento all'art. XX del GATT(vedi infra, capitolo IV).486 PAVONI, Brevettabilità, op. cit., p. 430. Anche per quanto riguarda i COV, si deve sottolineare chealcune legislazioni escludono espressamente la concessione di privative sulle varietà nocive per l’ambiente.Ad esempio, secondo il Capitolo I, rule 4, delle Implementing Rules for the Regulations of the Peoples’Republic of China on the Protection of New Varieties of Plants (Agriculure Part) del 27 aprile 1999, ‘[n]ovariety rights shall be granted to any new variety of plants that is harmful to the public interest and theecological environment’ (documento rinvenibile in Internet, www.upov.org, pagina base).

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Si tornerà più diffusamente nel prossimo paragrafo sulla necessità per gli Stati di

conformare le legislazioni brevettuali agli obblighi discendenti dal diritto pattizio e

consuetudinario.

Non sembra comunque che l'art. 27 dell’Accordo TRIPs, nel suo complesso, si ponga

in contrasto con le norme di diritto internazionale poste a tutela della biodiversità, in

quanto lascia esplicitamente agli Stati la facoltà di escludere la brevettabilità di

invenzioni pregiudizievoli per l’ecosistema.

Inoltre, preme sottolineare che in molti ordinamenti, a partire da quello statunitense,

il rilascio di un brevetto viene considerato soltanto come attribuente il diritto del titolare

ad escludere gli altri dall'utilizzo e dallo sfruttamento dell'invenzione (jus excludendi). Il

brevetto non conferisce invece alcun diritto alla realizzazione concreta e alla

commercializzazione dei prodotti487.

Alla luce del diritto internazionale, gli Stati possono quindi ottemperare agli obblighi

posti a tutela della biodiversità, senza violare l’Accordo TRIPs, adottando le misure

normative o di altro tipo volte a regolare (e al limite a proibire) la fabbricazione e la

vendita dei beni che incorporano l’invenzione sulla quale gli organi competenti abbiano

già attribuito forme di protezione della proprietà intellettuale488.

Sul potenziale conflitto fra Accordo TRIPs e Convenzione sulla biodiversità, cfr. GOYAL, HarmufulBiotechnological Innovations-Led Genetic Erosion: Legal Choice Between ‘Precautionary’ Principle&’Necessary’ Principle, in IJIL, 2002, pp. 48 ss.487 C.d. teoria dell' indipendenza del sistema brevettuale. Ugualmente il rifiuto della protezione da partedell'ufficio brevetti non impedisce la commercializzazione del prodotto (Intellectual Property andInternational Trade, op. cit., p. 193). Questa teoria è accolta in parte dalla Convenzione di Parigi secondola quale ‘[t]he grant of a patent shall not be refused and a patent shall not be invalidated on the ground thatthe sale of the patented product or of a product obtained by means of a patented process is subject torestrictions or limitations resulting from the domestic law’ (art. 4 quarter).

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Paragrafo 2: Diritti di proprietà intellettuale e ripartizione giustaed equa dei benefici derivanti dallo sfruttamento delle risorsebiologiche e genetiche

2.1 Premessa

In virtù del diritto consuetudinario vigente e a norma della Convenzione sulla

biodiversità, sono gli Stati i titolari dei diritti sovrani sul materiale biologico e genetico

situato nelle aree legittimamente soggette al loro jus imperii. Come abbiamo visto, molti

sono però gli interessi degli attori non statali che vengono in rilievo, soprattutto a

proposito delle risorse fitogenetiche489.

Come è noto, le ricerche condotte dalle Università e dalle aziende farmaceutiche si

basano spesso sulle conoscenze delle comunità rurali, in particolar modo dei paesi del

Sud e, non raramente, sui saperi ancestrali dei popoli autoctoni che, per secoli, hanno

utilizzato come medicamenti prodotti naturali e materiale biologico.

Numerosi strumenti internazionali hanno riconosciuto poi l'esistenza di 'diritti degli

agricoltori' quale mezzo necessario per ricompensare il contributo delle generazioni di

contadini (e in particolare delle donne) alla conservazione e al miglioramento delle

varietà vegetali490.

Per garantire una ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento

delle risorse biologiche e genetiche del pianeta si pongono allora due problemi distinti.

Innanzitutto, misure legislative devono essere prese all'interno degli ordinamenti

nazionali per conformare le proprie legislazioni agli obblighi imposti dalle norme di

natura pattizia e consuetudinaria che stabiliscono la sovranità degli Stati sulle risorse

biologiche e genetiche. I singoli Stati possono inoltre attribuire una protezione alle

488 Portando all'estremo queste considerazioni, contrariamente alla prassi dell'USPTO, un autore hasuggerito persino la legittimità, alla luce dell'ordinamento degli Stati Uniti, della concessione di un brevettosu un essere umano! (CHAMBERS, op. cit., p. 231).489 V. supra, capitolo II.490 Cfr. supra, capitolo II. Sulle difficoltà relative alla realizzazione dei diritti degli agricoltori come'alternative forms of intellectual property rights' (attraverso tasse sulla vendita dei semi o altre misureanaloghe) vedi LESSER, op. cit., par. 4.3.

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conoscenze tradizionali attraverso diritti collettivi di proprietà intellettuale (Community

Intellectual Rights) o stabilire altri meccanismi che garantiscano alle comunità contadine

o indigene la partecipazione ai benefici economici derivanti dallo sfruttamento degli

organismi viventi (e in special modo delle piante) utilizzati da scienziati e industrie per

selezionare nuove varietà, isolare geni, estrarre sostanze di interesse industriale o

farmaceutico, etc.

Un profilo diverso riguarda l'individuazione dei congegni giuridici idonei a garantire

il trasferimento delle tecnologie e delle risorse economiche ai paesi fornitori delle risorse

biologiche e genetiche, in particolar modo a quelli in via di sviluppo.

2.2 Biorazzia e biopirateria: due neologismi

Il termine 'biopirateria' (biopiracy, biopiratage) è un neologismo entrato ormai nella

letteratura di diritto e relazioni internazionali. Per quanto molto suggestiva, può essere

fonte di equivoci e ambiguità. E' banale ricordare come la ‘biopirateria’ non abbia niente

a che fare con la tradizionale pirateria per mare (in particolare è evidente che nessuna

norma di diritto internazionale prevede la responsabilità penale individuale dei

'biopirati’!). Si constaterà tuttavia che il termine viene usato dai giuristi per indicare due

fattispecie diverse:

a) il prelievo illegittimo di materiale biologico e genetico dal territorio di uno Stato

senza che questo abbia manifestato il suo consenso;

b) l’ottenimento da parte di altri soggetti di diritti di proprietà intellettuale su invenzioni

basate sulle conoscenze tradizionali o indigene circa le proprietà (mediche,

farmaceutiche, etc.) di un determinato materiale biologico.

Per ragioni di chiarezza espositiva, nel seguito del lavoro col termine 'biopirateria' si

farà riferimento esclusivo alla 'pirateria' intellettuale. Per indicare la prima fattispecie ho

avvertito la necessità di utilizzare un altro termine, e ho coniato alla fine il termine

'biorazzia', a mio avviso più appropriato. La parola 'razzia', il cui etimo riconduce

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all'arabo ghāziyya (incursione), è utilizzata infatti frequentemente in senso estensivo per

indicare il furto di piante e animali491.

2.3 Brevetti e accesso alle risorse biologiche e genetiche: la biorazzia

Si è visto come le Parti alla Convenzione di Rio abbiano riconosciuto il principio

della sovranità degli Stati sulle proprie risorse biologiche e genetiche e come sia emersa

in questo senso una norma consuetudinaria (vedi supra, capitolo II). Tuttavia, se è

pacifica l'esistenza di tale norma, si pone il problema dell'individuazione del suo esatto

contenuto, ossia dei limiti e delle modalità dell'esercizio del potere sovrano.

Molti Stati si sono recentemente dotati di legislazioni che regolano le campagne di

bioprospezione da parte di soggetti stranieri492. Al principio del 'consenso informato in

conoscenza di causa' previsto dalla Convenzione è stato dato contenuto concreto tramite

la previsione di appositi meccanismi i quali subordinano l'autorizzazione del prelievo alla

conclusione di un accordo sulla condivisione dei materiali, delle tecnologie e dei benefici

economici. In numerosi Paesi sono stati istituiti organi amministrativi ad hoc per

assicurare l'attuazione del meccanismo e previste sanzioni, anche molto severe, per

punire il contrabbando493.

E' evidente che la violazione di queste norme di diritto interno da parte di imprese o

cittadini privati porterà, normalmente, alla responsabilità (civile o penale) delle persone

fisiche autrici dell'illecito alla luce dell'ordinamento del Paese di origine. Il

comportamento delle persone fisiche che hanno posto in essere l'atto, tuttavia, non potrà

essere attribuito allo Stato di nazionalità se non nel caso in cui queste siano organi dello

Stato nell'esercizio delle proprie funzioni o agiscano come organi di fatto del proprio

Stato. Si tratta di fattispecie piuttosto limitate. Possiamo comunque immaginare

spedizioni svolte da enti pubblici di ricerca, prelievi di campioni biologici effettuati da un

esercito di occupazione494, da agenti diplomatici o dei servizi segreti, etc.

491 DEVOTO, OLI, Dizionario della lingua italiana, Firenze, 1980, voci ‘razzia’ e ‘razziare’.492 Sicuramente: Stati membri del Patto andino, Australia, Brasile, India, Costa Rica, Messico, Sud Africa,Camerun, Guyana. Le principali legislazioni nazionali in tema di accesso alle risorse genetiche sonoconsultabili a partire dal sito della Convenzione di Rio www.biodiv.org, pagina base).493 Secondo la legge della Guyana del 2001 (Bioprospecting Regulations, disponibile su Internet a partireda www.biodiv.org, pagina base), il prelievo non autorizzato di materiale biogenetico è punito con unamulta compresa fra 300000 ed un massimo di 750000 dollari e fino ad un anno di pena detentiva (ibidem,art. 3, par. 2).494 Abbiamo visto che è stato questo il caso del prelievo del grano Norin giapponese da parte di un membrodell'esercito americano (vedi supra, capitolo II). Quell'evento non concretò comunque un fatto illecito

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Codesti atti, se posti in essere senza il consenso dello Stato di origine costituirebbero

una violazione manifesta della sovranità territoriale alla luce del diritto consuetudinario

vigente e darebbero luogo alla responsabilità internazionale dello Stato 'prospettore'.

Né sarebbe sufficiente la conclusione di accordi di bioprospezione con i cittadini

privati o le comunità locali in possesso del materiale biologico e genetico, a meno che la

loro legislazione nazionale non contemplasse espressamente tale procedimento o che

esso avvenisse col consenso o l'acquiescenza dello Stato territoriale. Il diritto alla

sovranità sulle proprie risorse biologiche e genetiche è infatti un diritto degli Stati e non

dei loro cittadini495.

Nell'assenza di una prassi di rilievo pertinente, non ci si soffermerà oltre

sull’eventualità giuridicamente poco problematica di un prelievo di materiale biologico

effettuato in violazione della legislazione dello Stato territoriale da parte di un organo di

uno Stato straniero.

Più complesso è invece il caso in cui un soggetto privato entrato in possesso di

risorse prelevate altrove in maniera illegittima, richieda ad uno Stato un brevetto o un

altro tipo di protezione giuridica su un’invenzione sviluppata a partire dal materiale

stesso496.

Si deve prendere atto con rammarico che, a quanto risulta, quasi nessuna legislazione

brevettuale contempla disposizioni specifiche per obbligare l'inventore a rendere noto il

Paese di origine del materiale biologico a partire dal quale ha iniziato le proprie

ricerche497.

internazionale poiché all'epoca del fatto era vigente il regime di libero accesso. Potrebbe rientrare invecenella fattispecie il caso analizzato nello stesso capitolo relativo al più recente tentativo di commandossudanesi di appropriarsi delle piante di caffé in Etiopia.495 Si potrebbe richiamare a questo proposito l'analogia con la c.d. 'clausola Calvo' apposta a contratti diconcessione (soprattutto per lo sfruttamento delle risorse minerarie) stipulati fra uno Stato e un cittadinostraniero. Questo rinunciava, limitatamente alle controversie relative all'interpretazione e violazione delcontratto, alla protezione diplomatica del proprio Stato. Come riconosciuto da molti tribunaliinternazionali, la clausola era inopponibile allo Stato di nazionalità del contraente, perché un privato nonpuò rinunciare ad un diritto del proprio Stato (nel caso di specie il diritto dello Stato ad esercitare laprotezione diplomatica affinché siano rispettati i propri cittadini all'estero e i propri interessi economici nelmondo), secondo un principio elementare di logica giuridica riassunto dal brocardo nemo plus iuris inalium trasferre potest quam ipse habet. Sulla clausola Calvo, vedi A. CASSESE, Diritto internazionale,op. cit., p. 44.496 Potrebbe trattarsi ad esempio di alcune piante da cui è stata estratta una sostanza di particolare interessefarmaceutico o a partire dalle quali, tramite processi di selezione tradizionale, è stata creata una nuovavarietà vegetale. Oppure di un gene (di qualsiasi origine) utilizzato per creare nuovi organismigeneticamente modificati tramite le tecniche di ingegneria genetica.497 Come evidenziato nel paragrafo precedente, questa situazione assolutamente insoddisfacente è spiegatain parte dal modo in cui, storicamente, il principio della brevettabilità del vivente si è affermato negliordinamenti nazionali. In ambito europeo, un indubbio progresso è rappresentato dal disegno di legge n. 1745 approvato dallaCamera dei deputati italiana il 26 settembre 2002 (disegno delega al governo per il recepimento delladirettiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, consultabile su Internet,

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Molte proposte sono state avanzate recentemente per introdurre nell'Accordo TRIPs

l'obbligo di modificare in questo senso le legislazioni nazionali, ma esse non hanno avuto

per adesso alcun seguito concreto. Un progresso, sia pur parziale, è stato fatto con

l'adozione della Direttiva 98/44 CE secondo la quale 'se un'invenzione ha per oggetto

materiale biologico di origine vegetale o animale o lo utilizza, la domanda di brevetto

dovrebbe, se del caso, contenere indicazioni sul luogo geografico di origine del materiale

in questione, nel caso in cui esso sia noto' (27° considerando)498.

Lo stesso considerando mette però in luce il carattere meramente esortativo della

disposizione, indicando che 'ciò non incide sull'esame delle domande di brevetto e sulla

validità dei diritti derivanti dai brevetti rilasciati'.

Un'occasione mancata! La direttiva, una volta effettuata la scelta di riconoscere

ampiamente la brevettabilità degli organismi viventi e dei geni, avrebbe potuto almeno

obbligare gli Stati dell'Unione europea ad adottare una prassi più conforme ai principi

della Convenzione di Rio499.

Del resto, dato che la Convenzione sulla biodiversità ha portato alla cristallizzazione

di una norma di diritto internazionale generale, tutti i soggetti dell’ordinamento

internazionale hanno l'obbligo giuridico di riconoscere la sovranità degli Stati sulle

risorse biologiche e genetiche che si trovano sul loro territorio. Certo, né il diritto

consuetudinario, né quello pattizio impongono in maniera specifica la modifica delle

legislazioni interne, ma vietano in ogni caso agli Stati di compiere atti contrari agli

obblighi che incombono su di loro500.

Non è necessario aderire alle teorie moniste kelseniane501 o richiamare le evoluzioni

della dottrina Stimson per rendersi conto di come apparirebbe quanto meno incongruo

che uno Stato conferisca e riconosca direttamente o indirettamente dei benefici ad una

http://staminali.aduc.it/php_leggishow_1669_3_t_l.html). Esso prevede infatti all’art. 1, par. 2, lett. i), chela provenienza del materiale biologico che sta alla base di una invenzione venga ‘dichiarata all’atto dellarichiesta di brevetto, sia in riferimento al Paese di origine, consentendo di accertare il rispetto dellalegislazione in materia di importazione ed esportazione, sia in relazione all’organismo biologico dal quale èstato isolato’. Preme sottolineare che, in maniera corretta, il disegno di legge fa riferimento al Paese di origine dellarisorsa e non vagamente al suo ‘luogo geografico di origine’, come previsto dalla direttiva europea e da unprecedente disegno di legge (disegno di legge 2031 ter, deliberato nella seduta n. 96 del 12 febbraio 2002,Commissioni riunite X Attività produttive e XII Affari sociali, art. 6, par. 2, lett. s), documento consultabilesu Internet, http://staminali.aduc.it/php_leggishow_73_3_t_l.html).498 Corsivo aggiunto.499 La Comunità europea è parte alla Convenzione dal 1993.500 Non si tratta infatti di una norma di natura imperativa. A tale proposito, vedi A. CASSESE, Dirittointernazionale, op. cit., p. 254 e s.501 KELSEN, Principles of International Law, New York, 1966; KELSEN, Lineamenti di dottrina pura deldiritto, Torino, 1973.

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persona fisica o giuridica (dotata o meno della sua nazionalità) in virtù di un’invenzione

che questa ha potuto sviluppare violando la sovranità di un altro Stato!

Un comportamento del genere, non soltanto sarebbe contrario al principio di buona

fede, ma costituirebbe una chiara violazione della norma internazionale.

Lo Stato dal quale il supporto biologico è stato prelevato senza un previo consenso

(manifestato validamente dagli organi interni competenti) si troverebbe a subire delle

conseguenze particolarmente sfavorevoli. Non soltanto non parteciperebbe ai frutti delle

invenzioni realizzate grazie al materiale soggetto alla propria sovranità, ma

paradossalmente si vedrebbe preclusa in alcuni casi la possibilità di esportare liberamente

beni o servizi da esso derivati.

Un solo esempio concreto: il rilascio di un brevetto su un gene renderebbe difficile e

onerosa502 allo Stato di origine o ai privati aventi la sua nazionalità l'esportazione verso

lo Stato che ha concesso il brevetto di altri prodotti geneticamente modificati ottenuti a

partire dal medesimo gene illecitamente prelevato503. In altri casi, attraverso in una sorta

502 Subordinandola all'accordo col detentore del brevetto e al pagamento delle royalties.503 Restrizioni al commercio di materiale biologico potrebbero concretarsi in seguito alla crescentetendenza degli uffici nazionali di attribuire brevetti estesissimi. Per quanto riguarda la prassi europea,alcuni brevetti hanno fatto molto discutere. Il brevetto EP No 301749 copre ad esempio tutti i semitransgenici di soia ('un seme di soia che, coltivato, darà origine ad una pianta di soia il cui genomacomprende un gene estraneo che ha la capacità di causare l'espressione di un prodotto genico estraneo nellecellule della pianta di soia’), senza specificarne in dettaglio le caratteristiche o i procedimenti diproduzione. Il brevetto EP No 546090 riguarda 'una pianta resistente al glifosato [...] scelta nel gruppo composto damais, grano, riso, soia, cotone, barbabietola da zucchero, colza, canola, lino, girasole, patata, tabacco,alfalfa, pioppo, pino, melo e pompelmo', così come 'un metodo per il controllo selettivo delle erbacce in uncampo [...] piantando i summenzionati semi o piante resistenti al glifosato [...] e applicando alle suddettepiante e alle erbacce una quantità sufficiente di glifosato'. Il brevetto concede dunque al detentore (laMonsanto) il monopolio sul ciclo di produzione su tutte queste specie vegetali, una volta che esse sianostate rese resistenti al glifosato (contenuto nel Roundup). Prima ancora che la Monsanto abbia sviluppatotutte le piante transgeniche menzionate! Il brevetto EP No 240208 è stato concesso alla Calgene dopo che l'impresa era riuscita a creare deipomodori transgenici a marciscenza ritardata (pomodoro 'flavr-savr'). Esso copre 'qualsiasi piantacontenente PG [...]. Questo comprende le angiosperme, sia monocotiledoni che dicotiledoni, e legimnosperme. Tra le piante interessanti per la determinazione del PG vi sono: i cereali, come il grano,l'orzo, il mais etc.; la frutta come le albicocche, le arance, i pompelmi, le mele, e pere, gli avocado, etc.; lenoci come [...] etc.; le verdure come [...] etc.; le specie legnose come il pioppo, il pino, la sequoia, il cedro,la quercia, etc.; i fiori ornamentali; o altre specie vegetali utili come il tabacco, lo jojoba, la colza, la cufea,i semi di soia, il girasole, la barbabietola da zucchero, il cartamo, etc.' E' quantomeno singolare come il divieto di brevettare varietà vegetali previsto nella convenzione europeasui brevetti sia stato eluso di fatto col riferimento a intere specie se non addirittura famiglie vegetali. Ciòpare in evidente contrasto con ogni principio di logica giuridica. Come se, vigente il divieto di bigamia, siammettesse la liceità della poligamia! Consapevoli dei limiti di una disciplina giuridica iniqua ed insoddisfacente, recentemente gli scienziati diuna università inglese si sono rifiutati di effettuare delle ricerche su dei funghi marini prelevati dallaTailandia (WALLACH, SFORZA, Wto. Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale,Milano, 2001, p. 113).

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di reductio ad absurdum, potrebbe essere impedita la libera esportazione del prodotto

naturale stesso504.

Il contrasto fra le legislazioni brevettuali nazionali e la norma consuetudinaria in

questione, in realtà, potrebbe in molti casi venire risolto dall’organo competente (ufficio

brevetti o altro analogo organo amministrativo), applicando il principio di specialità o

quello di interpretazione conforme, secondo i criteri che, in un dato ordinamento interno,

regolano l'attuazione e il rango del diritto internazionale consuetudinario. In assenza di

una tale condotta, qualora cioè gli organi interni concedessero un titolo di protezione dei

diritti di proprietà intellettuale su invenzioni sviluppate a partire da materiale

illegittimamente prelevato, il Governo che ritenesse di aver subito una lesione della

propria sovranità potrebbe agire sul piano internazionale, facendo valere la violazione

della norma consuetudinaria, ed eventualmente di quella corrispondente contenuta nella

Convenzione di Rio.

In alternativa – e forse con maggiori probabilità di successo – potrebbe adire prima il

tribunale interno competente dell’altro Stato505 per pretendere l'annullamento del titolo

concesso oppure, se opportuno, per chiedere un risarcimento dei danni subiti506.

504 Temendo un'eventualità del genere, nel 2000 il Governo indiano ha chiesto all'USPTO di riesaminare ilbrevetto US Patent No 5663484 concesso alla Rice Tec su una varietà di riso ottenuta con metodi diselezione classica a partire da varietà Basmati indiane. Oltre al problema (di altra natura) concernente ladenominazione del prodotto, il Governo indiano contestava il fatto che fra le rivendicazioni (claims) vierano alcuni caratteri presenti da tempo immemorabile nelle varietà indiane. Prima dell'inizio delprocedimento la Rice Tec ha rinunciato alle proprie pretese. Un episodio del tutto simile è avvenuto a seguito della concessione da parte dell’USPTO di un brevettoavente ad oggetto una varietà di fagiolo giallo (Phaseolus Vulgaris), i suoi semi, il polline, il materiale dipropagazione, etc. Come emerge dal testo stesso del brevetto (US Patent No 5894079 del 1999), la varietàera stata selezionata dall’’inventore’ a partire da delle sementi acquistate nel 1994 in Messico, dove lapianta era coltivata da secoli dalle popolazioni rurali. La vicenda del fagiolo giallo, per la quale si rimandaa PAVONI, Accesso alle risorse, op. cit., pp. 375 ss., è estremamente interessante. Secondo le informazionidisponibili, sembra che il detentore del brevetto abbia citato in giudizio per contraffazione due società chevendevano dei fagioli gialli messicani negli Stati Uniti, pretendendo delle royalties di 6 centesimi didollaro per ogni libbra di legumi importati negli Stati Uniti (www.greens.org/s-r/22/22-21.html). IlMessico, vedendo minacciati i propri interessi commerciali, aveva annunciato nel 2000 che avrebbecontestato la legittimità del brevetto (ibidem), recentemente impugnato innanzi all’USPTO da un ente diricerca agricola colombiano in possesso di esemplari di fagiolo prelevati allo stato naturale e praticamenteidentici a quelli brevettati (PAVONI, Accesso alle risorse, op. cit., p. 375).505 Analoga pretesa potrebbe essere avanzata ovviamente negli altri Stati in cui il brevetto fosse statoconcesso.506 In conformità al diritto interno dello Stato che ha concesso il brevetto. Non sembra invece che alla lucedel diritto internazionale consuetudinario vigente né il Governo nazionale, né i suoi cittadini potrebberointentare un procedimento civile contro lo Stato estero di fronte ai propri tribunali nazionali, almeno senzail consenso dello stesso Stato estero (volenti non fit iniuria). In base al principio par in parem non habetiudicium, le autorità giudiziarie non avrebbero titolo di giurisdizione e non potrebbero conoscere delladomanda proposta nei confronti dello Stato estero convenuto. Infatti, anche accogliendo la teoriadell’immunità ristretta dalla giurisdizione civile, pare difficile sostenere che la concessione di brevetti o diforme analoghe di protezione costituisca un atto iure gestionis di natura commerciale e privatistica.Realizzando un fine pubblico dello Stato (promuovere il progresso della scienza, garantendo agli inventoriattraverso gli organi statali competenti un diritto esclusivo sulle loro scoperte), sembra piuttosto una tipicaattività governativa costituente un’estrinsicazione diretta dello ius imperii. Per questa ragione, come

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Si porrebbe in ogni caso la necessità, per il Governo del paese di origine, di

dimostrare che la risorsa biologica a partire dalla quale l'invenzione viene realizzata è

stata prelevata in violazione della sua sovranità territoriale507. Qualora l'ordinamento

dello Stato che ha concesso il brevetto non fosse dotato di meccanismi giuridici tali da

soddisfare le pretese dello Stato di origine della risorsa, a questo non resterebbe,

ovviamente, che far valere il rapporto di responsabilità sul piano internazionale.508

Detto questo, per quanto concerne gli Stati che sono parte alla Convenzione di Rio la

questione si pone diversamente509. L'art. 16 della Convenzione riconosce infatti il ruolo e

l'importanza dei diritti di proprietà intellettuale ai fini del raggiungimento degli obiettivi

dello strumento.

Il già citato art. 16, par. 2, prevede che:

'[l]orsque les technologies font l'objet de brevets et autres droits de propriétéintellectuelle, l'accès et le transfert sont assurés selon des modalités qui reconnaissent lesdroits de propriété intellectuelle et qui sont compatibles avec leur protection adéquate eteffective. L'aplication du présent paragraphe sera conforme aux dispositions desparagraphes 3,4 et 5 ci-après.'

L'art 16, par. 3, stabilisce però espressamente che:

'[c]haque Partie contractante prend, comme il convient, les mesures législatives,administratives ou de politique générale voulues pour que soit assuré aux Partiescontractantes qui fournissent des ressources génétiques, en particulier celles qui sont des

riconosciuto giustamente in un altro contesto dal Tribunale di Roma nel caso Federici (Ministero degliAffari Esteri c. Federici, sentenza del 28 novembre 1968, riportata in Rivista di diritto internazionaleprivato e processuale, 1967, pp. 797 ss.), la controversia potrebbe essere risolta soltanto dai Governi sulpiano internazionale attraverso gli adeguati canali diplomatici. Sulle immunità degli Stati dallagiurisdizione civile e sull’analisi della prassi più recente, cfr. A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit.,pp. 115-118.507 Come è stato evidenziato nel capitolo II, in molti casi addurre prove concludenti potrebbe rivelarsimolto difficile. Il Governo attore in giudizio dovrebbe dimostrare che, concretamente, gli organismi, itessuti o le cellule in questione sono stati prelevati in maniera illecita dal proprio territorio. La posizione degli altri Stati detentori della stessa risorsa resterebbe incerta e difficilmente essipotrebbero accampare pretese giuridiche.508 Lo Stato che ha rilasciato il brevetto sarebbe chiamato in tal caso a rispondere del comportamentoantigiuridico dei propri organi (funzionari dell'Ufficio brevetti o organo equivalente, giudici ordinari o,eventualmente, amministrativi) per aver concesso il brevetto, non aver applicato le misure necessarie perannullarne gli effetti giuridici o non aver accordato, a qualunque titolo, un risarcimento o un indennizzoadeguati al pregiudizio economico subito.509 Come si è detto, hanno stipulato la Convenzione la grande maggioranza degli Stati, nonostantel'eccezione, sia pur rilevante, degli Stati Uniti i quali, peraltro, l’hanno firmata (vedi supra). Ai sensidell’art. 18, par. a), della Convenzione sul diritto dei trattati (Vienna, 1969), gli Stati che hanno firmato untrattato devono astenersi dal compiere atti che lo priverebbero del suo oggetto e scopo. Si potrebbefacilmente obiettare che gli Stati Uniti non hanno ratificato la Convenzione di Vienna e che, per moltiAutori, questo articolo non codifica il diritto non scritto vigente (GIULIANO, SCOVAZZI, TREVES, op.cit., p. 305). Non è comunque detto che secondo il diritto internazionale consuetudinario la firma siatotalmente improduttiva di effetti giuridici, se non altro alla luce di un principio generale del diritto cheimpone a tutti i soggetti un comportamento in buona fede.

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pays en développement, l'accès à la technologie selon des modalités mutuellementconvenues, y compris à la technologie protégée par des brevets et autres droits depropriété intellectuelle, le cas échéant par le biais des dispositions des articles 20 et 21,dans le respect du droit international et conformément aux paragraphes 4 et 5 ci-après' 510.

La disposizione, riconoscendo agli Stati una latissima discrezionalità nella scelta dei

mezzi (misure legislative, amministrative o di politica generale), impone loro un obbligo

di risultato: fare in modo che sia assicurato ai Paesi fornitori, in particolar modo se in via

di sviluppo, l'accesso alle tecnologie protette da diritti di proprietà intellettuale511. A

fortiori appare evidente che, se interpretata logicamente e teleologicamente, questa

disposizione impone agli Stati l'obbligo di identificare i Paesi fornitori del materiale

genetico.

D’altra parte, anche per quanto riguarda le altre risorse biologiche, la Convenzione

auspica che le comunità locali e le popolazioni autoctone abbiano assicurato un ‘partage

équitable des avantages découlant de l’utilisation des connaissances, innovations et

pratiques traditionnelles intéressant la conservation de la diversité biologique et

l’utilisation durable de ses éléments’512.

La soluzione più efficace e conforme allo spirito della Convenzione sarebbe

senz'altro prevedere, nelle domande di brevetto relative ad invenzioni sviluppate a partire

da qualunque materiale biologico, la menzione obbligatoria del Paese di origine513.

510 Corsivo aggiunto. In maniera analoga, con specifico riferimento alle biotecnologie, l'art 19, par. 2,stabilisce che: '[c]haque Partie conctractante prend toutes les mesures possibles pour encourager etfavoriser l’accès prioritaire, sur une base juste et équitable, des Parties conctractantes, en particulier despays en développement, aux résultats et aux avantages découlant des biotechnologies fondées sur lesressources génétiques fournies par ces Parties. Cet accès se fait à des conditions convenues d’un communaccord'.511 In effetti molti Stati industrializzati, attraverso dichiarazioni interpretative, hanno cercato di affermareun'interpretazione della disposizione che nega qualunque obbligo di trasferimento tecnologico. Tuttavia,essendo il trattato non riservabile, tutte le disposizioni si applicano nei rapporti fra le Parti. Comericonosciuto da autorevole dottrina e dalla CDI, tali dichiarazioni non sono opponibili agli altri Staticontraenti (cfr. A. CASSESE, Diritto internazionale, op. cit., p. 194 e s.). Né la legislazione interna potràessere invocata per giustificare la non ottemperanza agli obblighi stabiliti dal trattato liberamente evalidamente stipulato (art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati).512 Convenzione di Rio, cit., preambolo, 1° riconoscendo.513 Una soluzione del genere, sia pur limitata ad un ambito regionale, è stata accolta all’interno del Pattoandino con l’adozione della già menzionata Decisione 391/96. Nelle Complementary provisions questastabilisce infatti al secondo punto che ‘[t]he Member Countries shall not acknowledge rights, includingintellectual property rights, over genetic resources, by-products or synthesized products and associatedintangible components, that were obtained or developed through an access activity that does not complywith the provisions of this Decision.Furthermore, the Member Country affected may request nullification and bring such actions as areappropriate in countries that have conferred rights or granted protective title documents’. La Decisione prevede al punto seguente che gli uffici nazionali competenti preposti alla concessione dibrevetti o di altri diritti di proprietà intellettuale, nel caso di invenzioni sviluppate a partire dalle risorsegenetiche disciplinate dalla Decisione, domandino al richiedente ‘to give the registration number of theaccess contract and supply a copy of it as a prerequisite for granting the respective right, when they arecertain or there are reasonable indications that the products or processes whose protection is being

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Il pieno rispetto delle sovranità sulle risorse biologiche e genetiche potrebbe essere

garantito richiedendo che venga acclusa una certificazione promanante dalle autorità

competenti dello Stato fornitore e facente atto della legittimità del prelievo514.

Di fatto, l'attuazione delle disposizioni previste dall'Accordo TRIPs (o in ambito

regionale da altri strumenti come la Direttiva 98/44 CE) non pare da sola sufficiente a

garantire l'ottemperanza degli obblighi imposti dalla Convenzione di Rio515. Nel caso di

requested have been obtained or developed on the basis of genetic resources or their by-products whichoriginated in one of the Member Countries’. Si tratta senz’altro di una disciplina molto avanzata che subordina finalmente alla legittimità del prelievodel materiale biologico la validità dei diritti di proprietà intellettuale sviluppati a partire da questo.Purtroppo il ragionamento non è stato portato avanti coerentemente fino alle sue logiche conclusioni e laDecisione è silenziosa a proposito delle invenzioni sviluppate a partire dalle risorse biologiche e geneticheprelevate al di fuori dei ‘Member Countries’.514 Secondo evidenti ragioni di logica giuridica, alla luce del diritto internazionale vigente, il consensodello Stato al prelievo deve essere espresso anche qualora esso sia effettuato da un cittadino dello Stato diorigine. Come già detto, il diritto di sovranità è attribuito non ai cittadini, ma allo Stato. Questo potrà adesempio porre delle restrizioni alle esportazioni, prendendo i provvedimenti necessari per impedire che unprivato possa alienare del materiale biologico a stranieri tramite un contratto di compravendita, didonazione o di altro tipo. Ogni Stato resta poi libero evidentemente di accordare ai propri cittadini oresidenti il libero accesso alle risorse biologiche e genetiche situate nel proprio territorio o di prevedereanche la loro appropriabilità in via esclusiva da parte di privati. La questione assume grande importanza soprattutto alla luce degli sviluppi più recenti del capitalismomondiale e della diffusione delle imprese multinazionali. Nel caso di libero accesso incondizionato allerisorse del territorio nel quale sono insediate, le imprese potranno legittimamente acquisire il materiale erichiedere a qualunque Stato le forme di protezione delle proprietà intellettuale sviluppata a partire daquesto. Non è raro, inoltre, che le società controllate (filiali), pur facendo capo ad un soggetto economicostraniero (holding o capogruppo) dotato del potere decisionale, siano società registrate come aventi lanazionalità dello Stato nel quale si trovano ad operare. Nella 'realtà effettuale delle cose' la norma chegarantisce la sovranità statale, posta a tutela degli interessi degli Stati e fortemente voluta dai paesi in via disviluppo, potrebbe essere facilmente elusa. Questi rischi erano ben noti agli estensori del Biological Diversity Act (5 febbraio 2003), la legislazioneindiana sull’accesso alle risorse genetiche (consultabile su Internet a partire dal sito www.biodiv.org,pagina base). Si tratta di una normativa molto avanzata secondo la quale i ‘soggetti stranieri’ interessati adeffettuare delle ricerche su del materiale biogenetico indiano devono richiedere un’autorizzazione adun’Autorità nazionale per la biodiversità. (Anche la richiesta di forme di protezione di diritti di proprietàintellettuale in India o all’estero è subordinata all’autorizzazione di questo organo che, nell’esame delledomande, deve tenere conto che il prospettore assicuri alle comunità locali un’equa ripartizione deivantaggi). Fra le persone che devono rivolgersi all’organo amministrativo indiano figura, oltre ai cittadini ealle imprese straniere, ‘a body corporate, association or organization, incorporated or registered in Indiaunder any law for the time-being in force which has any non-Indian participants in the share capital ormanagement‘ (ibidem, art 3, par. 2, lett. c, (ii), corsivo aggiunto).515 Non pare invece potersi affermare l'esistenza di un contrasto tra obblighi. La Direttiva 98/44 prevedeanzi in maniera specifica all'art. 1, par. 2, che '[l]a presente direttiva non pregiudica gli obblighi degli Statimembri derivanti da accordi internazionali, in particolare... dalla Convenzione sulla biodiversità'. In questo senso si è espressa anche la Corte di giustizia nella già menzionata sentenza del 9 ottobre 2001,respingendo il ricorso del regno dei Paesi Bassi e riconoscendo che la direttiva in questione è di per sécompatibile con gli obblighi assunti dalla Comunità sul piano internazionale (la Convenzione di Rio è stataapprovata a nome della Comunità mediante decisione del Consiglio del 25 ottobre 1993, 93/626/CEE,riprodotta in G.U.C.E. L309, p. 1). Tale conclusione appare corretta nella misura in cui non esiste, sino adoggi, un brevetto comunitario. Lo strumento in questione, volto soltanto ad armonizzare il funzionamentodel mercato interno, lascia gli Stati liberi di prendere le misure necessarie a garantire l’identificazione degliStati di origine del materiale biologico prima di concedere dei diritti di proprietà intellettuale aventi adoggetto invenzioni da queste sviluppate. Niente nella direttiva pregiudica poi l’adozione di misurenazionali atte a garantire un trasferimento tecnologico verso il Paese di origine delle medesime. Non sono invece condivisibili le considerazioni espresse nei parr. 65 e 66 della sentenza. La Corte hariconosciuto che, ‘non può considerarsi comprovato, in mancanza di una dimostrazione che non è stata

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controversie fra due Parti a quest'ultima Convenzione, potrebbe essere fatto ricorso ai

procedimenti di soluzione previsti dall'art. 27. La pronuncia di un tribunale arbitrale,

della Corte internazionale di giustizia o anche quella non vincolante di una commissione

di conciliazione fornirebbero senz'altro un contributo prezioso alla delucidazione del

diritto pertinente.

2.4 (segue) Brevetti e accesso alle risorse biologiche e genetiche situate inaree non soggette alla sovranità degli Stati

Un problema ancora diverso è il prelievo di risorse biologiche e genetiche situate in

luoghi non soggetti alla sovranità di alcuno Stato.

Lasciando stare il caso (assai improbabile) di eventuali forme di vita extraterrestri, si

presentano tre fattispecie:

- risorse biologiche dell'alto mare,

- risorse dell'Antartide,

- risorse dei fondali oceanici.

fornita nella fattispecie, che la mera circostanza di proteggere mediante brevetto invenzionibiotecnologiche abbia come conseguenza, secondo quanto è stato sostenuto, di privare i paesi in via disviluppo delle capacità di controllare le loro risorse biologiche e di far ricorso alle loro conoscenzetradizionali, così come di favorire la monocoltura o di scoraggiare gli sforzi nazionali e internazionali dipreservazione della biodiversità’ (par. 65, versione italiana consultabile in RDI, 2001, p. 1151). Spingendosi chiaramente ultra petita, la Corte asserisce poi che ‘benché l’art. 1 della CDB enunci comeobiettivo la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche,mediante, tra l’altro, un accesso adeguato alle risorse genetiche ed un trasferimento opportuno delletecnologie pertinenti, esso precisa che ciò deve essere realizzato tenendo conto di tutti i diritti sui talirisorse e tecnologie. Nessuna clausola della CBD impone, in particolare, di porre in rilievo la presa inconsiderazione degli interessi dei paesi d’origine delle risorse genetiche, o l’esistenza di misure volte altrasferimento di tecniche, tra le condizioni per il rilascio di un brevetto avente ad oggetto invenzionibiotecnologiche’ (ibidem, par. 66, corsivo aggiunto). Quo usque tandem? Sembra opportuno ricordare che l’art. 16, par. 3, della Convenzione imponeespressamente ad ogni Parte di prendere ‘comme il convient, les mesures législatives, administratives ou depolitique générale voulues pour que soit assuré aux Parties contractantes qui fournissent des ressourcesgénétiques, en particulier celles qui sont des pays en développement, l’accès à la tecnologie protégée pardes brevets et autres droits de propriété intellectuelle’. Evidenti ragioni di economia giuridica fanno ritenere che gli organi più adatti ad acclarare l’origine dellerisorse biologiche in questione siano gli organi degli uffici brevetti nazionali in sede di esame delledomande. Al di là di queste considerazioni, la clausola che impone di prendere in considerazione gliinteressi dei Paesi di origine – ciò sembra sfuggire alla Corte - è l’art. 15 della Convenzione di Rio, nellaparte in cui riconosce il principio della sovranità statale sulle risorse genetiche. L’interesse in questione èsemplicemente quello a vedere riconosciuta la propria sovranità! Come si è già evidenziato, tale sovranità verrebbe violata dal rilascio di brevetti su invenzioni sviluppatea partire da materiale acquisito tramite atti di ‘biorazzia’.

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Nel caso dell'alto mare si applicherà, come per le risorse ittiche, il principio

tradizionale del libero accesso secondo il principio qui prior est in tempore, potior est in

jure516.

Nessun soggetto di diritto internazionale potrà contestare ad esempio la legittimità

della concessione da parte di altri Stati di brevetti su varietà ittiche sviluppate a partire da

esemplari prelevati in alto mare (qualora siano previsti tali brevetti o protezioni

analoghe), sui loro geni, etc517.

Più complesso è il caso delle risorse biologiche ed in particolare genetiche

recentemente scoperte nei fondali oceanici, le quali potrebbero rivelarsi di grande

interesse economico518.

Come abbiamo visto, il concetto di patrimonio comune dell'umanità è stato elaborato

a proposito delle risorse minerarie del fondale oceanico. L'art. 133, lett. a), della

Convenzione di Montego Bay prevede che 'per 'risorse' si intendono tutte le risorse

minerali solide, liquide o gassose in situ che si trovano nell'Area sui fondi marini o nel

sottosuolo, compresi i noduli polimetallici'.

Riprendendo la felice espressione di Glowka, si deve sottolineare che per la ‘più

profonda delle ironie’ nessun riferimento nella Convenzione è stato fatto alle risorse

biologiche le quali si sono rivelate invece le più immediatamente sfruttabili e lucrose519.

516 Ad es., il brevetto US Patent No 5801222 è stato concesso nel 1998 su un composto isolato da unaspugna marina dell’Oceano Pacifico. Non è specificato se gli esemplari siano stati catturati nel mareterritoriale, nella zona economica esclusiva di uno Stato (quale?) oppure nell’alto mare. Sempre dall’ufficiostatunitense, l’impresa spagnola Pharma Mar ha ottenuto nel 1999 un brevetto su un procedimento perprodurre un composto con proprietà antitumorali attraverso l’uso di un microrganismo marino, identificatosoltanto come proveniente da dei sedimenti marini dell’Oceano Pacifico (Us Patent No 5925671). Come emerge chiaramente da una veloce indagine, quest’assenza di precisione nell’indicare il luogo diorigine delle risorse biologiche e genetiche viene accettata regolarmente nella pratica amministrativadell’USPTO. Anche per quanto attiene alle specie vegetali, nelle domande di brevetto viene citataspessissimo la loro regione di origine (Asia, Nord America, etc.), senza che sia dichiarato tuttavia lo Statodal cui territorio i campioni sono stati effettivamente prelevati.517 Come sottolineato da Scovazzi (SCOVAZZI, Biodiversity in the Deep Seabed, op. cit., p. 482;SCOVAZZI, The Evolution, op. cit., pp. 213 ss.), il prelievo di specie marine (in alto mare o altrove) perisolarne i geni non può essere considerato come ‘pesca’, attività disciplinata, in relazione all’alto maredagli artt. 116-120 della Convenzione di Montego Bay. Sarebbe qualificabile altresì come ‘ricercascientifica’, la cui libertà è garantita nell’alto mare all’art. 87, lett. f). Per semplificare l'esposizione, sitralascia in questa sede il problema delle specie altamente migratorie, dei banchi anadromi e delle speciecatadrome.518 Nonostante fino ad oggi sia stato esplorato soltanto 1/100 dei fondali oceanici, dalla fine degli anni '70sono stati rinvenuti numerosi organismi estremofili idrotermali che vivono intorno a getti di acqua caldafino a 1200 gradi e a pressioni elevatissime. Alcuni batteri reperiti sono particolarmente interessanti dalpunto di vista scientifico poiché, non potendo effettuare la fotosintesi in assenza della radiazione solare,sintetizzano altrimenti i composti organici. Recentemente alcuni ricercatori dell' Università del Massachusetts hanno rinvenuto sui fondali marini unbatterio (Rhodoferax) capace di generare elettricità nutrendosi di alcuni carboidrati (CARLI, Hi-techL'energia verrà dallo zucchero, in Repubblica. Affari e Finanza, 15 settembre 2003). L'avvenimento non èrilevante comunque dal punto di vista del diritto internazionale poiché i campioni sono stati prelevati entroi confini del mare territoriale.

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La Convenzione stabilisce però che '[l]'Area e le sue risorse sono patrimonio comune

dell'umanità' 520 e regola in maniera precisa la ricerca scientifica marina condotta

nell’Area.

Secondo un’autorevole dottrina, al pari delle altre attività ivi svolte, la ricerca sulle

risorse genetiche situate sul fondo oceanico al di fuori della giurisdizione nazionale

rientrerebbe nella disciplina stabilita dal combinato disposto degli articoli 256 e 143521 e,

in base ad un fenomeno di ‘legal attraction’, la condizione giuridica dello spazio

influenzerebbe quella degli oggetti in esso situati522.

Nonostante lo status giuridico delle risorse biologiche e genetiche prelevate dagli

organismi rinvenuti nei fondali oceanici sia lungi dall’essere chiaro, non pare dubbio che

la concessione pura e semplice di uno Stato ad un Governo o a privati di brevetti o di

altre forme di protezione di diritti di proprietà intellettuale esclusivi, andrebbe contro

all'oggetto e scopo della Convenzione sul diritto del mare523.

Ai sensi dell'art. 140, par. 2, l'Autorità sarebbe competente, attraverso congegni

giuridici da stabilirsi, ad 'assicura[re] l'equa ripartizione dei vantaggi finanziari e degli

519 GLOWKA, The Deepest of Ironies: Genetic Resources, Marine Scientific Research and the Area, inOcean Yearbook, 1996, p. 155. Sulle risorse genetiche dei fondali oceanici si veda anche SCOVAZZI,Biodiversity, op. cit , pp. 481 ss.; WOLFRUM, MATZ, The Interplay of the United Nations Convention onthe Law of the Sea and the Convention on Biological Diversity, in Max Planck Yearbook of United NationsLaw, 2000, pp. 445 ss.520 Convenzione MB, art. 136 (corsivo aggiunto).521 Art. 256: ‘Tutti gli Stati, indipendentemente dalla loro posizione geografica, e le competentiorganizzazioni internazionali hanno il diritto, conformemente alle disposizioni della Parte XI, di effettuarericerca scientifica marina nell’Area’. Viene quindi in rilievo l’art. 143, secondo il quale la ricercascientifica nell’Area deve essere condotta ‘per scopi esclusivamente pacifici e nell’interesse dell’interogenere umano’ (par. 1), favorendo la cooperazione internazionale, ‘assicurando che, per il tramitedell’Autorità o di altre organizzazioni internazionali, vengano elaborati programmi appropriati a beneficiodegli Stati in via di sviluppo e degli altri tecnologicamente meno avanzati’ e ‘diffondendo efficacemente irisultati delle ricerche e delle analisi, quando disponibili, attraverso l’Autorità o altri canali internazionali,quando necessario’ (art. 143, par. 3, lettt. b) e c) ).522 SCOVAZZI, Biodiversity, op. cit., p. 486.523 Si possono quindi condividere le conclusioni di Scovazzi secondo il quale ‘[a]rticle 143 thus contradictsthe easy assumption that there is an absolute freedom to take and exploit genetic material from the speciesof the Area. In this respect, the old-fashioned concept of the freedom of the sea and the innovative idea ofcommon heritage of humankind apparently collide. The preferred solution might well be to make thecommon heritage notion prevail’. Lo sfruttamento delle risorse genetiche dei fondali oceanici è stato oggetto di studio da partedell’European Council of Environmental Law (ECEL), un’associazione non governativa con sede inPortogallo. Secondo una risoluzione adottata dall’ECEL nel 1997, ‘[t]he technical ability to conduct marinescientific research in the international area is in the hands of a limited number of actors in technologicallyadvanced States. Some of these actors in technologically advanced states. Some of these actors are alreadyconducting research directed at the genetic resources in or on deep sea vents. Some of them, havingidentified specific resources and their potential commercial value, have already taken out patents related tothem. The trend in the applicable patent law is to ensure appropriation by patentees of all the benefitsconnected with commercialisation of patented substances deriving from genetic resources. This runscounter to the underlying principles of the UNCLOS and the spirit of the CBD[Convention on BiologicalDiversity], which aim at establishing an international legal order which will be just and equitable andenable utilisation and conservation of marine living resources on a sustainable basis for the benefit ofpresent and future generations.’

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altri vantaggi economici derivanti dalle attività nell'Area, mediante ogni meccanismo

appropriato, su una base non discriminatoria'524.

Anche per quanto riguarda le risorse dell'Antartide si potrebbe porre la questione

della legittimità della concessione di diritti di proprietà intellettuale. In particolare l'art.

III par. 1, lett. a), del Trattato di Washington525 stabilisce che vengano scambiati e resi

liberamente disponibili le osservazioni scientifiche ed i risultati ottenuti nell'Antartide526.

In entrambi i casi, nell'eventualità di controversie inter se, gli Stati Parte ad una della

due Convenzioni (Convenzione di Montego Bay e Trattato di Washington) potrebbero

ricorrere ai meccanismi di soluzione previsti nel trattato la cui interpretazione costituisce

l'oggetto del contendere527.

2.5 Ripartizione dei vantaggi e diritti degli agricoltori

524 Vedi anche l’art. 144 sul trasferimento tecnologico, secondo il quale l’Autorità adotta misure volte afavorire e promuovere il trasferimento agli Stati in via di sviluppo delle tecnologie e delle conoscenzescientifiche relative alle attività condotte nell’Area affinché tutti gli Stati contraenti possano trarnebeneficio (art. 144, par. 1). L’articolo impone agli Stati e all’Autorità di cooperare adottando epromuovendo ‘programmi per il trasferimento all’Impresa e agli Stati in via di sviluppo della tecnologiarelativa alle attività condotte nell’Area, prevedendo, tra l’altro, per l’Impresa e gli Stati in via di sviluppodelle agevolazioni per l’acquisto della tecnologia specifica, secondo modalità e condizioni eque eragionevoli’. In senso contrario, per alcuni autori la ricerca sulle risorse biologiche non rientrerebbe in alcun modosotto la giurisdizione dell’Autorità, non applicandosi i suoi poteri alle risorse viventi (WOLFRUM,MATZ, op. cit., p. 458).525 Entrato in vigore il 23 giugno 1961; il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica del trattato con legge29 novembre 1980, n. 963 (G.U. 19 gennaio 1981, n. 17). Salvo che il ricorso ad un testo facente fede aisensi dell’art. XIV si renda necessario per evitare ambiguità, si farà qui riferimento alla traduzione italianadisponibile in Codice del diritto e delle organizzazioni internazionali, op. cit., pp. 517 ss.526 In realtà, in alcuni Paesi sono già stati concessi dei brevetti a delle società private su invenzionisviluppate a partire da materiale biologico prelevato dall'Antartide. Uno dei primi casi riguarda il brevettoUS Patent No 4720458 concesso negli Stati Uniti nel 1988 su un enzima isolato da batteri prelevati daighiacci e dalle acque circostanti l'Antartide e dai sedimenti intorno a McMurdo Sound e New Harbour(http://www.uspto.gov, pagina base). Nel 1997 l’Ufficio brevetti russo ha concesso un brevetto per la produzione di una sostanza con proprietàantitumorali (RU Patent No 2069696) ottenuta da dei microrganismi antartici. Nel 2002 un estrattodell’alga verde Praiola crispa ssp. antartica è stato brevettato in Germania per le sue proprietà cosmetiche(DE Patent No 10055558) e secondo alcune indagini, almeno 62 brevetti sarebbero stati concesidall’Ufficio europeo su invenzioni sviluppate a partire da risorse biologiche dell’Antartide. Per una recente e dettagliata analisi in merito alle risorse biologiche e genetiche dell’Antartide, si vedaJOHNSTON, DAGMAR, Bioprospecting, The International Tegime for Bioprospecting: Existing Policiesand Emergine Issues for Antartica, Information Paper IP-075-UK, NO, sottoposto dalla Norvegia e dalRegno Unito alla ATCM XXVI (giugno 2003).527 L'obbligo di garantire la libertà di accesso ai risultati delle ricerche scientifiche (effettuate nell'Antartideo sul fondale oceanico) stabilito dal Trattato pertinente è un obbligo che incombe su ogni Parte neiconfronti di tutti gli altri Contraenti (obbligo erga omnes partes contractantes). Ogni Stato parte avrebbequindi la legittimazione attiva a far valere il rapporto di responsabilità.

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Fin dal Preambolo, la Convenzione di Rio riconosce il ruolo vitale che nella

conservazione della biodiversità giocano le comunità rurali, spesso custodi di conoscenze

di grande interesse per la tutela e lo sfruttamento sostenibile della diversità biologica.

Essendo fallito ogni tentativo di istituzionalizzare dei meccanismi per rendere

operativi a livello multilaterale i (non meglio precisati) diritti degli agricoltori, l'iniziativa

è stata affidata, in maniera non sorprendente, ai singoli Stati.

Il riconoscimento del farmer's privilege attraverso l'adozione di normative ad hoc sui

ritrovati vegetali è senz'altro lo strumento ancora oggi più diffuso.

Una soluzione più avanzata e particolarmente innovativa è stata introdotta

recentemente in India con l'emanazione del Plant Variety Protection and Farmers Rights

Bill del 2001. Questo atto ribadisce il diritto degli agricoltori a piantare e a vendere come

semi il frutto del proprio raccolto528. Secondo l'art. iv, sez. 39, infatti, il contadino 'shall

be deemed to be entitled to save, use, sow, resow, exchange, share or sell his farm

produce including seeds of a variety protected under this Act in the same manner as he

was entitled before the coming into force of this Act'.

L'unico limite posto alla vendita dei semi è che questi non siano 'branded', cioè

impacchettati ed etichettati come sementi della varietà protetta529.

Gli agricoltori possono inoltre registrare in apposite banche dati le linee vegetali da

essi detenute. L’accesso a queste varietà da parte dei costitutori ai fini della creazione di

varietà essenzialmente derivate (essentially derived varieties) è subordinato al consenso

delle comunità di villaggio in possesso del materiale fitogenetico di partenza.

Parte delle royalties ottenute dai costitutori - è questa la previsione più innovativa

introdotta dal Bill - sono versate ad un National Gene Funds e gestite da un organo

amministrativo (Plant Variety Authority) per finanziare progetti di sostegno

all’agricoltura e di conservazione delle aree rurali530.

528 Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, le industrie semenziere controllano una parte moltopiccola del mercato. In India, in modo particolare, l'87% dei semi viene venduto direttamente dai contadini(SAHAI, India: Plant Variety Protection, Farmers' Rights Bill adopted,http://www.twnside.org.sg/title/variety.htm, visitato il 27 settembre 2003). Ci si potrebbe domandare se ilsistema sui generis di protezione delle varietà vegetali posto in essere dal Plant Variety Protection andFarmers Rights Bill abbia i requisiti di 'efficacia' richiesti dall'Accordo TRIPs (art. 27, par. 3, lett. b)). Inogni caso, la questione dovrebbe essere analizzata anche in base al già menzionato art. 8 dello stessoAccordo. Sul Plant Variety Protection and Farmers Rights Bill, vedi SAHAI, op. cit.529 Plant Variety Protection and Farmers Rights Bill, sez. 39, par. iv.530 Un meccanismo simile è previsto all’art. 66 della Legislazione modello (non vincolante) adottatadall’Unione africana il 6 ottobre 1998 (African Model Legislation for the Protection of the Rights of LocalCommnities, Farmers and Breeders and for the Regulation of Access to Biological Ressources,consultabile a partire dal sito www.biodiv.org, pagina base).

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2.6 Ripartizione dei vantaggi e diritti dei popoli autoctoni

Secondo l’art. 8 della Convenzione di Rio:

' [c]haque Partie contractante, dans la mesure du possible et selon qu'il conviendra, ...sous réserve des dispositions de sa législation nationale, respecte, préserve et maintientles connaissances, innovations et pratiques des communautés autochtones et locales quiincarnent des modes de vie traditionnels présentant un intérêt pour la conservation etl'utilisation durable de la diversité biologique et en favorise l'application sur une plusgrande échelle, avec l'accord et la participation des dépositaires de ces connaissances,innovations et pratiques et encourage le partage équitable des avantages découlant del'utilisation de ces connaissances, innovations et pratiques'531.

La tutela dei popoli indigeni è un valore riconosciuto ormai da tempo a livello

internazionale532. Si tratta di collettività umane insediate nei propri territori da tempi

antichissimi che nei secoli scorsi sono stati vittime di genocidi e spoliazioni. Se le loro

terre sono state a lungo considerate dai colonizzatori come delle res nullius, mero oggetto

di conquista e appropriazione, ancora oggi queste popolazioni sono spesso oggetto di

gravi ingiustizie e discriminazioni.

531 Convenzione di Rio, art. 8, lett. j), corsivo aggiunto.532 Il diritto degli individui appartenenti a 'ethnic, religious or linguistic minorities' a professare e praticarela propria religione, usare il loro linguaggio e godere della propria cultura è affermato nel Pattointernazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (art. 27). Nella prassi dell'UN Human RightsCommittee, si è fatto più volte riferimento alle popolazioni indigene come 'national minorities' ai sensi delmenzionato art. 27 (per quanto riguarda gli Indiani nel Costa Rica, vedi UN-Doc. A/35/40, p. 79, par. 352).La definizione di 'popolo indigeno' è piuttosto controversa, e rende necessario all'operatore giuridico ilricorso ad altre discipline ed universi esplicativi quali l'etnologia e le scienze antropologiche. LaConvenzione OIL del 1989 (vedi infra) mostra al riguardo un approccio piuttosto innovativo, mettendol'accento, non soltanto sui caratteri oggettivi (comunanza di lingua, religione, etc.), ma anche su quellosoggettivo, ovverosia l'autoidentificazione, la percezione che i membri del gruppo hanno di sé stessi neiconfronti del resto della collettività nazionale (art. 1, par. 2: '[l]e sentiment d'appartenence indigène outribale doit être considéré comme un critère fondamental pour déterminer les groupes auxquels s'appliquentles dispositions de la présente convention' ). Con tutti i distinguo necessari, si può notare un parallelo conl'evoluzione ermeneutica avvenuta nell'ambito del diritto internazionale penale in riferimento ai gruppietnici, linguistici e religiosi protetti dalle norme pattizie e consuetudinarie che vietano il genocidio. Ci siriferisce alla prassi dell' ICTR ed in particolare alla sentenza Akayesu (disponibile sul sitohttp://www.un.org, pagina base), la quale ha posto le basi per l'interpretazione dinamica e modernasviluppata successivamente dal Tribunale. L’importanza delle popolazioni autoctone nella gestione dell’ambiente è stata riconosciuta dal Principio22 della Dichiarazione di Rio (cit.), secondo il quale ‘[l]es populations et communautés autochtones et lesautres collectivités locales ont un rôle vital à jouer dans la gestion de l’environnement et le développementdu fait de leurs connaissances du milieu et de leurs pratiques traditionnelles. Les Etats devraientreconnaître leur identité, leur culture et leurs interest, leur accorder tout l’appui nécessaire et leur permettrede participer efficacement à la realisation d’un développement durable’.

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Viene in rilievo, a questo proposito, la Convenzione relativa ai popoli indigeni e

tribali, elaborata nell'ambito dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Convenzione

169/1989)533.

Divenendo parte a questa Convenzione gli Stati si impegnano, con la collaborazione

dei popoli interessati, a prendere le misure necessarie per 'promouvoir la pleine

réalisation des droits sociaux, économiques et culturels de ces peuples, dans le respect de

leur identité sociale et culturelle, de leurs coutumes et traditions et de leurs

institutions'534. Proteggendo i loro 'valeurs et les pratiques sociales, culturelles,

religieuses et spirituelles'535, e tenendo nella dovuta considerazione ‘la nature des

problèmes qui se posent à eux, en tant que groupes comme en tant qu'individus'536.

533 Vedine il testo in www.ilo.org (pagina base). Questa convenzione ha rappresentato senz’altro un passoimportante nel riconoscimento dei diritti collettivi delle comunità indigene, superando l'approccio dellaConvenzione OIL 107/57 (Convenzione relativa alle popolazioni aborigine e tribali), volta a garantirel'assimilazione delle popolazioni autoctone. Riconosce invece il loro diritto a vivere e svilupparsi come comunità autonome, 'dans le respect de leuridentité sociale et culturelle, de leurs coutumes et traditions et de leurs institutions' (Convenzione 169/89,art. 2, par. 2, lett. b). E’ necessario soffermarsi sull’utilizzo, fin dal titolo, del sostantivo 'popoli' (peoples) al posto della parola'popolazioni' (populations) presente nel testo del 1957. Il cambiamento lessicale è stato una delle questionipiù controverse della negoziazione, visto il rilievo specifico che il vocabolo ha assunto nel dirittointernazionale. Tuttavia, come emerge dai lavori preparatori, l'impiego del termine non implica in alcunmodo il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione di cui sono titolari in virtù del dirittoconsuetudinario i popoli sottoposti al giogo di un Governo coloniale, razzista o straniero (sull'argomento siveda HEINTZE, The Protection of Indigenous Peoples under the ILO Convention, in Amazonia e Siberia.Legal Aspects of the Preservation of the Environment and Development in the Last Open Spaces (a cura diBOTHE, ZURDZIDEM e SCHIDT), UK, 1993, pp. 318 ss.). L'art. 1, par. 3, della Convenzione riconosceche 'the use of the term 'peoples' in this convention shall not be construed as having any implications asregards the rights which may attach to the term under international law'. La self determination deve essereintesa quindi in questo contesto come una forma di autodeterminazione interna, ovverosia, per citare leparole della Draft Declaration on the Rights of Indigenous Peoples (Ginevra 1993), 'the right to theautonomy or self-government in matters relating to their internal and local affairs, including culture,religion, education, information, media, health, housing, employment, social welfare, economic activities,land and resources management, environment and entry by non-members, as well as ways and means forfinancing these autonomous functions' (art. 31). A tale riguardo si vedano anche FALK, The Rights ofPeoples (In Particular Indigenous Peoples), in The Rights of the Peoples (a cura di CRAWFORD),Oxford, 1988, pp. 17 ss.; A. CASSESE, Self Determination of Peoples, New York, 1995, pp. 315 ss.;FOSTER, Articulating Self-Determination in the Draft Declaration on the Rights of Indigenous People, inEJIL, 2001, pp. 141 ss.). Che il diritto internazionale non attribuisca ai popoli autoctoni un diritto disecessione non suscita stupore. Questo violerebbe l'integrità territoriale degli Stati, minacciando uno deifondamenti della vita di relazioni interstatuali. Negli ultimi anni taluni autori (v. in particolare ANAYA, Indigenous People in International Law, NewYork, 1996 e MEIJKNECHT, Towards International Personality: The Protection of Minorities andIndigenous People in International Law, Oxford, 2001) hanno sostenuto che sarebbe emersa (o si starebbecomunque cristallizzando) una norma consuetudinaria che garantisce una limitata soggettività ai popoliindigeni. Se tale prospettiva può essere interessante dal punto di vista de lege ferenda, non sembracorrispondere allo stato attuale del diritto. In questo lavoro, in armonia peraltro con le conclusioni di unadottrina maggioritaria, si considereranno le collettività autoctone, non come soggetti di diritto, bensì comemere beneficiarie degli obblighi liberamente contratti dagli Stati o che incombono su di loro in virtù deldiritto internazionale non scritto.534 Convenzione OIL 169/89, art. 2.535 Ibidem, art. 5, lett. a).536 Ibidem, art. 5, lett. a).

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Per realizzare questi obiettivi, la Convenzione richiede che ogni Parte, prima di

adottare misure legislative o amministrative che li concernono, consulti i popoli

interessati 'par des procédures appropriées, et en particulier à travers leurs institutions

répresentatives, chaque fois que l'on envisage des mesures législatives ou administratives

susceptibles de les toucher directement'537. La partecipazione al processo decisionale,

oltre alla fase di elaborazione delle politiche, deve riguardare anche la loro messa in

opera e la valutazione successiva538.

Per quanto concerne lo sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche, la

Convenzione riconosce in primo luogo i diritti dei popoli sulle proprie terre539 e sulle loro

risorse naturali540. Specifica poi all’art. 15:

' [d]ans le cas où l'Etat conserve la propriété des mineraux ou des ressources du sous-solou des droits à d'autres ressources dont sont dotées les terres, les gouvernements doiventétablir ou maintenir des procedures pour consulter les peuples intéressés dans le but dedéterminer si et dans quelle mesure les intérêts des ces peuples sont ménacés avantd'entreprendre ou d'autoriser tout programme de prospection ou d'exploitation desressources dont sont dotées leurs terres. Les peuples intéressés doivent, chaque fois quec'est possible, participer aux avantages découlant de ces activités et doivent recevoir uneindemnisation équitable pour tout dommage qu'ils pourraient subir en raison de tellesactivités.'541

Sembra ragionevole pensare che anche le attività regolate dai contratti di

bioprospezione possano essere sussunte fra i programmi ‘de prospection ou

d’exploitation des ressources’. In riferimento alle risorse biologiche e genetiche situate

sui territori dei popoli autoctoni, un’analisi letterale e teleologica della Convenzione

conduce all'identificazione di tre obblighi essenziali che gravano sugli Stati parte:

1) nel caso di contratti (o trattati) di bioprospezione da esso stesso stipulati, lo Stato

dovrà consultare e coinvolgere nel processo decisionale la popolazione indigena

(possibilmente attraverso i suoi organi rappresentativi) e garantirle la partecipazione

ai vantaggi economici542;

2) qualora lo Stato riconosca in capo ai privati la facoltà di effettuare validamente atti di

disposizione delle risorse biologiche e genetiche, ai sensi dell'art. 17, par. 3, dovrà

537 Ibidem , art. 6.538 Ibidem, art. 7.539 Ibidem, art. 14.540 Ibidem, art. 15.541 Ibidem, art. 15, par. 2 (corsivo aggiunto).

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prendere le misure necessarie per impedire '[a]ux personnes qui n'appartiennent pas à

ces peuples... de se prévaloir des coutumes desdits peuples ou de l'ignorance de leurs

membres à l'égard de la loi en vue d'obtenir la propriété, la possession ou la

jouissance de terres leur appartenant'543;

3) dovrà comunque prevedere nella propria legislazione le disposizioni adeguate per

sanzionare ogni utilizzazione non autorizzata di queste terre ed adottare i

provvedimenti necessari per impedire le infrazioni544.

Nell'eventualità (tutt'altro che remota) di contrasti circa l’interpretazione e

l’applicazione delle norme della Convenzione, potranno trovare applicazione le

disposizioni pertinenti dello Statuto istitutivo dell'Organizzazione internazionale del

lavoro545.

Si deve però sottolineare che la protezione offerta dalla Convenzione relativa ai

popoli indigeni e tribali è molto debole. Lo strumento, sebbene formalmente vincolante,

offre agli Stati un margine amplissimo di discrezionalità nell'interpretazione delle norme.

Ciò è attestato non soltanto dall'indeterminatezza di un linguaggio oltremodo prudente,

ma dal tenore stesso dell'art. 34, secondo il quale 'la nature et la portée des mesures à

prendre pour donner effet à la présente convention doivent être déterminées avec

souplesse, compte tenu des conditions particulières à chaque pays'546.

2.7 Biopirateria e protezione delle tecnologie collettive

542 Secondo il combinato disposto degli artt. 6 e 15, par. 2.543 Corsivo aggiunto.544 Ibidem, art. 18.545 E’ risaputo che i meccanismi di risoluzione delle controversie previsti dallo Statuto istitutivodell’Organizzazione internazionale del lavoro sono molto avanzati, anche se le loro grandi potenzialità nonsono state, se non raramente, sfruttate.546 Questa disposizione, che ricalca verbatim l'art. 28 della Convenzione 107/57, mostra bene la riluttanzadegli Stati ad assumersi obblighi incisivi e definiti in questo settore delicato della loro vita interna. Non simancherà di rimarcare inoltre il numero esiguo delle Parti contraenti (all’ottobre 2003 sono parte allaConvenzione 17 Stati: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Danimarca, RepubblicaDomenicana, Ecuador, Figi, Guatemala, Honduras, Messico, Norvegia, Olanda, Paraguay, Perù,Venezuela). Mentre secondo il principio pacta tertiis nec nocent neque prosunt (codificato dall'art. 34 dellaConvenzione di Vienna sul diritto dei trattati) tutti gli altri Stati non sono vincolati dalla disciplina pattizia,è inutile evidenziare come il diritto consuetudinario in materia di diritti dei popoli autoctoni sia ancoramolto più incerto e lacunoso.

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Un profilo diverso riguarda la protezione nei singoli ordinamenti delle conoscenze

indigene (sulle caratteristiche mediche e di altro tipo delle risorse biologiche, in

particolar modo vegetali) attraverso strumenti di tutela della proprietà intellettuale.

Di chiara impronta eurocentrica, i diritti di proprietà intellettuale quali si sono

sviluppati negli ultimi due secoli, mentre riconoscono e remunerano gli investimenti di

capitale e il lavoro intellettuale degli scienziati, sono del tutto inadeguati a garantire la

protezione delle conoscenze e delle tecnologie collettive (cooperative innovations)547. Si

tratta di saperi trasmessi oralmente di generazione in generazione, considerati come una

proprietà comune al gruppo sociale e talvolta, nel caso dei popoli autoctoni, soggetta a

limiti culturali e tabù548.

Per quanto riguarda la concessione di brevetti, è alquanto improbabile che i saperi

delle comunità tribali o rurali rispondano ai requisiti richiesti dalle legislazioni nazionali.

Nella consapevolezza che la valutazione dovrebbe essere svolta caso per caso, si possono

effettuare tuttavia alcune considerazioni di ordine generale. In primis, quasi sempre

risulta impossibile identificare un preciso e singolo contributo creativo (inventive step).

In secundis, si tratta di conoscenze generalmente condivise e applicate da intere

collettività, considerate di dominio pubblico (prior art) e, pertanto, non nuove. In tertiis,

può essere difficile dimostrare che tali conoscenze siano suscettibili di applicazione

industriale in base a rigorosi parametri di scientificità.

Come è stato più volte messo in evidenza, anche gli altri diritti di proprietà

intellettuali (marchi, indicazioni geografiche, etc.) offrono una protezione chiaramente

inadeguata549.

Nonostante queste difficoltà di carattere tecnico-giuridico, il diritto a vedersi

riconosciute dagli Stati forme sui generis di diritti di proprietà intellettuale collettiva è

547 A dispetto delle loro origini storiche: si pensi ai monopoli che venivano concessi dalla Corona odall'aristocrazia governante ad entità collettive come corporazioni o gilde (i fabbricanti di vetro di Venezia,etc.).548 BLAKENEY, Intellectual Property in the Dreamtime, Oxford, 1999(http://www.oiprc.ox.ac.uk/EJWP1199.html), par. 1, lett. b). Come è stato evidenziato da Daes,‘indigenous people do not view their heritage as property at all – that is economic benefits – but in terms ofcommunity and individual responsibility. Possessing a song, story or medical knowledge carries with itcertain responsibilities to show respect and maintain a reciprocal relationship with the human beings,animals, plants and places which the song, story or medicine is connected. For indigenous people, heritageis a bundle of relationship rather than a bundle of economics rights’ (riportato in BLAKENEY, IntellectualProperty, op. cit, par. 3).549 La letteratura in materia è ormai vastissima. Si rinvia qui a BODEKER, op. cit.; PURI, Is Traditionalor Cultural Knowledge a Form of Intellectual Property? (atti dell'Oxford Intellectual Property ResearchCenter Seminar, Oxford, 18 gennaio 2000, rinvenibili in Internet al sitohttp://www.oiprc.ox.ac.uk/EJWP0100.pdf); POSEY, International Property Rights and Just Compensationfor Indigenous Knowledge, in Amazonia and Siberia, op. cit., pp. 284 ss. ; BLAKENEY, IntellectualProperty, op. cit.

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stato rivendicato dai rappresentanti dei popoli autoctoni in numerosi forum internazionali550 .

Sia nel quadro dell'UNESCO che della WIPO, sono in corso attualmente studi sulla

creazione di strumenti giuridici idonei a tutelare i diritti collettivi di proprietà intellettuale

e la cultura indigena in particolare551 e alcuni Stati hanno già emanato legislazioni ad

hoc552.

Se numerose proposte sono state avanzate per introdurre disposizioni sui diritti

collettivi di proprietà intellettuale all'interno dell'Accordo TRIPs, allo stato attuale non

550 Si veda la Declaration on the Cultural and Intellectual Property Rights of Indigenous People (Mataatua,1993, estratti in BLAKENEY, Intellectual Property, op. cit., par. 5). Più recentemente il Summit deiPopoli Autoctoni ha consacrato grande attenzione alla protezione del patrimonio culturale e della proprietàintellettuale nella Dichiarazione di Ottawa del 31 marzo 2001. La Dichiarazione, che fa esplicitoriferimento alla Convenzione sulla Biodiversità (par. 36), riconosce come la cultura e le conoscenzecollettive siano indissociabili dai rapporti fisici e spirituali intrattenuti dalle comunità autoctone con la terrae le risorse naturali (par. 31). In maniera più specifica, il par. 34 afferma che ‘en cas d’exploitation à desfins commerciales… le consentement libre et éclairé du peuple autoctone doit être obtenu’ (corsivoaggiunto). Secondo le rivendicazioni contenute nel documento, i popoli autoctoni dovranno essere ‘lesprincipaux bénéficiaires’ e ricevere una ‘compensation continue et objectivement juste et équitable’(ibidem, par. 34, corsivo aggiunto). Numerose associazioni e organizzazioni non governative si sono fatte portatrici di queste esigenze.Merita menzione, a questo proposito, la c.d. Dichiarazione di Bellagio (11 marzo 1993), frutto di unaconferenza tenutasi fra giuristi, antropologi, ed esperti di industria (vedine il testo in InternationalIntellectual Property, op. cit., pp. 123-125).551 Fino a qualche anno fa, soprattutto in riferimento al patrimonio artistico, veniva utilizzata la definizionedi folklore. Molti paesi (in particolare di lingua spagnola) hanno criticato l’uso di questo termine, non esente da unacerta connotazione negativa ed utilizzato per indicare le creazioni di civiltà ‘arretrate’ o ‘inferiori’. Apartire dagli anni '90, nei forum internazionali si preferisce parlare di cultura indigena o tradizionale.(BLAKENEY, Intellectual Property, op. cit., par. 1).552 A livello internazionale merita attenzione l'Accordo ‘Copyright and the Cultural Heritage’, elaborato nel1977 all'interno dell'Organizzazione africana per la proprietà intellettuale. Secondo la definizione moltoampia di folklore che è stata accolta, questo include 'scientific knowledge and works: practices andproducts of medicine...' (art. 46). I prodotti della farmacopea tradizionale sono considerati comeappartenenti alla 'cultural heritage of the nation' (art. 45) ed è vietato di 'unlawfully denaturate, destroy,export, sell, alienate or transfer, in whole or in part, any of the constituent elements of the cultural heritage'(art. 50). L'Accordo prevede che in ogni Stato le royalties derivanti dallo sfruttamento del patrimonioetnografico comune siano utilizzate per scopi sociali e culturali dopo che l'autorità nazionale competenteabbia fissato le regole di accesso. Richiede poi che siano previste sanzioni penali severe per chi violiconsapevolmente le disposizioni poste a tutela dell'eredità culturale (art. 74). I risultati concretidell’applicazione di questa Convenzione negli ordinamenti nazionali sono comunque lungi dall’esseresoddisfacenti. (BODEKER, op. cit.). Una soluzione abbastanza efficace è stata trovata in alcuni Paesi attraverso la concessione di marchi o dibrevetti per modelli di utilità (petty patents). Questi ultimi sono dei certificati che conferiscono una tutelainferiore a quella brevettuale ad invenzioni le quali hanno richiesto minori investimenti e rispondono astandard meno stringenti di innovatività. Rilasciati generalmente nell'ambito del design, i brevetti permodelli di utilità attribuiscono all'inventore l'esclusiva per un periodo più breve di tempo (di solito 10 anni)e sono molto più facili ed economici da ottenere. In Kenya, la legge sui diritti di proprietà intellettuale èstata emendata nel 1989 per permettere il rilascio di petty patents sulle conoscenze mediche tradizionali(LESSER, op. cit., par. 4.2). Forme di protezione sui generis sul ‘patrimonio culturale’ (trattamenti mediciindigeni inclusi) sono previste anche in Camerun (le principali legislazioni nazionali sulla protezione delleconoscenze tradizionali sono consultabili sui Internet a partire dal sito www.biodiv.org, pagina base).

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esiste alcun obbligo internazionale che vincoli gli Stati membri dell’OMC a dotarsi di tali

normative553.

In effetti, gli Stati che hanno stipulato la Convenzione OIL 169/89 hanno il dovere di

rinforzare e promuovere l'artigianato, le industrie rurali e comunitarie dei popoli

autoctoni, le attività tradizionali come la caccia, la pesca e la raccolta (art. 23).

Ai sensi della Convenzione, i Governi devono 'respecter l'importance spéciale que

rêvet pour la culture et les valeurs spirituelles des peuples intéressés la relation qu'ils

entretiennent avec les terres ou territoires, ou avec les deux, selon le cas, qu'ils occupent

ou utilisent d'une autre manière, et en particulier des aspects collectifs de cette

relation'554. In base all'art. 12, inoltre, '[l]es peuples intéressés doivent bénéficier d'une

protection contre la violation de leurs droits et pouvoir engager une procédure légale,

individuellement ou par l'intermédiaire de leurs organes représentatifs, pour assurer le

respect effectif de ces droits'.

La previsione di forme di protezione del patrimonio culturale dei popoli indigeni è

certamente conforme allo scopo della Convenzione, ma l'assenza nel testo di ogni

riferimento esplicito rende difficile, sia pur attraverso un'interpretazione teleologica o

effettiva555, individuare un obbligo specifico a carico degli Stati di modificare in tal senso

le proprie legislazioni nazionali556.

Per ragioni che saranno subito illustrate, l’assenza di ogni pubblicità e/o

riconoscimento ufficiale delle conoscenze e delle risorse nei Paesi di origine ha evidenti

conseguenze internazionali, e costituisce un incentivo alla ‘biopirateria’.

La prassi mostra come sia piuttosto agevole per i ricercatori e gli etnobotanici (o le

aziende di cui sono dipendenti) ottenere nel loro Stato di nazionalità o altrove dei

553 In dottrina, Puri ha ipotizzato ad es. la modifica degli articoli 22, 23 e 24 dell’Accordo TRIPs perrendere obbligatoria la tutela delle conoscenze indigene. Un emendamento dell’art. 27, par. 2 dello stessoAccordo dovrebbe prevedere secondo lo stesso autore la brevettabilità delle conoscenze e delle risorseindigene (PURI, op. cit.). La modifica dell’Accordo TRIPs in modo da rendere obbligatoria in tutti gliStati membri la protezione delle conoscenze tradizionali è stata proposta in seno all’OMC dai paesi africani(doc. IP/C/W/404 del 26 giugno 2003, disponibile su Internet in www.wto.org, pagina base) e, in unacomunicazione congiunta di Brasile,Cuba, Ecuador, India, Perù, Tailandia e Venezuela (The RelationshipBetween the TRIPs Agreement and the Convention on Biological Diversity and the Protection ofTraditional Knowledge, doc. IP/C/W/403 del 4-5 giugno 2003, disponibile su Internet in www.wto.org,pagina base).554 Convenzione OIL 169/89, art. 13 (corsivo aggiunto).555 Basata cioè sul principio dell’effetto utile: ut res magis valeat quam pereat (A. CASSESE, Diritto, op.cit., p. 203).556 A testimonianza di una maggiore sensibilità della comunità internazionale negli anni '90, i diritti diproprietà intellettuale sono stati menzionati esplicitamente nella Draft Declaration on the Rights ofIndigenous People, il cui art. 29 recita: 'Indigenous people are entitled to the recognition of the fullownership, control and protection of their cultural and intellectual property. They have the right to specialmeasures to control, develop and protect their sciences, technologies and cultural manifestations, including

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monopoli sulla produzione e la commercializzazione di sostanze estratte da risorse

naturali le cui proprietà erano note da tempo nella farmacopea delle popolazioni indigene

o rurali, così come sui geni responsabili della loro sintesi, sui procedimenti di

lavorazione, etc.557

Gli uffici competenti, infatti, consentono entro certi limiti di brevettare nuovi usi di

un prodotto già noto558; inoltre, nell'esame concreto delle domande, l'identificazione e

l'estrazione del principio attivo o l'individuazione del gene codificante la proteina di

interesse industriale sono state più volte ritenute idonee al soddisfacimento del requisito

di attività inventiva559. La scienza e la tecnica vengono utilizzate in qualche modo per

aggirare la tutela delle culture e dei saperi indigeni!

human and other genetic resources, seeds, medicines, knowledge of the properties of fauna and flora, oraltraditions, literatures, designs and visual and performing arts'.557 Nel 1999, dopo aver analizzato i brevetti e i certificati concessi in Australia, Stati Uniti, Nuova Zelandae Africa del Sud, la RAFI (Rural Advancement Foundation International), ha recensito 142 casi di presunta'biopirateria', riguardanti piante alimentari o medicinali suscettibili di applicazione industriale. Secondo lestime della stessa fondazione, il costo annuale della ‘biopirateria’ per i paesi in via di sviluppo (in terminidi royalties non percepite) sarebbe di circa 4 miliardi di dollari (www.rafi.org, pagina base). Il brevetto USPatent No 5484889 copre, ad es. una proteina di un frutto (Momordica charantia) già utilizzato nellafarmacopea orientale come antitumorale. Fra le piante le cui proprietà hanno costituito per molti oggetto di‘biopirateria’ si ricordano la taumatina (pianta dell'Africa Occidentale da cui è stato estratto un potentedolcificante), la mostarda indiana, lo Smallanthus Sonchifolius (una pianta andina simile al girasole cheproduce una sostanza zuccherina non metabolizzata dal corpo umano), il curaro (già noto alle popolazionidell'Amazzonia per il suo potere anestetico), il Tiki uba (utilizzato da alcune tribù amazoniche, contiene uncomposto brevettato dalla Merck capace di inibire la coagulazione del sangue)... Secondo alcune stime, il 74% dei prodotti farmaceutici ha lo stesso uso o usi correlati a quelli cheavevano nelle medicine tradizionali (RUBIN, FISH, Biodiversity Prospecting: Using InnovativeContractual Provisions to Foster Ethnobotanical Knowledge, Technology, and Conservation, in CJIELP,1994, p. 27). Per una sintesi efficace sulla biopirateria vedano, SHIVA, La biopiraterie, ou le pillage de la nature etde la connaissance, Paris, 2002; FABBRI, OGM per tutti, Milano, 2002; ROUDART, op. cit., pp. 78 ss.;PETERSON, op. cit., p. 283. Per una rassegna estremamente dettagliata di invenzioni accusate da più parti di essere frutto di‘biopirateria’, vedi GABAGLIO, MINERVA, Giù le mani dagli sciamani, in L'Espresso, 4 settembre 2003,che elenca diversi brevetti sfuggiti, in gran parte, alla dottrina giuridica. Un ultimo episodio che ha sollevato particolare indignazione nelle opinioni pubbliche di tutto il mondoè stato il rilascio da parte di alcuni uffici nazionali di brevetti sul frumento Nap Hal (vedi, ad es. Us PatentNo 5859315, 1999). Si tratta di un cereale coltivato da secoli in India ed utilizzato per produrre il ‘Chapati’,il pane nazionale indiano noto per la sua croccantezza. La società riconosceva nella richiesta di brevettoche il Nap Hil, nonostante fosse di origine indiana, era ‘freely avaiable from several public germoplasmcollection’. Rivendicava poi l’esclusiva sulla commercializzazione delle piante (e della farina prodotta dalgrano) per aver purificato gli esemplari in suo possesso, rendendoli omogenei attraverso un processo diselezione ed individuato scientificamente la bassa percentuale di glutine e la scarsa viscoelasticità dellafarina prodotta. Qualità, queste, che la rendevano particolarmente adatta alla produzione di wafers ecrackers (sic!). Il 3 febbraio 2004, un’organizzazione agricola indiana, sostenuta da Greenpeace e daVandana Shiva, ha presentato un ricorso all’Ufficio europeo dei brevetti, per chiedere l’annullamentedell’EP No 445929, brevetto avente contenuto del tutto analogo all’Us Patent No 5859315 e attualmenteproprietà della Monsanto. Sul Nap Hal, cfr. DI STEFANO, La multinazionale ha depositato in Europaun’esclusiva sul frumento con cui si fa il ‘Chapati’, in La Repubblica, 13 febbraio 2004.558 Sulla brevettabilità di nuovi usi di prodotti già noti, riconosciuta con ampiezza negli Stati Uniti e inEuropa, vedi Intellectual Property and International Trade, op. cit., p. 201; PATERSON, The Patentabilityof Further Uses of a Known Product Under the European Patent Convention, in EIPR, 1991, pp. 16 ss.559 Come si è già avuto modo di sottolineare, è molto comune la creazione di composti di sintesi non aventila stessa struttura chimica dei prodotti naturali a partire dai quali sono stati ricavati. Anche qualora le

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Se gli episodi di ‘biopirateria’ registrati in letteratura hanno raggiunto ormai un

numero piuttosto elevato, ci si soffermerà qui soprattutto sul caso sicuramente più

famoso: quello del neem (Azadirachta indica). Si tratta di una pianta conosciuta da secoli

in India e il cui nome, di origine persiana, significa ‘albero libero’.

Menzionata in testi antichissimi come rimedio per molte malattie era utilizzata da

tempi immemorabili dalle popolazioni contadine per scopi farmaceutici e fitosanitari.

A partire dagli anni ’80, tuttavia, alcune società statunitensi, giapponesi e tedesche

sono riuscite ad ottenere decine di brevetti su numerosi biopesticidi, farmaci ed

emulsioni derivati dai principi attivi del neem, provocando in tutta l’India un diffuso

movimento di protesta.

Alcune associazioni private indiane ed europee hanno impugnato innanzi all’Ufficio

brevetti europeo il brevetto n° 0436257BI detenuto congiuntamente dalla multinazionale

W.R. Grace e dal Governo degli Stati Uniti560. Questo è stato revocato il 10 maggio 2000

dall’Ufficio europeo dopo che i ricorrenti avevano fornito le prove documentali idonee a

dimostrare l’uso precedente della (pretesa) invenzione e la sua appartenenza al

patrimonio di conoscenze comuni già note (public domain knowledge)561.

L’annullamento del brevetto concesso dall’Ufficio europeo, salutato da Vandana

Shiva come la rottura delle catene dell’albero libero’562, ha avuto un grande significato

simbolico ed è stato accompagnato da altri casi di revoca di brevetti frutto di

‘biopirateria’563.

Questi episodi sembrano tuttavia eccezionali piuttosto che paradigmatici e la

contestazione dei singoli brevetti affidata soltanto all’iniziativa degli attori privati non

pare essere, da sola, una soluzione soddisfacente. Controversie legali di questo tipo,

infatti, appaiono estremamente lunghe (nel caso del neem, ad esempio, il brevetto è stato

revocato sei anni dopo la sua contestazione) e costose564.

comunità indigene o rurali riuscissero ad ottenere dei brevetti o altre forme di protezione sui prodottinaturali, questi cambiamenti ‘cosmetici’ renderebbero difficile dimostrare che ‘patent rights are beinginfringed'. (BOSSELMANN, op. cit., p. 144).560 SHIVA, Il mondo, op. cit., pp. 57-60. Sulla vicenda, vedi GRAHAM, DUTFIELD, op. cit., p. 66 e pp.132 ss., nel quale sono elencati alcuni dei più importanti brevetti concessi su prodotti derivati dal neem.561 SHIVA, Campi, op. cit., p. 42.562 SHIVA, Campi, op. cit., p. 42.563 Per ragioni analoghe al caso del neem è stato annullato il brevetto US Patent No 5401504, concesso nel1995 sulle caratteristiche cicatrizzanti del curcuma, note da secoli in India e sulle quali avevano scrittoricercatori indiani a partire dagli anni ‘50. Sorte analoga ha subito l’US Patent No 5304718 concesso nel1994 su un cereale (quinoa) che, prelevato dalla Bolivia, era coltivato nelle Ande fin dai tempi delle civiltàpreincaiche (ROUDART, op. cit., p. 78; GRAHAM, DUTFIELD, op. cit., p. 67).564 Per avere un ordine di grandezza, le procedure legali per contestare un brevetto, costano in media negliStati Uniti più di 200 000 dollari (ROUDART, op. cit., p. 79; BOSSELMANN, op. cit., p. 143).

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Nonostante il supporto dei Governi nazionali o delle organizzazioni non governative

per fornire risorse economiche e competenze tecniche, azioni del genere sono spesso al di

fuori della portata di molti paesi in via di sviluppo e della maggioranza delle comunità

territoriali.

E’ evidente che, in casi analoghi , il rilascio nei paesi di origine di forme di protezione

di diritti collettivi sulle conoscenze delle popolazioni autoctone o rurali renderebbe più

facile la prova dell'uso precedente ai fini della contestazione dei brevetti concessi negli

altri Stati.

Senza ricorrere alla modifica della legislazione sulla proprietà intellettuale, una

funzione analoga di pubblicità potrebbe essere svolta dalla catalogazione in registri

ufficiali delle conoscenze tradizionali e indigene da diffondere ai principali uffici brevetti

del mondo565.

D’altra parte, per quanto riguarda i Paesi nei quali i brevetti vengono concessi, la

richiesta della menzione obbligatoria del Paese di origine delle risorse biologiche

potrebbe in molti casi essere utile per evitare episodi di biopirateria, facilitando gli organi

competenti nella verifica rigorosa dell’esistenza dei requisiti di novità e non ovvietà.

2.8 Biorazzia, biopirateria e 'spazio giuridico europeo'

Il rapporto stretto fra tutela dell’ambiente e diritti umani è stato abbondantemente

messo in evidenza in dottrina566. Non soltanto esiste un’ampia letteratura in materia, ma

occorre rilevare che, più volte, gli organi istituiti dalle convenzioni internazionali sulla

tutela dei diritti dell’uomo, ed in particolar modo la Corte europea dei diritti dell’uomo

(per il resto del paragrafo Corte europea), si sono pronunciati su problematiche di natura

ambientale.

La prassi delle istituzioni di Strasburgo mostra che, anche nell’assenza di un esplicito

riferimento ad un diritto degli individui di terza generazione ad un ambiente pulito (right

to a clean environment), alcune questioni ambientali possono essere considerate in

relazione ad altri diritti umani fondamentali. Nelle sentenze relative agli affari Lopez-

565 Dei database di questo tipo sono stati sviluppati in India in collaborazione con le comunità locali dallaSociety for Research and Iniziative for Sustainable Technologies and Institutions. Il Governo indiano stapreparando una serie di CD Rom sulle conoscenze mediche tradizionali da diffondere agli uffici brevettoall’estero (BODEKER, op. cit.).566 Vedi, per tutti, Human Rights Approaches to Environmental Protection (a cura di BOYLE eANDERSON), Oxford, 1996. Cfr. anche supra, capitolo I.

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Ostra (1995) e Guerra (1996), la Corte europea ha riconosciuto, ad esempio, che un serio

inquinamento può pregiudicare il benessere degli individui ed impedire loro il godimento

della propria abitazione, tanto da violare il diritto (garantito dall’art. 8 della Convenzione

europea) al rispetto della vita privata e familiare567…

Pare ragionevole ritenere che, nei prossimi anni, i tribunali internazionali si troveranno

ad affrontare casi relativi alla realizzazione di invenzioni biotecnologiche suscettibili di

arrecare danni all’ambiente o alla salute umana. Come è stato messo in evidenza da

Pavoni, anche la concessione di brevetti potrebbe incidere sui diritti individuali

riconosciuti e tutelati da alcune convenzioni internazionali568.

Limitando qui il discorso alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti

dell'uomo e delle libertà fondamentali, è evidente che la Corte europea potrebbe

sindacare la legittimità non soltanto degli atti posti in essere dagli uffici brevetto

nazionali, ma anche - in maniera indiretta - da parte dell'Ufficio brevetti europeo.

La Corte europea ha infatti riconosciuto più volte che, anche qualora gli Stati

istituiscano delle organizzazioni internazionali, o stipulino accordi internazionali per

raggiungere la cooperazione in certi ambiti di attività, essi non sono assolti dagli obblighi

derivanti dalla Convenzione569. In concreto, i Governi potrebbero essere chiamati a

rispondere degli atti attraverso i quali i propri organi hanno dato esecuzione alle

decisioni dell'Ufficio europeo dei brevetti, a prescindere dal fatto che il compimento di

questi atti fosse imposto da un impegno assunto sul piano internazionale attraverso la

stipulazione della Convenzione di Monaco570.

Il ricorso al procedimento internazionale regolato dalla Convenzione europea per la

salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali potrà assumere nei prossimi

anni un rilievo importantissimo, sottoponendo al vaglio degli organi di Strasburgo la

concessione di brevetti sulle tecniche di terapia genica, su materiale di origine umana

(cellule, tessuti, geni, etc.) o sulle invenzioni a partire da questo sviluppate.

567 Tutte le sentenze della Corte europea sono consultabili su Internet, all’indirizzo www.echr.coe.int. Conspecifico riferimento alla giurisprudenza relativa a questioni di natura ambientale, v. M. A.FITZMAURICE, International Protection, op. cit., pp. 315 ss.568 PAVONI, Brevettabilità, op. cit., p. .569 ‘Where States establish international organisations, or mutatis mutandis international agreements, topursue cooperation in certain fields of activities, there may be implications for the protection offundamental rights. It would be incompatible with the purpose and object of the Convention if ContractingStates were thereby absolved from their responsibility under the Convention in relation to the field ofactivity covered by such attribution’ (Affare TI c. Regno Unito, Decisione di ammissibilità del 7 marzo2000).570 In merito, v. VITUCCI, Il controllo della Commissione europea dei diritti dell’uomo sugli attidell’Ufficio europeo dei brevetti, in RDI, 1994, pp. 737 ss.

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Tale ambito, sia pur affascinante, va al di là dei confini della presente indagine571.

571 Soltanto per dare un’idea delle dimensioni che ha assunto il fenomeno, si ricorderà come siano già staticoncessi nel mondo brevetti su moltissimi geni e cellule umane (cellule ematiche, cellule staminali delmidollo osseo, etc.). La società americana Celera Genomics ha richiesto da sola brevetti per molte migliaiadi sequenze geniche umane e, secondo alcune stime, l’Ufficio brevetti americano avrebbe già rilasciato1250 brevetti sulle sequenze genetiche umane! (cfr. www.greenpeace.it, pagina base) Particolarmente ricercato dai nuovi ‘cacciatori di geni’ è il materiale biologico delle popolazioni o deigruppi etnici che hanno praticato a lungo l’endogamia per ragioni geografiche o culturali. Si trattasoprattutto di popolazioni tribali, ma anche di alcuni gruppi etnici dell’India, di alcune minoranze ebraiche,della popolazione islandese, sarda, etc. (vedi anche OCCORSIO, Le risorse del Dna degli eremiti, in LaRepubblica, Affari e finanza, 15 dicembre 2003). Compagnie farmaceutiche hanno recentemente stipulatoun accordo per avere accesso al patrimonio genetico della popolazione islandese e concluso un contratto di‘bioprospezione’ con il Governo cinese per raccogliere (ed eventualmente brevettare) il DNA di alcunetribù abitanti in regioni particolarmente isolate (quest’ultimo contratto è stato concluso dalla societàfrancese Genset, cfr. SHIVA, Il mondo, op. cit., p. 6). Recentemente, l’impresa biotecnologica australianaAutogen Limited ha ottenuto un brevetto per aver individuato un gene legato alla pinguedine in unapopolazione delle isole Tonga. Gli abitanti di queste isole (poco più di 100.000) presentavano un altapredisposizione al diabete e all’obesità e proprio per questo la società australiana si era assicuratal’esclusiva per gli studi sul loro DNA (Il caso/1, Nelle Isole Tonga brevetto per il DNA, in La Repubblica,9 ottobre 2003). Si registrano anche in letteratura famosi episodi di ‘biorazzia umana’. Nel 1993 suscitò scalpore eindignazione nelle opinioni pubbliche il fatto che il Governo degli Stati Uniti avesse presentato domande dibrevetto all’USPTO e ad altri uffici esteri su un virus ricavato da un campione di sangue prelevato ad unadonna indiana della tribù guayami da un ricercatore del National Institute of Health (che è parte delMinistero della salute); la domanda fu ritirata a seguito delle proteste dei media e delle organizzazioni nongovernative. Sempre il Governo degli Stati Uniti nel 1995 richiese ed ottenne un brevetto su un virus T-lintrofico umano (Htlv-1) ricavato dai tessuti di cittadini della Papua Nuova Guinea. L’episodio èparticolarmente significativo perché provocò la protesta ufficiale di alcuni Governi delle isole del Pacificodel Sud (RIFKIN, op. cit., pp. 102 ss.). Facendo pensare alla disponibilità a stipulare contratti di bioprospezione, nel 1996 la Indian Society ofHuman Genetics ha chiesto il bando del trasporto di ‘sangue intero, delle linee cellulari, del DNA, deimateriali fossili e scheletrici’, in attesa di un accordo che specifichi ‘gli obiettivi del progetto, il materialescientifico che si prevede di raccogliere, i vantaggi economici ed il modo di condividerli nel presente e nelfuturo’ (ibidem, p. 105 e s.) Ora, come riconosciuto dalla Conferenza delle Parti alla Convenzione di Rio, le norme stabilite dallaConvenzione non trovano applicazione al genoma umano. Non è comunque da escludersi che la prassi deiGoverni porti all’affermazione, per molti versi aberrante, della sovranità degli Stati sulle risorse geneticheumane delle proprie popolazioni. Allarmata dalla crescente mercificazione del patrimonio genetico umano, nel novembre del 1997 laConferenza generale dell’UNESCO ha cercato di affermare, con l’adozione della Dichiarazione universalesul genoma umano e sui diritti umani (http://unesco.org/ibc/uk/genome/projet/index.html) il principio delgenoma umano come patrimonio dell’umanità (ai sensi dell’art. 1della Dichiarazione, ‘[l]e génome humainsous-tend l’unité fondamentale de tous les membres de la famille humaine, ainsi que la reconnaissance deleur dignité intrinsèque et de leur diversité. Dans un sens symbolique, il est le patrimoine de l’humanité’. Inmerito, vedi anche SULSTON, Le génome humain sauvé de la spéculation, in Le monde diplomatique,dicembre 2002). Questo strumento non vincolante non sembra per adesso aver prodotto risultati concreti. Prive di ogni conseguenza sono rimaste sicuramente le dichiarazioni enfatiche di molti Capi di Stato e diGoverno, come il comunicato comune di Blair e Clinton del 14 marzo 2000, che auspica un libero accessoai dati concernenti il genoma umano ed incoraggia gli scienziati a renderli di dominio pubblico (citato inhttp://ogmdangers.org/brevets/Appel.html, consultato il 27/5/2003). Tali dichiarazioni non hanno arrestatoovviamente la concessione di brevetti sui geni umani da parte dei rispettivi uffici brevetti nazionali! Mentre il fenomeno della brevettabilità dei geni e delle cellule umane potrebbe dare nuovo significato alconcetto di ‘biopotere’ teorizzato da Foucault, esso suscita non poche perplessità, prima che sul pianointernazionale, alla luce dei molti ordinamenti che, come il nostro, riconoscono il principio personalisticocome principio costituzionale, se non supercostituzionale. Evidentemente, il tema non può essere affrontatoin questa sede. A conclusione di questa lunga nota, ci si limiterà a constatare come la patrimonialità delmateriale genetico, non meno che il commercio degli organi, sembri segnare la caduta di un fondamentaleprincipio, morale oltre che giuridico, basato sul rifiuto di considerare il corpo umano e le sue componenticome oggetto di proprietà e di commercio. Come ammonisce Giovanni Berlinguer, ‘[s]u questo principio si

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Limitandosi ai casi affrontati in questo paragrafo, relativi ad atti di biopirateria e di

biorazzia, ci si domanderà se la Corte di Strasburgo, in virtù delle proprie competenze

ratione materiae e ratione personae, potrebbe accogliere i ricorsi delle persone che si

ritenessero lese dalla concessione di forme di tutela della proprietà intellettuale da parte

degli organi delle Alte Parti contraenti.

Tenendo presente che, come è ovvio, ogni ricorso dovrebbe essere esaminato nella sua

specificità e alla luce di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, si possono

distinguere comunque con estrema approssimazione due fattispecie diverse.

Nel primo caso immaginiamo che, a seguito della concessione di forme di protezione

della proprietà intellettuale su invenzioni sviluppate a partire da materiale illecitamente

prelevato all’estero (biorazzia), una volta esaurite le vie di ricorso interne572, un

individuo (o un gruppo di individui) in possesso della risorsa biologica nel paese di

origine della medesima adisca la Corte per chiedere l'annullamento del brevetto o della

privativa concessa, o per ottenere altrimenti un’ ’equa soddisfazione'573 .

Nel secondo caso (biopirateria), supponiamo invece che, avanzando analoghe pretese,

facciano ricorso alla Corte gli individui che ritengano violati i propri diritti di proprietà

intellettuale sulle caratteristiche (farmaceutiche, chimiche, etc.) di un determinato

materiale biologico.

In entrambi i casi, la competenza della Corte ratione personae dovrebbe essere

analizzata alla luce dell’art. 1 della Convenzione, ai sensi del quale ‘[l]es Hautes Parties

contractantes reconnaissent à toute persone relevant de leur juridiction les droits et

libertés définis au titre I de la présente Convention’. Attraverso un’interpretazione

evolutiva di questo articolo, la Corte ha riconosciuto che 'the concept of 'jurisdiction'… is

not restricted to the national territory of the Contracting States. Accordingly, the

è costruita, attraverso idee e azioni, gran parte della civiltà moderna: dall’habeas corpus all’abolizionedella schiavitù, dal diritto alla salute alla liberazione della donna. Oggi, quando molti legami di solidarietàsembrano allentarsi, questo principio può essere una delle basi per il riconoscersi di ciascuno come partedel genere umano, mentre la sua violazione ci farebbe arretrare di secoli’ (G. BERLINGUER, Contro ilmercato degli organi, in Le Scienze quaderni. Bioetica (a cura di DEFANTI, FLAMINGHI, MORI),Milano, febbraio 1996, p. 85). Per un tour d'horizon sui problemi sollevati dalla brevettabilità di sequenze di DNA umano, vedi BYK,La déclaration universelle sur le génome humain et les droits de l’homme, in JDI, 1998, pp. 675 ss.; BYK,Bioétique et Convention européenne des droits de l'homme, in La Convention européenne des droits del’homme (a cura di PETITTI, DECAUX, IMBERT), Paris, 1999, pp. 101 ss; BYK, Le génie génétique: uneingénierie diabolique ou les méprises de la politique européenne, in RIDC, 2002, pp. 338 ss., GALLOUX,op. cit., pp. 498 ss.572 Ai sensi dell'art. 35.573 Ai sensi dell'art. 41.

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responsibility of Contracting States can be involved by acts and omissions of their

authorities which produce effects outside their own territory’574.

Nelle due fattispecie qui analizzate (biorazzia e biopirateria), la concessione da parte

di uno Stato di forme di tutela della proprietà intellettuale, ed in particolar modo di

brevetti, potrebbe rendere più onerosa, come si è visto, la possibilità dei cittadini del

Paese di origine di esportare certi prodotti, impedire loro di ottenere delle forme di

protezione della proprietà intellettuale, nonché di effettuare vantaggiosi contratti di

bioprospezione qualora la legislazione nazionale conferisca loro la facoltà di disporre

delle risorse genetiche in loro possesso.

I cittadini stranieri sarebbero danneggiati dall’atto posto in essere da un ufficio

brevetti di una Parte contraente, dovendo soccombere, in un certo qual modo, all’autorità

dello Stato straniero.

Detto questo, alla luce della prassi più recente degli organi di Strasburgo, non si può

escludere che, in casi di questo tipo, un’interpretazione evolutiva dell’art. 1 potrebbe

portare la Corte europea a considerare i ricorrenti soggetti alla giurisdizione di un’Alta

Parte contraente ai sensi dell’art. 1 della Convenzione e ad accogliere la loro domanda

come fondata ratione personae.

Per quanto riguarda l’eventuale competenza ratione materiae, è evidente che la

questione può essere affrontata con difficoltà e grande approssimazione sul piano teorico

e speculativo, dato che le circostanze di fatto relative a ciascun episodio concreto

inciderebbero in maniera determinante sulla scelta delle norme la cui violazione potrebbe

essere invocata. Anche se non può escludersi il ricorso ad altre disposizioni575, con

maggiore probabilità potrebbe venire in rilievo l’art. 1 del Primo protocollo addizionale,

adottato a Parigi il 20 marzo 1952 (rubricato ‘Protezione della proprietà’), secondo il

quale:

'[t]oute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut êtreprivé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues parla loi et les principes généraux du droit international.Les dispositions precedentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats demettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaries pour réglementer l’usage des biensconformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôt ou d’autrescontributions ou des amendes’576.

574 Caso di Loizidou c. Turchia, sentenza del 18 dicembre 1996 (merito), par. 51, consultabile su Internetnel sito della Corte europea dei diritti umani, cit. supra.575 Ad es. all’art. 8 della Convenzione, posto a tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare.576 Su questo articolo, vedi PADELETTI, Art. 1, Protezione della proprietà, in Commentario allaConvenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (a cura di BATOLE, CONFORTI,

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Questa norma è l’unica nella Convenzione che ha espressamente ad oggetto la

protezione di un diritto patrimoniale e per questo, secondo molti giuristi, potrebbe

rappresentare nel futuro la base giuridica per consentire agli organi di Strasburgo di

effettuare un controllo più incisivo - sia pur nel riconoscimento del margine di

apprezzamento statale - sui provvedimenti adottati dai Governi in numerosi settori delle

loro politiche pubbliche.

Per quanto riguarda la concessione di brevetti frutto di biorazzia, non sembra

comunque che, almeno a prima vista, la norma potrebbe essere invocata con successo.

Anche nel caso eccezionale in cui la legislazione nazionale del Paese di origine

consentisse ai ricorrenti la facoltà di disporre delle risorse biologiche e genetiche in loro

possesso, potrebbe risultare difficile dimostrare un legame di casualità diretta fra il

rilascio da parte degli organi di uno Stato terzo di un brevetto e la lesione di un valore

patrimoniale tutelabile ai sensi dell’art. 1 del Primo protocollo.

Un problema ancora più complesso attiene all’attribuzione da parte degli organi statali

di diritti di proprietà intellettuale su invenzioni frutto di biopirateria. Si deve rimarcare

che il campo di applicazione materiale della norma in questione, col passare degli anni è

stato allargato progressivamente attraverso un’interpretazione estensiva del concetto di

bene (bien in francese, in inglese possession).

Per espresso riconoscimento della Corte, il concetto di ‘biens’ ai sensi dell’‘article 1

du Protocole n. 1 a une portée autonome qui ne se limite certainement pas à la propriété

de biens corporels: certains autres droits et intérêts constituant des actifs peuvent aussi

passer pour des ‘droits de propriété’, donc pour des ‘biens’ au fins de cette

disposition’577.

Alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale, la nozione di ‘bene’ è venuta ad

abbracciare, oltre che la proprietà sui beni mobili ed immobili, i diritti soggettivi relativi

come i diritti di credito e altri interessi aventi un valore patrimoniale, quale ad esempio

RAIMONDI), Padova, 2001, pp. 801 ss.; Law of the European Convention on Human Rights (a cura diHARRIS, O’BOYLE, WARBRICK), London, 1995, pp. 516 ss.577 Sentenza del 23 febbraio 1995, Gasus Dossier – und Fördertechnik GmgH c. Pays-Bas, par. 53, citatoin PADELETTI, op. cit., p. 803). Il fatto che l’articolo faccia riferimento alla protezione della proprietà non è stato considerato dunquecome costituente un impedimento ad un’interpretazione estensiva, benché in alcuni ordinamenti che sirifanno soprattutto alla tradizione giuridica tedesca, soltanto la cosa di natura materiale (la Sache) siaconsiderata come atta a costituire in senso tecnico oggetto di proprietà (ALCARO, Appunti di dirittoprivato, Napoli, 2001, p. 60). Si è già visto, peraltro, come la maggioranza di ordinamenti riconosca ormai la nozione giuridica di‘proprietà intellettuale’. Non è irrilevante constatare che, in ambito europeo, la Carta dei diritti

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l’avviamento commerciale. Anche la proprietà intellettuale rappresenta ormai un ‘bene’

del quale gli Stati parte al Protocollo si impegnano a garantire un ‘peaceful

enjoiment’578!

Nel caso di invenzioni sviluppate a partire dalle conoscenze di popolazioni autoctone

e rurali, i ricorrenti (ad esempio uno sciamano locale) dovrebbero dimostrare che il

provvedimento adottato dagli organi dello Stato contraente si è sostanziato de facto in

una compressione del loro diritto di godere e disporre della propria proprietà intellettuale,

concretando una lesione giuridica illegittima ai sensi del Protocollo di Parigi. Che i

ricorrenti non potessero vantare un diritto di proprietà intellettuale attribuito loro dagli

organi competenti dello Stato in questione sarebbe del tutto irrilevante, ai presenti fini.

La Corte ha infatti precisato più volte che ‘il ne lui appartient pas de trancher la question

de savoir s’il y a ou non droit de propriété au niveau interne. Elle rappelle… que la

notion de ‘bien’… de l’article 1 du Protocole n. 1 a una portée autonome’579.

Una difficoltà maggiore sorgerebbe per i ricorrenti in conseguenza del fatto che la

protezione attribuita dall’articolo in esame copre soltanto il godimento di beni ‘attuali’ e

non le aspettative di profitti futuri580.

In conclusione, non si può fare a meno di notare che, anche alla luce della teoria che

considera la Convenzione europea uno ‘strumento vivente’ (living instrument),

l’accoglimento di domande di questo tipo richiederebbe alla Corte uno sforzo notevole di

‘creatività giurisprudenziale’ che verrebbe a scontrarsi, oltre che con ostacoli di tipo

tecnico-giuridico, con numerose difficoltà di carattere politico.

2.9 Ripartizione dei vantaggi: trasferimento finanziario e trasferimento tecnologico

Uno dei meccanismi per garantire una partecipazione effettiva ai benefici derivanti

dallo sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche è senz’altro, oltre al trasferimento

di risorse finanziarie, la messa a disposizione delle tecnologie sviluppate agli Stati di

origine, e se del caso, alle comunità indigene.

fondamentali dell’Unione europea garantisce la protezione della proprietà intellettuale sotto la rubrica‘Diritto di proprietà’ (art. 17, par. 2, vedine in testo in Codice, op. cit., p. 326).578 Questa conclusione, a proposito di un brevetto, è stata raggiunta nell’affare Smith Kline and FrenchLaboratories c. Netherlands (No 12633/87). In merito, cfr. Law of the European Convention, op. cit., p.517.579 Sentenza del 16 settembre 1996 relativa al caso Matos e Silva, citato in PADELETTI, op. cit., p. 803.580 Affare Marckx c. Belgio, sentenza del 13 marzo 1978, citato in PADELLETTI, op. cit., p. 805.

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Si è visto come il già citato art. 16, par. 3, della Convenzione di Rio richieda il

trasferimento delle tecnologie realizzate a partire da un determinato materiale genetico ai

paesi fornitori, soprattutto se in via di sviluppo. Più in generale, e indipendentemente dal

luogo di origine del materiale biologico (non necessariamente genetico), nel caso di

invenzioni sviluppate a partire da pratiche e conoscenze delle popolazioni locali, un

adeguato trasferimento tecnologico potrebbe facilitare il ‘partage équitable des

avantages’ auspicato dal preambolo della Convenzione581.

Preme ricordare a questo punto che, una volta introdotta l’invenzione nel Paese

fornitore F, la sua riproduzione e il suo utilizzo verranno disciplinati dalla legislazione

nazionale di F.

Come si è visto, nessuna royalty sarà versata al titolare T di un brevetto all’estero

qualora T non abbia richiesto il brevetto all’ufficio competente di F o non lo abbia

ottenuto, ad esempio, perché l’invenzione non riceve alcuna tutela giuridica

nell’ordinamento del Paese fornitore F582.

In molti casi, qualora T si rifiuti di esportare la propria invenzione verso F, il

trasferimento tecnologico potrebbe essere imposto dallo Stato B che ha rilasciato il

brevetto attraverso la concessione di licenze obbligatorie al Governo del Paese fornitore

o a suoi cittadini.

Occorre infatti muovere da una semplice considerazione: la mera disclosure

dell’invenzione, soprattutto qualora si tratti di nuove varietà di piante, semi, linee

cellulari, varietà vegetali, etc., non è sufficiente a permetterne la riproduzione senza

avere accesso al materiale di riproduzione.

A questo punto si pone immediatamente il problema della compatibilità di tale

politiche con le disposizioni dell'Accordo TRIPs. Una prima restrizione alla libertà di

azione degli Stati deriva dalle limitazioni che circondano l’attribuzione delle licenze

obbligatorie ai sensi del combinato disposto degli articoli 30 e 31 di tale Accordo.

Non si pretende di esaminare il problema in questa sede. Ci si limiterà a sottolineare

come gli articoli citati dovrebbero essere in ogni caso interpretati sistematicamente anche

581 Preambolo, 1° riconoscendo: ‘Reconnaissant qu’un grand nombre de communautés locales et depopoluations autochtones dépendent étroitement et traditionnellement des ressources biologiques surlequelles sont fondées leurs traditions et qu’il est souhaitable d’assurer le partage équitable des avantagesdécoulant de l’utilisation des connaissances, innovations et pratiques traditionnelles intéressant laconservation de la diversité biologique et l’utilisation durable de ses elements’.582 E’ questo il caso, ad esempio, di piante e animali nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Sarebbe auspicabile che i contratti di bioprospezione facessero divieto ai soggetti economici stranieri dirichiedere forme di protezione della proprietà intellettuale nel Paese di origine delle risorse, o comunqueprevedessero la concessione di licenze a condizioni particolarmente favorevoli.

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alla luce della Parte I dell’Accordo (‘General Provisions and Basic Principles’) e

praecipue dell’art. 8, par. 2, in virtù del quale

‘[a]ppropriate measures, provided that they are consistent with the provisions of thisAgreement, may be needed to prevent the abuse of intellectual property rights by rightholders or the resort to practices which unreasonably restrain trade or adversely affect theinternational transfer of technology’583.

Meno complessa, almeno apparentemente, è la questione circa la compatibilità della

concessione di un trattamento preferenziale al Governo o ai cittadini dello Stato fornitore

delle risorse col principio della nazione più favorita (most-favoured-nation treatment),

cardine di tutto il sistema normativo dell’OMC.

Ai sensi dell'art. 4 dell'Accordo TRIPs, '[w]ith regard to the protection of intellectual

property, any advantage, favor, privilege or immunity granted by a Member to the

nationals of any other country shall be accorded immediately and inconditionally to the

nationals of all other Members'.

Lo stesso art. 4 ammette al paragrafo d), alcune eccezioni e considera esenti

dall'obbligo della nazione più favorita 'any advantage, favor, privilege or immunity

accorded by a Member... deriving from international agreements related to the protection

of intellectual property which entered into force prior to the entry into force of the WTO

Agreement, provided that such agreements are notified to the Council for TRIPs and do

not constitute an arbitrary or unjustifiable discrimination against nationals of other

Members’.

Benché la Convenzione di Rio dedichi numerose disposizioni ai diritti di proprietà

intellettuale e riconosca esplicitamente la loro influenza sulla tutela e lo sfruttamento

sostenibile della biodiversità, la sua inclusione nella categoria degli accordi internazionali

'related to the protection of intellectual property' non sembra trovare una base sufficiente,

se non a costo di fare una forzatura eccessiva al testo.

Id est: in maniera non sorprendente la prassi uniforme degli Stati mostra come nessuna

Parte alla Convezione sulla biodiversità abbia menzionato questo strumento nelle

comunicazioni notificate al Consiglio TRIPs ai sensi dell’art. 4, par d)584.

Esiste dunque una incompatibilità fra i due strumenti?

583 Corsivo aggiunto. Sulla compatibilità degli artt. 30 e 31 dell’Accordo TRIPs con la Convenzione di Riocfr. BIRNIE, BOYLE, op. cit., p. 737.584 Tali comunicazioni sono rinvenibili nel sito dell’Organizzazione mondiale del commercio all’indirizzowww.wto.org (pagina base).

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Ad una più attenta analisi, il conflitto di obblighi fra l’Accordo TRIPs e la

Convenzione di Rio si rivela soltanto apparente.

Lo Stato B che ha rilasciato il brevetto potrebbe stanziare infatti dei fondi ad hoc per

acquisire esso stesso le licenze (anche senza ricorrere alle licenze obbligatorie) e

trasferire poi le tecnologie oggetto di tutela al paese di origine a condizioni agevolate,

attraverso eventualmente programmi di cooperazione in loco585.

Tale misura, mentre dal punto di vista della politica interna farebbe ricadere l’onere

del trasferimento tecnologico sulle finanze pubbliche dei paesi industrializzati invece che

sui titolari dei brevetti, sul piano internazionale consentirebbe comunque, attraverso un

meccanismo diverso, l’adempimento dell’obbligo di risultato imposto dagli artt. 16, par.

3, e 19, par. 2, della Convenzione di Rio, senza concretare violazione alcuna degli

impegni discendenti dall’appartenenza all’Organizzazione mondiale del commercio586.

2.10 (segue) Cactus dietetici e riso d’oro

Al di là di tutte queste considerazioni, l'analisi della prassi indica un trend diverso e

l’affidamento della ripartizione dei vantaggi economici direttamente alle clausole dei

contratti internazionali di bioprospezione conclusi fra gli operatori stranieri e gli Stati di

origine, oppure le persone fisiche o giuridiche alle quali i Governi hanno attribuito la

competenza a stipulare587. In quest’ultimo caso, alcune recenti legislazioni adottate per

regolare l’accesso alle risorse biogenetiche nazionali, prevedono un controllo statale per

verificare che gli accordi contemplino termini equi di ripartizione dei vantaggi

economici588.

585 Secondo la Convenzione di Rio, il trasferimento di tecnologia potrebbe essere finanziato anche dalfondo internazionale di cui all'art. 20. In assenza di un meccanismo di finanziamento più stabile, questasoluzione non ha dato per adesso risultati concreti apprezzabili.586 Lo stesso Accordo TRIPs, del resto, con riferimento alla categoria dei least developed countries586,richiede esplicitamente agli Stati sviluppati di ‘provide incentive to enterprises and institutions in theirterritories for the purpose of promoting and encouraging technology transfer to least-developed countrymembers in order to enable them to create a sound and viable technological base’. Sulla posizione dei paesiin via di sviluppo e dei paesi economicamente arretrati in seno all’organizzazione mondiale del commercio,vedi amplius, G. ADINOLFI, op. cit., pp. 91 ss.587 Non risulta invece, per adesso, la conclusione di veri e propri trattati di bioprospezione fra Stati.588 Molto avanzata è, a questo riguardo, la Legislazione modello africana adottata dall’Unione africana nel1998, in base alla quale l’Autorità nazionale competente, prima di concedere un’autorizzazione aprogrammi di bioprospezione deve assicurarsi che il richiedente abbia concluso un accordo sullaripartizione dei vantaggi con le popolazioni locali interessate e verificare che il consenso sia statovalidamente espresso (artt. 4 e 5). Previsioni analoghe sono contenute in Progetto di legge attualmente allo studio del Parlamentosudafricano (National Environmental Management: Biodiversity Bill, Progetto del 30 maggio 2003,

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Si tratta per lo più di contratti internazionali che, regolando l’acquisizione di

materiale biologico (contract of sale of goods), possono rientrare nell’ambito di

applicazione della Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni

mobili (Vienna, 1980)589.

Secondo un ben noto fenomeno di shopping giuridico, i contraenti restano liberi in

linea di principio di stabilire a quale legge nazionale (legge nazionale di uno dei

contraenti o di un paese terzo) sottoporre il contratto o alcune parti di esso relative alle

obbligazioni da fatto illecito, ai danni da prodotto, alla soluzione delle eventuali

controversie sull’interpretazione o esecuzione del contratto, etc.590

Si deve riconoscere con moderata soddisfazione che, a dodici anni dal

perfezionamento del contratto Merck-INbio, questo tipo di accordi ha conosciuto una

certa evoluzione, prevedendo royalties più alte e prendendo in considerazione gli

interessi delle popolazioni locali ed in particolar modo indigene591.

Da salutarsi positivamente in questo senso è il contratto stipulato nel marzo del 2002

dai rappresentanti delle tribù boscimane dell'Africa del Sud592 e dal Consiglio

sudafricano per la ricerca scientifica e industriale (CSIR), un istituto governativo che,

grazie alle conoscenze autoctone, qualche anno prima era riuscito ad identificare in un

cactus un principio attivo utile per lo sviluppo di nuovi farmaci antiobesità.

La sostanza era stata estratta dal Cactus Hoodia Gordonii, utilizzato da centinaia di

generazioni dalle tribù San per resistere alla fame e alla sete nel deserto, come attestato

da precedenti studi antropologici. Nonostante questo, il Consiglio sudafricano per la

ricerca scientifica e industriale aveva richiesto ed ottenuto nel 1996 un brevetto sul

principio attivo isolato, senza prendere in considerazione o remunerare in alcun modo le

conoscenze tradizionali del popolo San. Una licenza sul brevetto era stata concessa dal

CSIR alla società Phytopharm593; questa, a sua volta, si era accordata nel 1998 con il

consultabile su Internet all’indirizzo www.gov.za/gazzette/bills/2003/b30d-03.pdf), in particolar modo alcap. 6, rubricato ‘Bioprospecting Access and Benefit-Sharing’.589 Senza che sia qui possibile approfondire l’argomento, si evidenzierà come l’art. 42 della Convenzionesia suscettibile di particolare considerazione. Tale articolo disciplina l’obbligo dell’alienante di consegnarebeni liberi da ogni diritto o pretesa di terzi basata su una proprietà industriale che limiti la possibilità digodimento dei beni stessi (per ogni approfondimento, cfr. Convenzione di Vienna sui contratti di venditainternazionali di beni mobili. Commentario, (a cura di BIANCA), Padova, 1992).590 GALGANO, op. cit., p. 61.591 Benché nel Costa Rica siano presenti numerose comunità autoctone (lo Stato centroamericano èdivenuto parte nel 1993 alla Convenzione OIL 169/89), nessun riferimento a queste è presente nell'accordoMerk-INbio del 1991.592 Si tratta di una popolazione aborigena stabilitosi nell'Africa Meridionale secondo taluni 150 mila annifa. Attualmente sopravvivono circa 100 mila boscimani riuniti in tribù sparse fra il Sudafrica, la Namibia eil Botswana. Nessuno dei tre Stati è al momento (dicembre 2003) parte alla Convenzione OIL 169/89.593 Piccola impresa biotecnologica britannica specializzata nello sviluppo di farmaci a partire dalle piante.

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colosso biotecnologico Pfizer per la produzione di un farmaco che, attualmente in fase di

sviluppo, sembra possa fruttare nei prossimi anni alle due multinazionali milioni di

dollari.

Il recente accordo fra il CSRI ed i rappresentanti delle tribù boscimani, stipulato sotto

la pressione delle organizzazioni non governative e dell’opinione pubblica

internazionale, prevede che il CSRI trasferisca ad un conto fiduciario parte delle royalties

percepite in virtù del proprio brevetto. Gli introiti saranno sfruttati dai San per finanziare

programmi di istruzione e tutela sanitaria594.

La conclusione di accordi di trasferimento di materiale (material transfert

agreements) direttamente da parte delle comunità locali è prevista in numerosi

ordinamenti nazionali, come quello del Camerun595.

Qualora tale possibilità non sia contemplata e le risorse trasferite vengano utilizzate

dalle popolazioni locali, il coinvolgimento di queste collettività nella negoziazione dei

contratti resta comunque auspicabile.

Meritano attenzione a questo riguardo le proposte di David Putterman, uno studioso

che ha redatto, qualche anno fa, due schemi di contratti di bioprospezione che potrebbero

essere usati come modello dagli Stati e dagli operatori economici596.

L’autore prevede innanzitutto che le popolazioni locali e/o aborigene possano

divenire parte al contratto di bioprospezione (contratto plurilaterale), se del caso grazie al

594 L'accordo è stato stipulato in rappresentanza dei San da Petrus Vaalbooi, Presidente del South AfricanSan Council (MAGRINI, Quel cactus è un eroe, in Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2003). Secondo leinformazioni disponibili, le royalties si aggirerebbero intorno al 6-8% delle somme ricevute dal Consigliosudafricano per la ricerca scientifica ed industriale (GABAGLIO, MINERVA, cit.). Anche se l’accordo deve essere salutato positivamente e fornirà secondo alcune stime qualche milione didollari alla popolazione San, taluni osservatori hanno messo in evidenza che, alla fine dei vari trasferimentifinanziari (Phytopharm-CSIR, CSIR-San), il denaro introitato dai San sarà soltanto una percentualeminima (stimata da Biowatch intorno allo 0,003%, www.biowatch.org.za/csir-san.htm) del ricavato sullevendite nette dei farmaci sviluppati a partire dalle loro conoscenze tradizionali. Sul caso del Cactus Hoodia esiste già online una modesta letteratura (di carattere per lo più nonprevalentemente giuridico). Si consultino, ad es., i siti www.iprcommission.org (pagina base),www.unimondo.oneworld.net (pagina base), www.kalahari.peoples.org/documents/det%20drug.html. Per un contratto concluso precedentemente fra un’impresa farmaceutica ed una popolazione autoctona(peruviana), vedi GRAHAM, DUTFIELD, op. cit., p. 43.595 BODEKER, op. cit. Il caso del Camerun è emblematico perché testimonia bene quanto sia frammentatoil regime di accesso alle risorse biologiche, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Il prelievo di piccolicampioni di materiale biologico (al di fuori delle riserve forestali dei villaggi) è subordinato infatti alrilascio di un permesso da parte del Ministero della ricerca tecnica e scientifica, mentre l’autorizzazioneall’estrazione su larga scala delle risorse genetiche per scopi commerciali è di competenza del Ministerodell’ambiente e delle foreste (BODEKER, op. cit.). Come mostrano il caso del Brasile e dell’India, la ripartizione delle competenze è particolarmenteproblematica negli Stati federali e la creazione di un’unica autorità a livello centrale è stata oggetto dinumerose critiche. Per indicazioni sulla normativa malese sull’accesso alle risorse fitogenetiche, cfr. ANSARI, JAMAL, op.cit., p. 165.

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supporto tecnico di una organizzazione non governativa. Altre clausole piuttosto

avanzate dell’accordo-modello sono poste a tutela delle conoscenze delle popolazioni

autoctone. Secondo l’art. 3 dell’Annesso E (Terms of Intellectual Property Protection

and Commercialisation of MATERIAL or INVENTIONS) ‘[s]e una Parte dovesse

richiedere una protezione della proprietà intellettuale sulle invenzioni che coinvolgono

una conoscenza tradizionale delle comunità locali, tale Parte o il suo cessionario non si

comporterà in modo tale da restringere l’uso o la produzione delle, o i processi che

coinvolgono, sostanze che utilizzano la detta conoscenza tradizionale, come fitomedicine

o pesticidi naturali, all’interno del Paese fornitore’597.

Nel commentario all’accordo, Putterman non esclude la previsione di una cotitolarità

del diritto di inventore (shared inventorhip) da parte degli sciamani locali, qualora la

conoscenza tradizionale abbia giocato un ruolo essenziale nella creazione delle

invenzioni oggetto di tutela.

Attraverso i contratti di bioprospezione, i soggetti beneficiari dell'accesso alle risorse

(enti pubblici di ricerca, imprese o istituti privati) non dovrebbero impegnarsi soltanto a

versare alle comunità locali o al Paese fornitore una percentuale dei ricavi derivanti dalla

vendita dei prodotti sviluppati, ma anche un trasferimento a condizioni agevolate delle

tecnologie stesse598.

La previsione di tali meccanismi solleverebbe gli Stati parte alla Convenzione di

Rio dall’obbligo di garantire essi stessi il trasferimento tecnologico attraverso licenze

obbligatorie o altri provvedimenti interni.

Linee guida abbastanza simili a quelle proposte da Putterman sono state adottate, in

forma non vincolante, nel quadro della VI Conferenza delle Parti alla Convenzione di

Rio (aprile 2002) e sono note come Linee guida di Bonn599.

596 PUTTERMAN, op. cit. Proposte in parte analoghe erano state avanzate in precedenza, sia pur inmaniera meno sistematica da altri autori: cfr., ad esempio, RUBIN, FISH, pp. 23 ss.597 Testo originale in inglese.598 Ad esempio, secondo l’accordo-modello di Putterman ‘RECIPIENT will make a reasonable attempt toaddress concern of PROVIDER [and CONSENTING LOCAL COMMUNITIES] in developingINVENTIONS into commercial products or licensing said INVENTIONS for said development. Theseconcerns may include provisions to obtain products developed from said commercial development at costor at concessionary prices for citizens of SOURCE COUNTRY, or to codevelop low-cost extractscontaining active principle(s) used in said commercial products, such as phytomedicines.’ (Annesso E, art.5). Un meccanismo analogo è stato previsto a livello statale dalle normative filippine del 1995 e del 1996,disciplinanti l’accesso alle risorse genetiche del Paese. Prima di poter prelevare i campioni biologici ogenetici, gli operatori stranieri devono impegnarsi a concedere delle licenze ad una istituzioneappositamente designata dalle autorità filippine (cfr. UNEP/CBD/3/23 (5 ottobre 1996), p. 20, documentorinvenibile in Internet al sito www.biodiv.org, pagina base).599 Bonn Guidelines on Access of Genetic Resources and For the Equitable Sharing of the Benefits Arisingout of their Utilisation, adottate nella decisione VI/24. Il documento, peraltro estremamente complesso, èconsultabile su Internet all’indirizzo www.biodiv.org, pagina base).

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Per adesso, resta invece poco studiato il caso (non analizzato da Putterman) di

contratti di bioprospezione conclusi da un soggetto privato e da più Stati fornitori

detentori della stessa risorsa, soprattutto in ambito regionale (Patto andino, etc.). Si tratta

di strumenti inconsueti nel diritto commerciale ma che si attagliano meglio alle esigenze

di giustizia ed equità che costituiscono la ‘grundnorm’ del diritto ambientale e dello

sviluppo600.

Meno interessanti dal punto di vista giuridico sono le iniziative di carattere

filantropico poste in essere dai titolari di alcuni brevetti su invenzioni relative a materiale

biologico e genetico utili ai fini del progresso agronomico dei paesi poveri.

Si citerà soltanto l’iniziativa, molto pubblicizzata, dei titolari dei brevetti (circa 70)

sulle tecnologie per la produzione del c.d. golden rice, un riso transgenico che sintetizza

una sostanza curativa della carenza di vitamina A, patologia molto diffusa nei paesi in via

di sviluppo. Con un accordo inter se, nel 2000 i detentori dei brevetti si sono impegnati a

diffondere gratuitamente il golden rice nei paesi in via di sviluppo a fini di

miglioramento agricolo, facendo invece pagare le royalties per le licenze concesse nei

paesi ricchi601. E' probabile che iniziative volontarie di questo tipo, basate sulla

segmentazione del mercato mondiale, diventino sempre più diffuse fra le imprese

biotecnologiche, preoccupate di rilanciare la propria immagine pesantemente danneggiata

dalle accuse di 'biopirateria' (se non di ‘biocolonialismo’) e dall'avversione delle opinioni

pubbliche (in special modo europee) agli organismi geneticamente modificati.

2.11 (segue) Biotassa e World Gene Fund

In mancanza di un’unica convenzione che disciplini i numerosi aspetti dei diritti di

proprietà intellettuale legati allo sfruttamento della biodiversità, il regime internazionale

appare estremamente frammentato602.

600 Il termine Grundnorm (norma base) viene qui usato in senso lato e non nell’accezione giuridicamentepiù precisa che la parola ha assunto nell’elaborazione kelseniana e negli sviluppi della dottrina delpositivismo critico (v. KELSEN, Lineamenti, op. cit., pp. 43 ss.). Al principio di equità come ‘grundnorm’del diritto internazionale si riferisce Wolfrum (WOLFRUM, The Impact of the United Nations Conventionon the Law of the Sea on the Progressive Development of International Law, in IJIL, 1999, p. 622).601 OGM una risorsa, op. cit., p. 49. Sul golden rice, cfr. POTRYKUS, Golden Rice and its PotentialContribution to the Problem of Vitamin A-Deficiency Disorder, in AFSSA, Ogm et alimentation., Nancy,2002, pp. 149 ss.602 Si fa qui riferimento ai ‘regimi internazionali’ come ‘sets of implicit or explicit principles, norms, rules,and decision-making procedures around which actors' expectations converge in a given area ofinternational relations’ (KRASNER, International regimes, Ithaca, 1983, p. 186).

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Si deve sottolineare, inoltre, che la legislazione sui diritti di proprietà intellettuale

rappresenta in ogni Stato un mezzo importante per la promozione della tutela e dello

sfruttamento sostenibile della biodiversità. Le normative interne sono pertanto

influenzate, oltre che dalla partecipazione dei singoli Paesi agli strumenti internazionali a

vocazione universale (Convenzione di Parigi, Accordo TRIPs, Convenzione di Rio,

Convenzione sulla protezione dei popoli autoctoni), di carattere regionale (Convenzione

europea sui brevetti, Accordo NAFTA, etc.) o bilaterale, da scelte di politica economica

ed industriale.

In ordine ai diritti di proprietà intellettuale sul vivente, la situazione è complicata

ulteriormente dal diverso status giuridico del materiale biologico e genetico a partire dal

quale vengono realizzate le invenzioni oggetto di tutela: organismi prelevati nel territorio

di uno Stato, nell’alto mare, sul fondale oceanico, nell’Antartide, etc.

Per non parlare dei problemi complessi sollevati dall’utilizzo di cellule o componenti

subcellulari di origine umana, tema che potrebbe costituire da solo l’oggetto di un’altra

trattazione e col quale si è deciso qui di non cimentarsi.

L’entrata in vigore della Convenzione FAO sulle risorse fitogenetiche per

l’alimentazione e l’agricoltura, se rappresenterà una tappa importante nella garanzia della

sicurezza alimentare mondiale, contribuirà ulteriormente a rafforzare l’impressione di un

diritto internazionale disarticolato603.

Consapevole dei limiti del diritto vigente, gli Stati che hanno partecipato al Summit

mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (settembre 2002) hanno auspicato la

negoziazione nel quadro della Convenzione sulla biodiversità di un ‘regime

internazionale’ che disciplini in maniera unitaria il tema dell’accesso alle risorse

genetiche e, soprattutto, della ripartizione dei vantaggi derivanti dal loro sfruttamento604.

In attesa di ulteriori, auspicabili sviluppi, la realizzazione degli obiettivi della

Convenzione di Rio, volti a garantire una ripartizione equa dei benefici derivanti dallo

sfruttamento della biodiversità del pianeta, resta per adesso affidata essenzialmente ai

singoli Stati ed ai contratti di bioprospezione da essi stipulati con gli attori economici

stranieri pubblici o privati. L’analisi della prassi rende manifesto come, nonostante i

progressi compiuti, il panorama rimanga in gran parte insoddisfacente.

603 MALJEAN-DUBOIS, op. cit.604 Plan of Implementation, adottato nell’ambito del Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile diJohannesburg, par. 44, lettt. n), e o), (consultabili inwww.johannesburgsummit.org/html/documents/summit_docs/2309_planfinal.htm). Deve essere sottolineato che da tempo è attivo un Gruppo di lavoro ad hoc incaricato di studiare leprospettive di evoluzione del regime internazionale in tema di accesso alle risorse biogenetiche e allaripartizione dei vantaggi, istituito dalla Conferenza delle Parti alla Convenzione di Rio con decisione V/26.

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Non si mancherà mai di sottolineare l'importanza dell'elemento economico ai fini

della salvaguardia della biodiversità mondiale e della concreta operatività della

Convenzione di Rio. I principi di equità e di common but differentiated responsibilities,

ampiamente riconosciuti nel tessuto normativo della Convenzione, hanno ricevuto per

adesso un’esigua concretizzazione ed i paesi in via di sviluppo, sul cui territorio è situata

la maggior parte delle specie viventi, sono privi del tutto delle risorse finanziarie e

tecnologiche necessarie a porre in essere programmi efficaci di tutela ambientale. E’ del

resto comprensibile come, in situazioni di emergenza sociale e sanitaria, le priorità

economiche dei Governi nazionali si indirizzino secondo un’ottica di breve periodo alla

lotta alla povertà, ‘la più grande fonte di inquinamento’ nelle parole di Indira Ghandi.

Nello scenario attuale, contraddistinto da crescenti ed inaccettabili ingiustizie nella

distribuzione del reddito mondiale, le organizzazioni internazionali come la FAO,

l’UNDP o l'UNEP, i cui progetti di cooperazione sono finanziati essenzialmente da

contributi volontari (nell' an e nel quantum) degli Stati, rischiano di essere degradate a

poco più di semplici notariati, consessi nei quali si producono documenti pieni di buone

intenzioni, ma senza alcuna reale portata. E’ necessario che la comunità internazionale

consacri tutti i propri sforzi e le sue energie affinché gli obiettivi dell’Agenda 21 ed i

Millennium Goals non subiscano la stessa sorte delle grida manzoniane risolvendosi, per

usare la felice espressione di Abi Saab, in impronte sulla sabbia della storia dell’umanità.

Del resto, ogni osservatore può constatare una contraddizione fra le dichiarazioni dei

Capi di Stato, l’alta tensione ideale che anima i grandi forum internazionali e, dall'altro

lato, i reali sforzi budgetari dei paesi del Nord605.

Come sottolineato in maniera chiara e dettagliata in uno studio recente

(Alesine&Dollar 2000), all'alba del terzo millennio la cooperazione finanziaria resta

soprattutto uno strumento utilizzato dagli Stati industrializzati per il soddisfacimento dei

propri interessi strategici606.

605 Salvo alcune rimarcabili eccezioni (Danimarca, Svezia, Norvegia e Paesi Bassi), i paesi sviluppati sonomolto lontani dal consacrare all'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) lo 0,7% del loro prodotto interno lordo,come più volte raccomandato dalle Nazioni Unite a partire dalla Risoluzione 2626/1970 dell’AssembleaGenerale. Per una serie convergente di ragioni, fra le quali i tagli budgetari crescenti praticati nei paesiricchi per arginare la crescita dei deficit pubblici, gli ultimi anni sono stati caratterizzati anzi da unadiminuzione progressiva dell'APS che è passato dai 61 miliardi di dollari del 1992 ai 51,6 miliardi del 2001(www.oecd.org, pagina base).606 Si può constatare in particolar modo come gli Stati ricchi concedano aiuti economici soprattutto ai Paesirientranti nella loro sfera di influenza, come ad esempio le ex colonie. Studi empirici hanno dimostratol'esistenza di una correlazione molto stretta fra i flussi finanziari e il fatto che il paese destinatario sia unalleato di voto in seno all'Assemblea Generale.

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Se i rapporti bilaterali trasformano gli aiuti ai paesi poveri in un 'levier

géopolitique'607, la 'nuova frontiera' del diritto internazionale ambientale e dello sviluppo

è la ricerca di forme innovative di finanziamento obbligatorio delle organizzazioni

multilaterali. Soltanto meccanismi automatici potranno offrire alla comunità

internazionale delle risorse permanenti, al riparo dai cambiamenti di politica interna in

Europa, negli Stati Uniti, o altrove.

Durante la Conferenza mondiale sui cambiamenti atmosferici, tenutasi a Toronto nel

giugno 1988, considerazioni di questa natura spinsero alcune organizzazioni non

governative ad avanzare l’idea pionieristica di un Fondo mondiale per l’atmosfera (World

Atmosphere Fund) finanziato in parte dai paesi industrializzati attraverso una tassa sul

consumo della benzina608.

Fra le tante proposte di 'tassazione’ su scala mondiale609 che si sono da allora

succedute, la più famosa è la c.d. Tobin tax, un’imposizione fiscale sui movimenti

internazionali di capitali che, se trova la sua ratio principale nel disincentivo alla

speculazione di breve periodo e nella stabilizzazione dei mercati valutari, permetterebbe

secondo recenti studi econometrici di raccogliere risorse finanziarie non trascurabili da

destinarsi a programmi di cooperazione allo sviluppo610.

E’ evidente, tuttavia, che la semplice trasposizione della logica della Tobin tax alle

esportazioni delle sementi, o addirittura – come pure si è talvolta ventilato – dei prodotti

agricoli, condurrebbe a risultati perversi. Accentuerebbe infatti le spinte protezionistiche,

facendo sopportare paradossalmente costi pesanti proprio ai paesi in via di sviluppo, i cui

prodotti diventerebbero meno competitivi sul mercato mondiale in seguito ad un

incremento del prezzo finale. Numerosi e raffinati meccanismi economici sono stati

immaginati dagli studiosi per permettere un trasferimento di risorse dai paesi ricchi a

quelli meno industrializzati a titolo di ricompensa per l'uso del germoplasma tramite la

creazione di fondi statali o internazionali.

Per quanto l’aspetto istituzionale venga spesso tratteggiato sommariamente in studi di

natura più economica che giuridica, prima di proseguire nella trattazione preme

sottolineare innanzitutto che l’utilizzo in questo contesto dell’espressione ‘imposta

internazionale’ o di locuzioni analoghe non sembra appropriato.

607 GABAS, Nord Sud: L'impossible coopération?, Paris, 2002.608 Citato in UICN, Draft articles Prepared by IUCN, cit., p. 8 (gentilmente messo a disposizione dalservizio giuridico dell’UICN).609 Per le necessarie precisazioni terminologiche vedi infra.610 BRUNHOFF, JETIN, Tobin tax:una misura forte contro l’instabilità finanziaria, in Il granello disabbia. I pro e i contro della Tobin tax (a cura di BELLOFIORE, BRANCACCIO), Milano, 2002, pp. 105ss.

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E’ difficile infatti immaginare la realizzazione di un prelievo coatto sugli

individui da parte di un’organizzazione internazionale cui gli Stati consentirebbero ad

attribuire un autonomo potere impositivo. I prelievi esatti direttamente dai privati

rappresentano infatti una forma di finanziamento estremamente rara nel diritto

internazionale e sono previsti in ambiti particolarissimi611. In maniera analoga alle

risorse proprie della Comunità europea, le tasse alle quali si fa riferimento, la cui entità

verrebbe determinata in base a criteri stabiliti dalla convergenza di volontà degli Stati,

potrebbero invece essere riscosse da parte dei Governi attraverso i propri apparati

amministrativi e versate ad un apposito fondo internazionale sotto forma di contributi

statali612.

Fra le innumerevoli proposte, la cui disamina analitica esorbita dai limiti di questo

lavoro, si ricorderà a titolo esemplificativo la soluzione avanzata dal Bosselmann,

secondo il quale al principio della sovranità statale sulle risorse genetiche sarebbe

preferibile il ritorno al regime del libero accesso, accompagnato dalla creazione di un

fondo per la protezione della biodiversità, gestito a livello multilaterale e le cui entrate

sarebbero finanziate dall’imposizione nei paesi sviluppati di tasse sulle compagnie

biotecnologiche613.

Queste proposte, che si sono moltiplicate negli ultimi anni anche alla luce delle

prospettive economiche aperte dalle biotecnologie614, pur sorrette dalla giusta esigenza di

riforma della situazione attuale e animate da uno spirito meritorio, sembrano essere, oltre

che difficilmente accettabili per molti Stati dal punto di vista politico, di problematica

fattibilità tecnica. Le resistenze che le politiche di armonizzazione fiscale hanno

incontrato da parte dei Governi nazionali, anche in organizzazioni regionali altamente

integrate come l’Unione europea, confermano l’estrema sensibilità del settore e come

esso venga considerato attinente alla sfera inalienabile dei poteri sovrani. Sembra

pertanto alquanto improbabile il raggiungimento di un accordo fra gli Stati circa

l’introduzione nei loro ordinamenti di una tassazione uniforme in un campo sempre più

ritenuto come strategico per lo sviluppo tecnologico ed industriale.

611 Come ad es. un tempo all’interno della CECA (DRAETTA, op. cit., p. 60).612 Sulla natura delle c.d. risorse proprie comunitarie, cfr. DRAETTA, op. cit., pp. 67 ss.613 BOSSELMANN, op. cit., p. 133.614 Secondo stime recenti, nel 2006 il giro d’affari nel settore biotecnologico raggiungerà in Europa ilvalore di 100 miliardi di euro (BARTOLONI, Dal pomodoro l’antidoto alla Tbc, in Il Sole-24 Ore,Tecnologia & scienze, 22 novembre 2003).

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Vista la varietà e la complessità dei sistemi fiscali nazionali, sarebbe poi

tecnicamente arduo stabilire aliquote comuni in funzione del reddito delle aziende o in

base ad altri parametri economici di ancora meno immediata identificazione.

Un meccanismo fondato su prelievi coatti sugli individui era previsto nel già citato

Progetto di articoli elaborato dall’IUCN nel 1989615.

Ai sensi dell’art. 26, par. 2, lett. a), del Progetto, due appendici avrebbero stabilito i

contributi che talune categorie di persone - soggette alla sovranità degli Stati parte e

facenti uso di determinati materiali biologici a scopi commerciali616 – avrebbero dovuto

versare al Fondo internazionale per la conservazione della biodiversità. La Conferenza

delle Parti avrebbe deciso i metodi di calcolo dei contributi617 e, a maggioranza di due

terzi, avrebbe potuto modificare la lista dei materiali biologici oggetto di imposizione

fiscale618.

Ove fosse stato possibile identificarlo, una percentuale da stabilirsi dei contributi

pagati al Fondo sarebbe stata trasferita allo Stato fornitore del materiale biologico (art.

28, par. a), lett. i).

Secondo questo meccanismo, che non fu accolto a Rio dalla Conferenza

intergovernativa perché troppo avanzato, le imposte sarebbero state riscosse direttamente

dai privati, mentre ciascuno Stato avrebbe avuto il dovere di assicurare (presumibilmente

esercitando la giurisdizione esecutiva) il pagamento dei contributi al Fondo (art. 26, par.

1). In maniera alquanto curiosa, lo stesso articolo prevedeva però la possibilità per ogni

Parte di dichiarare ‘that it assumes itself obligations that are incumbent under this

Convention on any person who is liable to contribute to the Fund’619, a condizione di

rinunciare alle proprie immunità qualora convenuto in giudizio davanti ad un tribunale

competente620.

Non ci si soffermerà oltre su questa disposizione che non ha trovato realizzazione

concreta e che, lasciando ai Governi nazionali la possibilità di assumersi gli obblighi

altrimenti a carico delle persone soggette alla loro giurisdizione, rivela forse le esitazioni

degli stessi redattori del Progetto, consapevoli della riluttanza degli Stati ad attribuire ad

615 Draft Articles Prepared by IUCN, cit.616 Da quanto si ricava dalle note esplicative annesse al progetto, sarebbe stata tassata un’ampia categoriadi persone facenti uso di prodotti ottenuti da piante e animali selvatici, loro geni e altre componenti(legname, sostanze estratte da piante medicinali, etc.).617 Ibidem, art. 26, par. 4.618 Ibidem, art. 26, parr. 5-7.619 Ibidem, art. 26, par. 3, lett. a).620 Ibidem, art. 26, par. 3, lett. c). La disposizione ricalca l’art. 14 della Convenzione internazionale per lostabilimento del Fondo internazionale per la compensazione di danni da inquinamento di olio.

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un organo internazionale la facoltà di esigere imposte direttamente dai propri cittadini,

tanto più in base a decisioni prese a maggioranza.

Un’altra forma di finanziamento prevista nel Progetto si fondava sui diritti di

proprietà intellettuale sul materiale biologico. Grazie ad una centralizzazione della

ricerca ispirata icto oculi alla Convenzione di Montego Bay, il Progetto prevedeva

l’istituzione di un’unità speciale all’interno del Segretariato responsabile della

valutazione del materiale biologico degli Stati e della conduzione di ricerche scientifiche.

Ai sensi dell’art. 16, par. 2, del Progetto, il Segretario Generale (Direttore del Fondo in

base all’art. 25, par. 1) avrebbe avuto la facoltà di richiedere brevetti o COV presso gli

Stati o le organizzazioni internazionali competenti sulle invenzioni realizzate dall’unità

speciale. Il Fondo avrebbe utilizzato le royalties ottenute in base agli accordi di licenza

per la realizzazione degli obiettivi stabiliti dalla Convenzione, dopo averne trasferita una

percentuale da stabilirsi al Paese di origine621.

E’ evidente come un meccanismo del genere avrebbe avuto il vantaggio innegabile di

garantire il trasferimento dei benefici economici ai paesi di origine e a tutti i paesi in via

di sviluppo attraverso un sistema multilaterale. Il Progetto, inoltre, mentre postulava il

principio del libero accesso remunerato ai campioni biologici622 (accolto qualche mese

dopo anche nella Risoluzione FAO 4/89)623, riconosceva agli Stati la facoltà di concedere

l’accesso alle proprie risorse soltanto alla summenzionata unità speciale, la quale avrebbe

avuto quindi l’esclusiva sul loro sfruttamento624.

2.12 (segue) Una proposta possibile

A distanza di 15 anni dalla stesura del Progetto dell’UICN, anche alla luce del

fallimento del sistema di gestione internazionale dei minerali dei fondali oceanici, un

meccanismo del genere sembra sotto il profilo politico difficilmente realizzabile, se non

nel ‘diritto immaginativo’.

Beninteso, non si vuole qui negare la possibilità di una crescente integrazione della

comunità internazionale.

621 Ibidem, art. 28, par. a), lett. ii).622 Ibidem, art. 15.623 La risoluzione è del Novembre 1989 mentre il Progetto dell’UICN è del Giugno 1989.624 Secondo l’ art. 16, par. 4: ‘[a]ny State Party may, at any time after the establishment of the specialisedunit referred to in paragraph 1 of this Article, notify the Secretariat in writing that the right of a access tospecimens referred to in Article 15 shall, as far as it is concerned, only be exercised by or trough the Fund’.

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In un’ottica di medio periodo, tuttavia, dopo aver preso atto di come la ricerca

farmaceutica e biotecnologia venga svolta attualmente nei paesi industrializzati in modo

prevalente dal settore privato, sembra più proficuo concentrarsi su soluzioni più

realisticamente raggiungibili che permettano di trasferire gli oneri di conservazione della

diversità biologica sui soggetti economici che da essa traggono maggior beneficio.

La soluzione che si propone in questo scritto fa leva sulla modifica delle legislazioni

sui diritti di proprietà intellettuali, la cui necessità si è già avuto modo di mettere in

evidenza supra.

In particolare, gli Stati potrebbero introdurre una tassa (‘biotassa’) sui detentori di

diritti (discendenti da COV, brevetti, petty patents, etc.) sulle invenzioni sviluppate a

partire da materiale biologico e genetico, a prescindere da dove esso sia stato prelevato.

L’imposta sarebbe riscossa dallo Stato sotto forma di royalties (ad. es. lo 0,1%) sulla

vendita dei prodotti incorporanti l’invenzione oggetto di brevetto e gli introiti sarebbero

devoluti ad un Fondo gestito a livello internazionale per finanziare programmi di

conservazione e sfruttamento sostenibile della biodiversità. In analogia con la

terminologia adottata dalla recente legislazione indiana sull’istituzione di un National

Gene Fund, tale Fondo potrebbe essere denominato World Gene Fund.

Senza arrivare alla creazione di una nuova organizzazione internazionale, che

finirebbe per frammentare ulteriormente il quadro esistente, il Fondo potrebbe essere

gestito dalla Conferenza delle Parti della Convenzione di Rio o da un altro organo da

essa istituito625. Il meccanismo qui proposto sarebbe disciplinato da un nuovo Protocollo

alla Convenzione sulla biodiversità, adottato ai sensi dell’art. 28 e aderendo al quale gli

Stati si impegnerebbero a introdurre la ‘biotassa’ nel proprio ordinamento e a trasferire al

World Gene Fund gli introiti da essa ricavati.

Nell’attesa di un’azione a livello internazionale, sarebbe comunque auspicabile

nonché conforme all’oggetto e scopo della Convenzione di Rio che gli Stati stabilissero

proprio motu tassazioni di questo tipo, i cui introiti potrebbero essere destinati alla

cooperazione allo sviluppo nel settore della tutela delle biodiversità e del trasferimento

tecnologico.

625 La facoltà della Conferenza delle Parti di creare organi sussidiari è riconosciuta esplicitamente dall’art.24, par. 4, lett. g).

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Capitolo IV

BIOINQUINAMENTO E BIOSICUREZZA

‘Avant de savoir, on ne sait pas’

Voltaire

Paragrafo 1: La nozione giuridica di bioinquinamento

1.1 Norme internazionali sull’introduzione ed il controllo delle specie alloctone e invasive

Come si è visto nei capitoli precedenti, lo scambio internazionale di germoplasma è

un presupposto importante per assicurare la sicurezza alimentare mondiale.

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D’altro canto, è vero anche che l’introduzione non controllata di alcune specie

alloctone può danneggiare in maniera grave e irreversibile gli ecosistemi naturali. Il

fenomeno, noto da tempo alla comunità scientifica, ha assunto dimensioni maggiori in

seguito alla diffusione su larga scala dei mezzi di trasporto a lunga distanza e allo

straordinario aumento della mobilità delle merci che hanno caratterizzato la seconda metà

del secolo scorso.

Non incontrando spesso nel nuovo ecosistema né predatori né parassiti specifici, gli

organismi viventi non autoctoni (piante, animali, etc.) possono riprodursi talvolta in

maniera abnorme ed occupare opportunisticamente intere nicchie e aree ecologiche,

perturbandone gravemente gli equilibri biologici626. Un’ampia letteratura mostra come il

controllo delle specie invasive possa rivelarsi estremamente difficoltoso, se non talvolta

realisticamente impossibile627.

626 Fra le specie che hanno causato maggiori danni si ricorda qui l'Opuntia Inermis, pianta grassaornamentale introdotta in Australia nell'800 dal Sud America per finalità commerciali. Nel 1900 il vegetaleaveva invaso 4 milioni di ettari, area moltiplicatasi per sette in un lasso di tempo di 25 anni (CELLI,MARMIROLI, VERGA, I semi della discordia, biotecnologie agricoltura e ambiente, Milano, 2000, p.24). Fra le specie proliferanti si possono citare anche il Senecio inaequidens, trasferito in Europa dal SudAfrica e il giacinto d'acqua, fiore acquatico introdotto in Europa dal Sud America. Quest’ultima pianta,oltre ad ostacolare la navigazione bloccando le eliche delle imbarcazioni, impedisce il passaggio della luceed ha provocato nei nuovi biotopi la scomparsa di molte specie autoctone (LE HIR, La biodiversitémenacée par les plantes invasives, in Le Monde, 6 novembre 2002). Le conseguenze sociali, ambientali ed economiche derivanti dalla diffusione incontrollata di pianteesotiche possono essere particolarmente gravi: secondo alcune stime econometriche, i Governi africanispendono ogni anno 60 milioni di dollari per il controllo delle specie invasive (www.biodiv.org, paginabase). In riferimento agli animali, si ricorderanno soltanto due casi famosi. Il primo è quello del pesce persicodel Nilo, introdotto negli anni ’60 del secolo scorso nel Lago Vittoria, in Tanzania: il pesce si è riprodottoin maniera esponenziale, portando all'estinzione numerose specie locali (LEVEQUE, op. cit., p. 36 e s.). Il secondo riguarda una varietà di api africane, alcuni esemplari della quale furono trasferiti negli anni‘50 in Brasile nel quadro di un progetto di allevamento. L'incrocio con le api locali portò alla formazione diibridi particolarmente aggressivi, presto chiamati 'api killer'. Sciami migranti di questi insetti hannoprovocato danni a persone e cose attraversando le frontiere di più Stati del Sud e del Centro America espingendosi fino agli Stati Uniti (per ulteriori ragguagli, vedi www.apicolturaonline.it/africa1.htm). Per altre indicazioni sulle specie alloctone, si rimanda alla decisione della Conferenza delle Parti allaConvenzione di Rio VI/23 (Alien Species that Threatens Ecosystems, Habitats and Species, consultabile suInternet sul sito www.biodiv.org, pagina base) e, con specifico riferimento alle specie marine, a LENZINI,Deux algues prolifiques se répandent sur les fonds de la Méditerranée, in Le Monde, 6 novembre 2002 eBAX, Marine Invasive Alien Species: a Threat to Global Biodiversity, in Marine Policy, 2003, pp. 313 ss.Per un’analisi più giuridica, vedi CANS, DE KLEMM, Un cas d’irreversibilité: l’introduction d’espècesexogenes dans le milieu naturel, in RJE, 1998, pp. 101 ss., FRITZ-LEGENDRE, Biodiversité etirreversibilité, in RJE, 1998, pp. 79 ss.627 In un suo rapporto del 1998, la prestigiosa Académie des sciences francese ha riconosciuto come noncostituisca un obiettivo credibile l'eradicamento della Caulerpa Taxifolia, un’alga di origine tropicaleimportata negli anni ’70 negli acquari europei e diffusasi come è noto a partire dal 1989 dalla costa delPrincipato di Monaco in numerose aree del Mediterraneo. L’episodio è particolarmente significativo, avendo invaso più di 13000 ettari di fondale e provocatodanni ingenti agli ecosistemi situati nel mare territoriale di più Stati (Francia, Spagna, Italia, Croazia).Sembra che del materiale riproduttivo dell’alga sia stato rilasciato accidentalmente in mare insieme alleacque di lavaggio di una vasca del Museo oceanografico di Monaco, dove questa veniva conservata, anchese ufficialmente non è mai stata riconosciuta la responsabilità dell’istituzione (sulla Caulerpa Taxifoliaesiste una vastissima letteratura scientifica; per una rapida presentazione degli avvenimenti, vedi

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Per arginare questi fenomeni, molti Stati si sono dotati nei propri ordinamenti di

normative che vietano l’introduzione di certe specie, o la autorizzano soltanto dopo lo

svolgimento di controlli in dogana ed il rilascio di apposite autorizzazioni

amministrative628.

Vista l’unità ecologica del pianeta, si tratta di un problema di rilievo prettamente

internazionale. Una rapida rassegna dei principali accordi in materia ambientale mostra

chiaramente un trend verso la regolamentazione del fenomeno tramite l’inclusione di

disposizioni ad hoc nelle convenzioni a vocazione regionale o universale sulla tutela

degli ecosistemi naturali terrestri o acquatici.

Discipline specifiche sono state elaborate a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso

per prevenire e controllare l’introduzione accidentale o volontaria di specie esotiche negli

ambienti marini; si tratta di un fenomeno sempre più ampio, dovuto in gran parte allo

scarico in mare delle acque di zavorra delle navi e che può avere effetti particolarmente

nocivi nonché estesi nel tempo e nello spazio629. L’art. 196, par. 1, della Convenzione di

Montego Bay, a questo riguardo, richiede agli Stati di ‘adotta[re] ogni misura atta a

prevenire, ridurre o tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino che

deriva dall’impiego di tecnologie poste sotto la loro giurisdizione o controllo, oppure

dall’introduzione intenzionale o accidentale di specie, importate o nuove, in una parte

particolare dell’ambiente marino, che possa ad esso provocare modifiche importanti o

dannose’630.

Per quanto riguarda il regime di gestione internazionale dell’Antartide, un cenno

all’introduzione di specie non autoctone si trova nella Convenzione di Canberra del

1980, la quale si propone come obiettivo quello di ‘prévenir les modifications de

l’écosystème marin qui ne seraient pas potentiellement réversibles en deux ou trois

http://digilander.libero.it/arti2000/ts99/mare.htm). A quanto risulta, nessuno degli Stati coinvolti ha maiprotestato ufficialmente, invocando la responsabilità del Principato di Monaco per non aver preso le misurenecessarie ad impedire il rilascio in mare dell’alga e, successivamente, per non averne impedito laproliferazione quando la sua diffusione era ancora limitata ad un’area circoscritta.628 In ambito comunitario, si veda a questo riguardo la direttiva 91/492 (JOCE, L, del 24 settembre 1991)che richiede agli Stati di adottare una procedura particolare per l’introduzione di molluschi di allevamentoper la conchiglicoltura. Più in generale, la direttiva Habitat del 1992 obbliga gli Stati a vegliare affinché ‘l’introductionintentionnelle dans la nature d’une espèce non indigène à leur territoire soit réglementée de manière à neporter aucun préjudice à leurs habitats naturels dans leur aire de répartition naturelle ni à la faune ni à laflore sauvages indigènes et, s’ils le jugent utile, interdisens une telle introduction’.629 Sono oggetto di studio delle tecniche (alcune delle quali sono già state oggetto di brevetto) perdistruggere gli organismi viventi nell’acqua di zavorra, ad esempio attraverso un irraggiamento con raggiultravioletti. Sull’argomento, cfr. MACCONNELL, Ballast and Biosecurity: the Legal, Economic andSafety Implications of the Developments of the International Regime to Prevent the Spread of HarmfulAquatic Organisms and Pathogens in Ships’ Ballast Water, in Ocean Yearbook, 2003, pp. 231 ss.630 Codice del diritto, op. cit., p. 452 (corsivo aggiunto).

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décennies, compte tenu de l’état de connaissances disponibles en ce qui concerne les

répercussions directes ou indirectes de l’exploitation, de l’effet de l’introduction

d’espèces exogènes, des effets des activités connexes sur l’écosystème marin et de ceux

des modifications du milieu, afin de permettre une conservation continue des ressources

marines vivantes de l’Antarctique’631.

Per quanto concerne le aree sottoposte alla giurisdizione nazionale, l’obbligo per i

Governi di effettuare controlli sull’introduzione nel proprio territorio di specie non

indigene è previsto, fra le altre, dalla Convenzione di Berna632 e da quella di Bonn del

1979633.

1.2 (segue) Il caso degli organismi viventi geneticamente modificati

A partire dagli anni ’70, il rapido sviluppo delle biotecnologie e la creazione di

organismi viventi geneticamente modificati hanno suscitato negli ambienti scientifici

numerose preoccupazioni circa la possibilità di una loro diffusione e riproduzione

nell’ambiente.

Ad avviso di molti scienziati ed economisti, nei prossimi decenni i progressi delle

bioscienze potrebbero modificare, se non rivoluzionare, le dinamiche produttive in

ambito agricolo, chimico, zootecnico, veterinario, alimentare, energetico e di tutela

ambientale, e la creazione di nuovi organismi geneticamente modificati sembra aprire

ragionevolmente prospettive economiche promettenti. In tutti i laboratori del mondo si

stanno effettuando studi per creare organismi capaci di sintetizzare fibre, enzimi e nuovi

materiali, batteri modificati per facilitare l'estrazione mineraria, per depurare le acque,

smaltire i rifiuti e produrre energia634. Sono già in fase sperimentale piante commestibili

da somministrare come vaccini ed è facile intuire che, in questo processo di innovazione

tecnologica, l’ambito medico-farmaceutico avrà un ruolo trainante635.

631 Art. 2, par. 3, corsivo aggiunto.632 Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, art.11, par. 2, lett. b). Convenzione riprodotta in Basic Documents, pp. 1507 ss.633 Convenzione di Bonn sulla conservazione delle specie migratrici appartenenti alla fauna selvaggia, cit.,art. II, par 4, lett. c). La Convenzione è riprodotta in Basic Documents, op. cit., pp. 1401 ss.634 Ogm, una risorsa, op.cit., pp. 6 ss.635 Solo per menzionare un esempio: dal 1982 l'insulina umana viene prodotta commercialmente inlaboratorio facendola sintetizzare da alcuni batteri (come l'Escherichia Coli) nei quali è stato introdotto ilrelativo gene umano. I microrganismi sono utilizzati cioè come dei 'bioreattori' che traduconol'informazione contenuta nel codice genetico esprimendola in una sequenza di amminoacidi. La sostanza

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Per quanto riguarda il settore agricolo, senza avventurarsi in difficili previsioni, si

deve prendere atto che nel 2002 già 58,7 milioni di ettari di campi – una superficie

superiore a quella della Francia - sono stati coltivati nel mondo con piante geneticamente

modificate. Le coltivazioni erano effettuate nel 2002 in sedici Paesi, coinvolgendo il

lavoro di quasi 6 milioni di contadini636; nel 1998 il fatturato dei prodotti biotecnologici

ammontava a 20 miliardi di dollari e nel 2000 il mercato dei soli semi geneticamente

modificati era stimato avere un valore di 3 miliardi di dollari, pari cioè al 10% di tutto il

mercato semenziero637.

Lo sviluppo delle biotecnologie, se da un lato apre inedite speranze e opportunità,

suscita allo stesso tempo inquietanti timori. Come molti progressi scientifici - si pensi

soltanto allo sfruttamento industriale dell’energia nucleare - la transgenesi si accompagna

a pericoli potenzialmente irreversibili per l'ambiente e la salute pubblica638.

Il primo elemento di preoccupazione, per quanto concerne piante e animali ad uso

alimentare, riguarda, come è naturale, la sicurezza per l'uomo. Innanzitutto,

l'introduzione di un transgene può sviluppare reazioni di ipersensibilità immunitaria nei

soggetti allergici alle proteine da esso espresse639. Sembra inoltre che l'interazione del

DNA inserito col patrimonio genetico dell'organismo accettore (anche nelle regioni non

codificate), attraverso meccanismi difficilmente prevedibili, possa in certi casi indurre

così ottenuta, dopo essere stata opportunamente depurata, risulta più economica e sicura di quella estrattadirettamente dall'uomo o da altri animali (maiali, etc.). Più di 300 proteine con caratteristiche terapeutiche(fattori di coagulazione del sangue, etc.) sono attualmente prodotte in ambiente confinato, attraverso le cosìdette 'biotecnologie rosse'.636 La maggior parte dei campi transgenici coltivati si trovano negli USA (66%), in Canada e in Argentina,mentre ad oggi non si registrano coltivazioni su scala commerciale in Europa, con la sola eccezione dialcune migliaia di ettari di mais Bt in Spagna. Recentemente, tuttavia, anche molti paesi in via di sviluppo stanno iniziando a coltivare piantetransgeniche (cotone Bt in India, Cina...) e la superficie dei campi si accresce in media del 10% ogni anno.Per la prima volta, nel 2002 più della metà della soia prodotta nel mondo (su un totale di 72 milioni diettari) è stata transgenica, insieme al 20% del cotone. Le percentuali sono molto più elevate nei paesiproduttori: negli Stati Uniti il 75% dei raccolti di semi di soia, il 34% del mais ed il 71% del cotoneproviene ormai da colture geneticamente modificate. La fonte dei dati è l'ISAAA (www.isaaa.org). Si trattadella più importante organizzazione non governativa no-profit del settore. Sponsorizzata dalle maggioriindustrie biotecnologiche (Monsanto, Bayer, Cargill, Pioneer, etc.), si propone come compito la diffusionedelle biotecnologie e degli OGM nei paesi in via di sviluppo. Sta finanziando attualmente progetti diricerca in Kenya, Sudafrica, Tanzania, Uganda, Indonesia, Malesia, Filippine, etc.637 Secondo alcune previsioni, il mercato mondiale delle biotecnologie raggiungerà nel 2010 il valore di800 miliardi euro (FONTAINE, Pour une stratégie dans le biotechs, in La Tribune, 18 giugno 2003).638 La diffusione di nuove fonti generatrici di rischi (hasards) è una delle caratteristiche salienti dellarecente modernità, insieme alla crescente insufficienza dei modelli scientifici esistenti a trattare fenomenisempre più complessi come le ripercussioni delle nuove applicazioni tecnologiche sulla salute umana, ilclima, la biodiversità... Sulle orme degli studi condotti negli anni '80 dal sociologo tedesco Ulrich Beck, siparla sempre più frequentemente di 'società del rischio' (Risikogesellschaft). Per una panoramica esaurientesul tema, cfr. DE MARCHI, PELLIZZONI, UNGARO, Il rischio ambientale, Bologna, 2001.639 Sono state registrate in alcuni individui delle allergie ad un tipo di soia transgenica nella quale era statointrodotto un gene prelevato da una noce brasiliana (NORDLEE et al., New England Journal of Medicine,

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reazioni metaboliche inconsuete e portare alla formazione di composti tossici tali da

alterare le caratteristiche nutrizionali del prodotto640.

Un profilo diverso riguarda le possibili minacce alla biodiversità derivanti dal

rilascio (intenzionale o accidentale) nell'ambiente degli organismi viventi geneticamente

modificati. Se dotati di un vantaggio competitivo, tali organismi - frutto generalmente di

una combinazione genetica che non avrebbe potuto realizzarsi in natura a causa della

barriera riproduttiva fra le specie - potrebbero comportarsi come specie invasive641.

A partire dalla seconda metà degli anni ’80, l’OCDE ha raccomandato agli Stati di

adottare procedure di valutazione dei rischi (risk assessment) relativi alla creazione di

organismi geneticamente modificati, e molti Stati industrializzati si sono dotati di

apposite legislazioni, disciplinando ad esempio le procedure di sicurezza sull’uso

confinato in laboratorio degli organismi potenzialmente pericolosi642.

14 marzo 1996). Secondo altre indagini epidemiologiche, il consumo di soia geneticamente modificatasarebbe all'origine di un aumento delle allergie in Brasile.640 Ha fatto molto discutere, a questo riguardo, uno studio condotto da Arpad Putztai, un ricercatore delRowett Institut che ha nutrito alcuni topi con patate transgeniche modificate per resistere all'attacco dialcuni parassiti. Lo scienziato ha constatato nelle cavie una riduzione di peso e delle funzioni immunitarie(EWAN, PUSZTAI, Effects of Diet Containing Genetically Modified Patatoes Expressing GalanthusNivalis Lectin on Rat Small Intestine, in The Lancet, 354, p. 1353 e s.). Si deve sottolineare, comunque, chel'affidabilità dei risultati della ricerca è stata fortemente contestata da una parte della comunità scientifica elo stato attuale del dibattito non pare consentire la formulazione di ipotesi conclusive. Sui rischi alimentaripotenziali (tossicità, presenza allergeni, etc.) del consumo di prodotti derivati da organismi geneticamentemodificati, si veda il rapporto dell’AFSSA Evaluation des risques relatifs à la consommation de produitsalimentaires composés ou issus d’organismes génétiquement modifiés (2002).641 A questo riguardo, come ha sottolineato Pavoni (intervista personale), pare legittimo domandarsi se gliorganismi modificati dall’uomo siano compresi o meno nella nozione di biodiversità, come definita all’art.2 della Convenzione di Rio (‘variabilité des organismes vivants de toute origine…’, corsivo aggiunto). Chegli organismi viventi modificati ricadano sotto la protezione della Convenzione in quanto parte earricchimento della diversità biologica del pianeta, è stato sostenuto da tempo dalle impresebiotecnologiche e da una parte della comunità scientifica. E’ stato messo in evidenza, ad esempio, comel’introduzione di un transgene possa in certi casi essere uno strumento per salvaguardare alcune varietàtradizionali particolarmente sensibili all’attacco di agenti patogeni (PORCEDDU, DE PACE,TANZARELLA, op. cit., p. 45 e s.). E’ già stato creato, in quest’ottica, un pomodoro San Marzano transgenico resistente ad un virus che,oggi, distrugge sino al 40% del raccolto (OGM, una risorsa, op. cit., p. 33). Pur interpretando la nozione di biodiversità in modo da ricomprendervi anche gli organismi modificatidall’uomo, niente pregiudica il dovere degli Stati - riconosciuto espressamente dalla Convenzione all’art. 8,par. h), in riferimento a tutti gli organismi viventi alloctoni (transgeniche o meno) - di impedirel’introduzione e eventualmente sradicare le specie che rappresentino una minaccia per gli ecosistemi. Un monito alla prudenza e all'attenta sperimentazione in laboratorio prima dell'(eventuale) rilascio inambiente non confinato di organismi viventi modificati sembra venire dal caso della Klebisiella planticola,un batterio del suolo modificato da una compagnia tedesca e in grado di produrre etanolo dai residui dibiomassa. Quando alcuni esemplari sono stati utilizzati in un campo come concime, hanno provocato lamorte del frumento che avrebbero dovuto concimare perché uccidevano alcuni funghi importanti per la vitadelle piante (TAMINO, PRATESI, op. cit., p. 61).642 Recommendation of the OECD’s Council Concerning Safety Considerations for Applications ofRecombinant DNA Organisms in Industry, Agriculture and the Environment, in The OCDE Observer,novembre 1986. A livello internazionale, una clausola di ‘biosicurezza’ ante litteram era stata prevista all’articolo 5 delTrattato di Budapest del 28 aprile 1977. Questo articolo ammette la possibilità per gli Stati di restringere

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Circoscrivendo qui il discorso alle specie modificate vegetali, molti scienziati hanno

messo in evidenza come alla loro diffusione nell’ambiente si associno rischi di un

turbamento potenzialmente irreversibile degli ecosistemi643.

Alquanto preoccupante risulta soprattutto la possibilità, attualmente oggetto di studi

scientifici sperimentali, di un trasferimento del transgene introdotto. Questo potrebbe

assumere due forme: a) a livello verticale (fra organismi della stessa specie); b) a livello

orizzontale (ovvero fra individui appartenenti a specie diverse).

Un flusso genetico fra varietà coltivate e selvatiche è stato osservato empiricamente

fin dal XIX secolo e descritto in maniera più sistematica negli anni '40 del secolo scorso,

quando molti agronomi paventavano un 'impoverimento' delle specie coltivate.

Attualmente, le preoccupazioni degli scienziati sono orientate nel senso opposto. Si

teme cioè che le piante transgeniche possano incrociarsi con quelle della stessa specie

presenti allo stato naturale, dando origine ad ibridi fecondi. Ciò potrebbe portare, non

soltanto alla diffusione di piante selvatiche invasive644, ma soprattutto alla convergenza

verso il genotipo coltivato, alla riduzione della variabilità selvatica e, al limite,

all'estinzione delle varietà selvatiche meno competitive645. Evidentemente, questi rischi

sono maggiori nelle zone di origine delle piante coltivate646.

l’importazione nel proprio territorio di certi tipi di microrganismi, ove tale restrizione sia resa necessaria daragioni di sicurezza nazionale o dall’esistenza di pericoli per la salute o l’ambiente. Le prime linee guida sull’uso confinato degli organismi modificati in laboratorio sono state adottate neiPaesi europei e negli Stati Uniti a partire dalla seconda metà degli anni ’70 (BYK, Le génie génétique, op.cit., p. 342 e s.). Una normativa particolarmente avanzata sull’impiego confinato di microrganismi geneticamentemodificati è stata elaborata dalla Comunità europea con l’adozione della direttiva 90/219/CEE, modificatadalla direttiva 98/81/CE del 26 ottobre 1998. Lo strumento prevede un meccanismo di autorizzazione delleattività di laboratorio da parte delle autorità nazionali competenti, l’adozione di misure specifiche dicontenimento e di protezione volte a limitare il contatto dei microrganismi con la popolazione ol’ambiente, la previsione di piani di emergenza in caso di incidenti, etc. Normative ad hoc sulla produzione e l’immissione nell’ambiente degli OGM sono state emanaterecentemente anche da Stati tecnologicamente meno avanzati, come l’Ecuador. Quest’ultimo caso èparticolarmente significativo, perché il riferimento alla biosicurezza è contenuto in una norma di rangocostituzionale. L’art. 89, lett. c), della Carta fondamentale della repubblica sudamericana, forse con eccessodi costituzionalizzazione, prevede infatti che ‘lo Stato dovrà regolare con norme di biosicurezza severe lapropagazione, l’utilizzo e la commercializzazione e l’importazione degli organismi geneticamentemodificati’ (citato nella traduzione francese in MALJEAN-DUBOIS, op. cit., p. 953).643 Un famoso e discusso studio, pubblicato sulla rivista americana Nature nel 1999 ha sottolineato come iltransgene Bt introdotto nel mais, oltre ad essere letale per le larve degli insetti nocivi, produce un pollinetossico per altre specie benefiche come la farfalla monarca e modifica l'ecosistema del suolo.644 Nei casi in cui il transgene conferisca un vantaggio competitivo rispetto ad altre specie autoctone(resistenza ad insetti, alla siccità, etc.). Non sarebbe questo il caso degli ibridi resistenti ai pesticidi perchéquesta caratteristica non conferirebbe loro presumibilmente alcun vantaggio al di fuori dai campi coltivati(un inconveniente economico, ma non ecologicamente rilevante potrebbe riguardare la diffusione degliibridi nelle coltivazioni). Nel 1998 uno studio condotto in Canada ha rilevato il trasferimento allepopolazioni selvatiche alloctone del gene di resistenza all'erbicida introdotto nella colza transgenica con laformazione di ibridi resistenti.645 Nonostante anche in questo caso sia molto difficile effettuare studi empirici, sembra che il polline possaessere trasportato per alcuni chilometri ad opera del vento o dagli insetti impollinatori, mantenendo integra

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Gli studi sul flusso genetico a livello orizzontale sono molto controversi. Senza che

sia qui possibile addentrarsi nelle questioni tecniche, basterà sottolineare che, secondo

alcuni ricercatori, i transgeni introdotti potrebbero trasferirsi in altre specie tramite dei

vettori batterici, come ad esempio i batteri del suolo o del tratto intestinale647. Benché

l'eventualità paia statisticamente piuttosto remota, secondo una parte della comunità

scientifica, essa non può essere esclusa648. Il verificarsi di tali circostanze (e soprattutto la

successiva espressione del transgene negli organismi accettori) potrebbe avere

conseguenze gravi per la salute umana e l'ambiente: si pensi soltanto alla trasmissione ad

alcuni ceppi batterici di geni di resistenza agli antibiotici (usati tradizionalmente come

geni marcatori nella produzione di piante geneticamente modificate), oppure al

trasferimento ad altre specie vegetali del gene che conferisce la sterilità o di geni che

codificano proteine di utilizzo farmaceutico.

Alla luce di queste considerazioni, non stupisce che negli ultimi anni alcune

convenzioni abbiano fatto espresso riferimento al controllo, oltre che delle specie

esotiche, di quelle non esistenti in natura.

Come la Convenzione di Montego-Bay (vedi supra), la Convenzione sul diritto degli

usi diversi dalla navigazione dei corsi d’acqua internazionali del 1997 richiede agli Stati

di prendere le misure necessarie a limitare l’introduzione delle specie aliene e nuove649.

Un riferimento agli organismi geneticamente modificati si trova anche nel Protocollo alla

la propria capacità fecondante. La formazione di ibridi con le specie selvatiche è stata verificata per moltespecie di interesse commerciale come riso, sorgo, barbabietola, girasole.646 Nel 2001 ha suscitato molte preoccupazioni il rinvenimento da parte di alcuni ricercatori dell'Universitàdi Berkeley di frammenti di DNA transgenico nei cromosomi di esemplari di una varietà ancestrale di maisin uno Stato meridionale del Messico (Oaxaca). Si tratta di una regione montagnosa e lontana dalle zoneagricole intensive che costituisce il centro mondiale di diversificazione del mais, luogo di origine dellamaggior parte delle varietà esistenti. A nulla era valsa la moratoria adottata dal Governo messicano nel1998, secondo la quale il mais transgenico non avrebbe dovuto essere coltivato a scopi commerciali.Nell’aprile del 2002, alcune comunità locali e molte organizzazioni non governative hanno presentato unapetizione alla Commissione per la cooperazione economica (CEC) del NAFTA. Un gruppo di espertipresenterà una relazione al Consiglio della CEC nel giugno del 2004 (www.cec.org, pagina base) Sull'episodio del mais messicano esiste ormai una vasta letteratura. Si vedano, inter alia, www.gene.ch,pagina base, e www.vasonline.it/campagne/biotech/ogm_in_mexico.htm.647 AFSSA, Evaluation des risques, op. cit., pp. 24 ss.648 E' noto come, in particolari condizioni, i batteri possano assumere dall'ambiente esterno frammenti diDNA e trasmetterlo ad altri batteri attraverso i meccanismi di trasduzione, coniugazione e trasformazione. Il materiale genetico incorporato potrebbe essere trasferito poi anche ad altre specie non batteriche, comeavviene nel caso dell'agrobacterium tumefaciens, capace di attaccare moltissime specie vegetali. Sembramolto improbabile, ma teoricamente possibile, che, dopo questi trasferimenti, il gene (col suo promotore)riesca ad esprimersi negli organi e nei tessuti di altre specie. Per una chiara illustrazione di questi problemivedi OGM, una risorsa, op. cit., p. 18 ss.649 ‘Watercourse States shall take all measures necessary to prevent the introduction of species, alien ornew, into an international watercourse which may have effects detrimental to the ecosystem of thewatercourse resulting in significant harm to other watercourse States’ (art. 22 della Convenzione sul dirittodegli usi diversi dalla navigazione dei corsi d’acqua internazionali, corsivo aggiunto; il testo è rinvenibilesu Internet all’indirizzo www.un.org, pagina base).

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Convenzione di Barcellona relativo alle aree specialmente protette e alla diversità

biologica nel Mediterraneo (adottato il 10 giugno 1995)650 e nella Convenzione di Aarhus

del 25 giugno 1998 sull’accesso all’informazione, la partecipazione del pubblico al

processo decisionale e l’accesso alla giustizia nelle questioni ambientali651.

1.3 (segue) Organismi geneticamente modificati e sistemi agricoli nazionali

Lasciando da parte il caso dell'uso confinato dei microrganismi e quello per adesso

economicamente meno rilevante degli animali, la scelta di permettere la coltivazione di

piante transgeniche nel proprio territorio comporta per gli Stati una valutazione

estremamente complessa652. Oltre alle questioni più prettamente ecologiche riguardanti le

possibili minacce alla biodiversità, nel ‘technology assessment’ vengono in rilievo

inevitabilmente anche considerazioni di carattere socio-economico.

Un recente e dettagliato studio commissionato dalla Commissione europea653 mostra

come anche negli Stati tecnologicamente avanzati la coesistenza di colture tradizionali e

geneticamente modificate, qualora possibile, sia economicamente problematica. Per

limitare alle soglie richieste la presenza accidentale di piante transgeniche nelle

coltivazioni convenzionali, devono essere infatti adottati cambiamenti rilevanti nelle

650 Il Protocollo prevede la creazione di aree di importanza mediterranea (del tipo del parco franco-italianodelle Bocche di Bonifacio) dove è strettamente regolamentata o impedita l’introduzione di specie esoticheo geneticamente modificate (citato in KISS, BEURIER, op. cit., p. 177).651 Il testo della Convenzione, adottata nel quadro della Commissione economica delle Nazioni Unite perl’Europa, è consultabile su Internet, sul sito www.unece.org, pagina base. La Convenzione, fa riferimento nel preambolo all’inquietudine per la disseminazione nell’ambiente degliorganismi geneticamente modificati e alla necessità di una maggiore trasparenza e partecipazione delpubblico nel processo decisionale. Prevede poi fra le informazioni ambientali alle quali le autoritàpubbliche devono impegnarsi a facilitare l’accesso, le informazioni relative allo ‘state of elements of theenvironment, such as air and atmosphere, water, soil, land, landscape and natural sites, biological diversityand its components, including genetically modified organisms, and the interaction among these elements’(art. 2, par. 3, lett. a).652 La materia, in costante evoluzione, è al centro del dibattito politico e non è un caso che la discussionesull'uso delle tecnologie genetiche in agricoltura sia stato affrontato spesso con strumenti estranei alleculture giuridiche di molti Paesi come le c.d. consensus conferences (si veda la conférence citoyenne che èstata organizzata a Parigi nel 1998; negli Stati federati dell’India, il jury citoyen del Kharnataka e, nel2001, il ricorso al ‘verdetto del popolo’ in Andrah Pradesh, per i quali si fa rinvio a WAKEFORD,PIONNETI, Evaluation partecipative des biotéchnologies dans les pays en voie de développement, inAFSSA, Ogm et alimentation, op. cit., pp. 255 ss.).653 European Commission, Joint Research Centre, Institute for Prospective Technological Studies,Scenarios for Co-Existence of Genetically Modified, Conventional and Organic Crops in EuropeanAgriculture (maggio 2002).

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pratiche agricole per impedire, o comunque contenere entro certi limiti, l'impollinazione

e la presenza dei semi geneticamente modificati nei campi non coltivati a transgenico654.

Da tempo, in numerosi ordinamenti sono state elaborate normative che rendono

obbligatoria l'adozione di misure tecniche per garantire una sufficiente purezza delle

sementi commercializzate e sono previsti sistemi di segregazione per minimizzare le

contaminazioni per talune varietà (non transgeniche) inadatte all'uso alimentare655.

Come mette in evidenza lo stesso studio, questi esempi non possono essere utilizzati

che in maniera imperfetta per stimare i costi di coesistenza in riferimento alle coltivazioni

modificate geneticamente, non soltanto perché i metodi analitici di identificazione delle

specie non transgeniche in parola sono meno costosi, ma sopratutto perché le legislazioni

prevedono per queste ultime soglie di tolleranza molto elevate656. Per tenere separate le

filiere produttive fra settore agricolo tradizionale e transgenico sarebbero sopportati costi

estremamente onerosi, in particolare dalle piccole e medie aziende, e soprattutto da

quelle operanti nel settore biologico657. Per queste ultime, le perdite finanziarie derivanti

dalle contaminazioni accidentali potrebbero essere contenute solo in parte prevedendo

meccanismi di assicurazione di questo rischio commerciale658.

654 Queste pratiche consistono nella previsione di sistemi di rotazione per far raggiungere in momentidiversi il periodo di fecondità e fioritura, nella previsione di distanze di sicurezza, nell'erezione di barrierefisiche, nella separazione delle filiere produttive (pulizia degli attrezzi e dei luoghi stoccaggio dei semi,utilizzo di diversi mezzi di trasporto, etc.). Costi aggiuntivi non indifferenti deriverebbero poi, secondo lo studio citato, dall'opera di monitoraggio edi formazione del personale.655 E’ questo il caso della colza HEAR (High Erucic Acid Oilseed Rape) utilizzata per produrre oliiindustriali, ma inadatta al consumo umano in quanto contiene antinutrienti dannosi. La pianta vienecoltivata negli Stati Uniti e in molti Paesi europei. Le legislazioni nazionali prevedono standard diversi perla sua coltura: le distanze dagli altri campi oscillano ad esempio dai 100 m in USA e Germania ai 400 m inFrancia (Scenarios, op. cit., p. 17). Un'altra varietà inadatta all’uso alimentare e la cui coltivazione richiedeparticolari precauzioni è il mais WAXY, utilizzato come adesivo nell'industria della carta o comestabilizzante in altri processi industriali (Scenarios, op. cit., p. 17 e s.).656 Ad esempio del 4% per il mais WAXY.657 In molti ordinamenti, la certificazione dei prodotti come provenienti da agricoltura biologica (organicfarming) richiede l'assenza totale di organismi geneticamente modificati (nella Comunità europea talerequisito è imposto dal Regolamento del Consiglio 1804/99). Preme ricordare che le coltivazionibiologiche rappresentano in molti Stati una percentuale importante del terreno agricolo (nel 1999 il 2,6% alivello di Unione europea e il 6,5% in Italia, dati riportati in Scenarios, op. cit., p. 11). Il calcolo dei costi sopportati negli scenari possibili di coesistenza risulta estremamente difficile,dipendendo da molte variabili difficili da parametrizzare e che dipendono dalle soglie di tolleranzaammesse, dalle caratteristiche biologiche della coltura in questione, dalla topologia del terreno, etc. E' statostimato che nel caso di diffusione sul territorio del 50% di piante transgeniche, il costo totale di produzioneper tonnellata della colza convenzionale subirebbe in Europa un incremento del 9,8% e del 20,3% per leaziende biologiche (Scenarios, op. cit, p. 113).658 Attualmente, in assenza di sufficienti dati scientifici, le compagnie assicurative si rifiutano peraltro diassicurare il rischio biotecnologico (Rapporto d’informazione 301del Senato francese, cit., relazione diMadame Lepage). Sui problemi relativi al sistema assicurativo per far fronte ad eventi catastrofici di tipotecnologico, vedi CORVINO, Gli strumenti innovativi di finanziamento dei rischi catastrofali, in Leimprese e la gestione del rischio ambientale (a cura di FORESTIERI, GILARDONI), Milano, 1999, pp.164 ss.

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Allo stato attuale delle conoscenze biologiche e sanitarie, in assenza di prove

empiriche certe e concludenti circa le conseguenze per l’ambiente e la salute umana,

numerosi Governi nazionali e enti pubblici territoriali hanno adottato - nei limiti delle

competenze loro spettanti - provvedimenti di carattere legislativo o amministrativo per

impedire la coltivazione in campo aperto di piante geneticamente modificate nel territorio

da essi amministrato. Queste iniziative si sono moltiplicate negli ultimi anni, dai villaggi

dell'Himalaia, ai Comuni e alle Regioni italiane, dal Messico, all’Australia, agli Stati

Uniti659.

1.4 Bioinquinamento e risarcimento del danno: qualche considerazione preliminare

Secondo la definizione adottata dalla Raccomandazione adottata dal Consiglio

dell’OCDE il 14 novembre 1971, relativa all’inquinamento transfrontaliero,

‘on entend par pollution l’introduction par l’homme, directement ou indirectement, desubstances ou d’énergies dans l’environnement, qui entraîne des consequencespréjudiciables de nature à mettre en danger la santé humaine, à nuire aux ressourcesbiologiques et aux systèmes écologiques, à porter atteinte aux agréments ou à gêner lesautres utilisations légitimes de l’environnement’660

Questa definizione si ritrova, con lievi modifiche, in numerosi altri strumenti

internazionali che fanno riferimento a tipi diversi di inquinamento, dalla Convenzione di

Montego Bay (art. 1, par. 4) a quella di Ginevra sull’inquinamento atmosferico

transfrontaliero a lunga distanza (art. 1, lett. a))661.

La letteratura scientifica mostra come l’introduzione volontaria o involontaria di

organismi viventi possa arrecare danni considerevoli agli ecosistemi e alle risorse

biologiche, costituendo un impedimento alla coltivazione dei terreni o alla navigabilità

659 Lo Stato messicano Rio Grande do Sud ha vietato la coltivazione di OGM nel proprio territorio. NegliStati Uniti, proposte per una moratoria sono state avanzate nel 2000 dallo Stato del Minnesota e dalConsiglio comunale di Boston. Il 2 marzo del 2004, a seguito di una consultazione popolare, la Contea diMendocino (California) ha adottato una normativa che rende illegale nel proprio territorio la coltivazionedi piante o l’allevamento di animali transgenici (www.gmofreemendo.com, pagina base). Con riguardo all’Italia, la coltivazione di piante geneticamente modificate è stata vietata in molte Regionie Comuni (tutte le informazioni pertinenti sono rinvenibili sul sito www.rfb.it/comuni.liberi.ogm). Inriferimento alla Regione Toscana, si veda la legge regionale n. 53 del 6 marzo 2000 (consultabile inwww.rfb.it/comuni.liberi.ogm, pagina base). Ai sensi dell’art. 2 della suddetta legge, dalla formulazione adire il vero un po’ involuta, ‘[l]a Regione Toscana vieta la produzione e la coltivazione di specie checontengono la presenza di organismi geneticamente modificati’.660 Citato in KISS, BEURIER, op. cit., p. 100.661 Vedine il testo in Codice del diritto, op. cit., p. 389 (traduzione italiana non autentica).

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dei corsi d’acqua e alterando gli equilibri biologici di determinati biotopi, con la

conseguente riduzione della variabilità infra ed interspecifica.

Essa può rappresentare, quindi, a tutti gli effetti, una forma particolare di

inquinamento che si chiamerà qui ‘bioinquinamento’. La categorizzazione giuridica del

‘bioinquinamento’ è comunque, allo stato attuale, tutt’altro che chiara ed è resa ancora

più complessa sotto il profilo teorico dal fatto che il bioinquinamento si differenzia

dall’inquinamento chimico, termico o radioattivo per essere capace di autoriprodursi662.

Il vuoto giuridico è particolarmente evidente sul piano internazionale.

Una prima questione riguarda il danno transfrontaliero. La capacità di proliferare e

migrare rapidamente verso nuovi ambienti anche distanti (nell'assoluta indifferenza per il

rispetto delle frontiere nazionali) appare evidente per gli animali, dotati di capacità

motoria propria663. Anche le piante, i funghi ed i batteri, comunque, possono colonizzare

nuove regioni, grazie al trasporto del materiale riproduttivo attraverso diversi tipi di

vettori664.

E’ facilmente intuibile tuttavia che, salvo casi rari e circoscritti, la proliferazione di

organismi viventi geneticamente modificati nel territorio di uno Stato avviene, non in

662 Alcuni autori, con specifico riferimento ai danni derivanti dal rilascio di organismi geneticamentemodificati, utilizzano il termine ‘inquinamento genetico’ (genetic pollution, cfr. MURPHY, op. cit., inHarvard International Law Journal, 2001, p. 48). Qui si preferisce parlare in senso più generale di‘bioinquinamento’, nozione più ampia che ricomprende anche fenomeni quali la diffusione incontrollata dispecie proliferanti. La qualificazione della diffusione di organismi invasivi (e specialmente di organismi geneticamentemodificati ) come una forma di inquinamento è stata avanzata più volte in dottrina (KISS, BEURIER, op.cit., p. 302; MURPHY, op. cit., p. 93 ss.). Un approccio teorico in parte diverso è seguito dalla Cripps, secondo la quale le attività biotecnologicheche causano o potrebbero causare danni in altri Stati ‘might be regarded as lawful in the sense that it couldbe argued that they do not violate an obligation which is specifically established by a rule of customaryinternational law. On the other hand, it would be possibile to suggest that damage caused by geneticengineering is inevitably the result of air or water pollution. The fact that the pollution is caused by micro-organisms or viruses rather than fumes should not bar a claim’ (citato in MCGARITY, InternationalRegulation of Deliberate Release Biotechnologies, in International Responsibility, op. cit., p. 352).663 Molti scienziati hanno sottolineato i pericoli ambientali legati all'acquacoltura transgenica (c.d.Rivoluzione blu). Se per negligenza umana o eventi naturali imprevisti, i pesci riuscissero a sfuggire dallestrutture confinate che li contengono, potrebbero diffondersi rapidamente nell'ambiente acquatico dove, invirtù delle loro caratteristiche, potrebbero portare all'estinzione delle popolazioni autoctone, secondo alcunimodelli statistici nell'arco di qualche decina di generazioni (MUIR, HOWARD, Possible Ecological Risksof Transgenic Organism Release when the Transgenes Affect Mating Success : Sexual Selection and theTrojan Gene Hypothesis, Proc. Nat. Acad. Sci., 1999, pp. 13853-13856). Un rischio estremamente gravepotrebbe derivare dalla maricultura in seguito alla diffusione degli animali transgenici in mare aperto. Nel2001 la Royal Society del Canada (paese in cui sono già stati creati salmoni transgenici) ha auspicato unamoratoria sulla coltivazione di pesci transgenici in vasche situate nei fiumi, nei laghi o in mare (RoyalSociety of Canada, Elements of Precaution: Recommendations for Regulation of Food Biotechnology inCanada, gennaio 2001, rinvenibile all’indirizzo Internethttp://www.rsc.ca/foodbiotechnology/GmreportEN.pdf).664 Il materiale riproduttivo può essere disseminato dal vento o da altri agenti meccanici di origine naturale.Sembra che l'ulivo abbia colonizzato il bacino mediterraneo perché trasportato dagli uccelli migratori; siricorda poi il fenomeno della zoocoria che consiste nel trasporto a distanza dei semi non digeriti da parte divettori animali come uccelli o mammiferi.

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conseguenza di una diffusione accidentale del materiale di riproduzione oltre frontiera,

bensì a seguito della sua introduzione volontaria ad opera dell’uomo665.

In particolare, tralasciando i casi di rilievo meramente interno, la fattispecie

giuridicamente più interessante consiste nel verificarsi di episodi di ‘bioinquinamento’

derivanti dalla diffusione in un Paese di organismi viventi modificati importati o prodotti

in loco da una società straniera o da un’impresa avente formalmente la nazionalità del

Paese danneggiato, ma controllata da una società straniera666.

Come si è avuto modo di evidenziare supra, anche a seguito della commissione di atti

imputabili ad una persona fisica o morale dotata di nazionalità straniera, il danno

ecologico da essi derivante (danni personali o patrimoniali, incluse le spese sostenute

dalle autorità pubbliche per il ripristino ambientale) potrebbe essere risarcito in base al

diritto interno, secondo la legislazione del loci commissi delicti, col ricorso delle vittime

al tribunale nazionale competente. Per ragioni di convenienza, le vittime potrebbero

altresì tentare di rivolgersi al tribunale competente dello Stato di nazionalità o di origine

dell’impresa in questione, ad esempio perché l’ordinamento straniero prevede la

possibilità di class actions, disposizioni più severe in materia di responsabilità civile,

etc.667

In linea teorica, il risarcimento delle vittime sul piano interindividuale, direttamente

da parte dell’operatore responsabile della condotta lesiva, presenta numerosi vantaggi.

Accollando i costi economici direttamente all’inquinatore (laddove individuabile), si

665 In presenza di un divieto di coltivare OGM nel loro Paese, sono molto spesso i contadini che importanoillegalmente sementi transgeniche per ottenere maggiori margini di guadagno. E’ questo il caso del Brasiledove, pur in presenza di una moratoria sugli OGM, è stato calcolato nel 2003 che almeno l’8% dei campi disoia, soprattutto nel Sud del Paese sono geneticamente modificati; le sementi sono introdotte illegalmente apartire dalla vicina Argentina (SEVILLA, Le soja transgénique embarasse le gouvernement brésilien, in Lemonde, 13 marzo 2003). E’ quantomeno curioso che la multinazionale Monsanto abbia più volte protestatoper questa situazione, da ultimo davanti alla Commissione affari esteri del Senato statunitense, pretendendodelle royalties sulla soia prodotta in Brasile! (Le rançon de la gloire, in La Tribune, 13 giugno 2003) Le maggiori rese stanno spingendo comunque numerosi Paesi in via di sviluppo ad investire nella ricercae nella coltivazione di piante transgeniche. Nel 2002, secondo i dati dell’ISAAA, il 27% dei campitransgenici del mondo si trovava nei paesi in via di sviluppo: la superficie coltivata a cotone Bt, adesempio, si sta rapidamente estendendo in India, Cina, Sud Africa e Colombia.666 Sul tema, cfr. anche MURPY, op. cit., pp. 90 ss.667 Casi del genere sono piuttosto frequenti a seguito della commissione di illeciti di varia natura da parte diimprese multinazionali nei paesi in via di sviluppo, dotati spesso di ordinamenti e sistemi giudiziari deltutto inadeguati. Le azioni civili intraprese negli Stati occidentali di origine delle imprese, tuttavia,vengono talvolta respinte sulla base della dottrina del forum non conveniens. In merito, con riferimento allaprassi dei tribunali statunitensi ed in particolare all’affare di Bhopal, cfr. ISMAIL, Forum non Conveniens,United States Multinational Corporations, and Personal Injuries in the Third World: Your Place or Mine?,in Boston College Third World Law Journal, 1991, pp. 249 ss. Sui vantaggi e gli svantaggi del ricorso da parte delle vittime al tribunale interno del luogo dove il dannosi è verificato oppure a quello straniero competente, con riferimento al danno ambientale transfrontaliero,si veda BOYLE, Making the Polluter Pay? Alternative to State Responsibility in the Allocation ofTransboundary Environmental Costs, in International Responsibility, op. cit., pp. 371 ss.

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pone in armonia con il principio ‘chi inquina paga’, più volte riconosciuto sul piano

internazionale. Garantisce poi con maggiore certezza i diritti dei privati, nella misura in

cui non è subordinato all’intervento discrezionale del loro Governo in protezione

diplomatica, in base cioè ad un istituto notoriamente legato a considerazioni di

opportunità politica e al gioco complesso delle relazioni internazionali.

Detto questo, si deve sottolineare che, allo stato attuale, anche fra i paesi

tecnologicamente più avanzati pochissimi sono dotati di normative sulla responsabilità

civile per danni derivanti dalla diffusione di organismi viventi modificati668. I numerosi

casi di contaminazioni accidentali che si sono verificati negli ultimi anni in molti Stati

europei - portando all’adozione di provvedimenti amministrativi e alla distruzione di

interi raccolti - hanno messo in evidenza chiaramente le carenze normative degli

ordinamenti domestici in tema di responsabilità (delle compagnie sementiere o di

distribuzione, oppure delle aziende agricole) e di risarcimento del danno669.

668 In materia, una legge sulla responsabilità dei coltivatori è stata adottata recentemente in Germania. Unanormativa analoga è da tempo allo studio del Parlamento danese (ROUCOUREL, Le Parlement danois aadopté une motion incluant la notion de responsabilité des cultivateurs utilisant ce type de semence, in LaTribune, 26 maggio 2003), mentre in Italia il Ministero delle politiche agricole, le Regioni e le industriesementiere lavorano dall’estate del 2003 all’elaborazione di un protocollo di intesa per disciplinare glieffetti della presenza accidentale di semi modificati nelle sementi. Dei progetti in materia sono da tempoallo studio anche della Commissione europea, alla quale la direttiva 2001/18/CE (16° considerando) haaffidato il compito di presentare una proposta sulla responsabilità ambientale che copra anche i danniderivanti da OGM (in merito, cfr. MURPHY, op. cit., p. 91, e, per i dati aggiornati alla fine del 2003,UNEP/CBD/BS/COP-MOP/1/9Add.1, documento rinvenibile su Internet, www.biodiv.org, pagina base ).669 Nel 2000 le autorità greche hanno ordinato la distruzione di campi di cotone che contenevanopercentuali non trascurabili (secondo i dati ufficiali 2,75%) di piante transgeniche non approvate. Nellostesso anno casi analoghi si sono verificati in Francia (600 ettari), Germania (300 ettari) e Regno Unito(4700 ettari) a seguito dell’importazione di sementi di colza trasgenica non autorizzata nell'UE. Conriguardo all’Italia, episodi di contaminazione si sono registrati in Veneto nel 2000 (mais) e, piùrecentemente, in Toscana e Piemonte (SELVATICI, Niente sequestro per il mais con OGM. Il gip respingela richiesta della Procura attivata da un esposto della Regione, in La Repubblica, 8 agosto 2003). Nel luglio 2003 un'ordinanza della Regione Piemonte ha imposto la distruzione di 381 ettari di maistransgenico. Azioni penali e civili sono state intraprese contro le imprese fornitrici delle sementi e laRegione si è costituita parte civile (per ulteriori ragguagli, vedi TRABUCCO,‘Via gli OGM, ci sarà ilrimborso’. Torino, oggi partiranno i ricorsi. Gli agricoltori che si rifiutano di distruggere i campi sonouna trentina, in La Repubblica, 15 luglio 2003 e MORANDI, La truffa degli OGM. I retroscena del maistransgenico in Piemonte, in Liberazione, 15 luglio 2003). Nel 2000 un ramo francese della società semenziera Adventa ha risarcito il prezzo delle sementi agliagricoltori francesi costretti a distruggere i propri raccolti di colza contaminati. In assenza di un obbligogiuridico in tal senso, il gesto è stato motivato soltanto da ragioni di tipo commerciale e di marketing. Se la separazione delle filiere produttive è tecnicamente difficile da realizzare, la possibilità dicontaminazioni è accresciuta dal fatto che i grandi Paesi produttori di OGM (Stati Uniti, Canada,Argentina) sono anche i maggiori esportatori di sementi (secondo i dati dell'USDA, i soli Stati Uniti hannovenduto nel 2003 quasi 29 milioni di tonnellate di semi di soia). Numerosi casi di contaminazione si sono registrati anche negli Stati Uniti: nel 2002 del mais manipolatodalla ProdiGene per produrre dei composti antidiarrea è stato ritrovato in un silos di soia nel Nebraska. Ilcampo sperimentale era stato infatti mal gestito dopo il raccolto ed erano rimaste nel terreno alcunesementi rigerminate l’anno successivo. Nello Iowa, 60 ettari di mais sono stati distrutti tramite incenerimento per decisione del Dipartimentodell’agricoltura (USDA) perché la stessa azienda aveva realizzato nelle vicinanze un campo di maisfarmaceutico senza prendere le misure adeguate onde evitare un’impollinazione dei campi circostanti. Un

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In ogni caso, anche ammettendo l’adozione da parte dei singoli Stati di legislazioni

efficaci in materia di ‘bioinquinamento’, come auspicato dalla convenzione di Lugano

del 21 giugno 1993670, il solo ricorso ai tribunali interni potrebbe rivelarsi alquanto

insoddisfacente. A parte le difficoltà che possono nascere dall’esecuzione all’estero della

sentenza emessa dal tribunale interno del loci delicti commissi, si deve riconoscere,

insieme a McGarity, che, talvolta, le imprese biotecnologiche sono delle start-up, o

comunque delle società medio-piccole scarsamente capitalizzate. Questa circostanza,

insieme alle dimensioni che potrebbero assumere i danni derivanti da episodi di

‘bioinquinamento’, fanno sì che, in assenza di un efficace sistema obbligatorio di

assicurazione, il patrimonio delle società autrici dell’illecito potrebbe spesso rivelarsi

insufficiente a risarcire tutte le vittime (soggetti privati ed enti pubblici) in maniera

adeguata, anche attraverso il ricorso alle procedure fallimentari. A quanto precede si deve

aggiungere che, nel caso di multinazionali, può essere estremamente difficile far valere

negli ordinamenti interni la responsabilità della società capogruppo e, a maggior ragione,

dello Stato di origine. Si tratta di questioni complesse che, per ovvie ragioni, non saranno

affrontate in questa sede671.

Appare comunque evidente che, nei casi in esame, l’azione sul piano delle relazioni

interstatuali si renderebbe indispensabile qualora non fosse stato possibile risarcire tutti i

danni arrecati in uno Stato attraverso il ricorso delle vittime ai tribunali interni. La

possibilità per uno Stato di far valere una responsabilità internazionale di un altro Stato

per episodi di ‘bioinquinamento’ che hanno avuto origine sul proprio territorio ad opera

di imprese straniere, sembra estremamente difficile attraverso il ricorso al diritto

consuetudinario e da tempo alcuni giuristi auspicano che il problema venga affrontato

attraverso l’adozione di un apposito strumento convenzionale672.

caso particolarmente grave di contaminazione si è verificato negli Stati Uniti nell’estate del 2000, quandonumerosi prodotti alimentari sono stati ritirati dal commercio (circa 3 milioni di tacos Kraft e oltre 300prodotti a base di mais) perché contaminati da mais Starlink, una linea geneticamente modificata utilizzatasoltanto a fini mangimistici o industriali perché contenente un allergene che la rende inadatta all’usoalimentare (per questi episodi di contaminazione, cfr. KEMPF, Aux Etats-Unis, les OGM médicamenteuxinquiètent l’industrie alimentaire, in Le monde, 13 marzo 2003 e www.greepeace.it, pagina base).670 La convenzione di Lugano sulla responsabilità civile dei danni risultanti da attività pericolose perl’ambiente include infatti espressamente fra le attività pericolose la produzione, l’utilizzo, lo stoccaggio eil rilascio di organismi geneticamente modificati o di microrganismi (art. 2, par. 1, lett. b); il testo dellaConvenzione è consultabile su Internet all’indirizzo www.conventions.coe.int, pagina base).671 Sul problema della responsabilità civile delle società capogruppo, ci si limita a rimandare aSCOVAZZI, Industrial Accidents and the Veil of Transnational Corporations, in InternationalResponsibility, op. cit., pp. 395 ss. Sull’eventuale responsabilità degli Stati di origine delle multinazionali, cfr. FRANCIONI, ExportingEnvironmental Hazard Through Multinational Enterprises: Can the State of Origine Be Responsible?, inInternational Responsibility, op. cit., pp. 275 ss.672 In questo senso, cfr. MCGARITY, op. cit., p. 354.

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Questo potrebbe stabilire la responsabilità dello Stato per la condotta delle persone

soggette alla propria giurisdizione o controllo o, in alternativa, facilitare il risarcimento

dei danni sul piano del diritto privato internazionale, canalizzando la responsabilità civile

su determinati operatori (presumibilmente le imprese biotecnologiche), identificando le

competenze giudiziarie e la legge applicabile dai tribunali interni, istituendo dei fondi

internazionali, etc673.

Ai redattori della Convenzione sulla biodiversità non è sfuggito che la negoziazione

di un accordo di questo tipo si sarebbe rivelata molto difficile, visti i complessi problemi

di carattere tecnico-giuridico e, soprattutto, gli ingenti interessi economici in gioco.

Come era avvenuto per la Convenzione di Basilea sul commercio internazionale dei

rifiuti pericolosi (firmata il 22 marzo 1989), il tema della biosicurezza sarebbe stato

regolato in primo luogo sul piano del commercio internazionale, con il riconoscimento

del diritto di ciascuno Stato a regolare l’importazione nel proprio territorio di prodotti

biotecnologici che potrebbero avere effetti nocivi sulla conservazione e l’uso sostenibile

della diversità biologica674. L’approccio seguito, oltre ad essere conforme al principio di

prevenzione, si è rivelato realistico e fecondo di sviluppi giuridici.

673 Come è noto - fatte salve alcune eccezioni, come la Convenzione del 1972 sulla responsabilità per idanni causati dagli oggetti spaziali – sino ad oggi è quest’ultima la soluzione più applicata (vedi, in ambitidiversi, la Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969 sulla responsabilità civile per danni dovutiall’inquinamento da idrocarburi, la Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989, la Convenzione di Luganosulla responsabilità civile per danni derivanti da attività pericolose per l’ambiente, etc.).674 Come è noto, nell’ambito della Convenzione di Basilea, il tema della responsabilità civile deglioperatori economici e del risarcimento dei danni causati da movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi èstato affrontato con l’adozione di un successivo Protocollo sulla responsabilità e il risarcimento dei dannirisultanti da movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (aperto alle firme il 6marzo 2000, riprodotto in IJIL, 2001, pp. 167 ss.). Lo strumento, adottato soltanto dopo quasi otto anni dilunghi e complessi negoziati, non si occupa comunque della questione della responsabilità degli Stati (art.16, ibidem, p. 176). Sul Protocollo, cfr. SOARES, VARGAS, The Basel Liability Protocol on Liability andCompensation for Damage Resulting from Transboundary Movements of Hazardous Wastes and TheirDisposal, in Yearbook of International Environmental Law, pp. 69 ss.

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Paragrafo 2: Protocollo di Cartagena e biosicurezza

2.1 Verso il Protocollo sulla biosicurezza

Come si è visto, la Convenzione di Rio impegna gli Stati ad impedire l’introduzione,

controllare o eliminare le specie esotiche che minacciano gli ecosistemi, gli habitat o le

altre specie (art. 8, par. h) e richiede loro di regolamentare i rischi associati

all’utilizzazione e alla liberazione di organismi viventi modificati che potrebbero avere

un impatto negativo sulla salute umana o sulla conservazione e l’uso sostenibile della

diversità biologica (art. 8, par. g).

Prevede altresì all’art. 19, par. 4, che

‘[c]haque Partie contractante communique directement ou exige que soit communiquépar toute persone physique ou morale relevant de sa jurisdiction et fournissant desorganismes visés au paragraphe 3 ci-dessus toute information disponible relative à

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l’utilisation et aux règlements de sécurité exigés par ladite Partie contractante en matièrede manipulation de tels organismes, ainsi que tout renseignement disponible sur l’impactdéfavorable potentiel des organismes spécifiques en cause, à la Partie contractante sur leterritoire de la quelle ces organismes doivent être introduits’.

Salvo questa disposizione, il problema della biosicurezza era, come si è detto, in gran

parte posposto e l’art. 19, par. 3, faceva riferimento alla possibile adozione di un

protocollo che regolasse le procedure del trasferimento internazionale degli organismi

viventi geneticamente modificati (living modified organism, da qui in poi OVM675)

secondo un principio di accordo preliminare in conoscenza di causa (accord préalable

donné en connaissance de cause, advance informed agreement)676.

L’impulso allo sviluppo di un protocollo sulla biosicurezza è stato dato dai Paesi in

via di sviluppo, in particolar modo africani. Nel contesto attuale di globalizzazione

economica, caratterizzato da una mobilità fino a pochi decenni fa impensabile dei fattori

di produzione, è del resto un fenomeno ben noto quello per cui le imprese decidono

spesso di delocalizzare le proprie unità produttive nel territorio di Stati dotati di

legislazioni che permettono di produrre a costi maggiormente competitivi sul mercato

mondiale, spesso perché poco rispettose dei diritti dei lavoratori o delle esigenze di tutela

dell’ambiente. Lo sfruttamento del lavoro minorile e la repressione dell’attività sindacale

da parte di alcune corporations multinazionali nei Paesi del Sud del mondo sono state da

tempo denunciate dai media e dalle organizzazioni non governative, mentre alcuni

episodi tragici come l’incidente di Bhopal hanno messo in luce le conseguenze

drammatiche di un fenomeno la cui gravità non può essere nascosta dal ricorso alla

formula elegante di environmental shopping677.

I Paesi poveri, privi di un apparato normativo adeguato e dei mezzi tecnici per

monitorare il rilascio nell’ambiente di OVM, temevano già alla fine degli anni ’80 che i

675 Come sottolinea Righini (RIGHINI, Il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza e gli accordi sulcommercio internazionale, in RDI, 2001, p. 656 e s.), l’espressione ‘organismo vivente modificato’ èpleonastica, essendo un organismo vivente per definizione. Preme sottolineare che con l’espressione‘organismo geneticamente modificato’ (OGM) si è fatto riferimento nel presente lavoro agli organismiviventi interi o al loro materiale di riproduzione come semi e cellule viventi; si sono esclusi invece iprodotti derivati dagli organismi modificati, ad uso alimentare o industriale (farine, olii, etc). I terminiOGM e OVM sono usati, quindi, come sinonimi e l’uso in queste pagine del termine OVM viene preferitosoltanto per ragioni di conformità con la terminologia accolta dalla Convenzione di Rio e, poi, dalProtocollo di Cartagena.676 Va ricordato, comunque, che l’adozione di un trattato disciplinante l’esportazione di organismigeneticamente modificati era stata avanzata da tempo in dottrina, anche prima dell’adozione dellaConvenzione sulla biodiversità. In particolare, tutte le grandi questioni che sarebbero state affrontate nelProtocollo erano state discusse, con grande lucidità da McGarity in un articolo del 1991 (MCGARITY, op.cit.).

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loro territori si sarebbero trasformati in una sorta di laboratorio a cielo aperto per gli

esperimenti in campo delle multinazionali biotecnologiche, costrette nei propri Stati di

origine al rispetto di severi vincoli di biosicurezza678. Ciò avrebbe rappresentato a loro

avviso un inaccettabile trasferimento di rischio ambientale dal Nord verso il Sud del

mondo, analogo per molti aspetti a quello prodotto dal trasporto internazionale dei rifiuti

tossici e radioattivi.

Proprio il regime internazionale sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti

pericolosi (hazardous wastes) sembrava offrire ai paesi in via di sviluppo un modello da

seguire. In particolare, sia la Convenzione di Basilea, sia la Convenzione di Rotterdam

sulla procedura di previo accordo in conoscenza di causa applicabile a certi prodotti

chimici e pesticidi pericolosi che costituiscono l’oggetto di un commercio

internazionale679 avevano istituzionalizzato un meccanismo basato sulla notifica e

l’espressione di un consenso scritto informato (prior informed consent) da parte dello

Stato di importazione680.

Dopo lo svolgimento nel 1993 di una Conferenza regionale per la cooperazione

internazionale sulla sicurezza delle biotecnologie (Harare, Zimbabue) i Paesi africani -

non disponendo di alcun quadro normativo nazionale - avevano sottolineato con forza

l’esigenza di una regolamentazione internazionale e nel 1996 un gruppo di esperti aveva

redatto un Protocollo africano di biosicurezza che sarebbe servito da base di discussione

per l’adozione del Protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi biotecnologici

relativi alla Convenzione sulla diversità biologica681.

677 Si vedano, al riguardo, le conclusioni raggiunte dal Tribunale permanente dei popoli alla fine dellasessione di Warwick dedicata alle multinazionali (Permanent Peoples’ Tribunal on Global Corporationand Human Wrong, 2000, documenti consultabili su Internet, all’indirizzo www.grisnet.it, pagina base).678 Sono già noti alcuni casi in cui gli esperimenti in campo sono stati condotti da imprese ed enti di ricercaall’estero, talvolta senza il coinvolgimento dei Governi nazionali, proprio per evitare le severeregolamentazioni degli Stati di origine. Per alcuni di questi episodi, cfr. MCGARITY, op. cit., p. 322.679 Convenzione del 10 settembre 1998, riprodotta in ILM, 1999, pp. 1 ss.680 In realtà, la Convenzione di Basilea era stata oggetto di numerose critiche da parte del Gruppo dei 77per non aver proibito il commercio dei rifiuti pericolosi diretto dagli Stati dell’OCDE a quelli nonindustrializzati. Il carattere compromissorio della Convenzione aveva portato alla mancata firma dei Paesi africani eall’adozione nel 1991 della Convenzione di Bamako sul bando dell’importazione in Africa e il controllodei movimenti transfrontalieri e la gestione dei rifiuti pericolosi in Africa. In merito, vedi OUGUEROUZ,La Convention de Bamako sur l’interdiction d’importer en Afrique des déchets dangereux et sur le contrôledes mouvements transfrontières et la gestion des déchets dangereux produits en Afrique, in AFDI, 1992,pp. 871 ss.; RANJAN, Legal Controls of the Transboundary Movements of Hazardous Wastes into India –an Evaluation, in IJIL, 2001, pp. 44 ss.681 BRAC DE LA PERRIERE, La construction d’un système commun de bio-cécurité pour l’Afrique, inAFSSA, Ogm et alimentation, op. cit., pp. 249 ss. L’articolo, aggiornato al gennaio 2002, evidenzia comenel continente africano la sola Africa del Sud fosse dotata di un’apposita normativa sull’importazione deiprodotti viventi geneticamente modificati, la loro disseminazione e tracciabilità. Le multinazionali, ancheattraverso la formazione di consorzi come AfricaBio e in collaborazione spesso con istituti di ricerca locali,stanno cercando di sviluppare prodotti adatti ai mercati locali e numerose sperimentazioni in loco (field

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L’elaborazione di questo Protocollo è stata un processo lungo e difficile, iniziato

formalmente nel 1995 quando la Conferenza delle Parti alla Convenzione di Rio ha

stabilito un Gruppo di lavoro speciale sulla biosicurezza (dec. II/5)682. A partire dal luglio

del 1996, il Gruppo si è riunito sei volte, l’ultima delle quali, nel febbraio del 1999, a

Cartagena. Nonostante il Protocollo mantenga il nome della città colombiana dove si è

svolta la Conferenza straordinaria delle Parti convocata per adottare il Protocollo

(febbraio 1999), il carattere controverso della materia non rese possibile in quella

circostanza il raggiungimento di un compromesso soddisfacente per gli Stati. In

particolare, le divisioni sul rapporto del Protocollo con il diritto dell’OMC portarono

all’arenamento dei lavori e alla sospensione della riunione della Conferenza delle Parti.

Come sottolinea Maljean-Dubois, diversamente da quanto era avvenuto in seno

all’UNEP durante i lavori preparatori della Convenzione di Rio, i negoziati non furono

caratterizzati tanto dalla frattura fra Paesi del Sud e del Nord del mondo, quanto dalla

contrapposizione fra Paesi esportatori ed importatori di organismi geneticamente

modificati. In particolare, gli Stati si riunirono in cinque gruppi principali:

- il c.d. Gruppo di Miami, composto dai maggiori Paesi produttori di OVM Parte alla Convenzione di Rio: Argentina, Australia, Canada, Cile, Uruguay ;

- i principali Paesi del Gruppo dei 77, insieme a Brasile e Cina (c.d. ‘Like-Minded Group’);

- i Paesi membri dell’Unione europea;

- i Paesi del Centro e dell’Est Europa con la Russia;

- il c.d. Gruppo di compromesso, composto da Svizzera, Norvegia, Giappone, Corea del Sud, Messico e Singapore.

trials) sono state realizzate in Kenia, Egitto, Zimbabue, Zambia, Marocco, Nigeria (BRAC DE LAPERRIERE, op. cit., p. 251).682 La decisione è consultabile su Internet all’indirizzo www.biodiv.org, pagina base.

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Non è qui possibile ricostruire, sia pur sommariamente, il complesso procedimento

negoziale nel quale, peraltro, hanno giocato un ruolo rilevante gli attori non statali

(organizzazioni non governative e industrie biotecnologiche)683.

Schematizzando, il dibattito vide la polarizzazione del dibattito fra il Gruppo di

Miami e i tre successivi, mentre il Gruppo di compromesso ebbe un peso piuttosto

marginale, cercando con scarso successo di mediare fra i contrapposti interessi di Stati

esportatori ed importatori di prodotti biotecnologici.

Un ruolo importante fu giocato dal Governo di Washington, la cui notoria contrarietà

all’adozione di un trattato internazionale sulla biosicurezza era fondata sulla convinzione

che gli organismi geneticamente modificati dovessero essere considerati come tutti gli

altri prodotti agricoli e alimentari, il cui commercio internazionale è regolato a livello

internazionale dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio. Mentre gli

Stati Uniti – che non avendo stipulato la Convenzione di Rio partecipavano ai negoziati

multilaterali a titolo di osservatori - ebbero un ruolo determinante nel sostegno alle

posizioni del Gruppo di Miami, l’Unione europea si schierò nettamente a favore dei paesi

in via di sviluppo e all’affermazione del principio di precauzione.

Dopo molti mesi di dibattiti, in gran parte informali, il compromesso fu raggiunto

tramite lo svolgimento di un negoziato ristretto fra il Gruppo di Miami e l’Unione

europea 684 e il Protocollo poté essere adottato mediante consensus il 29 gennaio del

2000, nel corso della Conferenza straordinaria delle Parti tenutasi a Montréal685.

Avendo raggiunto rapidamente il cinquantesimo strumento di ratifica, secondo quanto

disciplinato dall’art. 37, par. 1, il Protocollo è entrato in vigore l’11 settembre del 2003.

La prima Riunione delle Parti si è svolta a Kuala Lumpur nel febbraio del 2004686.

2.2 Il Protocollo di Cartagena: obiettivi e ambito di applicazione

683 Sui lavori preparatori, cfr. STOLL, Controlling the Risks of Genetically Modified Organisms: TheCartagena Protocol on Biosafety and the SPS Agreement, in Yearbook of International EnvironmentalLaw, 1999, pp. 86 ss.684 MALJEAN-DUBOIS, op. cit., p. 980.685 Il testo del Protocollo è consultabile su Internet, all’indirizzo www.biodiv.org. Si noterà che ladenominazione ‘Protocollo di Cartagena’ scelta dalla Conferenza delle Parti permette di distinguere lostrumento dal Protocollo sulle sostanze nocive per lo strato di ozono del 1987, noto nella prassi diplomaticacome Protocollo di Montreal. 686 Attualmente, hanno ratificato il Protocollo 89 Stati o Organizzazioni internazionali (dati aggiornati al29 marzo 2004). Fra i ratificanti figurano India, Brasile, Messico, Comunità europea, Bolivia, Cameroon,Ecuador, Bielorussia, Madagascar, Ucraina, Svizzera, Giappone, Colombia, etc. Con un certo ritardo,l’Italia ha ratificato il Protocollo il 24 marzo 2004.

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Ai sensi dell’art. 1, l’obiettivo del Protocollo, conformemente al principio di

precauzione consacrato dal Principio 15 della Dichiarazione di Rio su ambiente e

sviluppo, ‘est de contribuer à assurer un degré adéquat de protection pour le transfert, la

manipulation et l’utilisation sans danger des organismes vivants modifiés résultant de la

biotechnologie moderne qui peuvent avoir des effets défavorables sur la conservation et

l’utilisation durable de la diversité biologique, compte tenu également des risques pour la

santé humaine, en mettant plus précisement l’accent sur les mouvements

transfrontiers’687.

L’individuazione dei prodotti che costituiscono l’oggetto del Protocollo ha costituito

uno dei punti più controversi durante il negoziato, in ragione soprattutto degli ingenti

interessi economici legati al commercio internazionale dei prodotti derivati dagli

organismi geneticamente modificati, specialmente quelli di origine vegetale e ad uso

alimentare. Mentre i paesi del ‘Like-Minded Group’, avrebbero voluto estendere anche a

questi ultimi il campo di applicazione del Protocollo, il testo finale ha rappresentato un

compromesso, limitandosi a disciplinare il commercio degli organismi viventi modificati

e non quello dei prodotti da essi derivati incapaci di riprodursi e diffondersi

nell’ambiente (farine, olii, amidi, etc.).

La locuzione organismo vivente modificato viene usata nel trattato per indicare tutte

le entità biologiche capaci di trasferire o di replicare materiale genetico (microrganismi

come batteri e virus, animali vivi, piante intere o loro materiale di riproduzione, etc.)688

frutto di biotecnologiche moderne. Ai sensi dell’art. 3, lett. i), queste tecniche

comprendono la transgenesi e la fusione cellulare di organismi non appartenenti ad una

stessa famiglia tassonomica, tecniche volte cioè a superare le barriere naturali fra le

specie, creando una ricombinazione di materiale genetico che non avrebbe potuto avere

luogo in natura o attraverso le tecniche classiche di selezione.

Il Protocollo prevede comunque alcune importanti eccezioni, stabilendo che le norme

in esso contenute non si applicano a:

- gli organismi viventi prodotti attraverso tecniche tradizionali di selezione (selezione di mutanti naturali, selezione massale, etc.);

- gli OVM che sono prodotti farmaceutici destinati all’uomo regolati da altri accordi o organizzazioni, come l’Organizzazione mondiale della sanità (art. 5);

687 Ai sensi dell’art. 40 del Protocollo, i testi in lingua araba, cinese, francese, inglese, russa e spagnolafanno ugualmente fede. Come per la Convenzione di Rio, si farà qui riferimento, prevalentemente, al testofrancese.688 Ibidem, art. 3, lett. h).

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- gli OVM non destinati ad essere immessi nel territorio di una Parte perché in transito o comunque destinati ad essere utilizzati in ambiente confinato (art. 6);

- gli OVM che la Riunione delle Parti al Protocollo identificherà come non presentanti rischi significativi per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica, tenuto conto ugualmente dei rischi per la salute umana (art. 7, par. 4).

Una rapida analisi del Protocollo mostra come, nonostante l’ampiezza degli

obiettivi annunciati all’art. 1 e all’art. 4, in un’ottica essenzialmente bilaterale, il

Protocollo si concentri soprattutto sul trasferimento internazionale degli organismi

derivati dalla moderna biotecnologia.

Pochissime e assolutamente anodine sono invece le disposizioni di biosicurezza che

riguardano le attività di manipolazione ed uso degli organismi quando queste espletano i

loro effetti soltanto all’interno del territorio delle Parti. L’art. 2, par. 2, dal tenore

generalissimo, si limita a richiedere agli Stati di fare in modo che la messa a punto, il

trasporto, e la liberazione degli OVM siano realizzati in maniera da prevenire o ridurre i

rischi per la diversità biologica e la salute umana. In maniera analoga, l’art. 16, par. 4,

richiede agli Stati di sottomettere anche gli organismi messi a punto localmente ad un

periodo di osservazione appropriato corrispondente al suo ciclo di vita o al suo tempo di

formazione prima di essere utilizzato come previsto.

Come ha sottolineato Pavoni, nonostante il tema della biosicurezza sia di carattere

eminentemente ‘pubblico’, il Protocollo non contribuisce allo sviluppo di norme che

limitano la sovranità degli Stati sulle proprie risorse naturali attraverso la creazione di

obblighi erga omnes partes689.

Ad ogni Contraente incombe l’obbligo di adottare le misure nazionali necessarie a

prevenire e reprimere i movimenti illeciti aventi origine dal proprio territorio e,

nell’eventualità in cui questi si verifichino, rimpatriare o distruggere, secondo le richieste

delle Parti coinvolte, gli organismi illecitamente trasportati (art. 25, par. 1).

Un obbligo di notifica è previsto dall’art. 17, nel caso in cui la diffusione

nell’ambiente di OVM a seguito di un incidente rischi di dare luogo ad un movimento

transfrontaliero non intenzionale, suscettibile di arrecare nocumento alla conservazione e

all’uso sostenibile della diversità biologica, tenuto conto anche dei rischi per la salute

689 Sia pur con specifico riferimento al mare, l’art. 2, par. 3, riconosce anzi espressamente che ‘[r]ien dansle présent Protocole ne porte atteinte, de quelque façon que ce soit, à la souveraineté des Etats sur leurs

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umana. Lo Stato sotto la cui giurisdizione ha avuto luogo l’incidente dovrà consultare

immediatamente gli Stati che possono essere coinvolti e notificare loro tutte le

informazioni necessarie per determinare le misure da intraprendere.

2.3 (segue) La procedura di accordo preliminare in conoscenza di causa

Secondo il combinato disposto degli artt. 8, 9, 10 e 12, il movimento transfrontaliero

degli OVM destinati ad essere introdotti intenzionalmente nell’ambiente è soggetto ad

una procedura di accordo preliminare in conoscenza di causa (advance informed

agreement, accord préalable en connaissance de cause) che costituisce senza dubbio

l’apporto principale dell’intero Protocollo.

Come è stato osservato, la procedura è molto simile a quella del prior informed

consent e la scelta di una diversa terminologia è stata dovuta, più che a ragioni di

carattere sostanziale, all’opposizione di alcuni Stati industrializzati all’impiego di una

formula che, implicitamente, avrebbe dato adito ad un accostamento a loro avviso

inaccettabile fra gli organismi modificati ed i rifiuti pericolosi690.

Il Protocollo pone in primo luogo degli obblighi a carico della Parte esportatrice,

ossia lo Stato alla cui giurisdizione è soggetta la persona fisica o giuridica (esportatore)

all’origine del movimento transfrontaliero691.

Anteriormente all’effettuazione del primo movimento transfrontaliero di un OVM

destinato ad essere introdotto nell’ambiente di un altro Stato, la Parte esportatrice deve

indirizzare all’autorità nazionale competente della Parte importatrice una notifica scritta.

Questa deve contenere alcune indicazioni minime sull’OVM oggetto della possibile

transazione, secondo quanto previsto all’Annesso I del Protocollo; fra le altre

informazioni, devono figurare nella notifica il nome, la tassonomia ed il luogo di prelievo

dell’organismo ricettore692 come di quello – o quelli – donatori693, la descrizione della

manipolazione genetica effettuata e della tecnica di realizzazione694, l’utilizzazione

eaux territoriales telle qu’établie en droit international, ni aux droits souverains ou à la jurisdiction qu’ilsexercent sur leur zone économique exclusive et sur leur plateau continental en vertu du droit international’.690 PAVONI, Assessing and Managing Biotechnology Risk under the Cartagena Protocol on Biosafety, inItalian Yearbook of International Law, 2000, p. 122.691 Vedi la definizione di ‘esportatore’, all’art. 3, par. d).692 Annesso I, lett a).693 Ibidem, lett. g).694 Ibidem, lett. h).

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prevista dell’OVM o dei prodotti da esso derivati695, i luoghi di origine ed i centri di

diversificazione degli organismi ricettori, così come la descrizione degli habitat dove essi

possono persistere o proliferare696.

Le Parti esportatrici possono anche esigere che la notifica sia effettuata direttamente

dall’esportatore; in ogni caso dovranno assicurare in base ai meccanismi giuridici previsti

nel proprio ordinamento che sia individuabile una responsabilità giuridica quanto

all’esattezza delle informazioni da questo comunicate697.

La Parte importatrice dovrà accusare ricevuta dell’atto di notifica entro 90 giorni

(art. 9), comunicando per iscritto al notificante le modalità attraverso le quali intende

esprimere il proprio consenso698; ai sensi dell’art. 10, entro 170 giorni a decorrere dalla

data di ricezione della notifica, dovrà rendere nota la sua decisione motivata. Questa

potrà consistere nell’assenso all’importazione con o senza condizioni, nella sua

proibizione o nella richiesta di un prolungamento del periodo di 170 giorni per una durata

di tempo definita. Un apposito annesso (Annesso III) disciplina i criteri che dovranno

essere seguiti dalla Parte importatrice nella valutazione dei rischi potenziali derivanti

dall’introduzione nel proprio territorio dell’OVM. Ai sensi dell’art. 15 del Protocollo,

tale valutazione dovrà essere effettuata ‘selon des méthodes scientifiques éprouvées et

dans la transparence’ e dovrà prendere in considerazione, non soltanto gli effetti

sfavorevoli potenziali degli OVM sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità

biologica negli ecosistemi di possibile diffusione, ma anche i rischi per la salute

umana699. La Parte importatrice potrà richiedere che la valutazione dei rischi sia

effettuata dall’esportatore (art. 15, par. 2) o comunque a sue spese (art. 15, par. 3).

Come è comune nei trattati che prevedono un’autorizzazione degli Stati

all’importazione di determinati prodotti, specialmente ad alto contenuto tecnologico,

previsioni dettagliate regolano la tutela delle informazioni fornite dall’esportatore a titolo

confidenziale durante la procedura di notifica. La Parte importatrice si impegna a

proteggere i segreti commerciali in questione ‘d’une manière aussi favorable que celle

dont elle use pour les informations confidentielles se rapportant aux organismes vivants

modifiés d’origine nationale’ (art. 21, par. 3) e a non utilizzare tali informazioni a fini

695 Ibidem, lett. i).696 Ibidem, lett. f).697 Protocollo di Cartagena, art. 8, par. 2.698 Il Protocollo prevede infatti la facoltà per le Parti importatrici di ricorrere a procedure semplificate diautorizzazione (ibidem, art. 13).699 Ibidem, art. 15, par. 1. Alla presa in considerazione dei rischi per la salute umana fanno riferimento,oltre al preambolo, gli articoli 11, par. 8 e 16, par. 5, lett. a).

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commerciali, salvo col consenso manifestato in forma scritta da parte dell’autore della

notifica (art. 21, par. 4).

In ogni caso, il mancato rispetto da parte dello Stato importatore dei termini richiesti,

sia nella fase successiva alla ricezione, sia nella fase decisionale, non deve essere

interpretato in nessun caso come un consenso allo svolgimento del movimento

transfrontaliero700.

Come si avrà modo di analizzare infra, accogliendo fin dal preambolo in maniera

esplicita il principio di precauzione, il Protocollo conferisce agli Stati importatori un

ampio margine di discrezionalità circa la decisione di rifiutare l’importazione di OVM.

All’art. 26, prevede espressamente che le Parti, nel prendere le proprie decisioni circa

l’importazione, possano ‘tenir compte, en accord avec leurs obligations internationales,

des incidences socio-économiques de l’impact des organismes vivants modifiés sur la

conservation et l’utilisation durable de la diversité biologique, eu égard à la valeur de la

diversité biologique pour les communautés autochtones et locales, en particulier’.

Conferisce poi la facoltà ad ogni Stato di richiedere all’esportatore informazioni ulteriori

alla luce dell’emergere di nuove informazioni scientifiche e, se del caso, modificare in

maniera motivata le proprie decisioni circa l’importazione di un dato OVM (art. 12, par.

1).

Come ha messo in evidenza Pavoni, il Protocollo di Cartagena, mentre impone dei

precisi obblighi procedurali agli Stati quando agiscono in qualità di Stati di esportazione,

lascia le Parti sostanzialmente libere di decidere autonomamente il livello di biosicurezza

che esse giudichino appropriato nel proprio territorio, alla luce delle loro politiche

ambientali e sociali.

La stessa procedura di accordo preliminare in conoscenza di causa predisposta nel

Protocollo resta in definitiva poco più che una traccia alla quale gli Stati di importazione

possono ampiamente derogare. Secondo l’art. 10, par. 2, lett. b), dopo aver ricevuta una

notifica, gli Stati di importazione possono scegliere di autorizzare l’ingresso di un OVM

nel proprio territorio senza nessuna ulteriore comunicazione scritta. In maniera ancora

più significativa, gli artt. 6, par. 1 e 11, par. 4, danno adito ad un ‘treaty-based

unilateralism’701, nella misura in cui assicurano la compatibilità alla luce del Protocollo

di misure di biosicurezza più severe. A ciascuna Parte contraente viene riconosciuto il

diritto di regolamentare il transito ed il trasporto di OVM all’interno del proprio territorio

e quello di impedire l’importazione di OVM destinati al consumo umano o animale

700 Ibidem, art. 9, par. 4 e art. 10, par. 5.

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oppure alla trasformazione industriale, purché tale decisione sia conforme alla

realizzazione dell’obiettivo del Protocollo stesso.

Una volta autorizzato il movimento transfrontaliero, il Protocollo impone agli Stati di

garantire che la manipolazione, l’imballaggio ed il trasporto internazionale degli OVM in

questione avvengano a delle condizioni di sicurezza (art. 18). Prevede in particolare che

gli imballaggi contenenti OVM siano accompagnati da una documentazione indicante

chiaramente che i pacchi ‘possono contenere’ organismi viventi modificati, il tipo di

organismi in questione, le precauzioni da adottare nel trasporto, la persona da contattare

per ulteriori informazioni, etc.

Una simile documentazione, il cui contenuto sarà essere determinato nei dettagli dalla

Riunione delle Parti, dovrà essere fornita anche per gli imballaggi al cui interno si

trovano OVM destinati ad essere trasformati o utilizzati direttamente per l’alimentazione

umana o animale (ad es. frutta fresca o legumi ad uso alimentare, cereali da macinare

nello Stato di importazione, etc.)702.

2.4 (segue) La cornice istituzionale

Onde facilitare lo scambio di informazioni fra gli Stati, il Protocollo stabilisce un

meccanismo di cooperazione permanente, istituzionalizzato attraverso la creazione di un

centro di raccolta e diffusione (Biosafety Clearing House, Centre d’échange pour la

prévention des risques biotechnologiques, da qui in poi Centro di scambio). A

quest’ultimo i Contraenti si impegnano a comunicare le informazioni relative alla

stipulazione di accordi internazionali di biosicurezza a livello bilaterale, regionale o

multilaterale703, così come all’adozione di atti normativi o amministrativi concernenti

l’importazione di determinati prodotti704.

E’ evidente che la cooperazione internazionale rivestirà un ruolo fondamentale nella

promozione degli obiettivi stabiliti dal Protocollo, fornendo ai Paesi meno avanzati le

701 PAVONI, Assessing and Managing Biotechnology, op. cit., p. 116.702 Ibidem, art. 18, par. 2. In particolare, in riferimento agli organismi destinati all’alimentazione o allatrasformazione industriale, cfr. art. 18, par. 2, lett. a). L’inclusione di un riferimento a questo tipo di OVMha costituito, come si è visto, uno dei temi più controversi durante il negoziato. Il loro commerciointernazionale è disciplinato da un regime meno rigido e la loro esportazione non è soggetta alla proceduradi accordo preliminare in conoscenza di causa (cfr. ibidem, art. 11).703 Ibidem, art. 14, par. 3.704 Ibidem, artt. 11, par. 1; 12, par. 1; 14, par. 4.

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capacità tecniche e scientifiche necessarie alla valutazione e alla gestione dei rischi

biotecnologici705.

Dopo aver incoraggiato, all’art. 22, il trasferimento tecnologico verso i paesi in via di

sviluppo, in particolar modo verso i piccoli Stati insulari e quelli meno avanzati, il

Protocollo prevede che il Centro di scambio aiuti le Parti nell’applicazione del

Protocollo, fornendo loro tutte le informazioni a sua disposizione (art. 20, par. 3),

secondo dei meccanismi da stabilirsi in maniera più dettagliata dalla Riunione delle

Parti706. Quest’organo, composto dai rappresentanti degli Stati che hanno stipulato il

Protocollo, è dotato di poteri del tutto analoghi a quelli della Conferenza delle Parti alla

Convenzione di Rio per quanto riguarda l’esame dei rapporti periodici, la creazione di

organi sussidiari, etc. Tutto l’assetto istituzionale dello strumento, del resto, ricalca

piuttosto fedelmente quello della Convenzione principale. Una significativa differenza è

la previsione, tipica degli accordi più moderni a contenuto ambientale, di procedure in

caso di non rispetto707.

Nessuna disposizione specifica è prevista in materia di finanziamento, e il Protocollo

si limita a fare rinvio al meccanismo generale disciplinato dall’art. 21 della Convenzione

di Rio.

Il tema della responsabilità e della riparazione per i danni derivanti da movimenti

transfrontalieri di OVM dovrà essere affrontato, ai sensi dell’art. 27, dalla Riunione delle

Parti ad iniziare dalla sua prima riunione e gli studi intrapresi, secondo gli auspici del

medesimo articolo, dovranno concludersi con l’elaborazione di una apposita disciplina

entro un periodo di quattro anni.

2.5 Accordi ambientali multilaterali e libertà del commercio internazionale

Numerosi accordi ambientali multilaterali, come la Convenzione CITES, il

Protocollo di Montreal o la Convenzione di Basilea, prevedono restrizioni quantitative o

qualitative all’importazione di determinati prodotti aventi come finalità la protezione

dell’ambiente globale. La Convenzione CITES, per fare un solo esempio, regola

705 Si pensi soltanto alla formazione degli impiegati di dogana, delle forze di polizia, degli ispettori, etc.706 Ibidem, art. 20, par. 4.

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severamente il commercio internazionale di alcune specie vulnerabili o a rischio di

estinzione. I trasferimenti internazionali di talune piante o animali sono vietati o

consentiti soltanto dopo il rilascio di appositi permessi (da parte dello Stato di

esportazione e in certi casi di quello importazione) che attestano come la transazione non

costituisca una minaccia per la sopravvivenza della specie in questione708.

E’ di tutta evidenza che le misure previste da questi accordi pongono delicati

problemi di compatibilità con le norme internazionali poste a tutela della libertà dei flussi

commerciali, e segnatamente con le regole vigenti nel quadro dell’Organizzazione

mondiale del commercio709. Il tema si inserisce in un dibattito più ampio che ha ricevuto

grande attenzione nell’ultimo decennio da parte di tutti gli studiosi di scienze sociali e

riguarda i c.d. ‘trade and issues’, ovverosia le tematiche attinenti al commercio

internazionale che hanno delle ripercussioni anche sulla conservazione dell’ambiente, sul

rispetto dei diritti umani, sulla tutela dell’identità culturale, etc.710

Per quanto concerne più specificatamente l’ambiente, misure restrittive del

commercio internazionale sono poste in essere da tempo dagli Stati per proteggere il

proprio territorio e la popolazione dall’introduzione di sostanze o organismi viventi

nocivi. Più recentemente, anche sotto la spinta delle opinioni pubbliche nazionali e delle

associazioni ambientaliste, a questi provvedimenti se ne sono affiancati altri volti a

tutelare gli ecosistemi naturali anche al di fuori dei confini nazionali. In quest’ottica

molti Paesi, soprattutto industrializzati, hanno proibito l’importazione di alcuni beni la

cui produzione all’estero costituisce una minaccia per l’ambiente globale, perché

derivati da specie rare o realizzati con metodi altamente nocivi711.

707 Ibidem, art. 34.708 La Convenzione distingue le specie da tutelare in tre categorie, in base al grado di gravità della minacciadi estinzione alla quale esse sono sottoposte; una disciplina particolarmente severa riguarda le specieminacciate di estinzione (elencate nella lista I). Per un’analisi sintetica della Convenzione CITES, cfr.KISS, BEURIER, op. cit., pp. 250 ss.709 Sul rapporto fra libertà degli scambi internazionali e tutela dell’ambiente esiste una vastissimaletteratura interdisciplinare. Per un’analisi più prettamente giuridica, cfr. SOUTHWORTH, GATT and theEnvironment – General Agreement on Tariffs and Trade, Trade and the Environment, GATT Doc. 1529(February 13, 1992), in Virginia Journal of International Law, 1992, pp. 997 ss.; MUNARI, La libertàdegli scambi internazionali e la tutela dell’ambiente, in RDI, 1994, pp. 389 ss.; HANSEN, Transparency,Standards of Review, and the Use of Trade Measures to Protect the Global Environment, in VirginiaJournal of International Law, 1999, pp. 1017 ss.; ANSARI, Free Trade Law and Environmental Law:Congruity or Conflict, in IJIL, 2001, pp. 1 ss.710 Sul tema dei c.d. ‘trade and issues’, cfr. Environment, Human Rights & International Trade (a cura diFRANCIONI), Oxford, 2001.711 Si ricorderanno, fra i provvedimenti meno recenti, il Pelly Amendement del 1967 - col quale gli StatiUniti hanno vietato l’importazione di prodotti di pesce dai Paesi che conducono operazioni di pescasuscettibili di minacciare l’efficacia di un programma internazionale di conservazione ittica – e la direttivacomunitaria 83/129 che impedisce l’importazione delle pelli ricavate da cuccioli di foca.

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Come illustrano nell’ambito del GATT/OMC gli ormai celebri affari dei tonni e dei

gamberetti, queste misure - soprattutto se adottate in assenza di uno specifico regime

pattizio – vengono generalmente guardate con sospetto dai Paesi in via di sviluppo, i

quali vi scorgono un nuovo protezionismo mascherato da parte degli Stati ricchi, se non

una forma di vero e proprio ‘imperialismo giuridico’, consistente nella pretesa di imporre

agli altri Governi i propri standard ambientali712.

In una sorta di capovolgimento delle parti, la negoziazione per la stesura del

Protocollo sulla biosicurezza ha visto il Gruppo dei 77 (con l’appoggio diplomatico

dell’Unione europea) divenire uno dei maggiori sostenitori delle esigenze ecologiste e la

più grande potenza industriale, gli Stati Uniti, schierarsi radicalmente contro l’erezione di

barriere commerciali nel nome della tutela dell’ambiente. Visti gli ingenti interessi sottesi

alla coltivazione nel mondo di piante transgeniche, al loro commercio internazionale

nonché al percepimento delle royalties, il tema della biosicurezza rimarrà

presumibilmente a lungo uno dei più controversi delle relazioni economiche

internazionali, a partire dai prossimi mesi, quando sarà realizzata l’agenda stabilita nel

febbraio del 2004 dalla prima Riunione delle Parti al Protocollo sulla biosicurezza. Sul

rapporto fra questo strumento e gli accordi internazionali sul commercio, la dottrina

giuridica si è molto esercitata negli ultimi anni e nella subiecta materia esiste ormai una

copiosissima letteratura, soprattutto in riferimento al sistema dell’OMC.

Il tema, oltre ad essere di grande attualità, suscita questioni molto interessanti dal

punto di vista della teoria del diritto, la cui ricostruzione dettagliata richiederebbe tuttavia

un’indagine che non è permessa in questa sede. Per tale ragione, più che nel resto del

lavoro, nelle prossime pagine ci si limiterà a presentare in estrema sintesi le

712 Nel 1988 gli Stati Uniti avevano adottato una legge (Marine Mammal Protection Act, U.S.C., parr.1361-1407) per vietare le importazioni di pesce o di prodotti derivati dai Paesi che utilizzavano metodi dipesca particolarmente letali per i delfini. Vedendo minacciati i propri interessi commerciali dall’embargostatunitense, il Messico chiese l’istituzione di un panel il quale, nel 1991, riconobbe l’illegittimità alla lucedel GATT della normativa statunitense (la decisione del panel è pubblicata su ILM, 1991, pp. 1594 ss.). Ilrapporto del panel, anche se non adottato dal Consiglio dei rappresentanti e quindi non vincolante, sollevòproteste in tutto il mondo, da parte dei movimenti e delle associazioni ambientaliste. Un caso analogo è quello affrontato in seguito dagli organi dell’OMC nell’affare dei gamberetti. Nelmaggio del 1996 gli Stati Uniti avevano proibito l’importazione di gamberetti e di prodotti da essi derivatida tutti i Paesi che non richiedevano ai pescherecci l’uso di certe tecniche di pesca volte ad evitarel’uccisione delle tartarughe marine. Nel gennaio del 1997 l’India, la Malesia, il Pakistan e la Tailandiahanno presentato un reclamo all’Organizzazione mondiale del commercio, contestando la legittimità dellemisure statunitensi. Il panel, e poi l’organo di appello (sia pur con importanti innovazionigiurisprudenziali), hanno rilevato anche in questo caso una violazione degli obblighi imposti dall’AccordoGATT 94. Sull’affare dei gamberetti, cfr. SHAFFER, International Trade-WTO-Quantitative Restrictions-Environmental Protection-Endangered Species-U.S. Import Ban on Shrimp, in AJIL, 1999, pp. 507 ss.;JACKSON, Comments on Shrimp/Turtle and the Product/Process Distinction, in EJIL, 2000, pp. 303 ss.

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problematiche principali, facendo rinvio alle note per i necessari riferimenti bibliografici,

normativi e giurisprudenziali.

2.6 Biosicurezza e principio di precauzione

Come illustrato supra, il Protocollo di Cartagena richiama fin dal preambolo

l’’approccio di precauzione’.

Introdotto per la prima volta nel 1976 nell’ordinamento tedesco, il principio di

precauzione (Vorosogeprinzip) ha trovato riconoscimento, a partire dagli anni ’80, in

numerosi atti legislativi interni713, come in una panoplia di accordi internazionali714.

La sua formulazione più autorevole è quella enunciata da Principio 15 della

Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, secondo il quale:

‘[p]our protéger l’environnement, des mesures de précaution doivent être largementappliquées par les Etats selon leurs capacités. En cas de risque de dommages graves ouirréversibles, l’absence de certitude scientifique absolue ne doit pas servir de prétexte

713 In Francia, ad esempio, il principio di precauzione è menzionato per la prima volta nella loi Barnier del2 febbraio 1995 sulla protezione dell’ambiente (legge n° 95-101, riprodotta in JORF, 3 febbraio 1995, p.1840). Per una rassegna delle normative più importanti introdotte negli ordinamenti nazionali che fannoriferimento al principio di precauzione, si rimanda a M. A. FITZMAURICE, International Protection, op.cit., p. 260 e s. e MARR, The Southern Bluefin Tuna Case: The Precautionary Approach and Conservationand Management of Fish Resources, in EJIL, 2000, p. 824. Per l’applicazione concreta del principio daparte dei tribunali nazionali, cfr. SAND, The Precautionary Principle: Coping with Risk, in IJIL, 2000, pp.7 ss.714 Dopo essere stato formulato per la prima volta a livello internazionale nel 1987 nella Dichiarazioneadottata dalla Seconda Conferenza internazionale del Mare del Nord, il principio di precauzione è statoripetuto più volte in numerosi strumenti non vincolanti e in moltissime risoluzioni di organizzazioniinternazionali. A partire dai primi anni ’90, appare poi in quasi tutti gli accordi ambientali multilaterali. La lista sarebbeevidentemente molto lunga. Fra le convenzioni più importanti si ricordano qui soltanto la Convenzione diBamako del 30 gennaio 1991, cit., art. 4, par. 3, lett. f), la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici,cit., art. 3, par. 3, l’Accordo delle Nazioni Unite del 1995 sugli stock di pesci migratori, cit., art . 6. Pur non facendo esplicito riferimento al principio di precauzione, la Convenzione sulla biodiversità loaccoglie nel preambolo, nella parte in cui riconosce che ‘lorsqu’il esiste une menace de réduction sensibileou de perte de la diversité biologique, l’absence de certitudes scientifiques totales ne doit pas être invoquéecomme raison pour différer les mesures qui permettraient d’en éviter le danger ou d’en atténuer les effets’. Il principio di precauzione è stato applicato più volte a livello comunitario (vedi ad es. direttive 90/219 e90/220, relative all’uso confinato e alla diffusione volontaria nell’ambiente degli organismi geneticamentemodificati) ed è stato introdotto nel Trattato dell’Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992all’art. 130 R, par. 2 (art. 174 del Trattato di Amsterdam entrato in vigore il 1 maggio 1999). I Paesieuropei sono generalmente tra i principali sostenitori del principio di precauzione e il Consiglio europeo diNizza (7-9 dicembre 2000) ha impegnato le autorità pubbliche della Comunità e degli Stati ad adoperarsiaffinché esso trovi adeguato riconoscimento in tutte le sedi internazionali pertinenti (Conclusioni dellaPresidenza, Allegato III: Risoluzione del Consiglio sul principio di precauzione, parr. 2 e 25, documentoconsultabile su Internet all’indirizzo www.europa.eu.int., pagina base).

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pour remettre à plus tard l’adoption de mesures effectives visant à prévenir la dégradationde l’environnement’.

Diversamente dal principio di prevenzione, che si applica quando esistono dei rischi

conosciuti o almeno prevedibili, il principio di precauzione richiede ai decisori politici

l’adozione di misure volte ad evitare, prima del loro insorgere, rischi dei quali si ignora

non soltanto la probabilità, ma persino l’esistenza715.

In virtù del principio di precauzione, l’assenza di una prova scientifica circa

l’esistenza di un legame causale fra l’attività che si intende intraprendere ed i seri rischi

che da essa potrebbero derivare non può essere invocata come pretesto per non prendere

tutte le misure necessarie per proteggere l’ambiente e, secondo altre formulazioni del

principio, la salute umana.

Si è molto discusso in dottrina sul valore giuridico del principio di precauzione il

quale, per alcuni giuristi, sarebbe ormai contenuto in una norma di diritto internazionale

generale o avrebbe acquisito la status di principio generale di diritto riconosciuto dalle

nazioni civili716.

La natura consuetudinaria del principio è stata sostenuta più volte nella prassi

internazionale, anche se sino ad oggi i tribunali internazionali, ed in particolar modo la

Corte internazionale di giustizia, si sono astenuti dal pronunciarsi nel merito717. Le

715 Sul principio di precauzione, v. FREESTONE, The Precautionary Principle, in International Law andGlobal Climate Change (a cura di CHURCHILL, FREESTONE), London, 1991, pp. 21 ss.; SCOVAZZI,Sul principio precauzionale nel diritto internazionale dell’ambiente, in RDI, 1992, pp. 699 ss.; ThePrecautionary Principle in International Law (a cura di FREESTONE, HEY), The Hague, 1996;MCINTRYRE, MOSEDALE, The Precautionary Principle as a Norm of Customary International Law, inJEL, 1997, pp. 221 ss.; MARTIN-BIDOU, Le principe de précaution en droit international del’environnement, in RGDRP, 1999, pp. 631 ss.; SAND, The Precautionary Principle , op. cit.;NOIVILLE, Principe de précaution et Organisation mondiale du commerce. Le cas du commercealimentaire, in JDI, 2000, pp. 263 ss.; MARR, op. cit.; GRANET, Principe de précaution et risquesd’origine nucléaire: quelle protection pour l’environnement?, in JDI, 2001, pp. 755 ss.; KISS, BEURIER,op. cit., pp. 120 ss; M. A. FITZMAURICE, International Protection, op. cit., pp. 259 ss.; BOSSIS,Gestion des risques alimentaires et droit international: la prise en compte de facteurs non-scientifiques, inRGDIP, 2003, pp. 693 ss.716 Il carattere consuetudinario del principio di precauzione è stato sostenuto, fra gli altri, da SANDS,L’affaire des essais nucléaires II (Nouvelle-Zélande c. France): contribution de l’instance au droitinternational de l’environnement, in RGDIP, 1997, p. 473, da GOYAL , op. cit., p. 58 e, con maggiorecautela, da MARR, op. cit., p. 824.717 Il principio di precauzione è stato invocato per la prima volta innanzi alla Corte internazionale digiustizia nel 1995 dalla Nuova Zelanda nell’affare Esperimenti nucleari II e, successivamente,dall’Ungheria nell’affare Gabcikovo-Nagymaros. Nonostante le opinioni dissenzienti di alcuni giudici (inparticolar modo di Weeramantry), la Corte si è rifiutata di pronunciarsi sul suo status giuridico. La natura di norma consuetudinaria del principio di precauzione è stata sostenuta da Australia e NuovaZelanda innanzi al Tribunale internazionale del diritto del mare nell’affare del tonno a pinna blu. IlTribunale di Amburgo, pur applicando per taluni un ‘approccio di precauzione’, si è prudentementeastenuto dall’esprimersi in materia (ordinanza del 27 agosto 1999, Nuova Zelanda c. Giappone; Australia

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ragioni di questa prudenza sono molte. E’ evidente, infatti, che in assenza di ulteriori

specificazioni in un particolare regime convenzionale, l’applicazione del principio di

precauzione in casi concreti comporterebbe una valutazione degli interessi in gioco

politicamente molto delicata per un tribunale internazionale. La difficoltà maggiore

consisterebbe nella ponderazione dei rischi e dei benefici e nella determinazione della

soglia accettabile di gravità del rischio, operazione tanto più difficile quanto maggiore è

l’impatto che l’applicazione del principio può avere in numerosi contesti sull’economia e

la società.

Non può essere trascurato, del resto, che del principio non esiste una definizione

univoca.718

Sul piano del diritto pattizio, il principio di precauzione ha trovato larga applicazione in

tutti i settori del diritto ambientale, ed in particolar modo in quelli nei quali non esiste un

consenso nella comunità scientifica sulla possibilità che i rischi paventati si

concretizzino, anche perché le verifiche sperimentali sono tecnicamente impossibili o

richiedono tempi molto lunghi (è questo il caso dell’inquinamento marino, dei

cambiamenti climatici, della rarefazione dello strato di ozono, etc.).

L’introduzione di specie alloctone è uno degli esempi tipici in cui è difficile, se non

impossibile, prevedere in anticipo le possibili e complesse interazioni degli organismi

con i nuovi ecosistemi (effetti cumulativi e a lungo termine sui cicli biogeochimici, sulle

popolazioni di competitori, prede, predatori, simbiotici, etc.)719.

Come mostra il dibattito serratissimo che sta attraversando negli ultimi anni la

comunità scientifica, l’incertezza è ancora maggiore nel caso degli organismi

c. Giappone, misure cautelari. Su questa famosa ordinanza, vedi MARR, op. cit., e BOYLE, The SouthernBluefin Tuna Arbitration, in ICLQ, 2001, pp. 447 ss.). Per gli orientamenti maturati nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio, vedi infra.718 Come ha messo in evidenza Martin-Bidou, esistono due accezioni principali del principio diprecauzione. Secondo la concezione restrittiva, l’applicazione del principio dà adito ad un obbligo dicomportamento (obbligo di mezzo) subordinato al livello di sviluppo degli Stati e sottomesso aconsiderazioni di proporzionalità; secondo la concezione più estensiva, il principio impone invece agli Statiun obbligo di risultato: impedire gli eventuali effetti nefasti sull’ambiente o sulla salute umana. Inteso inquesta seconda accezione, può legittimare l’adozione di una moratoria sulla realizzazione di unadeterminata tecnologia e comporta un’inversione dell’onere della prova, richiedendo che sia colui chevuole svolgere una determinata attività suscettibile di avere effetti nocivi a provarne l’innocuità.719 Recentemente, la Corte di giustizia delle Comunità europee è stata chiamata a pronunciarsi su unprovvedimento del Governo danese che impediva l’importazione di api nell’isola di Laeso per tutelare unasottospecie endemica (ape bruna di Laeso, Apis mellifera mellifera). Anche in assenza di una provascientifica certa circa l’esistenza di una concreta minaccia di estinzione, la Corte ha riconosciuto lalegittimità alla luce del diritto comunitario delle misure contestate volte a proteggere la diversità biologica,nonostante gli effetti restrittivi del commercio infracomunitario (causa C-67/97, sentenza del 3 dicembre1998, consultabile su Internet all’indirizzo www.europa.eu.int, pagina base). Sul caso delle api danesi, cfr.MONTINI, La necessità ambientale nel diritto internazionale e comunitario, Padova, 2001, pp. 376 ss.

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geneticamente modificati, per i quali non esistono oltretutto serie storiche di

osservazioni.

L’inclusione del principio di precauzione nel Protocollo di Cartagena ha costituito

uno dei tanti elementi controversi che hanno portato al fallimento dei negoziati nel

febbraio del 1999720. Alla fine, esso ha avuto comunque ampio riconoscimento nel

tessuto normativo del testo finale, che riconosce esplicitamente il diritto degli Stati a non

consentire all’importazione di OVM nel proprio territorio, pur in assenza di una prova

scientifica sull’esistenza di rischi certi per la diversità biologica o la salute umana721.

2.7 Biosicurezza e diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio

Come già anticipato, il problema del contemperamento fra le esigenze di

biosicurezza e quelle del commercio internazionale si pone in riferimento a tutti i sistemi

normativi che promuovono la libera circolazione delle merci su base bilaterale, regionale

o multilaterale722.

La compatibilità fra il Protocollo di Cartagena e gli accordi amministrati

dall’Organizzazione mondiale del commercio ha assunto negli ultimi mesi un interesse

non soltanto accademico, anche a seguito del ricorso presentato dagli Stati Uniti contro le

misure europee di biosicurezza723. La sovrapposizione delle materie regolate dai due

720 SAND, The Precautionary Principle , op. cit., p. 2. Per ulteriori dettagli, cfr.www.iisd.ca/download/asc/enb09137e.txt721 Secondo l’art. 10, par. 6, del Protocollo: ‘[l]’absence de certitude scientifique due à l’insuffisance desinformations et connaissances scientifiques pertinentes concernant l’étendue des effets défavorablespotentiels d’un organisme vivant modifié sur la conservation et l’utilisation durable de la diversitébiologique dans la Partie importatrice, compte tenu également des risques pour la santé humaine,n’empêche pas cette Partie de prendre comme il convient une décision concernant l’importation del’organisme vivant modifié en question… pour éviter ou réduire au minimum ces effets défavorablespotentiels’. La stessa formula è ripetuta verbatim all’art. 11, par. 8 a proposito degli OVM destinati ad essereutilizzati direttamente per l’alimentazione umana o animale, o ad essere trasformati.722 In ambito comunitario, la Corte di giustizia delle Comunità europee è stata chiamata due volte apronunciarsi sulle misure unilaterali adottate dalle autorità nazionali per impedire la circolazione diorganismi geneticamente modificati nel proprio territorio. Cfr. sentenza del 21 marzo 2000 relativa al casoGreenpeace (Causa n. C-6/99, Association Greenpeace e altri c. Ministre de l’Agriculture et de la Pêche ealtri, sentenza pubblicata in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2000, pp. 717 ss.; sullavicenda, vedi PAVONI, Misure unilaterali di precauzione, prove scientifiche e autorizzazioni comunitarieal commercio di organismi geneticamente modificati: riflessioni in margine al caso Greenpeace, in Dirittocomunitario e degli scambi internazionali, 2000, pp. 725 ss.) e sentenza del 9 settembre 2003 (Causa C-236/01, Monsanto Agricoltura Italia Spa e altri c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, consultabile suInternet, www.europa.eu.int, pagina base; su questa sentenza, v. EELR, 2004, pp. 3 ss.).723 Il ricorso è stato inoltrato dagli Stati Uniti il 13 maggio del 2003 (doc. WT/DS/291, consultabile suInternet all’indirizzo www.wto.org, pagina base) ed è stato seguito immediatamente dai ricorsi dicontenuto analogo di Canada e Argentina (docc. WT/DS/292 e WT/DS/293, ibidem). La misura oggetto di

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regimi normativi, del resto, era apparsa chiara da subito all’Organizzazione mondiale del

commercio, la quale aveva richiesto di partecipare in qualità di osservatore alla

Conferenza straordinaria delle Parti incaricata di adottare lo strumento724.

Il commercio internazionale di organismi viventi modificati e di prodotti da questi

derivati rientra nell’ambito di applicazione di numerosi strumenti allegati all’Accordo

istitutivo dell’OMC ed in particolare del GATT ’94, dell’Accordo sulle misure sanitarie e

fitosanitarie (Accordo Sfs), dell’Accordo sull’agricoltura e dell’Accordo sulle barriere

tecniche al commercio725. Sulla conformità delle misure di biosicurezza contemplate dal

maggiore contestazione è la moratoria adottata dal Consiglio europeo dei ministri dell’ambiente nel giugnodel 1999 (operativa de facto già dall’ottobre del 1998) che ha sospeso la concessione di nuoveautorizzazioni per l’emissione deliberata nell’ambiente e la commercializzazione di organismigeneticamente modificati e di prodotti derivati. E’ probabile che la fine della moratoria a seguito dellerecenti innovazioni normative introdotte nell’ordinamento comunitario (direttiva 2001/18/CE del 12 marzo2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga ladirettiva 90/220/CE; regolamenti n. 1829/2003 e 1830/2003 del 22 settembre 2003 sulla tracciabilità el’etichettatura di prodotti alimentari e mangimistici, consultabili su Internet all’indirizzowww.europa.eu.int) possa portare ad un componimento della controversia senza arrivare all’adozione di unrapporto da parte di un gruppo speciale, particolarmente inopportuna sul piano politico. Preme sottolineare che il ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio è stato più volte minacciatonegli anni passati dai principali Paesi produttori che hanno manifestato in numerose occasioni la lorocontrarietà all’adozione da parte degli altri Stati di provvedimenti costituenti un ostacolo al commerciointernazionale degli organismi geneticamente modificati o dei prodotti da essi derivati. Oltre alle moratoriesulle importazioni, sono state oggetto di contestazione le misure che prevedono forme di etichettaturaobbligatoria. Molti sono gli episodi pertinenti della prassi internazionale che potrebbero essere citati. Intense pressionidiplomatiche sono state fatte nel 2001 dagli Stati Uniti per dissuadere i Governi della Croazia e dello SriLanka dall’adozione di progetti di legge volti a stabilire una moratoria sull’importazione di organismiviventi modificati e dei prodotti derivati. Analoghe pressioni sono state subite da parte della Bolivia adopera del Governo argentino (www.zelena-akcija.hr/ge/eng/pressrelease10122001.html,http://perso.nnx.com/gmarchan/imposer-les-ogm-au-monde.htm). Recentemente, ha fatto poi molto discutere la presenza di sementi transgeniche nei prodotti forniti dagliStati Uniti ai Paesi poveri sotto forma di aiuti alimentari (secondo alcune stime, più di due milioni ditonnellate di prodotti alimentari inviati ai paesi in via di sviluppo attraverso i programmi di aiutostatunitensi deriverebbero da organismi geneticamente modificati e un milione e mezzo di tonnellate disementi transgeniche sarebbero donate annualmente dagli Stati Uniti nel quadro del Programma alimentaremondiale, cfr. www.solagral.org/env/biosecurite/regime_respon_inter_0901). Nell’estate del 2002, lo Zimbabwe e altri Stati dell’Africa australe hanno rifiutato gli aiuti statunitensiche contenevano in alte proporzioni del mais transgenico. Benché questi Paesi fossero colpiti da una gravecrisi alimentare, temevano che i semi di mais importati potessero essere coltivati dai propri contadini ediffusi nell’ambiente. Alla fine, una soluzione è stata trovata con l’accettazione da parte di quasi tutti iGoverni coinvolti dei cereali macinati (KEMPF, Querelle euro-américaine sur les vice set vertus desproduits transgéniques face aux crises alimentaires en Afrique, in Le Monde, 24 maggio 2003).724 MALJEAN-DUBOIS, op. cit., p. 975. Sul commercio internazionale degli organismi geneticamentemodificati, alla luce del protocollo di Cartagena e del diritto dell’OMC, cfr. STOLL, op. cit.;SCHOENBAUM, International Trade in Living Modified Organisms: the New Regime, in ICLQ, 2000, pp.856 ss.; SCHOENBAUM, International Trade in Living Modified Organisms, in Environment, HumanRights & International Trade, op. cit., pp. 27 ss.; ZARRILLI, International Trade in Genetically ModifiedOrganisms and Multilateral Negotiations: A New Dilemma for Developing Countries, in Environment,Human Rights & International Trade, op. cit., pp. 38 ss.; PAVONI, Assessing and ManagingBiotechnology, op. cit., p. 116; RIGHINI, op. cit.; WILSON, OTSUKI, Global Trade and Food Safety:Winners and Losers in a Fragmented System, 2002; COVELLI, HOHOTS, The Health Regulation ofBiotech Foods Under the Wto Agreements, in Journal of International Economic Law, 2003, pp. 773 ss.

725 Tutti gli Accordi allegati sono reperibili su Internet, all’indirizzo www.wto.org, pagina base.

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Protocollo con gli obblighi imposti dagli accordi sopra menzionati, la dottrina giuridica si

è molto esercitata, pervenendo spesso a conclusioni diverse, se non affatto opposte.

Dubbi sono stati avanzati da più parti sulla legittimità degli obblighi di notifica e di

etichettatura, e soprattutto dei provvedimenti fondati sul principio di precauzione,

consistenti in divieti alle importazioni di OVM o di prodotti derivati, in assenza di rischi

per l’ambiente o la salute umana dimostrati in modo concludente da riscontri scientifici.

Come è noto, gli accordi vigenti nel quadro dell’Organizzazione mondiale del

commercio rispondono ad una logica diversa da quella alla base del Protocollo di

Cartagena, perseguendo come obiettivo principale l’eliminazione degli ostacoli al

commercio internazionale.

In particolare, in materia di scambio di merci, il GATT ’94 fa divieto alle Parti

contraenti di porre in essere restrizioni non tariffarie o quantitative alle importazioni (art.

XI726). L’Accordo Sfs, dal canto suo, richiede che le misure prese dagli Stati per

proteggere la vita o la salute degli uomini, degli animali o dei vegetali non costituiscano

una restrizione dissimulata del commercio internazionale (art. 2, par. 3) e siano fondate

su una valutazione scientifica dei rischi (art. 2, par. 2, art. 3, par. 3)727.

Entrambi gli strumenti contemplano delle clausole di salvaguardia (art. XX del

GATT728 e art. 5, par. 7, dell’Accordo Sfs729) che consentono di derogare al regime di

726 L’art XI, par. 1, del GATT prescrive: ‘[n]o prohibitions or restrictions other than duties, taxes or othercharges... shall be instituted or maintained by any contracting party on the importation of any product ofthe territory of any other contracting party or on the exportation or sale of export of any product destinedfor the territory of any other contracting party’.727 In particolare, secondo l’art. 2, par. 2, dell’Accordo Sfs, ‘[m]embers shall assure that any sanitary andphytosanitary measure is applied only to the extent necessary to protect human, animal or plant life orhealth, is based on scientific principles and is not maintained without sufficient scientific evidence’. Ai sensi dell’art. 3, par. 3, ‘[m]embers may introduce or maintain sanitary or phytosanitary measureswhich result in a higher level of sanitary or phytosanitary protection that would be achieved by measuresbased on the relevant international standards, guidelines or recommendations, if there is a scientificjustification... Notwithstanding the above, all measures which result in a level of sanitary or phytosanitary protectiondifferent from that which would be achieved by measures based on international standards, guidelines orrecommendations shall not be inconsistent with any other provision of this Agreement’ (corsivo aggiunto).728 ‘Subject to the requirement that such measures are not applied in a manner which would constitute ameans of arbitrary or unjustifiable discrimination between countries where the same conditions prevail, ora disguised restriction on international trade, nothing in this Agreement shall be construed to prevent theadoption or enforcement by any contracting party of measures: ...omissis…(b) necessary to protect human, animal or plant life or health; …omissis…(g) relating to the conservation of natural resources if such measures are made effective in conjunction withrestrictions on domestic production or comsumption’ (GATT, art. XX). Sulla prassi interpretative dell’art. XX del GATT, cfr. ANSARI, op. cit., HANSEN, op cit.,FRANCIONI, Environment, Human Rights and The Limits of Free Trade, in Environment, Human Rights& International Trade, op. cit. pp. 1 ss., COVELLI, HOHOTS, op. cit., pp. 791 ss.729 ‘In cases where relevant scientific evidence is insufficient, a Member may provisionally adopt sanitaryand phytosanitary measures on the basis of available pertinent information… In such circumstances,Members shall seek additional information necessary for a more objective assessment of risk and review

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libertà dei flussi commerciali. Queste disposizioni, tuttavia, nella prassi giurisprudenziale

dell’OMC sono state interpretate in maniera molto restrittiva730.

Emblematici di questa tendenza, oltre che particolarmente attinenti al tema della

biosicurezza, sono alcuni rapporti adottati da gruppi speciali e dall’Organo di appello nei

quali è stata negata la legittimità dei provvedimenti presi da alcuni Stati per impedire

l’introduzione nel proprio territorio di specie alloctone (non transgeniche) ritenute nocive

per gli ecosistemi agricoli o naturali731.

2.8 (segue) Il rapporto fra il Protocollo di Cartagena e gli accordi gestiti dall’Organizzazione mondiale del commercio

Non essendo qui possibile esaminare in maniera dettagliata la compatibilità delle

misure di biosicurezza col sistema normativo dell’Organizzazione mondiale del

commercio, ci si limiterà ad affrontare la questione più circoscritta del foro competente a

dirimere le controversie fra Stati membri dell’OMC aventi ad oggetto l’adozione di

misure di biosicurezza, e della normativa che in tali fattispecie potrebbe trovare

applicazione.

E’ pacifico che le Parti in lite, qualora avessero stipulato entrambe il Protocollo di

Cartagena, dovrebbero conformarsi simultaneamente agli obblighi cumulativi imposti dai

due regimi normativi. In questo caso, come ribadito più volte nelle sedi competenti

the sanitary or phytosanitary measure accordingly within a reasonable period of time’ (Accordo Sfs, art. 5,par. 7).730 Oltre agli affari già menzionati dei tonni e dei gamberetti, hanno fatto molto discutere il caso della carneagli ormoni e quello della benzina venezuelana (Appellate Body Report, EC Measures Concerning Meatand Meat Products (Hormones), doc. WT/DS26/AB/R, adottato il 13 febbraio 1998; Appellate BodyReport, United States – Standards for Reformulated and Conventional Gasoline (US – Gasoline), doc.WT/DS2/AB/R, adottato il 20 maggio 1996, consultabili su www.wto.org, pagina base).731 Nell’affare dei salmoni, l’Australia aveva impedito l’importazione dei pesci crudi nei quali potevanoessere contenuti dei batteri assenti nel proprio territorio. La misura, secondo il Governo australianonecessaria per proteggere la fauna ittica locale, è stata contestata dal Canada e dichiarata incompatibile conl’Accordo Sfs da parte degli organi giudicanti dell’OMC (vedi in particolare Appellate Body Report,Australia - Measures Affecting Importation of Salmon, doc. WT/DS18/AB/R, adottato il 6 novembre 1998,consultabile su Internet all’indirizzo www.wto.org, pagina base). In assenza di una prova scientifica sufficiente (sufficient scientific evidence), l’Organo di appello haconsiderato illegittime le misure fitosanitarie applicate dal Giappone ad alcuni prodotti agricoli diimportazione. Le misure restrittive erano giustificate dalle autorità giapponesi in via precauzionale dallapossibilità che tali prodotti potessero costituire il veicolo per la diffusione di organismi patogeni (AppellateBody Report, Japan – Measures Affecting Agricultural Products (Japan – Varietals), doc.WT/DS76/AB/R del 22 febbraio 1999, consultabile su Internet all’indirizzo www.wto.org, pagina base; perun commento della sentenza, vedi WECKEL, Organe d’appel de l’OMC. Rapport du 22 février 1999, inRGDIP, pp. 250 ss.).

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dell’OMC in riferimento a tutti gli accordi a contenuto ambientale, sarebbe

particolarmente opportuno il ricorso ai meccanismi di soluzione delle controversie

previsti dal Protocollo sulla biosicurezza732.

Tralasciamo i problemi relativi alla sovrapposizione dei due regimi normativi alla

luce del Protocollo di Cartagena733.

E’ d’altra parte evidente che la Parte che ritenesse annullati o pregiudicati i benefici

derivanti da uno o più Accordi allegati a seguito dell’adozione di provvedimenti

restrittivi del commercio internazionale avrebbe maggiore interesse a ricorrere al

meccanismo ‘quasi arbitrale’ previsto nel self-contained system dell’Organizzazione

mondiale del commercio. Nel verificarsi di una simile eventualità, gli organi chiamati a

decidere la controversia dovrebbero prendere in considerazione, non soltanto le norme

contenute negli Accordi OMC, ma anche tutti gli altri regimi pattizi vincolanti le Parti in

lite, secondo quanto stabilito dal diritto consuetudinario sull’interpretazione dei

trattati734.

Come nel caso di molti accordi ambientali multilaterali che prevedono restrizioni al

commercio internazionale, non è da escludersi che, almeno in certi casi, in materia di

biosicurezza potrebbe manifestarsi un conflitto di obblighi difficilmente sanabile in via

interpretativa.

Per una controversia molto simile, riguardante l’importazione delle mele nel territorio nipponico, cfr.Appellate Body Report, Japan – Measures Affecting the Importation of Apples, doc. WT/DS245/AB/R,adottato il 26 novembre 2003, consultabile su Internet all’indirizzo www.wto.org, pagina base.732 Secondo le raccomandazioni del Comitato commercio e ambiente, ad esempio, ‘[w]hile WTO Membershave the right to bring disputes to the WTO dispute settlement mechanism, if a dispute arises betweenWTO Members, Parties to an MEA, over the use of trade measures they are applying between themselvespursuant to the MEA, they should consider trying to resolve it through the dispute settlement mechanismsavailable under the MEA’ (doc. WT/CTE/1, par. 178, consultabile su Internet, www.wto.org, pagina base). Il Comitato commercio e ambiente è un organo sussidiario creato nel gennaio 1995 in virtù dellaDecisione su commercio e ambiente adottata il 15 aprile 1994 a conclusione dell’Uruguay Round (laDecisione è consultabile su Internet all’indirizzo www.wto.org, pagina base). Fra i suoi compiti vi è quellodi esaminare ‘the relationship between the dispute settlement mechanism in the multilateral trading systemand those found in multilateral environmental agreements’. 733 Secondo il preambolo del Protocollo di Cartagena, ‘le présent Protocole ne sera pas interprété commeimpliquant une modification des droits et obligations d’une Partie en vertu d’autres accords internationauxen vigueur… il est entendu que le présent préambule ne vise pas à subordonner le Protocole à d’autresaccords internationaux’. La redazione involuta e quasi circolare della disposizione, frutto di un evidente equilibrismo lessicale,testimonia chiaramente le difficoltà del negoziato come le divergenze fra le varie delegazioni, rendendopraticamente impossibile stabilire in quale misura il Protocollo preveda o meno una clausola dicompatibilità. In merito all’incompatibilità fra norme convenzionali e alle c.d. clausole di subordinazione, si veda, ingenerale, CONFORTI, Diritto internazionale, op. cit., pp. 88734 Il meccanismo di risoluzione delle controversie è regolato dall’Allegato 2 all’Accordo istitutivodell’Organizzazione mondiale del commercio (Intesa relativa al sistema di soluzione delle controversie,vedine il testo in www.wto.org, pagina base), il cui art. 3, par. 2, si richiama esplicitamente al dirittointernazionale generale relativo all’interpretazione dei trattati. In particolare, secondo la norma

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La chiarificazione del rapporto fra il diritto del commercio internazionale e gli

accordi ambientali multilaterali costituisce da tempo l’oggetto di studio del Comitato

commercio e ambiente, istituito in seno all’Organizzazione mondiale del commercio. La

materia, molto controversa, non ha trovato sino ad oggi una risposta adeguata735.

Molti giuristi hanno avanzato proposte al riguardo, consistenti soprattutto

nell’adozione di un emendamento all’art. XX del GATT che stabilisca una presunzione

di conformità per le misure restrittive adottate alla luce di un accordo in materia

ambientale736. Dato che la Dichiarazione di Doha fa salvi i diritti degli Stati che non sono

parte agli accordi ambientali multilaterali in questione, i possibili emendamenti

avrebbero come effetto quello di formalizzare una situazione a ‘geometria variabile’,

distinguendo la situazione giuridica dei Membri dell’OMC a seconda dei trattati da essi

stipulati737. In particolare, in un procedimento innanzi agli organi giudicanti dell’OMC

nel quale almeno una Parte non fosse vincolata dal Protocollo di Cartagena, le norme in

esso contenute non potrebbero venire in rilievo in quanto tali.

Nei prossimi anni, lo sviluppo del regime multilaterale di biosicurezza potrà giocare

comunque un ruolo importante.

Unico strumento multilaterale a disciplinare in maniera specifica il commercio

internazionale di OVM, il Protocollo potrebbe contribuire innanzitutto alla formazione di

norme di diritto internazionale generale. Le decisioni del Centro di scambio, inoltre,

potrebbero essere prese in considerazione nella misura in cui gli Accordi allegati fanno

riferimento agli standard internazionali738.

Nel riconoscimento che, in linea di principio, le normative di carattere commerciale e

quelle di tutela ambientale dovrebbero reciprocamente rafforzarsi, anche in tema di

consuetudinaria codificata dall’art. 31, par. 3, lett. c), ‘[t]here shall be taken into account together with thecontext: any relevant rule of international law applicable in the relations between parties’.735 La necessità di chiarire la relazione esistente fra la normativa dell’OMC e gli accordi ambientalimultilaterali è stata ribadita dalla Dichiarazione di Doha (Dichiarazione ministeriale di Doha adottata il 20novembre 2001, par. 31, lett. i). Sul valore giuridico di questo strumento, vedi BOISSON DECHAZOURNES, MBENGUE, La Déclaration de Doha de la Conférence ministerielle de l’Organisationmondiale du commerce et sa portée dans le rélations commerce/environnement, in RGDIP, 2002, pp. 860ss.).736 Vedi, ad es. ANSARI, op. cit., p. 38 s. Una clausola analoga a quella che molti autori propongono diinserire nell’art. XX del GATT è prevista, in un diverso contesto normativo, all’art. 104 dell’AccordoNAFTA.737 Secondo l’art. 31, lett. i), della Dichiarazione di Doha, ‘[t]he negotiations shall be limited in scope to theapplicability of such existing WTO rules as among parties to the MEA in question. The negotiations shallnot prejudice the WTO rights of any Member that is not a party to the MEA in question’.738 L’importanza degli standard internazionali, delle linee guida e delle raccomandazioni delleorganizzazioni internazionali pertinenti è riconosciuta nell’Accordo Sfs (vedi in particolare preambolo eart. 5, parr. 1 e 7) così come nell’Accordo sulle barriere tecniche al commercio (vedi, ad es., art. 2, par. 6).Standard internazionali relativi all’uso e alla commercializzazione di organismi geneticamente modificati e

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biosicurezza si rende intanto fortemente auspicabile un’evoluzione giurisprudenziale

degli organi giudicanti dell’OMC, ed in particolar modo dell’Organo di appello, peraltro

non vincolato al principio dello stare decisis.

In attesa di una modifica espressa del loro contenuto normativo, l’Accordo istitutivo

dell’OMC e gli strumenti allegati contengono delle ‘ammorsature giuridiche’739 che

potrebbero costituire il fondamento per un’interpretazione evolutiva, più in linea con le

nuove tendenze emergenti nella comunità internazionale e con i principi dello sviluppo

sostenibile740.

dei prodotti derivati sono già stati elaborati o sono attualmente in fase di studio da parte dell’OCDE, dellaFAO, dell’OMS e del Codex Alimentarius.739 L’espressione è di Piero Calamandrei.740 Occorre osservare che il preambolo dell’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale delcommercio richiede ai Membri di stabilire delle relazioni volte al raggiungimento di un ‘optimal use of theworld’s resources in accordance with the objective of sustainable development, seeking both to protect andpreserve the environment and to enhance the means for doing so in a manner consistent with theirrespective needs and concerns at different levels of economic development’ (corsivo aggiunto). Il riferimento al principio dello sviluppo sostenibile rappresenta un’importante innovazione normativa,tenuto conto che il preambolo del GATT (30 ottobre 1947) stabiliva che i rappotri commerciali fra gli Statidovessero ispirarsi ‘to raising standards of living, ensuring full employment and a large and steadilygrowing volume of real income and effective demand, developing the full use of the resource of the world’(corsivo aggiunto).

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CONCLUSIONE

La conservazione e lo sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche costituiscono

un fertile campo di indagine per ricostruire alcune delle tendenze più moderne del diritto

internazionale, come molti dei suoi limiti persistenti.

La tutela della biodiversità, essendo le risorse biologiche collocate in gran parte sul

territorio degli Stati, si trova a collidere col principio di sovranità che, almeno nel diritto

tradizionale, lasciava i Governi liberi di sfruttare in maniera assoluta ed esclusiva le

risorse del proprio territorio. La conclusione di un numero crescente di accordi

ambientali multilaterali lungo il corso del secolo appena trascorso si è accompagnata alla

presa di coscienza nella comunità internazionale dell’interdipendenza ecologica degli

Stati e della necessità di un’azione comune per raggiungere un’efficace tutela della

biosfera. Il diritto internazionale dell’ambiente, tuttavia, si è contraddistinto per la

moltiplicazione di strumenti di carattere settoriale e senza alcun collegamento

istituzionale fra di loro. La negoziazione di un trattato sulla biodiversità aveva suscitato

grandi speranze circa la possibilità di una razionalizzazione di un regime internazionale

frammentato e ‘proteiforme’. In realtà, dopo quattro anni di lunghi negoziati, l’adozione

a Rio nel 1992 di una convenzione-quadro è potuta avvenire a prezzo di un notevole

ridimensionamento degli obiettivi iniziali che ha portato, spesso, alla mera enunciazione

di principi direttivi vaghi e indeterminati piuttosto che di obblighi la cui violazione è

giuridicamente sanzionabile. Nonostante i limiti evidenti, lo strumento segna una tappa

importante nello sviluppo del diritto ambientale e molte disposizioni in esso contenute -

non ultimo il riconoscimento della biodiversità come ‘preoccupazione comune

dell’umanità’ - offrono un notevole potenziale giuridico, sia pure ad oggi non

sufficientemente sfruttato.

L’evoluzione del regime normativo (pattizio e consuetudinario) che disciplina la

tutela delle risorse biologiche sembra indicare un trend verso la graduale erosione del

dominio riservato e il superamento del modello ‘westfaliano’, fondato su principi

bilaterali e sinallagmatici fra gli Stati. Questa tendenza verso una ‘pubblicizzazione’

delle relazioni internazionali non è peraltro esente da ambiguità, in uno scenario

mondiale caratterizzato, tra l’altro, da una crescente sperequazione nella distribuzione del

reddito fra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo. Mentre il principio delle responsabilità

comuni ma differenziate ha ricevuto, fino ad oggi, ben scarsa attuazione, le grandi

organizzazioni internazionali difettano dei mezzi necessari a finanziare i costosi

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programmi di conservazione e a garantire il trasferimento di tecnologie verso i paesi non

industrializzati, presupposto indispensabile alla messa in moto di uno sviluppo

sostenibile.

Una tendenza diversa da quella sino ad ora delineata ha contraddistinto negli ultimi

decenni lo sviluppo del regime giuridico delle risorse genetiche, da sempre caratterizzato

- come il diritto del mare - da un movimento pendolare fra principio di sovranità e di

libertà. Dopo il fallimento dei tentativi da parte di alcuni Stati, specialmente nell’età

moderna e durante il periodo coloniale, di monopolizzare la produzione di determinate

specie di particolare interesse economico, per buona parte del ventesimo secolo i Governi

dei paesi di origine hanno tollerato generalmente le campagne di bioprospezione

effettuate dai soggetti stranieri, considerando le risorse genetiche come ‘patrimonio

comune dell’umanità’.

A partire dalla fine degli anni ’80, il riconoscimento del principio della sovranità degli

Stati sulle risorse genetiche situate nel proprio territorio, avvenuto prima in seno alla

FAO (risorse fitogenetiche) e poi con l’adozione della Convenzione sulla biodiversità, ha

portato ormai alla formazione di una norma di diritto internazionale generale, in base alla

quale gli Stati possono disciplinare e restringere legittimamente l’accesso dei soggetti

stranieri ai campioni biologici per finalità di riproduzione o di ricerca. Questo

cambiamento di paradigma, fortemente voluto dai paesi del Terzo Mondo, ha

rappresentato per molti versi una vittoria illusoria, impedendo alla comunità

internazionale di istituire un regime multilaterale che permettesse la ripartizione dei

benefici economici derivanti dallo sfruttamento della biodiversità secondo meccanismi

fondati sul riconoscimento di valori solidaristici.

L’applicazione del principio di sovranità alle risorse genetiche solleva inoltre

problemi complessi e difficilmente risolvibili che nascono, inter alia, dalla presenza

degli stessi geni nei campioni conservati nelle banche di germoplasma al di fuori dello

Stato di origine, in organismi viventi diffusi in estese aree geografiche che comprendono

porzioni del territorio di più Stati o aree non soggette ad alcuna giurisdizione nazionale.

Una recente convenzione della FAO (2001), che entrerà in vigore nel giugno del

2004, segna in certo qual modo un timido ritorno verso il regime del libero accesso alle

risorse fitogenetiche, necessario per garantire lo scambio internazionale di germoplasma,

il mantenimento della sostenibilità dei sistemi agricoli e, in ultima analisi, la sicurezza

alimentare mondiale.

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Il superamento del principio di ‘patrimonio comune dell’umanità’ è stato motivato da

una serie convergente di ragioni, fra le quali il fallimento della gestione internazionale

dei fondali oceanici, i progressi delle scienze biotecnologiche e soprattutto l’evoluzione

in molti Stati delle normative sulla tutela della proprietà intellettuale.

Fino dagli anni successivi alla prima guerra mondiale, alcune legislazioni occidentali

avevano tutelato il lavoro intellettuale degli agronomi con la concessione delle privative

sui ritrovati vegetali. Più tardi, nel 1961 alcuni Stati stipularono il trattato istitutivo

dell’Unione per la protezione dei ritrovati vegetali (UPOV) per garantire, nei propri

ordinamenti, standard comuni di tutela. Fino a tutti gli anni ‘70, tuttavia, nessun Paese,

in virtù della normale legislazione brevettuale, riconosceva brevetti sugli organismi

viventi (‘è vivente, dunque non è brevettabile’).

Un’inversione di tendenza è stata segnata dal mutamento della giurisprudenza negli

Stati Uniti, a seguito di una famosa sentenza emessa nel 1980 dalla Corte suprema (affare

Diamond contro Chakrabarty). Seguendo un percorso analogo a quello statunitense,

anche in assenza di innovazioni normative, molti uffici brevetto hanno esteso

progressivamente l’area delle invenzioni brevettabili, fino ad includervi le piante, gli

animali e le loro macro e micro componenti (geni compresi). Una spinta al processo di

armonizzazione verso l’alto è avvenuta negli anni ’90 con l’adozione, nel quadro

dell’Organizzazione mondiale del commercio, dell’Accordo sui diritti di proprietà

intellettuale legati al commercio (Accordo TRIPs), il quale, stabilendo standard minimi

di tutela, ha imposto agli Stati il principio della brevettabilità delle biotecnologie e, entro

certi limiti, del materiale biologico. L’art. 27, par. 3, lett. b), dell’Accordo TRIPs, non

esente da numerose difficoltà interpretative, è attualmente oggetto di revisione.

Le legislazioni nazionali sui diritti di proprietà intellettuale rappresentano un veicolo

importante per l’attuazione degli obiettivi stabiliti dalla Convenzione sulla biodiversità e,

in particolar modo, della ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo

sfruttamento delle risorse biologiche, soprattutto di quelle genetiche.

Una prima questione riguarda l’accesso al materiale biologico. Sia la Convenzione di

Rio, sia il diritto consuetudinario, riconoscono il principio della sovranità dei Governi

sulle risorse biologiche e genetiche, alla luce del quale il prelievo illegittimo di campioni

di flora o di fauna costituisce un atto che può definirsi di ‘biorazzia’. Gli uffici

competenti devono astenersi dal concedere brevetti o altre forme di tutela della proprietà

intellettuale aventi ad oggetto invenzioni realizzate a partire da risorse biologiche

prelevate in violazione della sovranità di altri Stati. La soluzione più efficace (e per gli

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Stati parte conforme ad un adempimento rigoroso della Convenzione sulla biodiversità)

sarebbe la modifica delle legislazioni brevettuali per rendere obbligatoria la menzione del

Paese fornitore delle risorse in questione ed eventualmente l’acclusione di un certificato

promanante dalle autorità competenti e facente atto della legittimità del prelievo.

Come abbiamo detto, uno degli obiettivi più importanti stabiliti dalla Convenzione

riguarda la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle

risorse biologiche e genetiche. Essendo fallito ogni tentativo per rendere operativi a

livello multilaterale i c.d. diritti degli agricoltori, spetta ai singoli Governi prendere le

misure volte a garantire nei propri ordinamenti una remunerazione del contributo delle

comunità rurali alla conservazione e al miglioramento delle varietà vegetali. Alcuni

Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, si sono dotati, negli ultimi anni, di legislazioni

ad hoc sulla protezione dei diritti collettivi di proprietà intellettuale delle comunità rurali

o autoctone. Queste misure, insieme ad altre forme di pubblicità, possono costituire uno

strumento efficace per contrastare la ‘biopirateria’, consistente nell’ottenimento di

brevetti o altri diritti di proprietà intellettuale da parte di industrie farmaceutiche, istituti

di ricerca, etc., aventi ad oggetto ‘invenzioni’ che si fondano sulle conoscenze delle

comunità rurali e/o sui saperi ancestrali dei popoli autoctoni.

Un elemento essenziale della ripartizione equa dei vantaggi consiste nel trasferimento

tecnologico. La Convenzione di Rio richiede agli Stati di garantire il trasferimento ai

Paesi fornitori (specialmente se in via di sviluppo) delle tecnologie realizzate a partire da

un determinato materiale genetico. Tale trasferimento, che potrebbe in teoria essere

ottenuto tramite l’istituzione di fondi ad hoc da parte dei Governi nazionali o la

concessione di licenze obbligatorie, viene affidato sempre di più alle clausole dei

contratti di bioprospezione. Si tratta di strumenti atipici conclusi fra i bioprospettori

stranieri e i soggetti cui l’ordinamento dello Stato territoriale conferisce la competenza a

stipulare (pubbliche amministrazioni, istituti di ricerca pubblici o privati, comunità locali,

comunità autoctone, etc.). Questi accordi, in origine poco più che contratti internazionali

di compravendita, hanno conosciuto negli ultimi anni una significativa evoluzione, grazie

anche alle legislazioni introdotte nei paesi di origine che subordinano l’accesso ai

campioni biologici e genetici alla conclusione di accordi con le comunità locali

interessate. Il solo affidamento al diritto contrattuale e alla discrezionalità dello jus

privatorum non sembra comunque adeguato a garantire una ripartizione equa dei benefici

economici, non da ultimo a causa della diversa forza contrattuale dei contraenti e della

disparità di accesso alle informazioni.

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Nella stipulazione degli accordi di bioprospezione, il coinvolgimento delle popolazioni

locali sarebbe auspicabile, oltre che conforme all’oggetto e scopo di numerosi strumenti

internazionali. In ogni caso, la presa in considerazione degli interessi dei popoli autoctoni

è richiesta ai Governi dal diritto consuetudinario e, in maniera più incisiva, per i

Contraenti dalla Convenzione 169/1989, adottata nel quadro dell’Organizzazione

internazionale del lavoro.

La previsione negli ordinamenti statali di una ‘biotassa’ potrebbe essere uno strumento

per realizzare gli obiettivi di conservazione ed uso sostenibile della diversità biologica,

affiancandosi e non sostituendosi a quelli sopra menzionati. La soluzione qui proposta

consiste nell’introduzione di un’imposta (ad es. dello 0,1% sul prezzo dei prodotti finali)

su tutti i detentori di brevetti su invenzioni sviluppate a partire da materiale biologico e

genetico, a prescindere da dove esso sia stato prelevato. Le somme esatte dagli apparati

amministrativi nazionali potrebbero essere versate ad un World Gene Fund, gestito a

livello internazionale secondo i meccanismi stabiliti da un Protocollo alla Convenzione

di Rio. Viste le grandi prospettive economiche aperte dalle biotecnologie, la ‘biotassa’

potrebbe mettere a disposizione della comunità internazionale risorse finanziarie non

trascurabili da destinarsi a programmi di tutela della biodiversità nei paesi del Sud del

mondo.

Negli ultimi anni, lo sviluppo delle biotecnologie ha suscitato preoccupazione nella

comunità internazionale sulla possibilità di una diffusione incontrollata negli ecosistemi

naturali degli organismi viventi modificati, la quale potrebbe dare adito, in certi casi, ad

una forma particolare di ‘bioinquinamento’. La nozione giuridica di ‘bioinquinamento’ è,

allo stato attuale, tutt’altro che chiara, ma dei progetti sulla responsabilità civile per danni

causati dalla proliferazione di organismi geneticamente modificati sono attualmente allo

studio di alcuni parlamenti nazionali e delle istituzioni della Comunità europea.

L’adozione di un accordo internazionale potrebbe contribuire a chiarire il tema della

responsabilità (degli Stati o degli operatori economici) per le forme di ‘bioinquinamento’

derivanti dalla diffusione oltre frontiera di organismi modificati o – caso statisticamente

più rilevante - dall’introduzione degli organismi viventi ad opera di imprese

biotecnologiche straniere, in particolar modo semenziere.

L’entrata in vigore, nel settembre del 2003, del Protocollo di Cartagena sulla

biosicurezza, rappresenta un risultato importante per il raggiungimento degli obiettivi di

conservazione ed uso sostenibile della diversità biologica. Il Protocollo, fondato sul

riconoscimento del principio di precauzione, regola il trasferimento internazionale degli

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organismi viventi modificati e prevede che esso sia soggetto ad una procedura di accordo

preliminare in conoscenza di causa. Come molti altri accordi multilaterali che

stabiliscono per finalità ambientali delle restrizioni all’importazione di determinati

prodotti, il Protocollo di Cartagena pone delicati problemi di compatibilità con le norme

internazionali poste a tutela della libertà dei flussi commerciali, e soprattutto con le

regole vigenti nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Si è sottolineato da più parti come una delle tendenze più recenti del diritto

internazionale consista nella reciproca permeabilità di settori diversi e tradizionalmente

autonomi. Senza entrare nel merito dell’appassionata querelle sul carattere unitario

oppure asistematico del diritto internazionale, in questo lavoro si è voluto rimarcare fin

dal titolo come, in materia di tutela e sfruttamento della biodiversità, questo processo di

integrazione resti per adesso altamente incompiuto741. L’idea di una frammentazione del

quadro normativo deriva in prima istanza dalla proliferazione degli strumenti settoriali in

materia di conservazione che ha fatto avanzare a molti la proposta di una Organizzazione

mondiale dell’ambiente. Estremamente frammentato, oltre che di difficile intelligenza, è

inoltre il regime giuridico delle risorse genetiche del pianeta, di fronte al quale tornano

talvolta alla mente le parole usate da Tocqueville in riferimento all’organizzazione

pubblica d’oltremanica: ‘ce sont des lignes qui se croisent en tout sens, un labyrinthe’!742

Il ricorso allo strumento dei contratti internazionali di bioprospezione è sintomatico

di un processo più vasto che vede negli ultimi anni il ritrarsi del diritto pubblico

all’interno degli ordinamenti nazionali, la privatizzazione delle relazioni economiche e la

sottrazione dei mercati allo strumento regolatore ed equilibratore del diritto743.

Dall’altro lato, e in maniera apparentemente contraddittoria, nell’ambito della tutela

della biodiversità, le nuove problematiche ambientali ed i recenti sviluppi tecnologici

sembrano attribuire una nuova centralità agli Stati attraverso la diffusione di forme

diverse di unilateralismo che comprendono, fra l’altro, l’affermazione della zona

presenziale e i nuovi fenomeni di ‘creeping jurisdiction’ nel diritto del mare744, così

741 Per le tesi circa l’unitarietà dell’ordinamento giuridico, si fa rinvio a COMBACAU, Le droitinternational, bric à brac ou système?, in Archives de philosophie du droit, 1986, pp. 88 ss. e al recenteP.-M. DUPUY, L’unitariété de l’ordre juridique international, in Recueil des cours , 2003 (in corso distampa).742 Citato in S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, p. 35.743 Su questo argomento, ha scritto pagine famose DEZALAY, I mercanti del diritto: le multinazionali deldiritto e la ristrutturazione dell’ordine giuridico internazionale, Milano, 1997.744 Con riferimento alla recente prassi francese, vedi ad es., LEHARDY, Naufrage du ‘Prestige’ et accordsur le contrôle de la navigation dans la zone économique exclusive, in RGDIP, 2003, pp. 132 ss.

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come, per certi versi, il ‘treaty-based unilateralism’ che caratterizza il Protocollo di

Cartagena.

La crisi attuale del multilateralismo (meminisse necesse?) non è limitata purtroppo al

diritto internazionale dell’ambiente.

Nel 1999, il Segretario generale delle Nazioni Unite auspicava la realizzazione di un

Global Compact che, attraverso il contributo degli attori istituzionali e della società civile

permettesse alla comunità internazionale di rispondere ai nuovi problemi sociali ed

ecologici del pianeta. Meno di cinque anni dopo, questo progetto, come molti altri,

appare quanto mai lontano.

Si restringono i margini per la cooperazione in un panorama mondiale caratterizzato

da una crescente gerarchizzazione delle relazioni internazionali, dalla crisi delle Nazioni

Unite e dall’incapacità dell’Europa di costruire una propria identità politica. In un

contesto nel quale si assiste ad un crescente ricorso all’uso della forza come mezzo di

risoluzione delle controversie internazionali, poco spazio resta per la lotta alla povertà e

al degrado ambientale, nemici comuni del genere umano.

La ricerca di una governance mondiale che indirizzi la globalizzazione verso orizzonti

di maggiore giustizia, equità e sostenibilità ambientale resta ancora oggi una sfida

planetaria. Si tratta di un processo difficile e di lungo respiro al quale la comunità

internazionale deve consacrare tutta la sua intelligenza per trovare soluzioni innovative

ed efficaci, per garantire a tutti gli abitanti della Terra il diritto ad un ‘ordine sociale ed

internazionale’ (art. 28 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) nel quale

siano garantiti i diritti indispensabili allo svolgimento di una vita dignitosa e al libero

sviluppo della personalità di ciascuno.

Il mito dell’illimitata disponibilità delle risorse naturali, dell’onnipotenza della

scienza e della tecnica è tramontato nella realtà non meno che nella coscienza degli

uomini più avvertiti. Né si dà progresso vero e durevole senza responsabilità. La tutela

internazionale della biodiversità in alternativa ad una crescita fondata su previsioni a

breve termine e su interessi speculativi sarà nei prossimi anni un test significativo sulla

capacità di rispondere ai grandi problemi dello sviluppo materiale e morale della specie.

Il ‘diritto frammentato’ testimonia delle difficoltà che si incontrano su questa strada.

Ma si nunc male est, non semper erit. L’idea di un ordine internazionale più solidale e

rispettoso dell’uomo e della natura non è soltanto una feconda speranza, è la porta stretta

che si apre sul nostro futuro.

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