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BOLLETTINO SETTIMANALE
DOMENICA 6 MAGGIO 2018
SESTA DOMENICA DEL TEMPO DELLA RESURREZIONE
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ORARIO SANTE MESSE IN PARROCCHIA
Feriali: Ore 13.30
Festivi: Ore 11.00
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LETTURE DELLA DOMENICA
SESTA DOMENICA DEL
TEMPO DELLA RESURREZIONE
* Lettera ai Romani 10:1-13
* Santo Vangelo di Luca 24:36-48
"Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!
Toccatemi e guardate"
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FESTA DELLA NATIVITA DI SAN CHARBEL IN PARROCCHIA
Carissimi Parrocchiani ed amici,
DOMENICA PROSSIMA 6 MAGGIO
FESTEGGEREMO E PREGHEREMO TUTTI QUANTI
SAN CHARBEL
NELLA RICORRENZA DEI 190 ANNI DALLA SUA NASCITA (8 MAGGIO 1828)
LA SANTA MESSA SARA' CELEBRATA
ALLE ORE 11,00 IN PARROCCHIA
AL TERMINE DELLA QUALE SAREMO
BENEDETTI CON LE SUE RELIQUIE
PARTECIPIAMO NUMEROSI !!!
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RECITA DEL SANTO ROSARIO NELLE FAMIGLIE
Con l'inizio del mese di maggio,
IL MESE MARIANO
la nostra Parrocchia organizza
LA RECITA DEL SANTO ROSARIO NELLE FAMIGLIE
Chiunque volesse mettere a disposizione la propria abitazione
è pregato di contattare il nostro
Cappellano Mons. Tony Gebran
ed accordarsi con lui per un appuntamento.
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CONCERTO DI MUSICA ORGANIZZATO
DAL CONVENTO ANTONIANO DI SANT'ISAIA
Ha riscosso un importante successo il concerto organizzato giovedì 3 maggio scorso dal
Convento Sant’Isaia di Roma dell’Ordine Antoniano Maronita presso la Basilica di Santa
Maria in Trastevere. Il Concerto è stato eseguito dal Coro dei giovani della Parrocchia Mar
Elias di Antelias. Tra le numerose autorità presenti si sottolinea la partecipazione di S. E.
Rev.ma Mons. Francois Eid Procuratore Patriarcale Maronita a Roma, S. E. Rev.ma Mons.
Habib Chamieh, Vescovo dell’Eparchia Maronita in Argentina, il Rev.do Padre Abate Antoine
Rajeh OAM, Superiore del monastero di mar Elias in Antelias, il Rev.do Monsignor Tony
Gebran nostro Cappellano, il Rev.do Archimandrita Tanios Haddad, Procuratore Patriarcale
Melchita a Roma, il Rev.do Monsignor Abdo Yacoub, Prelato Uditore della Rota Romana, il
Rev.do Padre Charbel Bteich OMM, Procuratore dell’Ordine Maronita Mariamita a Roma, il
sig. Generale Claude Hayek, Addetto militare dell’Ambasciata Libanese presso la Repubblica
Italiana, e il Signor Marwan Atallah, Direttore della Mea a Roma. Ha svolto le mansioni di
“padrone di casa invitante “ il Rev.do Padre Maged Maroun OAM Superiore del Convento di
Sant’Isaia di Roma e Procuratore Generale dell’ Ordine Antoniano Maronita presso la Santa
Sede, il quale prima del concerto ha indirizzato ai partecipanti un messaggio di gratitudine e
benvenuto. Il Coro si è presentato in maniera pregiata con l’esecuzione di canti religiosi
composti dal Maestro Colonnello Ziad Murad. Alla fine del concerto il Padre Abate Rajeh ha
ringraziato il pubblico, sottolineando l'atmosfera familiare e di spiritualità che ha riunito tutti
quanti nell'ascolto di questi canti così belli e toccanti.
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I VESCOVI MARONITI INSISTONO SULLA NECESSITÀ
DI ELEGGERE DEPUTATI "COMPETENTI"
Alla vigilia delle elezioni legislative, il Consiglio dei Vescovi Maroniti, riunitosi il 3 maggio
scorso a Bkerke sotto la presidenza del Patriarca Cardinale Rai, ha messo in guardia i
libanesi contro tutte le pratiche "che distorcono questo dovere nazionale" e può portare alla
possibilità di invalidare il voto. In prima linea in questi problemi, i Vescovi hanno posto "il
denaro elettorale" o "l'acquisto di coscienze". Ciò è seguito all'intimidazione dei candidati o
persino alla loro aggressione, così come dalla feroce competizione fino all'eliminazione
reciproca tra i candidati della stessa lista. "Tali pratiche", sottolineano i Vescovi, "aboliscono
la verità della politica come arte del bene comune. " I Vescovi insistono anche sulla necessità
di eleggere deputati "competenti" per svolgere i due compiti principali di un parlamentare:
legiferare e controllare il governo. Inoltre, consapevole che le elezioni porteranno molto
rapidamente alla formazione di un nuovo governo, il Consiglio dei Vescovi Maroniti ha
auspicato che il nuovo governo sia "immune dal clima attuale di contraddizioni politiche e si
formi rapidamente per affrontare le grandi sfide lanciate in Libano, dopo il sostegno dato dalle
conferenze internazionali e le aspettative dei paesi creditori per la riforma amministrativa e la
lotta alla corruzione ". E la Rai spera che i funzionari libanesi "non perdano l'opportunità
offerta loro come accaduto in passato ed evitano che il loro paese venga posto sotto tutela
economica". Inoltre, i Vescovi hanno messo in guardia dai "tentativi di imporre" al Libano
ordini perentori per far fronte al fardello degli sfollati siriani. Hanno chiesto al governo e al
Parlamento di schierarsi con il capo dello Stato su questo tema, di rifiutare a nome della
Costituzione "tutte le forme di accordo" e di sviluppare un "piano completo" indietro sfollati nel
loro paese. I Vescovi hanno anche chiesto la fine delle "polarizzazioni" e degli "scioperi che
potrebbero compromettere l'anno scolastico e l'università", ritenendo che solo lo stato sia in
grado di risolvere questa crisi. Esortano il governo ad assumersi le proprie responsabilità al
riguardo in conformità con la Costituzione (nota: garantire la libertà di istruzione) e il principio
di "uniformità legislativa e finanziaria". All'inizio dell'incontro, il Patriarca ha riferito ai membri
del Consiglio episcopale e al Consiglio dei Superiori e dei Sovrintendenti presenti, un
resoconto completo della sua visita in Qatar, dove ha posato la prima pietra della prima
chiesa maronita nel Golfo Persico.
IL PATRIARCA RAI INVOCA IL RITORNO
DEGLI EMIGRATI NEI PROPRI VILLAGGI
Il Patriarca Maronita Cardinale Bechara Rai , all’inizio della settimana ha manifestato il
proprio plauso al capo dello Stato il quale ha rifiutato i parametri utilizzati nel comunicato di
Bruxelles in materia dei profughi siriani. "I termini usati nel comunicato di Bruxelles sono
confusi e sono contrari alla linea politica dello stato libanese", ha affermato il presidente della
Repubblica Gen. Michel Aoun. "Rifiutiamo l'establishment attraverso l'acquisto di una
proprietà da parte di non-libanesi e sosteniamo pienamente gli sforzi per facilitare il ritorno di
tutti i siriani sfollati nei loro paesi e nelle loro case (...); noi incondizionatamente sosteniamo la
dichiarazione rilasciata dal Capo dello Stato di rifiutare il contenuto del testo della conferenza
di Bruxelles sulla situazione dei siriani sfollati ", ha detto il capo della Chiesa Maronita. La
posizione del Patriarca è stata ribadita durante la cerimonia di dedicazione della chiesa di
San Giorgio nel villaggio di Selfaya (Aley), completamente restaurato e ricostruito nello stesso
sito in cui questo luogo di culto fu costruito in passato alla fine del 17 ° secolo (5 febbraio
1690), dal "grande Patriarca, il Venerabile Estephan Doueyhi". La messa a Selfaya è stata
concelebrata dall'arcivescovo maronita di Beirut, mons. Boulos Matar. Si auspica un maggiore
ritorno al loro villaggio dei suoi abitanti, che erano fuggiti nei primi anni della guerra civile,
prima che le loro case fossero rase al suolo nel 1983 al tempo della "guerra della montagna".
Inoltre, il Patriarca Maronita ha lamentato che "i legami di unità nazionale sono tesi e che il
paese si sta sgretolando ed è diviso in regioni a fedeltà a persone fisiche o soggetti, come se
il Libano sia regredito ad una posizione neo -feudale ".
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UDIENZA DEL MERCOLEDÌ. PAPA FRANCESCO:
IL DIAVOLO DIVIDE, DIO UNISCE.
DOBBIAMO SCEGLIERE CON CHI STARE
"Il diavolo è colui che divide. Dio unisce sempre gli uomini e i popoli". Papa Francesco lo ha
ricordato all'Udienza generale di oggi, dedicata anche questa settimana al tema del
Battesimo. Papa Francesco ha fatto il suo ingresso in piazza San Pietro alle 9.20 e subito
dopo aver iniziato il giro tra i settori della piazza ha fatto salire sulla jeep bianca scoperta 6
bambini, tre maschi e tre femmine, tutti in maglietta bianca con la scritta blu: “Coraggio di
spendere la vita”. Tra i 15mila fedeli presenti all'udienza generale, moltissimi i bimbi che il
Papa, come di consueto, ha baciato e accarezzato lungo il tragitto, richiamato a gran voce dai
saluti dei fedeli accalcati alle transenne. Tra le bandiere che sventolano tra la folla, anche
quelle dell’Uruguay e del Brasile. Prima di compiere il tragitto a piedi verso la sua postazione
al centro del sagrato, un abbraccio commovente e prolungato con un ragazzo down,
accompagnato da una signora anziana – forse la mamma o la nonna – anche lei visibilmente
commossa quando ha ricevuto a sua volta l’abbraccio di Francesco. "O stai con Dio o con il
diavolo: la rinuncia e l’atto di fede vanno insieme" . Così si è espresso il Papa, commentando
nell'udienza di oggi il momento in cui, durante il rito del Battesimo, si rinuncia a Satana, prima
di pronunciare il Credo. "Santificata l’acqua del fonte, bisogna disporre il cuore per accedere
al battesimo", ha spiegato Francesco: "Ciò avviene con la rinuncia a Satana e la professione
di fede, due atti strettamente connessi tra loro". "Nella misura in cui dico no alle suggestioni
del diavolo – il diavolo è colui che divide – sono in grado di dire sì a Dio che mi chiama a
conformarmi a lui nei pensieri e nelle opere", ha proseguito il Papa. "Il diavolo divide, Dio
unisce sempre la comunità, la gente, in un solo popolo", ha aggiunto a braccio. "Non è
possibile aderire a Cristo ponendo condizioni", il monito: "Occorre distaccarsi da certi legami
per poterne abbracciare davvero altri". "Noi, per quella gente che non si sa bene il profilo che
ha, e che sempre è riuscita a cavarsela bene ma non chiaramente, diciamo: ‘Questo va bene
con Dio e col diavolo'", l’esempio citato a braccio: "Questo non può andare: o stai con Dio o
con il diavolo, la rinuncia e l’atto di fede vanno insieme. Occorre tagliare dei ponti, lasciandoli
alle spalle, per intraprendere la nuova via che è Cristo". "Io rinuncio e io credo" è la "base" del
Battesimo. "La risposta alle domande – ‘Rinunciate a Satana, a tutte le sue opere, e a tutte le
sue seduzioni?’ – è formulata alla prima persona singolare: Rinuncio". A farlo notare è stato il
Papa, nella catechesi di oggi dedicata ancora una volta al rito del Battesimo. "Io rinuncio, così
si risponde", ha proseguito Francesco a braccio: “Non anonimamente, rinuncio io. E allo
stesso modo viene professata la fede della Chiesa, dicendo: ‘Credo'”. “Io rinuncio, e io credo:
e questo è alla base del battesimo”, ha sottolineato ancora fuori testo. Secondo il Papa, si
tratta di "una scelta responsabile, che esige di essere tradotta in gesti concreti di fiducia in
Dio. L’atto di fede suppone un impegno che lo stesso battesimo aiuterà a mantenere con
perseveranza nelle diverse situazioni e prove della vita". Poi Francesco ha citato l’antica
sapienza di Israele: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione".
"Cioè preparati alla lotta", ha aggiunto a braccio: "E la presenza dello Spirito Santo ti darà la
forza per lottare bene". "Quando intingiamo la mano nell'acqua benedetta e facciamo il segno
della Croce, pensiamo con gioia e gratitudine al battesimo che abbiamo ricevuto", l’invito
finale: "Quest’acqua ci ricorda il battesimo, l’acqua benedetta ci ricorda il battesimo, il
commento a braccio. E rinnoviamo il nostro Amen – sono contento – per vivere immersi
nell'amore della Santissima Trinità".
IL SALUTO DEL PAPA AI PELLEGRINI DI LINGUA ARABA
Mercoledì, dopo la catechesi dell’Udienza generale in Piazza San Pietro il 2 maggio 2018 il
Santo Padre ha salutato i pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. Papa Francesco ha
espresso, fra l’altro, un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli
provenienti dal Libano e dal Medio Oriente
Santo Padre:
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli
provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, ricordatevi sempre che la rinuncia
al peccato, alle seduzioni del male, a satana, è ciò in cui la Chiesa crede; non sono
atti momentanei, limitati al momento del Battesimo, ma atteggiamenti che
accompagnano tutta la crescita e la maturazione della vita cristiana. Il Signore vi
benedica!
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DIOCESI DI ROMA, CELLULE DI EVANGELIZZAZIONE,
«PORTATORI DI FRUTTI GRAZIE ALLA TESTIMONIANZA»
«Per vivere in modo fecondo la fede ed essere testimoni della misericordia di Dio è
necessario rimanere nel Suo Amore e saper riconoscere, guidati dallo Spirito Santo, la bontà
non solo di quanto da Lui riceviamo ma anche delle privazioni che occorrono alla nostra vita».
Sono le due condizioni per essere davvero cristiani evidenziate da monsignor Angelo De
Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma, nell’omelia per la Messa celebrata ieri 29
aprile, nella chiesa parrocchiale della Santa Famiglia, presso il Santuario del Divino Amore, in
occasione del 3° Convegno nazionale dei leader delle Cellule parrocchiali di
evangelizzazione. «Noi siamo i tralci della vite che è il Signore, siamo cioè coinvolti nel
processo, siamo i portatori del frutto» ha chiosato il presule, evidenziando come la Parola del
giorno risultasse davvero dedicata «a chi, come voi, porta tanto frutto con la testimonianza e
l’opera di evangelizzazione». La tre giorni di formazione e confronto, che ha avuto luogo dal
28 al 30 aprile presso il Santuario del Divino Amore, a Castel di Leva, ha riunito tutti i leader,
cioè i referenti dei vari gruppi del Sistema delle Cellule parrocchiali d’Italia. Si tratta di un
metodo di evangelizzazione presente in tutto il mondo, nato in Corea e adeguato alla fede
cattolica dal sacerdote americano Michael Eivers. Portato in Italia nel 1987 da don Piergiorgio
Perini, allora parroco di Sant’Eustorgio a Milano, il metodo si è diffuso a livello nazionale e
consiste nella formazione di piccoli gruppi di preghiera ed evangelizzazione costituiti e guidati
dai leader negli ambienti di vita familiare o di lavoro, al fine di portare o riportare alla fede
persone a loro vicine. A Roma interessa quattro parrocchie: una ad Acilia e due a Monteverde
oltre a quella del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo a Collina Fleming,
guidata da don Gian Matteo Botto, promotore per l’Italia del Sistema. «Nella case, in una
dimensione familiare – ha spiegato Botto – viviamo una piccola esperienza di Chiesa che
chiamiamo Cellula come l’organismo vivente di cui siamo costituiti come uomini e che vive
solo moltiplicandosi». Se si vuole essere vero strumento di evangelizzazione per l’altro, «tralci
autentici della vite che è il Signore – ha ammonito De Donatis – è bene tenere a mente due
condizioni imprescindibili: rimanere nell’Amore del Padre e accettare di “essere potati”».
Primariamente, cioè, «si tratta di riconoscere che il senso della propria esistenza non viene
da noi ma unicamente dal Padre», corrispondendo quindi all’insegnamento di Gesù «che ci
dice: “Senza di me non potete fare nulla”, bisogna saper entrare in una relazione autentica
con Lui, orientando la nostra vita secondo la Sua Parola». Ancora, affinché il frutto maturi è
necessario che la pianta venga potata, «così anche a noi è chiesta la Grazia di comprendere
la bontà e la fecondità della potatura» riuscendo, con l’aiuto dello Spirito Santo «a coglierne il
senso profondo: il taglio compiuto dal Signore è sempre per la vita». Solo nella fede, e
«resistendo nell’Amore del Padre» potremo arrivare anche noi «come faceva Madre Teresa di
Calcutta, a ringraziare il Signore non solo per ciò che ci dona ma anche per ciò che ci toglie».
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LA PRESENZA CRISTIANA A GERUSALEMME,
REALTÀ DA «RAFFORZARE»
L’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino
di Gerusalemme, non ha dubbi: «È prioritario e fondamentale per tutti noi non solo
conservare ma anzi rafforzare la nostra presenza a Gerusalemme e conservare il
carattere cristiano della Città Santa. L’identità di Gerusalemme non sarebbe completa
senza una presenza cristiana viva e vivace». E ancora: «I luoghi santi e la presenza
di tanti pellegrini non bastano per affermare il carattere cristiano della città: senza la
presenza di una comunità locale, viva e attiva, non ci può essere Chiesa». Il presule
scrive alla parrocchia latina di Gerusalemme, la prima parrocchia della diocesi,
«simbolicamente la prima realtà diocesana, perché custodisce fedelmente da sempre
la memoria viva della morte e risurrezione di Cristo». Rivolgendosi al parroco, il
francescano Nerwan Al-Banna, ringrazia anzitutto la Custodia di Terra Santa che «fin
dal principio ha accompagnato il nascere e lo sviluppo della parrocchia latina» e
grazie alla quale «abbiamo ora una bella comunità, viva e vivace». Pizzaballa
riconosce che molto è stato fatto ma «molto resta sempre da fare. La città ha vissuto
in questi ultimi anni tanti cambiamenti dal punto di vista sociale e urbanistico. Si è
ingrandita e spesso le abitazioni dei fedeli sono oggi lontane dai luoghi di culto. Tutto
questo non può non sollecitare una riflessione, innanzitutto dal punto di vista
pastorale, anche all’interno della nostra comunità. Tutto cambia – prosegue il vescovo
-. Anche noi cambiamo e dobbiamo chiederci cosa questi cambiamenti comportano
per la nostra presenza nella Città Santa, qui e ora». L’amministratore apostolico
ripercorre la storia della parrocchia, «originariamente concentrata in Città Vecchia e
nei suoi dintorni» e oggi distribuita «su un territorio molto vasto», con quartieri lontani
uno dall’altro. «Una grande dispersione» ma anche «un segno positivo che mostra la
vitalità della nostra presenza, la sua crescita e il suo sviluppo». Da qui derivano anche
«sfide serie dal punto di vista pastorale. Da un lato è difficile per i sacerdoti
raggiungere tutte queste località adeguatamente e dall’altro è difficile per la gente
raggiungere i luoghi di culto e di incontro». La riflessione dell’arcivescovo è allora su
«come assicurare un adeguato servizio pastorale a tutti nelle loro attuali località» ma
anche sul fatto se «sarebbe utile creare una seconda parrocchia a Gerusalemme,
così da rafforzare la nostra presenza sul territorio». Su quest’ultimo punto Pizzaballa
riconosce le «tante domande e paure, legate soprattutto alla questione politica e ai
nuovi cambiamenti che stanno accadendo nella città. Anche noi – sostiene – vediamo
questo. Ma posso assicurare che non è mai stata presa in considerazione e non è mai
stata la base delle nostre valutazioni. Onestamente, dubito che le autorità politiche
siano interessate o addirittura influenzate dalle nostre decisioni pastorali. Tuttavia, a
causa di tutto questo, ho visto che è bene e saggio ascoltare e prendere in
considerazione tutte le osservazioni a questo riguardo». Di qui la decisione, attraverso
la lettera, di «tranquillizzare e assicurare tutta la parrocchia che non c’è nessuna
ragione di prendere decisioni che siano contrarie al sentire comune della comunità
parrocchiale. Stiamo cercando delle soluzioni». L’arcivescovo parla di «scossa
elettrica» che «ha smosso tutta la comunità a riflettere e discutere di sé e sulle sue
prospettive future. E questo era veramente necessario. Abbiamo bisogno – conclude
– di incontrarci e riflettere insieme e chiederci come crescere e migliorare».
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COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XIII, PRESENTATA A PARLAMENTO
EUROPEO PROPOSTA DI PACE SCRITTA
DA UN GRUPPO DI PROFUGHI IN LIBANO
Il 3 maggio scorso la Comunità Papa Giovanni XXIII ha presentato una proposta di pace per
la Siria presso il Parlamento europeo a Bruxelles. Una delegazione di volontari della
Comunità di don Benzi, insieme ad un rappresentante dei profughi siriani, Sheik Abdo, hanno
incontrato un gruppo di europarlamentari tra cui Cecile Kyenge, Silvia Costa, Elly Schlein. Alle
eurodeputate è stato chiesto di facilitare la diplomazia per la promozione di questa soluzione
e di monitorare affichè siano garantiti i diritti fondamentali degli attivisti siriani. “Noi siriani
profughi in Libano, non abbiamo altra possibilità di vita che la creazione di una Zona di
Sicurezza in Siria – ha affermato Sheik Abdo – perché in Libano non è possibile rimanere,
mentre in Europa non è possibile andare”. La proposta di pace è stata scritta da un gruppo di
siriani che vivono nei campi profughi del Libano in una situazione disperata. In essa si chiede
il ritorno dei profughi in Siria, in zone umanitarie, sotto la protezione internazionale, dove
siano garantite sanità e istruzione. Un modello che i volontari della Papa Giovanni hanno già
sperimentato con successo in Colombia. “E’ una proposta che viene da chi è costretto ad
immaginare un domani, ad uscire dalla spirale della violenza. Queste persone non intendono
morire lentamente in silenzio, ma cercano una soluzione concreta, alternativa, nonviolenta al
conflitto”, spiega Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII
che opera dal 1992 nelle zone di conflitto attraverso Operazione Colomba, corpo civile di
pace formato da volontari che vivono nelle zone di guerra con una modalità nonviolenta e
neutrale. Dal 2013 è presente presso il campo profughi di Tel Abbas, nel nord del Libano.
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ELEZIONI IN IRAQ, IL PATRIARCA SAKO:
IL VOTO DEI CRISTIANI UNICA VIA PER IL FUTURO DELLA
COMUNITÀ
Davanti a “sfide e cambiamenti” e nonostante un “declino demografico, sociale e culturale”
degli ultimi anni nel Paese, è fondamentale “per i caldei in particolare e i cristiani in generale”
la partecipazione “in modo responsabile al processo politico”. Un compito che deve essere
“libero e autentico, senza paure e vincoli che incentivano all’emigrazione”. È quanto sottolinea
sua beatitudine mar Louis Raphael Sako, nel messaggio rivolto alla comunità caldea in Iraq e
nel mondo alla vigilia delle elezioni politiche del 12 maggio prossimo, un appuntamento
chiave per il futuro del Paese. Già in passato il primate della Chiesa irakena si era espresso
ricordando l’importanza del voto e invitando i cristiani alla partecipazione attiva. “Come
pastore e come padre - sottolinea il prelato - invito ciascuno di voi, soprattutto i caldei in patria
e all’estero, a prendere parte alle prossime elezioni parlamentari”. La mia esortazione,
prosegue, è di scegliere “quanti potranno svolgere al meglio il compito di servire l’Iraq e i suoi
abitanti”. “Tenente ben presente - prosegue il primate caldeo - che le eleziono sono una
responsabilità nazionale e morale” che riguarda tutti i cristiani, per assicurare “un governo
moderno, civile e fondato sui principi costituzionali”. Esso deve lavorare in un’ottica di
“pluralismo e preservare il patrimonio culturale e di civiltà di tutte le componenti” del Paese.
Se, da un lato, mar Sako invita tutta la comunità cristiana a prendere parte in modo attivo al
voto, dall’altro egli rinnova il monito di “valutare con attenzione” l’opportunità di fondare partiti
o movimenti che facciano riferimento alla “unione caldea”. Essa potrebbe infatti essere
elemento di “attrazione per opportunisti o ciarlatani” che nulla hanno a che vedere con la
tutela del patrimonio e dei valori cristiani. “Auspico che una delle priorità di questo partito -
aggiunge - possa essere quello di formare una forte alleanza con assiri, siri e armeni
all’interno della Camera dei deputati”. Questo progetto così “carico di vitalità”, precisa, dovrà
trovare applicazione “senza alcuna interferenza da parte della Chiesa”. Il primate caldeo
ricorda inoltre come abbia auspicato a lungo la nascita di una “lista unitaria” dei cristiani per le
elezioni del 2018, perché “uniti siamo più forti”, ma questa speranza “non si è concretizzata a
causa degli ordini del giorno di alcuni partiti cristiani e degli interessi personali di qualche
singolo individuo”. Infine, mar Sako ricorda la storia millenaria dei caldei della Mesopotamia,
uno dei popoli più antichi e autentici che compongono oggi l’Iraq e che molto hanno dato nel
campo della cultura, della poesia, della musica, del diritto, dell’astronomia. Le persecuzioni
del passato e quelle più recenti, dal genocidio assiro-armeno del 1915 alle violenze dei gruppi
estremisti [fra i quali lo Stato islamico] negli ultimi anni non devono spaventare.
“L’emigrazione mina la presenza storica dei cristiani in Iraq - conclude il patriarca - e
indebolisce il loro ruolo in società”.
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PREGHIERA DI CONVERSIONE QUOTIDIANA
Se la conversione è una grazia, abbiamo bisogno di chiederla e di valorizzarla ogni giorno
Mio Signore Gesù,
il cui amore per me è stato così grande da farti scendere dal cielo per salvarmi, mostrami il
mio peccato; mostrami la mia indegnità, insegnami a pentirmi sinceramente, perdonami nella
tua misericordia.
Mio amato Salvatore, ti chiedo di prendere possesso della mia persona. Solo il tuo perdono
può farlo. Non posso salvarmi da solo, non sono in grado di recuperare ciò che ho perduto.
Senza di Te non posso volgermi a Te, né farti cosa gradita. Contando solo sulle mie forze
andrò di male in peggio, mi indebolirò completamente, mi indurirò per negligenza. Farò sì che
il centro di me sia me stesso anziché Tu. Adorerò qualsiasi idolo modellato da me anziché
adorare Te, l’unico vero Dio, il mio Creatore, se non lo impedirai con la tua grazia.
O mio amato Signore, ascoltami!
Ho già vissuto abbastanza in questo stato: sospeso, indeciso e mediocre. Voglio essere tuo
fedele servitore. Non voglio più peccare. Sii misericordioso con me! Fa’ con la tua grazia che
io sia chi so di dover essere.
Beato John Henry Newman
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CONTATTO WHATSAPP DELLA PARROCCHIA
.
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COMMENTO AL VANGELO DELLA DOMENICA:
ALLORA APRÌ LORO LA MENTE
ALL'INTELLIGENZA DELLE SCRITTURE
Il Vangelo di questa domenica ci narra ancora una volta i fatti del giorno della
risurrezione. L'insistenza non è casuale: la Chiesa continua a ricordarci che ogni
domenica è Pasqua, il giorno in cui Gesù vince la morte e incontra nuovamente i
discepoli. Il capitolo 24 del Vangelo di Luca da cui è tratto l'episodio dell'incontro di
Gesù con i discepoli di Emmaus descrive come Gesù ha passato l'intero giorno di
Pasqua: al mattino sta con Maria al sepolcro e poi, quasi per l'intera giornata con i
due discepoli di Emmaus. Solo alla sera, al termine del giorno, lo troviamo nel
cenacolo con gli apostoli. Gesù -racconta l'evangelista- entra nel cenacolo mentre i
due discepoli, tornati in fretta da Emmaus, stanno ancora raccontando quello che è
accaduto loro lungo la via. Gli apostoli al vedere "Gesù, in persona", venire in mezzo
a loro sono presi da stupore e spavento. E come già altre volte era accaduto, anche
ora pensano sia un fantasma. Ancora una volta -domenica scorsa abbiamo visto lo
scetticismo di Tommaso-il Vangelo di Pasqua deve sottolineare l'incredulità degli
apostoli. Vengono in mente le parole del prologo di Giovanni: "Venne tra la sua gente,
ma i suoi non l'hanno accolto". Gli amici più stretti stanno parlando di lui, si riferiscono
tra loro le varie apparizioni, potremmo dire che sono ormai quasi convinti della sua
risurrezione, tanto che dicono: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone"
(Lc 24, 34). Eppure, appena Gesù entra in mezzo a loro pensano sia un fantasma,
una figura astratta, irreale. Si spaventano, persino. Eppure, Gesù glielo aveva detto e
spiegato. "Ma si sa - avranno continuato a pensare i discepoli con la loro solida
sicurezza - Gesù esagera sempre, e alle sue parole bisogna fare la tara". Così
pensarono i tre discepoli, gli amici più intimi, quella sera all'orto degli ulivi quando
sottovalutarono l'angoscia di Gesù e non seppero stargli vicino neppure per un'ora.
Agonizzante o risorto, essi non sanno né riconoscerlo né accoglierlo. Ebbene,
bisogna partire proprio da questa inaccoglienza, vestita di stolto realismo, per
comprendere l'odierna pagina evangelica. Siamo anche noi assieme ai discepoli
quella sera di Pasqua, stupiti e spaventati. Anche noi pensiamo tante volte che il
Vangelo sia una specie di fantasma, ossia che si tratti di parole astratte, lontane dalla
vita, belle ma impossibili a vivere; e ne abbiamo anche paura perché pensiamo che
siano troppo esigenti, che chiedano sacrifici, che propongano rinunce, che
pretendano una vita poca felice. Ne consegue che con incredibile facilità le
depotenziamo e le infiacchiamo nella loro radicalità perché non ci disturbino troppo.
Ma Gesù torna; torna ogni domenica e dopo il saluto di pace dice a tutti noi: "Perché
siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei
piedi: sono io! Toccatemi e vedete; uno spirito non ha carne ed ossa come vedete che
ho io". Mentre parla in questo modo, mostra loro le mani e i piedi segnati ancora dalle
ferite dei chiodi; non propone una lunga e dotta disquisizione teorica sulla
risurrezione, e neppure si mette a fare teorie sulla fede. Gesù mostra la realtà
concreta del suo corpo risorto, ma ancora ferito. E forse l'ultima ferita - questa volta
tocca l'anima - gliela stanno infliggendo proprio in quel momento i discepoli con la loro
inaccoglienza. L'evangelista sembra però indicare una via per superare questa
distanza; una via non teorica e astratta ma molto concreta. Potremmo chiamarla la via
nell'incontro con le sue ferite. Gesù per vincere i dubbi dei discepoli, dice loro:
"Guardate le mie mani i miei piedi; sono proprio io! Toccatemi e guardate". Le ferite
sul corpo, senza dubbio ci dicono che il Gesù di Pasqua è lo stesso Gesù del Venerdì
santo, ma la loro permanenza nel corpo del Signore risorto richiama anche la realtà
del dolore e del male ancora presente in questo mondo. La risurrezione certo è
avvenuta ma deve continuare ancora. E'iniziata con Gesù, il capo del corpo, si
potrebbe dire; ma ci sono tante parti di questo unico corpo che hanno ancora ferite
aperte: sono i poveri, i malati, i carcerati, i torturati condannati a morte, i paesi in
guerra, i colpiti dalle disgrazie e dalla violenza. E l'elenco può continuare ancora più a
lungo. Dietro questo invito di Gesù ci sono oggi milioni e milioni di bambini, di vedove,
di orfani, che continuano a attendere aiuto e davvero pochi "guardano" e ancor meno
si incamminano per "toccare". Sì, vedere e toccare! Questi sono i verbi della
risurrezione: accorgersi di chi ci sta accanto e soffre e non passare oltre come fecero
quel sacerdote e quel levita. La vittoria sulla nostra incredulità inizia da quest'incontro
affettuoso con il corpo ancora ferito di Gesù. Immediatamente dopo, nota
l'evangelista, Gesù "aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture". Già durante la
giornata, la gran parte di essa, Gesù l'aveva passata spiegando le Scritture ai due
discepoli di Emmaus che se ne stavano tornando a casa tristi e rassegnati. Eppure
essi conoscevano le pagine dell'Antico Testamento, e avevano anche più volte
ascoltato la parola di Gesù. Ma fu necessario che i discepoli ascoltassero
nuovamente il Vangelo e si lasciassero toccare il cuore. Non basta ascoltare una volta
o alcune volte le Sante Scritture. Il credente deve riscoprire la gioia di frequentare
ogni giorno le Sante Scritture. Ogni domenica Gesù torna e parla a ciascuno di noi,
come fece con i due di Emmaus. Dalla Pasqua perciò inizia un ascolto che non
termina più: quella Parola proclamata e predicata è la linfa della vita di ogni discepolo
e dell'intera comunità. Senza di essa saremmo senza nutrimento, senza pane. La
carestia sarebbe tremenda; e non solo per i discepoli ma per il mondo intero. Ogni
domenica perciò il Signore ci raccoglie, apre la nostra mente all'intelligenza delle
Scritture e riscalda i nostri cuori. Di questo vangelo - dice Gesù ai discepoli di ogni
tempo - "voi siete testimoni".
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CALENDARIO LITURGICO
E
RICORRENZE SETTIMANALI
6 MAGGIO
SAN DOMENICO SAVIO
Ancora bambino decise quale sarebbe stato il suo progetto di vita: vivere da vero cristiano.
Tale desiderio venne accentuato dall’ascolto di una predica di don Bosco, dopo la quale
decise di divenire santo. Da questo momento, infatti la sua esistenza fu piena d’amore e
carità verso il prossimo, cercando in occasione di dare l'esempio. Nel 1856 fondò la
Compagnia dell'Immacolata e poco più tardi morì, lasciando un valido e bel ricordo della sua
persona ai giovani cristiani.
8 MAGGIO
BEATA VERGINE DEL SANTO
ROSARIO DI POMPEI
La devozione alla Vergine del Rosario nella cittadina di Pompei risale all’arrivo, come
amministratore dei beni della contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, dell’avvocato
Bartolo Longo, tornato alla fede dopo un lungo periodo di crisi. Per offrire un riscatto civile e
morale a popolazioni abbandonate da secoli nella loro miseria, decise di propagare la
preghiera del Rosario. Per questo scopo, ricevette in dono un quadro raffigurante la Madonna
in trono con Gesù Bambino sulle ginocchia, in atto di consegnare la corona del Rosario a
santa Caterina da Siena e a san Domenico di Guzman. Il dipinto, inizialmente conservato
nella piccola chiesa parrocchiale, fu poi trasferito nella nuova chiesa, in seguito diventata
Santuario e Basilica Pontificia. Al Santuario sono annesse numerose opere caritative, tutte
ideate da Bartolo Longo, che la Chiesa onora come Beato dal 1980. I giorni che vedono il
maggior afflusso di pellegrini a Pompei sono l’8 maggio e la prima domenica di ottobre,
quando viene solennemente recitata la Supplica alla Vergine del Santo Rosario di Pompei,
composta dallo stesso Beato Bartolo Longo.
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SACRAMENTI
BATTESIMO
I modi e tempi sono da concordare con la Segreteria Parrocchiale, per la preparazione
dei genitori, per la scelta adeguata dei padrini e delle madrine, per la presentazione dei
documenti richiesti; per il battesimo degli adulti sarà richiesto un percorso
individualizzato
CONFESSIONI
Le confessioni sono disponibili in Parrocchia DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ prima e dopo
la Santa Messa delle 13.30 e OGNI DOMENICA dalle ore 10.00 alle ore 13.00.
CRESIMA
Al termine del cammino di preparazione (iniziazione cristiana), si potrà accedere al
sacramento della Confermazione in data e modalità da concordare col Parroco.
COMUNIONE AI MALATI
Per le persone trattenute in casa da una lunga o invalidante malattia si prega
di contattare la Segreteria Parrocchiale per la visita del sacerdote a portare
l’Eucaristia nelle case.
UNZIONE DEGLI INFERMI
l’Unzione è chiesta in caso di malattia di lunga durata o in pericolo di vita, in questi
casi si prega di contattare il Parroco h24 .
CELEBRAZIONE DELLE ESEQUIE (FUNERALI)
La data e l'ora della celebrazione delle esequie sono fissate d'intesa coi familiari,
previo contatto con la Segreteria .
MATRIMONIO
per ricevere informazioni circa le pratiche civili e Parrocchiali, richieste dalla disciplina
del sacramento è necessario rivolgersi alla Segreteria Parrocchiale, almeno 6 MESI
prima della data prevista per la celebrazione del matrimonio. La Parrocchia ogni
anno predispone dei corsi per fidanzati.
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