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Bugiardino numero 5

Date post: 31-Mar-2016
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il Bugiardino, numero 5, giugno 2014
16
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Speci al e Terra d ei Fu och i : u n a testi m on i an za d al l a Cam pan i a

di Carlos Di Giovan Paolo

a pag. 6

di Livia Tognaccini

a pag. 6

1 991 .

Non sarà mai dimenticata questa data.

Probabilmente è una data indicativa, presa

come riferimento.

Probabilmente tutto ebbe inizio addirittura

qualche anno prima, con qualche viaggio di

“prova”.

Ma è del 1 991 che per sempre avremo un

ricordo indelebile.

Nella mente.

Nel cuore.

Nei polmoni.

Nel sangue e nel cervello.

Qualche anno prima la Campania fu colpita

da un violentissimo sisma, con epicentro

nella provincia di Avell ino.

I l sisma causò danni per mil iardi di l ire

(al lora conio di Stato), lasciando migl iaia di

cittadini senza un tetto sotto i l quale vivere,

(continua a pag. 2)

Armadietti sotto

sfratto

Un camice bianco stirato.

Immagine di pulizia mista

a professionalità. Già da

studenti si dovrebbe

imparare. Il punto è che

nel trasporto da casa al

reparto all’aula studio, il

camice non rimane

immacolato come do-

vrebbe ma assume un

colore giallognolo e

quell’aspetto sgualcito

simile a uno straccio per la

polvere. E’ per questo che

da anni al Sant’Andrea

esistono gli armadietti, una

comodità per gli studenti

che ce l’hanno, un sogno

per quelli a cui manca.

L’armadietto è divenuto

nel tempo una sorta di

custodia, una cabina porta

oggetti, un mini appar-

tamento, dove riporre

camice, fonendoscopio,

libretto, green, cioc-

colatini, specchi e varie;

stando attenti a non

esagerare visto che non

sono mancati furti,

purtroppo.

Ma come si fa a venire in

possesso di un armadietto?

(continua a pag. 5) a pag . 3

Numero 5 Maggio 201 4 SISM Roma Sant'Andrea

(da pag. 1)

senza più una fabbrica dove andare a

svolgere il proprio lavoro, senza una strada da

poter percorrere per raggiungere la propria

amata.

Era il 23 Novembre 1 980, ore 1 9:00.

Dopo quel sisma, cosi come le architetture e

la geografia del territorio, nul la sarebbe più

tornato al suo posto.

Lo Stato latitò, lavandosi la faccia con i sol iti

proclami che appartengono alla storia di

sempre di questo paese.

Ma pur qualcosa si iniziò a fare, per rimettere

in piedi ciò che il sisma aveva fatto crol lare.

“Tocca ricostruire!

Presto!

Senza badare all ’architettura!

Senza badare troppo alla burocrazia ital iana,

troppo cavil losa e dispersiva. .

Occorre mattone! Buono! Che resista bene,

nel tempo!”

La Campania è piena di tufo, la morfologia del

territorio è generosa di tale elemento naturale,

perfetto per la fabbricazione di mattoni,

blocchi di varie forme, uti l i per la costruzione

di edifici di vario tipo.

Soprattutto abitativi .

“Bene!

E tufo sia! A volontà!”

Sì ma dove?

Giugl iano in Campania, Melito di Napoli ,

Acerra, Marcianise, Gricignano d’Aversa,

Aversa, Parete. . .

La Campania Felix, insomma.

“Scaviamo!”

Da quel punto, per dare un tetto ai terremotati

dimenticati dal lo Stato, si scavarono cave in

ogni dove, per estrarre i l tufo, per i mattoni.

Quelle cave, sarebbero diventate tombe.

Enormi tombe.

Erano gli anni ’80.

I maledetti anni ’80!

In quegli anni l ’egemonia della malavita

organizzata campana era nelle mani dei clan

dell ’area Nord di Napoli e nel le mani dei clan

dell ’area vesuviana.

Ma una cittadina stava per conquistare di

diritto i l primato nella tristissima classifica

delle gerarchie del potere camorristico.

Si legge:

“La Strage di Torre Annunziata o Strage del

Circolo dei pescatori o anche Strage di

Sant'Alessandro fu un tragico fatto di sangue

avvenuto a Torre Annunziata nel 1 984. La

strage nacque dopo la carcerazione di

Raffaele Cutolo e la scomparsa del cartel lo

criminale che si era scontrato con il boss della

NCO, la Nuova Famigl ia. I clan di Antonio

Bardell ino, Gionta e Nuvoletta, un tempo

alleati si divisero. I l 1 8 agosto 1 984 nei pressi

di Scalea venne rubato un autobus, i l quale

venne usato, pochi giorni dopo, per compiere

la strage. Difatti in data 26 agosto 1 984, verso

mezzogiorno, l 'autobus giunse davanti i l

circolo dei pescatori di Torre Annunziata, dove

spesso si riunivano gli uomini legati ai Gionta.

I l mezzo esponeva un cartel lo recante scritto

Pag. 2

Progetto raccolta differenziata al Sant'andreaTarsitani: stiamo migl iorando ma dobbiamo dare l 'esempio, gl i studenti potranno aiutarci

"Gita turistica". Scese un commando di 1 4 kil ler professionisti che aprì i l fuoco, morirono 8

persone e altre 7 furono ferite. I l giornal ista Giancarlo Siani si occupò della vicenda; in un

articolo sosteneva che l'arresto del boss Valentino Gionta, avvenuto nel 1 985 nel territorio dei

Nuvoletta, fu i l "prezzo" pagato da quest'ultimi per giungere alla pace con Bardell ino.”

Da quel giorno,1 8 agosto 1 984, Bardell ino, reggente del clan dei casalesi, avrebbe avuto carta

bianca per operare a suo piacimento nell ’area che va da Napoli Nord fino al Basso Lazio.

Si sa, un reggente di un clan è si un efferato criminale, ma è anche uno spietato affarista.

(continua a pag 10)

Qual è la dimensione degli attuali sistemi

di riciclaggio nel nostro ospedale?

Diciamo che il vantaggio è l imitato. Perché i

maggiori costi del l 'ospedale sono sui rifiuti

special i , ad esempio quell i a rischio infettivo,

ma questi material i non sono adatti al

riciclaggio. Invece mi sembra importante i l

fatto educativo, cioè che una facoltà di

medicina con i suoi studenti si ponga come

obiettivo l ’ ingresso nel processo a livel lo

nazionale, in cui, si sa, è in gioco la

sopravvivenza del pianeta. E' forse una

frase drammatica ma vera perché

sarà diffici le resistere alla

produzione di mil ioni di

tonnellate di rifiuti ogni giorno.

Sarà diffici le se non si va

verso l’operazione delle

quattro "R": riduzione (ossia

prevenzione della formazione

dei rifiuti), poi recupero, riciclo e

riuti l izzo. Penso alle opere

straordinarie del l ’antichità, le Piramidi, la

Grande Muraglia, gl i Acquedotti romani; noi

lasceremo montagne di rifiuti . Questa è

l’ impronta della nostra società.

Che senso ha una raccolta differenziata nel

nostro ospedale?

Parlando della riduzione dei volumi c'è sia la

raccolta differenziata sia i l ricorso ai

termovalorizzatori, i qual i riducono del 1 0% le

scorie. I l riuti l izzo delle materie prime è

risparmio energetico, cioè di combustibi l i e di

conseguenza riduzione dell 'inquinamento

atmosferico: anche se bruciamo metano

produciamo CO2. E questo comporta

aumento delle temperature, cambiamento

cl imatico, catastrofe. Lo stiamo vedendo, i l

nostro sviluppo non è compatibi le con questa

produzione di energia. I l risparmio energetico

è la più grande lotta per la sopravvivenza.

Questo c'è dietro la raccolta differenziata e

questa nasce per definizione dal conferimento

che fa il cittadino. Per una buona raccolta è

importante l 'empowerment del cittadino. Per

questo bisogna educare i medici, gl i

infermieri, tutti i santitari , poiché hanno

un ruolo significativo nella società e

sono un esempio per quanto

riguarda i temi del la salute.

Secondo lei è possibile

in tutti i settori dell’

ospedale fare una

differenziata? Dagli

ambulatori, al bar, alla sala

operatoria, ai reparti?

Si, lo stiamo facendo con successi

diversi, cioè faccio riferimento alla qualità

del rifiuto. Tra l ’altro dobbiamo fare

attenzione: se il rifiuto non è di buona qualità

te lo ridanno indietro per cui non è servito fare

la differenziazione. Secondo la mia

impressione, se non c’è un responsabile dei

rifiuti , un ufficio, magari un luogo control lato in

cui tutto questo avviene, i l rifiuto viene

conferito in modo misto, disordinato; c’è un

po’ di disattenzione, non solo da parte del

pubblico, ma anche da parte di noi personale

riduzio

ne recupero

riutilizzo ricic

lo

4 R

Pag. 3

sanitario. Per questo facciamo audit sul

conferimento dei rifiuti in tutti i reparti . Però

ogni reparto ha nella sua medicheria, in luoghi

particolari , i suoi contenitori per una raccolta

differenziata. Per cui abbiamo capito dove

funziona meglio, dove c’è un control lo, e

quindi anche migl iorato molto. Siamo partiti da

una situazione in cui venivano confusi, per

esempio i rifiuti ad uso urbano e i rifiuti

special i , in particolare quell i a rischio infettivo.

Questo non succede più ma continuiamo a

camminare in questa direzione! Solo così si

cresce, questa è formazione sul campo. Però

non ci l imitiamo a parlare con chi trasporta i

rifiuti , con gl i ausi l iari o con la ditta

responsabileQ coinvolgiamo i referenti

medici, i caposala, gl i infermieri, perché solo

in questo modo aumentiamo la percezione del

problema.

Vi riferite ad un’ azienda trasporti?

Si, abbiamo una ditta appaltatrice che porta

via tutti i rifiuti , su questo guadagnamo uno

sconto perché è la ditta stessa a ricavarne un

uti le. Contemporaneamente l ’ azienda

municipal izzata del comune AMA ci offre lo

stesso servizio ma con maggiore vantaggio

perché è totalmente gratuito; da questo

doppio canale stiamo cercando di spostarci i l

più possibi le sul l ’ AMA. Logicamente ci sono

efficienze diverse, ci sono cose tecniche per

le quali in questo momento preferiamo

mantenere il doppio canale, perché è

importante che alla fine i rifiuti vadano via!

Non possiamo tol lerare accumuli nel l ’

ospedale, già abbiamo un luogo di raccolta e

conferimento, abbastanza delicato e critico.

C’è il rischio che i rifiuti differenziati

vengano accumulati insieme al termine

della filiera? Avete un controllo su questo?

Beh non sappiamo dove li porta l ’ AMA

francamente.

Neanche la ditta privata?

La ditta privata figuriamoci se ha interesse a

perdere un valore! No sulla ditta privata sono

sicurissimo. Sull ’ AMAa volte i cittadini hanno

espresso dei dubbi, credo che in alcune

situazioni possa succedere che facciano

conferimenti impropri. Ne sento parlare ma

non ho dati su questo. Sarà successo in

situazioni particolari , scioperi, mancanza di

mezzi, non posso immaginare che sia l ’ uso

abituale, sarebbe proprio una fol l ia!

Secondo la sua opinione dentro l’ ospedale

c’è sensibilità su questo argomento?

Secondo me sì. C’è abbastanza sensibi l ità.

Come sempre in questi casi la sensazione è

del tipo ‘basta che non mi coinvolgete troppo’ .

Invece vedo molto distratto i l pubblico.

Sappiamo benissimo che o riduciamo la

quantità dei rifiuti o è un problema enorme.

Sappiamo anche che nel Lazio siamo a livel l i

spaventosamente bassi di differenziata.

Siamo sotto i l 20% con obiettivi superiori al

60-80% raggiunti in alcune regioni del Nord

per cui siamo vergognosamente indietro. E’

chiaro che questa è una situazione che può

esplodere, mi pare che proprio recentemente

si dica che il Lazio stia migl iorando. Abbiamo

anche testimonianze di diversi Municipi che

hanno messo in piedi sistemi virtuosi. Io

penso che come al sol ito la partecipazione dei

cittadini e la consapevolezza possa aiutare

tutto ciò. Ecco il perché della nostra iniziativa.

Come e quando parte il progetto?

I l progetto riguarda la facoltà e riguarda il fatto

che in ogni aula affiderò agli studenti tre

contenitori: indifferenziata, plastica e carta.

C’è da fare un minimo di attività: prendere i

sacchi, gestire, fare un po’ di educazione,

magari anche degli incontri . Volendo diventare

ancora più virtuosi potremmo raccogliere i

tappi del le bottigl iette di plastica, che è molto

pregiata; poi dipende anche dalla risposta

degli studenti. L’obiettivo è giocare sul la

quantità: già raccogliamo una marea di carta

tra gl i uffici e gl i ambulatori. Ma ripeto a me

sembra più importante coinvolgere medici nel

fare informazione su un tema ambientale.

Penso che sia una grande risorsa il medico

messaggero dei temi del la salute nella

popolazione. Non solo un ruolo tecnico-

diagnostico-curativo, ma anche di referente

sui temi del l ’ ambiente sia fisico che sociale,

nei quali la comunità è immersa.

A cura di Adelaide Aprovitola e Giulia Muzi

Intervista del dicembre 2013

Pag. 4

In realtà fin dalle origini di questa facoltà il diritto

ad ereditarne uno si basava, per così dire, sul

principio di empatia. Se un tuo amico aveva

l’armadietto e si liberava un posto, venivi invitato a

diventare un suo “coinquilino”, bastava duplicare

la chiave ed il gioco era fatto. Situazione poco

sistematizzata, stile casereccio. Eppure alla fine

risultavano accontentati tutti o quasi. Altri tempi!

quelli in cui al Sant’Andrea si era in pochi. Col

tempo gli studenti si moltiplicarono e il numero di

armadietti rimase sempre lo stesso. Rimediarne uno

diventava sempre più difficile ed i metodi per farlo

sempre più originali. Potevi incontrare

paradossalmente persone che in 5° o 6° anno

ancora non ne avevano uno proprio e persone che

già in 2° ne facevano uso non si sa per cosa. Per

questi motivi nel 2012 i nostri responsabili della

didattica hanno deciso di regolarizzarne l’accesso

mediante l’ inventario di ogni singolo armadietto,

numerandoli e registrando nome e anno di corso

degli studenti usufruttuari. Ma non è stato facile.

Molti ragazzi hanno risposto in ritardo, molti non

hanno mai dato segni di vita. Ne è emerso che vari

studenti, nel tempo diventati specializzandi, si

erano tenuti l’armadietto per sé. E quindi l’assenza

di turn over li rendeva indisponibili per i nuovi.

Perché non costringerli a cederli? La linea di

pensiero è obbligare d’ora in poi i neolaureati a

restituirli, ma non toccare i vecchi che ancora li

custodiscono gelosamente. Questo anche perché,

sebbene spesso si tratti di avarizia o sbadataggine,

altre volte gli stessi specializzandi non sono

autorizzati ad avere un proprio spazio nel reparto in

cui lavorano per conservare camice e suppellettili

varie, e quindi non hanno scelta se non quella di

Armadietti sotto sfratto(continua da pag. 1)

utilizzare l’armadietto degli studenti! Cosa che fa

pensare…

Ma gli armadietti sono pochi? Con le

riassegnazioni si potrebbe risolvere il problema?

Probabilmente sì, disponiamo di 381 armadietti,

altri 70 sono stati ordinati dall’Azienda

Ospedaliera nel giugno 2013. Il problema

sembrava prendere la via della risoluzione, ma

come un fulmine a ciel sereno arriva durante

l’estate una ispezione della ASL che giudica

irregolare la disposizione degli armadietti nei vari

piani. Così piuttosto che eliminarli si è deciso di

spostarli in aula E alle tensostrutture fino a data da

destinarsi. Anche questa è una storia triste, fatta di

armadietti che prima vivevano felici a piano terra,

poi spostati senza neanche troppo preavviso a

meno 3 e adesso esiliati completamente fuori dalla

struttura. Il motivo di questa irregolarità sarebbe

sia igienico che di sicurezza. I corridoi sono vie di

fuga e vanno mantenuti liberi. Stesso discorso

vale per le trombe delle scale, un tempo gremite

di armadietti. Ci sono porte con maniglioni

antipanico e ascensori, e anche questi devono

essere facilmente raggiungibili. Inoltre l’ospedale

è fatto di vari percorsi, su cui viaggiano diversi

articoli come ad esempio materiale infetto, cibo

diretto ai pazienti dei reparti, farmaci. La presenza

di ostacoli su questi percorsi è stata ritenuta

irregolare. E fino ad oggi come facevano gli

armadietti a coesistere con questi passaggi? Non

lo sappiamo, probabilmente venivano usate

“strade alternative” all’ interno dell’Ospedale, ma

ora la commissione che ha fatto l’ ispezione ha

detto basta.

Ora la situazione la conosciamo, gli armadietti

superstiti sono circa un centinaio e sono a meno 3,

alla fine del corridoio est dopo la mensa e dopo

psichiatria, in uno spazio delimitato da un muro

costruito da pochi mesi apposta per fare da separè.

Gli altri sono alle tensostrutture, lontani da qui,

forse si fa prima a raggiungerli venendo dal

Raccordo, e tutti si stanno chiedendo quanto

durerà. Perché avere un armadietto fuori

dall’edificio ospedaliero equivale a non averne

nessuno, troppo lontano per essere usato con

rapidità tra una lezione ed un servizio clinico; e

poi per arrivarci c’è un lungo percorso all’aria

aperta, fatto di parcheggi, cantieri in costruzione,

spazi verdi. Potrebbe essere problematico durante

Pag. 5

Oltre le frontiere

la stagione invernale se non si vuole arrivare in

reparto bagnati o congelati dal freddo. Il futuro è

ancora una volta un punto interrogativo. Potrebbe

arrivare un’altra ispezione che ritenga irregolari

anche i pochi armadietti rimasti a meno 3, ed a quel

punto sarebbe la fine; o forse un’alternativa c’è?

magari si potrebbero studiare altre soluzioni. Il

problema è sempre lo stesso da anni, ce lo abbiamo

chiaro in testa: al Sant’Andrea non c’è più spazio.

Del resto non è solo un problema di armadietti, ma

di aule, biblioteche, parcheggi. Il prof Familiari sta

valutando l’ ipotesi di poter utilizzare un’ala del

piano meno 4, ma ci sono una serie di problemi da

risolvere, soprattutto considerata la non facile

agibilità di quel piano, in alcuni punti l’altezza sarebbe insufficiente, per questo partiranno dei lavori di

ristrutturazione.

Siamo in troppi rispetto alla capienza di questo posto, non dipende dalla nostra Facoltà, trovare qualcuno

che possa risolvere questi problemi è arduo. E’ , come al solito, un gatto che si morde la coda. Per adesso il

nostro camice da studenti rimane accartocciato dentro uno zaino, più simile ad uno straccio bagnato che

alla sacra divisa del medico.

Alessandro D'Andrea

Articolo del novembre 2013

L’ospedale di Tivaouane si trova a circa 80

km a nord di Dakar, prende il nome dal più

grande capo spirituale, Abdoul Aziz SY,

Marabut del la confraternita mussulmana dei

Tidjania. Personaggio molto importante nella

storia di questo paese, leader spirituale e

portavoce di un messaggio di pace e

fratel lanza tra le varie rel igioni.

I l Senegal, famoso per la Teranga “ospital ità”,

la sua musica, i suoi bal l i e tradizioni,

purtroppo vanta ancora oggi gravi situazioni

di malnutrizione e malaria nei bambini tra i 0-

5 anni, mentre nell ’età adulta l ’epatite, la

tubercolosi e l ’ ipertensione sono le sfide più

grandi per i l Sistema Sanitario Nazionale.

Dal 201 1 nel l ’ospedale di Tivaouane lavorano

Tirana, Albania, questa è la nuova frontiera

per chi, nonostante i l sistema, vuole fare

medicina. E vi chiederete perchè in questo

piccolo terzo mondo apparentemente senza

una storia, senza un passato che per noi

valga la pena ricordare? Qui la gente per

certi versi pare sia rimasta ferma nei

confronti di una società che insegue il

cambiamento.

Somigl ia ad un’ I tal ia degli anni Ottanta, con

palazzi in costruzione ad ogni angolo,

macchine quasi del l ’ anteguerra e carri di

animali che girano per la città come appena

tirati fuori da un vecchio fi lm western;

trasportano vivande e talvolta persone che,

per risparmiare, usano mezzi alternativi.

Pag. 6

più di 1 00 persone tra medici e infermieri,

che si battono giorno e notte per rispondere

alle esigenze di salute di una popolazione

che negli anni 90 ha avuto un grande

incremento e ad oggi vanta più di 60.000

abitanti , compresa la parte rurale.

L’ospedale risponde con fatica ad un flusso

di circa 40.000 persone annue, tra visite,

ricoveri e consultazioni che sono andate a

crescere di anno in anno di pari passo con la

popolazione. Le esigenze sono tante ed è

chiaro che le risorse messe a disposizione

dal governo non sono sufficienti a far fronte

al bisogno attuale che presenta l ’ospedale.

Con difficoltà si contano i dispositivi di

protezione e i presidi come guanti, bende,

disinfettanti e mascherine.

Grazie al grande lavoro della Autorità

Sanitarie e del sindaco Ass Malick Diop,

l ’Ospedale dispone ad oggi dei reparti più

importanti ( Maternità, Pediatria, Chirurgia

Generale, Urologia, Blocco Operatorio,

Radiologia, Oftalmologia e Medicina Interna).

Proprio in quest’ultimo mi trovo a lavorare

come stagista, insieme ad un medico e ad un

numero di infermieri che oscil lano in base

Questo è uno scorcio dell ’Albania di oggi, un

paese che solo un decennio fa viveva sotto

una dittatura schiacciante e che, pian piano,

sta cercando di riemergere per stare al passo

con un Europa che purtroppo sembra ancora

lontana.

Questo è il paesaggio che fa da contorno

all ’Università Nostra Signora del Buon

Consigl io, un vero e proprio distaccamento

dell ’Università di Roma Tor Vergata, creata e

voluta dalla stessa Madre Teresa di Calcutta

per dare possibi l ità accademiche agli

albanesi meritevoli che avrebbero poi fatto

parte della nuova classe dirigente del paese.

Da qualche anno ormai questa realtà è

aperta anche agli ital iani, rimasti esclusi dal

test selettivo e che, previo superamento di un

test a quiz meno arduo, vogliono

intraprendere percorsi in ambito medico

sanitario.

L’Unizkm, come oggi si fa chiamare la sede,

è diventata la scelta di molti studenti di

Medicina e Odontoiatria, che hanno l’

opportunità di seguire le lezioni in l ingua

ital iana.

Certo, che dire, non è la Francia o

l ’ Inghilterra, non è quello che si desidera per

un figl io, ma forse proprio in questo risiede la

sua forza: è una valida alternativa che non ti

aspetti !

L’Università oggi è un’ istituzione in crescita,

dispone infatti di una serie di strutture

ospedaliere a Tirana e a Durazzo per

permettere a giovani studenti di toccare con

mano già dal terzo anno cosa vuol dire fare

medicina. I ragazzi qui vengono abituati a

vedere, a vivere quell ’ ambiente ospedaliero

che dovrà poi essere il loro futuro e a

Pag. 7

alle esigenze del reparto stesso. Arrivato qui

la prima differenza che ho notato è che non

c’è una collocazione dei pazienti nei reparti di

competenza, in base alla patologia, ma a

medicina interna si possono trovare patologie

di diversa natura, dal l ’Aids al l ’ ictus,

dal l ’epatite al la febbre tifoide. Più una parte

del reparto dedicata completamente alla

Pediatria, dove un bambino su due viene

ricoverato per malaria mentre negli adulti

ipertensione e l’ epatite sono le cause di

ricovero più frequenti.

In Senegal le cure ospedaliere erogate dal

Servizio Sanitario Nazionale sono

completamente a carico del paziente e dei

suoi famil iari , anche negli ospedali pubblici

come i nostri , si paga dall ’ ago-cannula al

posto letto, con un costo di circa 2€ al giorno.

E’ chiaro che in famigl ie dove a malapena si

ha la possibi l ità di mangiare, la piramide

delle priorità è completamente diversa da

quella nel mondo occidentale. Così

al l ’ insorgenza dei primi sintomi, come un mal

di testa, o un forte dolore al petto, sintomo di

un problema cardiovascolare, si tende a

sottovalutare e tirare avanti. Questo

purtroppo provoca a sua volta due

conseguenze particolarmente diffici l i da

gestire. La prima è che il paziente a volte

giunge in condizioni troppo critiche per poter

intervenire in maniera opportuna; la seconda

è che più i trattamenti sono importanti , più i

costi a carico del malato aumentano. E’

chiaro che gli interventi di sensibi l izzazione

sul le malattie più comuni da parte delle

organizzazioni local i , trovano grandi difficoltà

ad essere recepite dalla popolazione a causa

scontrarsi con realtà tutt’altro che facil i , in cui

risiede ancora grande disagio, ma che sono

d’altro canto molto educative per chi è

desideroso di apprendere.

Una grande comunità di ital iani si è ormai

insediata in città permanentemente con nuovi

iscritti ogni anno; e pensare che nei lontani

anni Novanta erano gli albanesi ad emigrare

nel nostro paese! Sembra che i ruol i si siano

invertiti : è proprio vero che nella storia non si

può mai dire!

Un paese in sviluppo, da scoprireQ si può

scorgere in lontananza dal lungomare di Bari.

Una realtà che nasconde tante

contraddizioni, ma con un grande desiderio

di rivincita sociale e che ci guarda ancora

oggi con ammirazione cercando di

eguagliare i nostri standard (ahimè forse è

rimasto l ’unico ormai!). Ma proprio per

questo, paradossalmente, ha qualcosa che

noi abbiamo perso da tempo: la genuinità,

l ’energia e l ’attivismo di un popolo che, nel la

consapevolezza della propria arretratezza, si

muove, conosce, cresce e così va avanti. Un

popolo fatto da singolarità, da persone, che

agiscono insieme per raggiungere un

obiettivo: riscattare la loro condizione sociale

verso se stessi e verso un mondo che si

cul la ancora oggi nel pregiudizio.

Gente che lotta con umiltà e crede nel

migl ioramento con sacrificio, così mi sento di

definire questa comunità.

Qualcosa sta cambiando; che l’Albania sia la

nuova Terra Promessa?

Sicuramente è presto per dirlo ma con questi

presupposti nasce un confronto quasi

obbligato: noi come siamo diventati? Un

paese che a stento vede luce e non sa da

dove ripartire.

Che fosse questa la nostra risorsa?

Una cosa è certa: avremmo tanto da

imparare da questo modus vivendi; da

quella umiltà che spinge all ’ azione e infine

al la riuscita. Dovremmo ripartire proprio da

questo come società: reimparare ad

apprezzare le cose semplici e lavorare per

ottenerne di migl iori ; riacquistare umiltà per

uti l izzarla al meglio, in modo da avere le armi

per chiedere di più ad un sistema che troppo

spesso sembra adagiarsi su standard

Pag. 8

mediocri.

L’Albania è un paese più simile al nostro di

quanto non si creda! E proprio tramite lo

scambio di culture, la nostra esperienza e la

loro grinta, penso si possano trovare gli

ingredienti per fare, da un lato, ripartire un

paese come il nostro, ormai invorticato in un

tunnel; e dal l ’altro i l loro, che lotta per

emergere.

Potrebbe essere un buono stimolo per l ’ I tal ia,

per rimettersi in gioco ed investire su un

progetto volto a rendere l ’Albania una terra di

nuove opportunità non solo per gl i ital iani, ma

anche per gl i albanesi intenzionati a crearsi

un futuro in questo paese.

La realtà dell ’Università è tutto questo, ed è

destinata a crescere tanto da dare possibi l ità

di percorsi di formazione special istica e di

tirocini post laurea a coloro i quali vogl iano

un’esperienza fuori dal comune e che vada

oltre l ’apparenza.

Spero di aver destato curiosità in queste

poche righe verso una realtà che in fondo ci

appartiene molto più di quanto siamo disposti

a credere e che vivrà finché investirà e

crederà nella cultura dei giovani come

strumento di crescita di una nazione.

Forse solo per questo la domanda sorge

spontanea: non potremmo essere considerati

noi i l Terzo Mondo?

In conclusione abbandonate ogni pregiudizio

se mai vi addentrerete in questa avventura

perché le cose non sono mai come

sembranoQ

Faleminderit dhe shihemi së shpejti

( grazie e a presto)!

Livia Tognaccini

Articolo del novembre 2013

delle impellenze presenti a l ivel lo sociale ben

più gravi.

I futuri progetti da parte di questo piccolo

ospedale senegalese è di ampliare i l reparto

di Pediatria, in maniera tale da rispondere al

reale bisogno dei bambini. L’altro è di poter

garantire un cardiologo presente 7 giorni su

7, ma oltre a questo c’è anche tanto bisogno

del materiale base, come letti , barel le,

dispositivi di protezione individuale,

cardiol ine ed ecocardio. Poi, a seguire,

l ’obiettivo è di inaugurare il reparto di

Ortopedia per ora costretto ad essere ancora

un piccolo ambulatorio. In questi due anni di

strada se n’è fatta tanta, anche grazie ai

piccoli aiuti internazionali che sono arrivati ,

ma altrettanta se ne dovrà fare per

raggiungere ancora i tanti obbiettivi

prefissatiQ

“Ndanka ndanka mooy jaapa golo si nahi”

“Piano piano è l’ unico modo per riuscire a

prendere una scimmia nella selva”

Carlos Di Giovan Paolo

Articolo del settembre 2013

La redazione vuole ricordare in questo numero il prof. Marcello Casini, indimenticabile docente di Anatomia

della nostra Facoltà di Medicina, che con la sua esperienza, il suo amore per gli studenti, la sua ironia, si è

dedicato fino all'ultimo all'Università. Vogliamo ricordarlo con una frase in particolare, presa dagli appunti

del primo anno: ". . .se per qualche motivo vi dovesse saltare in mente di abbandonare medicina, almeno

prima contattatemi, vi lascio la mia mail. . . "

Pag. 9

(da pag. 3)

E nel 1 984, oltre la droga, i l cemento, le armi

e i l control lo del le attività commercial i del la

zona, l ’affare d’oro era la ricostruzione.

I l mattone.

Quindi i l tufo.

Quindi le cave.

Siamo negli anni ’90.

Tutto quello che poteva essere costruito e’

stato costruito.

Per poterlo fare, i clan hanno stretto accordi e

amicizie con i pol itici local i e nazionali , che

hanno sistematicamente favorito le ditte

direttamente riconducibi l i ai clan, per

concedere loro gl i appalti .

Cosi strade, palazzi, piazze, fabbriche furono

ricostruiti o costruiti ex-novo, per la maggior

parte, dal la camorra.

Finito i l boom dell ’affare d’oro della

ricostruzione, restava un’oscena ricchezza

messa in saccoccia, accordi ed amicizie con i

col letti bianchi local i e nazionali e poco altro.

Anzi no.

Qualcos’altro era rimasto.

Le cave.

Le tombe.

Ovunque.

A qualcuno viene in mente un’idea.

“Facciamoci dei soldi con queste cave. . ”

Come?

Beh, innanzitutto non chiamiamole più cave:

chiamiamole tombe.

Era il 1 991 .

Si legge:

“. .a Vil laricca presso un noto ristorante-

albergo si riunirono alcuni soggetti in

rappresentanza di diversi ambienti ; tutti

accomunati da un business comune; i l traffico

e lo smaltimento il lecito di rifiuti tossici. La

letteratura giudiziaria ricorda questa come la

'riunione di Vil laricca' che, unita al l ’affaire

Tamburrino, rappresenta i l cardine storico

della più ampia questione legata al traffico dei

rifiuti provenienti dal Nord I tal ia. Ma chi erano

quelle persone riunite nel noto ristorante di

Vil laricca? Scrive Alessandro Iacuell i nel suo

l ibro-inchiesta 'Le vie infinite dei rifiuti - I l

sistema campano’: ". . .ci sono i camorristi di

Pianura e dell ’area flegrea, tra cui Perrel la.

C’è Ferdinando Cannavale, nel ruolo di

massone amico dei pol itici local i e nazionali .

Ci sono i proprietari del le discariche (Q ). C’è

Gaetano Cerci, i l titolare dell ’azienda

'Ecologia '89', che trasporta e smaltisce rifiuti ,

ma è anche nipote di Francesco Bidognetti ,

braccio destro di Francesco Schiavone

'Sandokan' egemone del clan dei Casalesi,

dopo Bardell ino. Cerci è inoltre i l tramite tra i l

clan dei casalesi e Licio Gell i".

Quella del capo della Loggia Massonica 'P2',

Licio Gell i , era una figura fondamentale nella

questione 'rifiuti '; i l capo dei massoni infatti era

l ’unico in contatto con quegli imprenditori del

nord che avevano un 'problema da risolvere'

per i l quale erano disposti a pagare bene, pur

di sbarazzarsi dei loro carichi di veleni. Ma era

anche quello che aveva le 'chiavi ' giuste per

aprire le porte dei palazzi romani del potere.

"Delle 25 lire che gli industrial i pagavano in

media per l iberarsi di ogni chi lo di rifiuti affidati

al la malavita, 1 5 l ire andavano alla camorra e

1 0 l ire al la politica". Era l ’ inizio degli anni

novanta, nel l ’albergo-ristorante di Vil laricca,

venne stipulato i l patto scellerato per

eccellenza che accomunava, e ancora oggi

unisce, pol itica, camorra, mafia, P2, industrial i

senza scrupoli e apparati di sicurezza deviati .

Una lobby affaristica criminale che negli ultimi

20 anni e più ha sotterrato in Campania

mil ioni di tonnellate di rifiuti industrial i , tossici

e nocivi, compresi quel l i del l 'ACNA di Cengio,

la famigerata azienda produttrice di

componenti per armi chimiche, come l'Agent

Orange, usato dalle truppe americane nella

guerra del Vietnam.”

Era il 1 991 .

Pag. 1 0

Venne cosi deciso come uti l izzare le tombe.

Sarebbero state riempite di veleni, che

avrebbero cosi generato denaro.

Una quantità incalcolabile di denaro.

Da allora un’autostrada perversa collega il

Nord con il Sud.

Un’autostrada trafficata da autotreni datati

stracarichi di veleni, di scarti chimici derivati

da lavorazioni industrial i .

Una strategia di mercato criminale permette

al le aziende del centro-nord I tal ia di poter

gonfiare i l loro fatturato, abbattendo i costi

del lo smaltimento legale, preferendo lo

smaltimento il legale proposto dai clan tramite

scaltri mediatori.

Già, mediatori.

Mercanti di tombe.

Portatori di morte.

Sono passati più di 1 0 anni, oramai, e del la

Campania Felix resta poco o niente.

Essenzialmente solo i l ricordo è quello di

sempre, ma la realtà è tutt’altra.

Lì dove crescevano rigogl iose vegetazioni di

pescheti, meleti , prugneti, ora giacciono,

si lenziose e mastodontiche, le discariche dei

clan, sorte sopra le cave e in terreni comprati

ad hoc per l ’ intombamento dei veleni.

Niente vasche di captazione del percolato,

niente sistemi di raccolta/sfruttamento del bio-

gas, nessun piano di gestione legale dei rifiuti ,

assoluta mancanza di manutenzione, totale

abbandono.

Enormi cimiteri con una sola tomba al loro

interno.

Sono passati anni, oramai, ed ora è tardi

anche per sperare di far sopravvivere la

speranza.

Per la maggior parte di questi terreni non c’è

più storia, non c’è, più futuro.

Ci saranno solo enormi col l ine artificial i

colorate di nero e di erba di colore bianco-

verdastro.

Siamo negli anni 2000,tutto tace.

Oltre i l mattone non resta molto altro.

A qualcuno, ai piani alti , molto alti , viene in

mente un’altra idea.

Un’idea bri l lante!

“facciamoci ancora soldi con la monnezza,

quotiamola come fosse un titolo bancario!”

Come?

Innanzitutto, non chiamiamole più tombe,

chiamiamole giacimenti.

Dove?

Taverna del Re.

Le istituzioni comunali , guidate da quelle

regionali , dirette da quelle nazionali ,

confiscarono ettari su ettari di terreno nella

località che dà il nome alla discarica più

imponente della nazione.

Alcune ditte furono incaricate di procedere alla

costruzione di enormi piazzole di cemento,

che sarebbero state l ’al loggio di 4 mil ioni di

ecoballe.

Sono passati anni da allora.

Le eco-balle sono 8 mil ioni, le piazzole sul le

quali giacciono le mil ioni di ecoballe sono di

qualità scadente, prodotte dai cementifici degl i

stessi clan che hanno riempito la Campania di

veleni, rendendo inuti l izzabil i e fuori legge le

decine di discariche sorte sul le cave di loro

proprietà, causano ripetute crisi dei rifiuti

pi lotate, con le quali si e’ arrivati a costruire

Taverna del Re.

Cosa? Ha dell ’assurdo tutto ciò?

E’ assurdo.

Ma il denaro conta più di ogni altra cosa.

Cosa volete che sia quest’assurdità se c’è da

farci mil iardi di euro?

Le eco-balle sarebbero servite ad alimentare

l ’ inceneritore di Acerra (sorto nella città di

Bassolino. . . ).

Ma dopo tutto questo tempo, sono ancora lì .

Tutto giace eterno e fermo.

Pag. 1 1

Nero e bianco-verdastro.

Silenzioso.

La giacenza di questo ecomostro sul territorio

Campano assicura la futura costruzione di

impianti per i l loro trattamento.

I l trattamento è un processo industriale.

Guadagno.

Soldi.

Molti soldi.

Come trattare queste 8mil ioni di eco-bombe?

Con un inceneritore, che non sia quello di

Acerra.

Dove?

Perché non a Giugl iano?

Dalle dichiarazioni di camorristi pentiti si

legge: ”. .mischiammo i rifiuti tossici

provenienti dal centro-nord I tal ia al tal quale

uti l izzato per confezionare le balle destinate a

Taverna del Re. . ”

Le eco-balle non sono eco, quindi, per legge e

per coscienza, non possono essere bruciate

in alcun modo.

Meglio che stiano lì , inermi e oramai innocue,

dato che il loro contenuto velenoso, i l

percolato, è già scivolato come uno spettro

beffardo nelle viscere della terra sottostante,

negl i anni, dato che le vasche di captazione

dei l iquami di scolo non furono costruite. .

Che stiano lì , è i l male minore!

Anno 201 3.

Sono passati oramai 22 anni da quella

maledetta cena in quel noto ristorante a

Vil laricca.

Lo stato costruirà un inceneritore per le balle

di Taverna del Re.

Dove?

Perché non a Giugl iano?

I comitati , i pol itici emergenti, i pol iticanti del

passato, i fantasmi del presente, lo Stato

assente, le istituzioni corrotte, la cittadinanza

che fa finta di non sapere, chi dice di sapere e

invece non sa nulla, la nazione che non

esiste, le lacrime, i l dolore, i l tumore.

Perché non a Giugl iano?

Scrive uno scrittore tedesco, J.W. Goethe:

”. .sarebbe meglio che me ne andassi. . ”

Addio maledetti .

Addio.

Nappo Saverio

Giugliano 12/11/2013

Pag. 1 2

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La vignetta...

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Pag. 1 3

“Io non faccio parte della mia

storia universitaria. A meno

che la mia storia universitaria

non si riduca a me seduta in

un’aula buia 6-7 ore ad

ascoltare in si lenzio i l

docente di turno che legge le

sl ide. O me seduta alle

scrivanie di casa, curva a

studiare, imbrigl iata nella

logica che mi riduce a un

esame e un voto. Durante gl i

anni del l ’università mi sono

completamente

anestetizzata, ci sono stati

dei momenti in cui sceglievo

di non ascoltare la musica

per non provare emozioni. E’

deprimente! Penso di aver

vissuto una vita studentesca

molto passiva! Pensata così

per me, per noi studenti, da

chi gestisce la formazioneQ ”.

Questo l ibro grida i l proprio

malessere di fronte ad un

sistema, l ’ istituzione medica,

sempre più lontano dai

principi che dovrebbero

ispirare chi indossa un

camice; è uno sfogo, di chi

pensava la propria

formazione come un

processo attivo e di confronto

e invece si è visto tarpare le

al i ; ma è anche la

condivisione di narrazioni,

riflessioni, spunti di un gruppo

di medici al le prime armi

come noi, che vive una

quotidianità simile al la nostra,

al l ’ interno di un Cantiere di

socioanalisi narrativa. I l

gruppo si è aperto anche ad

alcuni operatori impegnati

nel l ’ambito sanitario con altri

ruol i professionali , insegnanti,

educatori, formatori. Ma

soprattutto studenti, approdati

al la Facoltà di Medicina con

un proprio immaginario,

aspettative, ideali ; un’energia

da subito mortificata,

l ’università ha arrestato

questi slanci, ha ucciso ogni

entusiasmo. Le cause di

questa trasformazione sono

una formazione basata

eccessivamente sui l ibri , la

distanza creata dal-

l ’ istituzione medica, la

concorrenza a volte spietata,

le prove di sottomissione, le

piccole e grandi umil iazioni

subite ed accettate per poter

superare gl i esami, storie di

cui non si parla per una sorta

di loro natural izzazione nella

vita universitaria. Anche il

tirocinante, un “osservatore

non strutturato”, al confine tra

medico e studente, vive un

confl itto dissociativo, una

solitudine piena di di lemmi,

adattamenti, si lenzi, che

hanno il risultato di plasmarlo

ad immagine di un sistema

precostituito. Anche nel

rapporto con i pazienti lo

studente è costretto ad

adeguarsi ad un modus

operandi. Esiste un doppio

curriculum: quello esplicito

composto dagli ap-

prendimenti che strutturano il

piano di studi ufficiale ma

anche il sistema di regole

interne, comprese quelle

discipl inanti la comunicazione

medico-paziente e la

Deontologia; e poi c’è un

curriculum nascosto, fatto di

pratiche e regole non

dichiarate, un codice non

scritto, spesso in

contraddizione con il

curriculum esplicito, quel lo

che viene chiamato “didattica

ombra”. Questi ultimi

insegnamenti servono a

trasmettere e far accettare la

netta distinzione dei ruol i e le

gerarchie tra medico e

malato: si viene a creare un

senso di appartenenza, un

Noi del la classe medica, ben

distinto dal piano dei pazienti ,

che vengono così

“inferiorizzati”, perché spesso

“non capiscono nulla”. Un

ordine simbolico viene

trasmesso come ordine

naturale. I l giro visite è un

esempio di questa

contraddizione, si entra nella

stanza del malato in 1 5, si

leggono i parametri, si

imposta la terapia, si

mostrano agli studenti i

reperti cl inici , “guardate che

stupendo caso di artrite

reumatoide”; i l tutto come se

su quel letto non ci sia

nessuno, del resto la

presenza del paziente è

superflua, gl i attori principal i , i

medici, sono tutti presenti. I l

soggetto perde le vesti di

“individuo”, di “persona”, ed

acquisisce la ri levanza

simbolica di un organismo, un

corpo inerte, a cui viene

Angolo libriMedici senza

camice, pazientisenza pigiama

di G. Abbracciavento, C.Alicino, E. Cennamo, V.Forte, C. Gueli , S.Minguzzi, A. Rinaldi, D.Rossi, C. Tumiati , N.Valentino, S. Zecca

Pag. 1 4

associata unicamente la malattia: “quando

scende in sala la colecisti?”, i pazienti sono gli

organi e le malattie di cui sono affetti . Quali

effetti può avere tutto questo sui pazienti? A

cosa porta la spersonalizzazione, la creazione

di un confine relazionale, i l parlare

medichese? I l rapporto medico paziente è una

relazione preformata, già istituita in modo

squil ibrato, in cui i l soggetto che abbia

bisogno di cure viene relegato come figura

passiva e subalterna, viene costruito come

“paziente”. Ma vanno considerati due aspetti :

i l primo, che questo dispositivo relazionale

possa da solo generare un malessere

aggiuntivo, ulteriore, paradossale, con

possibi l i ripercussioni sul la compliance e la

risposta al la terapia; i l secondo, che se da un

lato esiste la competenza del medico sul la

malattia, esiste anche e soprattutto la

competenza dell ’ammalato sul proprio corpo;

la disattenzione verso ciò che la malattia

genera sul l ’ individuo porta al l ’ identificare la

persona con la malattia e così “la diagnosi

assume una veste total izzante e total itaria e la

malattia può ridurre al la sua misura tutta la

percezione che la persona ha di se stessa,

facendola sentire diversa; viviamo quella che

Ivan I l l ich definisce “iatrogenesi culturale”, se

alcuni parametri sono leggermente diversi

dal la presunta normalità, siamo

completamente malati ; e i promotori principal i

di questo sistema sono le case farmaceutiche.

Del resto i l modello di medicina dominante al

giorno d’oggi è quello “biomedico”, che si può

riassumere così: la malattia è diversa dal

malato ed è uguale in ogni malato.

Anche la comunicazione della prognosi

infausta spesso è gestita dal medico in modo

sbrigativo, freddo, con informazioni non

dettagl iate o date in ritardo, si formulano

scadenze di sopravvivenza, percentual i di

risposta, l ’ ”inumano numerico”. Tanto che

sorge la domanda: forse abbiamo paura

anche noi? Forse la risposta inconscia al la

sofferenza dei malati è un’anestesia delle

emozioni, una reazione adattativa che dia

l ’ i l lusione di non provare dolore, che però è in

grado solo di narcotizzare, è solo una terapia

sintomatica. Negli anni del l ’università e

neppure dopo è prevista una formazione

teorica o pratica sul la comunicazione con il

paziente, su come affrontare conversazioni

del icate, su come e quando vadano informati i

malati e i parenti . “Nonostante tutte le

innovazioni, la vita continua ad avere una

mortal ità del 1 00% (. . . ). La morte non è una

malattia, questo approccio ci obbliga come

medici a cambiare modello culturale,

paradigma Q ”

I l Cantiere nella sua spinta propone come

soluzioni ipotesi o modell i provenienti da altre

realtà. Ad esempio i l concetto di “medicina

narrativa”, che immagina una modalità diversa

di cura basata sul la reciprocità fra i soggetti

implicati , ponendo l’accento sul la differenza

tra malattia cl inica e malattia vissuta, che da

una parte aiuti i l paziente ad accettare i l

cambiamento di vita che la malattia genera,

dal l ’altra costituisca per i l medico uno

strumento indispensabile per istituire

un’al leanza terapeutica. E poi c’è l ’azione

sociale di ciascuno, nel la sua quotidianità,

perché anche l’atto medico è il riflesso della

società nella quale si struttura, ognuno di noi

è in grado se lo vuole di non obbedire a

questa visione della realtà e di andare verso

una medicina che abbatta le barriere. Un

conto infatti è parlare al malato, un conto è

parlare con il malatoQ Ma ancora più a

monte, cose’è i l medico e cos’è i l malato?

Pag. 1 5

Qesto numero in via eccezionale è stato redatto dalla

Sede Locale Roma Sant'Andrea del SISM, senza la

quale non sarebbe stato possibi le pubblicarlo. Per

questo un ringraziamento particolare va a loro per i l

preziosissimo contributo nell 'impaginazione e nella

gestione del giornale.

LLaa rreedd aazzii oonn ee

Alessandro D'Andrea

Adelaide Aprovitola

Giul ia Muzi

Hanno collaborato al la stesura di questo numero: Saverio Nappo, Carlos Di Giovan Paolo, Livia

Tognaccini e i l nostro infaticabile vignettista "Mauro"

I l Bugiardino è il giornale degli studenti del Sant'Andrea, perciò date l ibero sfogo alle vostre idee

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Per far parte della redazione, scrivere articol i , ricevere informazioni o manifestare critiche

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