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Distribuzione gratuita - salvo SPED. IN ABB POSTALE - ANNUALE 15 Bimestrale │VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 - N° 49 Speciale VALLE D’AOSTA Il kit dell’escursionista Kanchenzonga - ZEMU EXPLORATORY EXPEDITION: la Spedizione internazionale sull’Himalaya indiano. #FAUNA - Il capriolo, piccolo cervide. Janus C L U B A L P IN O I T A L I A N O Oltre… la montagna Sezione CAI Antrodoco
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Bimestrale │VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 - N° 49

Speciale VALLE D’AOSTA Il kit dell’escursionista

Kanchenzonga - ZEMU EXPLORATORY EXPEDITION: la Spedizione

internazionale sull’Himalaya indiano. #FAUNA - Il capriolo, piccolo cervide.

Janus CLUB ALPINO ITALIANO Oltre… la montagna

Sezione CAI Antrodoco

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2 SOMMARIO

3 EDITORIALE

4 - 5 - 6 COVER STORY Tornando Cantando. Dispaccio dall’Himalaya

7 SPECIALE SETTIMANA VERDE Valle d’Aosta

8 NATURARTE Valle d’Aosta: piccola regione, grande nella

ricchezza naturalistica

9 NATURARTE

Valle d’Aosta …non solo montagne!

10 - 11 L’INVITO DI JANUS

Il programma della Settimana Verde Escursionismo e Alpinismo

12 - 13 MANGIA CHE TI PASSA Piatti tipici valdostani

14 DA SAPERE Valle d’Aosta: informazioni e contatti utili

15

CAI SALUTE

Tutta colpa dei piedi, forse

16 - 17 #FAUNA

Il capriolo, piccolo cervide

18 VETTE DI LIBRI/PROFILO CAI

19 L’AGENDA DEL FINE SETTIMANA

J a n u s Oltre… la montagna luglioagosto2014

Janus è stampato per l’80% su carta riciclata.

CLUBALPINOITALIANO

Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 2

Periodico bimestrale del Club Alpino Italiano Sezione di Antrodoco 2014 - anno VIII - numero 49

Autorizzazione tribunale di Rieti

n. 8 del 10/05/2006

Direttore Responsabile Annalisa Nicoletti

Coordinamento redazionale: Eligio Boccacci

In redazione: Luca Cipolloni, Teresa Marinelli

Assistenti di Direzione: Dante Serani

Hanno collaborato a questo numero:

Cesare De Silvestri, Alberto Peruffo, Luca

Cipolloni, Teresa Marinelli, Anna Boccacci,

Marco Innocenti, Nicola Lattanzio, Dante Serani

Tutti i diritti di proprietà sono riservati

Stampatori: Seripoint srl

Villaggio Cotilia - 02015 Cittaducale

tel. 0746 60.50.42 - 0746 60.53.03

[email protected]

Copiright © 2009.

CAI Sezione di Antrodoco

Fondata nel 1997

Presidente : Roberto Marinelli

Sede sociale Via Savelli, 3 - 02013 Antrodoco (Ri)

Aperto il venerdì dalle 17 alle 18

Per info: Vittorio Blasetti 338.4685369

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É il 21 giugno, sono all’incirca le dieci di sera. L’Auditorium Varrone di Rieti è al completo. Posti liberi a sedere non ce ne sono più. All’ingresso molti accettano di stare in piedi pur di esserci. Enrico Ferri, fotografo ed alpinista reatino tra i protagoni-sti della serata per la sua partecipazione alla spedizione internazionale sull’Himalaya in-diano (a pag. 4 la Cover Story con l’ultimo dispaccio), chiede 10 minuti di silenzio (minuto più, minuto meno) quanto necessario per osservare senza musiche di sottofon-do, parole e distrazioni il suo racconto per immagini di un’esperienza fatta non solo guardando all’insù, in profondità e all’orizzonte, ma anche a testa bassa e ad altezza uo-mo, attenti a dove mettere i piedi e mettendo a fuoco la natura, roccia, terra, legno, in strati e strati di storia, la flora e i suoi colori.

Il tempo passa, le fotografie di Ferri sono penetranti, avvolgenti, taglienti. Risucchiano, abbagliano, colpiscono, parlano. Noi in silenzio, pare senza troppa fatica.

Ora, se è vero che la platea era per lo più composta da alpinisti, escursionisti, amanti della montagna, persone in qualche modo sensibili al tema, vero è anche che sempre di umana specie parliamo (posso assicurarlo!) e come tali, “osservando” quel silenzio, qual-cosa, volendo o meno, almeno a me, l’hanno detto.

Ero lì e quel silenzio non m’è sembrato affatto difficile, piuttosto necessario.

C’era bisogno di quel silenzio e di quella pace, troppo siamo travolti, senza sosta, da confusione, caos, connessione, cose da fare, dire, tutte urgenti, sempre e prioritarie an-che al silenzio. Chi parteciperà alla prossima Settimana Verde (da staccare e portare con sé, lo Speciale da pag. 7) avrà l’occasione più facile di godere nuovamente di minuti di silenzio “contemplando” - non esagero - la natura. Lo sanno molti dei soci CAI che par-tecipano alle escursioni con cadenza settimanale.

A chi resta in città, lavora, non si ferma mai oppure ha il telefono sempre accesso, controlla di continuo la casella di posta elettronica, è sempre sui social, propongo un esercizio che pare banale e semplice, ma non lo è: ogni giorni un minuto in più di silen-zio. Per sé stessi. Isolati da tutto e tutti. Per tornare a respirare, sentire dove è possibile la natura, in ogni caso il battito che abbiamo dentro. L’ideale sarebbe 15 minuti di silen-zio al giorno, mi dicono. Un miracolo? ...mah, non si sa mai!

Annalisa Nicoletti

Direttore Responsabile

CLUBALPINOITALIANO

Editoriale│10 minuti di silenzio

IN COPERTINA

Giochi di luce e di acqua lungo il percorso al Goecha-La. Spedizione internaziona-le Himalaya indiano. Foto di: Enrico Ferri

Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 3

Escursioni di foto. Invia il tuo scatto, noi lo pubblichiamo

@Cesare De Silvestri - Un mare di fiori. Castrelluccio di Norcia. 29 giugno 2014

#FAUNA

da questo numero

una nuova rubrica

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Cover Story│Tornando cantando.

Dispaccio dall’Himalaya indiano di Alberto Peruffo

….Non è necessario “salire montagne”, ma attraversarle, specie se “salire” significa solo “salire in un punto” (il risultato puntua-le), trascurando tutto il resto, l’ambiente, le relazioni con le perso-ne (team, famiglia, gente del posto). A me interessa il risultato perenne, complesso, aperto a più relazioni, visioni, variabili, luo-ghi, dove il risultato puntuale (come la cima di un monte) è pure una lieta possibilità (ma non una necessità)”.

Alberto Peruffo, capo spedizione

Ultimo dispaccio digitale. Spedizione k.2014..it Alberto

Peruffo e compagni dopo 46 giorni in Himalaya

stanno per rientrare dalla spedizione che li ha con-

dotti ad esplorare l’area sud-est del massiccio del

Kanchenzonga. Quello che segue è il dispaccio n.6

scritto da Peruffo il 27 maggio, da Gangtok, al

rientro dalla foresta e dalle Gole del Talung e pub-

blicato su altitudini.it.

Ora che siamo fuori dalla foresta, tutti sani e ancora in

forma, per difficoltà, isolamento, qualità e quantità del-

le montagne e dei ghiacciai attraversati, “credo” di aver

guidato una delle più importanti e affascinanti spedizio-

ni esplorative himalayane degli ultimi anni. Ai piedi di

un 8000. Forse “la più”. Un privilegio. Proprio consi-

derando la foresta, che ha precluso per secoli l’accesso

a questo paradiso nascosto, “the hidden paradise”, co-

me l’ha definito il mio amico esploratore indiano Anin-

dya Muhkerjee durante la perlustrazione del 2011.

Ho guidato un team eccezionale: a partire da Anindya

Mukherjee e Thendup Sherpa, che ci hanno aperto

la strada nelle impenetrabili vegetazioni delle Gole del

Talung. Per non parlare degli italiani - sempre positivi

di fronte alla grande complessità e ai disagi del partico-

lare microclima - e del grande cuore sudamericano di

Cesar Rosales Chinchay.

La Cresta Zemu al Kanchenzonga Sud? La vetta più

alta al mondo ancora da scalare? In zona sacra? Dopo

mille peripezie burocratiche-logistiche, atti di fiducia,

siamo stati la prima spedizione ad ottenere l’onore-

onere dal governo indiano per esplorarne l’accessibilità

dal versante più difficile da raggiungere e non ci siamo

mai tirati indietro nonostante le legittime perplessità dei

molti amici italiani e le continue complicazioni. La Cre-

sta Zemu è stata il nostro polo attrattore e la nostra

“divinità” guida. Ispiratrice. Con i due grandi e miste-

riosi ghiacciai sospesi che conducono sul lato meno

conosciuto del Kanchenzonga.

Lo Sperone Sud allo Zemu? La prima possibilità presa

in considerazione? Un probabile suicidio. Non solo per

gli alti seracchi presenti pure nel punto più debole, ma

anche per la troppa neve che ha continuato a cadere

ciclicamente ogni giorno. Dal Colle Sella (5440 m), rag-

giunto in prima assoluta dopo aver travalicato

l’affascinante e valangoso Colle Tilman (una slavina

poco prima del nostro rientro ha cancellato le nostre

tracce), tutto ci è apparso chiaro, filmando valanghe

impressionanti e raccogliendo la notte fragori di crolli

terrificanti. Lo Zemu Gap, porta d’accesso diretto alla

Cresta Zemu (ramo di sinistra) è diventato invece una

roulette russa. Il seracco superiore si è inclinato rispetto

alla perlustrazione del 2011 di Anindya Mukherjee:

l’ampiezza della fessura rilevata durante la nostra ascen-

sione sembra indicare un imminente crollo. La pesante

neve caduta, inoltre, causa ripetutamente valanghe sul

primo plateau di attacco. Di neve e di ghiaccio. Ci sia-

mo allora alzati – dopo l’esplorazione di tutto il Ton-

ghsiong Glacier – sul South Simvo Glacier, l’altro gran-

de ghiacciaio sospeso e nascosto da chi percorre le orri-

de Gole del Talung. Era la prima volta che degli uomini

entravano in questo paradiso di ghiaccio, “sospeso”.

Dalla Porta della Rivelazione Perenne (6036 m, altro

intaglio di difficile accesso mai toccato da piede umano

e dedicato a un concetto per noi importante di Fosco

Maraini) abbiamo gettato uno sguardo sopra lo Zemu

Gap scoprendo un passaggio di cui si intuiva la presen-

za, una chiave invisibile da altri punti di vista: un filo di

cresta che porta in alto rispetto a quanto detto sopra, il

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Rispettando Guru Rimpoche. E avvalorando ogni silla-

ba del grande Milarepa: attraversare montagne selvagge

– senza mete precise, necessarie (aggiungo io) – è una

via alla liberazione. Il quinto tesoro del Kanchenzonga.

Primi approfondimenti e risultati

1. Il fatto più curioso. Abbiamo girato in lungo e in largo 3

ghiacciai himalayani, esplorato integralmente in prima assolu-

ta 2 grandi ghiacciai pensili (e i rami minori), fatto decine di

migliaia di metri di dislivello e di chilometri lineari (il CBO è

stato mantenuto basso, in un punto cruciale a 3700 metri, per

strategia), scalato 7 cime vergini (2 molto difficili) e travalica-

to-raggiunto 7 colli (porte, intagli, passaggi tra ghiacciai), 3

dei quali mai toccati da piede umano. Il punto più alto

dell’esplorazione? Non è una cima, bensì un colle alto 6036

metri difeso da una muraglia di ghiaccio di 1000 metri che

credo difficilmente sarà raggiunto da altre persone: la Porta

della Rivelazione Perenne.

2. Una constatazione. Da quella vertiginosa porta-colle:

queste montagne racchiuse tra i ghiacciai Tonghsiong e South

Simvo, la loro grandezza, le loro creste, le continue avverse

condizioni meteo generate dalla foresta, la loro selvaggia e

dura bellezza, non è un luogo per uomini, ma per dei. E se

qualche uomo ci entra, deve essere molto prudente e rispet-

toso di ciò che queste montagne suggeriscono: non è un po-

sto per affermare la forza cieca dell’uomo, bensì per valoriz-

zarne la prudenza e l’ascolto.

3. Team. Solo un team eccezionale poteva resistere a un

isolamento del genere. Il durissimo e pericoloso ritorno attra-

verso la foresta (rivegetata dopo 40 giorni e nel massimo

rigoglio della stagione, densa, umida, saponosa-scivolosa per

chilometri e chilometri di equilibri instabili e infiniti saliscen-

di) è stato una conferma del carattere eccezionale dei compa-

gni e di dove ci eravamo cacciati. In una regione senza possi-

bilità di soccorso e aiuto. Senza comunicazioni satellitari,

condizione impostaci dal governo. Anche una storta a una

caviglia poteva creare un dramma per uscire dall’intrico di

vegetazione. Solo le tue gambe sane potevano portarti fuori e

una grande condizione psicologica.

Nella pagina a fianco: Mappa finale della esplorazione con i luoghi raggiunti. Sopra: Enrico, Alberto e Francesco. Campo Simvo. Discutono le

strategie di salita (foto Davide Ferro) Sotto: Il gruppo al Campo Base Operativo. Ultima foto prima del rientro della spedizione.

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Con un team del genere – la cordata di punta, le guide alpine

Francesco Canale (Centro Addestramento Alpino Sezione

Militare Alta Montagna) e Cesar Rosales (Guide Don Bosco

6000), davvero formidabile con salite in velocità e di alto

livello – se lo Zemu fosse stato possibile da sud, l’avremmo

raggiunto. Ma sono le montagne a decidere il nostro destino

e tutta la nostra forza (la compattezza-resistenza del team:

encomiabili Davide Ferro e Andrea Tonin, mai nelle retro-

vie, nonché la perseveranza professionale, per non dire stu-

pefacente energia del fotografo Enrico Ferri, specie nelle

condizioni estreme della foresta) l’abbiamo riversata sui due

grandi ghiacciai sospesi che si generano dalla Cresta Zemu,

per poterla meglio studiare, con salite di cime vergini e di

colli tecnicamente più difficili, ma con pericoli oggettivi più

contenuti, facendo per qualità e quantità forse una delle più

grandi esplorazioni himalayane ancora oggi possibile ai piedi

di un 8000. E soprattutto ribaltando una stupida e perniciosa

ideologia (ricordo l’ingenua pubblicazione “Etica

dell’alpinismo”, SDPX, Manuali del CAI) che afferma:

l’alpinismo è raggiungere la cima di un monte. L’alpinismo è

molto di più. E le sue visioni vanno oltre il risultato puntuale.

Apicale. I nostri colli lo dimostrano. Ricordando che gli o-

biettivi ambiziosi hanno bisogno di lunghi corteggiamenti.

4. Il molto di più. I cinque tesori. Tra il molto di più ci

sono i “cinque tesori”: la cultura. La cultura depositata nei

luoghi e nelle persone. La cultura delle civiltà che ti ospitano

e dei componenti una squadra e che tutta insieme può fare

diventare l’alpinismo uno straordinario laboratorio di civiltà e

fratellanza. Se negli altri dispacci avevamo indicato i due pri-

mi tesori come “la natura senza l’uomo” e la “rispettosa ol-

tranza dell’uomo”, e in questo inizio di dispaccio il 5° come

l’aforisma di Milarepa – “attraversare montagne selvagge è

una via alla liberazione” – quali saranno il 3° e il 4° tesoro,

strettamente connessi con gli altri, che Guru Rimpoche ha

sepolto in qualche luogo segreto del Kanchenzonga che forse

neppure corrisponde al la cima del monte?

Gli ultimi giorni siamo andati tutti in pellegrinaggio al tem-

pio-eremo di Yongiotang, per poi raggiungere pure il Goe-

cha-La. Una specie di lunga escursione di ringraziamento,

stupore e meraviglia. Un atto di spirito. Collettivo. Incredibi-

le, a pensarci bene, per una spedizione dopo 40 giorni di fati-

che. Nessuno di noi sapeva con certezza che proprio a mez-

zavia del ghiacciaio del Talung, sotto la Porta Maraini (che

collega in perfetta linea retta! il Goecha-La con lo Zemu Gap,

l’Occidente con l’Oriente), fossero presenti i resti dell’eremo-

rifugio del grande profeta tibetano Guru Rimpoche. Ai piedi

del Pandim. Montagna bellissima e ora capiamo perché sacra.

Sembra che il grande profeta abbia scelto questo luogo inac-

cessibile, questo lato imperscrutabile della montagna, del

Kanchenzonga, per meditare e per formulare i suoi pensieri.

Questi altri due tesori io ho trovato avvicinandomi cammi-

nando lentamente verso questi luoghi. Il 3° la “sacralità con-

creta”, la percezione concreta del mistero che l’uomo nutre

nei confronti della natura, della grandezza e

dell’incommensurabilità delle cose, del creato, dell’altro da

noi. La percezione concreta del nostro limite nei confronti di

tale bellezza che può diventare all’improvviso brutale poten-

za, che in un solo attimo fagocita e annulla la nostra esisten-

za. In altre parole, il “sacro” è vivere concretamente sul limite

e il concetto stesso di religione – ossia il mettersi di fronte

all’assoluto, a ciò che ti scioglie, sia esso Dio o l’abisso – va

riformulato. La montagna può aiutare a farlo. Il 4° tesoro

vorrei invece configurarlo con i termini del maestro guida di

questa esplorazione: Fosco Maraini. Il tesoro della

“rivelazione perenne”, o dell’oralità perenne delle persone e

delle cose. Perenne e non puntuale, sottolineo. Non mi sof-

fermo sull’aspetto religioso del concetto di Maraini. Leggetevi

Dren-Giong e le testimonianze degli amici, Corbaccio editore

2013. Ma in questa spedizione le persone e le cose, le monta-

gne, hanno dimostrato di non essere dei semplici punti. Dei

risultati puntuali. Ma delle complesse relazioni organiche che

possono durare nello spazio e nel tempo molto di più di un

risultato puntuale. Come può essere la semplice cima di un

monte. O il tocca e fuggi delle relazioni superficiali con le

persone. Quante cose ci siamo raccontati tra noi oralmente

attraversando montagne, ho detto ai miei compagni mentre

scrivevo questo dispaccio. Cambiando i termini, non è neces-

sario “salire montagne”, ma attraversarle, specie se “salire”

significa solo “salire in un punto” (il risultato puntuale), tra-

scurando tutto il resto, l’ambiente, le relazioni con le persone

(team, famiglia, gente del posto). A me interessa il risultato

perenne, complesso, aperto a più relazioni, visioni, variabili,

luoghi, dove il risultato puntuale (come la cima di un monte)

è pure una lieta possibilità (ma non una necessità).

5. Inaccessibilità. Che me ne faccio di un risultato puntuale,

il salire la normale di un monte guardandomi i piedi, o di una

performance nuda e cruda, se non porta con sé a nuove vi-

sioni? Niente. Se non un autocompiacimento che dura

l’effimero attimo di un punto. Noi abbiamo avuto il coraggio

di partire per esplorare la parte inaccessibile del Kanchenzon-

ga quando tutti ci dicevano di restare a casa, con la speranza

di avvicinarci ai Cinque Tesori indicati da Guru Rimpoche

durante le sue meditazioni (in chiave orientale) o di “fare

alpinismo come l’abbiamo sempre fatto”, caricandoci di bel-

lezza e libertà (in chiave occidentale, come credo approvereb-

be Fosco Maraini). Speriamo di esserci riusciti e la condivi-

sione sarà la prima corrispondenza con i nostri interlocutori.

6. Conclusione. Noi ci siamo divertiti (di-vergere) tantissi-

mo attraversando-scalando montagne e ghiacciai meravigliosi

mai toccati da occhio umano e tessendo forti relazioni cultu-

rali con persone e luoghi. 50 giorni intensissimi (oggi erava-

mo al Namgyal Institute of Tibetology di Gangtok dove ci

aspettava la grande antropologa Anna Balikci per uno scam-

bio di materiale su Vittorio Sella e Fosco Maraini e un primo

resoconto della spedizione). E stiamo “tornando cantando”.

Compatti. Rispettando alla lettera il consiglio di Giacomo

Albiero, mio maestro d’alpinismo. Quante altre spedizioni

possono dire così?

Molto ancora su: www.k2014.it

Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 6

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Stacca e porta con te! 23 - 30 agosto 2014

Speciale Valle d’Aosta

PROGRAMMA Info e contatti

Tra natura e arte I piatti tipici

I libri

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NaturArte│Valle D’Aosta:

piccola regione, grande nella sua ricchezza naturale di Luca Cipolloni

La Valle d’Aosta, incastonata nella corona alpina, è la regione più piccola d’Italia dalla incredibile ricchezza paesaggistica e naturalistica, aiutata forse dal fatto che sia la regione meno densamente abitata, visto che più della metà del suo territorio è compreso tra 1.500 e 2.700 metri di quota. Vanta parecchi primati come quel-lo di essere considerata il tetto d’Europa dato che ospita le più alte montagne delle Alpi, con ben venti vette che superano i quattro mila metri; circa un quarto di tutti i ghiacciai italiani si trova proprio in Valle d’Aosta occu-pando il 6% del territorio regionale; è la regione euro-pea con la maggior concentrazione di aree protette tra riserve naturali e parchi nazionali preservando un gran numero di specie vegetali ed animali. Territorio ricco dal punto di vista ambientale tra valli, alpeggi ed alte montagne che i Valdostani sono soliti dividere la regione in due zone: la pianura la “plaine” e la montagna la “montagne”. La pianura corrisponde alla valle principale della Dora Baltea, unico fiume della regione, dove si trova la città di Aosta, il capoluogo, punto, che in epoca antica, consentiva il controllo della strada romana che portava in Francia attraverso i due passi del Piccolo San Bernardo, che la collega alla regio-ne francese della Savoia, e il Gran San Bernardo a circa 2.000 metri che la mette in comunicazione con il Valle-se, celebre per il passaggio della via Francigena che col-lega il Nord Europa a Roma, ma fin dalla preistoria passaggio di popoli. La restante parte di territorio defi-nito “montagne” comprende tutte le vallate laterali do-ve vi sono i principali centri turisti invernali ed estivi, come Courmayeur, Cogne, Valtournenche. Tra le alte vette simbolo di vertigine e salita verso il sublime, ispirazione e metafore di infinito per gli artisti dell’Ottocento, campo d’azione per i giovani europei che qui hanno scritto gloriose pagine dell’alpinismo mondiale tra vittorie e disastrosi insuccessi si ricordano: il Monte Bianco (4.810 m), il Monte Rosa (4.634 m.), il Monte Cervino (4. 478 m.) e il Monte del Gran Paradi-so (4. 061 m.), eleganti con i loro manti ghiacciai peren-ni che le avvolgono in un bianco abbraccio. Ghiacciai perenni; se ne contano circa 210, ma dalle irregolari pulsazioni, tra continui ritiri ed espansioni, messi a ri-schio dal riscaldamento globale. Si segnala per incredi-bile fascino il ghiacciaio del Miage, il maggiore del ver-sante sud del Monte Bianco, il quale si sviluppa per 10

Km; è il più lungo d'Italia. Autentico ghiacciaio vallivo, è alimentato da 6 lingue glaciali tributarie. Piccola curiosità, perché nonostante tutti questi monti, il gran numero di ghiacciai, Aosta è una delle città meno piovose d’Italia proprio per la sua posizione, protetta dai rilievi montuosi che ne bloccano le perturbazioni provenienti da ovest e la stessa cosa accade per le cor-renti umide provenienti dalla Pianura Padana. Regione che per la varietà di specie animali, vegetali e floreali crea un unicum nel suo genere conservata da un gran numero di riserve e parchi. Il Parco Nazionale del Gran Paradiso si estende nei comuni di Cogne, Valsava-renche e Rhêmes, per 70.000 ettari, tra i tanti sintetizza di più le caratteristiche del paesaggio valdostano. Stori-camente è stato il primo parco nazionale italiano, e par-te della zona fu già riserva reale di caccia del re Vittorio Emanuele II fin dal 1859. Ai tempi delimitare una riser-va equivaleva in un certo senso a proteggere la fauna, si pensi soprattutto allo stambecco, la cui immagine è di-ventata il simbolo del parco. Si narra infatti che il re esercitasse la sua arte venatoria soltanto nel mese di agosto, e che la gran parte delle battute fossero “truccate” per farlo divertire, risparmiando gli esemplari femmine e i cuccioli, rendendo possibile una protezione sistematica della specie. Nel 1920 l’erede di Vittorio Emanuele II concesse in dono allo Stato la riserva, che allora si estendeva per circa 2.100 ettari, e il parco vero e proprio venne istituito nel 1922. Senza dimenticare che tutto il Monte Bianco è inserito nell’Espace-Mont Blanc, area protetta internazionale che si estende sulla Valle d’Aosta, Savoia e Vallese. L’obiettivo principe dell’Espace- Mont Blanc è quello della tutela del territo-rio e della promozione di uno sviluppo sostenibile. Il massiccio appoggiato dalle tre regioni, Italia, Francia e Svizzera, è stato inserito tra i siti patrimonio mondiale dell’umanità, tutelato dall’Unesco, in quanto “sito ecce-zionale ed unico al mondo, luogo di nascita dell’alpinismo”. Lasciatevi trasportare dai colori e intensi profumi della Valle d’Aosta, accompagnati dal fischiettare della mar-motta, dall’alto volo dell’aquila reale che qui nidifica su vertiginose rocce e tenete gli occhi aperti perché nei prati, lungo i dirupi più difficili da raggiungere camosci e stambecchi regali nella loro leggera andatura, pascola-no indisturbati e nella stagioni estiva è semplice avvi-starli. Buona avventura.

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Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino...allora

Pont Saint Martin, porta d’ingresso in Valle d’Aosta,

costituisce la carta d’identità dell’intera regione...un

connubio di splendide montagne, resti di epoca roma-

na e numerosi castelli medievali. Percorrendo, infatti,

da sud l’antica strada consolare delle Gallie, è proprio

un ponte romano a dare l’accesso al suggestivo paesi-

no...ma rivolgendo al cielo lo sguardo rapito dalla bel-

lezza delle montagne, ecco apparire anche i resti di un

castello feudale appartenente ai signori di Bard, poten-

te e feroce famiglia valdostana. Le due epoche si in-

trecciano in una leggenda popolare che lega in qualche

modo il ponte romano al vescovo di Tours. Si narra,

infatti, che San Martino, di ritorno da Roma, restò

bloccato a causa di una piena del fiume Lys. Il diavolo

propose di costruire in una sola notte un ponte in cam-

bio dell’anima di colui che per primo lo avesse attraver-

sato. Il santo accettò, ma al mattino gettò un pezzo di

pane dall’altra parte del ponte ed un ignaro cagnolino

lo attraversò per guadagnarsi la ricompensa. Il diavolo,

infuriato per l’inganno, scomparve nel fiume, lasciando

così il ponte ai paesani. Questa leggenda è ancora viva

tanto da costituire il tema principale del Carnevale di

Pont Saint Martin, che si conclude proprio con il rogo

del diavolo sotto l’arcata del ponte.

Proseguendo lungo l’antica consolare, ci si imbatte in-

vece nell’imponente e strategico Forte di Bard, edifica-

to all’imbocco della valle su un’altura che sovrasta la

stretta gola della Dora Baltea. Costruito nel 1034 là

dove già i Romani avevano posto la loro difesa a prote-

zione dei confini dell’Impero, passò definitivamente

nelle mani dei Conti di Savoia nel 1242 . L’avamposto

è noto per la sua fama di “inespugnabilem oppidum”,

in particolare per aver bloccato l’avanzata dell’esercito

napoleonico nel 1800. L’efficace resistenza suscitò,

però, tanta sorpresa ed indignazione tra i Francesi che

Napoleone lo fece radere al suolo per vendicare

l’offesa subita. Il Forte fu poi ricostruito nel 1838 ed

oggi si staglia sulla montagna in tutta la sua imponenza.

Più di cento sono castelli, masti e manieri disseminati

sul territorio a testimoniare l’importanza della vallata,

via di comunicazione per mercanti, soldati e pellegrini

che dall’Europa centro-occidentale si spostavano per

raggiungere Roma.

Tra tutti si distingue il castello di Fénis, uno dei pochi

non costruito per scopi bellici, ma come residenza si-

gnorile; era, infatti, la sede di rappresentanza della fa-

miglia Challant, che la abbellirono con eleganti pitture,

simbolo di potenza e prestigio.

Nel punto in cui la valle si allarga e la Dora Baltea rice-

ve le acque del torrente Buthier, abbracciata da possen-

ti montagne si erge Aosta, che offre ai turisti i resti di

ogni epoca storica. Strappata nel 25 a.C. dai Romani ai

Salassi, antica popolazione gallo-celtica, porta il nome

dell’accampamento romano “augustae praetoria”, del

quale ricalca la planimetria. Ben visibile è ancora la cin-

ta muraria, ma ciò che sorprende maggiormente è

l’integrità della Porta Praetoria, l’accesso principale

all’antica città, e dell’arco di Augusto. A sancire la con-

tinuità storica sono i segni sovrapposti delle diverse

epoche. In età medievale alla Porta Pretoria fu addos-

sata una cappella della SS.Trinità…così come sull’arco

furono collocati prima un’immagine del Salvatore so-

stituita in seguito da un Crocifisso.

“…la vecchia Aosta di cesaree mura

ammantellata, che nel varco alpino

èleva sopra i barbari manieri

l’arco di Augusto…” (Carducci)

...non solo montagne! di Teresa Marinelli

Piazza del Popolo

02013 Antrodoco (RI) - Tel. 0746-580023

Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 9

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Il programma | Valle d’Aosta

23 - 30 AGOSTO 2014

l’invito di Janus

ES

C URS IONIS MO

CAI

Programma Escursionistico località /partenza itinerario PROGRAMMA A diff dsl tempi

MO

NTE B

IAN

CO

Val Ferret Arnovaz 1769m

Rifugio ELENA, 2060m (s.24/25) Colle du GRAN FERRET, 2537m (s.25)

TETE DE FERRET, 2719m TEE

291m 791m 964m

1:45/1:00 4:00/2:30 4:40/3:00

Val Veny Cantina VISAILLE

Rifugio ELISABETTA, 2195m (s. 13) COL DES PIRAMIDES (13/12)

o PIRAMIDI CALCAREE (anello)

T/E E EE

500m 958m 500m

2:00/1:20 3:30/2:00

2:15/03:30

Al rientro visita ai Laghi di Combal e Miage

(fermata al bar Combal)

Courmayeur La PALUD, 1370m

Rifugio PAVILLON, 2174m (s.20) Visita orto botanico

Possibilità di rientro in funivia T/E 804m 2:30/01:40

GR

AN

PA

RA

DISO

Valsavarnenche PONT, 1960m

primo giorno Rifugio Vittorio Emanule II 2800m s.1

T/E 770m 2:15/1:20

Val di RHEMS Alpeggi di THUNEL

1868m

Rifugio BENEVOLO 2285m (s.13) LAGO S.ELENA, 2675m (s.13c) o LAGO di GOLETTA (s. 13d) (cartelli in legno e bolli gialli)

T/E E/EE E

417m 807m 832m

1:30/1:10 3:00/2:00 4:00/2:30

CER

VIN

O

Valturnanche Val MARTIN/MONTAZ

1495m

Rifugio BARMAS, 2175m Interessante il passaggio sulla diga

con visita alla cappella Cigliana T/E 712m 2:15/1:30

Valturnanche CERVINIA, 2010m

Rif. DUCA DEGLI ABRUZZI

a L'ORONDE CROCE CARREL

T E/EE

720m 838m

2:40/1:30 3:00/1:45

M. EM

ILIUS

Aosta PILA, 1850m (in funivia da Aosta)

ALPE di CHAMOLE', 2154m LAGO di CHAMOLE', 2325m (s.19a)

Rif. ARBOLLE, 2507m (19a - 22a) TEE

205m 680m 863m

0:45/0:25 1:45/1:15 3:00/2:00

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Programma Alpinistico

In programma alcune escursioni di diverse difficoltà, dalle turistiche alle alpinistiche che si possono fare nella setti-

mana verde in Valle d'Aosta. Prima della partenza saranno scelte da questo elenco alcune escursioni da abbinare ai sei giorni di permanenza ad Aosta. I partecipanti sotto la propria responsabilità sono comunque liberi di organizzarsi diversamente dal programma proposto. I tempi e i dislivelli salvo diversa indicazione sono da ritenersi sempre riferiti alla partenza.

Programma Escursionistico

localita/partenza itinerario PROGRAMMA B diff. dsl tempi a/r ferr.

MO

NTE B

IAN

CO

Val Ferret ARNOUVAZ 1769m

Rif.DALMAZZI, 2569m (sentiero 23, ometti/bolli gialli)

EEA PD

820m 2:30/1:30 200m

Val Veny Cantina VISAILLE

Rif. MONZINO, 2590m ( s.16) Partenza 1Km prima di VISAILLE, direzione Casal di Freney, segnavia n°7

EEA PD

1000m 2:30/1:45 180m

Val Veny Cantina VISAILLE

Rif. BORELLI, 2310m ( s.19) Partenza 4Km prima di VISAILLE,

PORTUD, 1489m

EEA PD +

821m 2:30/1:30 180m

Courmayeur La PALUD, 1370m

MONT DE LA BRENVA, 2300m ( s.20A) - Belvedere, palestra di roccia

EEA PD +

260m 1:30/1:20

GR

AN

PA

RA

DISO

Valsavarnenche PONT, 1960m

secondo giorno GRAN PARADISO, 4064m

EEA F

1330m 4:15/2:30

Valsavarnenche PONT, 1960m

Punta TRESENTA, 3609m EEA F +

874m 2:45/1:50

Val di RHEMS Rhems di NOTRE DOME,

1723m

Colle ENTRELOR, 3002m (segnaletica gialla - 10 - alta via n°2) NB: l'ultimo tratto potrebbe essere

ancora innevato, utili piccozza e ramponi

EE 1270m 3:30/1:50

Valgrisenghe 1700m BECCA D'AOUILLE, 2605m "ferratabethaz-

Bovard" Possibilità di rientro a quota 1900m/2100m - sentiero 17

PD/D

4:00/2:30 805m

CER

VIN

O

Valturnanche CREPIN/ CRET DU PONT

" Ferrata GORBEILLON" (s.6 - controllo indicatori)

EEA AD/D

02:00 200m

Valturnanche CHEMEIL- A.la BARMAZ,

1841m

GRAN TOURNALIN,3379m Alta via 1, segnavia giallo 24,

ritorno per lo stesso itinerario fino a q.28oom, poi sentiero 23;

EEA 1470m 4:45/03:00

Valturnanche BREIL/CERVINIA -Località AVUIL Rif. Carrel,1957m

SPERONE VOFREDE, 3131m (s. 10 - s. 9; alta via 1)

EEA/AD

1300 4:20/3:00 200m

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Mangia che ti passa│Piatti tipici valdostani di Anna Boccacci

Piatti molto poveri, ricette contadine tramandate nel tempo. La tradizione culinaria della Valle d'Aosta si distacca fortemente dalla tradizione delle altre cucine regionali italiane, mostrando invece grandi affinità con le regioni transalpine limitrofe: la Savoia, l'Alta Savoia e il Vallese. Si evidenzia l'assenza del frumento, che ha portato al pane di segale. I prodotti locali sono essen-zialmente cereali di montagna, prodotti caseari bovini e caprini, carni e derivati di bovini, suini e di camoscio; scarseggia l'olio, sostituito da burro ed altri grassi sia di origine vegetale che animale. Gli ingredienti principali sono rappresentati da rape, porri, cipolla, patate, casta-gne, mele e pere. La presenza del riso è localizzata nella zona dell'alta val di Cogne e si deve all'origine piemon-tese degli abitanti. Tra i piatti tipici, spicca la zuppa Valdostana a base di brodo di carne, con cavoli e fon-tina, insaporita con fettine di pane. Tra le zuppe tipiche troviamo anche la zuppa alla valpellinense, a base di pane bianco raffermo e fontina. I primi piatti sono sem-pre accompagnati dall’immancabile polenta, general-mente cucinata al forno e insaporita con sughi di lepre o di cinghiale o condita con il burro. Anche la fonduta di formaggi è un altro piatto tipico valdostano, a base principalmente di fontina. Questo formaggio, ricavato dal latte delle mucche risalirebbe, secondo la tradizione, al 1270. La fontina viene prodotta in inverno e in estate, in questo caso il colore del formaggio è più intenso, a causa dal maggiore betacarotene assimilato dalle muc-che al pascolo. Tra i secondi piatti, invece, spicca la carbonade a base di carne rosolata al vino rosso, cuci-nato con panna, ginepro, pepe nero e timo. Tra i dolci della cucina Valdostana troviamo il classico mont blanc con castagne, cacao e panna montata e le caratte-ristiche tegole d’Aosta, biscotti di mandorle e nocciole che vengono cotte su ripiani curvi, in modo da dare loro la tipica forma delle tegole dei tetti delle case.

Caffè alla valdostana - Coppa dell’amicizia

La Coppa dell'Amicizia è una delle bevande più straordinarie della Vallée, da bersi in allegra compagnia, al termine di una giornata fredda, magari sulla neve.

La Coppa dell'Amicizia è il simbolo del calore con cui il turista viene accolto in Valle d'Aosta. Come altri og-getti dell'artigianato locale, la "Coupe de l'Amitié" è passata alla storia nella sua forma originale: bassa, larga e munita dei caratteristici beccucci che servono per bere "à la ronde". Passando di mano in mano, la "Coupe" dispensa a ciascuno la propria razione di caffè alla Valdostana, con un ampio margine per ripetere il giro più e più volte. Difficilmente si beve sempre dallo stesso beccuccio, e questo conferisce al rito quel tocco di promiscuità che crea aggregazione e coinvolgimento. Che crea amicizia, appunto. La Coppa dell'Amicizia non va confusa con la Grolla, oggetto dalla forma più allungata e di ben diverse origini. Un'antichissima leg-genda valdostana vuole che la Grolla provenga niente-meno che dal mitico Santo Graal.

Ingredienti:

4 tazzine di caffè caldo 2 tazzine di grappa 1 tazzina di Ginepy 4 cucchiai di zucchero 1 arancia o 1 limone Preparazione:

Mettere i liquori, lo zucchero, la scorza dell'arancia e un po’ di succo d’arancia a scaldare in un pentolino, finché lo zucchero non sarà sciolto. Intanto passate un po' di succo di arancia intorno al foro del coperchio, quindi cospargete di zucchero.

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Marinelli Roberto Via Marmorale, 73 (Salaria) Antrodoco Tel.Fax: 0746.578079 E-mail: [email protected]

“Roberticola”“Roberticola”“Roberticola”

Tabaccheria Tabaccheria Tabaccheria --- EdicolaEdicolaEdicola

Lotto Lotto Lotto ---CartoleriaCartoleriaCartoleria

TORCE

COLTELLI SPORTIVI

ARTICOLIO PER LA PESCA

Versate poi nella coppa i liquori e il caffé e accendete il fuoco all'interno. Dopo un minuto mettete il coper-chio sulla coppa, cosicché si spenga il fuoco. Inco-minciate il rito!!!

La Fonduta

Ingredienti per 4 persone:

400 gr. di fontina 4 uova 70 gr. di burro 1/2 lt di latte Pane casareccio q.b. Sale e pepe q.b. Preparazione:

Eliminate la crosta dalla fontina, tagliatela a fettine sottili, raccoglietele in una terrina, versatevi il latte indi-cato (o anche di più perché il liquido deve ricoprire il formaggio) e fate riposare per un’ora. Senza sgoccio-larla troppo ritirate la fontina dal latte e mettetela in una casseruola a fondo spesso. Unite il burro freddo a pezzetti. Ponete il recipiente a bagnomaria e, sempre mescolando, lasciate fondere il formaggio. Dapprima si forma una massa compatta che poi si scioglierà lenta-mente. Quando il composto ha raggiunto una consi-stenza cremosa incorporatevi un tuorlo alla volta me-scolando velocemente, quindi lasciatelo ancora a ba-gnomaria per 2-3 minuti in modo che il composto ac-quisti il suo tipico aspetto vellutato (a questo punto decidete se, per una più giusta consistenza, è il caso di aggiungere un po’ del latte dell’ammollo). Controllate il sale e insaporite con un solo pizzico di pepe. Versate la fonduta nelle ciotole tenute in caldo, e servitela con fette di pane nero tostate a parte. conservate calde . Per gustarla ancora meglio posate il tegame in tavola su un fornelletto a spirito per mantenerla calda.

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Oltre alle escursioni come da programma allegato sarà organizzata una gita turistica in pullman, possibili mete sono da scegliere in loco tra Ginevra, e/o il classico tour dei Castelli. Un giorno sarà lasciato libero.

I partecipanti possono organizzare per proprio conto e sotto la propria responsabilità qualsiasi attività che riten-gono opportuna, sempre comunque fuori programma.

Equipaggiamento: scarponi, giacca a vento, cappello e guanti pesanti, ed adeguata preparazione fisica, per chi è interessato ad organizzarsi per effettuare escursioni alpi-nistiche e/o ferrate. Per le ferrate è necessario il kit com-pleto: ghette, piccozza e ramponi.

Sistemazione ad AOSTA (23 - 30 agosto 2014)

Hotel Turin (3 stelle)

Via Torino 14 - 11100 Aosta (AO) Italia

Tel. (+39) 0165/44593-41893 Fax. (+39) 0165/361377 Mail: [email protected]

Trattamento di mezza pensione in camera doppia, con riduzione famiglie per 3° e 4° letto. Viaggio in pullman gran turismo, salvo adesioni compatibili.

Per ulteriori info contattare: Lorenzo CIANCA

tel 329/4113515 [email protected]

NUMERI DI EMERGENZA UTILI

SOCCORSO ALPINO PROTEZIONE CIVILE Sede uffici Loc. Aeroport, 7/A – Saint Cristophe (AO)

PROTEZIONE CIVILE

tel 800 319319 (numero valido sul territorio nazionale)

SOCCORSO ALPINO VALDOSTANO

tel 800 800319 (numero valida sul territorio nazionale)

GUARDIA MEDICA U.S.L Tel. 118 – sevizio notturno 20.00 -08.00

Festivi 24 ore su 24

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Via Torino 20 - 11100 Aosta tel 0165 262124 di Marilena di Michele

Corso Roma, 13 - Antrodoco (RI)

Valle d’Aosta│Da sapere

Informazioni e contatti utili

In copertina Speciale Valle d’Aosta: Monte Cervino.

Foto: Eligio Boccacci

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CAI Salute │Tutta colpa dei piedi, forse*

Mille miglia cominciano con un passo, diceva il filosofo

cinese Lao Tzu, ma se il passo è dolente, ci sarebbe da

aggiungere, non sarà facile né arrivare lontano, né gu-

starsi la camminata. Lo sanno bene gli escursionisti,

ancor più gli alpinisti e di sicuro, almeno una volta nella

vita, è capitato a chiunque di doversi fermare, rinuncia-

re o proseguire a fatica, per via di scarpe troppo strette

o comunque scomode, cuciture taglienti, unghie antipa-

tiche, vesciche, calli e duroni. Un po’ come il cuore, i

sentimenti, i nostri piedi sono più sensibili ed influenti

di quanto si voglia a volte credere e richiedono la nostra

attenzione e cura almeno quanto altre parti del nostro

corpo. Gli orientali ci insegnano molto in questo senso.

Per la medicina alternativa la pianta del piede rappre-

senta tutto il nostro corpo e ad esso è collegata. E allora

che si fa? Da cosa cominciare? Intanto iniziamo a pen-

sarci sul serio e in vista di imminenti e lunghe escursio-

ni in montagna, possiamo imparare a trattare bene i

nostri piedi prendendo in considerazione alcuni di quei

semplici, ma importanti accorgimenti che possono aiu-

tarci a preservare la salute dei nostri piedi ed il piacere

del camminare. Cosa fare per preparare al meglio i

piedi ad una camminata in montagna?

Scegliere la scarpa ed i tessuti giusti. In montagna

una scarpa non vale l’altra. Informatevi bene sulla diffi-

coltà dell’escursione, sul tipo di percorso in program-

ma, sulle ore di cammino e sulle temperature. In linea

generale la scarpa deve tenere bene caviglia e tallone.

Oggi per il trekking di calzature ne esistono molte e c’è

altrettanta informazione in merito. L’ideale è farsi con-

sigliare da chi ha più esperienza e più passi alle spalle.

Contro il sudore, indossate calze di fibre naturali o con

solette assorbenti nelle scarpe. Uno stratagemma può

essere indossare un doppio calzino mettendo a contatto

dei piedi, solo cotone.

Attenzione alle unghie. Che non siano né troppo lun-

ghe, né troppo corte e taglienti. Il taglio deve essere

squadrato e non intaccare gli angoli. In ogni caso tenete

sempre con voi cotone, forbicine e una limetta per cu-

rarli alla bisogna e prima di partire controllate che non

ci siano ferite e se ne trovate, mettetele al sicuro da ul-

teriori danni.

Rinforzare e rilassare. Per rinforzare la muscolatu-

ra del piede approfittate quando possibile di cammi-

nare a piedi nudi su una superficie morbida (sabbia o

erba), è di per sé un buon allenamento e massaggio

plantare. Salite e scendete sulla punta dei piedi

nudi per rinforzare l’arco plantare oppure

provate a raccogliere dei piccoli oggetti con i

piedi per mettere in moto proprio i muscoli

estensori e flessori del piede e delle dita. E’

possibile che abbiate crampi alle dita proprio

per la poca abitudine a far lavorare tutto il

piede. Per rilassarli massaggiate l’arco plantare

con le nocche della mano, stirare prima le dita

e poi piegatele forte in avanti cercando di mettere in

evidenza le teste metatarsali (nocche dei piedi). Da se-

duti per terra, schiena contro il muro e gambe tese in

avanti e piedi in flessione dorsale, piegate lentamente in

avanti un piede con le dita piegate in avanti. Lentamen-

te e espirando. Ruotate poi i piedi da una parte e

dall’altra per mobilizzare le caviglie. Un buon massag-

gio plantare passivo, infine, è muovere in tutte le dire-

zioni un piede sopra una pallina. Continuate il rilassa-

mento massaggiando anche polpaccio e cosce. Nella

camminata sono i muscoli motore.

Coccolare. Valido sia prima che dopo è il pediluvio,

alternando acqua calda e fredda per riattivare la circola-

zione, prevenendo le vene varicose. Unite sale marino,

menta e lavanda per combattere la sudorazione. Mas-

saggiate tutti i giorni i piedi con una crema idratante,

allevia tensioni e previene calli e duroni. Andate perio-

dicamente dall’ortopedico per verificare le condizioni

delle dita e la posizione di appoggio, e non trascurate di

affidarvi di tanto in tanto ad un buon podologo, soprat-

tutto se state per affrontare vette importanti.

*Le informazioni riportate sono a cura della redazione:

sono raccolte da esperti e prendono spunto da articoli

tecnici e siti di settore.

A cu

ra di

Rubrica sostenuta da

AVIS Comunale Antrodoco

Referente: Giampietro Mattei

Mobile: 3384363877 - e.mail [email protected]

Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 5

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Parlare di fauna selvatica è sempre argomento affasci-nante ed allo stesso tempo scomodo. Sorvolando sul fascino, la scomodità nasce dal fatto che gli animali sel-vatici sono presenti o sempre più presenti, si fanno ve-dere ed impattano in modo diverso sul territorio. Avvi-stamenti, incidenti con autoveicoli, ritrovamenti di pic-coli o adulti feriti, danni ai coltivi da parte di ungulati ed al bestiame da predatori. Inevitabilmente la loro presen-za direttamente o indirettamente incrocia la sensibilità di ognuno di noi. Ma esistono modi diversi di rappor-tarci agli animali ed in particolare alla fauna selvatica.

I diversi interessi, che ci legano alla natura ed alle attivi-tà ad essa connesse, la complessa comprensione dei processi ecologici e sociali, che agiscono sui territori montani e di media collina, rendono tutto più affasci-nante e problematico. Senza sminuire le visioni e gli interessi di ognuno, senza dimenticare i danni che la fauna può provocare alle attività agro-zootecniche nelle aree marginali rurali, tralascerò in questi brevi articoli di parlare della fauna selvatica come problema e di adden-trarmi nel dibattito delle solu-zioni gestionali, non perché non sia importante farlo (anzi) ma semplicemente perché questi aspetti non vogliono essere oggetto di questi contri-buti. D’altra parte proverò a parlare di quelle specie che generano da sempre intorno a loro fascino e problematiche e di quelle che a discapito della loro diffusione sono scono-sciute o confuse, pur rico-prendo ruoli ecologici impor-tanti e generando biodiversità.

Capriolo, il piccolo cervide.

Per descrivere una specie in modo ap-profondito bisognerebbe partire da lon-tano e descriverne gli antenati, per poi passare dalla distribuzione storica a quel-la attuale, spiegarne la classificazione, tratteggiarne le caratteristiche morfologi-che, fisiologiche (alimentazione e riproduzione), ecolo-giche (ambiente tipico, rapporti con altre specie com-presa quella umana). Tuttavia proverò a illustrare in poche righe, le peculiarità di una specie faunistica il ca-priolo (Capreolus capreolus), a mio avviso tra le più affa-

scinanti, che cinghiale (Sus scrofa) a parte, è l’ungulato più diffuso nel nostro Paese.

Il capriolo è un animale legato ad ambienti con una no-tevole variabilità vegetazionale, caratterizzati da abbon-dante sottobosco. Predilige zone collocate a bassa quo-ta (sotto i 1200 m), con boschi intervallati da spazi a-perti. Detto questo, non ci si dovrebbe stupire come le zone dell’Appennino centrale siano particolarmente popolate da questa specie diffusa da Nord a Sud Italia.

Il capriolo così come altre specie selvatiche presenti in Italia (cervo, camoscio, stambecco, muflone, cinghiale) e specie domestiche di interesse zootecnico (bovini, ovini, caprini, maiale) appartiene all’ordine degli ungula-ti con numero pari dita (artiodattili). Questo ordine rag-gruppa animali che poggiano il proprio peso corporeo sulla punta delle dita e dove le unghie si sono modifica-te in zoccoli. Una caratteristica biologica è la ridotta dimensione degli zoccoli che produrranno una piccola impronta (la più piccola tra tutti gli ungulati selvatici europei) appuntita e sottile di circa 4-5 cm x 3 cm (Foto in alto a sinistra). che ritrovata nel terreno, diviene uno dei segni della sua presenza. Impronte, o complessi di orme, sono segni evidenti, ma non sempre facili da riconoscere e da assegnare ad una specie; così è facile confondere un’impronta di capriolo con quella di un cervo piccolo. Il capriolo è un cervide, ovvero una specie dotata di palchi presenti solo nei maschi, strut-ture ossee a rinnovo annuale analoghe e non equiva-lenti alle corna. I palchi (costituiti di cartilagine appog-giata su una base ossea) cadono ogni anno per poi ri-formarsi, si sviluppano dal quarto mese nei piccoli maschi (agosto). Appena formate sono ricoperte da

pelle vellutata (velluto) che difende pro-tegge e nutre la struttura in crescita che via via diviene più dura a causa di un pro-cesso di ossificazione. A Febbraio il pal-co viene liberato dal velluto attraverso lo sfregamento su piccoli arbusti che vengo-no scortecciati, questo è un segno indi-retto che ci annuncia la presenza del ca-priolo in un territorio. Il capriolo è un cervide di taglia media e i due sessi si distinguono poco nelle dimensioni a dif-

ferenza di ciò che accade nel cervo (Cervus elaphus).

#FAUNA│Il capriolo, piccolo cervide di Marco Innocenti*

Foto in alto: caratteristiche salienti piede capriolo (Ant sx ) (foto M. Innocenti). Sotto: differenze morfologiche tra femmina con falsa coda in inverno (a sx) e maschio (a dx) di capriolo. Pagina a fianco: piccoli di capriolo non ancora svezzati (foto M. Innocenti)

Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 6

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Nel periodo invernale quando il maschio non ha il pal-co, potrebbe non essere subito riconoscibile dalla fem-mina, tuttavia alcune caratteristiche ci possono dare qualche indicazione, le più semplici sono: presenza del pennello (ciuffo di peli) ben visibile sotto il ventre e la forma della macchia bianca nel posteriore (detta specchio anale) che ha una forma diversa nei due sessi. (Foto pagina a fianco in basso). La coda in ambo i sessi è assente (atrofizzata) per cui è praticamente invisibile, questo fatto, oltre alla diversa forma del muso e alla differente mole, permette di distinguere velocemente il capriolo dal cer-vo che ne è invece provvisto.

Il capriolo possiede nel suo re-pertorio diverse vocalizzazioni. Pensare ad un animale come il capriolo che emette una vocalizzazione simile all’abbaiare di un cane è strava-gante e bizzarro. Tuttavia l'abbaio, (tecnicamente defi-nito scrocchio), è forse la più peculiare delle vocalizza-zioni; è simile ad un suono cupo e ritmato molto simile all'abbaiare roco di un cane ed è utilizzato dai caprioli, maschi e femmine, in occasioni diverse tra cui situazio-ni di allarme. Ma se c’è una caratteristica biologica intri-gante, propria anche ad altre specie (orso, martora, fai-na …) è il fenomeno dell’embriostasi una sorta di “letargo” del feto. Dopo la stagione degli amori (agosto) e la fecondazione, l’embrione non si impianta, ma rimane ad uno stato di “riposo” e cessa di crescere. A distanza di quattro mesi e mezzo dalla fecondazione, lo sviluppo riprende regolare (in gennaio) fino al parto che avviene in primavera. Ciò rende la gestazione del capriolo molto più lunga (280-290 giorni complessivi) di quella reale di crescita del feto (165±5 giorni). Que-sto affascinante meccanismo fisiologico permette al capriolo di avere un maggior successo riproduttivo, consentendogli di portare a termine la gravidanza all’inizio della favorevole stagione primaverile, invece che durante l’inverno. Alla nascita i piccoli caprioli, co-me tutti i cervidi, hanno un mantello maculato, con macchie bianche (pomellatura), disposte su file longitu-dinali regolari, questa caratteristica che permane nei primi due mesi ha uno scopo mimetico. (Foto in alto). I piccoli, infatti, passano diverso tempo accucciati in pic-cole radure, ai bordi di camminamenti o nei prati in mezzo la vegetazione e in caso di disturbo, rimangono immobili accovacciati. Le naturali strategie difensive della specie funzionano bene e la madre durante la gior-nata può allontanarsi e brucare a poca distanza, tornerà dal proprio piccolo solo per nutrirlo.

Come spesso accade la non conoscenza delle abitudini di una specie ci spinge ad interpretare male comporta-

menti del tutto naturali. Incontrare durante una passeg-giata o qualsiasi altra attività nei mesi di maggio - giu-gno un piccolo di capriolo nascosto nell’erba, ricono-scerlo come indifeso, abbandonato dalla madre e quindi raccoglierlo è un’azione poco sensata. Nella maggior

parte dei casi, se il piccolo non è ferito, è opportuno non manipo-larlo affinché la madre ne rico-nosca l’odore ed è utile allonta-narsi velocemente evitando che la madre si allarmi e decida di abbandonarlo. Il capriolo (Capreolus capreolus) è un ungulato artiodattilo, apparte-nente alla famiglia dei cervidi, elegante e veloce. Dopo il cin-ghiale è l’ungulato più diffuso nella penisola. Conoscerlo e ri-conoscerlo è doveroso in questo

momento di espansione della specie, in cui è sempre più facilmente avvistabile nei territori dell’Appennino centrale vocati alle sue caratteristiche ecologiche. *Marco Innocenti è Medico Veterinario.

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Vette di LIBRI Profilo CAI

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In viaggio con Tolstoj Da Mosca alla Valle D'Aosta

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II ritrovamento di un diario molto personale è l'originale prete-

sto narrativo per raccontare il viaggio che il grande scrittore

russo Lev Tolstoj fece in Piemonte e in Valle d'Aosta nel 1857,

in compagnia di un giovane amico. Passato e presente si intrec-

ciano, quando la protagonista si reca a San Pietroburgo per

gettare nuova luce sul passato della nonna, che alla fine dell'Ot-

tocento aveva soggiornato nella Russia zarista, ormai vicina al

declino. Il romanzo permette di rivivere luoghi, paesaggi e at-

mosfere di regioni miracolosamente intatte: un vero e proprio

ecomuseo vivente e non artificioso e una notazione ai margini

del lavoro di ricerca che è la parte più significativa del Museo

della montagna di Bard.

Nicola Lattanzio*

Iscritto al CAI dal 1981 Escursioni: in 40 anni di escursionismo (1974/2014) circa 1000. La prima vetta: M.Terminillo all'età di 13 anni da scout. L'ultima escursione: il 22 giugno scorso. Il percorso più duro: Capanna Margherita sul M.Rosa Testa Grigia, Adamello. Il panorama indimenticabile: tramonto sul Gran Zebrù dal rifugio Casati. Tre cose indispensabili nello zaino: acqua, bussola, giacca a vento, kit pronto soccorso. Energia per camminare: passione, desiderio di conoscere ed apprezzare tutto ciò che ci circonda. Un motto per il successo: conoscenza e responsabilità verso gli altri. Il CAI Antrodoco: Un'associazione dove aleggia un valore come l'amicizia che è stato fondamentale per la crescita della Sezione. La passione per la montagna, di pochi giovani è stata determinante alla nascita di un movimento escursionistico sconosciuto nel no-stro paese. La montagna è per me fatica, sudore, silenzio dove entro in simbiosi con tutta la natura che mi circonda soprattutto quando percorro i sentieri in piena solitudine. *dal recente rinnovo del Consiglio Direttivo, Nicola Lattanzio è Vice Presidente di Sezione.

Soluzione Sudoku n° 31

CLUB ALPINO ITALIANO

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4 8 3 9 6 1 7 2 5

6 9 7 5 2 4 3 8 1

8 7 4 2 1 5 6 3 9

5 6 9 3 4 8 1 7 2

3 2 1 7 9 6 5 4 8

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PAUSA SUDOKU N° 35

│L’agenda del CAI - Speciale Agosto 2014

In via del tutto promozionale per le prime 2 escursioni sono ammessi (solo con difficoltà T ed E) alla partecipazione anche NON SOCI: con versamento. Quota Assicurativa ob-

bligatoria di 6 euro. Iscrizioni 36h prima dell’inizio escursione.

ES

C URS IONIS MO

CAI

Programma Escursionismo e Seniores 2014

19 luglio E Traversata notturna CITTAREALE - CASCIA da Cupello di Cittareale (Ri)

27 luglio E MONTI della LAGA - Cima della LAGHETTA, da Campotosto

1, 2 e 3 agosto E/EE GRAN SASSO d’ITALIA, con CAI Ferrara

7 e 8 agosto E I Confini Papalini-Pontifici - TERMINILLO (Ri)

9 agosto MC Mtb: Monte NURIA, Forca Jelli, da Antrodoco (Ri)

10 agosto T Monte Boragine, e sagra braciola Cittareale (Ri)

10 agosto E AG: Gran Sasso d’Italia - Rif. FRANCHETTI , da Prati di TIVO (Te)

12 agosto E Peschio del Principe, serale da Canetra (Ri)

15 agosto EE/DC XVII Ferragosto con il CAI Monte Giano e Cinno, da Antrodoco (Ri) + mtb

17 agosto E Gruppo Velino-Sirente, Monte della Magnolia

19 agosto TC Urbantrek: INTEROCREA, serale da Antrodoco (Ri)

23 - 30 agosto E/EE Settimana verde in Valle d’AOSTA

31 agosto E A.N.A.: Chisetta Alpina a Monte Giano - Antrodoco (Ri)

"Salaria. Quattro regioni

senza confini”

Nata nell'ambito delle manifestazioni

per il 150° anniversario della fonda-

zione del Club Alpino Italiano, la gui-

da costituisce un utile strumento per

l'escursionista a piedi e in mountain

bike che, sulle orme dei viaggiatori di

un tempo, desidera scoprire il ricco

patrimonio di storia, arte e natura di

quella parte dell'Appennino Centrale

dove si toccano quattro regioni italia-

ne: Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria.

Per info: CAI Antrodoco

Editore CARSA

Prezzo di copertina

19,00 euro 15,00 (socio CAI)

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CLUBALPINOITALIANO

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