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C sociale 17 7 / 2011 - criticasociale.net · fronte monarchico-conservatore), nonché di un...

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CRITICAsociale 17 7 / 2011 1946-1947 - L’AVVIO DEL DIBATTIMENTO TRA FORTI TENSIONI POLITICHE “Ieri per l’inizio del processo Di Vagno, il palazzo di Giustizia aveva assunto l’aspetto di una fortezza, funzionari, ufficiali dei carabi- nieri e della polizia, con circa 200 uomini a di- sposizione; metà di via Garruba, dove dove- vano transitare i detenuti, sbarrata dalla forza pubblica, dovunque pattuglie armate”. Con queste espressioni il maggiore quotidia- no pugliese, il 5 dicembre del 1946, presenta- va l’avvio del dibattimento, soffermandosi sul- la protesta degli avvocati difensori degli im- putati. Infatti, dopo l’annuncio del presidente Masi di rinvio a nuovo ruolo della causa - era stata presentata dagli avvocati della parte ci- vile istanza alla Corte di Cassazione di remis- sione del processo in altra sede - il collegio di difesa degli imputati stilò un documento di protesta inviato tra l’altro al Capo dello Stato ed al ministro della Giustizia, nel quale si au- spicava che “interessi particolari ed interessi di propaganda politica non valgano a disto- gliere dalla competenza ordinaria e naturale giudizi che localmente possono svolgersi in piena serenità. Nei giorni precedenti il quotidiano socialista l’“Avanti!”, diretto da Pietro Nenni, era inter- venuto sull’andamento del processo agli assas- sini di Di Vagno denunciando la composizione del nuovo Collegio giudicante, che risultava formato da due persone iscritte all’Uomo Qua- lunque, la lista del partito di Guglielmo Gian- nini (punto di riferimento in Puglia di un vasto fronte monarchico-conservatore), nonché di un esponente del passato regime che, nel pro- cesso di epurazione, fu patrocinato dallo stesso difensore di due dei principali imputati. Il quotidiano socialista non risparmiava at- tacchi ad alcuni avvocati degli imputati, in particolare l’avvocato Giuseppe Perrone Ca- pano (eletto alla Costituente nella lista demo- liberale) denunciava la nuova dimostrazione di forza delle forze conservatrici e degli agrari pugliesi”. Alla denuncia dell’“Avanti!” seguì la ferma presa di posizione degli avvocati difensori del- la famiglia Di Vagno, che alle accuse di voler ritardare il processo, così replicarono: il tempo maggiore è stato speso per decidere sulle eccezioni proposte preliminarmente dai di- fensori di alcuni imputati e contrastate, come era suo dovere dalla parte civile, che dovè combat- terle apponendone altre; per la susseguitanea supplementare istruttoria, richiesta non dalla par- te civile, ma dagli imputati vennero proposti. È vero che il clima locale di allora diverso da quel- lo attuale, non consigliava ai sol erti patroni degli imputati di avere soverchia fretta, ma è altrettan- to vero però che la insorta e inspiegabile premura di oggi non autorizza i difensori a dolersi, forse per una ragione che solo ad essa il decorso del tempo non avrebbe giovato. Nella risposta degli avvocati di parte civile Papalia e Catalano, infine, si stigmatizzò il ri- chiamo agli interessi particolari e di propagan- da politica indicati dai difensori degli imputati ed al contempo si denunciò l’atteggiamento della stampa locale, “immemore delle nefan- dezze del delitto, nonché del dolore eterno dei familiari dell’ucciso e sensibile solo alle sof- ferenze attuali dei rei [...]”. Con un tempestivo pronunciamento la Corte di Cassazione, nel gennaio del nuovo anno, ac- colse la richiesta degli avvocati della famiglia Di Vagno e indicò Potenza come nuova sede per lo svolgimento del processo. La Corte d’Assise del capoluogo lucano, infine, fissò l’inizio del dibattimento, il 27 giugno del 1947. Tra gennaio e giugno del nuovo anno, tutta- via, il clima politico nazionale e locale registrò alcuni significativi cambiamenti. La tensione politica salì, ulteriormente, di tono per l’oppo- sizione della grande proprietà terriera alle mi- sure per fronteggiare la disoccupazione. A Ba- ri, a Lecce alla fine del 1946 si verificarono duri scontri tra manifestanti e forza pubblica a causa dei ritardi nell’assegnazione della farina, che risultava ancora contingentata. Nei primi mesi del 1947 in alcune località della Puglia, furono incendiate le Camere del lavoro, tra cui quella di Gioia del Colle. Non diversa si, presentava la situazione in altre aree del Mezzogiorno. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, in un discorso radiofonico del 29 aprile 1947, non celando le sue forti preoccupazioni per la situazione economica e politico sociale, affer- mò: “Un soffio di panico e di follia attraversa certe zone del paese, la speculazione fredda- mente calcolatrice gioca al rialzo, nasconde le merci, trafuga all’ estero valute e gioielli, e at- tende in agguato la crisi nella criminosa spe- ranza di farsi ricca nella miseria generale”. Dopo appena due giorni dall’allarme del Ca- po del Governo, il terrorismo di matrice ma- fiosa mise in atto uno dei suoi primi misfatti. A Portella della Ginestra (vicino Palermo), un nucleo armato di banditi capeggiato da Salva- tore Giuliano aprì il fuoco su una folla di con- tadini e braccianti inermi, tra cui donne e bam- bini, che si apprestavano a celebrare il l° mag- gio, Festa del lavoro, provocando 11 morti e 27 feriti. La strage rappresentò l’epilogo di una lunga serie di attentati contro Camere del lavoro e sedi di partiti di sinistra. Salvatore Giuliano era in contatto da tempo, come emer- se dalle vicende processuali, con apparati dello Stato e con la sezione italiana dell’Oss (Servizi strategici degli Stati Uniti). Ma a tenere desta l’attenzione del confronto politico fu la diaspora socialista che, nei primi mesi del ‘47 polarizzò l’attenzione generale. Dalla “scissione di Palazzo Barberini”, decisa all’indomani del XXV Congresso socialista, che si aprì a Roma il 9 febbraio 1947 e capeg- giata da Giuseppe Saragat, sostenitore di una visione del socialismo non legata a rigide im- postazioni di classe, si produsse una nuova formazione, il Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli) che raccolse gran parte del vec- chio gruppo riformista. Il socialismo riformi- sta trovò nel capoluogo pugliese solidi punti di riferimento in Eugenio Laricchiuta, uno dei fondatori del Psi in “Terra di Bari” nel primo dopoguerra, fondatore della sezione barese dell’Umanitaria” nel 1919, assieme a Peppino Di Vagno. Seguirono il vecchio leader socia- lista, tra gli altri, l’avvocato Giuseppe Di Va- gno, figlio del deputato socialista di Conver- sano, l’avvocato Domenico Paparella e il gio- vane Rino Formica. Anche nel capoluogo pugliese nel gennaio 1947 si determinarono significativi cambia- menti sul fronte politico amministrativo. I due maggiori protagonisti dello scontro politico, l’avvocato Giuseppe Papalia, punto di riferi- mento della coalizione di sinistra e l’avvocato Carlo Russo Frattasi, (il fratello Vittorio difen- deva uno degli imputati del processo Di Va- gno) a capo di una coalizione di destra, dopo la paralisi post-elettorale di circa due mesi e la gravissima crisi sociale che aveva investito la città, raggiunsero un accordo. Si pervenne, in- fatti, all’elezione di un sindaco, Antonio Di Cagno della Dc e di una giunta che includeva esponenti delle due opposte coalizioni. I riflessi, come vedremo, si registreranno, anche sull’andamento del processo agli assas- sini di Di Vagno, considerando il ruolo politico svolto dagli avvocati dei diversi studi legali coinvolti nel processo, in particolare lo studio Russo Frattasi, del collegio di difesa degli im- putati e lo studio Papalia rappresentante della parte civile, nel quale prestava la sua opera il giovanissimo Giuseppe Di Vagno juruor. In pochi giorni, prima dell’avvio del dibat- timento, si assistette ad una radicale svolta po- litica con l’uscita di scena della sinistra dal go- verno di unità nazionale che, senza soluzioni di continuità, sin dal 1944 aveva caratterizzato il processo di transizione dalla Monarchia alla Repubblica. Nella nuova compagine governa- tiva, guidata da Alcide de Gasperi, si determi- nò una egemonia neoconservatrice in settori chiave dell’organizzazione statuale, tra cui la Pubblica istruzione, affidata a Guido Gonella, il ministero dell’Interno assegnato a Mario Scelba e il ministero di Grazia e Giustizia at- tribuito a Giuseppe Grassi, un giurista salenti- no di formazione liberale. 1947 - IL PROCESSO A POTENZA TRA PACIFICAZIONE E OCCULTAMENTO DELLE RESPONSABILITÀ Il fatto nuovo che caratterizzò l’avvio del di- battimento nel capoluogo lucano, una delle città dove il processo di defascistizzazione ebbe una debole rilevanza, fu una dichiarazione da parte di Giuseppe Di Vagno junior, giovanissimo av- vocato che prestava la sua opera nello studio Papalia. Il giovane Di Vagno, con una signifi- cativa lettera al presidente della Corte, così mo- tivò il ritiro della costituzione di parte civile: Compio il dovere di comunicarLe che mi sono deciso a non insistere nella costituzione di P. C. a suo tempo eseguita contro gli assassini di mio padre. Dopo la morte di mia madre che seppe, superando l’angoscia e lo strazio, proteggermi ed avviarmi alla vita ispirandosi alla memoria ed al culto del nostro grande scomparso, sono rimasto solo di fronte a coloro che a me ed ai miei hanno recato il più grande dolore. Come figlio sento di non poter perdonare gli assassini di mio padre, come cittadino non posso indulgere verso chi pensa di soffocare nel sangue la libertà e tentò di contrastare con il delitto l’ascesa degli umili. Comprendo per altro che in questo processo, i cui riflessi hanno tanta importanza per la democrazia italiana, stonano le private passioni e che il giu- dizio deve essere affidato al popolo contro le cui libertà, attraverso la soppressione di mio padre che le rivendicava, vollero agire i prevenuti ed i loro mandanti; e resti il popolo del tutto libero di giudicare i suoi nemici secondo legge e giustizia. La lettera riflette in primo luogo la determi- nazione materna, manifestata sin dai giorni successivi alla caduta del fascismo, di non ali- mentare il clima di per sé carico di tensione a Conversano, per il coinvolgimento di diverse decine di famiglie degli imputati, quasi tutti appartenenti alla media e piccola borghesia cittadina, medici, insegnanti, impiegati, non- ché piccoli proprietari e imprenditori. Al prin- cipale imputato Luigi Lorusso, medico del lo- cale ospedale, non erano mancati, nel corso del processo, segni di amicizia da parte di colle- ghi, esponenti dell’amministrazione comunale e della Curia come si evidenzia anche dal nu- Del resto, poiché molte, e non di parte, era- no state le testimonianze a favore dell’“integri- tà” dei giudici di Trani, la parte civile aveva in- sistito sul carattere “ambientale” e non perso- nale delle pressioni. Era stato facile però, per la difesa, ricordare come all’epoca ben pochi immaginavano che il fascismo meno di un an- no dopo sarebbe andato al potere, e come esso avesse a Bari ben pochi “proseliti” e non pre- occupasse le autorità. Era obiettivamente dif- ficile dimostrare la tesi espressa poi nitidamen- te da l’“Avanti!”. Dopo la sentenza che il de- litto fosse stato opera di un fascismo che, non ancora giunto al potere, già riceveva il plauso delle vecchie classi dirigenti con la complicità “dell’alto capitale terriero e industriale”. Che il delitto fosse iscritto negli insonda- bili umori della vita locale. oppure che fosse il prodotto naturale di un regime nazionale che, magari, aveva nel Nord d’Italia il suo luogo d’elezione, ambedue le spiegazioni erano de- stinate a non fornire le basi né di un solido per- corso giudiziario, né di una convincente spie- gazione storica. Quelle interpretazioni non era- no in grado di dar conto esaurientemente del significato del cursus politico, purtroppo assai breve, di Di Vagno: innestare il mezzogiorno, con il riscatto del suo secolare lavoro e la sua storia civile, nel corpo del socialismo e del pro- gresso sociale. In fondo il suo assassinio testi- moniava proprio ciò su cui pochi all’epoca avrebbero scommesso: che anche il Mezzo- giorno era stato pienamente investito dai pro- cessi di modernizzazione e che le dinamiche sociali e politiche che l’investivano non erano sostanzialmente diverse da quelle dell’intero paese. È accaduto così che per molto tempo il ricordo incancellabile del “gigante buono” fos- se affidato alla memoria di chi lo conobbe e di chi, attraverso le testimonianze orali e scritte, ha voluto ispirare alle sue tracce l’impegno morale e politico. Non era facile tradurre in di- segni politici e pregnanti ricostruzioni storiche quel ritratto così vivido e plumbeo dei funerali di Peppino Di Vagno, con la sua folla dispera- ta, rabbiosamente primitiva, quale ci è stato fissato nelle parole commosse del suo antico amico Raffaele Pastore: “Non posso descrivere lo schianto della popolazione di Conversano il giorno dopo, quando il corteo funebre girò per il paese sotto una pioggia torrenziale; una folla immensa piangente taceva ala al corteo, quan- do la massa di popolo venuta da tutta la pro- vincia uscì dal paese e si avviò verso il cimite- ro vi fu un fuggi fuggi. Si sparse la voce che da un balcone del personale autore del delitto si era tentato di sparare contro il corteo; vi fu un momento di sbandamento ma la massa su- bito si riprese e mentre una parte del corteo continuò verso il cimitero, l’altra parte tornò indietro, assalì la casa, sfondò la porta e prima che la pubblica sicurezza arrivasse, invase la casa mentre il padrone fuggiva sui tetti. s Ennio Corvaglia Docente di Scienze Storiche dell’Università di Bari TENSIONI POLITICHE PERMANENTI LA REVISIONE TRA REAZIONE E DEMOCRAZIA Vito Antonio Leuzi
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Page 1: C sociale 17 7 / 2011 - criticasociale.net · fronte monarchico-conservatore), nonché di un esponente del passato regime che, nel pro-cesso di epurazione, fu patrocinato dallo stesso

CRITICAsociale ■ 177 / 2011

1946-1947 - L’AVVIO DEL DIBATTIMENTO TRA FORTI

TENSIONI POLITICHE

“Ieri per l’inizio del processo Di Vagno, ilpalazzo di Giustizia aveva assunto l’aspetto diuna fortezza, funzionari, ufficiali dei carabi-nieri e della polizia, con circa 200 uomini a di-sposizione; metà di via Garruba, dove dove-vano transitare i detenuti, sbarrata dalla forzapubblica, dovunque pattuglie armate”.

Con queste espressioni il maggiore quotidia-no pugliese, il 5 dicembre del 1946, presenta-va l’avvio del dibattimento, soffermandosi sul-la protesta degli avvocati difensori degli im-putati. Infatti, dopo l’annuncio del presidenteMasi di rinvio a nuovo ruolo della causa - erastata presentata dagli avvocati della parte ci-vile istanza alla Corte di Cassazione di remis-sione del processo in altra sede - il collegio didifesa degli imputati stilò un documento diprotesta inviato tra l’altro al Capo dello Statoed al ministro della Giusti zia, nel quale si au-spicava che “interessi particolari ed interessidi propaganda politica non valgano a disto -gliere dalla competenza ordinaria e naturalegiudizi che localmente possono svolgersi inpiena serenità.

Nei giorni precedenti il quotidiano socialistal’“Avanti!”, diretto da Pietro Nenni, era inter-venuto sull’andamento del processo agli assas-sini di Di Vagno denunciando la composizionedel nuovo Collegio giudicante, che risultavaformato da due persone iscritte all’Uomo Qua-lunque, la lista del partito di Gu glielmo Gian-nini (punto di riferimento in Puglia di un vasto

fronte monarchico-conservatore), nonché diun esponente del passato regime che, nel pro-cesso di epurazione, fu patrocinato dallo stessodifensore di due dei principali imputati.

Il quotidiano socialista non risparmiava at-tacchi ad alcuni avvocati degli imputati, inparticolare l’av vocato Giuseppe Perrone Ca-pano (eletto alla Costituente nella lista demo-liberale) denunciava la nuova dimostrazionedi forza delle forze conservatrici e degli agraripugliesi”.

Alla denuncia dell’“Avanti!” seguì la fermapresa di posizione degli avvocati difensori del-la famiglia Di Vagno, che alle accuse di volerritardare il processo, così replicarono:

il tempo maggiore è stato speso per decideresulle eccezioni proposte preliminarmente dai di-fensori di alcuni imputati e contrastate, come erasuo dovere dalla parte civile, che dovè combat-terle apponendone altre; per la susseguitaneasupplementare istruttoria, richiesta non dalla par-te civile, ma dagli imputati vennero proposti. Èvero che il clima locale di allora diverso da quel-lo attuale, non consigliava ai sol erti patroni degliimputati di avere soverchia fretta, ma è altrettan-to vero però che la insorta e inspiegabile premuradi oggi non autorizza i difensori a dolersi, forseper una ragione che solo ad essa il decorso deltempo non avrebbe giovato.

Nella risposta degli avvocati di parte civilePapalia e Catalano, infine, si stigmatizzò il ri-chiamo agli interessi particolari e di propagan-da politica indicati dai difensori degli imputatied al contempo si de nunciò l’atteggiamento

della stampa locale, “immemore delle nefan-dezze del delitto, nonché del dolore eterno deifamiliari dell’ucciso e sensibile solo alle sof-ferenze attuali dei rei [...]”.

Con un tempestivo pronunciamento la Cortedi Cassazione, nel gennaio del nuovo anno, ac-colse la richie sta degli avvocati della famigliaDi Vagno e indicò Potenza come nuova sedeper lo svolgimento del processo. La Corted’Assise del capoluogo lucano, infine, fissòl’inizio del dibattimento, il 27 giugno del 1947.

Tra gennaio e giugno del nuovo anno, tutta-via, il clima politico nazionale e locale registròalcuni si gnificativi cambiamenti. La tensionepolitica salì, ulteriormente, di tono per l’oppo-sizione della grande proprietà terriera alle mi-sure per fronteggiare la disoccupazione. A Ba-ri, a Lecce alla fine del 1946 si verificaronoduri scontri tra manifestanti e forza pubblica acausa dei ritardi nell’assegnazione della fa rina,che risultava ancora contingentata. Nei primimesi del 1947 in alcune località della Puglia,furono incendiate le Camere del lavoro, tra cuiquella di Gioia del Colle.

Non diversa si, presentava la situazione inaltre aree del Mezzogiorno. Il Presidente delConsiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, inun discorso radiofonico del 29 aprile 1947,non celando le sue forti preoccupazioni per lasituazione economica e politico sociale, affer-mò: “Un soffio di panico e di follia attraversacerte zone del paese, la speculazione fredda-mente calcolatrice gioca al rialzo, nasconde lemerci, trafuga all’ estero valute e gioielli, e at-tende in agguato la crisi nella criminosa spe-ranza di farsi ricca nella miseria generale”.

Dopo appena due giorni dall’allarme del Ca-po del Governo, il terrorismo di matrice ma-fiosa mise in atto uno dei suoi primi misfatti.A Portella della Ginestra (vicino Palermo), unnucleo ar mato di banditi capeggiato da Salva-tore Giuliano aprì il fuoco su una folla di con-tadini e braccianti inermi, tra cui donne e bam-bini, che si apprestavano a celebrare il l° mag-gio, Festa del lavoro, pro vocando 11 morti e27 feriti. La strage rappresentò l’epilogo diuna lunga serie di attentati contro Camere dellavoro e sedi di partiti di sinistra. SalvatoreGiuliano era in contatto da tempo, come emer-se dalle vicende processuali, con apparati delloStato e con la sezione italiana dell’Oss (Servizistrategici degli Stati Uniti).

Ma a tenere desta l’attenzione del confrontopolitico fu la diaspora socialista che, nei primimesi del ‘47 polarizzò l’attenzione generale.Dalla “scissione di Palazzo Barberini”, decisaall’indomani del XXV Congresso socialista,che si aprì a Roma il 9 febbraio 1947 e capeg-giata da Giuseppe Saragat, so stenitore di unavisione del socialismo non legata a rigide im-postazioni di classe, si produsse una nuovaformazione, il Partito socialista dei lavoratoriitaliani (Psli) che raccolse gran parte del vec-chio gruppo riformista. Il socialismo riformi-sta trovò nel capoluogo pugliese solidi puntidi riferimento in Eugenio Laricchiuta, uno deifondatori del Psi in “Terra di Bari” nel primodopoguerra, fondatore della sezione baresedell’Umanitaria” nel 1919, assieme a PeppinoDi Vagno. Seguirono il vecchio leader socia-lista, tra gli altri, l’avvocato Giuseppe Di Va-gno, figlio del deputato socialista di Conver-sano, l’avvocato Do menico Paparella e il gio-vane Rino Formica.

Anche nel capoluogo pugliese nel gennaio1947 si determinarono significativi cambia-menti sul fronte politico amministrativo. I duemaggiori protagonisti dello scontro politico,l’avvocato Giuseppe Papalia, punto di riferi-mento della coalizione di sinistra e l’avvocatoCarlo Russo Frattasi, (il fratello Vittorio difen-deva uno degli imputati del processo Di Va-gno) a capo di una coalizione di destra, dopo

la paralisi post-elettorale di circa due mesi e lagravissima crisi sociale che aveva investito lacittà, raggiunsero un accordo. Si pervenne, in-fatti, all’elezione di un sindaco, Antonio DiCagno della Dc e di una giunta che includevaesponenti delle due opposte coalizioni.

I riflessi, come vedremo, si registreranno,anche sull’andamento del processo agli assas-sini di Di Vagno, considerando il ruolo politicosvolto dagli avvocati dei diversi studi legalicoinvolti nel pro cesso, in particolare lo studioRusso Frattasi, del collegio di difesa degli im-putati e lo studio Papalia rappresentante dellaparte civile, nel quale prestava la sua opera ilgiovanissimo Giuseppe Di Vagno juruor.

In pochi giorni, prima dell’avvio del dibat-timento, si assistette ad una radicale svolta po-litica con l’uscita di scena della sinistra dal go-verno di unità nazionale che, senza soluzionidi continuità, sin dal 1944 aveva caratterizzatoil processo di transizione dalla Monarchia allaRepubblica. Nella nuova com pagine governa-tiva, guidata da Alcide de Gasperi, si determi-nò una egemonia neoconservatrice in settorichiave dell’organizzazione statuale, tra cui laPubblica istruzione, affidata a Guido Gonella,il ministero dell’Interno assegnato a MarioScelba e il ministero di Grazia e Giustizia at-tribuito a Giuseppe Grassi, un giurista salenti-no di formazione liberale.

1947 - IL PROCESSO A POTENZATRA PACIFICAZIONE E OCCULTAMENTO

DELLE RESPONSABILITÀ

Il fatto nuovo che caratterizzò l’avvio del di-battimento nel capoluogo lucano, una delle cittàdove il processo di defascistizzazione ebbe unadebole rilevanza, fu una dichiarazione da partedi Giuseppe Di Vagno junior, giovanissimo av-vocato che prestava la sua opera nello studioPapalia. Il giovane Di Vagno, con una signifi-cativa lettera al presidente della Corte, così mo-tivò il ritiro della costituzione di parte civile:

Compio il dovere di comunicarLe che mi sonodeciso a non insistere nella costituzione di P. C.a suo tempo eseguita contro gli assassini di miopadre. Dopo la morte di mia madre che seppe,superando l’angoscia e lo strazio, proteggermi edavviarmi alla vita ispirandosi alla memoria ed alculto del nostro grande scomparso, sono rimastosolo di fronte a coloro che a me ed ai miei hannorecato il più grande dolore. Come figlio sento dinon poter perdonare gli assassini di mio padre,come cittadino non posso indulgere verso chipensa di soffocare nel sangue la libertà e tentò dicontrastare con il delitto l’ascesa degli umili.Comprendo per altro che in questo pro cesso, i cuiriflessi hanno tanta importanza per la democraziaitaliana, stonano le private passioni e che il giu-dizio deve essere affidato al popolo contro le cuilibertà, attraverso la soppressione di mio padreche le rivendicava, vollero agire i prevenuti ed iloro mandanti; e resti il popolo del tutto libero digiudicare i suoi nemici secondo legge e giustizia.

La lettera riflette in primo luogo la determi-nazione materna, manifestata sin dai giornisuccessivi alla caduta del fascismo, di non ali-mentare il clima di per sé carico di tensione aConversano, per il coinvol gimento di diversedecine di famiglie degli imputati, quasi tuttiappartenenti alla media e piccola bor ghesiacittadina, medici, insegnanti, impiegati, non-ché piccoli proprietari e imprenditori. Al prin-cipale imputato Luigi Lorusso, medico del lo-cale ospedale, non erano mancati, nel corso delprocesso, segni di amicizia da parte di colle-ghi, esponenti dell’amministrazione comunalee della Curia come si evidenzia anche dal nu-

Del resto, poiché molte, e non di parte, era-no state le testimonianze a favore dell’“integri-tà” dei giudici di Trani, la parte civile aveva in-sistito sul carattere “ambientale” e non perso-nale delle pressioni. Era stato facile però, perla difesa, ricordare come all’epoca ben pochiimmaginavano che il fascismo meno di un an-no dopo sarebbe andato al potere, e come essoavesse a Bari ben pochi “proseliti” e non pre-occupasse le autorità. Era obiettivamente dif-ficile dimostrare la tesi espressa poi nitidamen-te da l’“Avanti!”. Dopo la sentenza che il de-litto fosse stato opera di un fascismo che, nonancora giunto al potere, già riceveva il plausodelle vecchie classi dirigenti con la complicità“dell’alto capitale terriero e industriale”.

Che il delitto fosse iscritto negli insonda-bili umori della vita locale. oppure che fosse ilprodotto naturale di un regime nazionale che,magari, aveva nel Nord d’Italia il suo luogod’elezione, ambedue le spiegazioni erano de-stinate a non fornire le basi né di un solido per-corso giudiziario, né di una con vincente spie-gazione storica. Quelle interpretazioni non era-no in grado di dar conto esaurientemente delsignificato del cursus politico, purtroppo assaibreve, di Di Vagno: innestare il mezzogiorno,con il riscatto del suo secolare lavoro e la suastoria civile, nel corpo del socialismo e del pro-gresso sociale. In fondo il suo assassinio testi-moniava proprio ciò su cui pochi all’epocaavrebbero scommesso: che anche il Mezzo-giorno era stato pienamente investito dai pro-

cessi di modernizzazione e che le dinamichesociali e politiche che l’investivano non eranosostanzialmente diverse da quelle dell’interopaese. È accaduto così che per molto tempo ilricordo incancellabile del “gigante buono” fos-se affidato alla memoria di chi lo conobbe e dichi, attraverso le testimonianze orali e scritte,ha voluto ispirare alle sue tracce l’impegnomorale e politico. Non era facile tradurre in di-segni politici e pregnanti ricostruzioni storichequel ri tratto così vivido e plumbeo dei funeralidi Peppino Di Vagno, con la sua folla dispera-ta, rabbiosamente primitiva, quale ci è statofissato nelle parole commosse del suo anticoamico Raffaele Pastore: “Non posso descriverelo schianto della popolazione di Conversano ilgiorno dopo, quando il corteo funebre girò peril paese sotto una pioggia torrenziale; una follaimmensa piangente taceva ala al corteo, quan-do la massa di popolo venuta da tutta la pro-vincia uscì dal paese e si avviò verso il cimite-ro vi fu un fuggi fuggi. Si sparse la voce cheda un balcone del personale autore del delittosi era tentato di sparare contro il corteo; vi fuun momento di sbandamento ma la massa su-bito si riprese e mentre una parte del corteocontinuò verso il cimitero, l’altra parte tornòindietro, assalì la casa, sfondò la porta e primache la pub blica sicurezza arrivasse, invase lacasa mentre il padrone fuggiva sui tetti. s

Ennio Corvaglia – Docente di ScienzeStoriche dell’Università di Bari

■ TENSIONI POLITICHE PERMANENTI

LA REVISIONETRA REAZIONE E DEMOCRAZIA

Vito Antonio Leuzi

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18 ■ CRITICAsociale7 / 2011

mero rilevante di testimoni, tutti appartenential mondo delle professioni. La stessa situa -zione si determinò anche per tutti gli altri im-putati, i cui difensori chiamarono a deporre,insegnanti e compagni di Liceo sull’“indolemite” nella vita scolastica e sulla condotta “pa-cifica” negli anni del re gime. Per alcuni di essisi mise in luce, in particolare, un dato rilevanteai fini processuali, quello di non aver tratto be-nefici dal fascismo.

Esponenti della Curia di Conversano, tra cuimonsignor Gallo, molto noto nell’ambientescolastico e culturale (docente di lettere clas-siche preso il Liceo-Convitto) erano interve-nuti a favore di alcuni im putati, suscitando an-che commenti critici sulla stampa dell’epoca,

In particolare il quotidiano di sinistra “LaVoce della Puglia” con un titolo significativo,“Un sacer dote tesse l’elogio dell’ esecutoremateriale del delitto”, stigmatizzò soprattuttola richiesta di assoluzione generalizzata avan-zata dal prelato.

Nel corso del dibattimento a Potenza si ve-rificarono, in occasione di diversi incidentiprobatori, reiterati attacchi al pubblico mini-stero, I difensori degli imputati cercarono dieludere abilmente ogni riferimento al contestopolitico-ambientale e scolastico-familiare, incui erano cresciuti i giovani partecipanti allaspedizione squadristica di Mola (l’influenzaideologica del nazionalismo, l’esaltazio ne del-la guerra, il clima di odio nei confronti delneo-deputato). Bisogna poi considerare che di-versi imputati avevano da poco terminato glistudi secondari superiori e risultavano iscrittia facoltà uni versitarie.

Gli anni trascorsi al Liceo e all’annessoConvitto (frequentati negli ultimi anni del pri-mo conflitto mondiale e nell’immediato dopo-guerra) si caratterizzarono per l’intensa propa-ganda nazionalista e per l’educazione al pa-triottismo esasperato che rappresentarono l’al-veo ideologico-culturale su cui si inne starono,poi, le logiche della violenza squadristica. Al-cuni aspetti di questa pericolosa miscela ideo-logica trovano conferma nella memoria in pie-tra (lapidi affisse nell’ atrio della scuola) e neidiscorsi ufficiali del preside Rettore, monsi-gnor Donato Forlani (sacerdote patriota), perl’inaugurazione dell’anno scolastico o in oc-casione delle ricorrenze celebrative per i ca-duti del primo conflitto mondiale.

L’avversione antiproletaria e antisocialista,nei confronti della persona di Di Vagno, eraalimentata dalle famiglie della borghesia libe-ral-conservatrice, ma anche dai settori più re-trivi della Curia come si evidenzia dal proces-so per i disordini del 25 febbraio 1921 - con-seguenti ad uno sciopero generale in detto intutta la provincia di Bari - dove alcuni sacer-doti furono chiamati a deporre contro dirigentied iscritti della Camera del lavoro e del Partitosocialista perché nel corso dello sciopero nonsi erano potute svolgere alcune funzioni reli-giose.5

Il fascio di Conversano, uno dei primi a sor-gere nella Terra di Bari, ambiva, inoltre, adesercitare un ruolo guida in tutto il Sud-Est ba-rese con gesta esemplari, tali da porsi all’al-tezza delle spedizioni puni tive organizzate nelNord della Puglia dalle squadre di Caradonna.Nel corso dell’istruttoria non erano stati indi-viduati elementi di responsabilità dirette deifascisti legati a Caradonna per la spedizione diMola del 25 settembre, tuttavia erano emersigli stretti legami tra lo squadrismo di Cerigno-la e quello di Conversano per le altre spedizio-ni punitive (in particolare i fatti del 30 maggiodel 1921).6

Questi importanti e significativi aspetti, peruna esatta collocazione della fisionomia degliimpu tati e del contesto in cui si sviluppò l’ope-razione squadristica di Mola, furono comple-

tamente elusi dal dibattimento che si svolse al-l’insegna di una indifferenza e stanchezza dif-fusa, interrotta sporadi camente da segni d’in-tolleranza di un vero e proprio esercito di av-vocati difensori. Tra questi ultimi si annove-rano noti giuristi, molti dei quali in prima lineanella vita politica, tra cui Giuseppe Perro neCapano, deputato alla Costituente per demoli-berali (fu nominato sottosegrerario nel quartoGo verno De Gasperi), Oronzo Massari, puntodi riferimento del movimento monarchi coqualunquista di Lecce), Tommaso Siciliani,esponente significativo delliberalismo prefa-scista che assunse delicati incarichi ministeriali sotto il Governo Badoglio, l’ono PasqualeCaso (vittima di un incidente stradale poco pri-ma dell’avvio del dibattimento a Potenza), An-tonio Gabrielli, costituente eletto nelle listedel la Democrazia Cristiana e Michele De Pie-tro, consultore nel 1945 (candidato alla Costi-tuente nel ‘46 ed eletto deputato nel ‘48 nelleliste della Dc), fu ministro della Giustizia neiprimi governi centristi.

Nel corso del dibattimento si verificaronodiversi incidenti probatori, in particolare, at-tacchi al pubblico ministero da parte del col-legio di difesa degli imputati. Il magistrato in-

quirente, infatti, per gli atteggia menti reticentie per le ritrattazioni delle dichiarazioni rese daalcuni testi, avanzò diverse richieste di arrestoper falsa testimonianza. Suscitò impressionela ritrattazione di un testimone che negò le di-chia razioni rese precedentemente e regolar-mente sottoscritte affermando di essere statocostretto a firmare (nella fase istruttoria infattidescrisse la distribuzione delle pistole e dellebombe nella sede del fascio di Conversano).

Tra le diverse ritrattazioni e contraddizioni- ben evidenziate dalle cronache giudiziariedell’ epoca - si evidenziarono quelle del vettu-rino, ingaggiato nel ‘22 per trasportare daConversano a Casamassima un gruppo di fa-scisti. Il teste nella fase istruttoria aveva soste-nuto di aver riconosciuto qualcuno dei gio -vani, armati di rivoltella e di aver sentito cheavevano in mente di uccidere Di Vagno; tutta-via nel corso dell’interrogatorio egli cercò dimodificare le dichiarazione sottoscritte e, in-calzato dalle domande del presidente della

Corte, finì con il confermare le dichiarazionirese in istruttoria.

L’andamento del processo nel capoluogo lu-cano, ripreso da pochi quotidiani, si svolse inclima di generale stanchezza e in un caldo op-primente.

Il quotidiano di sinistra, “La Voce della Pu-glia”, così commentò gli ultimi giorni del pro-cesso: “le voci roboanti, le sottilizzazioni deidifensori hanno creato nella sala una soddisfa-cente atmosfera di ge nerale assoluzione”.

Tale situazione favorevole agli imputati nonfu modificata dalla lunga e puntuale requisito-ria del pubblico ministero che durò alcunigiorni e si concluse il 17 luglio con la richiestadi condanna per tutti gli imputati in ordine aldelitto di “omicidio premeditato”, sulla basedel codice penale del 1889. Le con danne, co-munque, furono diversificate (massimo trent’anni e minimo quindici anni) in base anche all’età degli imputati all’epoca del delitto; fu, co-munque, richiesta l’amnistia per tutti gli altrireati.

Per il principale imputato, Luigi Lorusso, siavanzò la richiesta di condanna per “omicidiovolontario aggravato e qualificato come pre-visto dagli articoli 364,365 n. 2 e 336 n. 2 c.P.

1889, per avere la sera del 25.9.1921, in Moladi Bari, a fine di uccidere e, con premeditazio-ne, esploso vari colpi di rivoltella contro l’av-vocato Di Vagno Giuseppe a causa delle suefunzioni di Deputato in Parlamento Naziona-le”; mentre per tutti gli altri imputati fu pro-posta la condanna “di correità”, quali coope-ratori immediati, ad eccezione di Tarsia Incu-ria (solo per correità).

POTENZA, 31 LUGLIO 1947,UNA SENTENZA A METÀ

La Corte d’Assise di Potenza si pronunciòcon una sentenza che conteneva alcuni aspettidiscutibili e non senza evidenti contraddizionicome si evidenzia nella denuncia del quotidia-no socialista l’“Avanti!”.

Furono respinte, infatti, le richieste della di-fesa degli imputati di considerare il delitto DiVagno, determinato da risentimenti personali

e di “restituire agli imputati il beneficio del-l’amnistia della marcia su Roma”. Si ribadì, inparticolare il movente politico:

Il Di Vagno aveva il cervello e l’anima del so-cialista temperamento entusiasta e generoso.Amava il popolo e ne aveva sposato la causa conabnegazione e con fermezza. Nel suo passo avevatravolto tutto un passato. Egli mirava ad organiz-zare la Puglia socialista. Eletto deputato era l’apo-stolo più fervente della democrazia socialista.Quindi una visione larga ed integrale di politicagenerale, che non si adattava più agli interessiparticolari ed alle beghe personali di Conversano.Tuttavia è qui la sua tomba; è il proprio paese chescava la fossa. Si erano formati i fasci di combat-timento per contrastarlo con la violenza.

Dopo queste premesse e valutazioni di ca-rattere generale, tuttavia, il collegio giudicanteconsiderò la spedizione squadristica di Molanon legata agli altri precedenti e analoghi ten-tativi (Noci e Casamassima) di attentare allavita dell’esponente socialista di Conversanoed escluse, soprattutto, la premeditazione.

Su quest’ultimo e principale aspetto, su cuipoggiava l’impianto accusatorio, la sentenzagiustificò la scelta della “non premeditazione”,richiamando il pensiero di Francesco Rubichi,uno degli esponenti più noti del diritto penalenel Mezzogiorno tra Otto e Novecento:

Si ha la premeditazione quando nell’individuosono caduti tutti i venti dello spirito: Quindi nes-suna movenza di passione che alteri i moti dellapropria sensibilità. Invece erano minori degli an-ni 18 e degli anni 21 quando davvero le esorbi-tanze incrinano le normalità della vita e, per lomeno, sono facili agli entusiasmi. Cotesti giovanicantavano per le strade l’inno della loro fede po-litica, che ritenevano incrollabile ed arcisicuradel loro avvenire. L’abbandono a quella malsanaeuforia che è la base di quel movente politico ...Questi giovani partirono con la idea della violen-za, come era costume di tutti i fascisti. Ma nonsi può stabilire, per le predette considerazioni,che essi ebbero il premeditato, esclusivo propo-sito di uccidere. La violenza fu un prodotto dellecircostanze, pronti alla esuberanza giovanile,vollero uccidere il Di Vagno.

Nella sentenza emessa nel capoluogo lucano,sembrò dissolversi nel nulla tutto il contestonon solo politico-sociale e ideologico-cultura-le; mentre assunsero centralità le dinamiche re-lative alle modalità della partecipazione indi-viduale alla sparatoria ed al lancio delle bombe.Il cerchio delle responsabilità si restrinse soloa sette individui e si fissò il grado di imputabi-lità in base all’ età dei partecipanti alla spe -dizione a Mola. Si considerarono, infine, colo-ro che non parteciparono direttamente alla spa-ratoria, rei di “complicità non necessaria”.

Per uno dei principali imputati, TommasoCassano, si giunse infatti a questa valutazione:

egli stava in villeggiatura a Cozze, con la for-tuna di un calesse. Ebbe il torto di recarsi a Molacon i fascisti. In sostanza prestò il suo calesse acostoro, commettendo una di quelle leggerezzeche a volte nella vita sono fatali. Ma oltre di que-sto non si può andare ... Ed allora, nella gammainfinita della cooperazione delittuosa come pre-vista dal Codice Zanardelli, la sua opera rientranell’ipotesi della complicità non necessaria, cheè coperta dall’ amnistia del 22 giugno 1946.

Con analoghe argomentazioni giuridiche siritenne Saverio Tarsia Incuria imputabile di

complicità non necessaria ... perché l’addebitopiù immediato al delitto che gli viene fatto èquello di aver capeggiato una dimostrazione che

Page 3: C sociale 17 7 / 2011 - criticasociale.net · fronte monarchico-conservatore), nonché di un esponente del passato regime che, nel pro-cesso di epurazione, fu patrocinato dallo stesso

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si fece in Conversano ai fascisti, ossia agli attualiimputati, quando vennero am ministrati... Ora èrisultato che egli con altri amici volle salutarliper congratularsi dello scampato pericolo, e dallastazione fece direttamente la strada della sua ca-sa, senza accompagnarsi alla dimostrazione cherisulta neanche pro vata. In ogni caso il delitto erastato consumato; e quindi non può trattarsi di unacooperazione post facto. Rimane il telegrammaa lui diretto da Cerignola, ma neppure questo hauna relazione causale con l’eccidio di Mola...

Anche per il noleggio delle vetture che por-tarono gli squadristi a Mola, la Corte ritenne“che tutto questo non può superare il concettodi una complicità non necessaria, che è copertadall’amnistia?”.

La Corte d’Assise di Potenza scelse, dun-que, una via di mezzo tra la tesi degli avvocatidifensori dell’omicidio preterintenzionale - “sivoleva fare una chiassata per creare il disordi-ne nelle file dei socia listi” - e quella sostenutadall’ accusa dell’ omicidio premeditato e ag-gravato.

Esclusa, dunque, la premeditazione e l’ag-gravante (non fu ucciso per la funzione di de-putato secon do la Corte), furono condannatiper omicidio volontario e le pene variarono da18 anni per i maggio renni, De Bellis Vitanto-nio (unico imputato all’epoca dei fatti di etàsuperiore ai ventuno), a 12 anni per i minoridi anni ventuno, Luigi Lorusso, Vitantonio DeBellis, Angelo Berardi, Natale Pace, Domeni-co Centrone, Riccardo Lofano e Vito OronzoFanelli, inoltre per tutti, escluso il Lorusso,perché latitante, furono condonati 5 anni peramnistia.

Mentre si dichiarò di non doversi procedereper Domenico Ippolito, Alfredo Mele, France-sco de Bellis, Tommaso Cassano, Saverio Tar-sia Incuria, Nicola Lorusso, Donato Lovec-chio, Domenico Lestin gi, Angelo Lorusso perl’estinzione del reato di “complicità non ne-cessaria”, coperto dall’amnistia del 22 giugno1946.

Il quotidiano socialista “Avanti!” all’indo-mani della lettura della sentenza, il l agosto del1947 , assun se la decisione di riprodurre il cli-chè della testata del giornale, del 4 ottobre del1921, e il titolo ad otto colonne con il quale sidenunciavano, all’opinione pubblica italiana,le complicità politiche che erano alla basedell’assassinio del deputato socialista di Con-versano.

Per il giornale socialista “i giudici di Poten-za hanno favorito l’atmosfera assolutorianell’aula ed una generica convinzione di irre-sponsabilità collettiva. Essi hanno condannatoa metà e per metà hanno as solto, hanno esclu-so, ed è questo l’elemento di meditazione piùgrave, la premeditazione. Hanno persino as-solto senza prima giudicare a fondo chi assol-vevano. È stata una sentenza a metà...”.

1948 - LA CORTE DI CASSAZIONETRA L’AMNISTIA TOGLIATTI E LA

CANCELLAZIONE DELLE RESPONSABILITÀ DEL FASCISMO

Esclusa la premeditazione ed aperta la stradaper l’applicazione dell’ amnistia del giugno1946, non fu difficile per la Prima Sezione Pe-nale della Cassazione inserirsi, dopo pochimesi, nell’ atmosfera assoluto ria che aveva ca-ratterizzato tutto l’iter processuale nel capo-luogo lucano, nell’estate del 1947.

L’evoluzione del quadro politico generale,profondamente mutato dopo la rottura dei go-verni di unità nazionale e l’esclusione delle si-nistre dalla coalizione governativa, sembravafavorire questa tendenza. In tutto il periodoconsiderato, la magistratura soprattutto nel

Centro-Sud, disattese le esigenze di giustiziache erano alla base della legislazione specialedel 1944. “Numerose risoluzioni della Cassa-zione - secondo le puntuali ricostruzioni diFranzinelli - rivalutarono personaggi, metodie valori del fascismo ... l’intervento della Cas-sazione andò ben oltre il ristabilimento dellalegge. Le Corti di Assise e poi le Corti d’Ap-pello, spe cie nella Capitale e nell’Italia Cen-tro-Meridionale, accentuarono una deriva as-solutoria indiscriminata.

Il 9 agosto del 1946, Giuseppe Caradonna,noto per aver promosso le azioni più eclatantidello squa drismo pugliese, specializzato nelladistruzione delle Camere del lavoro e delle se-di dei partiti di sinistra, (una squadra partita daCerignola prese parte ai fatti del 30 maggio1921 a Conversano) fu amnistiato dal la sezio-

ne istruttoria della Corte d’Appello di Bari dalreato di “atti rilevanti”; mentre l’impugnazio-ne da parte del procuratore generale che ricor-se in Cassazione fu respinta con “una sbriga-tiva motivazione”.

Sulla stessa lunghezza d’onda, nell’ ottobredi quell’ anno, la Corte d’Appello di Roma di-chiarò estinti per amministra i reati contestatiad Araldo (di) Crollalanza, ai vertici dell’azio-ne di governo e del par tito, negli anni del Re-gime, presidente dell’Opera nazionale Com-battenti, attivo sostenitore delle scelte guerra-fondaie nella seconda metà degli anni Trenta,delle politiche razziali ed infine esponente del-la Repubblica sociale italiana, dove si occupòdell’attività legislativa.

Il nuovo Guardasigilli, illiberale GiuseppeGrassi, noto giurista salentino di formazione li-berale, le gato da vincoli di amicizia a diversiavvocati difensori degli imputati del processoDi Vagno, fu l’estenso re assieme ad Andreottidello schema di un decreto legge del 7 febbra-io1948, n. 48 che dettava “Norme per la estin-zione dei giudizi di epurazione e per la revisio-ne dei provvedimenti già adottati”, al fine diraggiungere una pacificazione generale (nel go-verno unica voce discordante fu quella del mi-nistro degli Esteri Carlo Sforza, repubblicano).

Appare evidente il disegno neo conservatore

di togliere di mezzo la legislazione contro i de-litti fa scisti. Bisogna poi considerare che, a po-che settimane dalla prova elettorale per l’ele-zione del primo Parlamento repubblicano, fuvarato un altro decreto legge il 19 marzo 1948,che ripristinava i benefici di carriera ai membridella milizia. Il decreto Grassi-Andreotti “re-vocò licenziamenti, retrocessioni di qua lifica ecancellazione degli albi professionali dispostenei confronti dei fascisti - in gran parte squa-dristi ed elementi che avevano infierito controgli oppositori - e li reintegrò nel pubblico im-piego col diritto alle mensilità arretrate”.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione,che aveva con diverse sentenze” disinnescatoin vario i reati tipici dello squadrismo e chi siera macchiato di gravi violenze (sino all’omi-cidio) nella fase della lotta per il potere”, emi-

se, inoltre, un verdetto perfettamente in lineacon la tendenza in atto, al fine di estendere almassimo l’amnistia e di cancellare le condan-ne inflitte agli squadristi.

Le sentenze della Cassazione - per MimmoFranzinelli - rivelano un orientamento generalefavorevole ai con dannati; la motivazione dell’ac-coglimento dei ricorsi si basava spesso su sotti-gliezze formali che comportavano ingiustizie so-stanziali, ovvero l’impunità per gravi crimini, Icolpevoli vennero rappresentati per lo più in mo-do positivo, traviati dalle circostanze e sorretti daaspirazioni condivisibili, le vittime rappresenta-vano una presenza scomoda, respinta sullo sfon-do: fantasmi evanescenti, il cui destino dipese dacircostanze imponderabili e di im possibile accer-tamento.

Si legge infatti nel pronunciamento dellaSuprema Corte per il ricorso relativo al pro-cesso Di Vagno: “la Corte ritiene di doversi ac-cogliere quello che tende all’ applicazionedell’ amnistia. La impugnata sentenza ha af-fermato la volontarietà dell’omicidio in perso-na del Di Vagno dilungandosi nella ricerca, di-retta a stabilire chi dei partecipanti sparò colpicontro la vittima, ma non ha speso una parolaper dimostrare la fondatezza della cennata af-

fermazione. Il che porta senza dubbio, all’an-nullamento della pronuncia contenutavi”.

In definitiva i giudici della Cassazione, nel1948, trasformarono la condanna per omicidiovolontario in omicidio preterintenzionale e mo-dificarono la sentenza dei giudici di Potenza.Si stabili, infatti, che la violenza fascista fu unprodotto dell’“esuberanza giovanile” e chel’azione delittuosa, “prodotto delle circostan-ze”, andò ben oltre le intenzioni dell’autore. Aconferma della preterintenzionalità dell’omici-dio i giudici della Suprema Corte sostenneroche lo sparatore era a pochi metri di distanzada Di Vagno e con una conclusione (difformedalla sentenza di Potenza e persino dalle risul-tanze medico legali del 1921 che indicavano leferite dell’addome) si escluse l’intenzione omi-cida perché “l’arma fu diretta verso il basso”.

(Quest’ultima asserzione della Corte di Cas-sazione, appare sconcertante e non supportatada ele menti di fatto. Il prof. Francesco Introna,docente di medicina legale dell’Università diBari, noto per le perizie in importanti processipenali, dopo aver attentamente esaminato larelazione dell’autopsia disposta dall’autoritàgiudiziaria dell’epoca, sostiene che i colpi spa-rati contro l’on. Giuseppe Di Vagno da distan-za ravvicinata e con una traiettoria orizzontale,evidenziano chiaramente la volontà omicida,pur considerando “l’impreparazione tecnica eduna mancata esperienza di chi commise il fe-rimento mortale”).

Nel giudizio definitivo della Corte di Cas-sazione si stabilì che l’autore materiale:

sparò tre colpi contro il Di Vagno, da dietro eperciò nelle migliori condizioni per la sicurezzadella propria persona e della mira; e diresse l’ar-ma verso il basso, tanto da attingere il Di Vagnonella regione lombare e sacrale con due colpi.Ora, se egli sparò nella posizione detta, come haritenuto la sentenza impugnata, appare manife-sto, che non ebbe intenzione omicida, diversa-mente tutti i colpi sarebbero stati posti a segnoed in regione sicuramente tale che i colpi avreb-bero prodotto la morte [...] deve perciò ritenersiche l’omicidio fu preterintenzionale, onde va ap-plicata l’amnistia, e ciò, anche nei confronti dellatitante Lorusso Luigi, il quale si giova del mo-tivo addotto agli altri condannati.

Di fronte a questa incredibile conclusione diun iter processuale così travagliato, tra le rea-zioni più significative, si registrò quella di Gae-tano Salvemini che alcuni anni dopo, in un ar-ticolo per la rivista” il Ponte”, fondata da Ca-lamandrei, dopo aver chiesto una relazione alprocuratore generale di Potenza, descrisse ailettori le modalità dell’ agguato e del brutaleassassinio di Di Vagno, definito dai giudici diTrani nel 1922 “una esplosione di giovinezza”.

Lo storico molfettese ricordò anche l’impu-nità garantita agli assassini con l’amnistia del1922, che passò un colpo di spugna su tutti i de-litti compiuti per “fini nazionali” ed aggiunse:

Inauguratosi il regime postfascista, l’inchiestagiudiziaria fu riaperta. La causa iniziata presso laCorte d’Assise di Bari, competente per territorio,fu rinviata per legittima suspicione alla Corted’Assise di Potenza. Qui i giurati dichiararono laresponsabilità degli imputati con pene varianti dai18 ai 10 anni. A questo punto intervenne la nonmai epurata Corte di Cassazione: esclusa la vo-lontà criminosa (proprio così!), affermò chel’omicidio poteva essere preterintenzionale - voiassalite un uomo a revolverate e a bombe a mano,e se quello muore, l’omicidio potrebbe essere an-che preterintenzionale, - e dichiarò estinto questoreato dall’amnistia Togliatti. Così si tornò allo sta-tus qua del dicembre 1922. s

Vito Antonio Leuzi – Direttore IPSEA

Sidney Sonnino,Ministro degli Esteriitaliano alla Conferenzaper la Pace di Versailles-Parigi nel primo dopoguerra.Disegno caricaturale di Frate Menotti. BNB


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