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Calendario 2016 extra low

Date post: 25-Jul-2016
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Informativa sulla Privacy - Gentile Signora, caro Signore, la rassicuriamo sul fatto che adottiamo ogni cura per gestire correttamente i suoi dati personali. In particolare, la informiamo che, ai sensi dell’Art. 13 del D. Lgs 196/2003, i dati in nostro possesso a Lei riferibili, stampati sia sul bollettino di conto corrente postale, sia sull’etichetta di invio, sono solo i dati di recapito e non vengono, in alcun modo, ceduti o messi a disposizione di terzi e sono custoditi presso il nostro archivio informatico per uso gestionale interno e il relativo invio delle nostre stampe. Lei potrà, nel caso lo ritenga opportuno, segnalarci aggiornamenti o variazioni od opporsi a futuri utilizzi chiedendone la cancellazione, nel rispetto della vigente normativa. Il Responsabile del trattamento dei dati è Matteo Di Nardo, contattabile presso le “Edizioni Frate Indovino - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 Perugia”. Maggiori informazioni relative ai suoi diritti sulla Privacy può trovarle nel nostro sito Internet alla pagina http://www.frateindovino.eu/privacy. Titolare del trattamento dei dati è la Provincia dell’Umbria dei Frati Minori Cappuccini - Filiale Frate Indovino - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 Perugia. FRATE INDOVINO - Perugia: Periodico mensile di cultura popolare e religiosa - Anno LVIII, n. 9 del 1° Settembre 2015 - Tassa riscossa. Taxe Perçue. Gebühr bereits bezahlt - Registraz. Tribunale di Perugia, n. 257-58, n. 11 R. prov. T.I. 1°-7-58 - Poste Italiane spa - “Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – DL. 353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C1/PG/2012”. Direttore Responsabile ai fini di legge: Mario Collarini - Editore: Provincia Umbra FF.MM. Cappuccini - Assisi - Stampa: Cartoedit S.r.l., Città di Castello (PG) - Diffusione Perugia. Produzione letteraria riservata. Vietato plagio e qualsiasi riproduzione - Attestazione di deposito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Servizio Editoria - Associato A.I.E., Milano - Abbonamenti annuali: Ordinario 18,00 - Sostenitore 30,00 - Benemerito 60,00 - 1 copia 2,20. Questo numero 5,00 (IVA assolta dall’Editore). Con l’invio dell’offerta per il Calendario di “Frate Indovino” si autorizzano le successive spedizioni di materiale promozionale-pubblicitario. Se Lei non desidera ricevere altre comunicazioni, segnali le Sue intenzioni e i propri riferimenti a: Frate Indovino - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 PERUGIA, e il Suo recapito sarà cancellato dai nostri archivi. S e siete amici, avete la certezza della reciproca presenza, anche se non vi vedete da tempo. Non ci sono giochi di potere né scopi utilitaristici: solo il de- siderio reciproco che le cose vadano bene. Non c’è sfruttamento, ma disponibilità. Non c’è invidia, ma solidarietà, sempre. Non c’è gerarchia. Non c’è tradimento, mai. Se a un amico scappa una frase cattiva o se ci tradisce in qualche modo, l’amicizia è fi- nita. Ciò che si può accettare nell’amore, non lo si accetta nell’amicizia. Amicizia è un bene prezioso da coltivare, un sen- timento quieto, sereno, limpido, stabile, di fiducia e confidenza, privo di timore. Può nascere condividendo esperienze importanti e/o prolungate, come i tempi di scuola, le guerre, i ricoveri in ospe- dale. Le esperienze comuni possono sostituire anche le affinità psicologi- che e aiutare a non dare importanza a differenze culturali o caratteriali. Può nascere anche per affinità, interessi, ideali comuni. Le amicizie si mettono alla prova nei momenti importanti, sia di successo sia di difficoltà, in cui, anche se non se ne ha la voglia, il senso di responsabilità spinge ad essere concretamente vicini. Come ogni sentimento infatti anche l’ami- cizia diventa talora senso del dovere. Riconosciamo l’amicizia dai fatti; la vita la mette alla prova. Pochissimi sono gli amici e per averne bisogna saper essere tali. E oc- corre saper distinguere l’amicizia dalle co- noscenze, che sono e possono essere tante e che costituiscono il tessuto sociale: ma non la tranquillità del cuore. Amicizia viene dal latino amicitia, derivato da amicus, a sua volta collegato con amare. È un modo di essere: una costante spinta spontanea a desiderare il bene degli altri e a procurarlo. È l’incapacità di voler far male: empatia sia con chi soffre sia con chi è felice. La persona buona è spinta ad aiutare senza giudicare, a incoraggiare, a non comprendere la malvagità, pur ricono- scendola. La persona buona non invidia, non sparla, non crea zizzania, si industria anzi per creare armonia. Divide con chi ha bisogno le proprie cose, spesso lavora gratuitamente, per il bisogno di far del bene, non scende facil- mente a compromessi con la pro- pria coscienza. Ama la vita, propria e altrui. Rispetta gli animali e non ne sopporta la sofferenza. Lo psico- logo Alfred Adler definisce la bontà come un orientamento socialmente positivo di quella tensione ad af- fermarsi che tutti hanno. La bontà richiede forza e certezza di sé: non bi- sogna confonderla con l’indulgenza né con l’incapacità di distinguere fra bene e male. Anche se le persone buone faticano a riconoscere la cattiveria negli altri e sono spesso preda di sfruttamento o truffe, con l‘età e l’esperienza imparano ad essere caute e trattenere l’impulso generoso vagliando a chi lo rivolgono. Bontà non è dire sempre sì o accontentare i capricci degli altri e neppure lasciarsi sfruttare. I buoni sanno dire no ed essere autorevoli. La bontà deve essere tem- perata con la saggezza nel comprendere e giu- dicare, avendo cura di non essere invadenti e di non sostituirsi agli altri, anche se convinti che sia per il loro bene. L a nostra vita si svolge nella condi- visione anche fisica con tutti gli es- seri viventi. Condividiamo la natura, l’aria, l’acqua: tutte le risorse del pianeta. I guai del mondo nascono dalla bramosia che spinge ad appropriarsene, a costo di privarne crudelmente gli altri. Condividiamo il de- stino della morte, l’identicità delle emozioni, i cicli di età e i grandi eventi comuni. Questo aspetto della condivisione è mantenuto dai riti, dalle feste della tra- dizione, dalle manifestazioni. Inoltre dobbiamo condividere il linguaggio quotidiano e in azienda, per creare un buon team, valori ed obiettivi. Abbiamo bisogno di condividere, per non sentirci (né essere) soli, con le persone che per scelta o ne- cessità ci circondano. In questi anni, i confini della comunicazione si sono allargati, mentre sono diminuiti i con- tatti diretti; ma la sete di condivisione è evidente nell’uso spesso spasmodico dei social network, dei cellulari, nello scambio di foto, tutti tentativi di essere presenti e informati in tempo reale, non solo delle notizie di chi ci è caro, ma anche di quelle dal mondo. Cionono- stante, o forse proprio per questo, non tutti sanno davvero condividere. Dividere con un altro, con altri, un’emozione, un evento, uno stato d’animo, un problema, ri- chiede tempo, dedizione da parte di tutti gli interlocutori. Fattori che mal si conciliano con la fretta e la frammentazione che carat- terizza la mente e la giornata di molti. D al greco dià, “attraverso” e lógos, “discorso”, è il con- fronto verbale tra due o più persone per scambiarsi informa- zioni e opinioni, sempre per com- prendere, mai per prevalere. Può avvenire anche in forma scritta, e, oggi, telematica. Come pratica so- ciale, è possibile in società a larga comunicazione. È un modo evoluto di comunicare: impossibile per chi abbia convinzioni immutabili e non accetti pareri o informazioni contra- stanti col suo credo. Il dialogo sot- tende infatti la volontà reciproca di comprendere l’altro; non può esistere se anche uno solo dei partecipanti ha scopi diversi. Ovviamente sottende rispetto per l’interlocutore, capacità di ascoltare e di interpretare i diversi interventi, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente da opinioni discor- danti dalle proprie, né cedere alla tentazione di discutere o di sentirsi offesi: il dialogo è fatto di opinioni, non di prese di posizione o di competizioni personali. Per sostenere un dialogo bisogna avere le idee chiare su cosa si vuol dire, il che non è sempre facile, ma è sempre utile. Si possono educare i bambini al dialogo, ascoltando le loro ragioni, spiegando le proprie. Questo non significa lasciare che decidano loro, ma permettere di esporre motivi che, se validi, possono influenzare le decisioni degli adulti. Molto difficile il dialogo interculturale, quello fra individui e gruppi che hanno origini e pa- trimoni linguistici, culturali, etnici, religiosi differenti: infiniti ostacoli, di cui bisogna es- sere coscienti, lo ostacolano o impediscono. U na giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione perché l’auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello. Ad un incrocio particolarmente affol- lato, la donna ebbe un attimo di in- decisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un’altra macchina. La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? Il conducente dell’al- tra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto. La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone. Cadde fuori un pezzo di carta. In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: «In caso di incidente, ricorda, tesoro, io amo te, non la mac- china!». B. Ferrero, A volte basta un raggio di sole, Elledici, Leumann 1998 L’INCIDENTE O Signore, dammi la serenità di accettare ciò che non posso cambiare. Il coraggio di cambiare ciò che posso cambiare. La saggezza per discernere l’uno dall’altro vivendo un giorno alla volta; assaporando un momento alla volta; accettando le difficoltà come via alla pace. Accettando, come Tu hai fatto, questo mondo pieno di contraddizioni e di angosce, così come è, non come io lo vorrei, fiducioso che Tu mi appianerai la strada se io mi rimetto alla Tua volontà. Che io possa esser sereno in questa vita e infinitamente felice, con te per sempre, in quella futura. in Retrouvaille. Quaderno di lavoro per il post fine settimana 2008, 47 2
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Informativa sulla Privacy - Gentile Signora, caro Signore, la rassicuriamo sul fatto che adottiamo ogni cura per gestire correttamente i suoi dati personali. In particolare, la informiamo che, ai sensi dell’Art. 13 del D. Lgs 196/2003, i dati in nostro possesso a Lei riferibili, stampati sia sul bollettino di conto corrente postale, sia sull’etichetta di invio, sono solo i dati di recapito e non vengono, in alcun modo, ceduti o messi a disposizione di terzi e sono custoditi presso il nostro archivio informatico per uso gestionale interno e il relativo invio delle nostre stampe. Lei potrà, nel caso lo ritenga opportuno, segnalarci aggiornamenti o variazioni od opporsi a futuri utilizzi chiedendone la cancellazione, nel rispetto della vigente normativa. Il Responsabile del trattamento dei dati è Matteo Di Nardo, contattabile presso le “Edizioni Frate Indovino - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 Perugia”. Maggiori informazioni relative ai suoi diritti sulla Privacy può trovarle nel nostro sito Internet alla pagina http://www.frateindovino.eu/privacy. Titolare del trattamento dei dati è la Provincia dell’Umbria dei Frati Minori Cappuccini - Filiale Frate Indovino - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 Perugia.

FRATE INDOVINO - Perugia: Periodico mensile di cultura popolare e religiosa - Anno LVIII, n. 9 del 1° Settembre 2015 - Tassa riscossa. Taxe Perçue. Gebühr bereits bezahlt - Registraz. Tribunale di Perugia, n. 257-58, n. 11 R. prov. T.I. 1°-7-58 - Poste Italiane spa - “Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – DL. 353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C1/PG/2012”. Direttore Responsabile ai fini di legge: Mario Collarini - Editore: Provincia Umbra FF.MM. Cappuccini - Assisi - Stampa: Cartoedit S.r.l., Città di Castello (PG) - Diffusione Perugia. Produzione letteraria riservata. Vietato plagio e qualsiasi riproduzione - Attestazione di deposito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Servizio Editoria - Associato A.I.E., Milano - Abbonamenti annuali: Ordinario € 18,00 - Sostenitore € 30,00 - Benemerito € 60,00 - 1 copia € 2,20. Questo numero € 5,00 (IVA assolta dall’Editore). Con l’invio dell’offerta per il Calendario di “Frate Indovino” si autorizzano le successive spedizioni di materiale promozionale-pubblicitario. Se Lei non desidera ricevere altre comunicazioni, segnali le Sue intenzioni e i propri riferimenti a: Frate Indovino - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 PERUGIA, e il Suo recapito sarà cancellato dai nostri archivi.

Se siete amici, avete la certezza della reciproca presenza, anche se non vi vedete da tempo. Non ci sono giochi

di potere né scopi utilitaristici: solo il de-siderio reciproco che le cose vadano bene. Non c’è sfruttamento, ma disponibilità. Non c’è invidia, ma solidarietà, sempre. Non c’è gerarchia. Non c’è tradimento, mai. Se a un amico scappa una frase cattiva o se ci tradisce in qualche modo, l’amicizia è fi -nita. Ciò che si può accettare nell’amore, non lo si accetta nell’amicizia. Amicizia è un bene prezioso da coltivare, un sen-timento quieto, sereno, limpido, stabile, di fi ducia e confi denza, privo di timore. Può nascere condividendo esperienze importanti e/o prolungate, come i tempi di scuola, le guerre, i ricoveri in ospe-dale. Le esperienze comuni possono sostituire anche le affi nità psicologi-che e aiutare a non dare importanza a differenze culturali o caratteriali. Può nascere anche per affi nità, interessi, ideali comuni. Le amicizie si mettono alla prova nei momenti importanti, sia di successo sia di diffi coltà, in cui, anche se non se ne ha la voglia, il senso di responsabilità spinge ad essere concretamente vicini. Come ogni sentimento infatti anche l’ami-cizia diventa talora senso del dovere.

Riconosciamo l’amicizia dai fatti; la vita la mette alla prova. Pochissimi sono gli amici e per averne bisogna saper essere tali. E oc-corre saper distinguere l’amicizia dalle co-noscenze, che sono e possono essere tante e che costituiscono il tessuto sociale: ma non la tranquillità del cuore. Amicizia viene dal latino amicitia, derivato da amicus, a sua volta collegato con amare.

È un modo di essere: una costante spinta spontanea a desiderare il bene degli altri e a procurarlo. È l’incapacità di

voler far male: empatia sia con chi soffre sia con chi è felice. La persona buona è spinta ad aiutare senza giudicare, a incoraggiare, a non comprendere la malvagità, pur ricono-scendola. La persona buona non invidia, non sparla, non crea zizzania, si industria anzi per creare armonia. Divide con chi ha bisogno le proprie cose, spesso lavora gratuitamente, per il bisogno di far del bene, non scende facil-mente a compromessi con la pro-pria coscienza. Ama la vita, propria e altrui. Rispetta gli animali e non ne sopporta la sofferenza. Lo psico-logo Alfred Adler defi nisce la bontà come un orientamento socialmente positivo di quella tensione ad af-fermarsi che tutti hanno. La bontà richiede forza e certezza di sé: non bi-sogna confonderla con l’indulgenza né con l’incapacità di distinguere fra bene e male. Anche se le persone buone faticano a riconoscere la cattiveria negli altri e sono spesso preda di sfruttamento o truffe, con l‘età e l’esperienza imparano ad essere caute

e trattenere l’impulso generoso vagliando a chi lo rivolgono. Bontà non è dire sempre sì o accontentare i capricci degli altri e neppure lasciarsi sfruttare. I buoni sanno dire no ed essere autorevoli. La bontà deve essere tem-perata con la saggezza nel comprendere e giu-dicare, avendo cura di non essere invadenti e di non sostituirsi agli altri, anche se convinti che sia per il loro bene.

La nostra vita si svolge nella condi-visione anche fi sica con tutti gli es-seri viventi. Condividiamo la natura,

l’aria, l’acqua: tutte le risorse del pianeta. I guai del mondo nascono dalla bramosia che spinge ad appropriarsene, a costo di privarne crudelmente gli altri. Condividiamo il de-stino della morte, l’identicità delle emozioni, i cicli di età e i grandi eventi comuni. Questo aspetto della condivisione è mantenuto dai riti, dalle feste della tra-dizione, dalle manifestazioni. Inoltre dobbiamo condividere il linguaggio quotidiano e in azienda, per creare un buon team, valori ed obiettivi. Abbiamo bisogno di condividere, per non sentirci (né essere) soli, con le persone che per scelta o ne-cessità ci circondano. In questi anni, i confi ni della comunicazione si sono allargati, mentre sono diminuiti i con-tatti diretti; ma la sete di condivisione è evidente nell’uso spesso spasmodico dei social network, dei cellulari, nello scambio di foto, tutti tentativi di essere presenti e informati in tempo reale, non solo delle notizie di chi ci è caro, ma anche di quelle dal mondo. Cionono-stante, o forse proprio per questo, non

tutti sanno davvero condividere. Dividere con un altro, con altri, un’emozione, un evento, uno stato d’animo, un problema, ri-chiede tempo, dedizione da parte di tutti gli interlocutori. Fattori che mal si conciliano con la fretta e la frammentazione che carat-terizza la mente e la giornata di molti.

Dal greco dià, “attraverso” e lógos, “discorso”, è il con-fronto verbale tra due o più

persone per scambiarsi informa-zioni e opinioni, sempre per com-prendere, mai per prevalere. Può avvenire anche in forma scritta, e, oggi, telematica. Come pratica so-ciale, è possibile in società a larga comunicazione. È un modo evoluto di comunicare: impossibile per chi abbia convinzioni immutabili e non accetti pareri o informazioni contra-stanti col suo credo. Il dialogo sot-tende infatti la volontà reciproca di comprendere l’altro; non può esistere se anche uno solo dei partecipanti ha scopi diversi. Ovviamente sottende rispetto per l’interlocutore, capacità di ascoltare e di interpretare i diversi interventi, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente da opinioni discor-danti dalle proprie, né cedere alla tentazione di discutere o di sentirsi offesi: il dialogo è fatto di opinioni, non di prese di posizione o di competizioni personali. Per sostenere un dialogo bisogna avere le idee chiare su

cosa si vuol dire, il che non è sempre facile, ma è sempre utile. Si possono

educare i bambini al dialogo, ascoltando le loro ragioni, spiegando le proprie. Questo non signifi ca lasciare che decidano loro, ma permettere di esporre motivi che, se validi, possono infl uenzare le decisioni degli adulti. Molto diffi cile il dialogo interculturale, quello fra individui e gruppi che hanno origini e pa-trimoni linguistici, culturali, etnici, religiosi differenti: infi niti ostacoli, di cui bisogna es-sere coscienti, lo ostacolano o impediscono.

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione

perché l’auto che stava usando era nuova fi ammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.Ad un incrocio particolarmente affol-lato, la donna ebbe un attimo di in-decisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un’altra macchina. La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il

danno al marito? Il conducente dell’al-tra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone. Cadde fuori un pezzo di carta. In una decisa calligrafi a maschile vi erano queste parole: «In caso di incidente, ricorda, tesoro, io amo te, non la mac-china!».

B. Ferrero, A volte basta un raggio di sole,

Elledici, Leumann 1998

L’INCIDENTE

O Signore, dammi la serenità di accettareciò che non posso cambiare.Il coraggio di cambiare ciò che posso cambiare.La saggezza per discernere l’uno dall’altrovivendo un giorno alla volta;assaporando un momento alla volta;accettando le diffi coltà come via alla pace.Accettando, come Tu hai fatto,questo mondo pieno di contraddizioni e di angosce, così come è, non come io lo vorrei,fi ducioso che Tu mi appianerai la stradase io mi rimetto alla Tua volontà.Che io possa esser sereno in questa vitae infi nitamente felice, con te per sempre, in quella futura.

in Retrouvaille. Quaderno di lavoro per il post fi ne settimana 2008, 47

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A16_Indovino_Extramensili_luca ok.indd 1A16_Indovino_Extramensili_luca ok.indd 1 12/05/15 17:0312/05/15 17:03

Page 2: Calendario 2016 extra low

Carissimi amici,archiviato anche il Calendario 2015, quello del 70esimo, tanto per in-

tenderci, eccomi subito pronto a sfogliare con voi il nuovo Calendario Frate Indovino 2016, per regalarvi, come suggerisce il nostro Poeta, “un raggio di luce, un pizzico di saggezza, un grammo di bontà, un sorso di buonumore”.

Per presentarvi il tema di quest’anno voglio partire un po’ da lontano, dal fatto, cioè, ormai non più una novità, che l’uomo di oggi, al di là delle sue conquiste ed ostentate sicurezze, è profondamente ansioso, solo ed insi-curo. È questa una considerazione che sta emergendo sempre con maggiore evidenza. Alcune sono le paure di sempre, motivate da pericoli reali, incom-benti; altre, sempre più frequenti, motivate da sensazioni vaghe, remote; altre del tutto irreali o improbabili, ma che insieme hanno fi nito per minare la fi ducia negli altri, spargere diffi denza e farci chiudere in noi stessi. Mi hanno colpito le parole pronunciate da Papa Francesco nel suo memorabile discorso al Parlamento Europeo di Strasburgo (25.11.2014): “Una delle ma-lattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine”!

Nonostante l’urbanizzazione dissennata del secolo XX, nonostante la globalizzazione, nonostante la proliferazione e il perfezionamento degli stru-menti di comunicazione di massa che consentono forme di reciproca pre-senza praticamente ormai senza limiti di spazio e di tempo, non riusciamo a scrollarci di dosso, noi uomini dell’avviato terzo millennio, lo spettro della paura e della solitudine.

Da che cosa dipende? Che cosa abbiamo sbagliato? Che cosa ci manca? Non sarà che la nostra eccessiva fi ducia in noi stessi ci ha giocato brutti scherzi? Non sarà che abbiamo preteso da noi stessi una consistenza, una solidità esistenziale che non abbiamo? O forse ci siamo dimenticati di appar-tenere a due città in contiguità l’una con l’altra, ma diverse: quella terrestre prima e quella celeste poi? Mi sono ricordato di un aneddoto intitolato Orme sulla sabbia, conosciuto anche come Anonimo brasiliano; un aneddoto che parla di una presenza infi nitamente buona e misericordiosa che non ci lascia mai, ed ho pensato di proporvelo come tema del Calendario di quest’anno, nella certezza che possa esservi di aiuto nei momenti più diffi cili della vita.

Approfi tto per ringraziare il Maestro Severino Baraldi per le splendide immagini e quanti in qualche modo hanno contribuito alla realizzazione di questo nostro 71esimo Calendario.

Un augurio vivissimo di “Pace e Bene” a tutti voi. Vostro

Frate Indovino

L’empatia (dal greco én “dentro”e un derivato di páthos “sentimento”) è la capacità di sentire immediata-

mente lo stato d’animo di altri, sperimen-tandolo come proprio, indipendentemente da simpatie o antipatie. L’empatia si sviluppa dalla nascita, nella relazione del neonato con l’adulto, prima che compaia il linguaggio: esistono sistemi neuronali – i neuroni spec-chio – che si attivano rifl ettendo le emozioni degli altri. Va però educata; un ambiente anaffettivo, poche relazioni emotive, l’iso-lamento del bambino piccolo, l’eccessiva esposizione al virtuale, possono bloccare lo sviluppo dell’empatia, con conse-guenze gravi dal punto di vista affettivo e dei rapporti sociali. È chiaro che una persona empatica faticherà a far sof-frire, sarà portata ad aiutare, co-municherà facilmente. Mantenere viva da adulti la capacità em-patica richiede quindi una personalità ben strutturata e una buona confidenza con le proprie emozioni; non bisogna infatti per-dersi nelle emozioni al-trui, pur sentendole. È un elemento fondamentale in tutte le professioni di servi-zio (insegnamento, medicina) e nelle posizioni di comando,

oltre che nelle relazioni affettive e quotidiane. L’empatia stabilisce un contatto immediato e profondo che nessuna parola può realizzare; le relazioni virtuali, dai messaggi ai social network, la escludono e le comunicazioni telefoniche la riducono moltissimo. Questa è una delle ragioni per cui tali rapporti sono poco reali e verifi cabili e inducono a un’af-fettività apparente, priva di sostanza reale.

La fi ducia rappresenta le nostre aspet-tative favorevoli. Aver fi ducia si-gnifi ca credere: in una persona,

istituzione, impresa. O in ciò che ci riserva il futuro, aspettandosi del buono da qualcuno o qual-cosa anche contro l’evidenza, la sfortuna, l’assenza. La più frequente fi ducia è rivolta agli altri. Credere che siano onesti, leali, che vogliano il nostro bene, che non ci tradiranno mai. La fi ducia rende sacri un patto, una promessa, un impe-gno, sigilla un contratto con una stretta di mano. Di solito è pro-pria dei bambini e dei giovani e va decrescendo con l’esperienza. Quando ci si rende conto che l’in-ganno può nascondersi inaspettato, si di-venta più cauti e si inizia a dare fi ducia solo a chi ha dimostrato di meritarsela. Alcuni non reggono alle disillusioni e perdono del tutto la capacità di fi darsi; la loro vita diventa triste, uno stato di perenne allerta che allon-tana anche chi la fi ducia se la merita, e dal sospetto si sente insultato. La fi ducia dei cit-tadini verso le istituzioni è fondamentale per uno Stato; quando viene meno, questi non hanno più voglia di lavorare per uno Stato che sentono lontano, assente, indifferente,

addirittura nemico; viene così meno anche ciò che li unisce. Anche in un’azienda, se non si ha fi ducia nel capo, ci si demotiva e non si tiene più al suo sviluppo. Ma la fi ducia più importate è quella in se stessi: sapere di poter contare su di sé, sulle proprie capacità, sul proprio giudizio, fa affrontare la vita con forza e superare gli ostacoli con determina-zione affrontando sconfi tte e imprevisti.

Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e ri-vedevo sullo schermo del cielo

tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso appari-vano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore.Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma. Proprio nei giorni più diffi cili della mia vita. Allora ho detto: «Si-gnore, io ho scelto di vivere con te

e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti diffi cili?».E lui mi ha risposto: «Figlio, tu lo sai che ti amo e non ti ho abbandonato mai: i giorni nei quali c’è soltanto un’orma nella sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio».

Novella tratta da Internet

ECCO FRATE INDOVINO 2O16

La gioia è un modo di essere, una meta spirituale, una saggezza lieta che non tutti raggiungono. È una visione posi-

tiva dell’esistere che rende sereni e prescinde da avvenimenti ed emozioni. Va distinta dall’allegria, transitorio stato d’animo fe-stoso, e dalla felicità, picco rapido esultante. È possibile educare ed educarci alla gioia: un ambiente dove l’allegria abbia il suo posto fi sso, e siano previsti attimi di felicità, predispone a un modo di essere gioioso. Illuminante l’eti-mologia delle parole: gioia-giallo-gioco-jolly che hanno la stessa radice e contengono i signifi -cati di creatività (giallo), gratuità (gioco), uscita dagli schemi (jolly). So-prattutto, libertà: il jolly, quello della storia, il buf-fone, era l’unico a poter dire la verità ai potenti, tra frizzi e lazzi. La persona ricca di gioia non è dominabile. Non a caso i regimi dittatoriali proibiscono le opere d’arte, dalla musica alla poesia, il sapere, la libertà di azione e pensiero. Proibiscono l’individua-lità perché ne hanno paura. Anche nelle

“Siate misericordiosi, com’è miseri-cordioso il Padre vostro celeste”, è l’esortazione di Gesù. (Lc 6,36). La

misericordia è da assumere e da vivere come comandamento dell’amore fraterno. Nel lin-guaggio corrente, la misericordia è identifi -cata con la compassione o il perdono: una visione valida, ma riduttiva. Misericordia è il cuore di un padre (Dio) o di un fratello (Gesù); è la tenerezza sulle fragilità dell’uomo, chia-mato a sua volta a mostrarsi misericordioso verso il prossimo. Dio si presenta come difensore del povero, della vedova e dell’orfano, dei più indifesi, degli ultimi, con accenti continui di umanità. Lo vediamo bene nella commozione di Gesù per il fi glio unico di una vedova che veniva portato al sepolcro; per Lazzaro o per il ser-vo del centurione o, ancora, per la fi glia già morta di Giairo, “per la folla che lo segue di-menticando persino di mangiare”.Con Gesù la misericordia diventa un valore universale. “La pietà dell’uomo è per il suo prossimo, la pietà di Dio è per ogni carne” (Sir 18,12).

“Siate misericordiosi...“Tutti, nelle vesti di peccatori, possono bene-fi ciare della misericordia: “Dio ha racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza per usare a tutti misericordia” (Rom 11,32). Ecco allo-ra il suggello più alto: “Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro”, che diventa condizione essenziale per entrare nel regno dei cieli. Saremo giudicati in virtù del-la misericordia che avremo esercitato verso i bisognosi: “Avevo fame…, avevo sete…, ero nudo…”, nei quali si muove Gesù stesso (Mt 25, 31-46). Nella Bibbia spesso si sente parlare della Giustizia di Dio. Questo termine non va inteso nel signifi cato di capacità punitiva di Dio. Per quel signifi cato la Bibbia usa un altro termine, la collera di Dio. Quando la Bibbia parla di Giustizia di Dio si riferisce alla misericordia di Dio, perché Dio è amore e quando agisce mosso da giustizia lo fa secondo la sua natu-ra, quindi con amore e misericordia. Si dice pertanto che in Dio non c’è giustizia senza amore. E nel cuore di Dio, la misericordia è amore che trabocca.

famiglie e nei gruppi di lavoro un “capo” può proibire la gioia, per tenere in pugno i sottoposti; paga il suo potere con l’odio che lo circonda: l’amore deriva dalla gioia, è l’esplosione del gesto creativo. A illuminare il cammino verso la gioia sono la speranza e il coraggio: la voglia di mantenere vivo il senso della bellezza e della sacralità della vita, contro ogni proibizione.

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L’umorismo permette di distan-ziarsi razionalmente dagli eventi e smitizzarli fi no

a riderci (o sorriderci) sopra, permette di esserne poco emo-tivamente coinvolti, di sentirli di scarsa importanza. È la capa-cità di vedere l’aspetto incon-gruente e divertente di persone e situazioni, anche in sé molto spiacevoli. Lo humor è un tocco raffi nato e birichino di acquerello che coglie e isola un aspetto della realtà e, scorporandolo dagli altri, rende il tutto divertente. Lo humor non comprende ostilità e neppure ironia, non volgarità né beffa: è un gioco sottile, ve-loce e un po’ poetico. Non tutti hanno la capacità di esprimerlo né di coglierlo: per questo bisogna innanzitutto intuire come i contrari coesistano sempre in tutto ciò che è umano. Scoprendo ad esempio l’aspetto comico di momenti tristi e quello tragico di momenti allegri, quello saggio della follia e quello folle della saggezza, quello buffo in persone solenni e quello serio in chi pare superfi ciale. Si rammenta con un tocco di humor come non sia tutto da prender sul serio, si ricorda con levità la caducità,

La capacità di stare insieme è uno dei cardini della società. Stare insieme, anche per un

periodo limitato di tempo, vuol dire superare il narcisismo che vede in se stessi il centro del mondo, per convivere con altre persone diverse da noi, con cui condividiamo un mo-mento della vita. L’intollerante rifi uta lo stare insieme e viene a sua volta espulso dal gruppo. Il leader può favo-rire lo stare insieme degli altri, ponendo le regole della convivenza, ma ne paga lo scotto restando solo, perché su un piano diverso da quello degli altri. L’essere umano ha bisogno di essere insieme ad altri: ci si sente e si è più forti se si fa parte di un gruppo e maggiore è la necessità di condivisione, più stabile diviene lo stare insieme. Condizione di base è il rispetto dell’individuo da parte del gruppo, e delle regole del gruppo da parte dell’individuo, altrimenti nascono ribellione e disarmo-nia. E allora l’insieme è rotto. La buona famiglia è un esempio: si vive e cresce in-sieme in un patto di solidarietà e fedeltà che continua nel tempo, nonostante i contrasti inevitabili. La sicurezza che ne deriva resta per tutta la vita. Chi non sa stare insieme è

Tutti abbiamo in mente il famoso verso di Dante: “Libertà va cercando, ch’è sì cara, come

sa chi per lei vita rifi uta”. Libertà è anelito di dignità, un valore che non ha prezzo. Libertà è la possibilità di decidere le proprie azioni senza costrizioni: esprimere i propri pen-sieri, scegliere la propria vita, dal matrimonio agli studi agli sposta-menti all’abbigliamento. Libertà è rispetto di sé e degli altri. La libertà umana è sempre relativa, perché dalla nascita abbiamo molti vincoli, come l’a-spetto fi sico, la famiglia, la salute. Ma in uno Stato libero possiamo modifi care il nostro rapporto con questi vin-coli, scegliendo come viverli. La libertà è il bene cui tutti i popoli sog-getti a tirannie aspirano, e la sua privazione è la peggiore delle torture. Bisogna però sa-perla usare, nel rispetto di quella degli altri. Le nostre scelte vanno fatte senza violare la libertà altrui, nell’equilibrato e consape-vole alternarsi di diritti e doveri. Il diritto alla libertà, che nella nostra cultura appare scontato, è invece una conquista da cui larga parte del mondo è ancora esclusa. È stata sancita nella seconda metà del ’900 nella Di-chiarazione universale dei diritti dell’uomo, che afferma il diritto di tutti allo sviluppo

La mitezza è una grande virtù e non va assolutamente confusa con la sotto-missione: è piuttosto gentilezza

d’animo ed esprime il desiderio di smussare i confl itti, la violenza, l’intolleranza, l’agitazione. Gra-zie alla mitezza possiamo sop-portare con pazienza e coraggio eventi spiacevoli e persone moleste o aggressive, accettando con animo tranquillo l’inestirpabile male quo-tidiano. La persona mite si allon-tana da chi è prepotente, non dà peso alle provocazioni, mantiene la calma e controlla bene i suoi impulsi; può essere, come soste-neva Gandhi, la più forte. Il mite non dà al violento la soddisfazione di vincere, perché generalmente non combatte. La persona mite attende pazientemente e la-vora in silenzio. I latini dicevano: “Solve et repete” (prima paga e poi richiedi, quando hai ingiustamente pagato). Questo può essere scambiato per passività: il mite non si getta nella mischia, la osserva e sa che fi nirà. Ha la forza delle betulle, che si piegano e non si spezzano. La persona mite è piacevole e può passare inosservata, perché non crea disac-cordi o contrasti; in questo modo può essere

più incisiva di altri, passionali e impulsivi, proprio perché il suo intervento è gentile, mai polemico. “Beati i miti, perché erediteranno la terra” (Matteo 5,5). In queste parole, miti sono i nonviolenti, che sanno perdonare e lavorare per la riconciliazione. Il mite ha il controllo di sé, ha potere su se stesso, mantiene la propria calma e serenità assai più degli altri: non anela a beni materiali, non lotta per il potere, non si intestardisce nel far prevalere le proprie idee. Ama la vita per quello che è ed è disponibile agli altri che accetta così come sono.

“Noi” è un insieme di persone che condividono uno stato: “noi”, quelli della stessa scuola, o

partito, fede, famiglia... Noi del gruppo WhatsApp. Noi come squadra. Anche in un vagone di treno si delinea un temporaneo “noi”, che tale deve restare fi no all’ar-rivo, perché il tempo scorra piacevole. Ognuno può far parte di tanti “noi” diversi anche nella stessa giornata: noi, è un gruppo come soggetto, in cui ognuno accetta le regole che permettono una convivenza gradevole e priva di incidenti. Per far parte di un “noi” è im-portante comprendere queste regole e adeguarvisi serenamente, senza ribellioni adolescenziali e senza vo-lersi distinguere accentrando l’attenzione e disturbando l’armonia. Ogni “noi” è di-verso dai tanti “io” che lo compongono e si relaziona con “voi” secondo le proprie caratteristiche, in cui quelle individuali si annullano se disturbanti e si valorizzano se utili alla comunità, esprimendosi in diversi ruoli, rendendo il gruppo coeso e variegato. Di fatto, questo è assai diffi cile da realizzare. È facile che si creino dei “noi contro” , che coincidono con altri noi “pro” qualcosa. Ma ci sono dei “noi” puramente affettivi, noi per

AFORISMI SULLA SERENITÀ ✿ Serenità è la più bella e melodica tra tutte

le parole, e il semplice atto di pronun-ciarla induce uno stato d’animo sereno. (N.V. Peale)

✿ Con mente serena si ponderino le possibi-lità e le impossibilità di un’impresa; l’ele-fante che si scaglia contro una rupe, rie-sce solo a rompersi le zampe. (Anonimo)

✿ Non aver fretta a rispondere: il mandorlo, che fi orisce prima di tutti gli alberi, è l’ultimo a dare i frutti. Sii come il fi co, che rinverdisce per ultimo, benché il suo frutto venga mangiato per primo. (Libro di Anikar)

✿ Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita ben usata dà lieto morire. (Leonardo da Vinci)

✿ La serenità è essere accanto a qualcuno e capirsi senza parlare.

(Anonimo)

✿ Ogni cuore anela ad un altro cuore al quale congiungersi per gustare la vita nella sua tranquillità e nelle sue benedizioni, o per dimenticare della vita le pene. (K. Gibran)

✿ Le vere lezioni spirituali della vita si com-prendono quando siamo tranquilli e in pace con la nostra anima.(R. Rathbun)

✿ Nutri la tua mente con pensieri rasse-renanti. Per avere una mente ricolma di Pace, basta riempirla di Pace. È la cosa più semplice che ci sia. (N.V. Peale)

✿ La serenità è dietro l’angolo, dove non ri-esci a vederla nascosta, ma l’hai a portata di mano: basta chiudere gli occhi, dimen-ticare il passato, abbandonarsi a ciò che il destino riserva. (Anonimo)

✿ La capacità di godere delle piccole gioie, innata in tutti gli uomini, è basata su pre-supposti che nella vita moderna si sono andati atrofi zzando o perdendo: ossia una buona dose di serenità, amore e poesia. (Anonimo)

✿ Chi ha la coscienza tranquilla se ne ride delle chiacchiere della gente. (Ovidio)

✿ Vivere in completa serenità è facoltà concessa all’anima, purché l’anima sia indifferente di fronte a ciò che è indiffe-rente. (Marco Aurelio)

l’imperfezione umana, la relatività di tutto, all’unico scopo di condividere la compren-sione della vita, rendendola più sopporta-bile. Molti, privi del senso di humor, cadono nell’umorismo involontario: dicono o fanno qualcosa di cui tutti ridono, e il loro stupore suscita ancor più ilarità. Ricordiamocelo: un po’ di humor aumenta le endorfi ne, molecole del benessere, e infl uisce positivamente sul sistema immunitario!

purtroppo condannato alla solitudine, non voluta ma subita, che è una triste condizione. Dovremmo imparare ad abbattere molte bar-riere di egoismo, di “cose” che dividono e allontanano, di egocentrismo e autoreferen-zialità che isolano. Stare insieme è accettare gli altri come sono, con le qualità e i difetti che abbiamo a nostra volta. Alla tentazione dei muri dobbiamo preferire la scelta dei ponti che uniscono e creano incontri.

noi. Sono la coppia, la famiglia, la comunità religiosa. C’è un gran bisogno che all’inva-denza e alla prepotenza dell’io sostituiamo il più coinvolgente e armonico noi. Le con-vergenze nel noi, se non sono ben costruite, spesso scricchiolano o franano, ma se “ten-gono”, sono trascinanti. Certo non è facile traghettarsi dall’io al noi. Eppure, vivere in questo noi, da cui si esce ogni giorno per andare a interpretare io e noi diversi, sapendo che alla sera ci si ritorna a pigliar pace e ristoro, è una ricchezza impagabile.

della persona e alla partecipazione all’or-ganizzazione politica economica e sociale del Paese. A livello personale, la capacità di gestire la libertà è legata a uno sviluppo equilibrato della personalità. Libertà richiede consapevolezza, capacità di decisione, forza di rinunciare a un piacere immediato per se-guire un progetto a lunga scadenza. Spesso la si confonde con il rifi uto di ogni regola o con la licenza sfrenata di rischiare in sport estremi e in eccessi di ogni genere, di cui si fi nisce però col restare vittime o schiavi.

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gni anno il nostro Calenda-rio ripropone questa pagina, detta “Pagina delle Opere”, dove sono presentate bre-

vemente le opere di bene che Frate In-dovino realizza con le vostre offerte, carissimi amici e benefattori. Si tratta di progetti importanti, messi in opera sia in Italia che in territori di Missione, alcuni dei quali consistono in opere che una volta realizzate (es. una chiesa, un ponte, un pozzo artesiano…) non hanno bisogno poi di un accompagnamento particolare; ce ne sono altre, invece, quali la formazione, la scuola, l’approv-

vigionamento giornaliero che, una volta avviate, hanno bisogno di essere seguite di continuo con personale e mezzi. Qual-cosa che ad una lettura poco attenta po-trebbe dare l’impressione di realizzazioni trite e ripetitive, e invece assicurano una vita dignitosa a tante persone.Quest’anno vorrei affrontare il problema da una prospettiva diversa, partendo, cioè, da questa crisi economica che ci ha colpiti all’improvviso, tenendoci sospesi a lungo sull’orlo del baratro. Una volta le povertà avevano una provenienza palese, scontata: calamità naturali, eventi disa-strosi, malattie, schiavitù, guerre… Oggi

molte povertà sono oscure, imprevedibili, si innescano in modo subdolo, nascosto e capovolgono di punto in bianco la vita di intere famiglie e di intere collettività. Questa crisi ci ha fatto toccare con mano quanto siano deboli i sistemi monetari e vulnerabili i programmi informatici; quanto sia lento (o restio?, o incapace?) il mondo economico a mettersi al passo con il mondo reale, con i suoi ritmi vor-ticosi; quanto sia miope snaturare gli an-tichi istituti di risparmio, trasformandoli in istituti di speculazione fi nanziaria. E abbiamo rafforzato la convinzione, ove ce ne fosse stato bisogno, di quanto sia

necessario agire nella collettività, con e per la collettività, e non servirsi in modo parassitario di essa. Ancora una volta abbiamo dovuto ripeterci che o si ritorna al “Noi”, mettendo da parte l’ “Io”, o non si andrà molto lontano. Non c’è da illudersi: o si rema di comune accordo, o si affonda tutti insieme. Questo è quanto Frate Indovino si sta sforzando di far comprendere e, nelle sue possibilità, di realizzare. Visto in questa prospettiva, sostenere, aiutare, collaborare con Frate Indovino può avere il suo signifi cato e la sua importanza.

Vostro Frate Indovino

SPIGOLANDO❁ Per fare grandi cose bisogna aver fatto bene le pic-

cole. (Roberto Gervaso)

❁ Non c’è bastone che possa far ragliare un asino con-tro la sua volontà. (Cervantes)

❁ Non è saggio consumare due candele per cercare un ago. (Proverbio)

❁ L’errore di un istante può diventare il tormento di tutta una vita. (Catone)

❁ Al dilagare del male è grave mancanza rimanere neu-trali. (Detto proverbiale)

❁ Ricordati che non devi far trionfare te stesso, ma la verità. (Sébastien-Roch de Chamfort)

❁ La voce del buonsenso non ti inganna mai. (R. Bagnis)

❁ Chi vuol cambiare il mondo, cominci da se stesso. (Proverbio)

❁ Se tutto l’anno fosse fatto di giorni festivi, il divertirsi risulterebbe terribilmente noioso. (W. Shakespeare)

❁ La menzogna si beve una volta sola. (Detto tuareg)

❁ Se sei amico dell’orso tieni vicino una scure. (Detto proverbiale)

❁ Il perdono non cambia il passato, ma apre il futuro. (Paul Boese)

❁ Avere un posto nel cuore di qualcuno signifi ca non essere mai soli. (R. Battaglia)

❁ Bisogna sentire la mano di Dio sulla nostra spalla, per essere la Sua mano sulla spalla degli altri.

(Ph. Zeissig)

Caro fi glio,se un giorno mi vedrai vecchio, se mi vedrai sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso io a insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere... ascoltami. Quando eri piccolo dovevo raccontarti, ogni sera, la stessa storia, fi nché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare... ricordati quando dovevo correrti dietro, inventando delle scuse, perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo neces-sario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico. Ho avuto tanta pazienza ad insegnarti l’abc. Quando, a un certo punto, non riesco a ricordare o perdo il fi lo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare. E se non ci riesco, non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere con te e averti lì che mi ascolti.

Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo, non trattarmi come se fossi un peso, vieni ver-so di me con le tue mani forti, nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te, quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età a volte non si vive, si sopravvive soltanto. Un giorno scoprirai che, nonostante i miei errori, ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pa-zienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiuta-mi a fi nire i miei giorni con amore e pazienza. In cambio io ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo fi glio mio.

Il tuo papà

Può sembrare strano, ma in Italia, da qualche anno, l’emigrazione è in forte ripresa. Secondo il rapporto

AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’E-stero) dell’ISTAT, l’anno 2010 ha segnato l’espatrio di oltre 40 mila nostri connazio-nali; il 2011 di altri 60 mila, il 2012 ancora di 78 mila, per giungere, nel 2013 a 94 mila unità annue.Il fenomeno interessa più gli uomini (56,3%) che le donne, i non sposati (60%) più che i coniugati (34,3%) e soprattutto i giovani tra i 25 e i 40 anni (60%). Com-plessivamente, a tutto il 2013, l’AIRE re-gistra, tra vecchi e nuovi, 4.482.115 italiani residenti all’estero. Le rotte migratorie rimangono quelle tra-dizionali (come l’Argentina), ma se ne stanno aprendo anche di nuove (es.: il Bra-sile e l’Oriente), mentre l’Europa (con il Regno Unito, la Germania, la Svizzera e la Francia) continua ad esercitare una forte attrazione. L’identikit dell’attuale migrante

italiano tracciato dalla Fondazione Mi-grantes, ha un’età media di 34 anni, cerca lavoro (72%) o parte per motivi di studio (24%).A fi anco di questo prototipo si sta deline-ando la fi gura del pensionato “povero” che espatria verso Paesi a basso reddito per ri-uscire a sbarcare il lunario in santa pace con la propria pensioncina; e il pensionato “ricco” in cerca di lidi dove può godersi la sua pensione al meglio, grazie al basso costo della vita. Se si mettono in sinergia questi dati, con quelli dell’immigrazione, che è dal 2007 in continuo calo (dalle 527 mila unità del 2007 alle 307 mila del 2013) ed altri indizi, quali la provvisorietà degli ingressi (il 14,2% degli immigrati attuali in Italia sono solo di passaggio nel nostro Paese) e la notevole mobilità interna, sorge il sospetto che l’Italia non sia più un Paese molto “facile” per gli italiani, né di grande attrazione per molti stranieri.

NUOVE ONDATE MIGRATORIENUOVE ONDATE MIGRATORIEDI ITALIANI VERSO L’ESTERODI ITALIANI VERSO L’ESTERO I messaggi drammatici delle nuove povertàI messaggi drammatici delle nuove povertà

Se è vero che da tempi immemorabili la po-vertà signifi ca “la condizione di chi è privo di suffi cienti mezzi di sussistenza o ne ha in

maniera inadeguata”, è altrettanto vero che le ti-pologie della povertà variano in ragione dei tempi e dei luoghi in cui gli individui e le collettività sof-frono di questa condizione: la nuova povertà che oggi affl igge tanta parte del nostro Paese è infatti diversa da quella della nostra passata civiltà con-tadina. La povertà dell’Italia di oggi, che ormai si va con-fi gurando come una vera e propria emergenza, è una realtà inedita per l’Occidente del cosiddetto “benessere diffuso”, si annida in ogni ceto sociale e presenta mille volti diversi: quello del padre di famiglia che viene licenziato in un’età in cui an-cora non può percepire la pensione e nemmeno sperare in un’altra attività perché “troppo vecchio” anche se ha solo 50 anni; quello del quadro del dirigente dell’azienda che chiude o che ristruttura o che deve “razionalizzare”, per il quale è prati-camente impossibile “riciclarsi” in altro ruolo, costretto, insieme alla famiglia, a rinunciare non solo all’agiatezza ma alla stessa idea di sicurezza o

tranquillità economica acquisita; quelli dei coniugi separati o divorziati, che perdono la casa e soc-combono sotto il peso degli assegni di manteni-mento per mogli e fi gli; quello delle giovani coppie che rinunciano al sogno di mettere al mondo fi gli perché temono di non poterli mantenere; quello degli “eterni adolescenti” costretti a campare alle spalle dei genitori e dei nonni; quello degli anziani che si nutrono solo di pane e latte e rinunciano alle medicine…Quanto possa diventare insopportabile e stra-ziante il carico di disagio, di fatica, di ansia, di an-goscia e di solitudine cui sono sottoposte queste persone possiamo facilmente immaginarlo, anche perché la cronaca spesso ne registra gli esiti tra-gici sotto forma di violenza verso sé stessi e verso gli altri: messaggi drammatici ed inequivocabili, che però non trovano il dovuto ascolto da parte di chi dovrebbe farsene carico e fornire risposte. Ve-diamo bene, purtroppo, l’inadeguatezza della po-litica, dell’economia, della stessa società troppo ripiegata su se stessa e preoccupata dello spettro della precarietà.

LE OPERE SOCIALI E RELIGIOSE DI FRATE INDOV INO

MEU QUERIDO, MEU QUERIDO, MEU VELHO, MEU VELHO, MEU AMIGO…MEU AMIGO…Quei tuoi capelli bianchi, lucenti quel guardare stanco, profondo,mi dicono cose, in un grido mi insegnano tanto, del mondo…e quei passi lenti che ora si muovono sempre al mio fi anco,hanno già percorso una vitamio caro, mio vecchio, mio amico

Canzone di Roberto Carlos

dedicata al padre.

Nostra traduzione

La tua vita di eventi, soffertie quelle rughe marcate dal tempo,ricordi di antiche vittorie o lacrime sparse, al vento…la tua voce soave mi quieta e mi svela più cose che io dico,ricreando silenzio nell’anima mio caro, mio vecchio, mio amico

Il tuo passato vive nell’oggi nelle esperienze patite,in quel tuo cuore che sentelo splendore del mondo, della vita…il tuo sorriso aperto mi scuoteil tuo consiglio certo mi guida,bacio le tue mani e dico mio caro, mio vecchio, mio amico

Già ti ho parlato a lungo ma tutto quello è pocodi fronte a ciò che sento.Guardando i tuoi capelli così belli bacio le tue mani e dico:mio caro, mio vecchio, mio amico

“Mio caro, “Mio caro,

mio vecchio, mio vecchio,

mio amico…”mio amico…”

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Si è assai diffusa ultima-mente l’etica del pensiero

positivo, inteso più o meno come un mantra, se non addirittura come un amuleto. “Pensa positivo e tutto andrà come vuoi tu”, citano i manualetti per essere felici. Invece positi-vità è tutt’altro che un rifugio: è prendere in mano le situazioni e agire in modo costrut-tivo, per migliorare, fi nché si può, senza farsi scoraggiare. Positività è non perdere mai la speranza, captare le occasioni, essere elastici e saper usare al meglio i cambiamenti, anche trasformando completamente le proprie abi-

La quotidianità è il nostro bi-nario di vita, rassicurante e scontato, avvolto nell’abitu-

dine. È il nostro pilota automatico: ogni giorno si ripetono lavoro e in-contri, incombenze e svaghi. La ri-petizione ci dà sicurezza, fi no a far parte dell‘identità e dell’immagine nostra ed altrui. Un mutamento della storia ci stupisce e ci destabilizza un po’: non incontrare più in tram quella persona che da anni ci sale, alla nostra stessa ora, ci stupisce, ci preoccupa: ma proprio in quest’occasione ci accor-giamo che non ne sappiamo neppure il nome, che era solo parte del paesaggio quotidiano e la sua assenza costringe a ridipingere il nostro quadro.Quotidianità è anche alla radice dell’at-taccamento: “Se verrai tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice” - dice la volpe al piccolo principe di A. de Saint-Exupéry e aggiunge: “Col passare dell’ora aumenterà la mia fe-licità”.Il quotidiano comprende anche una serie di piccoli riti che scandiscono i tempi della giornata, colmandoli di signifi cati diversi, dall’intervallo alla fi ne del lavoro, all’ora di cena. Oggi si tende a distruggere i riti, anche se la scansione della giornata dà tranquil-

Sono in molti oggi a chiedersi che fi ne abbia fatto questo sentimento che nasce dalla stima nutrita verso

una persona. Rispetto deriva dal latino re-spectus, il guardare all’indietro, ri-guardare. Signifi ca considerare i pensieri, i sentimenti, le cose, i diritti degli altri e stare attenti a ri-conoscerli, a non ferirli inutilmente, ad averne ri-guardo a prescindere dai rispettivi ruoli. Rispetto è un atteggia-mento che si rivolge a tutta la natura, agli esseri viventi e anche alle cose. Signifi ca non voler rovinare, mante-nere le giuste distanze senza invadere. L’educazione al rispetto inizia fi n da bambini. Si parte dal riconoscere il va-lore di ogni persona e cosa. Come tutto, si trasmette principalmente con l’esempio: una famiglia in cui ci si insulta, ci si controlla a vicenda nei movimenti e si fruga nei cassetti, certo non orienta al rispetto. In senso traslato, rispetto signifi ca anche rico-noscere i ruoli e tributare i giusti onori a chi si distingue per i suoi meriti, aver riguardo per chi è anziano o debole, saper defi nire la giusta distanza o confi denza con le diverse persone. Si deve rispetto anche ai simboli: quelli grandi, delle istituzioni, quelli minu-scoli di oggetti o consuetudini che hanno valore per le persone. E il rispetto delle re-

Il signifi cato più comune che si dà a “speranza” è l’attesa fi duciosa che si realizzi qualcosa di preciso

che desideriamo. Quando si vede o si vive o si ottiene ciò che si è sperato, in quel momento si dissolve l’attesa e fi nisce la speranza. Ma sperare può anche essere un modo di sentire che pervade la nostra vita, come vedere in fondo alla via sempre una luce, una possibilità di bene. L’atteggia-mento interiore di speranza, da non confondersi con l’attesa immobile di un intervento del destino, aumenta la forza, aiuta a cogliere le opportu-nità, si trasmette a chi sta intorno, favorendone la collaborazione. La speranza è alla base di ogni motivazione, perché è tensione positiva verso il futuro e non è da scambiare – come fa qualcuno – con rassegnazione, rinuncia, passività, fatalismo. No, questa è una virtù forte, che si rialza in volo ogni mattina, come assicura Charles Péguy, uno dei più alti cantori della spe-ranza. Che è creatività, dà spazio alla fanta-sia e illumina un’attesa. Nell’immediatezza delle comunicazioni di oggi, viviamo le at-tese con impazienza e ansia. La speranza lancia un ponte di serenità fra l’oggi e il futuro; possiamo camminare senza antici-pare delusioni. La speranza è una virtù che

Oltre a vedere il vaso mezzo pieno, l’ottimista sorride alla vita, smitizza le tristezze, scopre in tutti il lato

buono, incoraggia e contagia gli altri con la sua fi ducia che alla fi ne tutto andrà per il me-glio. Ottimismo è un costante orientamento a pensare che tutto andrà bene. Questo at-teggiamento è assai spesso utile e fa vivere bene. Può però esprimere il terrore delle diffi coltà e del male, seguito dallo sforzo di esorcizzarli negandoli. In questo caso è una pericolosa superfi cialità: questo tipo di otti-mista è più o meno cieco e può fi nire in un baratro cantando. Il vero ottimista invece è consapevole dei problemi che incontra e crede nella possibilità di risolverli. Non accetta di essere impotente, combatte e inventa strategie, fi ducioso nelle proprie possibilità e nella clemenza della vita, di cui sa tener sempre presenti gli aspetti positivi. L’ottimista fa tesoro dei momenti felici e li mette in una personale banca del sorriso: in quelli neri, li tira fuori, e il patrimonio accu-mulato gli dà forza. Un ottimista è grato alla vita: è come se ogni mattina dicesse grazie per tutti i suoi doni, prima di tutto proprio quello di vivere. Si può educare a un sano ottimismo se stessi e gli altri, abituandosi a vedere e cercare le tante buone notizie che i giornali non riportano, a cominciare

da quelle quotidiane: abbiamo mangiato, e sotto un tetto! Cercando di vedere in ogni situazione l’aspetto meno tragico, cercando senza mai scoraggiarsi soluzioni, ricordando le persone buone che abbiamo incontrato. Diceva Papa Giovanni, ora santo: “Non ho mai visto un pessimista giovare a qualcuno o a qualcosa”. Una pericolosa forma di pessi-mismo si manifesta nella caduta del rispetto della vita.

tudini e rinunciando ai desi-deri irrealizzabili. È saper rischiare mettendo in conto anche di poter perdere, senza

scordare un piano di riserva. La persona positiva non perde

tempo a guardare indietro, se non per capire quali siano stati i punti deboli e quelli forti. Non si crogiola nel rimpianto e nel lamento. Quando un bel periodo fi nisce o quando una persona

se ne va, invece che piangere nel dispiacere della fi ne pensa alla

gioia di aver vissuto giorni felici o di avere avuto accanto una persona

straordinaria, e prosegue il cammino verso nuove esperienze, puntando sempre avanti, verso il futuro. La persona positiva si rende conto dei tesori che ha e non li spreca, non si perde in inutili rifl essioni su perfezioni immaginarie, non spreca il tempo a inven-tarsi come potrebbero cambiare le persone che ha accanto: le accetta o le rifi uta e trova il modo migliore per conviverci o lavorarci. Il colore della positività è il giallo, ottimista come l’energia vivifi catrice del sole.

lità e permette di avere scadenze precise e comunicarle. Si accusa il quotidiano di es-sere noioso, monotono nella riproposizione. Dipende da noi ravvivarlo, introducendovi piccole varianti, colorandolo di sentimenti e pensieri diversi, che arricchiscano i giorni colorandoli, come ricami colorati su un tes-suto uniforme.

gole di convivenza è indispensabile al vivere quotidiano: quello degli orari, dei segnali stradali, dei doveri. Tutto questo è parte del rispetto fondamentale che non dovremmo mai dimenticare: quello della vita in tutte le sue forme, nella forza e nella debolezza. Dobbiamo rispettare anche le generazioni che verranno, il nostro stesso futuro, pen-sando a cosa lasciamo loro per continuare il viaggio.

ci tiene in vita, è la linfa dei giorni, trasmette e infonde il coraggio per uscire dalle situa-zioni più “disperate” e per riprendersi dai fallimenti, dai lutti, dalle disgrazie. Sperare è collegato all’umiltà: alla coscienza che non possiamo sapere cosa la vita ci riserba e ci richiede, quale signifi cato avranno le nostre vicende nella storia, nostra ma anche dell’umanità. È confi dare nel nostro ruolo, anche inconsapevole, nel grande misterioso disegno della vita.

LA BIBBIA SPIEGATA DAI BAMBINI✹ Noè ha scritto la Bibbia. Esisteva

una penna d’uccello e l’inchiostro. Noè scriveva in italiano. Poi hanno fatto le fotocopie. (8 anni)

✹ Il primo Vangelo l’ha scritto Gesù. Il secondo Vangelo è il Vangelo se-condo Matteo. (9 anni)

✹ Il Vangelo secondo Matteo signi-fi ca che Matteo scriveva le cose come pareva a lui. (9 anni)

✹ La Bibbia l’ha scritta Dio. Dio è vissuto prima di Gesù. Ha dettato le storie al primo scriba. Il primo scriba l’ha fatte copiare agli altri scribi. (9 anni)

✹ Io credo in Dio, e anche molto se-riamente, però non mi so spiegare se è nato o no. (9 anni)

✹ Dio si è creato da solo. (9 anni)✹ L’hanno creato Giuseppe e Maria.

(10 anni)✹ La madre natura, non capisco se è

una persona, per esempio Maria, al-lora sta in cielo; oppure se vuol dire “fonte della natura”. (9 anni)

✹ Non esiste la mamma di Dio, si è creato da solo! (9 anni)

✹ Dio ha fatto prima il sole. (8 anni)✹ Dio ha fatto prima gli animali, che

hanno la vita più breve. (8 anni)✹ Prima la Terra: l’ha messa in movi-

mento come se le avesse dato uno schiaffone (8 anni)

(Dal libro: Albanese, Gesù di cognome si chiamava Dio,

Bari, Laterza, 1995)

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CELEBRAZIONI ANNO LITURGICO 2017

CENERI 1° MARZOPASQUA 16 APRILEASCENSIONE (25) 28 MAGGIOPENTECOSTE 4 GIUGNOCORPUS DOMINI (15) 18 GIUGNO1ª DOMENICA DI AVVENTO 3 DICEMBRE

FRATE INDOVINO O.F.M. Capp. - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 PERUGIA (Italy) - “Conto Corrente Postale n. 4069”- www.frateindovino.eu - [email protected] - Tel.: (+39) 075.5069369 - Fax: (+39) 075.5051533Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C1/PG/2012

ABBREVIAZIONIab. = Abateap./app. = Apostolo / Apostoliart. = ArtigianoAst. = AstinenzaAvv. = AvventoB./Bb. = Beato-Beata / Beati-BeateB.V. = Beata VergineB.V.M. = Beata Vergine Mariabd. = Badessa

C. = Compagnidiac. = DiaconoDig. = Digiunodott. = Dottore / Dottori della Chiesael. = Elemosiniereer. = EremitaEs. = Esaltazioneev. = EvangelistaF. = Festafr. = Francescano / Francescanaimp. = Imperatore / Imperatrice

m./mm. = Martire / MartiriN.S.G.C. = Nostro Signore Gesù Cristoo.f.s. = Ordine Francescano Secolarep. = Papap.a. = Domenica per annum (cioè lungo il corso dell’anno)Pasq. = di PasquaPat. = PatriarcaPatr. = Patrono / PatronaQ.T. = Quattro TemporaQuar. = Quaresima

reg. = Reginasac. = SacerdoteS. / Ss. = Santo - Santa / Santi - SanteSS. = Santissimov./vv. = Vescovo / Vescovived. = Vedovaven. = Venerdìvr./vvr. = Vergine / Vergini

Gli orari riferiti alle previsioni astronomiche (lunazioni, levata e tramonto del sole, eclissi, ecc...) sono espressi in ora solare o in ora legale a seconda del periodo di riferimento. In parole semplici, tali fenomeni sono visibili esattamente all'ora indicata dal vostro orologio.

Trasparenti sono l’aria, l’ac-qua pulita, il cristallo. Trasparente è lo sguardo

di chi non ha nulla da nascon-dere o temere e non pone fi ltri fra sé e il mondo. Trasparente è chi non cela imbrogli e non teme giudizi. Trasparente è il puro di cuore. Ma per essere trasparenti è anche necessario che gli altri lo permettano. Un regime tirannico, una famiglia intransigente ed ingiusta, regole troppo pesanti, possono anche vie-tarlo, in favore di un uniformarsi acritico a un’autorità miope. Noi stessi per invo-gliare alla trasparenza chi ci sta vicino dob-biamo mostrare indulgenza e comprensione, meritare stima e fi ducia. I troppi controlli e giudizi, le incessanti critiche e la rigidità di infi nite regole, spingono chi è costretto a subire tutto ciò a nascondersi e mentire, e non si può in questi casi dare solo a loro la colpa. Trasparenza signifi ca essere e poter essere liberi. Quando la trasparenza diventa abitudine, è molto diffi cile rinunciarvi: chi non è abituato a mentire, si fa di solito sco-prire. Trasparenza si esige nei rapporti di affari e di lavoro, dallo Stato e dalle istitu-zioni. Quando manca, il sospetto si insinua

È conoscenza e coscienza di come tutti noi umani condividiamo caratte-

ristiche comuni. Il destino a termine, le emozioni, il dolore e la paura, la malat-tia e la fragilità, la sensibi-lità, ci accomunano in un “noi” di cui non dovremmo dimenticarci. Anche le emozioni positive sono le stesse per tutti, ma, pur sentendo il bisogno di con-dividerle, non ci rendono bisognosi della comunità come le altre. I persecu-tori, i violenti, i superbi, i cattivi, scordano questa fratellanza che dovrebbe renderci tutti solidali. Tutti, nei periodi fortunati, abbiamo la tentazione di sentirci unici e spe-ciali, autonomi e infrangibili, e di scordare i bisogni degli altri e la nostra stessa fragi-lità. Sono gli stati di diffi coltà a suonare il campanello della percezione dell’umanità. Umanità che, pur non eliminando il giudizio, apre alla comprensione. Unito all’empatia e all’esperienza, il senso di umanità ci fa ri-conoscere negli altri una particella di noi e anche nostro malgrado ci spinge a cercare

Il termine “valore” ha due signi-fi cati: il complesso delle capa-cità di una persona, o il pregio

di una cosa, che ne determina l’importanza, la rarità. È l’insieme di ideali e di principi morali su cui si fonda una società e cui si ispirano le scelte di vita. Ogni so-cietà, ogni singola persona sceglie la sua linea di vita, distinguendo il bene dal male, in relazione ai valori portanti della sua cultura di origine o di quelli scelti autonomamente. Per orientarci nella vita abbiamo bisogno di un sistema di valori condiviso con il gruppo. Chi ri-fi uta i valori della sua comunità ne viene espulso, e, a meno di costruirsi una comunità alternativa, vive in solitudine, senza godere della protezione comune. Oggi la commistione di culture portatrici di valori diversissimi crea confusione, induce a un relativismo che dà insicurezza. L’incertezza della coscienza si traduce in azioni fuori controllo. È neces-sario che ci chiediamo quali sono i valori in cui crediamo e che vogliamo rispettare, nel riconoscimento dell’importanza di quelli della nostra cultura, che valorizza la vita e l’amore, la libertà e il giusto diritto, l’o-nestà e il rispetto. Come non mai abbiamo

Si parte, e per lasciar libere le mani mettiamo tutto ciò che servirà nello zaino e lo issiamo in spalla. Zaino

deriva dal tedesco arcaico zain, cesta di vimini. Uno zaino non può essere enorme, deve obbligatoriamente es-sere adatto alle nostre spalle, alla nostra forza e resistenza. Se è troppo pesante, impedisce il cammino e ci blocca nell’emergenza.Preparare lo zaino signifi ca sce-gliere cosa lasciare, cosa portare. Capire cosa ci serve davvero, cosa no. Per noi, reduci da un’e-splosione di benessere e consu-mismo, preparare lo zaino per un lungo trekking è un buon esercizio, per mirare all’essenzialità e capire di cosa non possiamo - vogliamo - fare a meno, pur non essendo un genere di prima necessità. Dover lasciare a casa un sacco di cose avvi-cina all’essenza del vivere, spesso annebbiata dall’eccesso di superfl uo. Molti oggetti hanno un signifi cato più simbolico che pratico: la-sciarli a casa obbliga ad interiorizzare le cose che davvero contano, archiviandole saldamente nella memoria e fi dandoci di questa custodia inaccessibile dall’esterno. Lo zaino può anche assurgere a simbolo della maturità: vetta che raggiungiamo con lo stretto necessario. Lungo l’erto calle della vita ci siamo liberati degli ec-cessi, delle illusioni, del superfl uo. Si diventa

✪ Perché l’oroscopo me lo sconsi-gliava.

✪ Perché ho dovuto aiutare nonna Pina a fare le tagliatelle.

✪ Perché avevo fi nito le sigarette.

✪ Perché… lo zaino non voleva venire con me.

✪ Perché la nonna si era frattu-rata.

✪ Perché sì! Chiedo colloquio ur-gente con i genitori.

✪ Perché… ancora non lo so.

✪ Per mungitura vacca.

✪ Per inizio compere regali di Na-tale.

✪ Per la morte del nonno [il Pre-side chiede provvedimenti perché è la settima volta che l’alunno porta la stessa giustifi cazione]

✪ Per aver respinto invasione degli U.F.O. sulla Terra.

✪ Perché sono stato tutto il giorno al telefonino in quanto la mia compagnia telefonica non mi at-tivava il bonus messaggi gratis.

HO MARINATO LA SCUOLA: PERCHÉ...HO MARINATO LA SCUOLA: PERCHÉ...

☛Cerco Fratelli Karamazov.Liens, settembre 1953

☛ Una Giovenca bianca e nera si è smarrita. Avvertire orfanatrofi o di Haroué. Est-Républicain.

☛ Pagherei Caro affitto camera cucina per suocera; regione pa-rigina

Chasseur français, n° 4515

☛ Moglie ammalata cedesi. Salu-meria di lusso. 30.000 giorna-liere. 3 stanze.

France-Soir, 05.08.1953

☛ Signorina seria cerca posto, cu-stodire vacche o persona an-ziana.

Résistant de Libourne, 23.04.1954

ovunque, e rancore e menzogna inquinano la società.Trasparenza deriva dal latino transparens, trans “attraverso” e pareo, verbo che può es-sere transitivo o intransitivo, può cioè signi-fi care vedere ma anche apparire, mostrarsi. In fi sica, la trasparenza è collegata alla luce; trasparenti sono i corpi che la luce traversa, svelando ciò che è oltre. Anche in psicologia la trasparenza è una caratteristica di ciò che si vede e di come lo si vede, oltre che di come ci si mostra.

oggi bisogno di conoscere le conquiste della nostra cultura e credere in esse per farne i binari della nostra vita e, se nuovamente e liberamente le scegliamo, per difenderle. Per educare i giovani e i bambini ai valori della nostra cultura occorre che dapprima ci ragioniamo noi, in modo da poter di-mostrare prima con l’esempio e poi con la parola quanto di buono si acquisisce rispet-tandoli.

di comunicare con loro. Sforzarci di sentirci parte della comunità che abita il mondo aiuta non soltanto a vincere la solitudine, ma ci motiva anche a lavorare per il bene di tutti. Di fatto le scoperte scientifiche come le opere d’arte sono a giovamento di tutti e anche ogni cultura è, o dovrebbe essere, a disposizione libera per la grande comunità umana. Tanto che l’UNESCO ha defi nito patrimonio dell’umanità, da salvaguardare, una serie di opere di tutto il mondo.

adulti con la ricchezza dell’esperienza e con l’attenzione, la vicinanza e l’aiuto a chi ci cam-mina a fi anco.In senso figurato, potremmo immaginare uno zaino per i sentimenti, i ricordi, le idee, i progetti da portar via; preparandolo, com-prenderemmo che cosa della nostra vita è così importante per noi da essere conservato, cosa è un’inutile zavorra. Comprenderemmo anche che cosa non possediamo, ma è di assoluta ne-cessità per il cammino e la salita della vita. E, benché per noi irrealizzabile, ha un certo fascino l’affermazione “dovremmo possedere ciò che possiamo trasportare in uno zaino a passo di corsa”!

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