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#cambiovita Dieci storie di donne alla svolta della loro ... · Per questo primo ebook abbiamo...

Date post: 17-Feb-2019
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#cambiovita Dieci storie di donne alla svolta della loro carriera #cambiovita Dieci storie di donne alla svolta della loro carriera
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#cambiovitaDieci storie di donne alla svolta della loro carriera

#cambiovitaDieci storie di donne alla svolta della loro carriera

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Indice

Introduzione• 3 •

Dall’archeologia ai Big Data. Una laurea “debole” il punto di forza• 6 •

Una PR col pallino della medicina cinese.E la maternità ha acceso la miccia

• 8 •

Scarti della lana, vinacce, miele. Un’insegnante di musica sfonda nella Green Economy

• 11 •

Ciao ciao ufficio! Quando la celiachia diventa un lavoro• 13 •

Dal marketing all’impresa sociale. Per amore di mio figlio• 16 •

Diecimila euro di budget. Così è iniziata la mia vita da gallerista• 18 •

Troppo qualificata per la moda? E io avvio una startup nel food• 21 •

Pet therapy per bambini e anziani. Una passione cominciata dal dentista• 23 •

Da Terni a New York sola andata. Come diventare architetto di lusso• 26 •

Combinavo matrimoni, ora allevo lumache: il business della lentezza (e della bellezza)

• 28 •

Cambio vita: 10 siti per dare una svolta (senza fare un salto nel buio) • 31 •

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I l banker che apre una gelateria. La conduttrice di tg che si dedica al volon-tariato. La manager che lancia una linea di moda tutta sua. L’avvocato che

apre un maneggio. Storie di cambio vita che leggiamo sulle riviste, in rete o fra le notizie di un quotidiano. Storie che attirano la nostra attenzione, ci incurio-siscono e ci trascinano lontano. Perché, in qualche modo, aprono una porta, quella che teniamo solitamente ben chiusa. La porta che dà sui nostri sogni. Coraggio e incoscienza. Intraprendenza e sicurezza in se stessi. Sono que-ste le sfumature che leggiamo fra le righe e che ammiriamo. Perché, in fondo, chi non ha desiderato, prima o poi, di cambiare vita? Magari non tutto: il la-voro, la relazione, la città, la casa. Cambiare fuori per cambiare anche dentro oppure cambiare fuori perché si è già cambiati dentro. Per poter cambiare, in qualunque ambito, dobbiamo lasciare che le op-portunità ci possano avvicinare e perché succeda è necessario fare spazio at-torno a noi e avere tempo. Per questo diventa fondamentale essere selettivi e la tecnologia ci viene incontro, se la dominiamo e non ci lasciamo dominare. La tecnologia può fare la differenza. Prendiamo ad esempio le persone che frequentiamo: prima si era vicini a chi ci era più prossimo, ora si può essere vicini a chi vive molto distante da noi. Questo ci permette di scegliere a chi dedicare il nostro tempo e come dedicarlo agli altri. Lo spazio, il tempo, le persone. Tre elementi che ci possono aiutare nel cambiamento. E le persone di cui ci circondiamo non sono affatto un detta-glio. Nelle storie di cambio vita si incontra spesso l’Ispirazione, quella che vie-ne da una persona speciale che ci ha aperto uno spiraglio su un mondo nuovo. E avere una persona che ci ispiri è una potente spinta verso il nuovo. Tutto semplice, quindi? Affatto. Il cambiamento è frutto di tormenti ed è figlio di chi si pone delle domande. Il cambiamento richiede davvero corag-gio, sicurezza in se stessi, intraprendenza e anche incoscienza. In un mondo sempre più veloce, però, sta diventando quasi inevitabile assecondare il cam-biamento. Un po’ come è successo per i software: prima il processo portava alla creazione di un master, in colore oro, per la riproduzione in serie. Oggi,

Introduzione

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con internet, di quel master non si parla più: i software vengono aggiornati di continuo e si parla di Beta permanente. Dovremmo tutti sentirci in uno stato di Beta Permanente, come diceva il fondatore di LinkedIn, Reid Hoffman. E forse è proprio così. Cambiamo, anche nostro malgrado, allora perché non fare che il cambiamento giochi a nostro favore? Perché non gestirlo e indiriz-zarlo perché ci porti ad essere felici? Alley Oop cerca di cogliere il cambiamento: che si tratti della carriera delle donne, dei nuovi papà, del successo per i millennials, dei nuovi diritti degli Lgbt, delle opportunità nella disabilità, delle seconde generazioni dei migranti. Per questo primo ebook abbiamo scelto di raccogliere dieci storie di #cambiovita relative al lavoro, fra le più lette di questo primo anno del blog. Ve lo regaliamo perché siano di ispirazione che decidiate di cambiare città, casa, Paese o anche semplicemente sorriso.

Cambiamo, anche nostro malgrado,allora perché non fare

che il cambiamento giochi a nostro favore?

—Monica D’Ascenzo

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Dall’archeologia ai Big Data.Una laurea “debole” il punto di forza

Nome » MarialuisaCognome » BarachettiEtà » 27Ero » archeologaSono » analista di Big DataDove vivo » Milano

A rcheologa per passione e studi e oggi assunta a tempo indeterminato in una importante società il cui core business sono i big data. Punto di svol-

ta per Marialuisa Barachetti, 27 anni, è stata la partecipazione alla “Palestra delle professioni digitali”, progetto promosso dall’Associazione Prospera in collaborazione con Accenture Italia e Fondazione Italiana Accenture. Si tratta di un percorso formativo gratuito, della durata di circa quattro set-timane, che ha l’obiettivo di indirizzare alle professioni digitali giovani di-soccupati o inoccupati laureati prevalentemente in materie umanistiche per trovare loro lavoro nell’ambito del digital marketing. Fino a oggi il progetto ha formato 232 giovani, di cui la maggioranza donne (64% donne). Di questi, oltre il 70% ha trovato lavoro a tre mesi dalla fine del percorso formativo. Marialuisa Barachetti, originaria della provincia di Bergamo, si è laure-ata al corso di laurea triennale in Scienze dei Beni culturali di Milano e poi ha conseguito la laurea magistrale in Archeologia e Culture del mondo antico a Bologna. Ha lavorato in Italia e in Oman, assunta dal ministero dei Beni Culturali del Paese, e ha preparato la tesi della magistrale tra Siria e Turchia, discutendola a marzo 2015. “Volevo continuare nell’archeologia di ricerca, ma l’ambito universita-rio non mi permetteva di portare avanti la mia attività come avrei voluto – spiega. Un giorno ho ricevuto dall’università di Bologna una mail infor-mativa sulla Palestra delle Professioni Digitali di Accenture. Ho pensato che

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sarebbe stata una buona occasione per acquisire conoscenze nuove e spendi-bili sul mercato del lavoro. Ho passato la selezione e ho iniziato un percorso che mi ha portato al colloquio con Weborama, che mi ha assunto a tempo indeterminato”. Qui si occupa di data driven marketing, sia in ambito display sia programmatic per clienti di diversi settori, dal food all’automotive, fino alle assicurazioni. Quali sono i punti di forza di chi si è laureato in facoltà umanistiche? “La forma mentale che si costruisce quando, come spesso capita a chi studia ma-terie letterarie, ti trovi da solo a organizzare una grande mole di lavoro a dover risolvere problemi, come quelli legati alla programmazione degli esa-mi. Mi sono resa conto che questa autonomia mi ha permesso di sviluppare soft skill che sono utilissime nel mondo del lavoro”. E i punti di debolezza? “Sono legati più a come le lauree umanistiche vengono comunicate, anche dai media, che a una debolezza sostanziale. Ai giovani studenti di facoltà come la mia vorrei dire di non lasciarsi scorag-giare e di coltivare la complessità di pensiero che gli studi umanistici forgia-no. È quello che si trasforma in una marcia in più nel mondo del lavoro, che si debbano analizzare resti di ossa o big data”.

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Una PR col pallino della medicina cinese.E la maternità ha acceso la miccia

Nome » AntonellaCognome » CapassoEtà » 37Ero » imprenditrice nelle pubbliche relazioniSono » studente di medicina cineseDove vivo » Milano

U na società di comunicazione, ben avviata, realizzata assieme al marito. Tanti clienti importanti, Abramovich, Lvmh, Bmw, solo per citarne al-

cuni, il tutto frutto di una scelta professionale dettata da una passione: quella di creare eventi. Poi, nel 2014, Antonella Capasso, napoletana di origine ma radicata a Milano con la famiglia da quando aveva 10 anni, è diventata mam-ma e per lei è stata una vera e propria trasformazione. Una molla che l’ha spinta a rivedere il suo stile di vita: “Ho trovato assurdo passare in ufficio tutte quelle ore lontano da lui, per farlo crescere alla tata e al nido, c’era qualcosa che non andava in quel sistema”. Ma c’è di più, qual-cosa è cambiato: “Mutano le prospettive, i bisogni, i desideri, la gestione del tempo, gli obiettivi di vita, è come se per me ci fosse stato un prima e un dopo parto, si è rivelato un evento talmente potente e meraviglioso da generare una formidabile rivoluzione interiore”. Rivoluzione che, dopo 12 anni nel mondo della comunicazione, l’ha por-tata a svestire i vecchi panni per infilarsi in un abito tutto nuovo: “Con spon-taneità ho deciso di lasciare il lavoro per dedicarmi a mio figlio e a una nuo-va grande passione che, tra l’altro, permette di avere ritmi lavorativi più umani”. Antonella ora studia medicina cinese. “Già conoscevo l’agopuntura, ma quando è nato Pietro ho scoperto la medicina tradizionale cinese per l’in-fanzia e le sue tecniche naturali basate sulla capacità di prevenire e curare

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qualsiasi disturbo del bambino, dalla colica, alla stipsi, alla febbre, al raf-freddore. Questo mondo mi ha completamente affascinata, così ho comin-ciato un corso triennale in medicina tradizionale cinese e nelle sue tecniche complementari (Auricoloterapia, moxa, Tuina, coppettazione, riflessologia viso, mtc per l’infanzia) utili a ripristinare lo stato di benessere e molto altro”. Una nuova professione che esercita però in un modo del tutto particola-re, almeno per ora: “Ho attivato una rete di scambi perché credo fortemente nella magia che può nascere da una relazione umana sincera e disinteres-sata, infatti sto creando sinergie meravigliose basate su esigenze reali e sul buon senso”. Una sorta di baratto che non contempla la valutazione economi-ca della dazione: “Utilizzo un loft per le consulenze e i trattamenti, frequento un corso yoga come ‘contropartita’ di una precedente prestazione, un’altra mamma mi cura ogni tanto il bimbo. Sono tutte risposte a bisogni reali nati con naturalezza e con la gratitudine che ognuno di noi esprime in modo per-sonale”. Certo, il cambiamento comporta qualche sacrificio: “Mentre lancio la mia nuova professione, mi dedico alle cose che contano di più, come mio fi-glio che cresce così in fretta ed è piccolo solo una volta nella vita. In questo momento di passaggio oriento i miei investimenti emotivi, economici e di tempo nel valore umano della mia famiglia e della mia formazione per un approccio più gratificante alla vita”.E riguardo a quella precedente, di vita, nulla è stato buttato via. Quanto costru-ito in quei 12 anni, la Listen Agency, è ora saldamente nelle mani del marito.

Coltivare la complessitàdi pensiero degli studi umanistici è un punto

di forza anche se si decide di fare altro

—Marialuisa Barachetti

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Scarti della lana, vinacce, miele.Un’insegnante di musica sfonda nella Green Economy

Nome » DanielaCognome » DucatoEtà » 57Ero » insegnante di musicaSono » innovatrice nelle biotecnologieDove vivo » Guspini (provincia Medio Campidano)

D aniela Ducato ha vinto diversi premi internazionali (tra i tanti, miglior innovatrice d’Europa nell’edilizia verde). Ha creato opportunità di lavo-

ro in un’area con uno dei tassi di disoccupazione più alta d’Italia, in Sardegna. È stata menzionata dal World Economic Forum che ha collocato la sua Edize-ro nella top ten delle eccellenze tecnologiche mondiali. Si potrebbe chiamare Daniela Ducato imprenditrice. Ma forse sarebbe riduttivo. Daniela Ducato, classe 1960, mamma di due figli che oggi hanno 18 e 22 anni, vive e lavora a Guspini, nel Sud-Ovest della Sardegna. Ha avuto l’intuizione di recuperare gli scarti della lavorazione di lana, vinacce, latte, miele, formaggi, olio d’oliva, potature e posidonia per ottenere prodotti isolanti, pitture e intonaci ecologi-ci che vengono utilizzati per una bioedilizia carbon free, il risparmio energe-tico, le bonifiche e il disinquinamento ambientale, tutti prodotti dalla filiera made in Italy di Edizero. I fornitori di scarti sono piccole e medie aziende, i clienti ovunque. Di fronte a risultati del genere in un campo come quello delle biotecnologie, niente lascerebbe sospettare che Daniela Ducato era un’inse-gnante di musica. Che il dolore è stata la sorgente di questa idea di impresa. E che nulla sarebbe stato senza s’aggiudu torrau. Come ha fatto? “Ho sempre avuto a cuore Guspini e il suo territorio. Alla fine degli anni ’90 mi sono fatta promotrice di una Banca del tempo, una delle prime in Italia, una libera as-sociazione tra persone che si auto-organizzano e si scambiano tempo e com-petenze. La traduzione moderna del tradizionale s’aggiudu torrau, l’aiuto

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ricambiato o buon vicinato. Insieme avevamo realizzato una iniziativa che aveva ricevuto anche un riconoscimento ministeriale per il progetto Le città invisibili, recuperando a giardini aree urbane dismesse o dove si spacciava droga”. Ma qualcosa non andò per il verso giusto. “Arrivò un finanziamento pub-blico molto importante incompatibile con questi giardini tematici e, per usu-fruirne, il Comune decise di rimuovere anche tutti gli arredi che erano stati realizzati. Il 21 marzo 2004 arrivarono le ruspe. Caddero gli alberi e cad-dero i nidi. Fu un dolore inspiegabile, rimasi come immobilizzata per tan-to tempo. Poi, piano piano, affiorarono nella mia mente alcuni ricordi. Gli anziani che utilizzavano le bucce di pomodoro come antiruggine, l’utilizzo degli scarti di lana per proteggere le piante… quei due nidi caduti che una bambina mi aveva messo sulle orecchie perché io quel giorno soffrivo troppo per guardarli”. Prevalse il desiderio di trasformare il dolore in qualcosa di utile e che fos-se portatore dei saperi della comunità. “Ripresi in mano un nido, lo guardai con gli stessi occhi dei bambini: era un’architettura perfetta realizzata con materiali di scarto. Parlai di quella intuizione con mio marito, titolare di una impresa distributrice di prodotti per l’edilizia. Ma le idee da sole non basta-no, e io ho avuto la fortuna di collaborare da subito all’interno di un grande team, perché Edizero è un’espressione corale. Il passo successivo fu creare la sinergia con un’azienda tessile sarda di veri maestri del settore. Iniziammo a fare ricerca con i migliori laboratori per tradurre gli esiti della sperimen-tazione in tecnologie di produzione industriale: i nostri prodotti per esse-re competitivi dovevano avere una resa altissima. Nel 2008 entrammo sul mercato e vincemmo l’importante premio Innovazione Amica dell’Ambiente di Legambiente”. E questo fu l’inizio.

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Ciao ciao ufficio!Quando la celiachia diventa un lavoro

Nome » ValentinaCognome » PalamaraEtà » 38Ero » consulente del lavoroSono » importatrice di prodotti alimentariDove vivo » Livorno

Livornese, 38 anni: “Sono entrata in uno studio professionale appena di-plomata, nel 1997, e per quasi vent’anni non ne sono uscita; prima il

praticantato presso un Consulente del Lavoro, dopo negli studi commerciali come impiegata e poi come lavoratrice autonoma, fino alla società con un commercialista a Prato. Ma da giugno 2015 è iniziata la mia nuova avven-tura”.Valentina Palamara ha cercato su internet che cosa fare della sua vita: “Lavo-rare negli studi commerciali è diventato molto sfibrante sotto molti aspet-ti. Gli adempimenti sono moltissimi, sono in continua mutazione, arrivano norme e cambiamenti all’ultimo minuto, non abbiamo un supporto da parte degli enti pubblici, perché ormai è diventato impossibile comunicare con ad-detti diretti alle pratiche ma solo con centralini che ti rispondono da mezza Italia e che ne sanno meno di noi. Il tutto guadagnando praticamente la metà di quando ho iniziato, perché i clienti sono in difficoltà nel pagare il compenso pattuito. Ho pensato alla mia propensione a viaggiare, alla pos-sibilità di lavorare con l’estero, per decidere cosa fare”.Navigando sul web Valentina trova il sito mollotutto.net e inizia a valutare di andare a vivere all’estero. Dove? Le ricerche e i consigli di Manuela Forzani la portano verso il Paraguay: “Ho messo in vendita la mia casa, e ho trovato un appartamento in condivisione giusto per avere una base dove tornare ogni tanto”. In realtà, quel biglietto non è mai servito, perché solo avere guarda-

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to al di fuori dei propri confini ha creato opportunità alle quali dare ora una chance, qui, in Italia: “Un’indagine di mercato sul Paraguay mi ha indicato su quali prodotti italiani puntare. Una volta fatta la lista mi sono messa a cercare contatti con aziende e a luglio sono partita insieme a Manuela, la persona che mi aveva aiutato all’inizio. Siamo state a una fiera, ho creato un sito, un logo, biglietti da visita, una pagina Facebook”. In quei Paesi si trova-no – a prezzi convenienti – molti prodotti che possono servire a chi è intolle-rante al glutine, “Proprio come me – spiega Valentina – Qui da noi anche al supermercato la quinoa costa un delirio, e in generale i prodotti per celiaci sono limitati”.La prima attività è ora l’importazione di prodotti agroalimentari biologici sen-za glutine e senza zuccheri per celiaci e diabetici, dal Perù e dall’Argentina: “Questa è una attività che svolgerò con l’aiuto di un imprenditore esperto di biologico e di prodotti naturali, Gianni Gatti. Sto scoprendo prodotti natu-rali preziosi, sconosciuti o poco utilizzati in Italia”.Ma i lavori sono di fatto due: “Ho scelto due strade, che sono le mie due pas-sioni. Oltre al cibo sano, l’altra mia attività, totalmente diversa dalla prima, è l‘intermediazione per uno studio di progettazione e design, uno studio di architettura di sole donne, forti e dinamiche. Io mi sono proposta come in-termediaria per l’America Latina, e per altri Paesi dove ho contatti, nei gior-ni scorsi ho partecipato alla fiera del Salone del Mobile con loro e ho fissato appuntamenti con imprenditori dell’America Latina. Nei Paesi in crescita c’è richiesta di progetti chiavi in mano”.E quel biglietto per il Paraguay? “Al momento vedo come si sviluppano i miei progetti, qui. Per partire c’è sempre tempo”. Quella di Valentina è una delle storie raccontate dalla regista Roberta Zanzarelli nel progetto “Solandata”.

Le idee da sole non bastano.

Il team può fare la differenza

—Daniela Ducato

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Dal marketing all’impresa sociale.Per amore di mio figlio

Nome » FrancescaCognome » FedeliEtà » 47Ero » resp. marketing brand internazionaliSono » imprenditrice socialeDove vivo » Milano

D ue professionisti quarantenni di Milano, Francesca e Roberto. Un bimbo cercato a lungo. Una gravidanza complessa. La gioia della nascita il 13

gennaio 2011. Test neonatali perfetti e poi, dopo dieci giorni, la scoperta che il piccolo Mario ha avuto un ictus, con conseguente paresi del lato sinistro del corpo. E il verdetto: Mario non camminerà e non parlerà mai. “È l’inizio di un tunnel nero”, racconta Francesca Fedeli, mamma di Ma-rio. “Solo che poi, quando vedi tuo figlio triste negli occhi perché legge la tri-stezza nei tuoi, rivoluzionare il tuo punto di vista è l’unica opzione possibile”. Francesca lascia il suo lavoro nel marketing e con il marito Roberto D’Angelo comincia a lottare. “Non soddisfatti dalle terapie disponibili, in Internet abbiamo trovato un centro in Toscana dove si stavano sperimentando nuove tecniche riabili-tative basate sui neuroni specchio, scoperti vent’anni fa dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti”. In pratica, guardando qualcuno che alza un braccio, i nostri neuroni spec-chio riescono a stimolare il sistema motorio per replicare quel movimento, e con appositi esercizi, è possibile acquisire e fissare quella competenza. Anche se, come nel caso delle persone colpite da ictus, il cervello non è più in grado di fare eseguire il comando a un arto. “Negli anni abbiamo continuato a stu-diare per integrare questa conoscenza in una metodica utile a tutti i giovani sopravvissuti all’ictus insieme alle famiglie e agli esperti della nostra rete”.

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Nel 2014 Francesca e Roberto fondano Fightthestroke.org, associazione di promozione sociale che supporta la causa dei giovani sopravvissuti all’ictus, prima fellow Italia del sistema internazionale di imprenditori sociali Ashoka. Poco dopo nasce la piattaforma Mirrorable, la prima piattaforma di ap-prendimento motorio basata sui neuroni specchio, dove l’abbinamento ideale dei bambini consente loro di imparare tra “par” e non solo dai “grand”. La piattaforma è stata sviluppata grazie a Microsoft, lavora sulla consolle giochi Kinect e integra le metodiche tradizionali. Alla base c’è sorprendentemente “Swiping right”, il movimento che si fa per mostrare apprezzamento per un appuntamento sul sito di incontri più famoso al mondo, Tinder. II bambino, in un ambiente favorevole come quello di casa propria, è di fronte alla tv e vi-siona, per esempio, un mago che esegue determinati movimenti per sessioni di 45 minuti. Dopo può fare gli esercizi interagendo con altri bimbi collegati in cloud. “Con il movimento delle famiglie, grazie ai partner e al team del CNR di Parma abbiamo avviato il primo Progetto Pilota per validare Mirrorable: nel 2017 avremo i primi risultati e da lì il prossimo passo sarà replicare la soluzione a livello globale e su altri target”, prosegue Francesca Fedeli. Grazie alla Fondazione Vodafone, alla Fondazione Only The Brave della Diesel di Renzo Rosso e al supporto di Ashoka, l’associazione ha raccolto i fondi necessari per mettere a punto prototipo e modello distributivo. “L’idea è vendere questa piattaforma agli adulti con gli stessi problemi e con il ri-cavato sostenere il modello per i bambini”. E Mario? “È ancora debole sulla mano, ma ha recuperato gamba e linguaggio. E, soprattutto, sorride”.

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Diecimila euro di budget.Così è iniziata la mia vita da gallerista

Nome » PatriciaCognome » ArmocidaEtà » 39Ero » assistenteSono » galleristaDove vivo » Milano

Dieci mila euro di budget e una passione, l’arte, che Patricia Armocida vo-leva a tutti i costi far diventare un mestiere. È con questo bagaglio che nel

2007 la gallerista, all’epoca nemmeno trentenne, è partita per Glasgow per convincere Os Gemeos, impegnati a dipingere la facciata di un castello, a fare una personale firmata da lei in Italia. In quel momento la galleria di fatto non esisteva ma il via libera di Os Gemeos, pseudonimo dei due fratelli brasiliani Gustavo e Otàvio Pandolfo che proprio in queste ore stanno completando la loro opera (Efìmero) su un muro esterno dell’Hangar Bicocca per il program-ma Outside the Cube, ha dato il via al sogno. “In pochi giorni abbiamo fatto sold out – racconta Patricia – e tutto quello che ho raccolto l’ho reinvestito nel progetto”. Un progetto che in nove anni è cresciuto enormemente: oggi la Galleria Patricia Armocida ha un portafoglio di una quarantina di artisti, ha trattato nomi come Blu, Ericailcane, Todd James, Steve Powers e ha inaugurato da poco un nuovo spazio in zona Navigli (il primo l’aveva aperto in Piola, poi si è spostata in via Lattanzio). Ha raggiunto il risultato grazie a un mix di talento, intuito e capacità imprenditoriali. Ha saputo leggere il mercato: all’epoca non c’era di fatto nessuno a Milano che intermediava questo genere di artisti. Ha saputo scegliere le “firme” giuste. “La qualità della selezione è stata fondamentale”, ha sottolineato più volte in questo colloquio con Alley Oop. E infine ha saputo mettere a frutto un talento

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che evidentemente aveva innato: saper trasmettere l’importanza e il valore delle opere. “Sono cresciuta sulla scena indipendente di Milano, ho sempre masti-cato e respirato questo genere di arte e così, dopo essermi laureata in arte contemporanea a Bologna, ho partecipato al progetto Urban Edge. Era il 2004, di fatto mi occupavo di illustrare le opere che erano esposte. E pro-prio in quell’occasione, casualmente, ho venduto il mio primo pezzo, era di Shepard Fairey, tutti lo conoscono come Obey: tremila euro. Oggi il valore di quella stampa unica e originale, raffigurava Noam Chomsky, è almeno decuplicato”. È stato in quel momento che Patricia Armocida ha capito che voleva fare la gallerista, chiudere quella transazione le ha dato quel brivido, quell’adrenalina che ancora oggi ricorda e che è stata la molla che l’ha spinta a dare il via al sogno. Prima di realizzarlo ha fatto un po’ di gavetta, qualche mese a imparare tra le mura della Galleria Emi Fontana (trasferita definitiva-mente a Pasadena nel 2010) e tre anni da Giuseppe Pero. Poi l’intuizione. “Ho visto Os Gemeos dal vivo per la prima volta nel 2005 e poi nella mostra Beautiful Losers alla Triennale, ho pensato che avrei voluto dargli una personale dove poter mostrare la loro arte in tutte le più differenti espressioni”. Così è stato. Ora la Galleria Patricia Armocida è più che avviata. A maggio 2016 ha chiuso una personale di Mode 2 e poi ha ospi-tato una collettiva di quattro artisti: Maya Hayuk, Cleon Peterson, Revok e Francesco Igory Deiana. A gennaio 2017 è stato il momento di Objecthood, la mostra personale dell’artista coreana Jukhee Kwon. Tagliuzzando a mano con grande precisione e pazienza le pagine dei libri, crea sculture sospese che si aprono e cadono come cascate. Sono i libri abbandonati e inutilizzati che attirano l’attenzione di Jukhee. L’atto di espansione del libro allude all’affer-mazione di libertà e di movimento con cui l’artista parla della sua esperienza personale di migrazione. Patricia Armocida ha realizzato l’idea di trattare “in maniera professionale” quel segmento di arte contemporanea a lei caro.

A volte rivoluzionare il tuo punto di vista

è l’unica opzione possibile—Francesca Fedeli

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Troppo qualificata per la moda? E io avvio una startup nel food

Nome » MonicaCognome » CabrasEtà » fortysomethingEro » fashion designerSono » startupper con un food truckDove vivo » Milano

“Dopo l’ennesimo no a un colloquio perché mi ritenevano troppo qualifica-ta, ho deciso di investire in qualcosa di mio. E da fashion designer ho reso

glamour il truck food”. Monica Cabras ha inaugurato a giugno del 2015 El Caminante, un ristorante su ruote e itinerante a Milano, che propone cucina fusion a base di arepas, focaccine di mais bianco originarie del Venezuela, all’insegna “del fresh and healthy di alta qualità e al giusto prezzo”.Poco più di quarant’anni, una vita professionale precedente in tutt’altro setto-re, una nuova azienda in fase di avvio, Monica Cabras rispecchia fedelmente il profilo tipico dello startupper italiano che, secondo una recente ricerca del “Sole 24 Ore” per il 66 per cento ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni e ten-denzialmente è stato impegnato in un’altra attività. Insomma, è la conferma che sempre più spesso startup può anche essere si-nonimo di nuovo inizio. Nata in Sardegna, ad Alghero, diplomata in lingue, folgorata dalla moda durante un soggiorno a Londra, laureata all’istituto Marangoni di Milano, a 25 anni Monica Cabras è un talento che ha già una collezione con un pro-prio brand, venduta nei negozi multimarca top nel mondo, da Milano a Hong Kong. “Ma dopo circa dieci anni – racconta – la situazione mi è sfuggita di mano. Mi sono ritrovata a fare il recupero crediti invece del mio vero mestiere, la

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creativa. I livelli di stress erano diventati insostenibili e io ho deciso di fer-marmi”. Monica si prende un anno sabbatico e decide di mettere la propria pro-fessionalità e il proprio estro al servizio di altri stilisti, da Dolce&Gabbana a Jil Sander, ad altri nomi noti della moda, per cui lavora tuttora. Si specializza tra l’altro sia nel disegno sia nella lavorazione e produzione di capi in maglia e cashmere e nella realizzazione di abiti su misura da uomo nel mondo del luxury, diventa personal stylist. Ma di fronte alla difficoltà di valorizzare la propria esperienza in modo adeguato, l’esigenza di rimettersi in gioco cresce giorno dopo giorno. Il progetto di El Caminante prende corpo con il suo compagno, Pedro Hernandez, modello originario del Venezuela con master in business admini-stration al MIP Politecnico di Milano. Insieme a loro c’è lo chef Mattia Chiesa (Four Season Hotel Milano, Gli orti di Leonardo, La Brisa, Paradosso, Eno-cratia). Lo studio di fattibilità dura circa un anno, trovano il capitale per partire met-tendo insieme i risparmi e il finanziamento di una società di microcredito specializzata in startup che crede nel loro business plan, a differenza delle banche. Oggi il truck food El Caminante è una realtà riconosciuta nel capo-luogo lombardo. Ogni giorno sul web e sui social network dell’insegna è pos-sibile scoprire con anticipo le tappe del truck. Della sua precedente vita da imprenditrice della moda, Monica Cabras ha capitalizzato soprattutto una lezione: imparare a delegare. E poi tre regole d’oro per ogni startupper: avere un’idea di business chiara che punti alla redditività, lavorare con una squadra di professionisti per ogni competenza che il progetto richiede, armarsi di tanta, tantissima tenacia.

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Pet therapy per bambini e anziani. Una passione cominciata dal dentista

Nome » KatiaCognome » BertoldiEtà » 44Ero » odontotecnico e igienista dentaleSono » pet therapistDove vivo » Milano

I l primario di Pediatria Annunziata Di Palma, la pediatra oncologa Linda Meneghello, la psicologa Sara Bellone. E Poi Katia Bertoldi, che è stata

odontotecnico e igienista dentale prima di lasciare un lavoro “tradizionale” per creare qualcosa di grande a partire dall’amore per gli animali. Sta succe-dendo a Trento: una pet therapy allargata, che un passo dopo l’altro sta con-quistando i pazienti, le famiglie e i medici, tanto che oggi chiede nuovi spazi e nuove applicazioni. Katia guida una tribù di quattrozampe alquanto varia: c’è la cucciola Mar-got (un Bouledogue francese), Elettra (Labrador Retriever cioccolato), Mi-dnight (American Miniature Horse), Zaira (Labrador Retriever nero), Cocò Chanel (gatto razza Rag Doll), Bluebelle (Labrador Retriever), Thor (Ameri-can Bully), Carol (razza Shih Tzu), alcuni coniglietti razza “Ariete Nano” (in particolare lavorano in pediatria Penelope e Teodora) e porcellini d’India. C’è perfino un asinello. Che effetto ha un animale su un bambino ricoverato? “Tranquillizza, rende meno nemico un ambiente come quello ospedaliero, distrae – spiega Linda Meneghello, pediatra – I bambini vedono l’animale indifeso come loro, ci giocano e si lasciano fare le cure necessarie: a volte sono perfino contenti di doversi recare in reparto sapendo che ritrovano un amico”. Un effetto che si allarga alle famiglie: vedere i figli più sereni fa respirare anche mamme e papà. Il risultato è un’alleanza – animali, piccoli pazienti, genitori – che rende

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meno pesante il percorso di cura. Al day hospital del Santa Chiara di Trento sono in cura circa 530 bambini, il 70% ha una patologia cronica e appuntamenti ripetuti con l’ospedale: oltre duemila accessi all’anno vengono registrati. “La proposta è arrivata dall’as-sociazione – spiega il primario Annunciata Di Palma – Dopo avere risolto un problema di spazi e di accessi siamo partiti con l’oncoematologia, dove i bambini cronici hanno un carico di accertamenti e di terapie da seguire davvero severo. Ma l’esperimento si è allargato, ad esempio alle ragazzine con disturbi alimentari, che hanno personalità complesse, spesso rigide, e vivono una grande difficoltà: anche qui sono arrivati gli animali, con il loro carico di serenità e lo scambio di emozioni che riescono a trasmettere. Ora siamo alla sperimentazione in ulteriori servizi di cura”. Zampa amica, l’associazione di Katia, fa anche formazione, ad esempio con i corsi che insegnano ai bambini come rapportarsi con i cani senza il ri-schio di incidenti. La tribù a quattro zampe entra regolarmente anche nelle case di riposo per anziani: “Nel 2007 un’amica mi ha invitata per un corso di interventi assistiti dagli animali, così per curiosità. Sono rimasta entu-siasta, soprattutto la bravura di Debra Buttram che ha saputo trasmettere tanto entusiasmo e capacità professionale. Da quel momento è nata in me la passione e la curiosità di approfondire questa terapia nuova, ancora poco conosciuta ma di grandi prospettive. Ho seguito vari corsi di formazione, anche all’ospedale Meyer di Firenze con l’associazione Antropozoa”. L’associazione ora si occupa settimanalmente di progetti specifici di at-tività assistita dall’animale in nove Rsa (Residenze sanitarie per anziani), al “centro infanzia” di Trento, nelle scuole primarie, in ospedale: “L’intervento che particolarmente mi sta a cuore è quello che svolgo a favore dei bambini affetti da neoplasie cerebrali. Nonostante la grande difficoltà nell’approc-ciarsi a queste patologie, la soddisfazione mia più grande è quella di regala-re un momento gioioso e un grande sorriso grazie agli incontri con i nostri quattrozampe”.

Il segreto?Buttarsi,

si può sempre tornare indietro

—Deborah Mariotti

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Da Terni a New York sola andata. Come diventare architetto di lusso

Nome » DeborahCognome » MariottiEtà » 46Ero » architetto in ItaliaSono » architetto a New YorkDove vivo » New York

D a Terni a Milano, da Milano a New York. Con una strategia che non si vede, ma ci deve essere. Perché se giovane donna a poco più di trent’anni

hai aperto un tuo studio di architettura nella Grande Mela e hai progettato e realizzato store e showroom per clienti del calibro di Moschino, Emilio Pucci, Roger Vivier, Max Mara, per citare qualche esempio tra i tanti del luxury, non si può parlare solo di caso. Anche se l’aggettivo che Deborah Mariotti utilizza più spesso per descrivere la sua storia è “fortunata”. Deborah Mariotti, dopo il diploma si trasferisce a Milano da Terni per iscriversi alla Facoltà di Architettura del Politecnico. Dopo l’Erasmus a Ma-drid, inizia subito a lavorare in un piccolo studio di Milano. “È stata la mia fortuna, ho avuto tante responsabilità da subito”. Nel 2005 Deborah seguiva la realizzazione dei negozi di Emilio Pucci in tutto il mondo, dal Giappone, alla Russia e anche negli Stati Uniti. “A NY per caso ho conosciuto dei desi-gner che avevano uno studio a Soho e che cercavano persone con esperien-za di lavoro nell’ambito del retail di lusso per seguire il progetto dei negozi Tod’s in città. Mi hanno fatto una proposta, sono tornata in Italia, mi sono presa un mese per decidere. Ho dato le dimissioni e sono partita”. Qual è stato il fattore determinante per trasferirti? “Curiosità di provare una nuova esperienza e desiderio di vedere se un altro Paese avrebbe offerto delle possibilità diverse a una donna. In quegli anni i clienti a Milano erano per la maggior parte uomini ed era più facile per un architetto uomo strin-

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gere relazioni. Adesso le cose sono cambiate, ci sono molte più donne CEO anche nel retail”. Dopo tre anni nello studio di Soho, Deborah riceve dal suo ex titolare la proposta di collaborare alla realizzazione del negozio di Moschi-no a New York. È l’occasione per fare il grande salto e aprire il proprio studio a Dumbo, un quartiere di Brooklyn, lo studio è a un isolato dal famoso ponte. “Ho do-vuto imparare a fare tutto, dalle pubbliche relazioni alla contabilità. Negli anni ho diversificato l’attività, dalle ristrutturazioni di townhouse e appar-tamenti, alle spa di lusso, alla realizzazione di un nuovo concept di ufficio per una startup. Negli Stati Uniti gli architetti sono molto specializzati, fan-no i disegni e non vanno quasi mai in cantiere. Io ho l’approccio europeo per cui andare in cantiere e seguire tutte le fasi, dalla progettazione all’esecu-zione, fa sempre parte del nostro lavoro. Molti dei miei clienti sono europei, proprio perché si riconoscono di più in questo modo di gestire il progetto”. Il segreto del tuo successo? “Buttarsi, si può sempre tornare indietro!”. Difficoltà legate alla lingua o alla burocrazia? “Le vere difficoltà qui sono dovute alla diversa impostazione e organizzazione del lavoro, che per noi ita-liani non è facile cogliere subito, c’è una forma mentis molto diversa. La lin-gua non è un ostacolo, la maggior parte delle persone con cui si lavora non è nata negli USA. Per quanto riguarda il visto, mia madre è di New York e non ho dovuto farlo”. E almeno per questo aspetto la parola fortuna si può usare.

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Combinavo matrimoni, ora allevo lumache: il business della lentezza (e della bellezza)

Nome » CatiaCognome » AccadiaEtà » 49Ero » agente matrimonialeSono » allevatrice di lumacheDove vivo » Roma

N on avete idea di quanti prodotti si possano fare con la bava di lumaca: integratori, creme, sciroppi. Perfino rimedi per quel problema maschi-

le tipicamente associato a pasticche blu. Catia Accadia, 49 anni, è una socia fondatrice di Geonature, base a Roma, cooperativa che conta ormai circa 400 associati su tutto il territorio nazionale. Il 70% sono giovani, che si sono fatti tentare dalla elicicoltura: “Ma non è mica così semplice”, racconta. Catia aveva una agenzia matrimoniale: “In 12 anni di onorato servizio ho messo insieme circa 800 coppie e sono ancora in contatto con tantissimi di loro”, racconta. Ha anche scritto un libro, Dio li fa – Io li accoppio. “Il lavoro mi piaceva, poi è arrivato un colosso come Meetic, online, un canone bassis-simo che mi metteva fuori mercato”. Le lumache sono semplici, e si vendono, le avevano detto: “Abbiamo ini-ziato con i metodi tradizionali, e le cose andavano malissimo: allevare all’a-perto può essere un incubo, soprattutto se arriva un’estate caldissima e gli animali muoiono”. Catia e i suoi soci hanno deciso di imparare, e sono andati direttamente alla fonte: Francia, Italia, Spagna, Lituania, Polonia: “In Fran-cia abbiamo visto piccole fattorie autosufficienti grazie a più prodotti, bava e caviale di lumaca, ad esempio. Altri Paesi sono forti sulla gastronomia, dove arrivi a 2, 2,5 euro al chilo. La bava, invece, era il vero business, con un valore fino a 250 euro al chilo”. Rientrati in Italia, Catia e soci hanno progettato una macchina – il mi-

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crophil – che raccoglie e microfiltra la bava prodotta dalle lumache che pro-cedono su una sorta di pedana vibrante (non elettrificata). Con una marcia in più rispetto alla bava liofilizzata, ben più diffusa. Oggi Geonature progetta impianti, tipicamente destinati a chi ha già avviato l’attività e si è trovato nei guai perché le lumache (riproduttori) sono scappate, o sono arrivati topi e uc-celli, o una bomba d’acqua ha rovinato tutto. Bava (richiesta a fini farmaceu-tici e cosmetici) e caviale (molto apprezzato all’estero) si producono invece al chiuso, usando vecchie stalle, box, casali. La cooperativa si è attrezzata con un laboratorio che studia e mette a pun-to una quantità di prodotti diversi: anche per i disturbi maschili (impotenza) e femminili (menopausa), e poi per la gastrite e per la dieta, contro l’insonnia e per alleviare la depressione, per le ragadi e le vene varicose. E poi creme co-smetiche di ogni genere: “Nel team oggi abbiamo 12 persone, 8 sono addet-te alla ricerca e alla messa a punto dei prodotti, oltre che ai test necessari. Ora produciamo anche per conto terzi: creiamo la formula e la registriamo. Sempre più farmacie acquistano i nostri kit per produrre direttamente la bava: il resto del nostro mercato è all’estero, dove chi acquistava merce lio-filizzata dall’Asia oggi cerca le proprietà assicurate da una lavorazione più rispettosa”. E il business procede, tanto lento quanto solido.

Ho incontrato chi mi ha trasmesso

passione e curiosità—Katia Bertoldi

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Cambio vita: 10 siti per dare una svolta(senza fare un salto nel buio)

M ollo tutto, cambio vita, ricomincio da zero (o da me): a molti è capitato di dirlo, magari solo come sfogo, E poi c’è chi lo ha messo in pratica,

come nelle storie scelte per questo ebook. Come matura una decisione così radicale? Come si sceglie se andare all’estero o restare? E nel caso in quale Paese è meglio trasferirsi e come organizzare tutte le cose pratiche, dai docu-menti all’assicurazione? E il gatto, posso portarlo con me? In molti casi alla base delle scelte c’è la conoscenza diretta di qualcuno che ha già percorso una strada simile. Altre volte è fondamentale il consiglio di persone conosciute grazie alla rete. Essere informati è fondamentale per non rischiare di fare un salto nel buio. Si può iniziare a raccogliere qualche idea sulla rete. Per questo abbiamo selezionato dieci siti, fra i più gettonati, da chi progetta di cambiare vita.

mollotutto.com È un sito suddiviso per aree geografiche, che spiega come cercare lavoro ai Caraibi o partire per una nuova vita in Sud America. Ci sono i consigli (come evitare le truffe, qual è il costo della vita nelle mete prescelte, come trasferire contanti o avere assistenza sanitaria all’estero) e le offerte di lavoro, oltre alle storie di chi è partito.

voglioviverecosiworld.comAnche su Facebook, con le informazioni per chi sogna di cambiare vita. L’idea-tore è Alessandro Castagna, nato a Verona nel 1964. Dopo la laurea in Scienze politiche e un master in marketing turistico, ha lavorato in azienda per cinque anni. Si è licenziato nel 1996 ed è diventato co-fondatore di una società che si occupa di importare e distribuire gioielli etnici provenienti da tutto il mondo. Nel maggio del 2011 ha ceduto la sua quota e da allora si dedica a tempo pieno al sito “Voglio vivere così”, creato nel 2007 per raccontare le esperienze di chi, spinto da un sogno o stanco della propria quotidianità, ha deciso di cambiare

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vita. E’ autore del libro “Come lasciare tutto e cambiare vita”. Fra i collabora-tori Nicole Cascione, autrice di “Vado a Vivere in Canada – Guida pratica per chi sogna di trasferirsi nel Nord America”.

solandata

Sito e pagina Facebook per la webserie dellarRegista Roberta Zanzarelli, che racconta gli ultimi sette giorni di chi ha deciso di lasciare l’Italia, fra grandi entusiasmi e distacchi dolorosi. I protagonisti non hanno limiti di età: giova-ni e pensionati, con uno sguardo a metà fra la documentazione e la denuncia sociale di un Paese che vede tanti partire per mancanza di alternative e non fa nulla per trattenerli.

Just Australia Agenzia fondata da due giovani udinesi – Stefano Riva e Ilaria Gianfagna – a Melbourne, spiega come lavorare, studiare o trasferirsi qui, con una premes-sa: “Per vivere in Australia è indispensabile vantare un buon livello d’inglese, una qualifica ed esperienza nel proprio settore. Se manca tutto ciò, niente paura, in Australia ci sono le migliore scuole d’inglese, istituti professionali e atenei d’eccellenza, oltre che tante occasioni di lavoro”.

nuovavita.com

Da viaggiatori dilettanti e quasi sempre per vacanze, durante un viaggio alle Canarie gli ideatori raccontano di essersi resi conto “di quanti pensionati ita-liani vivano molto bene all’estero e di quanti ancora non sanno delle splen-dide opportunità che ci sono per vivere meglio fuori dall’Italia, sia a livello di clima e sia economico, senza oltretutto allontanarsi più di tanto”. Così, trami-te amicizie e contatti sparsi per il mondo, è stato creato un gruppo specifico e dedicato al trasferimento dei pensionati, con collaboratori italiani nella loca-lità d’arrivo, per poter accompagnare e assistere nel miglior modo possibile il pensionato che intendesse spostarsi a vivere in un altro paese o quantomeno volesse conoscere questo nuovo luogo prima di decidere.

vadovia.it Riporta informazioni utili per programmare al meglio dal semplice viaggio al trasferimento in Tunisia ,in Portogallo o in Bulgaria. “Le informazioni fornite

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sono state assunte da fonti ufficiali e dalla realtà quotidiana vissuta dai nostri collaboratori che vivono nei Paesi di destinazione – spiega il sito – La nostra società è divenuta in pochi anni leader nelľassistenza ai pensionati italiani che decidono di trasferire la residenza all’estero”. Adesso il target sono anche imprenditori e famiglie che non possono permettersi “errori grossolani che potrebbero pregiudicare la riuscita di un progetto così importante”.

mollaretutto.com Propone una panoramica, “il più completa possibile, sui Paesi esteri dove è possibile trasferirsi a vivere, lavorare o fare impresa”. Pubblica settimanal-mente una “Scheda-Paese” con informazioni di carattere generale sulle nazio-ni più interessanti dove è possibile ricominciare una nuova vita da soli o con la famiglia. Inoltre la pagina Facebook viene aggiornata con offerte di lavoro, siti utili, annunci immobiliari, e quant’altro può essere di interesse per chi sogna di Mollare Tutto e trasferirsi all’estero.

italiansinfugaCon tanto di newsletter e forum per scambiare opinioni o cercare informa-zioni, riporta notizie sulle aziende all’estero che pubblicano regolarmente an-nunci di lavoro, per i quali è richiesta la conoscenza dell’Italiano. C’è anche la sezione Homestay, un sito che permette di trovare sistemazione presso fami-glie residenti all’estero.

cambiarevita.eu

È organizzato con un database in ogni città costruito da italiani che vivono già all’estero e conoscono a fondo le diverse realtà in giro per il mondo: “Il blog serve a leggere le ultime notizie e le storie di chi ha già cambiato vita, e la ta-bella delle destinazioni monitora parametri quali costi, sicurezza, qualità del-la vita, trasporti, affitti e stipendi”. Il curatore, Gianluca Orlandi, nel 2009 ha iniziato il suo percorso di italiano all’estero; ha vissuto in città come Londra, Tenerife, Cancun e Playa del Carmen in Messico, Chiang Mai e Bangkok, dove racconta di essere arrivato “sempre da solo, senza conoscere nessuno e senza avere nessun tipo di contatto”: ha scritto una guida al “cambio vita”.

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Gruppi FacebookAlcuni sono aperti, altri chiusi.◊ Italiani a Miami, con miniguida gratuita per scoprire come le persone

sono arrivate e rimaste a Miami.◊ Italiani a Londra ha anche un comparatore di prezzi sugli appartamenti

per trovare il più economico. ◊ Italiani a Berlino ha appuntamenti fissi come la “parola del giorno” per

iniziare a fare pratica con lingua e modi di dire.

Ora largo ai vostri sogni!

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Alley Oop - L'altra metà del Sole è il blog multifirma del Sole 24 Ore dedicato alla diversity.

Nato nel febbraio del 2016 su iniziativa di Monica D'Ascenzo,Alley Oop ospita contributi di giornalisti del Gruppo 24 Ore

e di autori esterni in tema di lavoro, politica, imprenditoria, istruzione, Stem, cultura, sport, arte e società.

#cambiovitaDieci storie di donne alla svolta della loro carriera

è un ebook di Alley Oop, L’altra metà del Soleprima edizione febbraio 2017

da un’idea di Monica D’Ascenzotesti di Monica D’Ascenzo, Elena Delfino,

Laura Galvagni, Barbara Ganzediting Stefania Vadrucci

graphic design Ilaria Defilippodel team Alley Oop

Cover photo: Edu Lauton

Seguici su Facebook, Twitter e Instagram@AlleyOop24 #cambiovita


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