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Camera con Vista n°1

Date post: 10-Mar-2016
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The first number of the new photographic magazine of Imagorà Association - Palmi
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Camera con VISTA Ospiti Francesco Turano e la Fotografia subacquea Il Caso Chernyavsky maternità oscena? Storia di Copertina concorso "Paesaggi D'Istanti" cAMERA CON VISTA Cultura, territorio e società attraverso l'obiettivo Luglio/Agosto 2013 - n. 1
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Camera con VISTA

OspitiFrancesco Turano e la Fotografia subacquea

Il Caso Chernyavskymaternità oscena?

Storia di Copertinaconcorso "Paesaggi D'Istanti"

camera con VistaCultura, territorio e società attraverso l'obiettivo

Luglio/Agosto 2013 - n. 1

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è una rivista dell'Associazione

PresidenteGiancarlo Parisi

VicepresidenteMassimo Collini

SegretarioGiuseppe Bova

Redazione

Camera con VISTA

www.imagora.it

[email protected]

SommarioDirettore Editoriale

Giancarlo Parisi

Direttore ResponsabileGiuseppe Bova

Progetto GraficoGiancarlo Parisi e Giuseppe Bova

Hanno CollaboratoZaly Caddeo, Barbara Cipri,

Giuseppe Filice, Daniele Ligato, Rocco Romola, Francesco

Turano.

L'EditorialeUna nuova realtà - pg. 3

Cover StoryPaesaggi D'Istanti: i vincitori - pg 8

PilloleCome Fotografare le stelle - pg. 20

Leggere la fotografiaIl Caso Chernyavsky - pg. 16

Grandi MaestriErnesto Bazan - pg. 14

Primo Piano: Letizia Battagliala fotografa (non solo) della mafia- pg.13

TecnicaCanon 40mm Pancake - pg. 21

Storia della FotografiaDalle "origini" al 1839 - pg. 5

OSPITI: Francesco TuranoLa Fotografia Subacquea - pg. 10

Foto ContestI Vincitori - pg. 23

Fotoconcorsi

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Editorialedi Giancarlo Parisi

Il mio percorso nella fotografia è sempre stato caratterizzato da una spiccata vena autodidattica, e non lo dico con orgoglio. Sono nato e cresciuto in una realtà in cui la Fotografia viene intesa (ed accettata) solo se corrisponde a determinati canoni e, soprattutto, solo se svolge adeguatamente i “compiti” che le sono affidati (e sui parametri utilizzati per determinare quella adeguatezza ci sarebbe molto da dire).La Fotografia è una pratica estremamente affascinante, con una storia alle spalle che, per quanto breve se paragonata alle altre arti figurative, meriterebbe molta più diffusione e conoscenza di quella di cui effettivamente gode. L’attività di Imagorà è sempre stata orientata alla diffusione della cultura e dell’amore per la Fotografia e crediamo di aver compiuto importanti passi in questa direzione. Ciò ci è confermato dalla risposta delle numerose persone che hanno creduto in noi e che ci hanno, di fatto, consentito di “esistere”, partecipando alle diverse attività formative che abbiamo organizzato. A queste persone va il mio personale ringraziamento.“Camera con Vista” si inserisce direttamente nel solco della nostra

attività associativa, proponendosi di divenire un appuntamento fisso per tutti coloro a cui piace la Fotografia. Si tratta di un progetto editoriale ancora molto acerbo e questo primo numero sarà un test per tutta la

redazione. Il nostro principale intento è quello di creare una rivista nella quale riversare pubblicazioni che, a vario titolo, toccano il mondo dell’immagine. La rivista, infatti, sarà aperta a collaborazioni esterne, anche

vista sul ponte vecchio dalla galleria degli Uffizi - ©Giancarlo Parisi

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Giancarlo Parisi

saltuarie, provenienti da chiunque voglia proporsi come referente di un argomento, di un evento o voglia semplicemente rendere pubblica una digressione riguardante la fotografia.Crediamo fermamente che il primo ostacolo da superare per diffondere una sana cultura fotografica sia quello di aprirsi, di uscire dal ghetto nel quale spesso ci trinceriamo. Soltanto così si potrà avere piena contezza di ciò che ci circonda e si potrà crescere. Non a caso, infatti, abbiamo scelto come nome di testata il titolo del famoso romanzo di Forster , nel quale l’autore esprime in embrione proprio il tempo della connessione agli altri e con sé stessi. Vogliamo, dunque, essere una fotoCamera con Vista sul mondo che ci circonda e fare da piccolo palcoscenico per tutto ciò che di bello e importante si svolge intorno a noi.Sulla rivista troveranno spazio rubriche di vario tipo, alcune fisse altre occasionali, riguardanti la storia, la tecnica, il territorio, la società, la cultura visti dagli occhi di un fotografo. Nonostante le difficoltà che questo comporta, la rivista sarà diffusa in formato esclusivamente elettronico e gratuito, tramite la pubblicazione sul nostro sito internet e la diffusione via mail a tutti gli utenti registrati al portale www.imagora.it. Per noi sarà un grosso sacrificio mantenere l’appuntamento bimestrale di pubblicazione, ma speriamo di riuscirci, nonostante tutti i componenti

della redazione si dedichino a questa attività esclusivamente per passione e senza percepire alcuna retribuzione. La nostra è una scommessa e abbiamo bisogno di voi lettori per poterla vincere, per cui vi ringraziamo già da ora e vi lasciamo alla lettura di questo primo numero!

Il gruppo di Imagorà sotto la statua del Redentore, durante l'uscita ufficiale alle cascate Forgiarelle e Montalto (1956 metri s.l.m.) - luglio 2012.

Imagorà compie un anno di vita! - Ottobre 2012.

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Storia della Fotografia

di Barbara Cipri- dalle "origini" al 1839

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La conoscenza della storia della fotografia, della sua evoluzione tecnologica e dei protagonisti che l’hanno resa possibile, permette di comprendere la portata rivoluzionaria di questa invenzione, oltre che il senso dei più diversi impieghi che ne hanno favorito diffusione.E il fatto che siano tanti gli uomini di scienza ad aver contribuito alla sua creazione, rende la fotografia realmente figlia della cultura del mondo, del desiderio dell’umanità di evolversi e di varcare nuovi orizzonti, grazie anche alla combinazione tra studi scientifici, artistici e umanistici.Il termine fotografia deriva dal greco antico ed è composto dai due termini φφφ (phôs, luce) e φφφφφ (graphè, scrittura o disegno). Quindi, scrittura eseguita con la luce. Una sintesi efficace che riassume una procedura complessa e affascinante.Il fenomeno ottico della luce che, passando attraverso un piccolo foro su una parete, proiettava sulla parete opposta un'immagine fedele e capovolta del paesaggio esterno, era già noto anticamente.Il principio della camera oscura, per iniziare a chiamare le cose con il proprio nome, viene citato tra gli altri dal filosofo cinese Mo-Ti (fine V sec. a.C.), da Aristotele (384 - 322 a.C.) e dal matematico greco Euclide (323

- 286 a.C.) nel suo trattato “L’Ottica”. Ma fu il filosofo, matematico e astronomo arabo Alhazen Ibn Al-Haitham (965 - 1038) a descrivere dettagliatamente il fenomeno fisico del rovesciamento dell’immagine.Il termine “camera obscura” è stato coniato da Giovanni Keplero (1571-1630) che, avvalendosi degli studi sul funzionamento dell'occhio umano, lo cita nella sua opera “Paralipomena ad Vitellionem”, intendendo un ambiente buio, di dimensioni differenti (da una piccola scatola a una stanza), su una parete del quale sia stato praticato un piccolo foro (chiamato foro stenopeico: dal greco stenòs, stretto, e opé, foro). Passando attraverso esso, i raggi luminosi provenienti da oggetti esterni illuminati si incrociano e proiettano sulla parete opposta l’immagine rovesciata e invertita degli oggetti stessi. Leonardo da Vinci (1452 - 1519), poi, utilizza il principio della camera oscura, Oculus Artificialis, per spiegare diversi fenomeni ottici di base, come per esempio l’inversione da destra a sinistra delle immagini del campo visivo.La prima illustrazione della camera oscura, però, è ad opera del matematico e astronomo olandese Rainer Frisius (1508 - 1555), che la utilizzò per l’osservazione degli

astri e in particolare delle eclissi di sole, come quella del 21 dicembre 1544.La rappresentazione prospettica sviluppata nel 1400 da Filippo Brunelleschi (1377 - 1446) e arrivata a noi grazie al De Pictura dell’umanista e architetto Leon Battista Alberti (1404 - 1472), unitamente alla conoscenza della camera oscura, permise a quest’ultima di essere utilizzata per la pittura: grazie ad essa, infatti, si potevano copiare paesaggi fedelmente proiettati (anche se capovolti) su di un foglio appositamente appeso.Stabilita questa finalità (che si andava dunque ad aggiungere a quella scientifica),

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la camera oscura subì delle importanti modifiche finalizzate a migliorare l’immagine proiettata attraverso il foro.Nel 1550 il matematico, medico e astrologo italiano Girolamo Cardano introdusse una lente convessa per concentrare la luce e aumentare la luminosità; nel 1568 Daniele Barbaro aggiunse un diaframma per ridurre le aberrazioni.A proposito di antenati, nel 1685 l’inventore tedesco Johann Zahn, basandosi sul progetto precedente del fisico tedesco Johann Christoph Sturm, creò la “prima reflex”, ovvero una camera oscura in cui al suo interno uno specchio posto a 45° permetteva di raddrizzare l’immagine proveniente dall’obiettivo e la proiettava dritta sul vetro smerigliato, sul quale i

pittori potevano appoggiare il loro foglio per riprodurre i paesaggi ripresi.A questo punto emerse la necessità di fissare le immagini sul supporto sul quale venivano proiettate. Iniziano dunque gli studi sui materiali fotosensibili: al chimico tedesco e padre della fotochimica Johann Heinrich Schultze (1687 - 1744) dobbiamo i primi esperimenti in materia, proseguiti successivamente dallo scienziato e inventore

britannico Thomas Wedgwood (1771 - 1805) che, insieme al chimico inglese Humphry Davy, divenne famoso per i suoi studi sulla possibilità di catturare immagini utilizzando il nitrato d'argento, che utilizzò per trasferire su vetro e pelle immagini fotografiche di foglie e altri oggetti, presentando un articolo relativo al procedimento alla Royal Society, nel 1802.Ecco che entrano in campo il francese Joseph Nicéphore Niépce (1765 - 1833), il chimico Louis Jacques Mandé Daguerre (1787 - 1851) e il rivale inglese William Fox Talbot (1801 - 1877): la data della nascita ufficiale della fotografia è vicina.Niépce si interessò della recente scoperta della litografia e approfondì gli studi alla ricerca di una sostanza che potesse impressionarsi alla luce in maniera esatta,

mantenendo il risultato nel tempo. Attraverso alcuni esperimenti, scoprì che il bitume di Giudea era sensibile alla luce e lo utilizzò nel 1822 per produrre delle copie di una incisione del cardinale di Reims, Georges I d'Amboise.Chiamò questo procedimento eliografia e lo utilizzò anche in camera oscura per produrre dei positivi su lastre di stagno. Nel 1826, dopo una posa di ben otto ore, realizzò la prima fotografia della storia (Vista dalla finestra a Le Gras) raffigurante il paesaggio visibile dalla finestra del suo studio.A Londra, Niépce presentò l'eliografia alla Royal Society, che non accettò la comunicazione perché lo stesso non volle rivelare tutto il procedimento. Tornato a Parigi, si mise in contatto con Louis Mandé Daguerre con il quale concluse nel dicembre 1829 un contratto valido dieci anni per continuare le ricerche in comune. Dopo quattro anni, Niépce morì senza aver potuto ultimare il suo procedimento, che da Daguerre venne perfezionato e denominato dagherrotipia. Esempio famoso di tale tecnica è la natura morta realizzata nel 1837 attraverso l’utilizzo di una lastra di rame ricoperta da uno strato di argento, quest'ultimo sensibilizzato alla luce con vapori di iodio. Seguiva l’esposizione in camera oscura per circa 10-15 minuti e lo sviluppo mediante vapori di mercurio. Il fissaggio conclusivo si otteneva con una soluzione

J. N. Niépce - Veduta dalla finestra di Le Gras

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di tiosolfato di sodio.Daguerre fu contattato dal deputato François Jean Dominique Arago, che propose l'acquisto del procedimento da parte dello Stato. Il 19 agosto 1839 la scoperta venne resa pubblica con toni entusiastici durante una riunione dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle Arti: nasce ufficialmente la fotografia. Ma, indubbiamente ed oltre a Niépce e Daguerre, la fotografia ha (almeno) un altro padre: il fisico inglese William Henry Fox Talbot, inventore della fotografia come noi oggi la intendiamo, ovvero quale matrice riproducibile potenzialmente all’infinito. Talbot, colto in contropiede dall’annunciazione del dagherrotipo, si affrettò a presentare le sue scoperte alla Royal Society, documentando esperimenti risalenti al 1835. Questi ultimi furono condotti esponendo alla luce solare una foglia a contatto con carta imbevuta in una soluzione di sale da cucina e nitrato d’argento; sulla carta compariva il negativo dell'oggetto che Talbot intuì come trasformare in positivo utilizzando un secondo foglio in trasparenza. In collaborazione con il chimico inglese John Frederick William Herschel (1792 -1871), perfezionò la tecnica di fissaggio utilizzando l'iposolfito

di sodio per rallentare il processo di dissoluzione dell'immagine. Chiamò questo procedimento Calotipìa, o Talbotipìa, che, a differenza della dagherrotipia, permetteva di produrre più copie di un’immagine utilizzando il negativo. Nel 1941 Talbot richiese e ottenne un brevetto in Inghilterra, per monetizzare la sua scoperta

e seguire l'esempio di Daguerre. Tra il 1844 e il 1846 egli produsse in migliaia di copie quello che può essere definito il primo libro fotografico, il Pencil of Nature, contenente 24 calotipi.Ora, il metodo per “scrivere con la luce” è di pubblico dominio, ma occorre la penna, ovvero la macchina fotografica. Anche in questo caso, lo spirito imprenditoriale di Daguerre non viene meno: in accordo con l’ottico e cognato, Alphone Giroux, si impegna per la fabbricazione delle camere oscure necessarie. È l’alba del mercato fotografico.

W. H. F. Talbot - fotografia di un pagliaio da "The pencil of nature", 1844Barbara Cipri

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Cover Story

di Giuseppe FilicePaesaggi D'Istanti

Vivere l’esperienza di un concorso fotografico che ha come tema il territorio calabrese e in particolare l’Area Greganica, è qualcosa di emozionante e contemporaneamente affascinante, dal sapore antico, condito da un pizzico di mistero. Prima di descrivere la cerimonia di premiazione del concorso vorrei aprire un preambolo su quanto è importante l’area Grecanica per i calabresi e cosa ha rappresentato questa terra in passato. Essa custodisce le antiche tracce di isola culturale del bacino del Mediterraneo, con molte popolazioni di diverse culture e tradizioni storiche, che hanno vissuto precariamente su questo territorio, particolarmente ostico e impervio. I secoli a seguire hanno visto crescere lo spopolamento dei paesi dell’entroterra a causa di un inesistente sviluppo economico e industriale e anche per disastri ambientali di rilevante importanza. Tale emigrazione continua ancora oggi, lasciando paesi popolati da anziani spesso soli e senza nessun collegamento col mondo moderno e frenetico di oggi. Questi luoghi custodiscono il patrimonio culturale, dai punti di vista architettonico, gastronomico e paesaggistico, che arricchiscono il territorio calabrese. Partecipare al concorso è stato come ripercorrere le strade e i sentieri dei nostri avi, assaporando il gusto e il profumo della storia durante la sessione fotografica. Abbiamo contribuito in qualche modo a rivalorizzare il suddetto patrimonio architettonico culturale.

Stanza Rosa - San Luca - ©Giancarlo Parisi

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Il concorso nella sua fase finale ha previsto la premiazione di quattro foto finaliste, una per tema (aerea Greganica, cultura tradizioni, paesaggi sfigurati, borghi antichi), e una come migliore opera. In finale inoltre sono state premiate le migliori venti opere di vari fotografi professionisti e amatori. Il nostro gruppo di “Imagorà Fotografia” ha vissuto l’evento con particolare soddisfazione e con un filo di emozione. In particolare il nostro presidente Giancarlo Parisi che si è classificato al primo posto con la foto “Stanza Rosa”, e tra le venti opere esposte in finale anche le immagini di Massimo Collini, vicepresidente dell’associazione, e del sottoscritto socio affezionatissimo. La chicca della serata è stata la presenza del grande fotografo Ernesto Bazan, che ha presieduto la giuria del concorso ed ha tenuto un breve seminario, raccontandoci il modo in cui sono nati due dei suoi fotolibri più famosi, "Bazan Cuba" e "Al Campo".

Chorio di San Lorenzo - © Giuseppe Filice

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Castello dell'Amendolea e chiesa dell'Assunta - ©Massimo Collini

Giuseppe Filice

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OSPITI: Francesco Turano

di Francesco TuranoLa Fotografia Subacquea

Ardua impresa è spendere le giuste parole per definire la fotografia subacquea. Il fatto che per fotografare sott'acqua si debba necessariamente essere dei subacquei è già un qualcosa che ci apre gli occhi su un punto molto importante: solo l'amore per il mare e la voglia di dedicarsi con grinta e passione all'esercizio delle attività subacquee può portare ad intraprendere un percorso di questo tipo. Con questa premessa posso affrontare l'argomento in base a quella che è stata la mia esperienza personale, che mi ha visto innamorato del mare sin da bambino e mi ha portato ad essere un subacqueo da subito e, insieme, un interprete della natura. Oggi, con trenta lunghi anni di esperienza fotosub e un'impostazione professionale, posso parlare di questa affascinante attività con quel pizzico di esperienza che il mare mi ha permesso di fare. Quello che oggi, dopo tanti anni dedicati a questa disciplina, cerco di riportare a galla, è una scena di vita, nella sua semplicità, un attimo interpretato con un pizzico di creatività; la fotografia come testimonianza, racconto, ma anche come tela su cui scaraventare in un istante, quello dello scatto, tutto ciò che la luce ci permette di osservare e gustare. Subito dopo, la condivisione diviene momento di piacere e di crescita, per chi fotografa e per chi osserva! Ricordo che un tempo per condividere era necessario invitare a casa gli amici e, dopo cena, proiettare le diapositive al buio per coinvolgerli in quel fantastico mondo. Oggi i social network permettono condivisioni istantanee su larga scala e le cose son cambiate non di poco. Ma fotografare sott'acqua, in pratica, cosa significa? Per un subacqueo può rappresentare il modo per congelare le emozioni, portare a casa un ricordo, documentare la biodiversità, semplicemente divertirsi o magari lavorare. Il problema più grosso, per chi inizia, è impadronirsi della tecnica, diversa da quella della normale fotografia che gli umani praticano da sempre nel loro elemento naturale. Una tecnica fotografica complicata dalla densità dell'acqua e dalla costante presenza di particelle in sospensione; una tecnica che si basa su un uso sapiente della luce mista, cioè della fusione di quella poca luce ambiente disponibile e della

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quasi costante luce artificiale (flash), necessaria per recuperare i colori assorbiti dall'acqua. Un modo di fotografare diverso, in un mondo in cui non esiste l'orizzonte e non esiste il paesaggio. La fotosub è quasi sempre un ramo della fotografia naturalistica; si fotografano per lo più forme di vita, anche se ci si può dedicare alla ripresa della figura umana in azione sott'acqua o ancora alla documentazione storica o archeologica (relitti). Personalmente ho sempre privilegiato l'aspetto naturalistico, ma questo solo per il mio percorso legato da sempre a un grande amore per il mare e le creature che lo popolano. Quando osservo una creatura vivente, cerco di scattare nel momento in cui le sembianze dell'animale assumono un aspetto il più possibile armonioso. Scatti ripetuti, alla ricerca della posa plastica, portano a presentare il soggetto dal suo lato migliore, curando sempre con cura la composizione ed unendo le due cose (il taglio e l'attesa dell'attimo) alla ricerca della bellezza. Col tempo tutto ciò diviene azione istintiva e l'osservazione di una scena di vita passa dal mirino della fotocamera automaticamente, realizzando l'immagine col pensiero appena prima della nascita della fotografia... un'emozione continua, che si rinnova ogni volta, che prende forza dall'opportunità di poter mostrare poi la scena a chi saprà e vorrà apprezzarla! A volte sott'acqua non è facile isolare come si deve il soggetto. La concentrazione delle numerose forme di vita nello spazio e il loro colore rende complicata la vita dell'interprete della natura sommersa, che deve avere un occhio molto allenato per selezionare le scene; a tutto ciò si aggiunge l'assorbimento dei colori, che peggiora enormemente le nostre capacità visive, e le difficoltà operative da un punto di vista tecnico e di gestione delle attrezzature. Realizzare una bella immagine, dando il giusto valore al soggetto, ambientandolo a dovere cercando il giusto sfondo, evitando che i numerosissimi elementi presenti distolgano l'attenzione di chi poi osserverà la fotografia, è una sfida continua. Ecco perché usare ottiche di ampio respiro come i grandangolari rende la vita ancora più difficile; ecco perché sovente è necessario letteralmente “incollarsi” al soggetto da fotografare... Ma questa è la sfida più affascinante che io conosca! Vivere il mare fotografando sott'acqua è quindi un'esperienza sicuramente affascinante, ma non si può negare che al tempo stesso si tratta di qualcosa di molto impegnativo oltre che dispendioso. Il costo dell'attrezzatura va moltiplicato per due, poiché ogni strumento va

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custodito in appositi "scafandri" che ne permettano l'uso subacqueo. Quindi, quando acquisteremo una fotocamera, dovremo mettere in conto l'acquisto del suo scafandro, che a volte costa molto più della fotocamera stessa... Altro prezzo, molto alto, da pagare, è quello dell'ingombro e della gestione delle attrezzature fotosub. Le dimensioni e il peso di un'attrezzatura media sovente scoraggia, anche se poi una volta in acqua le cose diventano molto più semplici. Ma preparativi, gestione e manutenzione sono alla portata di chi ha veramente tanta passione e voglia di fare, senza con questo voler scoraggiare nessuno. Un vantaggio enorme ce lo offre la tecnologia, che mette a disposizione del fotosub delle fotocamere compatte di alto livello che, adibite all'uso subacqueo, raggiungono dimensioni molto più contenute di un reflex scafandrata e permettono il raggiungimento di risultati comunque molto soddisfacenti. Sott’acqua si fotografa quindi a brevi distanze, si documenta con ottiche grandangolari molto spinte per non allontanarsi mai dal soggetto oltre un paio di metri, oppure si utilizzano ottiche macro, per sconfinare nel microcosmo sommerso e cercare di carpire alcuni dei suoi infiniti segreti. Ma il viaggio è lungo e difficile, il mare è sofferente (inquinamento e pesca lo hanno trasformato), e decidere di intraprendere questa via e tuffarsi nel mondo della fotosub potrebbe essere anche un gesto d’amore per il mare, per divulgare nella speranza che l’uomo possa ravvedersi e forse salvarsi…

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Francesco Turano

Francesco è fotografo subacqueo, illustratore naturalista, accompagnatore subacqueo e autore di mappe dei fondali marini e dei relitti. Socio di associazioni culturali e promotore di iniziative legate sempre alla salvaguardia del territorio e alla difesa del mare, ha organizzato manifestazioni ed eventi, mostre fotografiche e curato corsi di fotografia naturalistica. Ha inoltre svolto più volte un ruolo importante, in qualità di esperto, nel contesto di molti progetti di educazione ambientale. Per maggiorni informazioni visitate il suo sito:

www.francescoturano.it

indiceTesto e immagini di Francesco Turano - ©

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Primo Piano

di Giuseppe Bova

Una Colomba di Battaglia

In questo spazio mi sono riservato di descrivere ed analizzare uno scatto che reputo di una forza comunicativa straordinaria. Il tentativo è quello di fare emergere attraverso le parole gli elementi che trascendono dall’impatto visivo. Ad inaugurare questa rubrica ho scelto una fotografia di Letizia Battaglia. Non mi soffermo lungamente sulla biografia della fotoreporter, ci occuperemo certamente di lei nella pagina dedicata ai grandi maestri. Qualche cenno però è necessario farlo rispetto all’oggetto delle sue foto: la Battaglia è stata soprannominata la fotografa della mafia. È salita dunque alla ribalta per i suoi scatti che hanno immortalato scene truculente di cronaca nera, omicidi e capi mafiosi. La descrizione è volutamente riduttiva perché il mio intento è quello di spostare l’occhio del lettore sulla foto presa in esame. Un colomba bianca con le ali spiegate è a pochi centimetri dal viso di due ragazzini che l’ammirano con incanto e con un minimo di istintuale timore. Nello sfondo la statua di un santo o di una madonna in processione. La lettura di questa particolare fotografia è fortemente condizionata dalla minima conoscenza dei soggetti protagonisti, spesso inconsapevoli, degli scatti di Letizia Battaglia. Anche questa volta il contesto sociale della foto raffigura gente in strada, in questo caso ragazzini del ceto medio probabilmente. Una processione religiosa affollatissima dichiara

apertamente che ci si trova in uno dei sud del Mondo e in questo caso sappiamo che è l’Italia. Lo sguardo del lettore è spinto verso gli occhi del ragazzino più alto che sembrano incrociare quelli della colomba di un bianco candido. Nella prima percezione visiva pare che il volatile vada spontanemante incontro ai due bambini, quasi a voler comunicare loro qualcosa. Ma la colomba non è sola. A trattenerla si nota che c’è un braccio, subito dietro la coda. Sotto il petto dell’animale, se ci si sofferma con attenzione, si nota un dito. Ecco che l’immagine amplia e rimodula il suo significato. Se in qualche modo la colomba bianca poteva simboleggiare un messaggio aulico quale la pace in un contesto territoriale particolare, quella mano e quel braccio ne snaturano la spontaneità. Lo stile di Letizia Battaglia si fa sentire. Forse l’uomo che avvicina le colomba ai bambini lo fa per spaventare. O per scherzare. Il verismo è rappresentato dall’aver colto un attimo peculiare nel corso di una processione di paese. I significati subliminali e nobili di speranza e amore possono essere esclusivamente immaginati.

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la fotografa (non solo) della mafia...

Giuseppe Bova

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Grandi Maestri

di Zaly Caddeo

Ernesto BazanLo sguardo di un poeta che fotografa l’ Anima

Ernesto Bazan, nasce a Palermo nel 1959. A seguito di un sogno "rivelatore"durante il quale una voce sconosciuta lo incitava a diventare fotografo,conseguita la maturità si reca a New York per frequentare la "school of Visual Arts" che gli avrebbe consentito di realizzare la "personale profezia" di diventare fotografo professionista. Trascorsi circa 4 anni, terminati gli studi, entra immediatamente a far parte della blasonata agenzia Magnum per una breve esperienza lavorativa. Nel 1992 scopre Cuba, un percorso di vita frutto di un amore incondizionato che lo cambia radicalmente sia personalmente che professionalmente. Proprio in questa terra che lo accolse per circa tredici anni, comprese che in ogni scatto ricercava vita vissuta capace di rievocare le immagini impresse nella memoria della sua infanzia siciliana. In quegli anni ottenne diversi riconoscimenti a carattere internazionale e tante delle sue opere sono state esposte in Europa, America Latina e Stati Uniti. Dal 2003,allontanatosi per noia dai servizi

fotografici sulle riviste, si diede quasi completamente all’insegnamento e ai workshop (in america latina, new york e sicilia) che tutt’oggi costituiscono la

sua quasi esclusiva fonte di reddito. Considerando il vastissimo panorama della sua produzione fotografica, si può asserire che ogni immagine ritratta rappresenta

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per Ernesto, anche forse inconsapevolmente, un connubio indissolubile tra uomo e natura, tra la vita e la quotidianità. La ricerca del pensiero, dell’ anima e dei turbamenti di chi viene immortalato è palesemente chiara e comprensibile anche all’ osservatore più distratto. Per questo forse viene definito il fotografo poeta. Egli, infatti, non si limita a puntare, imprimere su pellicola e consegnare un’immagine attraverso la carta stampata in maniera fredda e distaccata; egli, attraverso quello scatto apparentemente casuale, coglie e dona alla storia la persona, il luogo, i sentimenti che nel preciso istante vivono nella loro drammatica o gioiosa realtà. Ecco come potrebbero definirsi le opere di Bazan, silenti e profondi sguardi che parlano di una realtà che vive e che si può, così, palpare, sentire e gustare, trasmettendo anche ai nostri occhi pianto sorriso, sgomento, stupore, inesorabilmente coinvolti e partecipi grazie a lui, degli eventi ritratti. Scatti profondi, nei quali non troviamo modelle truccate, ragazzi in posa e luoghi incantati ma anime, anime ferite o felici che grazie al fermo immagine narrano l’intensità di una storia, la loro, che prende forma senza artifici, e non necessita di alcuna parola. Luoghi e persone quelli che ci propone, conosciuti e rivisti, un dialogo d’anime, attraverso i quali si coglie la quinta essenza della nostra vita.

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Zaly Caddeo

Ernesto Bazan (Palermo, 1959) è un fotografo italiano.Studia a New York alla School of Visual Arts e dopo quattro anni entra a far parte dell'agenzia Magnum per un breve periodo della sua carriera. Dal 1992 al 2006 vive a nell'isola di Cuba. Il lavoro svolto in questi anni gli varrà l'assegnazione di alcuni premi fotografici. Ne l 2002 sviluppa i suoi workshop di fotografia e nel 2008 la casa editrice BazanPhoto Publishing pubblica il libro intitolato

Nota: le immagini di questo articolo appartengono ad Ernesto Bazan e sono tratte dal suo libro BazanCuba.indice

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Leggere la Fotografia

di Giancarlo ParisiIl caso Chernyavsky

Devo ammetterlo, non conoscevo Anastasia Chernyavsky prima che lo "scandalo" relativo alla pubblicazione della sua fotografia impazzasse sul web. In ciò, la sua nudità e quella delle sue bambine è certamente stata un elemento determinante nella generazione dello scalpore che la fotografia ha determinato: se madre e figlie fossero state vestite (o meno nude) probabilmente la foto sarebbe passata molto più in sordina su Facebook, osservata come una foto con l’inquadratura storta e liquidata dopo un secondo, persa nell'immenso mare della rete.E invece no. La mamma-fotografa era nuda, con il vello pubico bene in vista e con una goccia di latte che scende giù dal seno, turgido per via della gravidanza evidentemente conclusasi da poco. La figlia più grande che l'abbraccia ad una gamba, con gli occhi chiusi ed in una condizione di apparente, assoluta serenità; l'altra figlioletta in braccio. Al centro "l'occhio" inflessibile e violatore della fotocamera.La fotografia viene condivisa sul celebre social network e dal momento che contravviene a tutte le norme etiche dello stesso viene rimossa. Ma il tutto non rimane senza seguito: la censura, e la stessa pubblicazione, diventano un argomento di dibattito frazionato in molti angoli della rete e che vede protagonisti i soliti innocentisti, che non vedono nulla di male in questa foto e che, anzi, la trovano molto bella, e gli irriducibili colpevolisti, orda di "bolscevichi" che non tollerano

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assolutamente una foto del genere e condannano a morte l'Anastasia di turno.L’impressione che ho avuto quando ho letto alcuni dei commenti lasciati in coda ai vari articoli pubblicati da blogger e testate giornalistiche, tuttavia, è stata quella di una valutazione piuttosto superficiale della fotografia in questione. Anche quando l’autrice viene difesa, le argomentazioni “favorevoli” sono piuttosto riduttive ed incentrate sulla bellezza e spontaneità dello scatto. Mentre le critiche muovono soprattutto intorno alla nudità, accentuata dalla presenza delle bambine e, dunque, all’opportunità della pubblicazione. Nessuno, almeno tra i commenti e gli articoli che ho letto, che si chieda cosa abbia spinto la fotografa a realizzare questa fotografia; cosa, in definitiva, ella abbia voluto raccontare. E quand’anche la domanda affiori alla mente, viene subito messa da parte, perché niente può giustificare una tale mancanza di pudore e buon senso, oppure, nel caso dei sostenitori, perché comunque prevale il mero piacere estetico evocato dallo scatto. Ma esiste una verità tendenzialmente assoluta circa la natura di questa immagine e la sua esistenza?

La foto a me piace. Indubbiamente è difficile, nello spiegare il perché, superare il luogo comune secondo cui una bella donna, per di più nuda, renderebbe bella qualunque fotografia agli occhi di un uomo. Lo dice anche

Letizia Battaglia in un suo noto aforisma Addirittura alcuni studi dimostrano che in presenza di determinati soggetti, la pupilla si dilata più che con altri, a seconda dell’interesse che il soggetto suscita nella mente dell’osservatore. Inutile dire che nudi femminili portano alla massima dilatazione, quando l’osservatore è di sesso maschile.Tuttavia, pupilla a parte, ritengo che sussistano argomentazioni di maggiore spessore che possano essere proposte per analizzare questa fotografia. Proviamo a leggerla.Senza altri riscontri che non siano gli elementi forniti dal piano descrittivo dell’immagine possiamo soltanto avanzare delle supposizioni. Guardandola capiamo che siamo in un ambiente domestico, molto intimo e personale, probabilmente la casa in cui vivono i soggetti ritratti. Il contesto privato attenua l’impatto iniziale circa la nudità. Una delle bambine ha solo pochi mesi e ciò rende quasi ridicolo l’utilizzo dell’aggettivo “nuda” per descrivere la sua condizione. L’altra figlia invece, più grande, manifesta una assoluta tranquillità nel mettersi in posa per questa fotografia; ciò induce a ritenere che la madre probabilmente la fotografa spesso e che la nudità non rappresenta un tabù nel loro contesto familiare. I rapporti di parentela li desumiamo, senza certezza assoluta ma con buona approssimazione, per la bambina più piccola dal fatto che la

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donna è evidentemente reduce da una gravidanza recente, mentre per la più grande dal fatto che, probabilmente, se fosse stata una nipote o la figlia di amici non sarebbe stata fotografata, né avrebbe circolato nuda in casa loro. Ovviamente possiamo anche sbagliarci; solo leggendo il blog di Anastasia si apprende che si tratta delle sue figlie e che, quindi, sono entrambe bambine.Dagli elementi descrittivi offerti dall’immagine, poi, non possiamo sapere di più, né il perché la fotografa abbia deciso di riprendere se stessa e le figliolette senza vestiti. Possiamo però ritenere che, se come pare, la nudità non è un tabù in casa Chernyavsky, altrettanto normale è il pensare di realizzare un ritratto delle “donne di casa” in libertà assoluta. Certo, non tutte le persone realizzano ritratti di famiglia senza nulla indosso, figuriamoci pubblicarle su internet. Chiaro, dunque, che questa seconda attività, la pubblicazione, stenta ad essere accettata moralmente, provocando le reazioni “bolsceviche” di cui si diceva. Gli argomenti più frequenti a sostegno della assoluta inopportunità circa la pubblicazione di questa immagine (e di immagini simili), ruotano attorno alla sua presunta immoralità e sconvenienza, accentuata dalla presenza di bambini, nonché alla sua presunta finalità propagandistica: la fotografa, secondo molti, avrebbe scattato e pubblicato l’immagine con lo scopo, principale se

non esclusivo, di farsi pubblicità. Eppure, ad una indagine più attenta, si scopre che non sia stata l’autrice a condividere l’immagine su Facebook, ma un altro utente ignoto che ha prelevato l’immagine dal suo blog, come lei stessa afferma in questa intervista dove dichiara, altresì, di aver scattato la fotografia per superare i suoi problemi personali circa l’allattamento al seno (di che genere di problemi si tratti, non lo sappiamo). Vero è che lei ha comunque pubblicato la foto su internet, ma a questo punto la presunta finalità propagandistica si riduce di colpo: se la fotografia non fosse finita sul celebre social network la sua pubblicazione non avrebbe avuto questa risonanza. Se a questo aggiungiamo il fatto che Anastasia Chernyavsky pratica la fotografia dall’età di 15 anni e che attualmente lavora come fotografa professionista freelance per riviste, agenzie di moda e clienti privati, dovrebbe essere agevole comprendere come il suo rapporto con le immagini fotografiche, specie quelle proprie, assuma connotazioni del tutto sui generis rispetto a quelle di chi la fotografia la utilizza in modo sporadico e atecnico. Un fotografo adopera la fotografia come strumento di narrazione visiva, un linguaggio attraverso cui raccontare e raccontarsi. Se la stessa immagine fosse stata una poesia o una piccola prosa, non avrebbe certo suscitato le reazioni in questione.

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Prima ho detto che la pubblicazione di una foto simile incontra difficoltà ad essere accettata e giustificata. In realtà è l’atto fotografico stesso a risultare, ai più, inconcepibile. Il punto è domandarsi perché.E’ evidente che le difficoltà in parola sono figlie di una determinata cultura e società, che ci ha “insegnato” che si va in giro vestiti e che “ai bambini non si mostrano certe cose”. E’ anche vero, però, che in altre parti del mondo le cose funzionano in maniera opposta; tutto dipende dal momento culturale e dal tessuto sociale dove la foto è presentata.Il punto è che la fotografia di Anastasia non obbliga nessuno a riprendere se ed i propri figli senza vestiti, né pretende di essere giustificata sul piano morale. La fotografia racconta una storia, che può essere compresa solo parzialmente guardando solo quel fotogramma, ma che può essere il punto di partenza per conoscere di più. Basta avere la necessaria curiosità e la giusta apertura mentale. Basta avere voglia di “leggerla” quella storia. Trovo piuttosto ridicolo sostenere che la foto non doveva essere pubblicata perché non è giusto mettere in circolazione fotografie che possano turbare l’altrui sensibilità. Siamo circondati da volgarità e oscenità che accettiamo perché non riusciamo a cogliere come tali,

perché sono inglobate, assorbite in un sistema del quale neanche percepiamo la presenza. Poi viene fuori una maternità, bellissima nella sua semplicità e ci scandalizziamo per un pube scoperto, perdendo la possibilità di crescere interiormente.

A me la fotografia ha consentito di conoscere i lavori di Anastasia Chernyavsky e di scoprire che ha realizzato un intero progetto sulla maternità. Un progetto molto bello e denso di significato a mio modo di vedere, che racconta di un’attesa vissuta insieme, momento dopo momento e nel quale la tipica gelosia per l’arrivo di un fratello o una sorella è praticamente annullata. La fotografia criticata può tranquillamente essere la naturale conclusione del progetto sulla maternità, che potete visionare sul blog dell’autrice.Sono fotografie che raccontano di un amore molto intenso tra madre e figlie, “Ethel Sofia and Thais Michelle – my muses and best models! They give me life. They give me gold that I turn to silver”. Così Anastasia, parla di loro…

Nota: tutte le immagini dell'articolo appartengono ad Anastasia Chernyavsky e fanno parte della serie "pregnancy project". Le foto sono tratte dal suo blog.

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Giancarlo Parisi

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Pillole: How To

di Daniele LigatoFotografare le stelle

Capita frequentemente che foto senza alcun tipo di ritocco siano invece scambiate come un falso creato appositamente. Personalmente mi succede spesso con le fotografie in notturna, dove riesco ad immortalare un cielo stellato e queste sono le domande più frequenti che mi vengono fatte: "sono finte?" o ancora "hai aggiunto le stelle con photoshop?". Niente di tutto ciò. Si possono fare foto alle stelle ed é anche relativamente facile utilizzando una fotocamera reflex. Quando si effettua uno scatto, questo può avvenire in una modalità sorprendentemente veloce, addirittura in 1/8000 di secondo! Tempi così veloci non permetteranno di imprimere la luce delle stelle nel sensore della stessa macchina fotografica. Ovviamente la luce è troppo fioca la notte, allora abbiamo bisogno di un tempo più lungo, ad esempio 20 o 30 secondi. Dunque diventa indispensabile usare tempi lunghi per fare foto alle stelle. Tenere la fotocamera in mano immobile per 20 o 30 secondi potrebbe risultare impossibile allora occorre dotarsi anche di un cavalletto, così da mantenerla ferma per tutto il tempo d'esposizione. Posizionata la fotocamera sul cavalletto bisogna ricordarsi di aprire moltissimo il diaframma per “fare entrare” quanto più luce possibile e poi scattiamo! Se la foto risulterà

troppo scura potremmo aumentare la sensibilità ISO (ma non troppo per evitare rumore). Ricordiamoci di non andare oltre i 30 secondi d'esposizione per evitare che le stelle escano mosse a causa della rotazione terrestre. In quel caso avremmo così una foto di stelle denominata StarTrail, ma quella é un altra storia, da affrontare in un altro articolo. Dopo aver appurato che la nostra foto va bene sia in composizione che in esposizione, possiamo passare alla post produzione (se necessaria).

Via Lattea - ©Giancarlo Parisi

Star Trail - ©Giancarlo Parisi

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Daniele Ligato

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Tecnica

di Rocco RomolaCanon 40mm Pancake

In questo articolo di carattere particolarmente tecnico viene accuratamente recensito un obiettivo che io stesso possiedo e che ho quindi potuto descrivere nei dettagli che lo contraddistinguono. Molti appassionati di fotografia amano il ritratto, che per lo più viene eseguito con obiettivi fissi, 50, 85 mm molto luminosi, flash e pannelli riflettenti. Solitamente la maggior parte degli utenti, dal principiante al fotografo più evoluto, sono muniti di ottime fotocamere dal sensore ridotto, dette aps-c. L'avvento del formato pieno o anche detto full frame (così detto perché ha lo stesse dimensioni della pellicola

analogica 24x36mm), non è ancora alla portata di tutti, ma questo poco importa, perchè le ultime fotocamere dal sensore ridotto offrono comunque elevate prestazioni. Il sensore APS-C ha un coefficiente di moltiplicazione di 1,6 su Canon e di 1,5 sui vari sensori, Nikon, Pentax, Sony ecc, quindi le ottiche 50 mm, montate su quelle fotocamere , v a r i e r a n n o

il loro angolo di campo, “assomigliando” a mediotele (70-80mm, a seconda del produttore). La lente sotto esame è il Canon 40 mm f2.8, detto “pancake” per via delle sue dimensioni compatte. Si presenta, infatti, con un corpo molto sottile che contiene uno schema ottico composto da sei elementi in 4 gruppi. Un obiettivo “curioso”, che viene costruito non solo per i sensori più

piccoli, ma anche per i “pieno formato”.

Come dicevo l’obiettivo si presenta molto compatto, e una volta montato sulla fotocamera sembra quasi inesistente grazie alle sue dimensioni ridotte. Costruito molto bene, presenta un attacco metallico alla base (contrariamente a quanto avviene sul 50mm 1.8 il cui attacco è di materiale plastico pur mantenendo circa lo

il pancake a confronto con un 35mm e un 50mm

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stesso prezzo). Vanta di un motorino di messa a fuoco silenzioso, identificato dalla sigla STM. La resa ottica e cromatica è ottima, anche sulle fotocamere dai sensori più densi e moderni come la 5d mark III, come dal test mtf che vedete in basso sulla nitidezza:Anche la distorsione della lente si presenta ottima dando una completa e pulita visione della scena (grafico a lato).Gioca a favore dell’acquisto di questo obiettivo il prezzo relativamente economico, rispetto alle proprietà descritte. Una lente quindi, che mi sento di consigliare a chi ama immortalare al meglio i volti e le espressioni più variegate, ma anche il paesaggio e la street se l'ottica è utilizzata su fotocamere sull frame.

La parte in verde indica le migliori condizioni di nitidezza della lente in questione con un ottimo risultato come vedete già a tutta apertura, fino a f11 dove possiamo dare una buona profondità di campo alla scena, inizia poi ad avere dei cali di nitidezza, non sostanziali chiudendo di più.

Vediamo un ulteriore grafico che mostra il grado di l ’aberrazione cromatica, che risulta praticamente peretta a tutte le aperture di diaframma.

Il grafico mostra la distorsione a barilotto, praticamente assente.

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Rocco Romola

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Fotocontest

A cura di Giancarlo ParisiI Vincitori

Nelle prossime pagine pubblichiamo i risultati del Foto Contest che abbiamo indetto su Facebook e che aveva come tema la "street photography".Vogliamo, innanzitutto ringraziare i numerosi partecipanti, che hanno dato fiducia al nostro progetto affidandoci i loro scatti. Come avevamo anticipato, pubblichiamo la fotografia che ha ricevuto il maggior numero di Like. Dal momento però, che i partecipanti sono stati davvero molto numerosi e la qualità delle immagini presentate davvero molto alta, abbiamo deciso di pubblicare altre immagini che, ad avviso della redazione, si sono dimostrate essere estremamente interessanti.

A lato la fotografia di Giuseppe Lipari, che ha ottenuto il placet della "giuria popolare" sfiorando i 100 Like. Complimenti Giuseppe!

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La fotografia di Andrea Tripodi, a sinistra, si distingue per la composizione estremamente curata e la lucidità con la quale viene immortalato il gioco dei due ragazzini, a San Giorgio Morgeto.

A destra un'immagine molto classica, ma non per questo meno ricca di fascino, di Gianluca Arena,

che ritrae un gruppo di anziani in piazza Balsamo Crivelli a Roma.

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A sinistra, Giuseppe Filice ci propone, con una composizione molto dinamica, un momento di divertimento di paese. Alcuni amici giocano a carte in strada.

A destra, Laura Bova immortala una scenetta di strada davvero molto

esilarante, confezionandola con una composizione alla

Robert Doisneau.

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FotoconcorsiCon il primo numero di Camera con Vista abbiamo il piacere di presentare due concorsi fotografici organizzati da altrettante Associazioni Locali con le quali abbiamo avuto, ed abbiamo, il piacere di collaborare.Il primo è quello indetto, per il secondo anno consecutivo, dall'Associazione Proloco Melicuccà. Il titolo di quest'anno è "Insoliti punti di vista", la scadenza per l'invio delle opere è prevista per il 25 luglio 2013 e la quota di partecipazione è fissata in €10,00. Regolamento completo sul sito internet della Proloco Melicuccà.

Il secondo concorso è invece alla sua quarta edizione, ed è indetto dall'Associazione culturale L'Alba di Ceramida.La consegna delle opere può essere fatta a mano dal 22 al 27 luglio 2013, oppure per posta. La premiazione avverà il 3 agosto 2013.Il regolamento completo è disponibile sul sito internet dell'Associazione.

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