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CAPITOLO - polismanettoni.altervista.org · Materiale didattico per uso personale degli studenti....

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI Ver. 01 CAP. 63 - BIOMIMETICA Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l‟uso di questo materiale a scopo di lucro. E‟ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Politecnico di Milano CAPITOLO 63 63 BIOMIMETICA Sinossi i stima che la vita sia apparsa sulla Terra circa 3,8 miliardi di anni fa: da allora l‟evoluzione ha risolto molti problemi della natura, dando luogo a soluzioni ottimizzate con il minimo impiego di risorse. Le invenzioni della natura hanno da sempre ispirato l‟agire dell‟uomo ed hanno portato ad efficienti algoritmi, metodi, materiali, processi, strutture, attrezzi, meccanismi e sistemi. Esistono numerosi esempi di successi della biomimetica, non esclusi alcuni che sono semplici copie della natura, come ad esempio le pinne per nuotare. Altri esempi sono stati ispirati da capacità biologiche molto più complesse, come la capacità di volare, che è divenuta possibile solo dopo che i principi dell‟aerodinamica sono stati compresi appieno. Tra le realizzazioni sostanziali della biomimetica vanno anche annoverate le endoprotesi che riproducono le funzionalità degli arti e degli organi interni, nonché la sensoristica microelettronica utilizzata per interfacciarsi con il cervello e ripristinare le funzioni visive ed uditive. In questo capitolo vengono presentati i concetti generali ed esemplificate alcune applicazioni della biomimetica, limitatamente agli aspetti relativi alle tecnologie, ai materiali, alle strutture ed ai processi. Viene invece lasciata ad altre sedi la trattazione degli aspetti legati a meccanismi di cognizione, robotica e simulazione di meccanismi evolutivi (algoritmi genetici). 63.1 Biomimetica l termine biomimetica venne coniato da O. H. Schmitt nel 1969 e trae la propria etimologia da bios (vita) e mimesis (imitazione). Questa scienza studia e si ispira ai metodi, progetti e processi biologici. La biologia ha sempre avuto un‟enorme influenza sulla ricerca di nuove tecnologie da parte dell‟umanità. Mentre l‟uomo si è inizialmente ispirato agli uccelli per soddisfare la propria aspirazione al volo, è ben presto risultato ovvio, sulla base dei princìpi della fisica e dell‟ingegneria, che l‟ala fissa è sicuramente preferibile all‟ala battente, in considerazione delle masse, potenze e velocità in gioco. Così la storia del volo umano costituisce un esempio perfetto di come ci si debba approcciare alla biomimetica, chiedendosi quando trarre ispirazione dalla biologia, in che forma ed in quale combinazione essa debba porsi rispetto alle altre scienze, all‟ingegneria, alla produzione. La biomimetica fornisce un campionario di idee e strumenti nuovi che altrimenti gli scienziati e gli ingegneri non avrebbero avuto: l‟iridescenza delle farfalle e degli scarabei ed il rivestimento anti-riflesso degli occhi delle mosche per gli schermi degli smartphones; la lucentezza delle diatomee per i cosmetici; le protuberanze sulla coda della balena dalla gobba (Figura 63.1) per i bordi d‟uscita delle pale dei generatori eolici (Figura 63.2); la mobilità delle remiganti degli uccelli rapaci per le ali dei velivoli, capaci di cambiare la propria forma per ridurre la resistenza ed i consumi; la regolazione della temperatura, S I
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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 63 - BIOMIMETICA

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l‟uso di questo materiale a scopo di lucro. E‟ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

CAPITOLO

63

63 BIOMIMETICA

Sinossi

i stima che la vita sia apparsa sulla Terra circa 3,8

miliardi di anni fa: da allora l‟evoluzione ha

risolto molti problemi della natura, dando luogo a

soluzioni ottimizzate con il minimo impiego di risorse.

Le invenzioni della natura hanno da sempre ispirato

l‟agire dell‟uomo ed hanno portato ad efficienti

algoritmi, metodi, materiali, processi, strutture,

attrezzi, meccanismi e sistemi. Esistono numerosi

esempi di successi della biomimetica, non esclusi

alcuni che sono semplici copie della natura, come ad

esempio le pinne per nuotare. Altri esempi sono stati

ispirati da capacità biologiche molto più complesse,

come la capacità di volare, che è divenuta possibile

solo dopo che i principi dell‟aerodinamica sono stati

compresi appieno. Tra le realizzazioni sostanziali della

biomimetica vanno anche annoverate le endoprotesi

che riproducono le funzionalità degli arti e degli organi

interni, nonché la sensoristica microelettronica

utilizzata per interfacciarsi con il cervello e ripristinare

le funzioni visive ed uditive. In questo capitolo

vengono presentati i concetti generali ed esemplificate

alcune applicazioni della biomimetica, limitatamente

agli aspetti relativi alle tecnologie, ai materiali, alle

strutture ed ai processi. Viene invece lasciata ad altre

sedi la trattazione degli aspetti legati a meccanismi di

cognizione, robotica e simulazione di meccanismi

evolutivi (algoritmi genetici).

63.1 Biomimetica

l termine biomimetica venne coniato da O. H. Schmitt

nel 1969 e trae la propria etimologia da bios

(vita) e mimesis (imitazione). Questa scienza

studia e si ispira ai metodi, progetti e processi biologici.

La biologia ha sempre avuto un‟enorme influenza sulla

ricerca di nuove tecnologie da parte dell‟umanità. Mentre

l‟uomo si è inizialmente ispirato agli uccelli per soddisfare

la propria aspirazione al volo, è ben presto risultato ovvio,

sulla base dei princìpi della fisica e dell‟ingegneria, che

l‟ala fissa è sicuramente preferibile all‟ala battente, in

considerazione delle masse, potenze e velocità in gioco.

Così la storia del volo umano costituisce un esempio

perfetto di come ci si debba approcciare alla biomimetica,

chiedendosi quando trarre ispirazione dalla biologia, in

che forma ed in quale combinazione essa debba porsi

rispetto alle altre scienze, all‟ingegneria, alla produzione.

La biomimetica fornisce un campionario di idee e

strumenti nuovi che altrimenti gli scienziati e gli ingegneri

non avrebbero avuto: l‟iridescenza delle farfalle e degli

scarabei ed il rivestimento anti-riflesso degli occhi delle

mosche per gli schermi degli smartphones; la lucentezza

delle diatomee per i cosmetici; le protuberanze sulla coda

della balena dalla gobba (Figura 63.1) per i bordi d‟uscita

delle pale dei generatori eolici (Figura 63.2); la mobilità

delle remiganti degli uccelli rapaci per le ali dei velivoli,

capaci di cambiare la propria forma per ridurre la

resistenza ed i consumi; la regolazione della temperatura,

S I

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Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l‟uso di questo materiale a scopo di lucro. E‟ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

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umidità e flussi d‟aria nei termitai per la costruzione di

edifici più confortevoli; la seghettatura della

proboscide delle zanzare per gli aghi indolori delle

siringhe ipodermiche.

Figura 63.1 – Coda della balena dalla gobba

Figura 63.2 - Pale di generatori eolici.

La lucentezza metallica ed i colori abbaglianti degli

uccelli tropicali e dei coleotteri non è dovuta a

pigmenti, bensì a caratteristiche ottiche: microstrutture

spaziate ordinatamente che riflettono specifiche

lunghezze d‟onda della luce. Tali colori strutturali, che

non sbiadiscono e sono più brillanti dei pigmenti,

interessano i produttori di vernici, di cosmetici e degli

ologrammi che stanno sulle carte di credito.

Il becco del tucano è un esempio di struttura resistente

e leggera: esso è in grado di frantumare le noci di

cocco, ma è sufficientemente leggero da non alterare la

distribuzione dei pesi e da non ostacolare il volo

dell‟uccello.

Le spine dell‟istrice e gli aculei del porcospino sono una

meraviglia di ottimizzazione ingegneristica e di resistenza.

La seta del ragno ha una resistenza specifica cinque volte

maggiore rispetto agli acciai ad alte prestazioni, dei quali

è infinitamente più duttile.

Gli insetti offrono un imbarazzo di ricchezze progettuali.

Le lucciole producono una luce fredda con una perdita

energetica praticamente nulla (le normali lampadine ad

incandescenza dissipano in calore il 98% della propria

energia).

I coleotteri bombardieri possiedono nell‟addome una

camera di combustione ad alta efficienza, dalla quale

eiettano sostanze chimiche bollenti per difendersi dai

predatori.

Il coleottero Melanophila, che depone le proprie uova nel

legno appena bruciato, è dotato di un sistema in grado di

rilevare con precisione la radiazione infrarossa prodotta da

una foresta in fiamme: ciò gli consente di sentire un

incendio a più di cento chilometri di distanza. Tale

sistema è attualmente allo studio dell‟USA Air Force.

La maggior parte di questi dispositivi così efficienti sono

fatti di materiali semplici, come la cheratina, il carbonato

di calcio e la silice, che la natura trasforma in strutture di

strabiliante complessità, resistenza e tenacità.

La conchiglia aliotide (abalone), per esempio, costruisce il

proprio guscio con il carbonato di calcio, la stessa

sostanza del gesso da lavagna. Ciononostante, utilizzando

tale materiale per realizzare pareti di mattoncini nano-

strutturali, legati da un‟ingegnosa struttura di proteine,

esso crea un‟armatura tenace quanto il Kevlar e 3000 volte

più duro del gesso.

Per ricostruire in laboratorio le eccezionali proprietà di un

materiale biologico è fondamentale capire le micro- e

nano-strutture che ne stanno alla base: non si deve copiare

la pelle di una lucertola per realizzare un dispositivo di

raccolta dell‟acqua, o l‟occhio di una mosca per creare un

rivestimento anti-riflesso; la struttura biologica fornisce

un indizio su ciò che è utile in un meccanismo funzionale,

ma può darsi che lo scienziato e l‟ingegnere possano fare

meglio.

Il motivo principale per cui la biomimesi non è ancora

diventata grande risiede nel fatto che, dal punto di vista

ingegneristico, la natura è meravigliosamente,

favolosamente, disordinatamente complessa. L‟evoluzione

non progetta l‟ala di una mosca o la zampa di una

lucertola lavorando verso un obiettivo finale, come

farebbe un ingegnere. Essa mette ciecamente assieme i

risultati di un‟infinità di esperimenti casuali, effettuati nel

corso di migliaia di generazioni, che producono organismi

meravigliosamente ineleganti, il cui unico scopo è quello

di rimanere in vita abbastanza a lungo da dare vita alla

generazione successiva e da lanciare il successivo giro di

esperimenti casuali. Per rendere il guscio dell‟aliotide così

duro, quindici diversi tipi di proteine creano una struttura

così straordinariamente complessa d‟aver reso finora

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infruttuose le indagini di parecchi gruppi di ricerca. La

potenza della seta del ragno non risiede tanto nel

cocktail di proteine che la compongono, bensì nel

mistero delle filiere di cui è dotato l‟aracnide, dove

600 ugelli di filatura intrecciano sette diversi tipi di

seta in modo da ottenere le configurazioni più

resistenti. Il carattere multi-livello di gran parte

dell‟ingegneria naturale ne rende particolarmente

difficile la scomposizione e la comprensione. Le

zampe del geco funzionano così bene non solo grazie

ai miliardi di microscopici peli, che a loro volta

crescono su increspature, le quali sono una parte dei

polpastrelli e così via fino alla scala del centimetro,

fino a costituire una struttura gerarchica a sette livelli,

la quale massimizza la capacità della lucertola di

aderire su tutte le superfici inclinate. Al presente, gli

scienziati e gli ingegneri non possono sperare di

riprodurre un così complicato mosaico di dimensioni

nanometriche. La natura, viceversa, lo assembla senza

fatica, molecola dopo molecola, guidata dalla ricetta

della complessità racchiusa nel codice genetico: il

prezzo richiesto all‟uomo per creare la complessità su

piccola scala è incomparabilmente maggiore del

prezzo pagato dalla natura. Ciononostante, il divario

con la natura si sta progressivamente riducendo. I

ricercatori utilizzano microscopi a forza atomica,

microtomografi e calcolatori ad alta velocità per

investigare sempre più in profondità i segreti

microscopici della natura e sfruttano una sempre più

ampia disponibilità di materiali avanzati per riprodurli

più accuratamente di quanto sia mai stato fatto in

passato.

63.2 Principi generali

„uomo ha sempre usato la natura come fonte

d‟ispirazione della propria ingegneria, sia nel

progetto che nel processo: lo sviluppo delle idee entro

l‟area dei materiali, strutture e sistemi intelligenti non

fa eccezione. D‟altra parte, le idee ispirate dalla natura

devono essere a loro volta usate con intelligenza e

discernimento. Esistono alcune regole basiche che i

materiali prodotti dagli animali e dalle piante devono

rispettare per garantire la sopravvivenza della natura.

Esistono altresì accorgimenti che la natura adotta e che

l‟uomo deve ancora imparare a padroneggiare per

sfruttarne appieno i vantaggi. Il primo aspetto, spesso

trascurato, risiede nel fatto che, per sfruttare al meglio

la varietà di idee offerte dalla natura, tale varietà

dovrebbe essere conosciuta appieno. L‟ingegnere

dovrebbe imparare dal naturalista ed il naturalista

dovrebbe essere disposto ad acquisire il retroterra ed il

vocabolario dell‟ingegnere. In secondo luogo, è

fondamentale comprendere quali sono i limiti di

implementabilità dei progetti della natura, che possono

provenire, per esempio dai materiali utilizzati. Questi

ultimi devono essere sintetizzati in ambiente acquoso a

temperature ambiente, tipicamente inferiori ai 40 °C,

così che risulta inutile spendere energia per conferire

stabilità a temperature superiori. In terzo luogo, devono

essere tenuti in grande considerazione gli aspetti legati al

riutilizzo delle sostanze chimiche. In natura, gli individui

devono venir percepiti come membri di una popolazione.

Tale popolazione non è però composta semplicemente

dagli individui contemporanei, ma da tutti quelli che sono

stati e da tutti quelli che saranno. Perciò, le ragioni per cui

un organismo fa qualcosa in un certo modo possono non

dare un vantaggio immediato a quell‟individuo: può

essere viceversa più vantaggioso per la specie che i singoli

individui pratichino una specie di altruismo. Per esempio,

una specie può essere in grado di sopravvivere meglio se

gli individui hanno una vita breve, in modo da consentire

al meccanismo della selezione naturale di dare i migliori

frutti. Questo può essere uno dei motivi per cui i sistemi

biologici sono più variabili di quelli fisici. Le strutture in

natura sono inevitabilmente limitate dalle strutture che gli

antenati hanno reso disponibili perché potessero essere

modificate dalla selezione naturale. Inoltre sia le strutture

che i materiali biologici sono limitati dal dover garantire

una certa multifunzionalità: per esempio, le nostre ossa

lunghe (degli arti) esplicano la funzione strutturale (parte

corticale esterna) e quella biologica di produzione dei

globuli rossi (midollo interno, che contribuisce poco al

momento d‟inerzia della sezione)1, così come le radici

degli alberi assolvono alla funzione strutturale di vincolo a

terra e di assorbimento di acqua e nutrienti dal terreno.

Il processo di selezione naturale (evoluzione) spinge ogni

organismo a garantire il perpetuarsi della propria specie

tramite una riproduzione la più numerosa possibile. Tale

pressione selettiva fa sì che qualsiasi materiale o struttura

venga prodotta con il minimo dispendio energetico ed il

massimo livello di utilità massimizzazione

dell‟efficienza. In generale, ottimizzare la struttura

(ovvero la forma) costa meno che ottimizzare il materiale.

Così, gli aculei del porcospino (grazie ai quali il

porcospino è in grado di rimbalzare quando cade da un

albero) sono progettati in modo che il loro cedimento in

compressione avviene solo allorché viene raggiunto lo

sforzo ammissibile del materiale. Un progetto meno

efficiente avrebbe comportato il cedimento della struttura

(per instabilità locale) piuttosto che del materiale. Questo

è uno dei rari casi in cui l‟instabilità Euleriana viene usata

come meccanismo di sicurezza negli animali, mentre essa

è molto comune nelle piante. Gli aculei del porcospino

garantiscono il cedimento per instabilità Euleriana,

nonostante siano troppo corte per poter essere considerate

delle colonne, in quanto sono dotate di una curvatura. Per

lo stesso motivo, la curvatura delle ossa lunghe dei

mammiferi terrestri consente agli animali di prevedere il

modo con cui esse vengono sollecitate in un vasto campo

di condizioni (entità e direzione del carico, velocità di

applicazione, etc.), aumentandone così la sicurezza

1 Le dimensioni dei difetti dell‟osso che possono costituire un innesco di

cricca sono pari a quelle dei vasi sanguigni che apportano i nutrienti necessari alle celle che producono l‟osso stesso.

L

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funzionale della struttura (ovvero dello scheletro). Gli

aspetti legati al fattore di sicurezza sono d‟altra parte

curati molto attentamente dal meccanismo evolutivo: i

tendini delle zampe posteriori della cavalletta vengono

caricati lentamente per immagazzinare l‟energia

elastica che consente all‟insetto di catapultarsi

nell‟aria. Essi sono ben protetti entro i muscoli della

gamba dai danni superficiali ed hanno un fattore di

sicurezza pari a 1 nei confronti della sollecitazione a

trazione. Al contrario, le corna del muflone (senza le

quali l‟animale non può combattere, acquisire

femmine e – quindi – riprodursi), hanno un fattore di

sicurezza pari a 10. Ciò è necessario a causa dell‟entità

e dell‟imprevedibilità delle forze applicate durante il

combattimento. La parte interna delle corna (che

sopporta i carichi durante il combattimento) è avvolta

in un rivestimento di cheratina fibrosa, la quale, specie

se leggermente umida, è quasi totalmente insensibile

all‟intaglio e perciò è in grado di sopportare estesi

danneggiamenti superficiali, senza per questo venir

indebolito.

Per garantire l‟ottimizzazione energetica, alcuni aspetti

delle prestazioni meccaniche del materiale e della

struttura sono considerati particolarmente importanti.

Nelle strutture di supporto (caricate a trazione o

compressione) la rigidezza costituisce di solito il

criterio principe, mentre la stabilità intrinseca della

struttura non è particolarmente critica, in quanto sia i

carichi che la postura possono venir modificati

dall‟azione dei muscoli. Viceversa, è fondamentale che

le strutture abbiano un comportamento prevedibile, in

modo che gli animali possano reagire molto

velocemente. Così, le strutture sollecitate a

compressione possono presentare degli allungamenti

sorprendentemente elevati (le zampe di alcuni insetti)

o essere permanentemente (elasticamente)

instabilizzate (i gambi fioriti di alcune piante annuali).

I carichi torsionali vengono solitamente evitati

attraverso l‟adozione di meccanismi di controreazione

(dolore), che riportano alla simmetria: se un albero è

sollecitato a torsione dal vento, i rami esposti si

deformano progressivamente per eliminare l‟effetto,

oppure la torsione viene tradotta in trazione

dall‟avvolgimento spiroidale delle fibre del tronco. Un

esempio superbo di tale meccanismo è offerto dagli

squali, i quali non possiedono vescica natatoria e

quindi devono nuotare continuamente per generare

portanza idrodinamica e non affondare. La spinta

posteriore è generata dalla coda, che, essendo

asimmetrica, tende a torcere in conseguenza del

pinneggiamento latero-laterale. Questi carichi

torsionali sono resistiti dalle sollecitazioni a trazione

agenti nelle fibre di collagene della pelle, le quali sono

particolarmente grandi, numerose e sono disposte

elicoidalmente attorno al corpo del pesce: in pratica, la

coda dello squalo viene mossa lateralmente da questa

specie di molla torsionale costituita dalle fibre (Figura

63.3).

Figura 63.3 – Fibre di collagene (eso-tendine) che

consentono il movimento laterale della coda dello squalo.

Lo squalo è così difficile da scuoiare proprio perché la

pelle è un eso-tendine, che connette la coda con i muscoli

che la fanno muovere. Lo scheletro del pesce non è

coinvolto in tutto ciò: quindi può essere cartilagineo e più

leggero. Più della rigidezza e della resistenza, la

caratteristica in cui quasi tutti i materiali biologici

maggiormente eccellono è però la tenacità. Per esempio,

confrontando i compositi ceramici naturali ed artificiali, si

nota che, mentre la rigidezza è una funzione relativamente

semplice della percentuale volumetrica della ceramica, la

tenacità dei materiali biologici è molto maggiore. Ciò

dipende da due fattori principali: l‟accurato controllo delle

proprietà interfacciali (grazie alle quali componenti

chimicamente disparati si collegano a livello molecolare)

e le dimensioni dei componenti (che sono molto minori

rispetto ai compostiti ceramici artificiali). Viceversa, nei

materiali biologici non ceramici, i compositi fibrosi

regnano sovrani. Una delle caratteristiche di un composito

fibroso costituito da una matrice cedevole e da fibre di

rinforzo orientate randomaticamente (come nella pelle) è

la forma a J della curva sforzo-deformazione. Essa

dipende dalla bassa rigidezza a taglio del materiale nel suo

complesso, che rende difficile il trasferimento dell‟energia

di deformazione all‟apice della cricca e ne rallenta così la

propagazione.

In ogni caso, i meccanismi che sono stati illustrati fin qui,

comportano il fatto che il materiale e la struttura debbano

crescere contemporaneamente all‟organismo, in maniera

da venir esposti alle condizioni di vita durante il processo

di formazione. Sfruttando meccanismi a livello cellulare,

l‟organismo rileva l‟entità e la direzione dei carichi e

modifica la struttura di conseguenza, aggiungendo o

togliendo materiale dove è necessario. Tali meccanismi

non sono ancora del tutto conosciuti, sebbene l‟effetto

piezo-elettrico sia ad essi molto simile: sia le fibre di

cellulosa che di collagene (materie prime rispettivamente

del mondo vegetale ed animale) sono infatti

piezoelettriche, come pure la cheratina. Grazie ad esso, un

albero malformato può piegare il proprio tronco verso la

luce e ricrescere, oppure un osso fratturato e scomposto

può ricomporsi e saldarsi. Probabilmente, questo

rappresenta l‟aspetto più intelligente nel progetto dei

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materiali biologici. Costituiti da componenti su scala

molecolare, essi sono caratterizzati da una gerarchia di

interazioni tra i livelli del materiale e della struttura,

comunque si decida di definire tali livelli. Inoltre essi

possiedono un considerevole livello di flessibilità

intrinseca, che consente al materiale di rispondere ai

diversi livelli di interazione. Così, il materiale può

essere assemblato in molti modi diversi, secondo le

condizioni locali: esso può dare una risposta adattativa

al problema strutturale contingente, sia esso

permanente o transitorio. Tale gerarchia flessibile

spiega altresì come la natura abbia prodotto una così

ampia varietà di materiali da un così ridotto numero di

componenti. Così, questo meccanismo responsivo non

solo possiede alcuni degli attributi dell‟intelligenza,

ma altresì gestisce le proprie risorse intelligentemente,

in quanto da ultimo prevede che i materiali si

degradino in modo da produrre i componenti necessari

per la costruzione della successiva generazione.

A proposito della gestione intelligente delle risorse, va

detto che queste ultime, specialmente quelle materiali,

sono trattate come se la loro disponibilità fosse

infinita, mentre questo è evidentemente non vero nel

caso delle risorse non rinnovabili. Nell‟uso

ingegneristico dei materiali, l‟uomo lascia che la

progettazione passi in secondo piano, mentre la natura

tratta i materiali come una risorsa costosa e la

progettazione con grande cura ed attenzione ai dettagli.

Da questo derivano materiali durabili e strutture poco

costose, facili da riciclare in condizioni ambiente.

Il mondo naturale, del quale l‟uomo costituisce una

parte significativa offre numerosi esempi di

sopravvivenza con il minimo uso di energia. Tali

esempi spaziano dalla produzione e uso dei materiali

fino all‟organizzazione di intere popolazioni. Lo scopo

principale di tutti gli organismi è quello di riprodursi e

perpetuarsi, favorendo i casi in cui viene massimizzato

il numero di discendenti. In conseguenza di ciò, nasce

una competizione di ciascun organismo con tutti gli

organismi contigui.

L‟ecologia individua due tipi basici di comunità, la cui

differenziazione dipende da quanto prontamente

disponibili sono le risorse. Con l‟abbondanza di risorse

normalmente disponibili tipica delle comunità che

invadono nuovi habitat, le risorse vengono usate in

modo dispendioso per la corsa verso la riproduzione e

la durata della vita sarà probabilmente breve (r-

selection). Se una comunità si sviluppa verso la

maturità e le risorse diventano scarse, i nutrienti

vengono riciclati, il rateo di riproduzione diminuisce e

gli organismi tendono ad essere di maggiori

dimensioni ed a vivere più a lungo (k-selection).

L‟uomo, grazie alla tecnologia, è riuscito a ricavare

risorse che non sono disponibili per la maggior parte

degli organismi e così ha seguito il percorso

dell‟invasione e della colonizzazione. Questo modo di

procedere è intrinsecamente dispendioso, ma

rappresenta la strada più diretta verso il dominio. Ma verrà

un giorno in cui le risorse diventeranno limitate, sia a

causa del loro esaurimento, sia a causa dell‟abbondanza di

organismi che competono per utilizzarle (cfr. Malthus). La

maggior parte delle comunità industriali rappresenta la r-

selection, ma per la sopravvivenza della razza umana, è

necessario muoversi verso la k-selection. Il modo più

facile per gestire questo cambiamento di rotta sarebbe

quello di rendere artificialmente più scarse le risorse,

prima che esse effettivamente si esauriscano.

Se i materiali sono poco costosi, sarà poco incentivato il

loro uso attento e parsimonioso e viceversa si lascerà

spazio a progetti cattivi, costosi, pesanti ed inefficienti.

Anche così, siccome il costo di un prodotto finito dipende

dal costo del processo di produzione nonché della materia

prima, può risultare conveniente pagare di più per un

materiale di partenza più facilmente lavorabile. Questo è

uno dei motivi per cui le plastiche ed i compositi stanno

prendendo piede. Poiché denaro ed energia possono essere

messi in diretta correlazione, è ragionevole valutare come

i sistemi naturali distribuiscano la propria energia tra le

varie funzioni e come essi progettino i materiali, i

meccanismi e le strutture.

Una buona ipotesi di lavoro è che gli organismi esistono

sulla base di una minima quantità di energia, che di solito

essi si procacciano attraverso il nutrimento e la luce

solare. Essi si sono evoluti in modo che l‟energia

disponibile venisse suddivisa in maniera ottimizzata tra le

varie funzioni vitali, secondo una proporzione che tiene

conto della loro importanza relativa per la sopravvivenza e

la riproduzione dell‟organismo in un particolare contesto.

Per ciascuna particolare funzione studiata, è perciò

importante conoscere il contesto entro cui essa opera. Per

ciascuna particolare funzione ci sarà anche un organismo

o un gruppo di organismi che meglio assolvono a tale

funzione. È importante ricordare che ottimizzazione non

comporta che la funzione di un qualsiasi organo o

materiale sia la migliore possibile: significa piuttosto che

l‟energia disponibile è stata usata nel modo migliore

possibile tra le funzioni necessarie alla sopravvivenza

dell‟organismo, considerando anche un opportuno

margine di sicurezza. Il criterio della minima energia

significa che le reazioni chimiche dovranno avvenire a

temperatura ambiente o leggermente superiore.

L‟esistenza di legami idrogeno (necessari per una facile

reversibilità delle interazioni) limita la maggior parte delle

proteine ad una temperatura non superiore ai 45 °C.

Questo vincolo può rallentare alcune reazioni chimiche e

rendere altre impossibili. La velocità non è

necessariamente importante per un organismo: se esso può

vivere abbastanza a lungo, potrebbe essere preferibile

riprodursi domani anziché oggi.

Poiché la produzione di tutti i polimeri e le strutture è

controllato dal sistema genetico a livello molecolare,

possono essere prodotti materiali di qualità molto elevata,

praticamente privi di difetti interni. Il controllo molecolare

consente altresì interazioni ad energia relativamente

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elevata, che nelle nostre tecnologie richiederebbero

temperature parimenti elevate. Queste ultime

introducono, di conseguenza, i loro propri problemi

legati al movimento termico, che riduce il grado di

perfezione del prodotto, specie se esso non è

cristallino.

I materiali di partenza che gli organismi utilizzano

sono facilmente disponibili nel loro ambiente oppure

vengono scelti grazie alla loro compatibilità con la

chimica esistente. Le ceramiche sono costituite per la

maggior parte da CaCO3, SiO2 e occasionalmente da

ossidi di Fe e di altri elementi di transizione. Quasi

tutti i materiali non ceramici sono costituiti da proteine

e poli-saccaridi, che possono essere fibrosi (seta,

collagene, cellulosa, chitina o elastina) o riempitivi

(matrice dei gusci degli insetti, cartilagine delle

articolazioni). L‟acqua è molto importante come

mezzo di interazione e come plasticizzante. La

separazione dei componenti avviene attraverso i lipidi,

soprattutto sotto forma di membrane osmotiche.

L‟idrofobicità è sfruttata per ottenere l‟orientazione

(per esempio nelle strutture a cristalli liquidi). La

cristallinità liquida è un esempio di meccanismo

disponibile per processare e post-processare i

materiali.

Per esempio, la seta è parzialmente allineata prima di

venir filata per formare la struttura a cristalli liquidi.

Così l‟energia richiesta per filare la seta è ridotta,

poiché parte dell‟orientazione molecolare associata

con la filatura è già stata ottenuta. Questo rappresenta

anche un esempio di nanofabbricazione ed enfatizza il

principio fondamentale secondo cui, poiché i materiali

biologici sono creati a partire dalle molecole, essi sono

necessariamente progettati a questo livello e devono

essere assemblati in un numero di gerarchie. Questo

rappresenta un vantaggio intrinseco, parte perché le

strutture gerarchiche tendono ad essere più efficienti,

parte perché è possibile produrre una maggior quantità

di proprietà variando il grado di interazione alle

interfacce tra i diversi livelli gerarchici. D‟altra parte,

nonostante una struttura gerarchica sia adattabile, essa

introduce necessariamente più opportunità per una

variabilità incontrollata. Così, sebbene il sottostante

sistema genetico sia estremamente conservativo, e

comporti una grande uniformità del materiale al livello

molecolare, i materiali biologici massicci possono

essere viceversa caratterizzati da una certa variabilità

delle proprietà.

Molto è stato scritto riguardo ai vantaggi offerti dal

metodo con il quale gli organismi sintetizzano i

materiali, in particolare la bassa temperatura

(ambiente) alla quale possono essere creati materiali

con eccellenti caratteristiche meccaniche, mentre

l‟uomo, per fare altrettanto, necessita di temperature

molto più elevate: in realtà anche l‟uomo potrebbe fare

altrettanto, se fosse disposto ad aspettare abbastanza a

lungo.

La massima velocità cui l‟osso umano può crescere è di

1m al giorno, mentre un uovo di gallina sa fare molto

meglio, in quanto cresce di 5g ogni 24 ore. Esistono

probabilmente due considerazioni principali: l‟energia

richiesta per assemblare i componenti del materiale

(energia di legame) e quella necessaria per definire la

forma della struttura. L‟energia di legame è dettata dalla

chimica e non può essere modificata. Ma, per un dato

insieme di proprietà del materiale, i materiali biologici

possono essere costituiti da componenti meno buoni

perché essi sono assemblati (strutturati) così bene da

raggiungere comunque le migliori prestazioni teoriche.

Per esempio, il guscio e gli aculei del riccio di mare,

costituiti da fragile CaCO3, recano numerosi fori,

ciononostante sono molto resistenti. Questo accade perché

qualsiasi piccolo difetto sulla superficie, in grado di

innescare una cricca, viene annullato dalle celle che

costituiscono lo scheletro. Inoltre, lo strato esterno a

minor densità costituisce uno strato superficiale, che

protegge dal danno diretto lo strato sottostante, più

robusto.

Gli animali e le piante riparano e riciclano continuamente

i materiali con cui sono costituiti: per esempio il collagene

che costituisce i tendini delle zampe posteriori del canguro

viene continuamente rinnovato, in quanto esso non è in

grado di resistere per una tempo indefinito ai carichi

massimi cui è sottoposto. Ciò pone un‟interessante

alternativa: è energeticamente più conveniente produrre

abbastanza materiale capace di sopportare il 99% del

carico applicato (dovendo risolvere il problema di

produrre e trasportare il materiale, e correndo il rischio

che esso contenga inneschi di danno tali da portare a

rottura)? Oppure è preferibile riparare il materiale in corso

d‟opera, mettendo in conto la continua spesa di energia,

ma avendo meno materiale da trasportare ed essendo certi

che le sue caratteristiche soddisfano le specifiche? In

genere, l‟ingegneria umana tende a applicare la prima

soluzione, ad eccezione del campo aerospaziale, dove –

per una necessaria efficienza ponderale – vengono

adottate filosofie progettuali di tipo damage tolerance, le

quali ammettono che la struttura si deteriori con l‟uso, ma

presuppongono che essa venga continuamente ispezionata,

riparata, sostituita in modo da rimanere sempre efficiente.

I materiali devono essere progettati in modo non solo da

poter essere riparati, ma anche riciclati all‟interno

dell‟organismo. Il rivestimento esterno (cuticola o

esoscheletro) di un insetto o di un granchio deve potersi

rinnovare allorché le dimensioni dell‟animale crescono.

Esso viene in gran parte dissolto prima di essere perduto,

sia per facilitare la sua rimozione (diventando più sottile e

flessibile), sia perché il nuovo esoscheletro possa crescere

più velocemente e con minor spesa energetica utilizzando

le risorse derivanti dalla cuticola precedente. Ma la

rigidezza dell‟esoscheletro è funzione del numero di

legami al suo interno e del loro contenuto energetico. Più

legami covalenti ci sono, più l‟esoscheletro è rigido e

meno materiale è necessario per garantire lo stesso livello

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di protezione. Ma allora l‟esoscheletro richiede più

energia per essere dissolto al momento della muta o

può diventare addirittura insolubile. Il problema di

ottimizzazione allora diventa: quanto l‟esoscheletro

deve essere rigido e quanto facilmente deve potersi

riassorbire? Il compromesso porta a non usare legami

più stabili di quanto sia richiesto dalla funzione.

Questo può essere importante nell‟evoluzione dei tipi

di esoscheletro: negli insetti più evoluti, le proteine

tendono ad essere più polari, cosicché diventa più

difficile espellere l‟acqua di plasticizzazione durante il

processo di indurimento della cuticola

(sclerotizzazione). Ma questo può rendere la cuticola

più facilmente dissolvibile durante la muta, poiché

l‟acqua è in grado di penetrare la matrice più

facilmente e il degrado enzimatico può essere

completo. Ciò può anche significare che le proteine

sono più capaci di formare estese strutture regolari

prima che l‟acqua venga rimossa, cosicché la struttura

che ne consegue ha una struttura maggiormente

fibrosa, con interazioni intermolecolari più numerose.

Questa argomentazione di carattere generale

probabilmente si può applicare a tutti i materiali

biologici strutturali. Può essere più efficiente, specie se

il peso costituisce un aspetto importante, tenere tutti i

materiali sotto controllo metabolico e consentire che

solo una quantità molto piccola sia “morta”. Con le

piante e gli alberi in particolare, che non si muovono e

per i quali la massa può essere importante ai fini della

stabilità, può essere conveniente per il materiale

(legno) essere al di fuori del circolo metabolico, in

modo da poter fornire massa senza costi aggiuntivi.

I materiali biologici, come ogni altro usato nelle

applicazioni tecnologiche, devono soddisfare dei

requisiti minimi. A dir la verità, essi sono adattativi e

possono, in una qualche misura, modificare le proprie

caratteristiche, ma l‟approccio della minima energia

richiede che venga usata la minima quantità di

materiale per assolvere ad una certa funzione.

Certamente, i materiali che si trovano negli organismi

viventi tendono ad essere molto efficienti (alta

rigidezza per unità di massa rigidezza specifica).

Per gli animali questo è anche più importante, in

quanto tutti i loro materiali devono essere trasportati, il

che comporta la spesa di energia metabolica. È

possibile non solo misurare queste proprietà e

confrontarle con quelle dei materiali artificiali, ma

anche decidere quale sia la combinazione di proprietà

che meglio è in grado di svolgere la funzione richiesta.

Così un tirante (qual è un tendine) si comporta meglio

per unità di peso quando è massima la rigidezza specifica

E/. Viceversa, una trave (qual è un tronco o un ramo di

un albero) raggiunge la massima efficienza allorché viene

massimizzato E1/2

/. Come mostrato nel Cap. I di questo

libro, tutto ciò viene efficacemente presentato nei

diagrammi di Ashby, uno dei quali viene riportato a titolo

esemplificativo in Figura 63.4. Tali diagrammi possono

anche essere utilizzati per mostrare quali sono le proprietà

che i materiali biologici sono in grado di massimizzare.

Per esempio, il legno preso nella direzione delle fibre

resiste magnificamente alla trazione, ma in direzione

trasversale si comporta meglio a compressione.

Ovviamente, queste caratteristiche devono costituire una

sorta di compromesso o ottimizzazione. Quando i

materiali biologici vengono analizzati in questo modo,

essi mettono in evidenza prestazioni eccellenti ed alcuni,

come il legno, sono insuperati da alcun materiale

artificiale: le costruzioni aeronautiche si sono basate sul

legno fino alla II Guerra Mondiale e, prescindendo da

considerazioni di durabilità, sono tutt‟ora strutturalmente

più efficienti anche di alcuni materiali compositi.

In conclusione, osserviamo che la biomimetica può essere

considerata da diversi punti di vista (scienza, industria,

società) e con diversi obiettivi:

- scienza (ovvero sviluppo):

biologia, come ispirazione per le altre scienze

sistemi a bassa spesa energetica

nuove idee richiedono nuove tecniche di analisi

fusione di diversi concetti scientifici

- industria (ovvero produzione):

materiali multifunzionali

nuovi processi produttivi

risparmio energetico

adattabilità derivante dalla multifunzionalità

soluzioni environmental friendly

- società (ovvero utilizzo)

facile comprensibilità dei concetti di base

miglior disponibilità di materiali e strutture

maggior convenienza (da miglior qualità)

riciclo più facile

ridotto dispendio energetico

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Figura 63.4 – Tipico diagramma di Ashby.

L‟obiettivo di un ridotto dispendio energetico compare

in tutti i casi, perché esso è un aspetto così importante

che né la scienza, né l‟industria, né la società possono

permettersi di ignorarlo. Sfortunatamente, la nostra

disponibilità di materiale prime è ancora considerata

inesauribile. Questo potrebbe essere vero solo se le

riciclassimo opportunamente (cosa che la natura fa, noi

no) e se usassimo fonti rinnovabili (cosa che un po‟

facciamo, ma potremmo fare meglio). In ogni caso,

oggigiorno, sia l‟energia che le materie prime costano

troppo poco. Prezzi più ragionevoli ci indurrebbero a

ottimizzare l‟uso delle risorse, prima che il mondo

raggiunga lo stadio della k-selection. Per questo, non

possiamo permetterci di ignorare che la biomimetica ci

suggerisce un campionario di strumenti utili per affrontare

anche i nostri problemi energetici.

63.3 La natura come fonte d’ispirazione

umerose sono state le fonti da cui l‟uomo ha tratto

ispirazione (nel bene e nel male) per realizzare N

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materiali, processi, tecnologie, strutture, meccanismi,

sensori, nonché per mettere a punto tecniche di attacco

e di difesa:

- meccanismi ispirati dalla biologia:

escavazione tecnica del granchio

attuazione lineare locomozione del bruco

(Figura 63.5)

pompaggio peristaltico cuore, polmoni

adesione differenziale geco, maggiolino

Figura 63.5 – Il metodo di locomozione del bruco ispira

il meccanismo di attuazione lineare.

- strutture ispirate dalla biologia:

nido d‟ape alveari delle api e delle vespe

flabelli code degli uccelli

reti da pesca tele dei ragni

pinne pinne dei pesci, membrane delle

zampe degli animali acquatici

- meccanismi di attacco ispirati dalla biologia:

emissione di onde d‟urto dovute al collasso di

bolle di cavitazione rumore snapping shrimp

emissione ultrasonore acusticamente dolorose

delfini

proiezione di getti d‟acqua pesce arciere, di

irritanti chimici coleottero bombardiere, di

deterrenti passivi puzzola

proiezione di elementi flessibili: tentacoli

piovra; lingua rettili (serpenti, camaleonti)

induzione di ferite infette varano di Komodo

pungiglioni e dardi avvelenati scorpione

sistemi di stordimento elettrico torpedini

trappole: bolas ragno australiano; bava

lampreda

neuro-impianti

rilascio di neuro-tossine anemone di mare

rilascio di feromoni

- meccanismi di difesa ispirati dalla biologia:

armature2 esoscheletro di echinodermi, insetti,

rettili, crostacei, conchiglie, armadillo, tartaruga

barriere: superfici scivolose “bocca” delle

piante carnivore; rivestimenti appiccicosi

secrezioni degli insetti; schiume adesive

protezione delle uova di serpenti ed insetti

mimetizzazione passiva sogliola; adattiva

camaleonte, polipo; riflettente pesci; traslucida

medusa; dinamica libellula

spine, aculei, arpioni, uncini piante, insetti

falsi bersagli finti occhi sulle ali della farfalla

emissione di fumo inchiostro della seppia

avviso cromatico di pericolo (rosso o giallo + nero,

colorazione aposematica) piante, insetti

sistemi elastici elastina nelle zampe delle

cavallette

- materiali e processi ispirati dalla biologia: i materiali

naturali possiedono proprietà affascinanti, quali l‟auto-

replicabilità, l‟auto-riparabilità, riconfigurabilità, multi-

funzionalità. I materiali sintetici vengono spesso prodotti

in condizioni di elevata temperatura e pressione, in

contrasto con la natura, che adotta condizioni ambiente.

Materiali come l‟osso, il collagene o la seta sono prodotti

entro il corpo dell‟organismo, senza necessitare dei rudi

trattamenti utilizzati per produrre i materiali di sintesi. La

fabbricazione di materiali di derivazione biologica non

produce inquinamento e solo minime quantità di scarti,

che comunque sono biodegradabili e riciclabili in natura:

fibre ad alta resistenza seta del ragno

materiali leggeri nido d‟ape

materiali compositi nido delle rondini

materiali fluorescenti3 batteri, insetti

2 Nei dinosauri estinti, la corazzatura era costituita da placche di chitina tenacizzata con fibre di collagene (orientate per placche piane e spesse,

randomatiche per placche sottili e convesse), mentre la corazzatura

flessibile del rinoceronte è costituita solo da collagene: ciononostante, le sue prestazioni sono migliori di quelle delle corazzature in Kevlar.

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materiali a controllo di rigidezza oloturia

vernici sensibili (impatto, calore, pressione)

materiali auto-riparativi

materiali multi-funzionali

materiali intelligenti (smart materials)

- bio-sensori e bio-emettori:

sensori di flusso cellule ciliate

sensori di collisione baffi dei roditori

sensori acustici emissioni ultrasonore dei

pipistrelli

sensori di onde elastiche (sonar) emissione

di onde a iper-bassa frequenza delle balene

sensori d‟incendio sensori di raggi IR del

coleottero melanophila

- bionica:

sensi artificiali

muscoli artificiali

organi artificiali

protesi

A giudicare dal numero di uccelli, insetti volanti e

creature marine, la natura ha sperimentato

estensivamente sia l‟aerodinamica che l‟idrodinamica.

Vi sono numerosi aspetti che meritano attenzione. Per

esempio, i pesci cacciano i pesci sott‟acqua tenendo

conto dell‟effetto di rifrazione, che crea una posizione

illusoria della preda. Gli uccelli ed i mammiferi

predatori tengono conto della traiettoria della preda.

Questi metodi stanno migliorando la capacità delle

armi militari, per esempio consentendo ad un carro

armato in movimento di colpire l‟obiettivo pure in

movimento. Sistemi di questo genere sono utilizzati

per inseguire un bersaglio mobile ed adattare la

traiettoria e l‟assetto del velivolo prima di lanciare un

missile. La capacità della libellula di manovrare ad alta

velocità è un ulteriore aspetto del volo biologico che

ha notevolmente ispirato l‟uomo. Utilizzando una

sacca piena di liquido che circonda il suo sistema

cardiaco, la libellula è in grado di compensare gli

effetti gravitazionali (altissimi g) derivanti dalle

manovre ad alta velocità. La tuta anti-g riempita di

fluido che è stata sviluppata ispirandosi al sistema

della libellula rivendica già prestazioni migliori

rispetto alle convenzionali tute anti-g pneumatiche.

Come la biologia animale, anche la botanica tiene in

grande considerazione l‟aerodinamica. I semi di molte

piante sono progettati con delle caratteristiche che

consente loro di disperdersi lontano dal punto di

3 La luminescenza può essere di due tipi: la bioluminescenza:

emissione volontaria o involontaria di luce, derivante da una

reazione chimica; la fluorescenza, emissione di luce a causa di illuminazione ultravioletta.

origine. Tale capacità di dispersione risiede nel bisogno di

evitare il sovraffollamento (e la competizione) di una certa

pianta in una zona ristretta. I semi mettono in atto svariate

tecniche aerodinamiche per essere propulsi con l‟ausilio

del vento; per esempio il seme alato della jaracanda,

tipuana tipu (Figura 63.6) ha ispirato uno speciale tipo di

paracadute che consentirà l‟atterraggio morbido sul suolo

dei pianeti.

Figura 63.6 – Seme di jaracanda, che ha ispirato un tipo di

paracadute per atterraggio morbido.

63.4 Materiali biomimetici

ui di seguito, senza alcuna pretesa di completezza,

vengono descritti alcuni materiali biologici aventi

proprietà funzionali affascinanti, che l‟uomo è riuscito (o

sta riuscendo) a riprodurre artificialmente:

Cellulosa – è un polisaccaride che, grazie ai legami -1,4

tra gli zuccheri, possiede una struttura a nastro fortemente

lineare, molto rigida ed in grado di dar luogo a fibre

stabili. Il modulo elastico teorico della molecola di

cellulosa è di 250 GPa, ma i valori sperimentali reali si

attestano attorno ai 130 GPa. La densità specifica della

cellulosa è di circa 1.5, cosicché non è stravagante

confrontare le sue proprietà meccaniche specifiche con

quelle dei materiali ingegneristici convenzionali: in

conclusione si può affermare che la cellulosa è un

materiale ad alte prestazioni, comparabili con quelle delle

migliori fibre che la tecnologia è in grado di sintetizzare.

La cellulosa viene prodotta da enzimi a forma di rosetta

che fluttuano nella membrana del fluido cellulare. Le

micro-fibrille primarie hanno un diametro di circa 5nm,

ma un centinaio circa di esse si combina per costituire

delle micro-fibrille più grandi (Figura 63.7).

Figura 63.7 – Microfibrille della cellulosa

La cellulosa prende così la forma di un guscio attorno alla

cellula, formando lo scheletro della cellula stessa e della

pianta. L‟orientazione delle micro-fibrille di cellulosa

nella parete cellulare è influenzata da svariati fattori. Nelle

pareti cellulari di molte varietà di piante sono state trovate

strutture assimilabili ai cristalli liquidi. L‟orientazione

Q

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delle micro-fibrille può essere parallela o elicoidale,

che corrispondono rispettivamente ai cristalli liquidi

nematici e colesterici. Molto probabilmente, le

strutture a cristallo liquido vengono assemblate nel

periplasma, una sottile regione racchiusa tra gli strati

più recenti (esterni) della parete cellulare e la

membrana plasmatica interna. Tale struttura è così

sottile che la sua stessa esistenza è posta in dubbio,

sebbene sia stata osservata nell‟epidermide dei semi di

mela cotogna. All‟interno di tale strato, le molecole

sono orientate in forme cristalline liquide. La rigidezza

intrinseca delle molecole di cellulosa promuove l‟auto-

assemblaggio, così come le massicce catene laterali

che spesso si trovano nell‟emi-cellulosa. Ad ogni

modo, la cellulosa in quanto tale non controlla questo

processo, in quanto essa non è in grado di formare

cristalli liquidi, a meno che non si trovi in condizioni

non-fisiologiche, oppure mescolata ad emicellulosa.

D‟altra parte, questi sono i candidati più probabili per

controllare il sistema, potendo contribuire fino al 40%

della parete della cella. L‟assimmetria necessaria per

l‟auto-assemblaggio dei cristalli liquidi viene fornita

dall‟anello glucidico C-5 dell‟emi-cellulosa. Quindi: le

micro-fibrille di cellulosa sono avvolte in una guaina

(spessa quanto serve) di emicellulosa, che può allora

dirigere il processo di auto assemblaggio. Esiste un

altro fattore che influenza le caratteristiche della

cellulosa entro la parete cellulare: l‟orientazione dei

micro-tubuli organizzati sulla faccia interna della

corteccia cellulare (Figura 63.8).

Figura 63.8 – Orientazione dei micro-tubuli presenti

sulla faccia interna della corteccia cellulare.

Tale orientazione può venir modificata da stimoli

esterni, quali la luce (intensità, lunghezza d‟onda),

l‟auxina e le deformazioni meccaniche, come quelle

dovute alla flessione. Questi stimoli sono additivi:

così, per esempio, una piccola quantità di auxina rende

le cellule più sensibili ad altri stimoli. Allo stesso

tempo, il rateo di crescita cambia, così che è il ri-

orientamento delle micro-fibrille di cellulosa, mediato

dalla variazione dei micro-tubuli corticali, che governa

la crescita, sia qualitativamente che quantitativamente.

La luce blu fa sì che i micro-tubuli si orientino

longitudinalmente, mentre quella rossa li orienta in

direzione trasversale, consentendo così alla pianta di

crescere. Questi due meccanismi possono coesistere: un

indizio di ciò deriva dai meccanismi di riparazione delle

radici dei piselli. Il danno viene creato rimuovendo una

porzione di radice a 3mm dall‟estremità, colorando la

sezione con marcatori fluorescenti per poter esaminare i

microtubuli al microscopio co-focale. Le celle

appartenenti ad una radice non danneggiata sono lunghe e

sottili e si estendono lungo l‟asse della radice, in quanto le

fibre di cellulosa della parete della cella sono orientate

circonferenzialmente. Nelle cellule prese in vicinanza del

danno a 24 ore dal danneggiamento, i micro-tubuli hanno

ruotato la loro orientazione in modo da disporsi

parallelamente alla superficie del danno, ovvero più o

meno ortogonalmente all‟asse della radice (Figura 63.9).

Figura 63.9 – Nuovo orientamento dei microtubuli in

prossimità del danno a 24 ore dal danneggiamento.

Ciò è accompagnato da un allungamento delle celle verso

il danno, suggerendo che la cellulosa si disponga in questa

nuova direzione. Il passo finale nella nascita e nel

mantenimento di questa nuova polarità cellulare attorno al

danno consiste nella definizione di nuovi piani di

divisione cellulare, che – ancora – sono paralleli al

contorno del danno. Tutte queste risposte assicurano che il

tessuto della pianta cresce in direzione del danno e lo

colma con nuovo materiale cellulare. La ri-orientazione

delle fibre di cellulosa è dovuta semplicemente al cambio

di orientazione dei microtubuli: ma questo meccanismo

non è in grado di spiegare il cambiamento di forma. La

necessaria variazione dell‟anisotropia elastica può

avvenire solo se la cellulosa cambia la propria

orientazione lungo tutto lo spessore della parete della

cella: questo e‟ possibile solo se la parete della cella è

adattativamente labile oppure si trova in uno stato

cristallino liquido. Lo stesso meccanismo è stato postulato

per la labilità di orientazione della cuticola degli insetti,

ma non è ancora stato dimostrato sperimentalmente.

Questo potrebbe essere più semplice in un sistema

cellulare, dove lo stato di deformazione esterno può essere

modificato più facilmente. Per analogia con altri

compositi miscibili in acqua (come la carta e la cuticola

degli insetti), è sufficiente una minima variazione del

contenuto di acqua, forse indotta da una variazione di pH.

Più i legami strutturali nel sistema sono direzionati,

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minore è il numero dei legami che devono venir

solvatati, poiché questi possono essere identificati

dalla biochimica del sistema. Ancora una volta, un

sistema a cristalli liquidi presenta vantaggi rilevanti.

La rigidezza della parete cellulare varia in dipendenza

della quantità e dell‟orientazione dei diversi

componenti presenti, compresa l‟acqua. Esistono due

modelli per descrivere le proprietà meccaniche delle

pareti lignificate della cellula. Il primo, consistente in

modello composito di fibre di cellulosa immerse in una

matrice di lignina, è compatibile con le risultanze

sperimentali. Viceversa, il secondo, nel quale le micro-

fibrille di cellulosa avvolgono spiroidalmente la

cellula, si dimostra più utile nel prevedere le proprietà

delle cellule non lignificate, sebbene esso ignori la

presenza della matrice che lega le micro-fibrille di

cellulosa. È però plausibile un‟interpretazione

intermedia, che prevede una limitata connettività tra i

componenti, espressa da un modulo a taglio variabile.

Inoltre, la chimica molecolare spesso impone strutture

molto più regolari e precise di quanto non sia richiesto

dalle teorie ingegneristiche. Esiste una struttura

gerarchica di tipologie molecolari molto più complessa

di quanto non sia la semplice divisione in fibre

cristalline e matrice polimerica. La progressione è

dalle micro-fibrille cristalline ai poli-saccaridi lineari

ramificati, i quali sono orientati, ma non cristallini, per

finire con i polimeri a struttura randomatica come la

lignina. Esiste un ulteriore modello molecolare della

parete cellulare, sviluppato in riferimento alle pareti

cellulari parzialmente lignificate dei tessuti legnosi del

tabacco, dove le micro-fibrille di cellulosa sono

continue lungo la cella e sono disposte ad un angolo di

10° rispetto al loro asse maggiore (Figura 63.10). Le

molecole della matrice sono organizzate a due livelli.

L‟emicellulosa e la pectina sono orientate

ortogonalmente rispetto all‟asse longitudinale della

cellula, con scarsa o nulla interconnessione. Le

molecole di lignina sono orientate randomaticamente e

riempiono i vuoti nella struttura (Figura 63.11).

Allorché la parete della cellula viene stirata, l‟elica si

distende e l‟area superficiale della parete si riduce

poiché le micro-fibrille vengono forzate ad addossarsi

le une alle altre e la matrice interposta viene

compressa. La riduzione dell‟area superficiale porta

all‟aumento dello spessore della parete cellulare, in

quanto la lignina viene “spremuta” radialmente. Se

l‟emicellulosa e la pectina non sono orientate a 90°

rispetto all‟asse longitudinale della cellula, esse

vengono sollecitate a trazione dalle micro-fibrille e

l‟angolo d‟elica di queste ultime non cambia un

granché. La rigidezza a trazione ora dipende dalle

proprietà meccaniche delle catene polimeriche della

matrice (in trazione ed in compressione), come pure

dalle proprietà a compressione della lignina. Non

esiste un trasferimento diretto degli sforzi a trazione

attraverso la matrice tra una micro-fibrilla e l‟altra,

come accade in un composito convenzionale. Anche

per angoli d‟elica grandi rispetto alla verticale, le micro-

fibrille possono ancora esplicare pienamente il loro

modulo a trazione, a patto che gli interstizi nella matrice

siano riempiti da un materiale rigido e incomprimibile.

Figura 63.10 – Micro fibrille di cellulosa nel tabacco: da

notare l’orientamento rispetto al loro asse maggiore.

Figura 63.11 – I vuoti nella struttura vengono riempiti dalle

molecole di lignina orientate randomaticamente.

L‟emicellulosa e la pectina compartimentalizzano la

lignina e immagazzinano l‟energia elastica di

deformazione derivante dalla compressione della lignina

stessa. Questo modello è in ottimo accordo con i dati

sperimentali relativi alle pareti cellulari parzialmente

lignificate. La chiave di questo modello risiede nella

connettività interna specifica della matrice e

nell‟orientazione molecolare. Laddove le catene di

emicellulosa e di pectina sono orientate secondo un

angolo grande rispetto all‟asse longitudinale, la

connettività covalente della lignina diventa cruciale per

definire le proprietà. Se la lignina è connessa da forti

legami covalenti alla matrice poli- saccaride, come pure

alle altre catene di lignina, allora la matrice è connessa

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lungo la cella ed il comportamento meccanico può

venir descritto dalla teoria convenzionale dei

compositi. L‟idea secondo cui le pareti cellulari delle

piante sono sostanzialmente dei cristalli liquidi non è

nuova (essa risale a circa 20 anni fa). Ma le idee su

come la cella organizza il mondo dalla parte esterna

alla sua membrana sono tuttora piuttosto vaghe.

Sebbene molto si sappia riguardo alla chimica, molto

poco si sa riguardo al controllo della morfologia. La

morfologia della parete cellulare (l‟orientazione delle

fibre e la loro interazione con gli altri componenti) è

cruciale ai fini delle proprietà meccaniche della pianta.

La biologia molecolare ha dimostrato che le forme

intracellulari derivano da processi di auto-

assemblaggio guidati dalla chimica: lo stesso vale

anche all‟esterno della cellula.

Osso – è un biomateriale composito, consistente in

nano-piastrine di apatite inglobate in una matrice

proteica costituita essenzialmente da collagene di tipo

I. L‟origine dell‟elevata rigidezza e tenacità dell‟osso è

scarsamente conosciuta su scala nanometrica. Indagini

effettuate con tecniche di diffrazione dei raggi-X

hanno potuto studiare simultaneamente i diversi livelli

della struttura gerarchica dimostrando che gli sforzi di

trazione a livello del tessuto, delle fibrille e delle

particelle minerali sono nel rapporto 12:5:2.

Comunque, a livello nanometrico, le particelle

minerali dell‟osso sono in grado di sopportare valori di

deformazione molto maggiori rispetto all‟apatite

solida, poiché, grazie alla piccola scala, gli effetti

dovuti alle cricche non si manifestano in maniera

catastrofica. Inoltre, analisi FEM e studi effettuati

secondo la teoria di Mohr-Coulomb hanno dimostrato

che il comportamento a compressione dipende

soprattutto dall‟attrito tra le particelle, in quanto la loro

percentuale volumetrica è sufficientemente elevata

perché esse possano entrare in contatto (soglia di

percolazione). In pratica, la coesione dell‟osso dipende

soprattutto dalla matrice proteica e non dai legami tra

la fase organica e la fase minerale.

Resilina – è una proteina elastica simile all‟elastina

(tendini) ed alla spidroina (seta del ragno),

caratterizzata da bassa rigidezza, alta deformabilità e

grande capacità di immagazzinare energia. Essa

consente agli insetti di volare ed alle pulci di compiere

balzi 200 volte più lunghi della lunghezza del loro

corpo. Tale materiale è stato ora sintetizzato come

polimero ad alto peso molecolare. La capacità di

recupero elastico di tale materiale è del 90-92%, con

un‟isteresi trascurabile: le sue prestazioni sono perciò

superiori del 10% rispetto ai più resilienti polimeri

sintetici.

Cuticola degli insetti – rappresenta l‟archetipo dei

materiali compositi fibrosi. La componente fibrosa è

costituita dalla chitina, un polisaccaride non dissimile

dalla cellulosa, inglobata in una matrice proteica. La

chitina è presente sotto forma di nanofibre del diametro di

3nm lunghe fino a 1m. Le diverse proprietà meccaniche

della cuticola derivano dalla combinazione delle proprietà

della matrice (il cui livello di idratazione può venir

controllato per dare un‟ampia variazione della rigidezza),

nonché dalla quantità e dall‟orientazione della chitina

presente. Quest‟ultima è stesa in strati nei quali tutte le

nanofibre sono orientate nella medesima direzione. In

taluni tipi di cuticola, questa orientazione è mantenuta

costante in molti strati adiacenti, in altri casi essa cambia

frequentemente, dando luogo ad una varietà di strutture

(Figura 63.12).

Figura 63.12 – Il diverso orientamento della chitina nella

cuticola degli insetti dà luogo a diversi tipi di struttura.

Tali strati vanno anche sotto il nome di lamelle. La

morfologia delle lamelle è stata descritta molte volte in

termini generali, ma raramente è stata quantificata. In

alcuni tipi di insetti (come la farfalla Calpodes ethilius),

durante le prime 66 ore dell‟ultimo stadio larvale, le

lamelle della cuticola sono spesse 500nm e richiedono 3

ore per ruotare di 180° nella direzione delle fibrille di

chitina (Figura 63.13). A processo di sviluppo più

avanzato, le lamelle sono spesse 100nm e vengono

depositate in soli 10 minuti. Poiché il diametro delle

nanofibre di chitina è di 3nm, con una percentuale

volumetrica di quest‟ultima del 50%, le due tipologie di

lamelle potrebbero generare fino a 85 strati con

orientazioni sfalsate di 2° e 16 strati sfalsati di 11°.

Siccome le velocità di deposizione sono rispettivamente di

circa 1 lamina/4 minuti e 1 lamina/40 secondi, ne

conseguono gradienti di rotazione pari a 0.5° e 18° al

minuto. Al momento non è noto da cosa sia controllata la

struttura a cristalli liquidi della cuticola degli insetti, ma

sembra certo che sia la componente proteica, in quanto le

nanofibre di chitina sono completamente nascoste dagli

strati di proteina. Tutto ciò nonostante la proteina leghi la

chitina in una maniera molto regolare in modo da formare

una struttura composita del tipo dei quella dei cristalli

liquidi.

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Figura 63.13 – Andamento del numero di lamelle

presenti in funzione dell’età delle larve.

Seta del ragno – da centinaia di milioni di anni, la seta

viene prodotta da una grande varietà di artropodi.

L‟uomo usa la seta da svariate migliaia di anni per tutti

i tipi di applicazione, che variano dal tessile, al

biomedicale al militare. La principale fonte di

produzione della seta è il baco da seta (bombyx mori),

in virtù della sua facilità di allevamento, che cominciò

ad essere intrapreso in Cina nel 3000 a.C. La seta dei

ragni non può essere raccolta così facilmente, ma le

loro ragnatele sono state tradizionalmente utilizzate

per applicazioni nella pesca e nella cura delle ferite,

grazie alle loro formidabili proprietà meccaniche e

biomedicali. Le ragnatele si possono trovare per ogni

dove, con diametri variabili da pochi centimetri a

parecchi metri. Recentemente sono stati scoperti ragni

nel Madagascar capaci di filare singoli filamenti

lunghi oltre 25m, con i quali attraversano i fiumi. Fino

ad oggi la maggior parte dei ricercatori ha focalizzato

la propria attenzione sulla seta usata dai ragni per

realizzare la cosiddetta dragline, ovvero la struttura

portante della tela, che costituisce anche il cavo di

sicurezza (Figura 63.14). A parità di peso più

resistente dell‟acciaio, più sottile di un capello umano,

più tenace di qualsiasi fibra sintetica e completamente

biodegradabile, il materiale costituente la dragline

potrebbe costituire veramente il super-materiale del

XX1 secolo. Le possibili applicazioni spaziano dalle

suture chirurgiche ai tendini e ai legamenti artificiali,

dagli attrezzi sportivi alle cinghie dei paracadute, fino

alle protezioni balistiche. La seta dei ragni ha una

curva sforzo-deformazione elasto-plastica che le

conferisce un comportamento tenace, ad elevato

smorzamento dinamico, in grado di assorbire grandi

quantità d‟energia4.

4 Allorchè una mosca impatta contro una tela di ragno, circa il 70% della sua energia cinetica viene convertita e dissipata in calore.

Figura 63.14 – Struttura portante (dragline) di una tela di

ragno.

Le ragnatele si sono infatti adattate nel corso di milioni di

anni e sono in grado di resistere e di assorbire l‟energia

cinetica derivante dall‟impatto delle grosse prede del

ragno. Esaminati ad occhio nudo, tutti i filamenti di una

ragnatela appaiono uguali, ma in realtà quest‟ultima è

costituita da cinque diversi tipi di seta: in realtà, la

femmina del ragno è in grado di filare fino a sette tipi di

seta, compresi quelli necessari a contenere le uova (Figura

63.15).

Figura 63.15 – La femmina del ragno può filare fino a sette

tipi di seta, ognuno destinato ad un utilizzo specifico.

I diversi tipi di seta sono specializzati, sono in grado di

assolvere compiti diversi ed esibiscono una grande

variabilità delle caratteristiche meccaniche. Lo sforzo a

rottura di un filo (diametro tipico 3m) può variare da 20

a 1700 MPa (1500 MPa per gli acciai ad alta resistenza,

1000 MPa per le leghe di titanio, 700 MPa per quelle di

alluminio), mentre la deformazione a rottura può variare

da 10 a 500% (superiore a quella di molti elastomeri).

Inoltre, la maggior parte dei tipi di seta manifesta una

sofisticata combinazione di resistenza e cedevolezza, la

quale porta a valori di tenacità molto alti, di gran lunga

superiori a quelli delle normali fibre sintetiche. Pure

comune a quasi tutti i tipi di seta è il comportamento

viscoelastico: in seguito ad un allungamento, l‟energia

viene dissipata sotto forma di calore, minimizzando il

ritorno elastico. Inoltre, il filo di seta del ragno, dopo

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essere stato sottoposto a torsione, ritorna in condizione

originaria con un andamento smorzato

esponenzialmente, così come accade ad una lega a

memoria di forma, senza però richiedere il

superamento della temperatura di transizione. Tale

proprietà si mostra decisiva dal punto evoluzionistico:

infatti, grazie ad essa, il ragno appeso al suo filo evita

di dondolare e di attrarre l‟attenzione dei predatori.

Un‟altra caratteristica interessante della seta di ragno

risiede nella sua capacità di supercontrazione. Quando

un filamento viene bagnato oppure quando l‟umidità

relativa supera il 60%, esso si rigonfia in diametro e si

contrae in lunghezza di oltre il 50%. Tutti i tipi di seta di

ragno sono costituiti essenzialmente da una o più proteine,

chiamate spidroine. Nonostante possiedano diverse

proprietà, tutti i tipi di spidroine condividono una struttura

primaria comune, costituita da un grande nucleo centrale

di unità modulari ripetitive, contenenti il 90% circa di tutti

gli aminoacidi delle proteine, circondata da domìni non

ripetitivi (Figura 63.16).

Figura 63.16 – Tipologie di spidroine e loro proprietà.

Figura 63.17 – Struttura nano-cristallina di una matrice

amorfa.

In pratica, la seta del ragno deriva da una soluzione

proteica che si auto-assembla in nano-fibre, ciascuna

caratterizzata da una sub-struttura segmentata. Ciascun

segmento di nano-fibra contiene un impilamento di

molecole a forma di piastra. La sequenza di impilamento

dà luogo ad una efficiente struttura fatta da nano-cristalli

contenuti in una matrice amorfa (Figura 63.17). La

differenziazione delle proprietà e la specializzazione dei

diversi tipi di seta dipende dalla sequenza ripetitiva del

nucleo centrale, che viene prodotta dall‟apparato di

filatura del ragno (Figura 63.18). Quest‟ultimo è diviso in

quattro parti: coda, ampolla, condotto e valvola e

concentra in pochi decimi di millimetro un complesso

laboratorio bio-chimico che l‟uomo non è ancora riuscito

a riprodurre. Cionondimeno, la seta del ragno è stata

sintetizzata artificialmente sotto forma di proteina

ricombinante derivata dal latte di capre transgeniche. Ma

il ragno costruisce la sua tela per svolgere una funzione

che dura pochi minuti: catturare una preda o velocizzare

una salita o una discesa.

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Figura 63.18 – Apparato di filatura del ragno.

Per questo il materiale non è fatto per durare: la sua

resistenza a creep e la sua durabilità nei confronti

dell‟umidità5, temperatura e raggi ultravioletti non

sono in grado di soddisfare i requisiti ingegneristici,

semplicemente perché esso è stato progettato per i

bisogni del ragno, non dell‟uomo. Per questo non si

deve tendere a riprodurre una copia esatta della seta

del ragno, bensì cogliere degli spunti per fabbricare

materiali adatti a soddisfare i bisogni dell‟uomo. Per

esempio incorporando nano-particelle in una soluzione

di proteina della seta del ragno, si possono produrre

per spinning elettrostatico fibrille nano-composite, le

cui proprietà biologiche, strutturali, elettroniche e

magnetiche possono venir adattate ad esigenze diverse

usando opportuni tipi e percentuali volumetriche di

nano-particelle.

63.5 Strutture ottimizzate

pesso in natura la soluzione dei problemi

funzionali passa attraverso l‟ottimizzazione della

struttura (poco onerosa, richiede solo tempo), piuttosto

che la sintesi del materiale (molto onerosa, richiede

energia). Nel seguito sono illustrati alcuni esempi

particolarmente significativi:

Nido d’ape – nessuno sa veramente come e perché le

api costruiscano con la cera architetture esagonali

(Figura 63.19) di così assoluta perfezione. I Greci

ritenevano che la perfezione del nido d‟ape fosse un

indizio delle regole matematiche che governavano la

natura. Darwin dichiarava che chi avesse contemplato

una tale opera senza “un‟entusiastica ammirazione”

avrebbe dimostrato così la propria ottusità. D‟Arcy

5 In ambiente umido, la seta del ragno va soggetta al fenomeno di

supercontrazione: ovvero dimezza la propria lunghezza e raddoppia

il diametro, peggiorando in misura inaccettabile il comportamento a creep.

Thompson era convinto che ci fosse di mezzo la tensione

superficiale. Fu solo nel 1964 che il matematico

ungherese Fejes Toth dimostrò nell‟articolo “What the

bees know and what they do not know” che la struttura del

nido d‟ape non era del tutto ottimizzata. Il materiale con

cui tale struttura è realizzata, (la cera) costituisce però uno

dei materiali naturali (assieme al caucciù gomme, alle

resine polimeri ed alla cellulosa compositi) più

utilizzati nelle tecnologie produttive, che l‟uomo ha ben

presto imparato a sintetizzare artificialmente.

Figura 63.19 – Celle perfettamente esagonali in un nido

d’ape.

Aculei dell’istrice e il porcospino – sono ricoperti di peli

modificati, che si sono ingranditi, irrigiditi e rafforzati

fino a formare aculei di differente forma e dimensione.

Essi hanno in comune la struttura di base (tubolare), il

materiale (cheratina, una proteina fibrosa) e la forma

appuntita dell‟estremità. Essi si differenziano per il fatto

che gli aculei del porcospino hanno lunghezze molto

diverse a seconda delle diverse parti del corpo, possono

essere estratte con relativa facilità e tendono ad avere un

elevato rapporto lunghezza/diametro, mentre gli aculei

S

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del‟istrice sono fortemente inglobati nella pelle, hanno

tutti la stessa lunghezza e sono leggermente curvi.

In termini funzionali, sembra che gli aculei del

porcospino servano principalmente alla difesa, mentre

quelli dell‟istrice funzionino come degli assorbitori

d‟energia. L‟istrice rimbalza quando cade, cosa che gli

capita molto spesso quando si arrampica sui muri e

sugli alberi con sorprendente ottimismo. La struttura

simile ad una schiuma che riempie la parte centrale di

un aculeo supporta la parete sottile esterna

opponendosi all‟instabilità locale e consente alla

struttura di flettersi ulteriormente senza rompersi.

Altre specie possiedono aculei simili, ma con differenti

strutture interne (Figura 63.20):

riempitivo isotropico tri-dimensionale;

lo stesso, ma con irrigidimenti longitudinali;

irrigidimenti circonferenziali e longitudinali, in

modo da ottenere un nido d‟ape a cella quadra;

setti circonferenziali frequentemente spaziati.

Figura 63.20 - Le strutture degli aculei sono diverse, in

funzione della specie e della funzione.

Questi quattro tipi di strutture possono essere studiati

come gusci cilindrici dotati di un riempitivo cedevole.

La teoria dei materiali cellulari mostra che il rapporto

tra la rigidezza della struttura cellulare e quella del

materiale con cui essa è costruita (Ec/E) è uguale al

rapporto tra le rispettive densità (c/) elevata ad una

potenza che dipende dalla geometria della struttura

cellulare stessa. Negli aculei dell‟istrice e del

porcospino, tale rapporto varia da 0.05 a 0.1. Gli aculei

del porcospino si comportano più o meno come cilindri

cavi instabilizzati piuttosto che come puntoni sollecitati

assialmente. In flessione essi hanno prestazioni migliori di

circa il 40%. Ma gli aculei dell‟istrice, grazie al riempitivo

a forma di nido d‟ape a cella quadrata ed agli irrigidimenti

longitudinali, mostrano prestazioni tre volte superiori a

quelle che avrebbero senza il riempitivo. Per un dato

valore di rigidezza flessionale, la massa della struttura può

essere ridotta aumentando il valore del raggio, in quanto

aumento il momento d‟inerzia J e quindi la rigidezza

flessionale EJ. Questo proporzionamento si dimostra però

più debole nei confronti dell‟instabilità locale

(ovalizzazione di Brazier) (Figura 63.21).

Figura 63.21 – Ovalizzazione di Brazier

Il riempitivo in forma di schiuma da solo può resistere

all‟ovalizzazione, ma per resistere all‟instabilità locale è

necessario del materiale orientato radialmente. Per questo,

il rinforzo è disposto sia circonferenzialmente sia

longitudinalmente, così da fornire un irrigidimento

ortogonale. Se tali irrigidimenti sono sufficientemente

massicci, essi possono assolvere anche al compito della

schiuma riempitiva, la quale può così essere rimossa senza

ridurre le prestazioni meccaniche. Inoltre, il materiale

posto nella parte centrale della sezione possiede un

piccolo momento d‟inerzia e fornisce un contributo

piccolo in proporzione alla sua massa: quindi esso può

essere eliminato senza pregiudicare la sicurezza della

struttura. Il recente sviluppo di un processo tecnologico

che consente la produzione di gusci cilindrici metallici

con un riempitivo integrale in schiuma o nido d‟ape,

dimostra l‟efficienza di questo progetto, prima limitato

alla natura, può essere esteso ai puntoni tubolari leggeri

come si trovano nelle sospensioni delle macchine da

corsa, nei telai degli auto e motoveicoli e nelle strutture

aeronautiche e spaziali (cfr. Space Shuttle).

Becco del tucano – esso costituisce più di un terzo della

sua lunghezza, ma solo un ventesimo della sua massa, e

ciononostante possiede un‟eccellente rigidezza. Questo

dipende dalla sua struttura ottimizzata costituita da una

schiuma a celle chiuse (Figura 63.22). Il becco consiste in

un guscio di cheratina che racchiude una schiuma a celle

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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 18 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

chiuse fatta di una struttura fibrosa di calcio e proteine,

con una cavità centrale. Lo strato di cheratina è

costituito da scaglie esagonali (di spessore 2-10m e

diametro 30-60m) incollate assieme fino a

raggiungere una rigidezza di 1.4GPa ed una resistenza

di 50MPa. L‟elevato contenuto di calcio delle fibre

della schiuma conferisce loro un modulo doppio

rispetto al guscio di cheratina. Inoltre, la risposta

combinata della schiuma e del guscio dà luogo ad una

sinergia: l‟assorbimento di energia della struttura è

maggiore della somma degli assorbimenti dei

componenti. In realtà, i becchi e gli artigli di molti altri

uccelli sono costituiti da strutture sandwich, ma il

becco del tucano costituisce una struttura ancor più

ottimizzata.

Figura 63.22 – Struttura del becco del tucano, costituita

da un guscio riempito con una schiuma a celle chiuse.

Guscio delle noci – la struttura del guscio delle noci è

costituita da uno strato esterno di celle riempite da una

resina indurita, capace di resistere efficacemente agli

sforzi di compressione, e da uno strato interno

consistente in fibre, adatte a sopportare le

sollecitazioni di trazione.

Cellule delle patate – sono in grado di cambiare la

propria rigidezza alterando la pressione interna (stress

stiffening), come del resto fanno anche gli squali. Ciò

potrebbe ispirare i progettisti aeronautici per variare la

forma delle ali e le loro prestazioni aerodinamiche.

63.6 Superfici funzionalizzate

e superfici biologiche rappresentano l‟interfaccia

tra l‟organismo vivente e l‟ambiente circostante;

esse svolgono diverse funzioni:

delimitano le dimensioni e conferiscono la

forma all‟organismo;

costituiscono la barriera contro l‟ambiente

secco, umido, caldo, freddo;

partecipano alla funzione respiratoria e

secretoria;

accolgono i recettori meccanici e chimici;

provvedono alla termoregolazione.

In conseguenza di un così ampio ventaglio di

funzionalità, le superfici biologiche possono ispirare

numerosi campi dell‟ingegneria, relativi ad adesione,

attrito, usura, lubrificazione, filtraggio, sensorizzazione,

termoregolazione, auto-riparazione, ottica e, in sintesi, alla

multifunzionalità:

- riduzione dell’attrito e della resistenza: il materiale per

eccellenza atto a limitare l‟attrito interno è costituito dalla

cartilagine articolare, consistente in fibre di collagene

inglobate in un gel proteoglicanico idratato, caratterizzata

da coefficienti d‟attrito molto bassi (0,0025). Viceversa la

riduzione dell‟attrito rispetto all‟ambiente esterno può

essere ottenuto grazie ad una pelle opportunamente rugosa

(lo squalo) oppure sufficientemente cedevole da smorzare

la microturbolenza (delfino). Alcuni pesci riducono

l‟attrito idrodinamico fino al 60% tramite la secrezione di

un muco leggermente solubile in acqua, che smorza la

turbolenza. Infine alcuni animali terrestri, come i serpenti

migliorano l‟attrito sulle superfici dure e scabre grazie alla

forma asimmetrica delle scaglie (Figura 63.23) ed alla

secrezione di sostanze lubrificanti.

Figura 63.23 – Scaglie dei serpenti: la forma asimmetrica (e

la secrezione di sostanze lubrificanti) migliora l’attrito.

- adesività: a livello biologico sono presenti meccanismi

di adesione temporanei, transitori e permanenti, che

sfruttano l‟azione di uncini, colle, ancore ad espansione,

morse, spaziatori, nonché dell‟attrito e della depressione. I

due meccanismi più efficienti (Figura 63.24) sono basati

sull‟azione di peli microscopici (zampe delle mosche e del

geco) e di cuscinetti adesivi (bisso dei mitili), perché

permettono l‟adesione indipendentemente dalla natura

dell‟aderente. Le forze che si sviluppano possono essere di

tipo adesivo, capillare o intermolecolare (van der Waals).

In generale è dimostrato che l‟adesione aumenta

suddividendo la superficie di contatto (Figura 63.25),

tanto che sono stati messi a punto pneumatici la cui

scolpitura riproduce la superficie della zampa delle

cavallette e delle rane (Figura 63.26).

L

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 63 - BIOMIMETICA

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l‟uso di questo materiale a scopo di lucro. E‟ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 19 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

Figura 63.24 – Le zampe delle mosche e del geco sono

esempi di efficienza di adesione.

Figura 63.25 – L’adesione aumenta suddividendo la

superficie di contatto.

Figura 63.26 – La superficie delle zampe delle rane e delle

cavallette ha ispirato la scolpitura di pneumatici.

- anti-adesività: alcuni sistemi biologici hanno sviluppato

superfici con proprietà idrofobe, anti-adesive ed auto-

pulenti: l‟esempio più noto è costituito dall‟effetto loto,

già applicato con successo in molti campi industriali.

- ottica: la più comune proprietà ottica, posseduta per

esempio dalle ali di alcune farfalle e dall‟esoscheletro di

alcuni scarabei è l‟iridescenza. L‟iridescenza deriva da

fenomeni di interferenza ottica entro strutture multi-strato

aventi un‟architettura molto complessa (Figura 63.27).

Un‟altra proprietà ottica posseduta da alcune superfici

biologiche (in particolare dalla cornea di alcuni insetti

notturni) risiede nell‟anti-riflettività, conferita da

microscopiche protuberanze (diametro 200nm) esistenti

sulla cornea.

Figura 63.27 – L’iridescenza è una proprietà tipica delle ali

di alcune farfalle.

- termoregolazione: la peluria e le scaglie presenti sulla

cuticola di molti insetti consentono una riflessione multi-

livello della radiazione solare

- generazione sonora: quando l‟esoscheletro di alcuni

crostacei e la cuticola di taluni insetti presentano scaglie

mobili (elitre) che posso scorrere le une sulle altre, si può

avere la generazione di suoni la cui frequenza dipende

dalla periodicità di tali strutture e dalla frequenza di

sfregamento.

Generalmente, la natura funzionalizza le superfici tramite

film nanoporosi e nanostrutturati: le foglie di alcune

piante usano superfici nanostrutturate per lasciar scorrere

l‟acqua (Figura 63.28), mentre il coleottero del deserto

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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 20 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

della Namibia sfrutta una superficie simile per

raccogliere l‟acqua dalla rugiada.

Figura 63.28 – Esempi di foglie dotate di superfici nano-

strutturate in grado di lasciar scorrere l’acqua.

Le farfalle sfoggiano splendide superfici

nanostrutturate per attrarre il partner, dissuadere i

predatori e garantire la mimetizzazione (Figura 63.29).

Il geco, le mosche ed altri insetti sfruttano superfici

nanostrutturate per aderire alle pareti (Figura 63.30) e

tutte le membrane delle celle possono essere considerate

alla stregua di sofisticati film nanoporosi.

Figura 63.29 – Superfici nano-strutturate utilizzate dalle

farfalle per mimetizzarsi ed attrarre il partner.

Figura 63.30 – Gli insetti sfruttano le superfici nano-strutturate per aderire alle pareti.

Lo sviluppo di film sottili nanostrutturati e nanoporosi

è relativamente recente ed è stato spinto dalla necessità

di fornire materiali a bassa costante dielettrica

all‟industria dei semi-conduttori, materiali a basso

indice di rifrazione (1.2 <) all‟industria della fotonica,

materiali con assorbanza assimilabile a quella del

corpo nero all‟industria delle celle solari, membrane

nanoporose all‟industria di separazione dei gas,

materiali super-idrofobici e super-oleofobici

all‟industria tessile ed, in generale, alla necessità di

film sottili per i processi di catalisi e separazione nei

settori delle biotecnologie e delle celle a combustibile.

I film nanostrutturati e nanoporosi possono essere

classificati in due categorie molto ampie. La prima è

rappresentata da materiali cellulari (foam-like), in cui tutti

gli elementi dell‟intera struttura sono collegati assieme per

formare un reticolo tridimensionale continuo. La seconda

è rappresentata da materiali costituiti da film (free-

standing film) formati per deposizione GLAD (glancing

angle deposition) o OAD (oblique angle deposition). In

tali film, ciascun elemento è isolato da quelli contigui, e

dà luogo ad una struttura a pennello. Sono stati sviluppati

numerosi metodi per produrre film nanostrutturati e

nanoporosi. Si possono adottare sia processi in fase

liquida che in fase vapore per produrre materiali foam-like

o free-standing film. Entro ciascuna fase, la struttura del

materiale può risultare ordinata o casuale. La prima porta

ad un materiale cristallino, la seconda ad un materiale

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amorfo. Ciascun film può essere considerato estrinseco

o intrinseco. Le strutture intrinseche o additive sono

formate direttamente, in quanto il film viene

assemblato e cresce così come lo scheletro di un

grattacielo. Le strutture estrinseche o sottrattive sono

costituite da una massa solida, contenente materiale

sacrificale che viene pirolizzato, dissolto o asportato,

fino ad arrivare alla struttura finale. Da ultimo, la

natura del film può essere organica, inorganica, ibrida.

Di seguito alcuni esempi di bio-superfici

funzionalizzate:

Foglie del loto – idrofobicità significa che l‟acqua in

contatto con una superficie intatta forma gocce

sferiche che rotolano via dalla superficie

immediatamente, anche per piccoli gradi di

inclinazione. In questo caso, l‟angolo di contatto delle

gocce è superiore a 140°. Al contrario non-idrofobicità

o bagnabilità significa che le gocce d‟acqua non

abbandonano la superficie; in questo caso, l‟angolo di

contatto è minore di 110°. Si usano anche i termini

ceroso e non-ceroso. Ceroso significa che la superficie

è ricoperta da cristalloidi di cera, che si manifestano

come evidenti protrusioni all‟analisi SEM. Anche le

superfici non-cerose sono ricoperte da cera, ma

depositata sotto forma di un film così sottile da essere

difficilmente rilevabile anche con il SEM.

Figura 63.31 – Esempi di capacità di repellere l’acqua

presenti in natura.

In natura, la capacità di repellere l‟acqua si basa sulla

rugosità superficiale dovuta a differenti microstrutture

(tricomi, pieghe cuticolari, cristalli di cera), unite alle

proprietà idrofobiche della cera epicuticolare (Figura

63.31). In aggiunta a ciò, le particelle contaminanti

vengono trascinate via dalle gocce d‟acqua, dando così

luogo a una superficie pulita. Perciò, le foglie rugose e

cerose non sono solo idrofobiche, ma anche anti-adesive

nei confronti delle particelle contaminanti. Le foglie che

sono permanentemente idrofobiche si caratterizzano per

l‟evidente convessità delle cellule papillose epidermiche e

per il denso strato di cera epicuticolare. Le foglie che sono

idrofobiche solo per un limitato periodo di tempo

possiedono cellule epidermiche debolmente convesse e

spesso sono dotate di uno strato meno denso di cera.

L‟idrofobicità facilita la rimozione del particolato

depositatosi (polvere, spore) e consente la pulizia della

superficie delle foglie grazie a pioggia, nebbia e rugiada.

Ciò avviene poiché l‟area di contatto e l‟adesione tra le

particelle e la superficie vengono ridotte grazie alla

rugosità dovuta ai cristalli di cera epicuticolare, mentre

l‟area di contatto tra le particelle di contaminanti e le

gocce d‟acqua e, di conseguenza, l‟adesione sono

maggiori. In conseguenza di ciò, le particelle aderiscono

alla superficie delle gocce d‟acqua e sono trascinate via.

L‟intero fenomeno è basato sul rapporto tra le tensioni

superficiali tra l‟acqua, la superficie delle foglie e le

particelle.

Figura 63.32 – La presenza di tricomi rende lanuginoso

l’aspetto delle foglie idrofobe.

Considerazioni teoriche sulla idrofobicità rivelano che

essa dipende anche dal fatto che un sottile meato d‟aria

rimanga intrappolato tra la superficie della foglia e le

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gocce d‟acqua. Questo appare evidente per le foglie

con un aspetto lanuginoso, come conseguenza della

presenza di tricomi (Figura 63.32). L‟acqua tende a

penetrare tra questi tricomi a causa della pressione

idrostatica prodotta dalla goccia d‟acqua e solo una

distribuzione molto fitta di tricomi fornisce una buona

protezione contro la penetrazione dell‟acqua e quindi

una soddisfacente idrofobicità.

In natura molte superfici sono altamente idrofobiche

ed auto-pulenti, ad esempio le ali delle farfalle e più di

200 specie di piante, tra cui il loto, il cavolo, il

crescione e molte comuni erbe infestanti. Tra l‟altro,

queste ultime sono caratterizzate da foglie ricoperte da

un film ceroso, che le rende molto difficilmente

bagnabili da erbicidi a base acquosa. L‟analisi al SEM

dell‟esempio più famoso di pianta con foglie

idrofobiche ed auto-pulenti (il loto, nelumbo nucifera)

mette in rilievo protuberanze spaziate di circa 20-40

m ricoperte, su scala nanometrica, da una superficie

ruvida di cristalloidi di cera epicuticolari. Tale

combinazione di rugosità su scala micro- e nano-

metrica, unita alla bassa energia superficiale del

materiale, porta ad angoli di contatto > 150°, ad un

basso angolo di scivolamento ed all‟effetto auto-

pulente. Le superfici con tali caratteristiche sono dette

super-idrofobiche. Ciononostante, alcuni esempi in

natura (le ali di alcuni insetti) non esibiscono tale

rugosità su due scale e alcuni studi sperimentali hanno

dimostrato che una semplice superficie nano-

strutturata è in grado di garantire grandi angoli di

contatto e bassi angoli di scivolamento: quindi la

necessità della rugosità su due scale non è dimostrata.

Traendo ispirazione dagli esempi presenti in natura,

sono stati messi a punto numerosi metodi per produrre

artificialmente superfici rugose super-idrofobiche,

unendo a tale caratteristica altre proprietà, quali la

trasparenza, la colorazione, l‟anisotropia, la

flessibilità, la reversibilità, la traspirabilità.

Prima di scendere nel dettaglio, vale la pena di

ricordare che le foglie di loto raggiungono angoli di

contatto > 160° ed angoli di scivolamento

praticamente nulli tramite cristalli di cera paraffinica

contenenti soprattutto gruppi funzionali –CH2–. La

natura non richiede un‟energia superficiale tanto bassa

come quella conferita dai gruppi –CH– o da alogenati

per ottenere tali prestazioni: ciò dimostra che non è

necessaria un‟energia di superficie straordinariamente

bassa per garantire la non-bagnabilità. Piuttosto, il

punto cruciale risiede nel controllo della morfologia

superficiale su scala micro- e nano-metrica. Questo

disaccoppiamento della bagnabilità dal valore

dell‟energia superficiale apre molte nuove possibilità

all‟ingegneria delle superfici.

Il controllo della bagnabilità delle superfici

rappresenta un problema molto importante in numerosi

campi dell‟ingegneria. L‟interesse nei confronti delle

superfici auto-pulenti è spinto dal desiderio di produrre

superfici auto-pulenti per superfici esterne di satelliti,

ottiche di telescopi, pannelli solari e fotovoltaici di veicoli

spaziali, vetrate architettoniche e serre, come pure le

superfici di scambio termico degli impianti di

condizionamento. Le superfici super-idrofobiche

troverebbero applicazioni di grande interesse anche nel

settore della distribuzione dell‟energia elettrica (cavi degli

elettrodotti) e soprattutto nel campo aeronautico, dove

esse risolverebbero il grave problema del ghiacciamento a

terra e in quota di ali, impennaggi e superfici di governo.

Esse consentirebbero di evitare l‟uso dei liquidi anti-

ghiaccio (anti-icing e de-icing) e porterebbero ad evidenti

risparmi di costo, accorcerebbero i tempi operativi6 e

risolverebbero gravi provvedimenti di inquinamento della

falda acquifera7. Il fatto che i liquidi in contatto con tali

superfici scivolano via producendo un basso attrito ed una

bassa resistenza, suggeriscono altresì convenienti

applicazioni nella micro-fluidica, nella distribuzione di

fluidi in tubazioni e nella industria dei mezzi di trasporto

(scafi di imbarcazioni). La maggior parte di tali

applicazioni riguarda superfici solide, ma il sempre

maggior interesse ingegneristico nelle membrane flessibili

potrebbe portare al loro utilizzo da parte dell‟industria

tessile (abbigliamento idrorepellente) e nel settore delle

membrane filtranti. Inoltre, l‟idrorepellenza potrebbe

risultare utile anche in talune applicazioni biomediche

(sostituzione dei vasi sanguigni e cura delle ustioni e delle

lesioni della pelle). Infine, è probabile che applicazioni

inaspettate potranno emergere allorché la tecnologia per

produrre superfici idrorepellenti sarà matura: è un dato di

fatto che la natura fa uso di questa proprietà in tutti gli

ecosistemi conosciuti, dall‟orso polare agli uccelli

acquatici, dalle ali delle farfalle alle zampe degli insetti

che camminano sull‟acqua, fino alle ben note foglie della

pianta di loto. Le tecniche per produrre artificialmente

superfici super-idrofobiche possono essere divise in due

categorie: realizzare una superficie rugosa a partire da un

materiale a bassa energia superficiale (Figura 63.33)

(alogenati, silossani, materiali organici –polimeri– o

inorganici –ossidi metallici–) oppure modificare una

superficie rugosa, depositando un film di materiale a bassa

energia superficiale (Figura 63.34) (litografia, processi

sol-gel, assemblaggio di colloidi, deposizione

elettrochimica). Un altro metodo, molto semplice, consiste

nell‟ottenere un calco in PDMS (poli-dimetil-siloxano)

della superficie, dal quale viene poi ottenuta la replica in

positivo, sempre dello stesso materiale (Figura 63.35). In

ogni caso, il problema fondamentale, attualmente ancora

irrisolto, riguardo alle superfici super-idrofobiche risiede

6 Le operazioni di sghiacciamento di un velivolo passeggeri di medie dimensioni richiede 20-30 minuti. La frequenza di decollo dai grandi

aeroporti molto congestionati (JFK, Francoforte, CGD, Heathrow) è di 2

minuti: le implicazioni dell‟operazione sono facilmente immaginabili. 7 I fluidi anti-ghiaccio normalmente utilizzati (alcune centinaia di litri per

velivolo e per operazione di sghiacciamento) sono alcool e glicol-

etilenico: nonostante le precauzioni (obbligatorie), parte di essi finisce per percolare ed inquinare la falda acquifera.

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nella robustezza dell‟effetto, ovvero nella sua

persistenza durante l‟utilizzo operativo.

Figura 63.33 – Superfici idrofobiche ottenute a partire

da materiali a bassa energia superficiale.

Figura 63.34 – Superfici idrofobiche ottenute

depositando film nano-strutturati su superfici rugose.

Figura 63.35 – Con un calco in PDMS si ottiene una

replica in positivo della superficie idrofobicda del loto

Coleottero della Namibia (stenocara) – vivendo in un

ambiente molto arido, la sola fonte di acqua deriva

dalla umidità che si condensa sul suo esoscheletro (Figura

63.36). Questo presenta microscopici (diametro 100m)

domini idrofili, sui quali si nucleano piccole gocce

d‟acqua che, una volta raggiunta la dimensione critica,

vengono convogliate alla bocca dell‟insetto lungo canali

idrofobici. Questa capacità è stata riprodotta (superficie

idrofobica di PAH/PAA8 con particelle di silicio e domini

idrofili di PAA/propanolo), allo scopo di essere applicati,

per esempio, nei kit militari di sopravvivenza, come pure

nei micro-dispositivi medici impiantabili per il rilascio

controllato di medicinali.

Figura 63.36 – Coleottero della Namibia. La particolarità

del suo esoscheletro ha ispirato micro-dispositi impiantabili.

Zampe del geco – questa piccola lucertola è in grado di

muoversi speditamente sulle pareti verticali e sui soffitti,

benché le sue zampe non siano appiccicose, ma secche e

lisce al tatto. Esse devono la loro forte capacità adesiva ai

circa 2 miliardi per cm2 di filamenti con l‟estremità a

spatola distribuiti sui polpastrelli9, ciascun filamento del

diametro di circa 100 nm. Questi filamenti sono così

piccoli da interagire a livello molecolare con la superficie

sulla quale il geco cammina, interferendo con le deboli

forze di van der Waals dovute alle cariche positive e

negative delle molecole, le quali attirano l‟uno contro

l‟altro due oggetti adiacenti. Ma l‟adesione rappresenta

solo una parte della magia del geco. Per muoversi

8 PAH, poli-allilammina-idrocloruro; PAA, acido poli-acrilico. 9 I polpastrelli del geco sono ricoperti di minuscole increspature, le setae,

lunghe 30-130m; su ogni seta ci sono 400-1000 microscopici peli, le

spatulae, lunghi 0.2-05m; ci sono 5000 setae per mm2; ogni seta

esercita una forza di circa 200N; la superficie di una zampa è di

100mm2, perciò la forza adesiva totale è di circa 100N (10kg). Se la mano di un uomo fosse ricoperta di setae, avrebbe una forza adesiva di

circa 30.000N, pari a oltre 3000kg. L‟adesione dipende da forze di van

der Waals: per romperle, il geco deve piegare le dita (l‟angolo critico è di circa 30°).

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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 24 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

velocemente (e un geco può correre su di una

superficie verticale alla velocità di 1m/sec), le sue

zampe devono potersi anche scollare istantaneamente

e senza sforzo. Gli scienziati hanno scoperto che

l‟adesione del geco è fortemente direzionale: i suoi

polpastrelli si incollano solo quando vengono tirati

verso il basso e si rilasciano quando il verso della

sollecitazione viene invertito.

La forza di adesione minima si verifica su superfici

aventi una rugosità Rrms di 100-200nm, confrontabile

con le dimensioni medie di una spatula (Figura 63.37):

ciò dipende dall‟area di contatto cui ciascuna spatula

ha accesso. In pratica, la funzionalità dipende dalla

complessa struttura gerarchica micro- e nano-metrica.

In realtà, la capacità del geco di aderire a superfici

lisce è provocata dalla gravità: è la pendenza della

superficie che gli permettere di esplicare questa sua

peculiarità. Infatti è stato dimostrato che il sistema di

adesione viene attivato allorché la pendenza supera i

10°, indipendentemente dalla rugosità. Grazie al

segnale di controreazione fornito dalle setae e dalle

spatulae, il geco non attiva mai il suo sistema di

adesione su superfici orizzontali, anche se

estremamente scivolose. Di certo, ciò avviene per

evitare un rallentamento della corsa, che lo renderebbe

una più facile vittima dei suoi predatori. Non è invece

sicura l‟esistenza di altre limitazioni fisiche che

ridurrebbero l‟efficienza del sistema in assenza delle

componenti di forza gravitazionale dovute

all‟inclinazione.

Figura 63.37 – Zampa del geco e particolare delle

dimensioni delle spatule.

La completa comprensione del sistema di adesione e di

trazione del geco potrebbe avere interessanti

applicazioni nel campo dell‟esplorazione dei suoli

planetari e della robotica in generale. Per il momento,

sono state messe a punto strutture composte da micro-

fibrille esagonali di PVS (polivinilsiloxano), che

hanno mostrato un‟adesione più che doppia rispetto al

polimero. Inoltre, sono già stati sviluppati cerotti in

PGSA (poli-glicerol-sebacato-acrilato) che

riproducono la morfologia dei polpastrelli del geco

(filamenti di diametro 0.1-1m e lunghezza 0.8-3m)

e sono in grado di aderire anche su superfici umide.

Bisso dei mitili – il metodo più comune per

funzionalizzare una superficie, rendendola resistente

alla contaminazione superficiale (ad esempio per usi

endoprotesici, sensoristici e per tessuti anti-macchia)

consiste nell‟immobilizzare polimeri anti-contaminanti

(come poliacrilati e polietilenglicoli) sulla superficie

stessa. A questo fine, si possono attuare due strategie

(Figura 63.38): graft-to: vengono adsorbite sulla

superficie delle catene polimeriche pre-sintetizzate e

dotate di una terminazione di ancoraggio; graft-from:

viene fatto crescere in situ un polimero, a partire da un

gruppo funzionale iniziale adsorbito sulla superficie. In

entrambi i casi è necessario disporre di un robusto

meccanismo di immobilizzazione del polimero anti-

contaminante sulla superficie metallica, polimerica,

ceramica. A questo fine è conveniente mettere in atto un

approccio biomimetico, riproducendo le caratteristiche del

bio-adesivo prodotto da organismi notoriamente infestanti

e (ironia della sorte) contaminanti: i mitili. Svariati

organismi hanno adottato soluzioni eleganti per una

robusta adesione a superfici bagnate.

Figura 63.38 – Modificazioni delle catene polimeriche per

consentire l’adesione su superfici bagnate.

Sebbene la maggior parte degli adesivi sintetici non

offrano prestazioni accettabili sott‟acqua, le specie di

mitili di acqua dolce e di acqua salata mostrano la capacità

di aderire alle superfici grazie all‟azione di speciali

proteine. L‟apparato di adesione consiste in numerosi

legamenti proteici (filamenti di bisso) vincolati con

un‟estremità all‟organismo e con l‟altra estremità ad un

oggetto (scoglio, struttura portuale, scafo di imbarcazione)

per mezzo di un cuscinetto adesivo (Figura 63.39).

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Figura 63.39 – Apparato di adesione presente nel bisso

dei mitili.

Il bisso stesso è un tessuto acellulare secreto sotto

forma di un precursore liquido proteico che indurisce

rapidamente nel corso di un processo che –

reologicamente – è assimilabile allo stampaggio per

iniezione dei polimeri. I filamenti di bisso sono secreti

dalle ghiandole dei mitili in molteplici direzioni, in

modo da garantire la stabilità meccanica in presenza

delle forze di taglio indotte dal moto ondoso. Il cuore

del filamento di bisso è costituito da collagene e da

proteine simili alla seta, che gli conferiscono

eccezionali proprietà meccaniche di resistenza e di

resilienza. All‟estremità distale del filamento di bisso è

situato il cuscinetto adesivo che contiene la speciale

proteina adesiva dei mitili (mussel adhesive protein –

MAP), costituita da almeno cinque tipi di proteina di

base. Questo mix, in grado di esplicare proprietà

adesive e coesive rispetto ad ogni tipo di substrato

(metallo, vetro, plastica) anche in ambiente ad elevato

pH (come l‟acqua marina) è obiettivo, a oggi solo

parzialmente raggiunto, degli sforzi della biomimetica.

Velcro – si deve ad un ingegnere svizzero George De

Mestral (1907-1990) l‟invenzione di un sistema di

fissaggio che ha grande applicazione. L‟ispirazione

venne direttamente dalla natura: durante una

passeggiata in campagna, De Mestral nota che alcuni

cardi si sono attaccati al pelo del suo cane labrador

(Figura 63.40). Egli si accorge, esaminandoli al

microscopio, che sono composti da minuscoli uncini e

occhielli in grado di aprirsi e richiudersi all‟istante con

una semplice pressione (Figura 63.41).

Figura 63.40 – Minuscoli uncini e occhielli consentono al

cardo di attaccarsi alle superfici.

Figura 63.41 - Uncini e occhielli in grado di aprirsi e

richiudersi con una semplice pressione: il velcro.

Figura 63.42 – Il velcro si rivela un metodo di fissaggio

rapido, usato per le tute degli astronauti.

L‟ingegnere svizzero quindi sviluppa un nuovo sistema di

fissaggio, il cui nome commerciale deriva dalla fusione di

due parole, velours (velluto) e crochet (occhiello). Essa si

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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 26 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

dimostra un‟idea vincente, usata non solo nel campo

dell‟abbigliamento, ma anche come metodo di

fissaggio rapido non strutturale, per esempio le

chiusure delle tute degli astronauti della NASA

(Figura 63.42).

Pelle dello squalo – il derma è costituito da fibre di

collagene di tipo I orientate a circa -/+45° rispetto

all‟asse del pesce. Tali fibre, direttamente collegate ai

muscoli, funzionano da esotendine trasmettendo

forze/spostamenti alla/dalla coda. Inoltre la pressione

idrostatica sotto la pelle degli squali varia al variare

della velocità. Essa modifica gli sforzi superficiali, che

a loro volta modificano la rigidezza, la quale aumenta

di quasi 30 volte (da 7 a 200 kNm-2

) passando dal

nuoto lento al nuoto veloce. L‟epidermide è ricoperta

di denticoli, che sono migliaia di piccoli denti

(costituiti da dentina + smalto) inglobati nella pelle. La

rugosità dovuta ai denticoli crea microscopiche riblets

(Figura 63.43) disposte longitudinalmente, le quali

incanalano l‟acqua e danno luogo ad un flusso

laminare che riduce la resistenza di superficie. Le

riblets divergono in corrispondenza degli organi

sensoriali, in modo da eliminare il rumore dovuto alla

idrodinamica. Inoltre esse sono assenti sui bordi

d‟attacco e sui bordi d‟uscita delle pinne, per evitare il

distacco precoce dello strato limite e limitare le perdite

dovute ai vortici di bordo d‟uscita. I parametri che

influiscono sulle prestazioni delle riblets sono: profilo,

altezza e spaziatura. L‟adozione di costumi da bagno

progettati come la pelle degli squali ha consentito una

riduzione di resistenza del 4%. L‟adozione delle riblets

su alcuni Airbus A-300 della Lufthansa e della Cathay

Pacific ha consentito una riduzione di consumi

dell‟1%.

Figura 63.43 – Pelle dello squalo. Le riblets consentono

di ridurre la resistenza superficiale.

Felce d’acqua (salvinia molesta) – è ben nota per la

sua capacità di disperdere l‟acqua è può fornire

l‟ispirazione per ridurre la resistenza aerodinamica

degli scafi, e con essa i consumi. La soluzione fin qui

adottata è consistita nell‟utilizzare rivestimenti super-

idrofobici, che però hanno una limitata stabilità ed una

breve vita operativa. Viceversa, alcune piante

acquatiche sono caratterizzate da una complessa struttura

super-idrofobica, in grado di mantenere uno stabile film

d‟aria aderente alla superficie per parecchi mesi. La felce

d‟acqua sfrutta una complessa morfologia superficiale per

intrappolare l‟aria tra le sue foglie e l‟acqua. La superficie

di ciascuna foglia presenta una serie di peli con una

struttura “a piumino” (Figura 63.44). Tale piumino è

completamente ricoperto di cristalli di cera idrofobici.

Solo le cellule d‟estremità sono rivestite di un materiale

altamente idrofilo: tali zone formano una specie di

ombrello con l‟acqua trattenuta solo alle estremità dei peli

e con lo strato di aria intrappolata al di sotto di esso,

adiacente alle parti idrofobiche delle foglie: l’Effetto

Salvinia. La combinazione delle estremità idrofile con le

superfici super-idrofobiche consente di stabilizzare

l‟interfaccia aria-acqua. Se l‟interfaccia si rompe, deve

essere spesa dell‟energia per compere il contatto, come

pure è necessaria una spesa energetica per ricostituire

l‟interfaccia una volta che è stata rotta. I peli flessibili

permettono la deformazione dell‟interfaccia aria-acqua,

consentendo così alla pianta di non sprecare energia.

Quando lo strato di aria si muove, i peli si flettono in

risposta e l‟equilibrio viene rapidamente ricostituito prima

che l‟interfaccia si rompa, mantenendo il sistema stabile

nel tempo.

Figura 63.44 – Struttura “a piumino” sulla superficie della

felce d’acqua.

Zampe delle zanzare – le zanzare sono in grado di

camminare sull‟acqua grazie all‟anatomia ed alla

funzionalizzazione superficiale delle loro zampe. Queste

ultime sono divise in sette sezioni, ciascuna ricoperta da

un gran numero di scaglie a forma di goccia (larghe 15m

e lunghe 50m) (Figura 63.45). Sulla superficie di

ciascuna scaglia sono disposti dieci rilievi longitudinali

spessi 250nm e connessi trasversalmente da numerosi

diaframmi. Una tale microstruttura rende la superficie

idrofobica (l‟angolo di contatto con una goccia d‟acqua è

di 153°) e conferisce all‟insetto la capacità di sopportare

fino a 23 volte il proprio peso muovendosi sull‟acqua. Al

contrario, le zampe della mosca sono sfornite di scaglie

idrofobiche: l‟insetto è in grado di sopportare solo 3 volte

il proprio peso e non è in grado di camminare sull‟acqua.

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Infine, la zanzara è in grado di modificare l‟angolo e la

lunghezza di contatto con l‟acqua, onde ottimizzare il

galleggiamento, dovuto alla tensione superficiale.

Figura 63.45 – Scaglie a forma di goccia presenti sulle

zampe della zanzara.

Funzionalizzazione ottica – gli animali sembrano

possedere un‟antologia quasi completa di dispositivi

ottici: la pigmentazione, l‟iridescenza, la fluorescenza

non hanno una ragion d‟essere puramente estetica, ma

rispondono ad esigenze ben precise ed esistono grazie

ai cosiddetti colori strutturali, costituiti da materiali

trasparenti i quali, ironia della sorte, producono i più

fantasmagorici effetti ottici esistenti in natura e che

possono trovare applicazioni molto convenienti nella

moderna ingegneria. Poiché i tessuti animali non

contengono metalli solidi, l‟effetto metallizzato dei

colori strutturali viene ottenuto grazie alla differenza

tra indici di rifrazione, alla diffrazione ed

all‟interferenza piuttosto che ad elettroni liberi. Il

meccanismo più comune dei riflettori animali consiste

in uno stratificato di film sottili (di spessore non

superiore ad un quarto della lunghezza d‟onda della

luce), nel quale si alternano materiali a basso ed alto

indice di rifrazione (la differenza tra strati contigui può

essere di 0,2-0,5. I riflettori animali stratificati possono

essere a banda larga, incorporando strati di vario

spessore (dai film sottili per il blu a quelli spessi per il

rosso), i quali possono essere impilati ordinatamente o

casualmente (Figura 63.46). In taluni casi, i singoli

strati possono spostarsi entro l‟impilamento, dando

luogo a riflettori flessibili. Questo sistema viene

riprodotto artificialmente per essere usato negli

specchi, filtri, polarizzatori, dispositivi di sicurezza e

nelle vernici metallizzate delle nostre automobili. Gli

animali adottano un altro tipo di struttura con proprietà

riflettenti, costituite dai reticoli di diffrazione, che

consistono in microscopiche superfici corrugate, ove il

passo tra le corrugazioni è costante e pari alla

lunghezza d‟onda della luce. Tale tecnica, copiata dal

seed-shrimp (Figura 63.47) viene ora impiegata per

realizzare gli ologrammi delle carte di credito, dei

francobolli e delle banconote. Nel mondo animale si

trovano anche riflettori basati sul meccanismo dei cristalli

fotonici (per esempio in una specie di verme di mare

chiamata sea mouse [Figura 63.48]). I cristalli fotonici

sono reticoli tri-dimensionali ordinati con dimensione

caratteristica inferiore alla lunghezza d‟onda, che

controllano la propagazione della luce nelle stesso modo

in cui i cristalli atomici controllano gli elettroni: al

momento tale meccanismo trova applicazione nei laser e

nel processing dei segnali ottici.

Figura 63.46 – Differenza nell’indice di rifrazione

consentono di ottenere l’effetto metallizzato.

Figura 63.47 – La seed-shrimp viene utilizzata per creare gli

ologrammi di carte di credito, banconote, francobolli.

Figura 63.48 – Il sea mouse controlla la riflessione della luce

per mezzo di cristalli fotonici.

Per quanto riguarda la riflessione, la cosiddetta superficie

a occhio-di-mosca, (Figura 63.49) consistente in una

distribuzione esagonale ordinata di noduli di dimensione

inferiore alla lunghezza d‟onda (Figura 63.50) (che

introduce una transizione graduale dell‟indice di rifrazione

all‟interfaccia tra due mezzi e neutralizza così l‟effetto di

confine) viene utilizzata per le lastre di vetro anti-

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riflesso10

e per i rivestimenti dei pannelli solari, dove

aumenta del 10% l‟energia catturata.

Figura 63.49 – Superficie “a occhio di mosca”.

Figura 63.50 – Distribuzione esagonale ordinata di

noduli di dimensione inferiore alla lunghezza d’onda.

Al solito, l‟ostacolo principale sulla via

apparentemente spianata della biomimetica è la

produzione. Talvolta i meccanismi ottici degli animali

sono semplicemente troppo piccoli e troppo intricati da

riprodurre. D‟altra parte, gli animali contengono le

fabbriche più basilari; quelle che producono sulla base

dell‟auto-assemblaggio molecolare. Lo studio dei

genomi potrà in futuro consentire di risolvere anche

questo problema di ingegneria biologica.

Coleottero albino (cyphochilus) – è caratterizzato

dalla colorazione più bianca tra tutti gli organismi

viventi (saturazione cromatica del 6.2%, rispetto allo

10 I normali vetri da finestra riflettono (circa il 4% in direzione normale, che aumenta con l‟aumentare dell‟angolo) poiché, a livello

sub-micronico possiedono una superficie relativamente liscia e

quindi danno luogo ad una brusca variazione dell‟indice di rifrazione all‟interfaccia vetro-aria.

0% del “bianco puro”, secondo il criterio ISO 11475 per

la definizione del livello di bianco). Questa particolarità

dipende dal fatto che le scaglie costituenti l‟eso-scheletro

dell‟insetto sono realizzate da una struttura trabecolare di

filamenti di diametro 250nm. Confrontando le frange di

diffrazione della luce laser attraverso le scaglie (spessore

5m) con la trasformata di Fourier della micro-struttura

delle scaglie stesse si rileva un ottimo accordo: il colore

dipende quindi dall‟organizzazione dei filamenti. A ciò si

aggiunge una alta percentuale di vuoti (30%) che evita la

saturazione ottica, una struttura aperiodica ed un indice di

contrasto di 0.56. La riproduzione sintetica di questo

materiale potrebbe migliorare sensibilmente l‟emissività

dei “corpi bianchi” in alcune applicazioni spaziali.

63.7 Nanostrutturazione

materiali biologici spesso consistono in complessi

assemblaggi di macromolecole, che spesso circondano

le cellule di un organo sotto forma di matrice

extracellulare. I materiali biologici duri, come l‟osso, lo

smalto, i gusci delle conchiglie contengono oltre a

materiali organici morbidi, grandi frazioni di minerali

inorganici. È importante notare che essi possiedono

proprietà fisiche e meccaniche di gran lunga superiori a

quelle dei loro costituenti. L‟osso, per esempio, è un

composito tenace costituito da collagene, una

relativamente tenera proteina fibrosa, e da fosfato di

calcio, un minerale fragile. La forma e l‟organizzazione

interna dei componenti determina largamente la

funzionalità dei materiali biologici. Essi si accrescono

tramite l‟assemblaggio di elementi sempre più grandi,

sintetizzati ed organizzati da cellule viventi: la struttura

che ne risulta è generalmente gerarchica, e si estende

lungo diversi ordini di grandezza di dimensioni. Studi

recenti delle proprietà ultrastrutturali e meccaniche dei

materiali biologici mineralizzati hanno messo in luce

alcune caratteristiche strutturali comuni, le quali possono

aiutare ad interpretare anche la loro ben nota tolleranza al

danno. La natura raggiunge questo obiettivo attraverso il

preciso controllo della nucleazione dei cristalli anisotropi

e del loro processo di accrescimento. Ciò unitamente al

controllo su scala nano-metrica dell‟auto-assemblaggio

delle fasi organiche e inorganiche, che sono spazialmente

distinte e conferiscono la capacità di inibire efficacemente

la propagazione della cricca. Come la distribuzione

geometrica dei legami in una struttura gerarchica ne

controlli il comportamento meccanico è ancora un

problema irrisolto. Considerazioni teoriche hanno

dimostrato che l‟introduzione di un numero sufficiente di

livelli gerarchici in un materiale composito multi-scala

basato su componenti rigidi e cedevoli può aumentare la

tenacità e la tolleranza al danno quasi arbitrariamente. Per

ottenere un materiale efficiente con struttura gerarchica è

necessario unire elementi costitutivi (building blocks) di

diverse dimensioni. La natura eccelle particolarmente nel

creare interfacce di diverso tipo, tali da governare in un

campo molto vasto le proprietà globali del materiale. È

I

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possibile classificare le interfacce interne dei materiali

biologici in quattro categorie (Figura 63.51), secondo

la loro funzione meccanica:

- interfacce che migliorano la tenacità a frattura di

materiali intrinsecamente fragili, come ad esempio gli

strati di proteine che si trovano nello scheletro siliceo

di alcune spugne di mare (euplectella) (Figura 63.52),

nella madreperla (Figura 63.53a), nell‟osso. Le

strategie messe in atto dalla natura sono molteplici: a)

evitare la formazione di cricche controllando le

dimensioni delle particelle (< dimensione critica di

Griffith); b) facilitare deformazioni irreversibili; c)

ostacolare la propagazione di cricca (crack stoppers);

- interfacce che agiscono come collegamento tra

materiali caratterizzati da proprietà meccaniche molto

diverse, come ad esempio il bisso dei mitili che ne

collega il corpo morbido con un substrato roccioso, il

collegamento tra dentina e smalto dei denti, le

giunzioni tra ossa e legamenti e tra ossa e cartilagini.

Figura 63.51 – Le quattro classificazioni delle interfacce

interne dei materiali biologici.

Figura 63.52 – Strati di proteine nello scheletro siliceo

delle spugne di mare (euplectella).

Figura 63.53 – Strati di proteine nella madreperla (a);

modalità di collegamento dei mitili delle rocce (b); filamenti

di bisso nei mitili resistenti all’abrasione (c).

La strategia volta a mitigare queste incompatibilità si basa

sulla graduale variazione di proprietà attraverso

l‟interfaccia: a) nel becco della seppia di Humboldt ciò

avviene grazie alla variazione del contenuto di acqua; b)

nelle ossa attraverso il cambio di porosità tra osso

corticale e osso trabecolare; c) nella palma messicana

attraverso la variazione del diametro e dello spessore della

cellula. Una strategia alternativa si affida all‟ancoraggio di

fibre, come accade nell‟inserzione dei tendini e dei

legamenti nell‟osso.

Figura 63.54 – La struttura del dente è un esempio di

strategie miste.

La struttura del dente (Figura 63.54) e le modalità di

collegamento dei mitili alle rocce (Figura 63.53b) sono

esempi di sofisticate strategie miste, basate sia sul

gradiente delle proprietà che sull‟ancoraggio tramite

fibre11

.

11 I filamenti di bisso di alcune specie di mitili, che vivono in acque

particolarmente turbolente a causa del‟azione delle maree, sono protetti ulteriormente da un rivestimento resistente all‟abrasione (Figura 63.53c).

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- interfacce che consentono ai materiali di deformarsi

facilmente, come ad esempio le giunzioni del cranio o

del guscio delle tartarughe, le pareti delle cellule nel

legno, le tessere delle cartilagini mineralizzate dello

squalo, le piastre d‟armatura dello spinarello. La

strategia prevede l‟esistenza di un certo numero di

legami deboli (idrogeno o elettrostatici). Sotto carico,

questi legami sacrificali possono cedere (per poi

ricostituirsi in un secondo tempo) dissipando energia e

comportando una deformazione irreversibile (plastica). In

Figura 63.55 sono mostrati tre differenti sistemi: pareti

delle cellule del legno, tendini e osso, nei quali viene

messo in atto lo stesso principio (tipo Velcro), seppur

basato su differenti aspetti biochimici.

Figura 63.55 – Tre differenti sistemi di interfaccia che consentono ai materiali di deformarsi facilmente.

Una strategia diversa è quella che sta alla base della

deformabilità dei gusci delle tartarughe (e della

struttura del cranio).Le placche ossee sono collegate da

giunzioni di collagene: i bordi delle placche sono però

fortemente interdigitati (Figura 63.56), così da

consentire piccole deformazioni, ma da impedire

quelle grandi, le quali provocano invece un marcato

irrigidimento della struttura.

Figura 63.56 – Le placche ossee delle tartarughe sono

collegate da giunzioni di collagene.

- interfacce che consentono ai materiali di operare

come attuatori in conseguenza di stimoli esterni,

generando forze o movimenti, come ad esempio

accade alle pigne delle conifere, alle spighe dei cereali,

alle capsule dei semi ed alle radici degli alberi a causa

di una variazione di umidità. Il principio di

funzionamento è sempre basato sulla presenza di due

tipi di tessuti, che possono contrarsi o espandersi in

misura diversa a seconda del grado di idratazione o di

essicazione. Le scaglie di una pigna sono costituite da

un “laminato” fatto da diversi strati in cui fibre di

cellulosa orientate perpendicolarmente (Figura 63.57)

sono immerse in una matrice di emi-cellulosa

(igroscopica). L‟assorbimento di umidità provoca la

nascita di sforzi residui non auto-equilibrati, i quali

provocano la flessione (quindi l‟apertura/chiusura)

delle scaglie e il conseguente rilascio dei semi. Un simile

meccanismo di contrazione delle radici regolato dal grado

di assorbimento di umidità viene attuato dalla pianta del

trifoglio (Figura 63.58) per richiamare il fogliame verso il

terreno man mano che la pianta cresce.

Figura 63.57 – Scaglie di una pigna: le fibre di cellulosa

orientate sono immerse in una matrice igroscopica.

Figura 63.58 . La pianta di trifoglio contrae le radici per

avvicinare il fogliame al terreno durante la crescita.

Inoltre, le interfacce biologiche possono anche essere

progettate per cedere in una maniera controllata,

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consentendo per esempio l‟auto-affilatura degli aculei

del riccio di mare oppure l‟”esplosione” dei semi

contenuti in una capsula per migliorarne la

dispersione. Possono altresì formarsi interfacce

temporanee, in corrispondenza dei cuscinetti adesivi

degli insetti o delle zampe del geco. Infine possono

costituirsi connessioni esterne mediante un adesivo

secreto dall‟organismo, come il collegamento dei

mitili o dell‟edera a substrati rocciosi. La versatilità

delle interfacce interne sembra controllare le proprietà

dei materiali biologici assai più estesamente di quanto

si pensi. Ciò è particolarmente significativo poiché la

quantità di molecole dedicate alla produzione delle

interfacce costituisce una frazione relativamente

piccola della massa totale del materiale, cosicché

sostanze relativamente “costose” possono essere usate

nel progetto delle interfacce funzionali all‟interno dei

materiali compositi. Qui di seguito vengono illustrate

le caratteristiche salienti di due materiali

nanostrutturati:

Madreperla – combina un‟elevata resistenza e

tenacità con una relativa bassa densità. Questo set di

proprietà avvantaggerebbe qualsiasi materiale sintetico

in un gran numero di applicazioni. Il segreto delle

proprietà della madreperla risiede nella sua struttura

costituita da lamelle ceramiche (aragonite) inglobate in

una matrice polimerica cedevole (proteica) (Figura

63.59).

Figura 63.59 – La madreperla combina un’elevata

resistenza e tenacità con una bassa densità.

La matrice organica della madreperla, che costituisce

appena pochi per cento in peso del composito,

normalmente è presente sotto forma di una colla

apparentemente amorfa, ma che può essere filata in trefoli

(Figura 63.60), i quali ricongiungono i lembi delle fessure

che si creano allorché il materiale si rompe. La matrice

proteica è costituita anche da aminoacidi simili alla seta,

cosicché queste fibre sono rigide e resistenti come la seta

ed in grado di sopportare carichi rilevanti. Se la

madreperla viene essiccata e si impedisce che la matrice

proteica venga filata in tali fibre, più della metà della

tenacità del materiale viene persa: ciò dimostra che la

tenacità a frattura della madreperla dipende dall‟adesivo

polimerico. Le proprietà di questo adesivo sono state

investigate per mezzo del microscopio a forza atomica: le

fibre si allungano con un andamento a gradini e

conferiscono una tenacità “modulare” tipica di molti

adesivi e fibre naturali, compresa la seta degli aracnidi.

Figura 63.60 – La matrice organica della madreperla è una

colla amorfa che può essere filata per riparare le “rotture”.

La nano-strutturazione della madreperla è stata presa ad

esempio per produrre compositi ceramici tenaci: la

polvere ceramica viene mischiata con un polimero e

laminata in fogli spessi 0.20mm. Questi fogli vengono

rivestiti in maniera da acquisire la giusta resistenza

interfacciale, pressati assieme per ottenere la forma voluta

e poi cotti a 1000 °C senza pressione. Se la ceramica è SiC

ed il rivestimento grafite, il composito possiede

un‟energia di frattura (misurata con prove di flessione su 3

punti) dell‟ordine di 6kJ/m2, vale a dire due o tre volte

maggiore della madreperla. Questo materiale ha

comunque ancora dei problemi, essendo debole a trazione

e tenace solo in direzione perpendicolare agli strati.

Inoltre, la grafite tende a separare gli strati, cosicché il

materiale è anche debole alla fatica a taglio.

Ciononostante, il materiale è stato usato per realizzare il

prototipo del rivestimento interno di una camera di

combustione di una turbina a gas. La versione attuale

metallica è dotata di piccoli fori attraverso i quali viene

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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 32 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

soffiata l‟aria di raffreddamento, la quale però si può

combinare con il combustibile incombusto, dando

luogo a pitting localizzato. Un rivestimento di SiC

laminato ha mostrato un grandissimo miglioramento

della resistenza agli shock termici. La grafite

costituisce tuttora un problema, sebbene tenda a venir

pirolizzata a temperature elevate. È importante

consentire agli strati di muoversi l‟uno rispetto

all‟altro allorché le lamelle si riscaldano e si

raffreddano, perciò gli strati interlaminari devono

essere significativamente più cedevoli delle lamelle.

Per questo motivo, la grafite è stata sostituita con uno

strato dello stesso materiale delle lamelle, ma forato. I

fori vengono ottenuti mischiando granuli di amido alla

pasta ceramica, che viene bruciato quando il materiale

viene riscaldato. Gli strati separati possono

immagazzinare una carica elettrica, così come i

condensatori in un circuito elettrico. La capacità di

immagazzinare la carica dipende, tra l‟altro, dalla

distanza tra gli strati e dalla natura del materiale che li

separa. Se tali caratteristiche variano, come può

capitare allorché il materiale viene deformato, allora

anche la capacità cambia: essa può essere misurata ed

usata per monitorare in servizio i carichi e gli eventuali

danni in maniera non-invasiva (HUMS). Da ultimo va

sottolineato che la madreperla non è la sola ceramica

tenace esistente in natura: è solo quella che è stata

studiata di più. Sfruttando tale maggior conoscenza, è

stato possibile sintetizzare artificialmente un film

resistente e duttile a partire da piastrine di alumina

spesse 200nm ed una matrice polimerica chitosanica.

Partendo da una soluzione colloidale si ottiene uno

strato ordinato e sottile di piastrine ceramiche, che

viene ricoperto di uno strato di chitosano. Ripetendo il

processo si ottiene una struttura tipo mattoni-e-

cemento (Figura 63.61) spessa alcuni decimi di

micron, che costituisce un film resistente (300GPa) e

duttile (deformazione a rottura 20%).

Figura 63.61 – Piastrine ceramiche ricoperte di

chitosano: si ottiene la struttura tipo mattoni-e-cemento.

Le prestazioni del composito dipendono dalla

resistenza delle piastrine, dalla deformabilità del

polimero e dalla bontà della loro adesione. Utilizzando

piastrine cinque volte più resistenti di quelle della

madreperla naturale si è ottenuto un materiale dieci

volte più tenace: questo è un corretto esempio della

biomimetica: trarre ispirazione dalla natura e

migliorarne le prestazioni utilizzando i migliori

ritrovati della tecnologia e dell‟ingegneria umana. Un

metodo alternativo per ottenere la madreperla artificiale

consiste nell‟applicare la tecnica freeze casting ad una

soluzione colloidale di alumina e successivamente

infiltrare il materiale ottenuto con PMMA (poli-metil-

metacrilato) per ottenere uno scaffold ceramico lamellare.

Pressando tale struttura in direzione perpendicolare al

piano delle lamelle e successivamente sinterizzando, se ne

provoca il collasso dando luogo alla struttura mattoni-e-

cemento (Figura 63.62).

Figura 63.62 – La madreperla artificiale si può ottenere con

la tecnica freeze-casting.

Il materiale così ottenuto ha una tenacità 300 volte

superiore rispetto a quella dei materiali costituenti, con

una rigidezza e una resistenza pari a quelle delle leghe di

alluminio. Aumentando la percentuale volumetrica delle

lamelle ceramiche fino al 95% e riducendone lo spessore a

2-3nm, le prestazioni di questo composito nanostrutturato

potranno aumentare ulteriormente, superando quelle della

madreperla naturale.

Chitoni – sono un gruppo di molluschi erbivori marini,

che hanno la sorprendente capacità di erodere i substrati

rocciosi sui quali pascolano grazie all‟azione dei loro

denti radulari ultra-mineralizzati e resistenti all‟abrasione.

Attraverso le tecniche di analisi microscopica e

caratterizzazione nano-meccanica è possibile investigare

le proprietà meccaniche e l‟architettura del materiale, il

quale esibisce i più elevati valori di durezza e rigidezza tra

tutti i biominerali, tre volte maggiori dello smalto dentale

umano e dei gusci dei molluschi costituiti da carbonato di

calcio (Figura 63.63). La peculiare architettura multi-fase

di questo materiale contribuisce non solo alla sua

funzionalità, ma mette altresì in luce alcuni principi

generali di progetto che potrebbero essere adottati nella

fabbricazione dei compositi sintetetici.

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 63 - BIOMIMETICA

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l‟uso di questo materiale a scopo di lucro. E‟ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 33 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

Figura 63.63 – Proprietà meccaniche dei chitoni rispetto a materiali con composizione chimica simile.

Questo materiale mostra caratteristiche meccaniche

superiori a quelle esibite da molti materiali

ingegnerizzati aventi una composizione chimica

similare, come per esempio le ceramiche strutturali. I

sistemi biologici raggiungono questo obiettivo grazie

alla loro capacità di controllare dimensione,

morfologia, cristallinità, fase e orientazione del

materiale entro favorevoli condizioni di processo (vale

a dire pH quasi neutro, temperatura ambiente, etc.).

Essi sfruttano l‟interazione tra le fasi organiche ed

inorganiche, nonché le condizioni al contorno locali, le

quali consentono il controllo della cinetica di processo

durante la sintesi delle strutture inorganiche. In questi

sistemi biomineralizzati, i minerali e le macromolecole

organiche coesistono in stretta prossimità a dimensioni

nano-metriche. Le interazioni alle loro interfacce sono

essenziali per il funzionamento dei materiali strutturali

che si trovano in natura come i gusci, i denti e le ossa.

Sebbene i costituenti organici di questi materiali

compositi biologici siano presenti in relativamente

piccola quantità, essi alterano significativamente il

comportamento meccanico della struttura presa nel suo

complesso. Nei compositi organici-inorganici,

l‟esistenza della fase organica porta alla dissipazione

di una significativa quantità di energia all‟interfaccia

durante la sollecitazione, dando così luogo ad una

combinazione di proprietà che possono migliorare di

molto la resistenza all‟abrasione ed all‟usura della

struttura rispetto ai materiali monolitici di uguale

composizione chimica. Un esempio probante è offerto

dai denti iper-mineralizzati dei chitoni, i quali sono più

duri e rigidi di qualunque altro biominerale noto. I

chitoni sono un antico gruppo di molluschi, i cui primi

esemplari fossili sono vecchi di 500 milioni di anni.

Nonostante la loro lunga e biologicamente felice storia ed

alla loro importanza ecologica per gli ecosistemi costieri

rocciosi, essi costituiscono un gruppo relativamente

piccolo, costituito da 650 specie. I chitoni sono molluschi

appiattiti ed allungati (possono raggiungere i 33cm di

lunghezza), protetti dorsalmente da una corazza costituita

da 8 piastre parzialmente sovrapposte. L‟apparato di

locomozione è ampio e resistente, adatto ad ancorarsi

saldamente alle superfici dure sulle quali l‟animale

pascola per brucare le alghe. Come la maggior parte dei

molluschi, i chitoni sono dotati della radula, una struttura

simile ad un nastro trasportatore dotato di denti a raspa,

usato per cibarsi. La composizione e la morfologia dei

denti della radula variano da gruppo a gruppo e dipendono

in larga misura dalla dieta specifica e dalla natura dei

substrati sui quali essi si alimentano. La corona tricuspide

dei denti è costituita da un sistema mineralizzato multi-

componente che comprende sostanzialmente una parte

interna di fosfato amorfo di ferro, ricoperta da un

rivestimento di ossido di ferro, la magnetite (Figura

63.64). Le due fasi esibiscono diverse proprietà

meccaniche. La magnetite ha un modulo elastico di 90-

125 GPa e una durezza di 9-12 GPa; la parte interna

mostra invece una rigidezza di 25 GPa e una durezza di 2

GPa. La rigidezza del bordo d‟attacco è del 15% superiore

rispetto a quella del bordo d‟uscita: ciò conferisce una

capacità di auto-affilatura del dente. Gli studi di

meccanica della frattura sul rivestimento di magnetite

rivelano che le cricche che si propagano attraverso questo

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materiale generalmente viaggiano parallelamente

all‟asse longitudinale del dente.

Figura 63.64 – Composizione dei denti della radula nei

chitoni.

Al contrario, le cricche che si propagano attraverso la

parte interna del dente sono praticamente isotrope,

senza una direzione preferenziale. Inoltre, allorché

una cricca propagantesi attraversa il confine tra

l‟interno ed il rivestimento, si manifesta all‟interfaccia

una significativa deflessione della direzione di

propagazione a causa della ridistribuzione degli sforzi,

dovuta sia allo snervamento del sottile strato organico,

sia al cedimento all‟interfaccia tra fase organica/fase

inorganica (Figura 63.65).

Figura 63.65 – Propagazione delle cricche all’interno del

dente.

Quest‟ultimo meccanismo è più efficace nel proteggere il

materiale non criccato attraverso l‟interfaccia. Tale

strategia di deflessione della direzione di propagazione

della cricca si dimostra molto efficiente per mantenere

l‟integrità strutturale del dente e per prevenire cedimenti

catastrofici del materiale. Mentre la durezza e la rigidezza

del dente sono direttamente collegate alle intrinseche

proprietà meccaniche delle fasi minerali costituenti, la

tenacità a frattura si dimostra molto sensibile alle

condizioni della matrice organica: quando quest‟ultima

viene distrutta, la tenacità a frattura precipita, mentre la

durezza e la rigidezza rimangono praticamente inalterate,

con una riduzione di solo il 15% (Figura 63.66).

Figura 63.66 – Proprietà meccaniche di materiali ceramici naturali e sintetici.

Ciò illustra un aspetto importante: l‟integrità

strutturale può essere ottenuta solo in presenza della

matrice organica che facilità l‟organizzazione

anisotropa dei cristalliti di magnetite, li lega assieme in

una struttura composita e gioca un ruolo fondamentale

nello smussare l‟apice della cricca e nel defletterne la

direzione di propagazione all‟interfaccia.

I risultati di tale analisi possono essere trasferiti nei

campi della nano-tecnologia e della nano-

fabbricazione, sfruttando i meccanismi di controllo che

vengono messi in atto dalla natura per creare nuovi

materiali e dispositivi dotati di caratteristiche uniche.

Per esempio, il progetto a rigidezza differenziata del

dente e la sua sotto-struttura anisotropica costituisce

uno spunto progettuale utilizzabile nella fabbricazione

di materiali ultra-duri per le lavorazioni di precisione o

per componenti resistenti all‟abrasione. Inoltre, tale

strutturazione a rigidezza differenziata può essere

particolarmente utile per creare le condizioni di auto-

affilatura nelle condizioni in cui la posizione o la

situazione non permettano la regolare sostituzione o

affilatura dei taglienti degli utensili.

63.8 Strutture adattative

ran parte delle strutture biologiche adattative è

costituita da materiali che, nel loro comportamento,

sono assimilabili ai cristalli liquidi. Per questo essi sono

trattati nel seguito, assieme ad un esempio di utilizzo.

Cristalli liquidi – la loro somiglianza con la cuticola

degli insetti è nota da tempo, specie per quanto riguarda le

proprietà ottiche: infatti, nella cuticola degli insetti, le

strutture fibrose parallele ed elicoidali ruotano il piano di

polarizzazione della luce esattamente come fanno i

cristalli liquidi nematici e colesterici. La difficoltà in

questa comparazione risiede nel fatto che, mentre la

conformazione dei cristalli liquidi viene controllata a

livello molecolare, le orientazioni della cuticola degli

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insetti hanno una scala sub-micronica: una differenza

di almeno due ordini di grandezza. Ma l‟attrattività dei

cristalli liquidi si basa sulla loro capacità di auto-

assemblarsi da uno stato disordinato: essa rappresenta

un modo in cui l‟ordine, e di conseguenza la

morfologia, può essere generato in un sistema

puramente chimico. Poiché i tessuti viventi sono

costituiti da elementi chimici e la vita è il risultato

dell‟organizzarsi di tali elementi, esiste un grande

interesse verso qualsiasi meccanismo capace di

raggiungere tale ordine. I cristalli liquidi possono

altresì generare svariati tipi di ordine a partire da

molecole relativamente semplici e possono passare da

un tipo di ordine all‟altro in risposta alla variazione

delle condizioni esterne (per esempio alla variazione di

concentrazione salina). In talune circostanze tale

capacità di trasformazione rappresenta un vantaggio,

come per esempio nello sviluppo dell‟ovoteca dei

pescecani e nella produzione della seta. Ma, allo stesso

modo, esistono altri casi in cui la struttura finale deve

essere stabile, in modo da poter sopportare o generare

carichi. In tali circostanze, l‟ordine deve essere

bloccato all‟interno della struttura per mezzo di

processi che portino alla reticolazione dei componenti.

I cristalli liquidi soddisfano inoltre uno dei criteri dei

sistemi biologici: quello secondo cui tutto deve essere

fatto con il minimo dispendio energetico. Per esempio,

l‟energia richiesta per convertire un cristallo liquido

nematico in una configurazione elicoidale con un

passo di 1m è pari a 10-5

volte la quantità di energia

necessaria per indurre un ordine nematico in un

sistema inizialmente caotico. La creazione del sistema

nematico può essere resa ancor più energeticamente

efficiente orientando le molecole rispetto ad una

superficie piana. I sistemi auto-assemblativi per la

produzione di materiali biologici sono energeticamente

più efficienti di quelli che non si auto-assemblano (da

notare che l‟ordine non dipende solo dalla capacità

auto-assemblativa, ma può venir indotto dall‟esterno,

per esempio tramite l‟induzione di un flusso di

deformazione) e perciò necessitano di un controllo

enzimatico e dell‟idrolisi di legami fosfato, ad elevato

contenuto energetico. Ciononostante, le strutture a

cristalli liquidi dovrebbero essere ubique. Esse offrono

vantaggi a livello morfologico e energetico. Rimane il

problema di capire il meccanismo con cui tali strutture

vengono generate all‟interno dei sistemi biologici. Può

essere che le strutture a cristalli liquidi debbano essere

pensate a bassa energia in termini di “manutenzione”

strutturale piuttosto che di generazione, cosicché la

cellula guida una struttura verso una morfologia a

cristalli liquidi, ma la stabilità deriva dalle proprietà

intrinseche di tale morfologia. La morfologia dei

cristalli liquidi può essere modificata da variazioni di

concentrazione, pH o salinità. Poiché il grado di

impaccamento di un cristallo liquido comporta uno

stato ad alta densità e basso contenuto energetico,

un‟elevata pressione ed una bassa temperatura

promuovono una struttura cristallina più liquida. Le

proteine dell‟ovoteca12

della mantide sono organizzate

come un cristallo liquido elicoidale sopra pH 5 e come

una struttura isotropa al di sotto. Il collagene è un cristallo

liquido, come è ampiamente dimostrato dall‟ovoteca del

pescecane, che varia le proprie modalità di impaccamento

ed idratazione a seconda della concentrazione salina e del

tipo di sale. Esistono perciò svariati modi per influire sulle

modalità di impaccamento, le quali a loro volta possono

essere utilizzate per rilevare/trasdurre le condizioni

dell‟ambiente circostante, costituendo così il primo stadio

di un sensore, facilmente interrogabile in remote tramite

luce polarizzata. I cristalli liquidi sono suscettibili di

effetti di elongazione durante il flusso: ciò rende ragione

della struttura della maggior parte delle estrusioni naturali

come la seta degli artropodi e l‟ovoteca dei pesci. Una tale

orientazione molecolare dà inoltre luogo a rigidezze molto

elevate ed a grandi perfezioni strutturali, le quali

comportano a loro volta resistenze pure molto elevate.

Infine esiste un ulteriore aspetto interessante dei cristalli

liquidi: essi possono cambiare da una forma all‟altra (p.e.

nematica o colesterica), in maniera equivalente ad un

cambio di fase.

Ovoteca degli squali – costituisce un magnifico esempio

di grande e complessa struttura collagenosa prodotta e

conformata extra- cellularmente (Figura 63.67). Essa

consiste in un composito fibroso complesso a struttura

gerarchica. L‟ovoteca ha il compito di proteggere il

nascituro dalle sollecitazioni meccaniche e

microbiologiche, derivanti dalla vita marina, fino alla

schiusa. A questo fine, essa deve essere resistente e

tenace, ma – allo stesso tempo – sufficientemente

permeabile per consentire la diffusione dell‟ossigeno e

degli scarti azotati. Questo involucro consente a talune

specie di squali di deporre poche, grandi uova con un

tempo di schiusa di oltre cinque mesi e con una

probabilità molto alta che il nascituro sia sufficientemente

protetto per sopravvivere e fuoriuscire dall‟involucro

abbastanza grande e forte per cavarsela da sé. Il progetto

della capsula verrebbe immediatamente condivisa da un

costruttore di velivoli da combattimento o di vetture di

F.1: essa è costituita dalla sovrapposizione di strati di fibre

orientate unidirezionalmente, sovrapposti gli uni sugli altri

secondo una precisa e controllata sequenza di orientazioni:

0°, 90° e 45° rispetto all‟asse longitudinale dell‟involucro.

Le fibre sono costituite da collagene, l‟aliquota fibrosa del

quale costituisce poco meno della metà del peso secco

totale, mentre le altre frazioni proteiche servono per

incollare tra loro le molecole di collagene. Le orientazioni

delle fibre derivano dalla combinazione tra la direzione di

estrusione attraverso un complesso sistema di filiere

(Figura 63.68) e l‟intrinseca cristallinità liquida del

collagene.

12 L‟ovoteca è l‟involucro che circonda le uova fertilizzate di alcune specie di insetti e di pesci

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Figura 63.67 – L’ovoteca degli squali è una grande e

complessa struttura collagenosa.

Figura 63.68 – Particolare della complessa struttura

dell’ovoteca.

63.9 Cosa la natura non ha inventato

a biomimetica è un‟applicazione della

biomeccanica che spesso si è basata su di una

mitologia (a partire da Aristotele, 2500 anni fa) che

proclama l‟assoluta superiorità dei metodi naturali e

secondo la quale la natura indica la giusta direzione ed

ottiene il massimo risultato con la minima spesa di

risorse: tutto quello che l‟uomo può pensare è già stato

inventato dalla natura. In realtà, l‟ingegno umano ha

sviluppato molte cose che la natura non ha mai

inventato. La natura non ha mai inventato la ruota. In

realtà esiste un singolo caso (flagelli dei batteri)

(Figura 63.69) di organo di locomozione rotante13

:

resta comunque il fatto che la ruota è una soluzione

assai poco adottata nei sistemi viventi, si pensa per la

difficoltà di apportare nutrienti, consentire il controllo

nervoso e garantire la tenuta tra organi in rotazione

reciproca. D‟altra parte, le ruote facilitano la

locomozione solo su terreni ragionevolmente duri e

privi di ostacoli: superare un‟asperità richiede molta

13 In realtà, in natura esistono anche esempi di collegamenti rotanti

più complessi: per esempio, in tutte le specie di coleotteri, la giunzione delle zampe alla struttura scheletrica non è costituita da

una semplice cerniera, bensì da un vero e proprio collegamento vite-

madrevite (Figura 63.70). Ciò conferisce a questa classe di insetti una biomeccanica adatta sia alla corsa che all‟arrampicata.

potenza, ed un‟asperità di altezza superiore al raggio della

ruota costituisce un impedimento assoluto,

indipendentemente dalla potenza.

Figura 63.69 – Unico caso noto di organo di locomozione

rotante (flagelli dei batteri).

Figura 63.70 – La giunzione zampe-scheletro in alcune

specie di coleotteri è un collegamento vite-madrevite.

Gli organismi viventi non si possono costruire strade lisce

e confortevoli, ma devono superare gli ostacoli che il

terreno naturale presenta loro14

: inoltre, più un organismo

è piccolo, più il terreno si presenta accidentato. In ogni

caso, locomozione a parte, in natura non esistono esempi

riconducibili agli organi rotanti tipici di molte tecnologie

(ingranaggi, pulegge, turbine, dischi): si potrebbe trattare

del fenomeno che gli storici dell‟economia chiamano

“lock-in”, dove una tecnologia inferiore si accaparra una

nicchia funzionale e impedisce la proliferazione di una

tecnologia superiore.

14 Non a caso, i progetti più moderni dei rover per esplorazione dei suoli

planetari (veicoli che non possono usufruire di strade) implementano tecniche di locomozione zoomorfa (per mezzo di zampe), anziché per

mezzo di ruote. Anche i futuri mezzi di atterraggio “morbido” sul suolo

planetario si rifaranno a concetti biomimetici (erba mobile) (Figura 63.71).

L

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Figura 63.71 – Erba mobile cui si ispirano i sistemi per

l’atterraggio “morbido” sul suolo planetario.

Ma altre cose sono state sviluppate dall‟uomo e non

dalla natura. I metalli: qualsiasi organismo vivente è in

grado di sintetizzare composti contenenti metalli (p.e.

l‟emoglobina nel sangue), cionondimeno, non si

conosce alcun organismo che utilizzi parti metalliche

per svolgere funzioni meccaniche. Al posto dei

metalli, la natura utilizza compositi: ma i compositi

sono fragili, non possiedono il comportamento prima

elastico e poi duttile dei metalli; con i compositi è

necessario realizzare contemporaneamente il materiale

e la struttura. I cavi: l‟uomo ha imparato da tempo

come realizzare corde di lunghezza teoricamente

infinita a partire da fibre corte: queste si riuniscono in

mazzi e poi si ritorcono: più serrata è la ritorcitura, più

forte l‟attrito che solidarizza le fibre e maggiore è la

resistenza della corda. La natura produce innumerevoli

tipi di filamenti (le catene proteiche, il collagene, le

fibre vegetali, la seta del ragno, i tendini animali), ma

non ha mai imparato a riunirli in trefoli. I tessuti:

probabilmente l‟uomo ha acquisito la capacità di

creare i tessuti per gli indumenti dopo aver imparato

ad intrecciare canestri e reti da pesca. Involucri

costituiti da fibre incrociate abbondano in natura, ogni

qual volta occorre realizzare serbatoi pressurizzati,

quali il gambo delle piante, il rivestimento dei vermi, il

mantello dei calamari, l‟eso-tendine degli squali, il

pene dei mammiferi, etc. Così pure sono comuni reti

per catturare la preda, sia nell‟aria (ragnatele) che

nell‟acqua (larve degli insetti acquativi). Ma tutti

questi dispositivi non sono veri tessuti, i filamenti sono

infatti solo incrociati ed (eventualmente) incollati con

colle proteiche: i tessuti “veri”, costituiti dalla trama e

dall‟ordito intrecciati, resistenti, flessibili, drappabili

sono un‟invenzione umana. I natanti di superficie:

l‟uomo ha imparato a costruire imbarcazioni a

dislocamento, mentre gli altri organismi viventi

nuotano preferibilmente sotto il pelo dell‟acqua,

essendo il nuoto superficiale più lento ed

energeticamente più dispendioso. I palloni e i

dirigibili: nonostante la natura abbia sviluppato sacche

membranose (polmoni, vesciche natatorie, etc.), non

ha mai evoluto l‟uso di dispositivi più leggeri dell‟aria,

ad esempio per rendere facile ed estensiva

l‟impollinazione, nonostante un gas leggero come

l‟idrogeno sia un prodotto primario della fotosintesi

clorofilliana. Il paracadute: nonostante la natura

produca gli ingredienti necessari per produrre

membrane sottili (collagene, cellulosa), nessun essere

vivente mette in atto pienamente questo metodo per

perdere quota in maniera sicura e controllata. I motori ad

espansione termica: la natura non ha sviluppato metodi di

propulsione che estraggano energia da una differenza di

temperature, anche senza ricorrere alla combustione. I

motori naturali rimangono solo quelli ad energia chimica

(muscoli) e non possono competere in termini di rapporto

potenza/peso con quelli sviluppati dall‟uomo. Il volano,

nel quale la rotazione persistente di una massa consente di

immagazzinare efficientemente energia cinetica, è un

concetto sconosciuto in natura, la quale sa immagazzinare

l‟energia solo in forma gravitazionale ed elastica. Perché

la natura non ha sviluppato questi (e molti altri) brillanti

dispositivi? In alcuni casi ciò è dipeso da questioni

dimensionali: un natante a dislocamento produce onde che

si muovono assieme ad esso, di lunghezza d‟onda tanto

maggiore quanto maggiore è la velocità. Se tale lunghezza

d‟onda diventa superiore alla sua lunghezza, esso sarà

costretto a compiere maggior lavoro per risalire e

ridiscendere l‟onda: in termini economici, a dimensioni

piccole deve corrispondere bassa velocità. Per un uccello

acquatico che nuotasse in superficie, ciò comporterebbe

velocità insufficienti per raggiungere la preda e sfuggire ai

predatori. In altri casi, come ad esempio per le corde, la

natura è già in grado di realizzare ciò che serve per

l‟impiego specifico (filamenti di lunghezza opportuna

secreti dai ragni o dai bachi da seta) senza dover

sviluppare tecnologie per produrre semilavorati di

impiego generale, come corde, mattoni, lamiere e travi.

Infine, in altre circostanze, l‟inadeguatezza della natura

consegue da altre inadeguatezze: la realizzazione di un

motore termico richiede la disponibilità di materiali

resistenti alle alte temperature: per un salto termico di

1000-100 °C il rendimento è del 71%, se il salto è di 40-0

C° (massimo possibile per un organismo vivente) scende

sotto il 13%, mentre per realizzare un motore elettrico

servirebbero conduttori “biologici” (ovvero tubi di

soluzione salina altamente conduttiva) aventi un diametro

107 volte superiore rispetto ad un comune filo di rame. In

realtà, l‟apparente inefficienza della natura dipende dal

carattere estremamente conservativo e sovra-vincolato del

suo approccio progettuale, al cui confronto gli ingegneri

appaiono degli spiriti liberi, visionari ed immaginifici.

Entro il dominio della natura, la tradizione opprime con

mano pesante: qualsiasi variazione che non sia leggera e

progressiva è praticamente impossibile. Inoltre il criterio

dell‟utilità si applica nel modo più rigido possibile: il

profitto (che in natura si traduce nel successo riproduttivo)

deve essere immediato e non riscuotibile dalle generazioni

future. L‟assenza dei metalli e della ruota potrebbero

riflettere tale limitata prospettiva dell‟innovazione. Forse

il velivolo più leggero dell‟aria non esiste in natura perché

solo la sua versione più evoluta avrebbe raggiunto la

soglia accettabile di portanza. Per la natura non è possibile

adattare, copiare, sfruttare un brevetto: è possibile solo

modificare ciò che proviene dalle epoche precedenti. C‟è

chi sostiene che la natura non detiene, né dovrebbe essere

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ritenuta detentrice di alcuna superiorità naturale, che

non fornisce alcun esempio o supporto agli ingegneri e

che la nostra tecnologia sviluppa ogni genere di

invenzioni con poche o punte analogie naturali, anche

quelle che riteniamo potrebbero essere assolutamente

utili ad altri organismi. Anche gli stessi esseri umani

primitivi fecero delle scoperte senza il conforto di

modelli naturali: la metallurgia, la tecnologia dei

mattoni e dei vasi, l‟arte della tessitura e così via. Noi

non dovremmo ritenere i nostri ponti sospesi meno

efficienti delle piante rampicanti, i conduttori elettrici

degli assoni, le turbine dei muscoli, le eliche marine

delle pinne dei pesci. In realtà noi non dovremmo

nemmeno ignorare che gli organismi si sono evoluti.

Noi ingegneri abbiamo molto da imparare

semplicemente perché la natura, per qualsiasi ragione a

noi sconosciuta, ha fatto le cose in maniera differente.

Anche se la sua superiorità fosse un mito, una così

sconfinata varietà di tecnologie e di soluzioni deve

essere una miniera d‟oro di stimoli e anche di

ispirazione. Perciò cosa importa se i suoi sorprendenti

esiti nel campo dei materiali compositi multifunzionali

è conseguenza della sua ignoranza nel campo della

metallurgia? Le ossa, i denti, il legno e l‟eso-scheletro

degli insetti ci aiutano a comprendere come il

comportamento meccanico dipenda dalla

composizione chimica e dalla struttura sopra-

molecolare. Il fatto che gli uccelli, gli insetti ed i

pipistrelli volino dimostra (come nessuna analisi

teorica avrebbe potuto dimostrare) che il volo attivo è

possibile. Chiederci come la natura possa risolvere

così bene i suoi problemi di biomeccanica pur non

disponendo di gran parte dei dispositivi inventati

dall‟uomo può solo aumentare il nostro livello di

conoscenza.

63.10 Conclusione

siste una dualità tra ingegneria e natura, basata

sulla minimizzazione dell‟uso dell‟energia. Ciò

deriva dal fatto che animali e piante, per poter

sopravvivere in un ambiente competitivo, hanno

dovuto sviluppare modi di vita e di riproduzione che

usano le minori risorse possibili. Questo comporta

un‟elevata efficienza sia nel metabolismo che nella

distribuzione dell‟energia tra le diverse funzioni vitali.

Una situazione simile deve essere affrontata

dall‟ingegneria, laddove il costo rappresenta di solito il

parametro più significativo. Sembra perciò ragionevole

che le idee provenienti dalla natura, opportunamente

interpretate ed implementate, possano migliorare

l‟efficienza energetica dell‟ingegneria umana a molti

livelli. Tale trasferimento di tecnologia, denominato

biomimesi, non deve però essere considerato come una

panacea per i problemi ingegneristici, bensì come un

campionario di spunti e suggerimenti. Ad esempio, in

natura, la forma costa meno del materiale. Ciò si

manifesta in numerose circostanze e viene dimostrato

dalle eccellenti proprietà, sia specifiche che assolute, dei

materiali biologici (il legno è uno dei materiali più

efficienti, l‟osso di cui sono costituite le corna animali è

più tenace di qualsiasi composito ceramico creato

dall‟uomo), proprietà che non derivano dall‟uso di

componenti ad elevate prestazioni, ma dal livello di

accuratezza ed efficienza nel loro progetto e costruzione.

Ciò deriva non solo dal fatto che gli animali e le piante

devono lavorare duro per ricavare le materie prime

(zuccheri, sali, aminoacidi) dall‟ambiente in cui vivono,

ma piuttosto che la loro capacità di controllo durante le

fasi di assemblaggio e conformazione di questi materiali è

molto più perfezionata della nostra. Una parte essenziale

di questo controllo risiede nel meccanismo di contro-

reazione cellulare che dirige l‟accrescimento del materiale

ove esso è più necessario, dando così luogo alle strutture

adattative. La forma di un albero dipende dalla storia delle

forze che hanno agito su di esso durante l‟accrescimento.

Questi stessi meccanismi di sensorizzazione, cui si

aggiungono i più efficaci sistemi di attuazione che si

trovano negli animali, portano a strutture la cui leggerezza

ed apparente fragilità sono rese robuste dalla capacità di

adattare rapidamente la forma e la struttura al mutare delle

condizioni al contorno. Tale adattività non solo riduce il

fabbisogno di energia durante la costruzione della

struttura, ma consente ad essa di adattarsi durante l‟intera

sua vita al variare dei carichi e delle circostanze, molte

delle quali possono essere imprevedibili. L‟adattività

viene spesso identificata con il comportamento

intelligente, proprio delle smart structures.

Le tecnologie naturali comportano la miniaturizzazione e

l‟integrazione. La sensorizzazione si manifesta

necessariamente al livello molecolare. La sensibilità può

essere molto elevata: il sensillum campaniforme degli

insetti, per esempio, può rilevare spostamenti nanometrici.

Il sensillum è integrato nel materiale composito fibroso

che costituisce l‟esoscheletro degli insetti in modo tale da

poter trasmettere gli spostamenti alla cellula-sensore senza

compromettere la continuità meccanica dell‟esoscheletro.

Questo sistema suggerisce un modello per i sensori di

deformazione inglobati nel rivestimento in materiale

composito dei velivoli moderni, i quali costituiscono la

base degli HUMS (health and usage monitoring systems)

oppure dei sistemi intelligenti di controllo e contro-

reazione. Il mondo scientifico aeronautico sta altresì

lavorando ad un profilo aerodinamico riconfigurabile, il

cui materiale costituente si ispira alle funzionalità della

pelle dell‟oloturia (cetriolo di mare). La pelle è costituita

da un materiale composito fibroso (collagene in una

matrice di muco-poli-saccaride) che può cambiare la

propria rigidezza. Così essa può rammollirsi, cambiare

forma e poi irrigidirsi nuovamente. Il sistema di

attuazione di un profilo alare potrebbe essere basato anche

sul principio di locomozione dei bruchi. Questo consiste

in un gel contenuto all‟interno di un contenitore

deformabile ingegnerizzato, rinforzato da fibre

opportunamente orientate. Il gel può venir stimolato

chimicamente (o elettricamente o termicamente), può

E

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 63 - BIOMIMETICA

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l‟uso di questo materiale a scopo di lucro. E‟ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

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variare il proprio volume a causa dell‟assorbimento di

un solvente e può cambiare la propria forma in

funzione della geometria del contenitore, generando in

tal modo forze molto rilevanti. La smart structure

“definitiva” dovrebbe potersi progettare da sé:

individuare le zone sovrasollecitate e aggiungere

materiale fino a che lo sforzo (o la deformazione)

scenda sotto ad un limite prescritto. Al momento

esistono le tecnologie per individuare il sovraccarico,

ma mancano quelle necessarie per aggiungere

materiale automaticamente. I materiali self-healing,

nei quali una frattura viene riparata dal rilascio di

resina contenuta in capsule inglobate nella matrice,

rappresentano un primo passo in questa direzione.

L‟ideale sarebbe poter aggiungere materiale da una

fonte esterna, in modo che l‟efficienza ponderale della

struttura non venga compromessa dal doversi portare

appresso la propria salvezza. La combinazione della

pre-sollecitazione adattativa con la capacità di

rimuovere materiale dalle aree sotto-sollecitate

darebbe luogo ad una struttura veramente adattativa.

Questa sarebbe più leggera e più sicura, in quanto non

si verificherebbero mai concentrazioni di sforzo; il

fattore di sicurezza potrebbe essere ridotto allorché la

struttura raggiungesse il suo optimum progettuale,

indicato dalla riduzione della velocità di

riorganizzazione interna: il paradigma di tutto ciò è il

nostro scheletro.

Tutte le strutture devono sopportare delle forze con il

minimo dispendio di energia. Il modo più efficiente

per fare ciò è organizzare gli elementi resistenti in

triangoli, in archi a tre cerniere. Immaginando che le

tre cerniere siano il centro di circonferenze tanto

grandi da essere tangenti15

e che tali circonferenze

vengano premute le une contro le altre in maniera

isotropa nel piano: le curve si appiattiscono a partire

dai punti di contatto fino a trasformare la circonferenze

in esagoni regolari. Questa organizzazione è

onnipresente in natura ogniqualvolta debba essere

sopportato un sistema di forze isotrope nel piano: la

struttura dei nidi d‟ape (Figura 63.72), la terra inaridita

che si spacca a causa della contrazione (Figura 63.73),

gli occhi e le ali degli insetti, la pelle degli ananas e

delle giraffe (Figura 63.74), la sezione dei cristalli

metallici e perfino delle banane. La tecnologia ha

tratto insegnamento da ciò, facendo largo uso delle

strutture sandwich con riempitivo a nido d‟ape. Ma la

struttura esagonale è adatta a sopportare anche stati di

sollecitazione tri-dimensionali, e allora il piano si

trasforma in una sfera, come nel caso dello scheletro

della radiolaria (Figura 63.75), un micro-organismo

marino.

15 Questa modulo a triangoli e circonferenze può essere ripetuto all‟infinito a costituire strutture piane e spaziali.

Figura 63.72 – Topologia atta a sopportare forze con il

minimo dispendio d’energia: i nidi d’ape.

Figura 63.73 – Topologia atta sopportare forze con il

minimo dispendio d’energia: le fessure nei terreni inariditi.

Figura 63.74 – Topologie atte a sopportare forze con il

minimo dispendio d’energia: la pelle delle giraffe.

Figura 63.75 – La struttura scheletrica della radiolaria è in

grado di sopportare stati di sollecitazione tridimensionali.

Nello spazio, le circonferenze tangenti che costituiscono il

modulo di base si trasformano in sfere; ciascuna sfera è

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circondata da 12 altre: perciò, se vengono premute le

une contro le altre (per esempio a causa della pressione

del gas contenuto), esse si trasformano in poliedri a 12

facce esagonali (in realtà, a causa della viscosità, della

tensione superficiale e delle condizioni al contorno, i

poliedri possono avere 12, 13 o 14 facce esagonali,

pentagonali o quadrate). In assenza di forze esterne, le

dimensioni dei poliedri sono tendenzialmente

omogenee; nel caso di gradienti di sforzo, le celle

poliedriche tendono ad assumere una forma allungata,

come nel caso delle ossa e del legno. Anche in questo

caso, la tecnologia ha mutuato il principio dell‟assieme

di celle poliedriche per realizzare materiali resistenti e

leggeri: le schiume. Da tutte queste considerazioni

possono essere individuate le più promettenti

caratteristiche delle strutture biologiche che sono o che

potranno essere implementate nelle future

realizzazioni ingegneristiche:

nanostrutturazione

multifunzionalità

funzionalizzazione superficiale

strutturazione ad alta efficienza

strutturazione gossamer e deployable

sensorizzazione e retroazione

ottimizzazione

mimesi di particolari prestazioni aerodinamiche

locomozione autonoma

tecniche produttive just-in-time

Infine, vale la pena di notare che, quando la natura fa

qualcosa che anche noi facciamo (p.e. le strutture

tubolari, i profili portanti, etc.) sorge il sospetto di una

sua intrinseca superiorità tecnologica. Viceversa,

quando essa prende strade differenti (p.e. gli eso-

tendini, gli idro-scheletri, etc.) nasce il dubbio

dell‟esistenza di mondi multipli, non ancora esplorati

da alcuna tecnologia, ma che è legittimo ritenere

governati da un‟Intelligenza Superiore.

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