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7/25/2019 Capitolo.1 Archi e Volte
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7
C APITOLO 1
ARCHI E VOLTEIn questo capitolo tratteremo di archi e volte in generale. Il primo paragrafo sarà
dedicato alla geometria ed alle modalità costruttive di alcuni tipi fondamentali di volte.
Nel secondo paragrafo verrà tracciato l’ideale percorso evolutivo delle teorie statiche
fino all’avvento della teoria dell’elasticità. Infine, l’argomento degli ultimi due paragrafi
riguarda le cause di dissesto e lo studio delle usuali tecniche di intervento presenti in
letteratura.
1.1 GEOMETRIA E MODALITÀ COSTRUTTIVE DI ALCUNI TIPI DI VOLTE IN
MURATURA
1.1.1 LA VOLTA A BOTTE
La forma più antica di volta, dalla quale derivano quasi tutte le altre, è del tipo a
botte. Essa compare già in epoca remota in Assiria ed Egitto.
Geometricamente la volta a botte è un cilindro. La più semplice volta di questo tipo
può considerarsi generata da un semicerchio come curva direttrice, la quale, posta in un
piano verticale, si muova parallelamente a sé stessa su due linee di guida orizzontali e parallele, in modo che la sua proiezione sia una retta perpendicolare alle due linee di
guida. L’intradosso e l’estradosso risultano formati da due superfici cilindriche circolari,
le linee di imposta e quella di chiave risultano orizzontali e parallele all’asse, ogni
sezione normale all’asse è un semicerchio di raggio costante e la saetta è uguale alla
corda.
Come curva direttrice, al posto di un semicerchio, può essere assunta una curva
qualunque per ottenere numerosi varianti tra cui la volta a botte ellittica e la volta
gotica. Assumendo una curva ribassata come generatrice si ottiene la volta ribassata che
viene detta volta a cappa o volta prussiana quando la saetta è piccola.
La volta a botte rampante simmetrica è caratterizzata dal fatto che le linee di guida
della curva generatrice possono anche essere inclinate. Le volte a botte rampanti
dissimmetriche sono costituite dalle volte zoppe e dalle volte a collo d’oca. Le prime
hanno i piani di imposta a differente livello e ammettono per una porzione un piano
verticale di simmetria, presentando una superficie piana per la rimanente porzione
dell’intradosso (fig. 1.1a); le seconde presentano i piani d’imposta a differente livello e
possono avere una porzione dell’intradosso simmetrica rispetto ad un piano passante per
una generatrice. La direttrice di intradosso può essere una curva a due centri oppure una
curva ellittica o una curva generica (fig. 1.1b).
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Fi. 1.1a-b: volte zoppe; volta a collo d’oca (Lorenzo 1992).
Le volte a botte oblique possono considerarsi generate da una curva direttrice (arcocircolare, ellittico, policentrico, …) e da una retta generatrice orizzontale inclinata
rispetto al piano della direttrice.
Fig. 1.2: proiezione ortogonale di una volta a botte semplice.
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“Si definisce apparecchio la maniera più opportuna e conveniente di
suddividere la volta nei singoli elementi e conci che la costituiscono, maniera
che riguarda sia la forma che la posizione di tali conci”1.
Una volta a getto, che può considerarsi monolitica, non origina alcuna questione di
apparecchio dato che per reggersi ha bisogno degli appoggi laterali capaci di sostenerne
il peso. Le altre volte (in pietra da taglio, in laterizio ed in pietrame) non possono
reggersi se non per le particolari forme e conseguenti disposizioni delle singole parti o
cunei di cui sono formate. Di qui la necessità dell’apparecchio, ossia della divisione
delle volte in parti cuneiformi che si sostengono per reciproco contrasto.
I materiali più comunemente impiegati nella costruzione delle volte sono le pietre
quindi la condizione a cui deve rispondere la loro forma e la loro disposizione sono
analoghe a quelle che regolano l’apparecchio delle murature e sono le seguenti:- “le superfici dei letti, ossia le facce secondo cui i due cunei consecutivi si
applicano l’uno contro l’altro, devono concorrere ad un determinato punto
e, in generale, per le volte ad intradosso curvo, devono essere normali
all’intradosso della volta;
- due sistemi di commessure che intersecano la superficie dell’intradosso
devono incontrarsi ad angolo retto;
- i cunei devono essere in numero dispari e collocati simmetricamente da
ciascun lato rispetto al vertice della volta;
- la divisione della volta in cunei deve sempre essere fatta a seconda della
curvatura dell’intradosso ed i giunti devono essere porzioni di superfici
sviluppabili, formate da una serie di normali a tali superfici”2.
I modi con cui le volte a botte in laterizio possono essere realizzate sono:
- ad apparecchio longitudinale (fig. 1.4);
- ad apparecchio trasversale o normale (fig. 1.7);
- ad apparecchio diagonale (fig. 1.10);
- ad apparecchio a spinapesce dritta (fig. 1.12);
-
ad apparecchio a spinapesce inversa (fig. 1.12).
L’apparecchio longitudinale consiste nel disporre i mattoni in filari longitudinali, con
le loro facce maggiori parallele ai muri di piedritto (fig. 1.3).
1 F. Chiaromonte, “ Elementi di costruzione edilizia”; E.P.S.A., Napoli 1942.
2 A. Lenti, “Corso pratico di costruzioni”; Chiari, Alessandria 1884.
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Fig. 1.3: pianta di una volta ad apparecchio longitudinale.
Fig. 1.4: vista assonometrica di una volta a botte ad apparecchio longitudinale.
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Utilizzando tale apparecchio, i piani dei giunti si estendono a tutta la sezione della
volta e risultano normali all’elemento d’arco corrispondente. Gli spigoli superiori ed
inferiori dei giunti stessi sono poi paralleli all’asse della volta e formano col loro
inviluppo le superfici cilindriche d’estradosso e d’intradosso.
La direzione dei giunti si determina mediante una sagoma di legno limitata da un
tratto della curva d’intradosso e da una normale a questa (fig. 1.5).
Fig. 1.5.
Nelle volte policentriche devono evidentemente essere usate tante sagome quanti
sono gli archi che la compongono.
Nel caso di volte circolari il modo migliore e più sicuro consiste nel fissare al centro
dell’arco una funicella e tenerla per avere in ciascun punto la direzione del giunto.
Quanto al modo di collegare i mattoni, sono da tener presenti le regole valide per i
muri. I giunti devono estendersi a tutto lo spessore dell’arco, essere concorrenti sul
fronte e paralleli all’asse all’estradosso, ma i giunti di due corsi successivi non devono
corrispondersi mai né sul fronte, né sul dorso, né all’interno dell’arco. Ne segue che per
il collegamento sono necessari per lo meno due corsi differenti che si alternino. I
differenti corsi dovrebbero essere cuneiformi. Questo però avviene raramente e soltanto
per volte di considerevole importanza, mentre comunemente lo scopo viene raggiunto
conformando a cuneo solamente lo strato di malta fra i diversi conci. Nel caso in cui gli
strati divengano assai cuneiformi si tagliano i mattoni vicino all’intradosso; questa
operazione presuppone però un buon materiale e, comunque, presenta lo svantaggio di
privare il mattone della sua parte superficiale più resistente. Talvolta si usa lasciare
integri i mattoni ed interporre delle schegge tra i diversi corsi all’estradosso; questa
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tecnica ha l’inconveniente di rendere troppo serrata la parte superiore dell’arco e di
limitare quindi la pressione ad una parte relativamente piccola della sezione.
L’apparecchio longitudinale presenta, in alcuni casi, un inconveniente. Quando la
corda è notevole e la monta depressa si ha con tale disposizione l’inconveniente che i
giunti in chiave risultano pressoché paralleli e verticali, sicché nella parte centrale la
resistenza è affidata, invece che al mutuo contrasto tra i filari, quasi unicamente alla
coesione della malta. Qualche vantaggio si può ottenere dando alle volte ribassate una
leggera monta in senso longitudinale, così che le linee dei filari non risultino
perfettamente rettilinee ma leggermente arcuate.
L’apparecchio trasversale, detto anche normale o anulare, consiste nel disporre i
mattoni in filari trasversali con le loro facce maggiori normali ai muri di piedritto invece
che paralleli, cosicché i piani di giunto che si alternano sono quelli paralleli all’asseinvece che quelli normali. La volta risulta in tal modo costituita da tanti archi o anelli
elementari indipendenti, poggiati l’uno a ridosso dell’altro.
Fig. 1.6: pianta di una volta a botte con apparecchio trasversale.
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Fig.: 1.7: vista assonometrica di una volta a botte ad apparecchio trasversale.
Gli anelli possono essere situati in piani verticali con i mattoni disposti secondo una
superficie conica oppure inclinati con i mattoni disposti in un piano avente la medesima
inclinazione o disposti secondo superfici coniche (fig. 1.8).
L’idea di disporre i mattoni su piani inclinati nasce da una duplice esigenza:
- “evitare uno spostamento laterale dei diversi strati;
- risparmiare le armature provvisorie: infatti, disponendo i mattoni non più
normalmente alla superficie d’intradosso ma inclinati rispetto a questa, gli
stessi mattoni sono parzialmente sostenuti dal filare precedente”3.
Questo sistema, utilizzato per le vote ribassate, offre i seguenti vantaggi:- “la muratura non presenta linee di rottura continue;
- i giunti discontinui longitudinali non presentano che il quarto dello
sviluppo che hanno nella disposizione longitudinale con giunti radiali;
- vi è una maggiore superficie di contatto nel senso della spinta: l’attrito e
l’aderenza della malta tendono per conseguenza a ridurre la spinta;
3 G. A. Breymann, “Trattato generale di costruzioni civili”; 1926.
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- si può fare a meno del manto ed anche di molte centine, poiché la posa dei
filari si può eseguire sopra una sola centina che si sposta di mano in mano
che la costruzione della volta avanza; la centina si fa scorrere sopra due
longherine collocate alle imposte della volta e sostenute da ganci di ferro;
- la spinta sui piedritti viene alquanto diminuita, poiché, essendo i letti dei
giunti trasversali leggermente convessi, una parte della spinta è trasmessa
ai muri di testa”4.
Fig. 1.8: varianti nella disposizione dei mattoni nella costruzione di volte a botte (Lorenzo 1992).
Nonostante i pregi elencati l’apparecchio normale presenta un difetto che lo rende
poco utilizzato. La questione è che non si realizza un’efficace collegamento fra i conci,
come invece si ha nel sistema longitudinale, poiché la volta risulta costruita da una
successione di archi semplicemente accostati e ciò va a svantaggio della solidità della
volta stessa.Per coprire locali rettangolari si preferisce realizzare le volte con l’apparecchio
diagonale oppure con quello a spinapesce.
Questi due sistemi costruttivi hanno il vantaggio che le spinte invece di trasmettersi
completamente sui muri d’imposta, come accade nelle volte a botte con filari
longitudinali e normali, si trasmettono in parte anche sui muri di testa.
4 D. Donghi, “ Manuale dell’architetto”; 1925.
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L’apparecchio sbieco o diagonale (fig. 1.9) è caratterizzato dal fatto che la volta
risulta costituita da archi elementari, tutti paralleli, i quali non sono più disposti secondo
la curva direttrice ma in direzione normale alle diagonali oppure alle bisettrici degli
angoli della pianta.
Fig. 1.9: pianta di una volta a botte con apparecchio diagonale.
L’apparecchio a spinapesce comprende due diverse disposizioni. La prima, detta a
spinapesce inversa (fig. 1.11), è caratterizzata dal fatto che la volta è realizzata da filari
elementari inclinati a 45° sui lati d’imposta; questi si allineano secondo le rette partenti
in senso contrario dagli estremi di ciascun lato, per incontrarsi a spina di pesce sulle
mediane della volta. La seconda, detta a spinapesce diritta (fig. 1.12), è caratterizzata
dal fatto che i filari hanno ancora la precedente inclinazione, ma sono allineati secondole rette che partono dai punti di mezzo dei lati d’imposta, cosicché risultano ortogonali
alla disposizione precedente.
La disposizione a spinapesce presenta il vantaggio che i singoli strati si sorreggono
da soli appena chiusi e che, inoltre, la volta può essere eseguita da abili muratori
soltanto mediante alcune centine di guida anziché portanti, dal momento che la forza di
coesione della malta è sufficiente per tenere i mattoni di uno strato fissi allo strato
precedente già compiuto e quindi portante.
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Fig. 1.10: vista assonometrica di una volta a botte con apparecchio diagonale.
Fig. 1.11: pianta di una volta con apparecchio a spinapesce inversa.
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spessore o in lunghezza con chiodature, le cui parti superiori sono segate secondo la
curva di intradosso della volta.
Fig. 1.13: schemi costruttivi di centine in legno per la costruzione di volte a botte (Caleca 2000).
Fig. 1.14: centinature di volte a botte (Misuraca 1916).
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Passiamo adesso a riferire della costruzione effettiva della volta a botte distinguendo
i diversi casi di apparecchio.
Nel caso in cui si adotti la disposizione dei mattoni a filari paralleli alle linee
d’imposta, il lavoro si deve far procedere simmetricamente dalle imposte verso il
vertice, in primo luogo, perché l’armatura risulti caricata uniformemente, in secondo
luogo perché, acquistando la malta in ogni parte la stesse consistenza, l’assestamento
totale della volta risulti uguale in ogni parte. Per dirigere con successo la costruzione di
una volta è infatti necessario tener conto dei diversi movimenti che hanno luogo nelle
centine durante e dopo l’esecuzione dei lavori, perché subito dopo la loro erezione le
centine subiscono un calo sotto l’azione del proprio peso, mentre tendono a rialzarsi
verso la chiave dal momento in cui vengono messi in opera i cunei dei fianchi della
volta. Allo scopo di evitare questo innalzamento del vertice della curva di intradosso,conviene armare le centine con opportuni tiranti e caricare provvisoriamente le armature
verso le loro vette con un certo numero di conci o con pesi amovibili, finché non
rimanga che eseguire la chiusura della volta.
Nel caso in cui si adotti la disposizione dei mattoni a filari trasversali alle linee di
imposta, diversamente dal caso precedente ove la costruzione è cominciata lungo i
piedritti e terminata in chiave, la costruzione viene iniziata sulle fronti e proseguita nel
senso dell’asse.
Qualora si adotti la disposizione a spinapesce diritta la costruzione della volta si
inizia dagli angoli del vano e i diversi strati, ellittici nelle volte a botte circolari, salgono
dal piedritto sul fronte dell’arco fino alla linea di vertice della dc (fig. 1.12) da un lato e
alla linea mediana bc dall’altro, cosicché in chiave risulta una pietra prossimamente
quadrata, posta al centro della volta. Ultimata la volta si tolgono le armature e,
generalmente, risulta che lo spazio (1-1,5 cm) lasciato tra le armature e la volta è
scomparso durante la costruzione a causa dell’assestamento, cosicché la volta combacia
con le armature stesse.
Se invece la volta poggia direttamente sull’armatura, l’assestamento non può
avvenire che tra i punti fissi causando delle gobbe sulla superficie della volta.
Infine, nel caso in cui si adotti la disposizione a spinapesce inversa, si inizia a
costruire la volta dal suo centro, ponendo sul manto dapprima quattro mattoni (a) ad
angolo retto fra loro e a 45° rispetto all’asse della volta (fig. 1.15), poi dei mattoni interi
(b) e dei mattoni (c) tagliati per un quarto, fino a raggiungere i muri di contorno. Si
procede, quindi, alla costruzione delle rimanenti parti con mattoni interi, iniziando dai
mattoni (b) e (c).
Terminata la costruzione della volta a botte si può procedere nel suo disarmo.
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Quando si disarma una volta subito dopo la sua chiusura, difficilmente si riesce ad
evitare una leggera compressione nella malta dei giunti, compressione che, quantunque
completi la solidità della volta, produce tuttavia un abbassamento nella medesima, tanto
più sensibile quanto più grande è la quantità di malta impiegata nei giunti.
Fig. 1.15: tecnica costruttiva della disposizione a spinapesce inversa.
“Nonostante molti costruttori si siano occupati di tale questione, non si può
precisare l’abbassamento a cui è soggetta una volta dopo il suo disarmo; per
questo motivo affinché la superficie d’intradosso della volta corrisponda
approssimativamente a quella progettata, si usa rialzare di un tanto le centine
impiegate per la formazione dell’armatura. Ma tale rialzamento viene fissato
un po’ arbitrariamente e, nonostante tale precauzione, raramente si riesce ad
avere il vertice della volta all’esatta altezza desiderata.
Riguardo al tempo in cui conviene eseguire il disarmo, non tutti i costruttori
sono d’accordo, dal momento che alcuni ritengono che si debba fare
immediatamente dopo la costruzione, altri che si aspetti finché la malta si sia
indurita. Pare, però, che vi sia convenienza a disarmare la volta quando la
malta non è ancora completamente asciugata e conserva, quindi, ancora una
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certa pastosità che le permette di comprimersi e di adattarsi alle leggere
modifiche di forma causate dall’assestamento della medesima”7.
7 A. Lenti, “Corso pratico di costruzioni”; 1884.
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1.1.2 LA VOLTA A PADIGLIONE
Le volte a padiglione si possono considerare come formate dall’intersezione di volte
a botte. Se, infatti, immaginiamo di tagliare con due piani verticali diagonali una volta a
botte di pianta quadrangolare si ottengono quattro parti di cui le opposte sono uguali
(fig. 1.16).
Fig. 1.16.
Con queste parti si possono costruire diverse forme di volte. Con le parti A e A’si
ottiene la volta a crociera mentre con quelle B e B’ si ottiene la volta a padiglione, che,
in definitiva risulta dall’unione di parti di volte a botte, detti fusi cilindrici.
Le volte a botte componenti le volte a padiglione possono avere le forme più
svariate, possono essere ribassate, circolari, ellittiche, a sesto acuto, ecc…. Una volta a
padiglione può essere costruita su uno spazio quadrato, rettangolare, parallelogrammico,
trapezoidale, poligonale e circolare; in quest’ultimo caso la volta a padiglione diviene
una cupola.
La volta a padiglione è quella più usata nelle costruzioni civili; tuttavia essa richiede
che il vano da ricoprire sia regolare e presenta l’inconveniente di dover essere sostenuta
da tutti i muri di perimetro.
Nella costruzione di queste volte in laterizio si adotta spesso l’apparecchio
longitudinale, cioè la disposizione a filari paralleli alle linee di imposta (fig. 1.17).
Con questa tecnica si deve prestare particolare cura affinché negli spigoli i mattoni si
addentrino alternativamente null’una o nell’altra porzione di volta in modo tale da non
avere un giunto continuo lungo lo spigolo.
Un’altra disposizione molto utilizzata è quella a spinapesce diritta. I filari di mattoni
sono normali agli spigoli diagonali e formano di conseguenza degli archi acuti ellittici.
Con questo apparecchio si evitano i giunti lungo gli spigoli; ogni giunto è poi
convenientemente coperto da ambo i lati dai mattoni dei filari adiacenti.
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La struttura a spinapesce presenta maggiore resistenza della precedente, poiché è più
difficile il verificarsi di distacchi negli spigoli; nonostante ciò, presenta il grosso
inconveniente che all'incontro dei filari nel centro dello spicchio rimangono facilmente
delle fessure.
Fig. 1.17: schema di apparecchio longitudinale.
Nella costruzione di una volta a padiglione si deve prima di tutto stabilire la forma
della volta in un piano normale ad uno dei piani perimetrali e quindi quella degli
spigoli. La prima è generalmente un cerchio e gli ultimi, di conseguenza, ellissi. Le
centine vengono costruite seguendo l’andamento di queste curve.
Fig. 1.18: esempio di centinatura per la costruzione di una volta a padiglione (Misuraca 1916).
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1.1.3 LA VOLTA A SCHIFO
La volta a schifo o a specchio è formata da due parti: quella inferiore, detta guscio, è
una porzione di volta a padiglione, per lo più provvista di lunette, quella superiore,
chiamata specchio, è una piattabanda o una cappa molto ribassata.
Fig. 1.19: viste di una volta a schifo.
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Le volte a schifo sono costruite su piante quadrate, rettangolari e su aree poligonali in
genere e sono caratterizzate dal fatto che tutti i muri di contorno sono impegnati nel
sostegno della volta. Questo tipo di volte si presta particolarmente alla decorazione
pittorica e ciò spiega la sua frequente applicazione nel medioevo e nel rinascimento
nelle grandi sale degli edifici signorili. La volta a schifo ha avuto grande diffusione
anche nelle costruzioni civili ordinarie per un’altra ragione: essa è caratterizzata da una
monta molto ridotta che consente di ridurre fortemente l’altezza della costruzione
rispetto agli altri tipi di volte.
La struttura della volta a schifo è evidentemente molto artificiosa e staticamente poco
soddisfacente. La zona centrale pianeggiante costituisce l’elemento debole.
Il guscio della volta è realizzato spesso con strati di mattoni orizzontali e filari
longitudinali. Lo specchio è costruito a spinapesce con una freccia minima di 1/36 della
sua diagonale e talvolta è collegato con il resto mediante quattro conci di pietra disposti
agli angoli. Un altro tipo di apparecchio di cui si hanno testimonianze, consiste nel
realizzare lo specchio ed il guscio con filari longitudinali, paralleli ai lati di imposta. In
questo caso particolare attenzione va rivolta a far sì che negli spigoli i mattoni si
addentrino alternativamente null’una o nell’altra porzione della volta, in modo tale che
non si abbia un giunto continuo lungo lo spigolo.
Anche per la costruzione delle volte a schifo si predispongono delle centine. Le
tavole del manto vengono disposte secondo le generatrici delle varie superficicilindriche. Il manto corrispondente alla parte piana è costituito da tavole adagiate sul
telaio ligneo e sostenute da travi e travicelli, secondo la grandezza della parte piana. Le
dimensioni della parte piatta difficilmente superano i 3,5 metri.
Fig. 1.20: sintesi dei metodi di apparecchio delle volte a padiglione (Caleca 2000).
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1.2 EVOLUZIONE STORICA DELLE TEORIE STATICHE SULLE VOLTE
In questo paragrafo si presentano gli sviluppi della tecnica e della scienza del
costruire. L’itinerario che verrà percorso volge alla comprensione del modo con cui le
costruzioni erano intese dai costruttori del passato cercando di entrare nel loro modo di
vedere e di concepire le varie soluzioni progettuali.
Una teoria statica sugli archi non fu mai stabilità in termini quantitativi fino alla fine
del XVII secolo ma già in passato erano stati capiti alcuni aspetti salienti del
comportamento strutturale che avevano orientato le tecniche costruttive. Nel sesto libro
dei Dieci libri sull’Architettura, Vitruvio dimostra di aver intuito che le volte esercitano
un effetto spingente sui muri o sui pilastri che la sostengono. Ancora più evidente
appare l’attenzione per il funzionamento dell’arco rampante e della volta nervata
simboli dei grandi edifici gotici. Secondo Viollet le Duc i costruttori medievali avevanola percezione di una teoria assai raffinata che consiglia di approssimare la forma
dell’arco alla curva delle pressioni. Si deve agli stessi costruttori la regola empirica
usata per lungo tempo per la determinazione dello spessore dei piedritti: con riferimento
alla figura 1.21, dividendo l’arco in tre parti uguali si tracci il segmento CD, con centro
in D ed apertura DC si descriva una semicirconferenza. L’intersezione tra il
prolungamento del segmento CD e la semicirconferenza determina il punto E per il
quale si traccia la verticale. Si nota come lo spessore del piedritto relativo all’arco a
tutto sesto sia maggiore di quello relativo all’arco a sesto acuto. E’ dimostrato che se la
luce dell’arco non supera i 4-5 metri e non siano presenti sovraccarichi la regola
conduce agli stessi risultati di quelle più rigorose e motivate dai primi teorici del XVIII
secolo.
Fig. 1.21 (Benvenuto 1981).
Alle numerose regole dimensionali degli antichi in cui non si scorge alcun riferimento
alla statica strutturale ed alla resistenza segue l’opera di Leonardo da Vinci secondo cui:
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Capitolo 1 Archi e volte
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“arco non è altro che una fortezza causata da due debolezze imperochè
l’arco negli edifiti è composto da due quarti di circulo, i quali quarti circuli
ciascuno debolissimo per sé desidera cadere e oponendosi alla ruina l’uno
dell’altro, le due debolezze si convertono in una unica fortezza”.
Negli scritti di Leonardo sono stati trovati degli schizzi che sembrano voler indicare
una misura empirica della spinta sui rinfianchi e della forza cui può essere soggetta la
catena; tra gli appunti è particolarmente significativo il seguente:
“l’arco non si romperà, se la corda dell’archi di fori non toccherà l’arco di
dentro”.
I primi progressi per una teoria statica sugli archi si devono all’opera del matematico
e astronomo francese Philippe De la Hire (1640-1718). Nel medioevo l’arco era pensato
in termini di leve e piano inclinato: De la Hire introduce la similitudine dei concidell’arco a dei cunei. Nel Traité de Mécanique egli affrontò il problema dell’equilibrio
di una volta indipendente dai piedritti a cui segue la determinazione della larghezza di
quest’ultimi in funzione delle spinte provenienti dalla volta stessa (Memoria del 1712).
La lacuna principale che verrà sanata da Coulomb consiste nella mancata
considerazione dell’attrito tra i cunei.
Belidor nel suo trattato ( La science des Ingénieurs dans la conduite des travaux de
fortification et d’architecture civile) espone una rilettura della teoria di De la Hire senza
apportarne modifiche concettuali. Anche Claude Antoine Couplet (1642-1722) nelle sue
memorie basa i suoi studi sulle ipotesi del De la Hire giungendo a risultati analoghi.
Nel 1734 Bouguer presenta all’Académie Royale des Sciences la prima memoria che
tratti esplicitamente il problema delle cupole. Egli estese al caso bidimensionale un
risultato che circolava negli ambienti scientifici dai primi decenni del secolo. Giacomo
Bernoulli nel 1704 aveva dimostrato che un arco a forma di catenaria rovesciata resiste
al proprio peso qualsiasi sia il suo spessore e Bouguer perseguiva l’idea che una cupola
generata per rotazione di una particolare curva intorno al proprio asse potesse godere
della medesima proprietà.
Negli anni successivi al 1770 la teoria degli archi e delle cupole subisce un repentino
sviluppo. Spesso gli scienziati che si confrontavano sul tema si addentravano in sottili
dimostrazioni matematiche e complicati ragionamenti tralasciano le indicazioni di
carattere costruttivo ed il problema strutturale. Coulomb costituisce l’eccezione di
questa generale tendenza in quanto, nel suo trattato del 1773, riuscì a sistemare le
nozioni che erano già note, a risolvere nuove questioni ed a indirizzare gli scienziati
verso nuove linee di ricerca. La trattazione specifica sulle volte inizia nel XVI capitolo
in cui l’autore definisce l’oggetto del suo studio: la volta a botte, peraltro affermando
che i medesimi principi “si potranno applicare ad ogni altra specie di volte”.
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Capitolo 1 Archi e volte
28
Il capitolo XVII riguarda le volte i cui giunti non hanno né attrito né coesione.
Per la prima volta nel capitolo XVIII l’autore si occupò delle volte dotate di attrito e
coesione. Il modello di riferimento si arricchisce diventando più simile alla realtà.
Il discorso inizia subito con l’esposizione del problema fondamentale:
“in una volta per la quale siano assegnate la curva interna AB e la curva
esterna ab, sono dati anche i giunti Mm perpendicolari agli elementi della
curva interna: si richiedono i limiti della forza orizzontale in S che sostiene
questa volta, supponendo che essa sia sollecitata dal proprio peso, e sia
trattenuta dalla coesione e dall’attrito dei giunti”.
Per conseguire il risultato Coulomb considera le quattro situazioni limite che
immediatamente precedono la rottura (fig. 1.22).
Fig. 1.22: metodologie di rottura secondo Coulomb (Benvenuto 1981).
Con riferimento allo schema (1) si indichi con limτ il valore massimo della tensione
tangenziale sopportabile dal giunto Mm dove l’aderenza tra i conci è assicurata per
esempio da un legante. Nella situazione limite si può supporre che ogni elemento di Mm
sia sollecitato da , per cui, su una striscia di spessore unitario della volta, la
risultante delle tensioni tangenziali è data da
limτ
Mmlim ⋅τ , ovvero, posto Mm= h, da
. A questo punto nel saggio di Coulomb si legge:hlim ⋅τ
“io supporrò inizialmente che la porzione AaMm sia un tutt’uno solido, di
sorta che essa non possa dividersi se non seguendo Mm. Affinché questa
porzione di volta sia in equilibrio è dunque necessario che la forza P
orizzontale, applicata in S sia tale da impedirle di scorrere seguendo Mm; ma
la componente di P secondo Mm è ϕ⋅ senP , la componente di Q (ossia del
peso di AaMm) secondo Mm è ϕ⋅ cosQ , la componente di P perpendicolare a
Mm è ϕ⋅ cosP e la componente di Q perpendicolare a Mm è ”.ϕ⋅ senQ
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Capitolo 1 Archi e volte
29
D’altra parte, le leggi dell’attrito, stabilite dallo stesso Coulomb, affermano che alle
componenti perpendicolari ϕ⋅ cosP e ϕ⋅ senQ corrispondono le componenti tangenziali
e (dove è il coefficiente di attrito) orientate in senso
contrario allo scorrimento. La condizione di equilibrio è (fig. 1.23):
ϕ⋅⋅ cosPf s ϕ⋅⋅ senQf s sf
hcosPf senQf senPcosQ limss ⋅τ=ϕ⋅⋅−ϕ⋅⋅−ϕ⋅−ϕ⋅ , (1)
da cui deriva la:
( )ϕ⋅+ϕ
⋅τ−ϕ⋅−ϕ⋅=
cosf sen
hsenf cosQP
s
lims . (2)
Fig. 1.23 (benvenuto 1981).
“Ora, siccome per la sua costruzione, la volta non può soltanto scorrere sul giunto
Mm, ma anche su ogni altro, ne segue che per ottenere la completa sicurezza, P non
deve mai essere minore della quantità” posta al secondo membro della (2) qualunque
sia il valore di ϕ . Si cerca di conseguenza il valore di ϕ che fornisce per P un
massimo. La forza P così calcolata, chiamata , sarà sufficiente a sostenere tutta la
volta. La condizione esclude la rottura secondo lo schema (1) di figura 1.22 ma
non è sufficiente ad assicurare che la volta non si rompa, ad esempio, secondo loschema (2) dove, cioè, lo scorrimento di Mm avviene in senso contrario. In tal caso
mutano segno sia la tensione
IA
IAP >
limτ sia le forze di attrito ϕ⋅⋅ cosf s P e ϕ⋅⋅ senQf s ; con
riferimento alla figura 1.24 si ha:
hcosPf senQf senPcosQ limss ⋅τ−=ϕ⋅⋅+ϕ⋅⋅+ϕ⋅−ϕ⋅ , (3)
da cui si trae:
( )ϕ⋅−ϕ
⋅τ+ϕ⋅−ϕ⋅
= cosf sen
hsenf cosQ
P s
lims
. (4)
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Capitolo 1 Archi e volte
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Fig. 1.24 (Benvenuto 1981).
Affinché non si verifichi lo scorrimento occorre, al contrario del caso precedente, che
la forza P sia sempre minore della quantità posta al secondo membro della (4).
Perciò è necessario cercare il minimo della quantità a secondo membro il quale
rappresenta la maggiore forza applicabile in S (fig. 1.22) senza rompere la volta
secondo un giunto Mm. Questo minimo è chiamato .IA
Mediante la duplice disuguaglianza , Coulomb riesce a rispondere,
almeno in parte, alle richieste del problema fondamentale; restano tuttavia da esaminare
le modalità di rottura (3) e (4) (fig. 1.22). In questa la trattazione dell’autore diventa
succinta; Coulomb si limita ad osservare che il momento di rottura della sezione
Mm si può esprimere come grandezza proporzionale a . Per evitare la rottura
secondo lo schema (3) deve essere (fig 1.25):
I
I APA <<
R M
2
lim h⋅σ
. (5)I
MMR d Pd QM ⋅−⋅>
Analogamente per evitare il collasso secondo lo schema (4) dovrà essere:
. (6)M
I
MR d Qd PM ⋅−⋅>
Se indichiamo con il massimo dell’espressione:IB
I
M
R M
d
Md Q −⋅, (7)
calcolata rispetto ad ogni possibile giunto Mm, e con il minimo dell’espressione:IB
I
M
R M
d
Md Q +⋅, (8)
l’equilibrio è assicurato se la forza P obbedisce ulteriormente alla duplice
disuguaglianza: .I
IBPB <<
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Capitolo 1 Archi e volte
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Fig. 1.25 (Benvenuto 1981).
In conclusione dice Coulomb:
“per unire insieme tutte le condizioni, se o fossero maggiori di o I A I B I A
I B , l’equilibrio non potrebbe aver luogo e la volta di tali dimensioni si
romperebbe necessariamente. Per ottenere i veri limiti di P è sufficiente
prendere tra e la quantità più grande e, tra e I A I B I A
I B , la quantità più
piccola; ad esempio se fosse maggiore di e I B I A I
B fosse minore di e I
A , I B I
B sarebbero i veri limiti delle forze che si possono applicare in S senza
rompere la volta”.
Il procedimento ideato da Coulomb consente di rimuovere l’arbitraria ipotesi
secondo la quale la rottura si verificherebbe per un giunto inclinato a 45°; anzi, la
ricerca del massimo e del minimo condurrà alla determinazione delle sezioni
realmente più deboli individuando così il vero comportamento limite della volta.
IB IB
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Capitolo 1 Archi e volte
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Si passa nel seguito alla disamina della cultura scientifica italiana; sul tema degli
archi, delle volte e delle cupole si svilupparono, nella seconda metà del settecento,
numerosi studi che condusse alla redazione di trattati che oggi rappresentano una vera e
propria sintesi delle conoscenze statiche del tempo sulle costruzioni in muratura.
L’opera maggiore è quella di Lorenzo Mascheroni che con le Nuove ricerche
sull’equilibrio delle volte nel 1785 riuscì a conquistare la cattedra di algebra e geometria
presso l’università di Pavia.
L’interesse dei matematici per i problemi statici inerenti alle volte era vivo in Italia
già da tempo. Molto noto era il dibattito sulla cupola di San Pietro in Vaticano:
all’intervento dei tre “reverendi padri matematici” Ruggiero Giuseppe Boscovich,
Francesco Jacquier e Tommaso Le Seur, chiamati da papa Benedetto XIV perché
studiassero le cause di alcune lesioni e ne proponessero il rimedio, si aggiunse ilcontributo volontario di studiosi come Lelio Cosatti e Poleni.
Nel corso della sua vita Mascheroni si cimentò in diversi campi della ricerca
scientifica risolvendo dei problemi lasciati aperti da Eulero ( Adnotationes ad Calculum
Integralem Euleri) pubblicando delle applicazioni trigonometriche (Problemi per
Agrimensori con varie soluzioni) ed occupandosi di geometria (Geometria del
Compasso di Lorenzo Mascheroni). Verso la fine del ‘700 egli fu invitato a Parigi per
collaborare insieme ai maggiori scienziati europei alla definizione del sistema metrico
decimale; nella città francese trovò la morte nel 1800.
Il trattato di cui ci occuperemo si compone di dodici capitoli nei quali l’autore
intende dare forma analitica rigorosa ai problemi principali che intervengono nel
progetto degli archi e delle cupole. Dopo una estesa trattazione sui sistemi articolati di
aste rettilinee il Mascheroni tratta “de’ piani composti di cunei che hanno forza
d’archi” ed a seguire “dell’equilibrio degli archi rampanti e caricati”. La seconda
parte del saggio verte sulle cupole di cui si studia la forma ottimale in diverse
condizioni di carico.
Per una comprensione della metodologia di approccio a questa particolare tipologia
di problemi si riporta la trattazione riguardante il calcolo a rottura dell’arco.
Il ragionamento parte dallo studio dei sistemi di aste di figura 1.26. I carichi sono
rappresentati da forze CDBEA Q2,QQ,QQ == applicate nei diversi vertici e derivanti,
ad esempio, dal peso delle membrature AB, BD, DE nel primo caso e da AB, BC, CD,
DE nel secondo. Il problema consiste nella determinazione della condizione di
equilibrio del sistema qualora siano note le lunghezze delle aste. Le variabili sono gli
angoli .e βα
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Capitolo 1 Archi e volte
33
Fig. 1.26.
Per la configurazione ABDE la componente orizzontale della reazione vincolare in A
è data da:
α⋅= tgQH BA ; (9)
mentre la componente verticale è:
BAA QQV += . (10)
Per lo schema ABCDE si ha:
α⋅+= tg)QQ(H CAA ; (11)
CBAA QQQV ++= ; (12)
ed inoltre:
α⋅+=β⋅ tg)QQ(tgQ CBC . (13)
Dalla (13) deriva che se BC QQ2 =⋅ come avviene quando le aste sono uguali ed
omogenee la condizione di equilibrio è:
α⋅=β tg3tg . (14)
Il meccanismo di collasso ideato dal De la Hire secondo cui l’arco superiore BCD
discende tutto d’un pezzo (fig. 1.27) spostando con le sue spinte laterali i piani Bb e Dd
ha certamente attinenza allo schema ABDE sopra considerato. Le condizioni limite di
equilibrio riguardano la verifica allo scorrimento delle basi Aa ed Ee sul piano di
appoggio scabro e la verifica a ribaltamento intorno ai punti A ed E.
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Capitolo 1 Archi e volte
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Sia il peso del solido AaBb applicato nel suo baricentro O e il peso del
solido BbCc applicato nel suo baricentro G. La reazione orizzontale applicata in A,
uguale e contraria della azione indotta dal peso dell’arco superiore BbDd, è
data dalla condizione che in B la forza sia normale al letto Bb:
oQ GQ
AH
B
HG
Q2
BK
K QtgQHH GGBA
Ω⋅=α⋅== , (15)
mentre la reazione verticale è:AV
GoA QQV += . (16)
Fig. 1.27 (Benvenuto 1981).
L’equilibrio allo scorrimento si risolve nella condizione:
AsA Vf H ⋅= , (17)
Avendo indicato con il coefficiente di attrito tra il piedritto e la superficie di
appoggio. Dall’equilibrio al ribaltamento si ottiene:
sf
0BMHAMQATQ BGo =⋅−⋅+⋅ . (18)
Se nelle (17) e (18) si sostituiscono la (15) e la (16) si ottengono le due equazioni:
⎟⎟ ⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ −
Ω⋅=⋅⎟⎟
⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ −
Ω⋅=⋅
BM
AM
BK
K Q
BM
ATQ,f
BK
K QQf GosGos . (19)
Supponiamo adesso che il meccanismo di collasso dell’arco sia quello già ideato da
Coulomb secondo cui si possono attivare delle cerniere nei punti B, C e D (fig. 1.28).
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Capitolo 1 Archi e volte
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In questo caso è evidente il richiamo alla seconda configurazione di aste rettilinee di
figura 1.22.
Fig. 1.28 (Benvenuto 1981).
Posizionando opportunamente le risultanti dei pesi degli elementi si ottiene:
.BK
BR QQ,
BK
RK Q
AM
ATQQ,
AM
TMQQ GCGoBoA ⋅=⋅+⋅=⋅= (20)
Le tangenti degli angoli βα e sono espresse dai rapporti:
.CK
BK tg,
BM
AMtg =β=α (21)
Imponendo l’equilibrio limite allo scorrimento si ottiene:
β⋅=⋅= tgQHdoveVf H CAAsA , (22)
mentre da quello al ribaltamento si ha:
α⋅+=β⋅ tg)QQ(tgQ CBC . (23)
Se nelle (22) e (23) si sostituiscono la (20) e la (21) si ottengono le due equazioni:
⎟⎟ ⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ −⋅=⋅⎟⎟
⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ −⋅=⋅
BM
AM
CK
BR Q
BM
ATQ,f
CK
BR QQf GosGos . (24)
Le formule (19) e (24) possono apparire inusuali per la loro scarsa evidenza
espressiva ma risultano di immediata applicabilità. Il progettista dell’epoca, senza
bisogno di calcoli, dopo aver determinato i pesi in gioco e la posizione del baricentro
degli elementi, misurava direttamente dal disegno le lunghezze dei segmenti da
introdurre nelle formule. Per la verifica o il dimensionamento di un arco o di una volta
botte
“converrà per varii punti B dell’arco calcolare l’equazioni proposte; nelle
quali se i primi membri che rappresentano l’azione della resistenza riusciranno
per tutto maggiori de’ secondi che danno l’azione della spinta, potremo
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Capitolo 1 Archi e volte
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permetterci la totale sicurezza dell’arco. La sezione più debole di tutte
corrisponderà a quel punto B, per cui l’eccesso della resistenza sulla spinta o
de’ rispettivi momenti apparisca il minore. Che se fossero date le altre
dimensioni, e volesse trovarsi la grossezza del piedritto, possono le stesse
equazioni servire. Il modo più facile sarà l’assumere prima pel piedritto una
grossezza arbitraria e quindi cercare il luogo B della sezione più debole. Allora
per le equazioni relative al quel punto B troveremo facilmente la grossezza
cercata”1.
1 G. Venturoli, “ Elementi di meccanica e d’Idraulica”; 1806.
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L’ampio trattato dell’ingegnere e matematico veronese Leonardo Salimbeni dal titolo
Degli Archi e delle Volte (1787) si ispira agli studi dell’abate Bossut e del Mascheroni.
A differenza dei suoi predecessori il veronese si occupò anche di questioni relative alle
fasi di costruzione degli archi. In particolare rispose a domande del tipo: come spingono
i conci sulla centina? In che misura premono rispetto al loro peso? Fino a quale segno
occorre prevedere una sovracentina per impedire lo sfiancamento dei conci prossimi alle
imposte?
L’autore intraprese lo studio della componente trasversale della azione rispetto alla
linea di estradosso. Come si nota dalla immagine il verso della forza può cambiare di
segno in prossimità delle imposte.
Fig. 1.29 (Benvenuto 1981).
Nella seconda parte dell’opera Salimbeni estese le sue indagini agli archi di forma
qualsiasi.
Con riferimento al saggio storico critico sulle principali teorie concernenti
l’equilibrio delle volte di J. V. Poncelet (1788-1867) si può seguire l’evoluzione del
pensiero durante l’800. Il modello rigido finora adottato non era più sufficiente per
soddisfare i quesiti degli scienziati e proprio in quel periodo iniziarono a svilupparsi le
teorie delle travi elastiche ad asse curvilineo e la teoria delle membrane e dei gusci.
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Capitolo 1 Archi e volte
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Agli scienziati settecenteschi non era chiara la definizione del meccanismo di
collasso e la reale applicazione della spinta orizzontale in chiave. Utilizzando le sole
equazioni cardinali della statica il secondo problema non era risolubile, occorreva
introdurre qualche considerazione attinente al comportamento deformativo della
struttura e quindi alle proprietà del materiale.
Luigi Navier nel 1826 introdusse il concetto delle tensioni che si distribuivano in
ogni punto dei letti trasversali. Coulomb si era occupato della condizione limite di
equilibrio senza riguardo alla resistenza a compressione del materiale; così facendo egli
poteva collocare la spinta orizzontale in chiave sull’estradosso e la forza di
compressione per il giunto di rottura sull’intradosso. La distribuzione delle tensioni
considerate da Navier sono quelle rappresentate in figura (1.30).
“Da ciò risulta: 1) che la risultante delle pressioni normali al giunto deve passare a una distanza dal lembo compresso uguale a un terzo della larghezza
effettiva di tale giunto; 2) che la pressione in questo lembo è il doppio di quella
che avrebbe luogo nell’ipotesi di una ripartizione uniforme sulla superficie
intera del giunto. Questi risultati, in cui si fa completa astrazione dall’influenza
delle componenti tangenziali e dalle deformazioni conseguenti (…), permettono
al Signor Navier di calcolare nuovi valori della spinta orizzontale in chiave, un
po’ più forti di quelli che derivano dall’equilibrio stretto o matematico relativo
all’ipotesi di una resistenza infinita, e che offrono il mezzo di accertare (…) che
nella volta progettata i materiali non corrano alcun rischio di
schiacciamento”1.
Fig. 1.30 (Benvenuto 1981).
1 J. V. Poncelet, “ Examen critique et historique des principales théories et solutions concernant
l’equilibre des voutes”; 1852.
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Capitolo 1 Archi e volte
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F. J. Gerstner nel 1831 introdusse i concetti di linea di resistenza e di linea di
pressione. La prima è il poligono che congiunge i centri di pressione su ognuno dei
piani dei giunti; il poligono diventa una curva se i giunti sono infiniti. La seconda è
l’inviluppo delle rette d’azione delle forze reattive tra giunto e giunto. Le due linee sono
generalmente distinte (fig. 1.31).
Fig. 1.31 (Benvenuto 1981).
Perché vi sia equilibrio è necessario che la linea di resistenza passi all’interno
dell’arco; se essa interseca l’estradosso con un certo angolo la rottura è immediata; se
essa è tangente ad uno dei bordi la rotazione dei conci è imminente e corrisponde allo
stato di equilibrio stretto che solo una resistenza infinita del materiale potrebbe
sostenere. L’angolo col quale la linea di pressione interseca i giunti dev’essere messo in
relazione con l’angolo di attrito: se esso si discosta troppo dall’angolo retto possono
insorgere scorrimenti. Gerstner si accorse che il carattere iperstatico della questione
consentiva il tracciamento di infinite linee di pressione passanti per i diversi punti della
chiave e tangenti ai diversi punti delle reni. La scelta della curva “vera” era impossibile
senza il ricorso a considerazione di carattere deformativi.
Si riportano nel seguito i metodi empirici di tracciamento delle curve di pressione
che mirano a riconoscerne quella “vera”. Negli Annales des ponts et chausées, pubblicati nel 1840, Méri introdusse per primo
la costruzione del poligono delle pressioni nello studio delle volte. Egli esaminò il caso
di una volta costruita con un materiale ipotetico con infinita resistenza a compressione.
Per la stabilità contro ogni rotazione intorno agli spigoli di intradosso o di estradosso la
curva delle pressioni doveva essere tutta compresa nello spessore della volta e, per la
verifica di scorrimento, la risultante relativa ad un giunto qualunque, nel caso in cui non
si tenga conto della coesione della malta, doveva formare con la normale al medesimo
un angolo minore dell’angolo di attrito.
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Capitolo 1 Archi e volte
40
La rottura di una volta poteva avvenire per scorrimento, rotazione o per la
combinazione dei due fenomeni. Nella immagine seguente si sintetizzano questi modi di
rottura già noti dal ‘700 (fig. 1.32).
Fig. 1.32.
Méri osservò che la verifica allo scorrimento era di secondaria importanza rispetto a
quella alla rotazione per cui per la stabilità della volta bastava che la curva delle
pressione fosse contenuta nello spessore dell’arco. Le posizioni limite della curva delle
pressioni possono essere due: quella in cui tale curva risulta tangente all’estradosso in
chiave e all’intradosso nei giunti di rottura e l’altra nella quale risulta tangente
all’intradosso in chiave ed all’estradosso nei giunti di rottura. Secondo Méri, fra queste
due posizioni limite, cui corrispondono rispettivamente il minimo ed il massimo valore
della spinta in chiave, deve esistere la posizione nella quale si trova realmente la curva
delle pressioni. In realtà, siccome la muratura offre sempre una resistenza a
compressione limitata e non infinita come supposto da Méri, le curve limite precedenti
non possono verificarsi; infatti, se la spinta si esercitasse sullo spigolo di un cuneo, non
vi sarebbe ripartizione dello sforzo nel cuneo stesso e si avrebbero in tale punto
pressioni unitarie infinite con conseguente schiacciamento del cuneo.
Il problema consiste nel ricercare i più probabili punti di passaggio della curva in
chiave e nel giunto di rottura. Nella sua opera Méri sostiene che il centro di pressione in
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Capitolo 1 Archi e volte
41
chiave debba essere più vicino all’estradosso e quello presso l’imposta più vicino
all’intradosso. Si legge inoltre che per la stabilità è sufficiente che le corde dei giunti
passanti per i centri di pressione dividano le superfici dei rispettivi cunei in modo che la
parte minore delle due sopporti almeno la metà della pressione totale. Trascurando la
resistenza a trazione di una eventuale malta interposta tra i giunti dei conci si applica il
metodo di Méri scegliendo come punti di passaggio della curva l’estremo superiore del
nocciolo centrale (terzo medio) in chiave e nell’estremo inferiore del nocciolo centrale
nei giunti di rottura. Per poter costruire la curva delle pressioni rimane da fissare la
posizione del giunto di rottura che seguendo nozioni empiriche: nelle volte circolari a
tutto sesto è alle reni con inclinazione di 30° rispetto all’orizzontale mentre nelle volte
circolari ribassate praticamente coincidono con le imposte.
Si applica il metodo ad una volta a botte a tutto sesto simmetrica e simmetricamentecaricata (tutti i carichi applicati si considerano costanti lungo la sua lunghezza cioè nel
senso delle generatrici). Con queste ipotesi il comportamento della volta non differisce
da quello di un arco per cui lo studio si riduce a quello di metà volta con un metro di
lunghezza.
Prendiamo in esame la porzione di volta compresa tra l’asse di simmetria verticale e
il giunto di rottura situato alle reni, e delimitiamo graficamente la parte di muro
sovrastante sostenuta dalla volta. Dividiamo la porzione di volta in n conci mediante
giunti ideali, normali alla linea di intradosso, ed innalziamo le verticali dai punti di
intersezione di questi giunti con la linea di estradosso; si è così divisa la muratura
sovrastante in n blocchi ciascuno dei quali grava su un concio. Sull’estradosso della
volta possono insistere carichi permanenti tra cui il riempimento in muratura o in altro
materiale, il massetto per il pavimento ed il carico accidentale. Si ammette che tutto ciò
che agisce sulla volta propriamente detta semplicemente come peso si possa trasformare
in un carico equivalente di muratura della stessa natura di quella della volta stessa. Ciò
si ottiene moltiplicando le ordinate comprese tra l’estradosso della volta e la linea che
limita superiormente l’orizzontamento per:
n
n m
i
⎟⎟ ⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛
Γ
Γ∑
, (25)
in cui la sommatoria è estesa a tutti gli n carichi permanenti agenti, è il peso
specifico del materiale del singolo carico permanente e
iΓ
mΓ è il peso specifico della
muratura (in caso di carico accidentale q bisogna aggiungere alla sommatoria
precedente il termine q/ e quindi dividere per n+1). Con riferimento alla figura 1.33:mΓ
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Capitolo 1 Archi e volte
42
nhh
n m
i
i
'
i
∑Γ
Γ
⋅= . (26)
Calcoliamo i pesi dei conci dell’arco ed i pesi dei blocchi di muratura
sovrastante e applichiamoli rispettivamente al baricentro del concio e a quello del
blocco di muratura resa omogenea di altezza . Si ricavano graficamente i risultati
(in figura ) e tracciamo le rispettive linee di azione
. Con un poligono funicolare di polo arbitrario H determiniamo, con
l’intersezione del primo e dell’ultimo lato, la retta di azione r della risultante R dei pesi
. Si segnano adesso all’interno dell’arco le curve n (in figura tratteggiate)
congiungenti gli estremi dei noccioli centrali d’inerzia dei giunti ideali. Si traccia la
retta q orizzontale passante per il punto , estremo superiore del nocciolo della
sezione in chiave; questa retta, che indica la direzione dell’azione Q esercitata dal
mezzo arco simmetrico asportato, incontra R nel punto G. si traccia la retta a che
congiunge G con il punto , estremo inferiore del nocciolo della sezione al giunto di
rottura.
'iP ''
iP
'
ih
''
i
'
ii PPP += 54321 P,P,P,P,P
54321 p, p, p, p, p
iP
0C
1C
Le intensità di Q e di A si ricavano facilmente conducendo dai punti X e Y le
parallele alla retta q ed alla retta a, che si incontrano nel punto .1H
A questo punto si unisce con gli estremi di e con polo si
traccia il poligono funicolare che passa per .
1H 54321 P,P,P,P,P 1H
0C e 1C
Si ottiene così la curva delle pressioni (in figura indicata con il tratto e punto) che
deve risultare tutta interna alle curve n affinché sia verificata la condizione di stabilità
della volta.
Questo metodo ha incontrato più di ogni altro il favore dei tecnici per la sua
semplicità concettuale e la sua facilità applicativa. I risultati che si ottengono possono
considerarsi attendibili per volte circolari a tutto sesto, ribassate, ellittiche o ovali.
Si ricorda infine che il metodo considera la volta come rigida trascurando le
deformazioni elastiche subite dai materiali.
Per terminare questa succinta disamina dell’evoluzione sugli studi che esulano dalla
teoria dell’elasticità in merito ad archi e volte si riporta il metodo di Scheffler- Moseley.
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Capitolo 1 Archi e volte
43
Fig. 1.33 (Lorenzo 1992).
Il metodo di Scheffler si basa sul principio della minima resistenza che fu
enunciato per la prima volta da Moseley nel 1833 nel Philosophical Magazine
in questa forma:
“Allorché un gruppo di forze è in equilibrio e sviluppa un certo sistema di
reazioni, ciascuna di queste ultime è un minimo, avuto riguardo alle condizioni
nelle quali si trova l’intero sistema”2.
Scheffler ritenendo insoddisfacente l’enunciato del suo predecessore rivide il
principio nei seguenti termini:
“Sia dato un sistema di corpi nello spazio, legati gli uni agli altri da
superficie di contatto, per posizione e per forma tali che tutti i corpi del sistema
formino un insieme di figura invariabile, finché le forze che li sollecitano non
2 Ibidem.
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Capitolo 1 Archi e volte
44
superino dei limiti determinati, e in tale sistema esistano dei punti fissi. Se P è
la risultante di tutte le forze esterne applicate al sistema, decomponiamola in
tante forze parallele a P, cioè , passanti per i punti fissi del sistema.
Sempre che le superficie di contatto dei corpi siano tali da poter sopportare le
forze , quelle produrranno delle reazioni eguali e contrarie a
queste; ma, se quelle superficie sono tali da potersi soltanto opporre a forze
dirette in direzioni diverse fra loro e diverse da quelle delle P, le loro reazioni
, avranno le direzioni compatibili con la posizione e la forma delle
superficie di contatto ed avranno per componenti parallele a P le forze
, e per altre componenti, normali alle prime, delle forze
...,, 321 PPP
...,, 321 PPP
...,,321 R R R
...,,321 PPP
...,, 321 QQQ ”3
.Scheffler osservò che, in generale, non vi è una direzione unica possibile per
ciascuna delle R, da ciò nasce una prima indeterminazione; inoltre, sulle superfici di
contatto, in luogo di punti fissi si possono avere superfici fisse. Le R, quindi, possono
essere indeterminate, oltre che per la loro direzione, anche perché sono incogniti i punti
di applicazione. Scheffler immaginò riuniti in classi tutti i gruppi delle R, le cui
componenti Q siano per una stessa superficie di contatto, parallele fra loro ed enunciò il
principio della minima resistenza nei seguenti termini:
“Fra tutti i gruppi di una stessa classe, quello solo è possibile, pel quale, invirtù delle proprietà fisiche del sistema, le componenti Q, perpendicolari a P,
sono simultaneamente un minimo”4.
Ammesso tale principio, resta indeterminata soltanto la classe alla quale appartiene il
gruppo delle reazioni effettive, ossia, la direzione delle Q in piani normali a P.tale
indeterminazione viene eliminata nei casi particolari da considerazioni pratiche.
L’applicazione del principio alle volte non produce alcuna indeterminazione: le
superfici di contatto sono due, rappresentate dalle spalle della volta, e le reazioni
devono essere contenute nel piano mediano della volta. Il problema si riduce a
determinare le reazioni in modo che le loro componenti orizzontali siano minime, dal
momento che esse sono uguali fra loro; in conclusione, il principio porta a determinare
la curva delle pressioni cui corrisponde la spinta minima.
Per determinare quale sia la curva corrispondente alla spinta minima, Scheffler
dimostra i seguenti teoremi:
3 Ibidem.
4 Ibidem.
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Capitolo 1 Archi e volte
45
- la curva cercata deve avere necessariamente un punto in comune con
l’intradosso ed uno con l’estradosso;
- i punti comuni alle due curve limiti di intradosso e di intradosso e alla curva di
pressione, se non cadono nella chiave e nella sezione d’imposta, devono essere
punti di tangenza;
- i punti precedenti sono sempre più bassi delle linea d’azione della spinta;
- il punto di contatto con l’estradosso è sempre più alto di quello di contatto con
l’intradosso.
A questo punto Scheffler propose di costruire la curva delle pressioni che passa per
l’estradosso in chiave e per l’intradosso nella sezione d’imposta. Può accadere che tale
curva o non ha altri punti comuni con le curve contorno o interseca una di esse o
entrambe. Si distinguono allora cinque casi:1- se la curva costruita risulta tutta interna allo spessore della volta, allora essa è
proprio la vera curva corrispondente alla minima spinta. Questo è il caso degli
archi ribassati e con la tangente orizzontale in chiave;
2- se la curva costruita taglia l’intradosso, ma non l’estradosso, la vera curva è
quella che, continuando a passare per il punto estradossale della chiave, risulta
tangente all’intradosso, purché sia tutta compresa nello spessore dell’arco. Questo
caso si verifica negli archi con intradosso verticale, o quasi, all’imposta e con
estradosso orizzontale in chiave. Se la nuova curva, tangente all’intradosso, taglia
l’estradosso più in alto, le deduzioni sono le stesse del quarto caso. Se, al
contrario, taglia l’estradosso fra il punto di contatto con l’intradosso e l’imposta,
l’equilibrio è impossibile e la volta si rompe, abbassandosi in chiave e spostando
lateralmente le imposte. Il giunto che passa per il punto di contatto è quello di
rottura;
3- se la curva taglia l’estradosso, ma non l’intradosso, la vera curva delle
pressioni è quella che passa per il punto dell’intradosso all’imposta e tocca
l’estradosso, purché sia tutta contenuta nello spessore dell’arco. Questo caso si
verifica negli archi che non hanno all’imposta l’intradosso verticale, né in chiave
l’estradosso orizzontale. Se poi la nuova curva non risulta compresa nello
spessore dell’arco, ma taglia l’intradosso inferiormente nel punto di contatto, si
rientra nel quarto caso. Se, viceversa, taglia l’intradosso superiormente nel punto
di tangenza, l’equilibrio è impossibile e la volta si rompe con la caduta verso
l’interno delle parti inferiori della volta e con il sollevamento della parte centrale.
Il giunto che passa per il punto di contatto è quello di rottura;
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Capitolo 1 Archi e volte
46
4- se la curva taglia l’intradosso e l’estradosso, ciascuno in uno o più punti, senza
però attraversare più di una volta lo spessore intero dell’arco. In tal caso la vera
curva delle pressioni deve toccare entrambe le curve contorno, il punto di contatto
con l’intradosso, però, deve essere più basso dell’altro. Questo è il caso degli archi
con l’intradosso verticale all’imposta e con l’estradosso inclinato in chiave (archi
ogivali). Se la nuova curva taglia l’intradosso in chiave fra la chiave ed il punto di
contatto con l’estradosso, oppure taglia l’estradosso fra il punto di contatto con
l’intradosso e l’imposta, o se si verificano i due casi insieme, l’equilibrio è
impossibile. I giunti di rottura sono due e passano per i punti di contatto;
5-
se la curva taglia l’intradosso e l’estradosso in un numero qualsiasi di punti,
attraversando più volte l’intero spessore dell’arco. L’equilibrio è impossibile e la
volta si rompe in più punti.Fra le diverse ipotesi assunte come base dei metodi delle curve ipotetiche di
pressione, gli studiosi sono concordi nell’attribuire la maggior considerazione proprio al
principio della minima spinta. Si ritiene plausibile, infatti, che la spinta, che durante il
disarmo della volta va crescendo, si arresti a quel valore minimo per cui è assicurata la
stabilità della volta. Tuttavia, anche questo metodo presenta diversi difetti ed incertezze.
Il difetto più evidente è quello di considerare la volta come rigida. Infatti, proprio a
causa delle deformazioni elastiche dei materiali reali costituenti la volta, è
inammissibile che la pressione sopra un giunto possa concentrarsi in corrispondenza o
dell’estradosso o dell’intradosso. Certamente essa deve distribuirsi sopra una certa
superficie più o meno estesa e ciò comporta che il centro di pressione debba trovarsi ad
una certa distanza dalle curve di contorno. Lo stesso Scheffler riconosce che, nella
pratica, i centri di pressione nei giunti di rottura si allontanano dalle curve di contorno e
consiglia perciò di situarli ad una distanza da queste pari ad ¼ dello spessore del giunto.
In definitiva, le posizioni determinate dallo Scheffler per le vere curve di pressione
devono considerarsi come posizioni limite, poiché esse possono realizzarsi solo quando
il materiale ha una resistenza infinita; la posizione reale della curva di pressione dipende
dalla forma, dalle dimensioni della volta, dalla natura del materiale e dalla distribuzione
del carico.
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Capitolo 1 Archi e volte
47
1.3 L’ORIGINE DEI DISSESTI
Un dissesto o un crollo avviene sempre quando l’effetto delle azioni (stato di
sollecitazione, deformazione, fessure, lesioni) supera in una o più sezioni o zone
significative della struttura, la corrispondente grandezza caratterizzante un certo stato
limite. Le cause per cui questo possa accadere sono molteplici: i motivi originari
possono essere sintetizzati in cinque categorie.
1-
La concezione della sicurezza non può mai essere di tipo deterministico, anche
se l’impiego degli attuali coefficienti di sicurezza può darne l’illusione, ma di tipo
probabilistico. Questo implica che possano verificarsi delle situazioni ritenute
improbabili il cui effetto può produrre il superamento di uno o più stati limite.
2- La filosofia della sicurezza, così come non può fornire certezza nei confronti
delle possibili combinazioni di eventi sfavorevoli, non può neppure assicurare unaindefinita durabilità dell’opera.
3- Le opere e le vecchie costruzioni possono subire degli eventi che portano a
modificarne l’originario comportamento strutturale. Questi fattori possono
riguardare le azioni (per esempio un cambiamento di destinazione d’uso di un
edificio), il materiale o il comportamento strutturale nel suo insieme (costruzioni
adiacenti, apertura di vani, soppressioni di vincoli, …).
4- Gli errori grossolani dell’uomo che possono essere di percezione del
comportamento statico, di esecuzione in opera, ecc…. Il loro peso può essere
contenuto nei livelli di rischio accettabili attraverso una organizzazione che
mediante una serie di controlli indipendenti possa seguire le fasi di progettazione,
costruzione e manutenzione dell’opera.
5- La cultura scientifica anche se non è quantificabile in termini di sicurezza gioca
un ruolo preminente nei suoi confronti. Da essa dipende sia la corretta concezione
strutturale, che non sempre le analisi successive sono in grado di controllare, sia la
capacità di interpretare il fenomeno fisico, cioè il comportamento dell’opera,
sancendone gli aspetti salienti e valutandone gli schemi ed i dettagli. La cultura
scientifica è legata alla metodologia di analisi secondo la quale dagli aspetti
razionali si passa ad una concezione olistica dei fenomeni con la consapevolezza
dei limiti che possono avere anche le teorie più rigorose nell’indagare la realtà.
Per esprimere un giudizio sulla sicurezza di una costruzione occorre conoscere tutte
le grandezze e le ipotesi in gioco.
La descrizione dell’opera riguarda le caratteristiche fisiche e geometriche, nonché le
informazioni per individuare la storia dell’edificio cioè le vicende passate per una
costruzione esistente e le previsioni di esecuzione per un’opera da realizzare. Nel caso si
esamini un edificio esistente che presenti segni di dissesto occorre interpretare edescrivere il fenomeno ed individuarne le cause al fine di valutarne la sicurezza.
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Capitolo 1 Archi e volte
48
Nella definizione delle azioni è importante distinguere quelle dirette, rappresentate
da forze da quelle indirette rappresentate da spostamenti o da accelerazioni imposte;
quest’ultime possono essere affette da un maggior grado di incertezza quando siano
riferite ad un fenomeno di interazione come ad esempio nel caso di cedimenti fondali.
Le caratteristiche del suolo e dei materiali impiegati che influenzano il
comportamento di un’opera sono numerosi: le tensioni di rottura, le leggi tensioni-
deformazioni, i coefficienti di dilatazione termica ed i parametri caratterizzanti il terreno
fondale sono i più significativi.
Il modello di comportamento nel caso generale comprende la “struttura”, gli elementi
collaboranti, gli elementi al contorno (suolo, aria, acqua) e le opere limitrofe. La
riduzione dello schema a porzioni più limitate, spesso alla sola “struttura” deriva
dall’esigenza di avere modelli su cui sia più semplice (o addirittura possibile) svolgereun’analisi teorica. Gli elementi che vengono omessi nella definizione dello schema di
comportamento sono tradotti in azioni dirette o indirette.
Eseguite le analisi necessarie si eseguono le verifiche il cui scopo è quello di valutare
la sicurezza dell’opera nei confronti degli stati limite significativi.
La tappa fondamentale per la valutazione di sicurezza in caso di dissesti è di
individuarne della causa. Questo può avvenire attraverso l’esame ed il rilievo dei segni
visibili (fessure, lesioni, schiacciamenti, cedimenti, …) oppure, nei casi più complessi, è
indispensabile il ricorso a delle opportune tecniche di indagine.
Il comportamento della fondazione in una costruzione oggetto di restauro statico è un
aspetto in molti casi importante e presenta caratteristiche e difficoltà specifiche.
L’importanza discende dal fatto che nella maggior parte dei casi i dissesti nelle
sovrastrutture hanno origine da disfunzioni nelle fondazioni. Tra le difficoltà particolari
si ricorda quella di esecuzione del rilievo dell’opera di fondazione esistente, in tutto o in
parte immersa nel terreno. La caratteristica distintiva più rilevante è data tuttavia dalla
necessità di analizzare e schematizzare il comportamento statico del terreno, che non è
né omogeneo né isotropo e che presenta legami costitutivi non lineari e dipendenti dal
tempo.
Il metodo di approccio consiste nell’analizzare il dissesto strutturale e le
caratteristiche del terreno. Sulla base dei dati acquisiti si definiscono le cause del
dissesto prevedendone l’evoluzione futura. Il progetto di opere ed interventi necessari
comprende la scelta dei tipi esecutivi, il dimensionamento e le verifiche nello stato
finale, la definizione delle fasi esecutive e dei mezzi d’opera necessari e le verifiche
delle situazioni temporanee in corso d’opera.
Questa parte iniziale è stata introdotta per avere un quadro generale sulle cause dei
dissesti. Si è dato un cenno della problematica riguardante i cedimenti fondali che
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Capitolo 1 Archi e volte
49
spesso rappresentano la causa di lesioni delle costruzioni. Nel seguito si analizzeranno i
dissesti sui paramenti di imposta causati dalla spinta degli archi e delle volte.
Le volte riescono ad adattarsi agli eventuali assestamenti delle murature di imposte
per la notevole deformabilità dei giunti di malta. Per questo la presenza di un quadro
fessurativo può essere un evento fisiologico e non preoccupante. Ciò che desta
preoccupazione sono gli eventuali avvallamenti del manufatto. L’analisi dei dissesti e lo
studio del quadro fessurativo sono alla base del problema diagnostico e per giungere ad
un risultato affidabile si deve tener di conto di tutte le informazioni relative al manufatto
in questione. Si pensi per esempio alla individuazione della geometria, della tecnica
costruttiva adottata ed ai materiali impiegati.
La presenza di archi e volte può generare dei moti rotatori e delle inflessioni sensibili
verso l’esterno dei muri d’imposta. Queste manifestazioni sono causate dalla eccessivacomponente orizzontale della spinta di archi e volte. La riduzione della capacità di
assorbimento della spinta da parte del piedritto può essere imputata ad un cedimento
rotazionale delle fondazioni, ad una riduzione del carico verticale stabilizzante
proveniente dai piani superiori o da un incremento della spinta. Quest’ultimo caso può
manifestarsi se viene a mancare il contributo delle catene o se aumentano i carichi a cui
era sottoposta la volta o l’arco.
Fig. 1.34: schema di dissesto per eccessiva componente orizzontale dalla spinta (Mastrodicasa 1943).
I dissesti dei paramenti verticali saranno accompagnati in questo caso dal distacco
delle strutture interne dal muro di facciata, dalla deformazione delle aperture e dalla
depressione delle volte. I distacchi si manifestano in genere all’interfaccia tra il muro
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Capitolo 1 Archi e volte
50
inflesso e la volta; essa subirà una depressione che può invertire la curvatura
intradossale.
Fig. 1.35: schema di depressione della volta (Mastrodicasa 1943).
Consideriamo adesso i cedimenti propri delle volte e degli archi. Questi non sono
molto frequenti ma non per questo sono meno gravi.
“Gli archi si sostengono pel contrasto laterale che si sviluppa tra i loro
conci. Ne deriva che, per la stabilità, la curva delle pressioni dev’essere posta
entro i limiti di nocciolo; le sezioni debbono insomma esser compresse in tutta
la loro estensione superficiale. Inoltre le tensioni non debbono superare il
carico di sicurezza del materiale il che vuol dire che le sezioni debbono essere
adeguate al carico”1.
In molti casi queste condizioni non sono soddisfatte. La notevole eccentricità del
carico può determinare eccessivi sforzi di compressione che possono portare allo
schiacciamento del materiale. Nelle volte in folio gravate dal pesante materiale di
riempimento incoerente la curva delle pressioni si può sollevare notevolmente alle reni
tanto da determinare delle depressioni in quelle zone con conseguente innalzamento in
1 Ibidem.
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Capitolo 1 Archi e volte
51
chiave. Nelle volte molto depresse la deformazione è inversa a quella del caso
precedente.
In questi casi non è opportuno l’inserimento di catene attive per frenare le
deformazioni in quanto la loro pretensione tenderebbe ad aumentare i dissesti anziché a
ridurli (fig. 1.36).
Fig. 1.36 (Mastrodicasa 1943).
Le cause di questi cedimenti sono da imputare al carico eccessivo o ad una
variazione delle caratteristiche meccaniche dei materiali per effetto di degrado. In
particolare la malta ed i blocchi impiegati possono subire l’azione disgregante
dell’umidità, del gelo o di agenti chimici.
Un esempio: la pasta di gesso, utilizzata per la costruzione delle volte in folio che
grazie al rapido indurimento consentiva di murare senza l’uso di centine, a contatto conl’acqua perde capacità coesiva.
E’ evidente come le tecniche costruttive si siano evolute e raffinate a fronte delle
deformazioni e dei crolli verificatisi nel tempo. Il processo di osservazione, percezione
di funzionamento e meditazione ha portato alla costruzione di manufatti correttamente
progettati ed eseguiti in cui ogni componente è indispensabile per il buona riuscita
dell’opera.
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Capitolo 1 Archi e volte
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1.4 TECNICHE DI INTERVENTO
Gli interventi di consolidamento possono essere suddivisi in due categorie: quelli
eseguiti direttamente sulla volta e quelli sugli elementi di sostegno. La scelta si esegue
in funzione del tipo di dissesto riscontrato.
Per salvaguardare i muri di imposta si utilizzano metodi che mirano ad ampliarne la
sezione muraria oppure si adottano dispositivi atti a neutralizzare la componente
orizzontale della spinta. Nel primo caso si auspica la costruzione di contrafforti o
speroni localizzati nei punti dove si concentra la spinta. Il principio di funzionamento è
quello degli archi rampanti di scarico utilizzati nell’architettura gotica.
Lo spazio limitato e ragioni estetiche rendono questa tecnica poco attuabile nelle
costruzioni esistenti per le quali sono da preferire tecniche attive.
Si definiscono attivi quei consolidamenti che esplicano la loro funzione staticaall’atto della loro esecuzione senza cioè che si debbano verificare dei cedimenti
ulteriori. A tale scopo occorre che si imprimano artificialmente delle coazioni.
La pretensione di cavi in acciaio armonico introdotti in fori verticali appositamente
praticati nelle murature lesionate è una tecnica presente in letteratura. La funzione
dell’intervento è quella di equilibrare la spinta in presenza di un sistema di forze tali da
indurre stati di pressoflessione nelle strutture di sostegno (fig. 1.37).
R'
N
Q
R
S
R'
N
R
Q
S
Cementazione iniziale
N
Fig. 1.37: schema di intervento di inserimento di un cavo nel piedritto.
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L’azione spingente S dell’arco componendosi con il peso Q del piedritto fornisce una
risultante R esterna alla sezione di base per cui non vi è equilibrio. L’aggiunta di una
forza N determina una risultante R’ pressoché centrata rispetto alla sezione.
La posa in opera di catene metalliche tende ad annullare le componenti di spinta
orizzontale degli archi e delle volte. Questo è indubbiamente il più antico e semplice
intervento praticato. Le catene sono ancorate su piastre di ripartizione in acciaio (fig.
1.38); in passato si utilizzavano dei capichiave a sezione pseudo rettangolare o a cuneo
che venivano infissi nell’occhiello terminale del tirante. Battendo il capochiave si
realizzava un certo pretensionamento nella catena in modo da espletare una azione di
contrasto prima dell’insorgere di nuove deformazioni che avrebbero danneggiato
ulteriormente la struttura. Questa messa in tensione si realizzava spesso anche mediante
l’ancoraggio del tirante che veniva preventivamente riscaldato mentre oggi si utilizzanodei tenditori. L’entità della pretensione da assegnare si determina in base a quella della
spinta da contrastare. Negli archi e nelle volte a botte la catena si dispone in
corrispondenza del punto di applicazione della spinta, che si avvicina in genere ad un
terzo della freccia, misurata dalla base delle imposte.
Fig. 1.38: volta con catena.
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Fig. 1.39: vista in pianta della volta con catena della figura precedente.
Per non ridurre l’altezza disponibile degli ambienti al di sotto della volta o per
ragioni estetiche è proposta l’introduzione di tiranti estradossali oppure di archi
imbracati (fig. 1.40).
Supponiamo il tirante disposto all’altezza del centro di spinta C, intersezione della
linea di spinta dell’arco con la linea della risultante P dei carichi gravanti sul muro di
spalla. La componente orizzontale S della viene incassata dal tirante e tutte le sezioni
della spalla risultano soggette alla compressione assiale.
1S
1S
Disponendo la catena in AA’, alla quota di estradosso dell’arco, i muri di imposta
AB lavorano come se fossero incastrati in A ed in B e sollecitati da una forza S
applicata in C e dalla forza assiale P. Così i paramenti verticali lavorano a
pressoflessione e a taglio quindi questo intervento non appare efficace per la riduzione
dell’effetto della spinta dell’arco sui muri d’imposta.
Per l’esecuzione dell’arco imbracato si posiziona il tirante estradossale (a), si
prolunga verticalmente il capochiave (b) il quale è reso solidale alla parete di imposta
mediante l’asta (d) ed il capochiave (e). L’asta (c) costituisce il collegamento tra (a) e
(b).
Applicando i due tiranti (c), insieme ai capichiave (b) ed (e) e l’asta (d), se le aste (c)
non sono poste in tensione rimane impegnato il solo tirante estradossale come nel caso
precedente. Se le aste (c) sono poste in tensione si origina un nuovo stato di
sollecitazioni che si somma a quello originario.
Supponiamo che i due tiranti (c) siano pretesi in modo da assorbire completamente la
spinta . In figura 1.40 la sollecitazione nelle aste (c) è rappresentata dalle trazioni
applicate ai nodi D, , e le quali sono scomposte nelle componenti S e .
1S 1S
1C 'D '
1D 2P
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Fig. 1.40: schemi dei tiranti estradossali e archi imbracati(Mastrodicasa 1943).
Sul muro di spalla avremo eliminato la spinta ma ne avremo generata una nuova
dovuta ai carichi concentrati in D e . Il tirante estradossale AA’ tende a
deprimersi localizzando prevalentemente lungo il carico totale prima
generalizzato a tutta la luce dell’arco. Ricordando la linea di influenza della componente
orizzontale della spinta degli archi si comprende come questa entità sia maggiore
quando i carichi sono addensati nel tronco intermedio dell’arco quindi la componenteorizzontale della spinta provocata dai due carichi è più grande di quella dovuta al
carico murario uniformemente ripartito sulla luce dell’arco. Questa maggiore spinta
accresce i momenti in A, B e C aggravandovi gli sforzi di compressione ed
eventualmente facendo insorgere nei lembi opposti degli sforzi di trazione,
incompatibili con le capacità resistenti del materiale murario.
1S
2P 'D
'DD 2P2 ⋅
2P 1S
In base a quanto precede è lecito concludere che il tirante estradossale è meno
efficace della catena “classica” e l’arco imbracato è ancor meno efficace del tirante
estradossale.Le volte subiscono dei cedimenti quando la loro configurazione non asseconda la
linea funicolare dei carichi agenti. Le precarie condizioni di queste strutture possono
essere generate dalle enormi masse di materiale di rinfianco posto dalla quota di
estradosso a quella di allettamento del pavimento del locale soprastante. Per migliorare
la condizione della volta si può asportare il materiale di riempimento sostituendolo con
un sistema cellulare in muratura. I rinfianchi cellulari sono costituiti da un sistema di
muretti (frenelli), normali alle generatrici delle falde, sormontati da una copertura piana
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Capitolo 1 Archi e volte
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o a volta di sostegno del pavimento. Questi irrigidiscono la volta e distribuiscono i
carichi accidentali.
Fig. 1.41: ipotesi generica di disposizione dei frenelli (Mastrodicasa 1943).
La cappatura consiste nella realizzazione di una soletta in calcestruzzo armato
all’estradosso dell’arco o della volta. La prassi esecutiva consiste nell’asportare il
materiale di rinfianco, nel posizionare uno strato di rete elettrosaldata sull’estradosso del
manufatto da consolidare a cui segue il getto di una soletta di spessore opportuno.
Con questa tecnica la soletta in calcestruzzo tende a sostituirsi alla volta originaria a
cui è demandato il compito di semplice controsoffitto.
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Capitolo 1 Archi e volte
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Fig. 1.42: rinfianco cellulare a reticolo quadrato su una volta a crociera (Mastrodicasa 1943).
In letteratura si propone anche di appendere la volta ad un nuovo solaio piano (fig.
1.43); con questo intervento si priva la volta delle sue funzioni originarie generando
critiche di tipo filologico. Inoltre la realizzazione dei cordoli in calcestruzzo armato nei
paramenti verticali risulta pericolosa in fase di esecuzione e non opportuna in caso di
sisma (fig. 1.44).
Fig. 1.43: sezione trasversale di una volta appesa (Rocchi 1994).
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Capitolo 1 Archi e volte
Nell’ipotesi di rinforzo estradossale, la linea delle pressioni può fuoriuscire dallo
spessore murario dell’intradosso senza comportarne il collasso strutturale; nel caso di
rinforzo intradossale la funicolare dei carichi fuoriesce dal bordo superiore della sezione
dell’arco quindi il materiale composito impedisce la formazione della cerniera in
prossimità del punto di applicazione del carico.
Il meccanismo di collasso dell’opera rinforzata sarà da ricercare nei limiti di
resistenza dei materiali e nella loro interazione a livello locale. I limiti sono costituiti
dallo schiacciamento della muratura, dalla crisi dell’unione muratura- rinforzo lato
muratura e dalla rottura dell’FRP.