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Carlo F. Traverso (ePub) · (pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!) QUESTO E-BOOK:...

Date post: 05-Jul-2020
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Page 1: Carlo F. Traverso (ePub) · (pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!) QUESTO E-BOOK: TITOLO: Storia di un secolo, dal 1789 ai giorni nostri : Fasc. II (dal 1821 al 1858)
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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia di un secolo, dal 1789 ai giorninostri : Fasc. II (dal 1821 al 1858)AUTORE: Filopanti, Quirico (Barilli, Giuseppe)TRADUTTORE:CURATORE:NOTE:CODICE ISBN E-BOOK: 9788828102021

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: [elaborazione da] “Combat dans la gorgede Malakoff, le 8 septembre 1855” di Adolphe Yvon -Collections du château de Versailles, France -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Combat_dans_la_gorge_de_Malakoff,_le_8_septembre_1855_(par_Adolphe_Yvon).jpg. - Pubblico dominio.

TRATTO DA: Storia di un secolo, dal 1789 ai giorninostri : Fasc. II (dal 1821 al 1858). - Milano :Tip. Edoardo Sonzogno Edit., 1891. - 61 p. : ill. ;16 cm. – (Biblioteca del popolo ; 235)

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia di un secolo, dal 1789 ai giorninostri : Fasc. II (dal 1821 al 1858)AUTORE: Filopanti, Quirico (Barilli, Giuseppe)TRADUTTORE:CURATORE:NOTE:CODICE ISBN E-BOOK: 9788828102021

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: [elaborazione da] “Combat dans la gorgede Malakoff, le 8 septembre 1855” di Adolphe Yvon -Collections du château de Versailles, France -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Combat_dans_la_gorge_de_Malakoff,_le_8_septembre_1855_(par_Adolphe_Yvon).jpg. - Pubblico dominio.

TRATTO DA: Storia di un secolo, dal 1789 ai giorninostri : Fasc. II (dal 1821 al 1858). - Milano :Tip. Edoardo Sonzogno Edit., 1891. - 61 p. : ill. ;16 cm. – (Biblioteca del popolo ; 235)

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CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 settembre 20102a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 gennaio 2020

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:HIS000000 STORIA / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Paolo Alberti, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Carlo F. Traverso (ePub)Marco Totolo (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 settembre 20102a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 gennaio 2020

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:HIS000000 STORIA / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Paolo Alberti, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Carlo F. Traverso (ePub)Marco Totolo (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generaleLiber Liber......................................................................4Rivoluzione greca. Rivoluzione francese del 1830........8ANNO 1848..................................................................18ANNO 1849 Repubblica romana.................................38DAL 1850 AL 1858 La Crimea....................................84

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Indice generaleLiber Liber......................................................................4Rivoluzione greca. Rivoluzione francese del 1830........8ANNO 1848..................................................................18ANNO 1849 Repubblica romana.................................38DAL 1850 AL 1858 La Crimea....................................84

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STORIA DI UN SECOLODAL 1789 AI GIORNI NOSTRI

FASCICOLO SECONDODAL 1821 al 1858

QUIRICO FILOPANTI

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STORIA DI UN SECOLODAL 1789 AI GIORNI NOSTRI

FASCICOLO SECONDODAL 1821 al 1858

QUIRICO FILOPANTI

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STORIA DI UN SECOLODAL 1821 AL 1848

Rivoluzione greca.Rivoluzione francese del 1830.

Quarantadue giorni prima della morte di Napoleone,cioè il 24 di marzo 1821, Ypsilanti, capo dell'Eteria elle-nica, proclamò a Yassy esser giunto il tempo di scacciargli Ottomani dall'Europa. Pochi giorni dopo questa di-chiarazione, scoppiò effettivamente a Patrasso la rivolu-zione della Grecia moderna. La guerra dell'insurrezioneellenica durò nove anni, cioè sino al 1830. Illustri si re-sero in quella guerra i nomi di Ypsilanti, di Maurocorda-to, di Capo d'Istria, di Miaulis, di Colocotroni, dei dueBotzaris. Tutto il Popolo ellenico in cumulo, uomini edonne, si mostraron degni dei loro padri; merito deiGreci moderni, ma di un occulto ordine di cose ancora,poichè l'anno 1821 (5821 massonico) nel quale l'Eteriafece scoppiare a Patrasso l'insurrezione Greca, era ilventesimo terzo anno secolare dell'anno più gloriosodella Grecia antica, cioè del 3521 massonico, che ful'anno delle battaglie delle Termopili, di Imera e di Sala-mina.

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STORIA DI UN SECOLODAL 1821 AL 1848

Rivoluzione greca.Rivoluzione francese del 1830.

Quarantadue giorni prima della morte di Napoleone,cioè il 24 di marzo 1821, Ypsilanti, capo dell'Eteria elle-nica, proclamò a Yassy esser giunto il tempo di scacciargli Ottomani dall'Europa. Pochi giorni dopo questa di-chiarazione, scoppiò effettivamente a Patrasso la rivolu-zione della Grecia moderna. La guerra dell'insurrezioneellenica durò nove anni, cioè sino al 1830. Illustri si re-sero in quella guerra i nomi di Ypsilanti, di Maurocorda-to, di Capo d'Istria, di Miaulis, di Colocotroni, dei dueBotzaris. Tutto il Popolo ellenico in cumulo, uomini edonne, si mostraron degni dei loro padri; merito deiGreci moderni, ma di un occulto ordine di cose ancora,poichè l'anno 1821 (5821 massonico) nel quale l'Eteriafece scoppiare a Patrasso l'insurrezione Greca, era ilventesimo terzo anno secolare dell'anno più gloriosodella Grecia antica, cioè del 3521 massonico, che ful'anno delle battaglie delle Termopili, di Imera e di Sala-mina.

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Memorabili furono, fra le altre vicende della guerradell'indipendenza ellenica, le due difese di Missolungi.La prima avvenne nel 1822. Marco Botzaris, ad imita-zione di Leonida, penetrò nottetempo nel campo deiTurchi assedianti, con soli 240 uomini; e dopo aversparsa la strage fra i nemici, si fece eroicamente trucida-re insieme co' suoi compagni. Rinnovossi l'assedio diMissolungi nel 1826. Un altro Botzaris, cioè Noto Bo-tzaris, era il comandante della città. Dopo l'estremo del-la resistenza penetraronvi i Turchi; ma Noto Botzaris,dando fuoco al magazzino delle polveri, fece saltar inaria sè stesso, il presidio, i Turchi e la fortezza.

Nel 1820 era avvenuta la rivoluzione, prima in Ispa-gna poi a Napoli. Nel 1821 avvenne in Piemonte. In tuttie tre i luoghi fu proclamata la costituzione Spagnuoladel 1812. Fu abbattuta però dagli Austriaci, durante ilmedesimo anno 1821, in Piemonte e nel regno di Napo-li; e nel 1823 in Ispagna dai Francesi; per ripristinare intutti e tre i luoghi la monarchia assoluta.

Nel giorno 6 luglio nostro, 24 giugno pei Russi e peiGreci, dell'anno 1827, le tre potenze di Francia, GranBretagna e Russia, guarentirono la pacificazione el'autonomia della Grecia. Nell'anno stesso, la grande pu-gna navale di Navarino fu vinta dalle flotte alleate delletre potenze protettrici, contro la flotta Ottomana, nelgiorno 20 ottobre.

Carlo X re di Francia, preparò il colpo di Stato, medi-tato da lui, da Polignac e dagli altri suoi ministri, scio-gliendo la Camera legislativa con decreto del 16 maggio

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Memorabili furono, fra le altre vicende della guerradell'indipendenza ellenica, le due difese di Missolungi.La prima avvenne nel 1822. Marco Botzaris, ad imita-zione di Leonida, penetrò nottetempo nel campo deiTurchi assedianti, con soli 240 uomini; e dopo aversparsa la strage fra i nemici, si fece eroicamente trucida-re insieme co' suoi compagni. Rinnovossi l'assedio diMissolungi nel 1826. Un altro Botzaris, cioè Noto Bo-tzaris, era il comandante della città. Dopo l'estremo del-la resistenza penetraronvi i Turchi; ma Noto Botzaris,dando fuoco al magazzino delle polveri, fece saltar inaria sè stesso, il presidio, i Turchi e la fortezza.

Nel 1820 era avvenuta la rivoluzione, prima in Ispa-gna poi a Napoli. Nel 1821 avvenne in Piemonte. In tuttie tre i luoghi fu proclamata la costituzione Spagnuoladel 1812. Fu abbattuta però dagli Austriaci, durante ilmedesimo anno 1821, in Piemonte e nel regno di Napo-li; e nel 1823 in Ispagna dai Francesi; per ripristinare intutti e tre i luoghi la monarchia assoluta.

Nel giorno 6 luglio nostro, 24 giugno pei Russi e peiGreci, dell'anno 1827, le tre potenze di Francia, GranBretagna e Russia, guarentirono la pacificazione el'autonomia della Grecia. Nell'anno stesso, la grande pu-gna navale di Navarino fu vinta dalle flotte alleate delletre potenze protettrici, contro la flotta Ottomana, nelgiorno 20 ottobre.

Carlo X re di Francia, preparò il colpo di Stato, medi-tato da lui, da Polignac e dagli altri suoi ministri, scio-gliendo la Camera legislativa con decreto del 16 maggio

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1830. Il re Carlo X pubblicò le ordinanze contro la li-bertà della stampa ai 25 di luglio 1830. Quelle ordinan-ze violavano apertamente, ed in due modi, la costituzio-ne del 1814, perchè si promulgarono senza l'assenza delParlamento, e perchè la Carta costituzionale guarentivala libertà della stampa. La rivoluzione, perciò, divennenecessaria e legittima. Il popolo di Parigi insorse nelgiorno 27. Nel giorno 29 di luglio, ultima delle tre fa-mose giornate, ottenne piena vittoria, e costrinse CarloX alla fuga. La rivoluzione francese del 1830, comequelle del 1789, del 1792, del 1848 e del 1870, presen-tano delle notabili armonie cronologiche colle date di al-cuni dei principali avvenimenti della storia di Roma an-tica. Ognuno che il voglia potrà prenderne special co-gnizione confrontando le date degli anni e dei giorni.

La Camera dei Pari e la Camera dei Deputati adotta-rono una Costituzione alquanto più liberale di quella ac-cordata da Luigi XVIII nel 1814. La principal differenzaconsisteva in una estensione del diritto elettorale, di gui-sa che dove gli elettori, sotto Carlo X, erano circa ottan-tamila per tutto il regno, furono un po' più di duecento-mila colla nuova Carta; base eccessivamente ristrettaancora, la quale condusse ad un'altra rivoluzione dopodiciotto anni. Addì 9 di agosto 1830 le Camere nomina-rono re dei Francesi Luigi Filippo d'Orléans, figlio diquello che nella grande rivoluzione assunse il titolo diFilippo Égalité, e fu decapitato nel 1793. La Camera deiPari poteva, per legge, condannare alla morte i ministridi Carlo X, per aver violato lo Statuto, ed aver fatto tira-

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1830. Il re Carlo X pubblicò le ordinanze contro la li-bertà della stampa ai 25 di luglio 1830. Quelle ordinan-ze violavano apertamente, ed in due modi, la costituzio-ne del 1814, perchè si promulgarono senza l'assenza delParlamento, e perchè la Carta costituzionale guarentivala libertà della stampa. La rivoluzione, perciò, divennenecessaria e legittima. Il popolo di Parigi insorse nelgiorno 27. Nel giorno 29 di luglio, ultima delle tre fa-mose giornate, ottenne piena vittoria, e costrinse CarloX alla fuga. La rivoluzione francese del 1830, comequelle del 1789, del 1792, del 1848 e del 1870, presen-tano delle notabili armonie cronologiche colle date di al-cuni dei principali avvenimenti della storia di Roma an-tica. Ognuno che il voglia potrà prenderne special co-gnizione confrontando le date degli anni e dei giorni.

La Camera dei Pari e la Camera dei Deputati adotta-rono una Costituzione alquanto più liberale di quella ac-cordata da Luigi XVIII nel 1814. La principal differenzaconsisteva in una estensione del diritto elettorale, di gui-sa che dove gli elettori, sotto Carlo X, erano circa ottan-tamila per tutto il regno, furono un po' più di duecento-mila colla nuova Carta; base eccessivamente ristrettaancora, la quale condusse ad un'altra rivoluzione dopodiciotto anni. Addì 9 di agosto 1830 le Camere nomina-rono re dei Francesi Luigi Filippo d'Orléans, figlio diquello che nella grande rivoluzione assunse il titolo diFilippo Égalité, e fu decapitato nel 1793. La Camera deiPari poteva, per legge, condannare alla morte i ministridi Carlo X, per aver violato lo Statuto, ed aver fatto tira-

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re sul popolo, non in difesa della legge, ma contro diessa; ma li dannò soltanto alla prigionia perpetua o tem-poranea. Polignac, primo ministro di Carlo X, mentretentava d'imbarcarsi per l'Inghilterra in compagnia disua moglie, fu scoperto per una ridicola circostanza, si-mile a quella che fece scoprire ed arrestare Luigi XVI.Polignac voleva figurare come il servo di sua moglie;ma il loro albergatore notò che il preteso lacchè avevadelle mani aristocratiche, e si metteva dei guanti per pu-lire le scarpe della pretesa padrona. Più tardi Luigi Filip-po commutò ai fedifraghi ministri la pena del carcere inquella dell'esilio.

Nel medesimo anno 1830 scoppiò la rivoluzione an-che nel Belgio, ai 26 di novembre. In quell'anno pure furiconosciuta l'indipendenza della Grecia.

Il 29 novembre 1830 ebbe cominciamento a Varsaviala formidabile insurrezione della Polonia contro il giogodella Russia; ma fu soffocata nel sangue dieci mesidopo.

Quel memorabile anno fu illustrato ancora da un av-venimento pacifico di capitale importanza. Già da buontempo eranvi delle strade a rotaje di lastra di pietra aMilano, ed in altre città d'Italia; poi vi furono delle stra-de ferrate a cavalli nelle miniere d'Inghilterra. Nel 1825si aperse al pubblico la prima ferrovia per passeggieri emerci, ma con tiro di cavalli. Fu il primo esempio diquel genere economico di strade ferrate che oggi chia-mano, con vocabolo creato dagli Americani, tramways,o, con parola composta derivata dal greco, ipposidere.

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re sul popolo, non in difesa della legge, ma contro diessa; ma li dannò soltanto alla prigionia perpetua o tem-poranea. Polignac, primo ministro di Carlo X, mentretentava d'imbarcarsi per l'Inghilterra in compagnia disua moglie, fu scoperto per una ridicola circostanza, si-mile a quella che fece scoprire ed arrestare Luigi XVI.Polignac voleva figurare come il servo di sua moglie;ma il loro albergatore notò che il preteso lacchè avevadelle mani aristocratiche, e si metteva dei guanti per pu-lire le scarpe della pretesa padrona. Più tardi Luigi Filip-po commutò ai fedifraghi ministri la pena del carcere inquella dell'esilio.

Nel medesimo anno 1830 scoppiò la rivoluzione an-che nel Belgio, ai 26 di novembre. In quell'anno pure furiconosciuta l'indipendenza della Grecia.

Il 29 novembre 1830 ebbe cominciamento a Varsaviala formidabile insurrezione della Polonia contro il giogodella Russia; ma fu soffocata nel sangue dieci mesidopo.

Quel memorabile anno fu illustrato ancora da un av-venimento pacifico di capitale importanza. Già da buontempo eranvi delle strade a rotaje di lastra di pietra aMilano, ed in altre città d'Italia; poi vi furono delle stra-de ferrate a cavalli nelle miniere d'Inghilterra. Nel 1825si aperse al pubblico la prima ferrovia per passeggieri emerci, ma con tiro di cavalli. Fu il primo esempio diquel genere economico di strade ferrate che oggi chia-mano, con vocabolo creato dagli Americani, tramways,o, con parola composta derivata dal greco, ipposidere.

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Ma nell'anno 1830, e precisamente addì 14 di giugno,anniversario della battaglia di Marengo, si fece la primaprova dell'attuale sistema di strade ferrate propriamentedette, cioè con guide di ferro, e con macchina locomoti-va a vapore, da Liverpool a Manchester. Venne solenne-mente aperta al pubblico nel giorno 15 di settembre1830.

Nel susseguente anno 1831 fuvvi un serio tentativo dirivoluzione nell'Italia centrale. Nella notte dal 3 al 4 difebbrajo, Ciro Menotti, a Modena,stava concertandosi in casa sua conaltri congiurati, fra i quali eravi an-che Nicola Fabrizi, per rovesciarein quella notte stessa il governo delduca Francesco IV; ma il duca liprevenne assalendo la casa di Me-notti, il quale, in un coi suoi com-pagni, dopo breve resistenza, fu fat-to prigioniero.

Il duca mandò per istaffetta al governatore di Reggiouna laconica e caratteristica lettera:

«Questa notte è scoppiata la rivolta. – Mandatemi ilboja.

«FRANCESCO.»

Nella seguente notte, dal 4 al 5, proruppe l'insurrezio-ne, con miglior successo, a Bologna. Ricevutane la noti-zia il duca di Modena prese la fuga, e corse a ripararsinella forte città di Mantova, appartenente all'imperatore

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Ma nell'anno 1830, e precisamente addì 14 di giugno,anniversario della battaglia di Marengo, si fece la primaprova dell'attuale sistema di strade ferrate propriamentedette, cioè con guide di ferro, e con macchina locomoti-va a vapore, da Liverpool a Manchester. Venne solenne-mente aperta al pubblico nel giorno 15 di settembre1830.

Nel susseguente anno 1831 fuvvi un serio tentativo dirivoluzione nell'Italia centrale. Nella notte dal 3 al 4 difebbrajo, Ciro Menotti, a Modena,stava concertandosi in casa sua conaltri congiurati, fra i quali eravi an-che Nicola Fabrizi, per rovesciarein quella notte stessa il governo delduca Francesco IV; ma il duca liprevenne assalendo la casa di Me-notti, il quale, in un coi suoi com-pagni, dopo breve resistenza, fu fat-to prigioniero.

Il duca mandò per istaffetta al governatore di Reggiouna laconica e caratteristica lettera:

«Questa notte è scoppiata la rivolta. – Mandatemi ilboja.

«FRANCESCO.»

Nella seguente notte, dal 4 al 5, proruppe l'insurrezio-ne, con miglior successo, a Bologna. Ricevutane la noti-zia il duca di Modena prese la fuga, e corse a ripararsinella forte città di Mantova, appartenente all'imperatore

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d'Austria suo cugino; ma si fece seguire nel viaggio dal-le sue truppe, da Ciro Menotti incatenato, e dal carnefi-ce che aveva chiamato da Reggio.

Da Bologna l'insurrezione si propagò sollecitamente atutta l'Emilia, cioè alle altre legazioni pontificie, ed aiducati di Modena e di Parma. Si estese pure alla Marcad'Ancona ed all'Umbria, o provincia di Perugia. Una co-lonna d'insorti, condotta dal generale Sercognani, spin-gevasi verso Roma, ed era già pervenuta ad Otricoli.Militavano quali volontarij, nella colonna Sercognani, idue fratelli Bonaparte, Carlo e Luigi Napoleone, figli diLuigi che fu re di Olanda. Il primo dei due fratelli morì,poco dopo, di malattia, a Forlì; il secondo divenne piùtardi imperatore dei Francesi. Ma anche quel tentativodi liberazione dell'Italia fu schiacciato dagli Austriacicolla battaglia di Rimini, combattuta il 25 marzo 1831, ecolla susseguente presa d'Ancona.

I quattro grandi esperimenti rivoluzionarii italiani del1815, del 1820, del 1821 e del 1831, benchè il primofosse visibilmente capitanato da Gioachino Murat re diNapoli, furono tutti preparati e promossi dall'Eteria, osocietà segreta dei Carbonari. In parte fu promossa dallaCarboneria anche la rivoluzione francese del 1830.

La rivoluzione, atterrata in un luogo, risorgeva piùpotente in quello stesso luogo od altrove, come l'Anteodella favola. L'Ercole che soffocherà lo spirito rivolu-zionario, non deve e non può essere la monarchia asso-luta: il vero e giusto domatore dev'essere il trionfo paci-fico e legittimo dei diritti del Popolo. Addì 24 di febbra-

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d'Austria suo cugino; ma si fece seguire nel viaggio dal-le sue truppe, da Ciro Menotti incatenato, e dal carnefi-ce che aveva chiamato da Reggio.

Da Bologna l'insurrezione si propagò sollecitamente atutta l'Emilia, cioè alle altre legazioni pontificie, ed aiducati di Modena e di Parma. Si estese pure alla Marcad'Ancona ed all'Umbria, o provincia di Perugia. Una co-lonna d'insorti, condotta dal generale Sercognani, spin-gevasi verso Roma, ed era già pervenuta ad Otricoli.Militavano quali volontarij, nella colonna Sercognani, idue fratelli Bonaparte, Carlo e Luigi Napoleone, figli diLuigi che fu re di Olanda. Il primo dei due fratelli morì,poco dopo, di malattia, a Forlì; il secondo divenne piùtardi imperatore dei Francesi. Ma anche quel tentativodi liberazione dell'Italia fu schiacciato dagli Austriacicolla battaglia di Rimini, combattuta il 25 marzo 1831, ecolla susseguente presa d'Ancona.

I quattro grandi esperimenti rivoluzionarii italiani del1815, del 1820, del 1821 e del 1831, benchè il primofosse visibilmente capitanato da Gioachino Murat re diNapoli, furono tutti preparati e promossi dall'Eteria, osocietà segreta dei Carbonari. In parte fu promossa dallaCarboneria anche la rivoluzione francese del 1830.

La rivoluzione, atterrata in un luogo, risorgeva piùpotente in quello stesso luogo od altrove, come l'Anteodella favola. L'Ercole che soffocherà lo spirito rivolu-zionario, non deve e non può essere la monarchia asso-luta: il vero e giusto domatore dev'essere il trionfo paci-fico e legittimo dei diritti del Popolo. Addì 24 di febbra-

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jo 1832 la rivoluzione di Portogallo fu iniziata da DonPedro col prendere possesso dell'isola di Terceira, e fucompita col riconoscimento di sua figlia Donna Mariade Gloria, regina legittima e costituzionale.

La emancipazione degli schiavi nelle colonie Inglesi,decretata dal Parlamento nel 1833, fu recata ad effettonel 1834, decimo ottavo anno secolare della morte diGesù Cristo. Isabella II, fanciulla di due anni, fu procla-mata regina di Spagna nel 1833; e nel seguente anno1834 la reggente Maria Cristina, sua madre, aperse leCortes, o Parlamento spagnuolo, dietro uno statuto con-cordato fra la reggente ed i capi di parte liberale ai 24 diluglio del 1834.

L'Europa non vide alcuna grande rivoluzione politicadal 1834 al 1848; però nel 1843 fu rovesciata la reggen-za di Espartero in Ispagna; vi fu una secondaria, pacifica

rivoluzione ai 14 di settembre adAtene, ed un tentativo di rivolu-zione a Bologna in Italia. Nellostesso anno 1843 il mondo am-mirò la più splendida cometache siasi veduta nel presente se-colo. Un'altra quasi eguale si èveduta alla fine dell'anno 1882.Sono le due comete della piùpiccola distanza perielia che siconosca, avendo, l'una e l'altra,

rasentato quasi la superficie del Sole, per allontanarsenepoi nell'afelio, a molte migliaja di milioni di miglia.

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jo 1832 la rivoluzione di Portogallo fu iniziata da DonPedro col prendere possesso dell'isola di Terceira, e fucompita col riconoscimento di sua figlia Donna Mariade Gloria, regina legittima e costituzionale.

La emancipazione degli schiavi nelle colonie Inglesi,decretata dal Parlamento nel 1833, fu recata ad effettonel 1834, decimo ottavo anno secolare della morte diGesù Cristo. Isabella II, fanciulla di due anni, fu procla-mata regina di Spagna nel 1833; e nel seguente anno1834 la reggente Maria Cristina, sua madre, aperse leCortes, o Parlamento spagnuolo, dietro uno statuto con-cordato fra la reggente ed i capi di parte liberale ai 24 diluglio del 1834.

L'Europa non vide alcuna grande rivoluzione politicadal 1834 al 1848; però nel 1843 fu rovesciata la reggen-za di Espartero in Ispagna; vi fu una secondaria, pacifica

rivoluzione ai 14 di settembre adAtene, ed un tentativo di rivolu-zione a Bologna in Italia. Nellostesso anno 1843 il mondo am-mirò la più splendida cometache siasi veduta nel presente se-colo. Un'altra quasi eguale si èveduta alla fine dell'anno 1882.Sono le due comete della piùpiccola distanza perielia che siconosca, avendo, l'una e l'altra,

rasentato quasi la superficie del Sole, per allontanarsenepoi nell'afelio, a molte migliaja di milioni di miglia.

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Un impulso potente, benchè involontario, a nuove ri-voluzioni politiche, venne donde si sarebbe meno aspet-tato, cioè dalla sede pontificale romana. Pio IX, eletto il16 giugno 1846, pubblicò un decreto d'amnistia, in fa-vore dei numerosi prigionieri od esuli dello Stato Roma-no per causa politica, il 16 di luglio. Quest'atto di uma-nità, di giustizia e di sana politica, benchè accompagna-to da restrizioni le quali oggi moverebbero a sdegno, ec-citò in tutta l'Italia un entusiasmo straordinario, e spro-porzionato all'importanza intrinseca del decreto, maagevole a' spiegarsi per l'aspettazione che creò di moltomaggiori eventi.

Il pontefice, e dietro il suo esempio la maggior partedei principi che avevano dominio in Italia, trannel'imperatore d'Austria, accordarono varie riforme ammi-nistrative nel 1847; fra le altre una limitata libertà distampa, o per meglio dire una mitigazione dei rigori del-la censura preventiva: la Guardia nazionale, e la Consul-ta di Stato. La Consulta di Stato era una commissioneformata di due membri per ogni provincia, non però no-minati dal paese ma dal principe. Nè già ad essi era datauna voce deliberativa, ma una semplicemente consulta-tiva intorno agli affari di Stato, specialmente in materiadi finanze; che è quanto dire che il sovrano condiscen-deva ad ascoltare il loro parere, ma per adottarlo soltan-to nel caso che a lui piacesse. Nel 24 novembre, fu inau-gurato il nuovo municipio Romano, con cento consiglie-ri.

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Un impulso potente, benchè involontario, a nuove ri-voluzioni politiche, venne donde si sarebbe meno aspet-tato, cioè dalla sede pontificale romana. Pio IX, eletto il16 giugno 1846, pubblicò un decreto d'amnistia, in fa-vore dei numerosi prigionieri od esuli dello Stato Roma-no per causa politica, il 16 di luglio. Quest'atto di uma-nità, di giustizia e di sana politica, benchè accompagna-to da restrizioni le quali oggi moverebbero a sdegno, ec-citò in tutta l'Italia un entusiasmo straordinario, e spro-porzionato all'importanza intrinseca del decreto, maagevole a' spiegarsi per l'aspettazione che creò di moltomaggiori eventi.

Il pontefice, e dietro il suo esempio la maggior partedei principi che avevano dominio in Italia, trannel'imperatore d'Austria, accordarono varie riforme ammi-nistrative nel 1847; fra le altre una limitata libertà distampa, o per meglio dire una mitigazione dei rigori del-la censura preventiva: la Guardia nazionale, e la Consul-ta di Stato. La Consulta di Stato era una commissioneformata di due membri per ogni provincia, non però no-minati dal paese ma dal principe. Nè già ad essi era datauna voce deliberativa, ma una semplicemente consulta-tiva intorno agli affari di Stato, specialmente in materiadi finanze; che è quanto dire che il sovrano condiscen-deva ad ascoltare il loro parere, ma per adottarlo soltan-to nel caso che a lui piacesse. Nel 24 novembre, fu inau-gurato il nuovo municipio Romano, con cento consiglie-ri.

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Pio IX, sin dal principio del suo regno, gradiva gliomaggi popolari, e lasciavasi da essi condurre alquantoal di là del segno dove avrebbe voluto arrestarsi. Infineperò giunse un momento nel quale egli decisamente fe'sosta, ed allora la separazione, fra lui ed il partito libera-le, divenne inevitabile. Ma in quel periodo di quasi dueanni, cioè dal 16 luglio 1846 al 29 aprile 1848, la suapopolarità andò sempre aumentando. Ad ogni nuovaconcessione del Pontefice, incominciando da quelladell'amnistia, la moltitudine dei Romani si radunava lasera sulla magnifica piazza del Popolo, e con fiaccole otorcie accese, con musica istrumentale ed innumerevoligrida di Viva Pio IX, discendeva la lunga e diritta via delCorso sino alla piazza di Venezia, di là saliva al Quiri-nale, dove allora il Papa risiedeva. I colori furono dap-prima quelli della bandiera pontificia, bianca e gialla;poi s'incominciò ad aggiungervi il verde ed il rosso,quasi per maritare la bandiera di Pio IX collo stendardonazionale italiano; ma da ultimo comparvero i tre solicolori nazionali d'Italia, bianco, rosso e verde.

La bella e grande piazza del Quirinale, capace di con-tenere un centomila persone, ne era quasi piena. Pio IXsi presentava al gran verone, e colla mano e colla voceimplorava sopra gli astanti la benedizione del cielo. No-tai più volte, essendo presente a quel singolare spettaco-lo, che il silenzio della moltitudine era tale, che altrosuono non si udiva se non la bella e musicale voce diPio IX, ed il maestoso mormorìo della fontana, presso icolossi attribuiti a Fidia ed a Prassitele. Terminate le pa-

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Pio IX, sin dal principio del suo regno, gradiva gliomaggi popolari, e lasciavasi da essi condurre alquantoal di là del segno dove avrebbe voluto arrestarsi. Infineperò giunse un momento nel quale egli decisamente fe'sosta, ed allora la separazione, fra lui ed il partito libera-le, divenne inevitabile. Ma in quel periodo di quasi dueanni, cioè dal 16 luglio 1846 al 29 aprile 1848, la suapopolarità andò sempre aumentando. Ad ogni nuovaconcessione del Pontefice, incominciando da quelladell'amnistia, la moltitudine dei Romani si radunava lasera sulla magnifica piazza del Popolo, e con fiaccole otorcie accese, con musica istrumentale ed innumerevoligrida di Viva Pio IX, discendeva la lunga e diritta via delCorso sino alla piazza di Venezia, di là saliva al Quiri-nale, dove allora il Papa risiedeva. I colori furono dap-prima quelli della bandiera pontificia, bianca e gialla;poi s'incominciò ad aggiungervi il verde ed il rosso,quasi per maritare la bandiera di Pio IX collo stendardonazionale italiano; ma da ultimo comparvero i tre solicolori nazionali d'Italia, bianco, rosso e verde.

La bella e grande piazza del Quirinale, capace di con-tenere un centomila persone, ne era quasi piena. Pio IXsi presentava al gran verone, e colla mano e colla voceimplorava sopra gli astanti la benedizione del cielo. No-tai più volte, essendo presente a quel singolare spettaco-lo, che il silenzio della moltitudine era tale, che altrosuono non si udiva se non la bella e musicale voce diPio IX, ed il maestoso mormorìo della fontana, presso icolossi attribuiti a Fidia ed a Prassitele. Terminate le pa-

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role della pontificale benedizione, il popolo, con potenteaccordo d'intonazione, rispondeva: Amen. Confuse eprolungate per un pezzo ripeteva le grida: «Viva PioIX;» indi quietamente si ritirava. Così tenevasi viva nelPontefice la buona disposizione a concedere altre rifor-me. La plebe romana ha ereditato da' suoi remoti ante-nati questa prerogativa di saper fare le grandi dimostra-zioni collettive con una intelligenza dell'opportunità,con una disciplina e con una misura, non eguagliate daalcun altro popolo moderno. Il capo visibile e noto delledimostrazioni popolari, sotto Pio IX, era Ciceruacchio,popolano quasi illetterato, ma buono e generoso.

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role della pontificale benedizione, il popolo, con potenteaccordo d'intonazione, rispondeva: Amen. Confuse eprolungate per un pezzo ripeteva le grida: «Viva PioIX;» indi quietamente si ritirava. Così tenevasi viva nelPontefice la buona disposizione a concedere altre rifor-me. La plebe romana ha ereditato da' suoi remoti ante-nati questa prerogativa di saper fare le grandi dimostra-zioni collettive con una intelligenza dell'opportunità,con una disciplina e con una misura, non eguagliate daalcun altro popolo moderno. Il capo visibile e noto delledimostrazioni popolari, sotto Pio IX, era Ciceruacchio,popolano quasi illetterato, ma buono e generoso.

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ANNO 1848

L'ordine cronologico mi conduce ora a dover tesserela storia del memorabile anno 1848. Era il ventesimo se-sto anno secolare della fondazione di Roma. L'anno cen-tenario della più illustre città dell'Europa e del Mondofu così pieno di grandi avvenimenti per tutta l'Europa, especialmente per l'Italia, per la Francia, per la Germa-nia, e per l'impero Austriaco, che a voler far di tutti unparticolareggiato racconto, sarei costretto ad oltrepassa-re di troppo il numero di pagine conveniente ad un sem-plice compendio sintetico di Storia Universale. Perciò,spiegando con qualche diffusione alcuni dei principalieventi di quell'anno, mi limiterò di accennarne più altricol loro titolo, e colla loro rispettiva data.

Nel giorno 12 gennajo 1848, insurrezione di Palermocontro il re di Napoli.

28 gennajo promessa di una costituzione liberale,pubblicata da Federico re di Danimarca.

29 gennajo promessa pubblica di una costituzione daFerdinando re di Napoli.

8 febbrajo 1848 simile promessa di Carlo Alberto redi Sardegna.

11 febbrajo altrettanto da Leopoldo Granduca di To-scana.

24 febbrajo, il re di Napoli giura la costituzione.Nell'identico giorno, 24 febbrajo 1848, ebbe luogo in

Francia un avvenimento assai più importante. Dopo tre,17

ANNO 1848

L'ordine cronologico mi conduce ora a dover tesserela storia del memorabile anno 1848. Era il ventesimo se-sto anno secolare della fondazione di Roma. L'anno cen-tenario della più illustre città dell'Europa e del Mondofu così pieno di grandi avvenimenti per tutta l'Europa, especialmente per l'Italia, per la Francia, per la Germa-nia, e per l'impero Austriaco, che a voler far di tutti unparticolareggiato racconto, sarei costretto ad oltrepassa-re di troppo il numero di pagine conveniente ad un sem-plice compendio sintetico di Storia Universale. Perciò,spiegando con qualche diffusione alcuni dei principalieventi di quell'anno, mi limiterò di accennarne più altricol loro titolo, e colla loro rispettiva data.

Nel giorno 12 gennajo 1848, insurrezione di Palermocontro il re di Napoli.

28 gennajo promessa di una costituzione liberale,pubblicata da Federico re di Danimarca.

29 gennajo promessa pubblica di una costituzione daFerdinando re di Napoli.

8 febbrajo 1848 simile promessa di Carlo Alberto redi Sardegna.

11 febbrajo altrettanto da Leopoldo Granduca di To-scana.

24 febbrajo, il re di Napoli giura la costituzione.Nell'identico giorno, 24 febbrajo 1848, ebbe luogo in

Francia un avvenimento assai più importante. Dopo tre,17

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giorni di insurrezione, 22, 23 e 24 febbrajo, il re LuigiFilippo fuggì da Parigi, e fu proclamata la Repubblicafrancese.

La notizia della nuova rivoluzione francese mise sos-sopra l'Europa. Pio IX, il quale l'aveva precorsa, e datoad essa un involontario impulso colle sue piccole rifor-me, ne accordò una seria e grande, benchè in breve di-venne insufficiente ancor essa. Nel giorno 14 di marzo1848, firmò una costituzione della solita forma inglese,e più prossimamente calcata su quella del già cadutoLuigi Filippo. Tali erano pure le costituzioni precedente-mente accordate dal re di Napoli, dal re di Sardegna, edal Granduca di Toscana.

I grandi avvenimenti della Francia e dell'Italia sve-gliarono uno straordinario fermento politico anche in al-tre parti dell'Europa. L'indomani della costituzione diPio IX, cioè il 15 marzo, scoppiò la rivoluzione a Vien-na, capitale dell'impero Austriaco. Gli Ungheresi pureinsorsero, e si dichiararono indipendenti. Il 18 marzoscoppiò la rivoluzione a Berlino, capitale del regno diPrussia. Altre rivoluzioni vi furono nei piccoli stati Ger-manici, e specialmente un'insurrezione repubblicana nelGranducato di Baden. Al 20 aprile avvenne uno scontrofra i repubblicani e le truppe ducali, che costò la vita alcomandante di queste, generale Gagern. Adunatasil'assemblea costituente Germanica in Francoforte il 18maggio 1848, offerse la corona imperiale di Germania alre di Prussia, Federico Guglielmo IV, il quale la ricusò,essendo avverso alla rivoluzione. Ancora più nemico

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giorni di insurrezione, 22, 23 e 24 febbrajo, il re LuigiFilippo fuggì da Parigi, e fu proclamata la Repubblicafrancese.

La notizia della nuova rivoluzione francese mise sos-sopra l'Europa. Pio IX, il quale l'aveva precorsa, e datoad essa un involontario impulso colle sue piccole rifor-me, ne accordò una seria e grande, benchè in breve di-venne insufficiente ancor essa. Nel giorno 14 di marzo1848, firmò una costituzione della solita forma inglese,e più prossimamente calcata su quella del già cadutoLuigi Filippo. Tali erano pure le costituzioni precedente-mente accordate dal re di Napoli, dal re di Sardegna, edal Granduca di Toscana.

I grandi avvenimenti della Francia e dell'Italia sve-gliarono uno straordinario fermento politico anche in al-tre parti dell'Europa. L'indomani della costituzione diPio IX, cioè il 15 marzo, scoppiò la rivoluzione a Vien-na, capitale dell'impero Austriaco. Gli Ungheresi pureinsorsero, e si dichiararono indipendenti. Il 18 marzoscoppiò la rivoluzione a Berlino, capitale del regno diPrussia. Altre rivoluzioni vi furono nei piccoli stati Ger-manici, e specialmente un'insurrezione repubblicana nelGranducato di Baden. Al 20 aprile avvenne uno scontrofra i repubblicani e le truppe ducali, che costò la vita alcomandante di queste, generale Gagern. Adunatasil'assemblea costituente Germanica in Francoforte il 18maggio 1848, offerse la corona imperiale di Germania alre di Prussia, Federico Guglielmo IV, il quale la ricusò,essendo avverso alla rivoluzione. Ancora più nemico

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alla rivoluzione era il suo fratello Guglielmo, poscia im-peratore di Germania. In seguito del rifiuto di Prussia, lapresidenza della nazione Germanica fu conferitadall'assemblea costituente all'arciduca Giovannid'Austria. Una costituzione germanica fu poscia procla-mata dall'assemblea stessa nel giorno 9 di febbrajo1849, cioè nell'identico giorno nel quale, come vedre-mo, fu proclamata la Repubblica dalla Costituente Ro-mana; ma l'una e l'altra istituzione ebbero breve vita.

Avendo la rivoluzione francese del 1848 creata unaforte agitazione anche nel Belgio, per la proclamazionedella Repubblica ed in favore di un'annessione allaFrancia, il re Leopoldo primo si dichiarò pronto di offri-re al popolo la propria abdicazione, se era desiderata;ma questo nobile atto di moderazione gli rese vieppiùaffezionati gli animi della grande pluralità de' suoi sud-diti. Fu pregato di rimanere, e rimase.

Eravi da molti anni in Inghilterra un partito democra-tico fortemente organizzato, e con un grandissimo nu-mero di aderenti, specialmente fra i proletarii. Si chia-mavano i Cartisti, perchè domandavano una carta o sta-tuto del Popolo. I loro capi più celebri furono Hume,Owen, O' Connor. Quest'ultimo era Irlandese, come loera l'ancor più celebre O' Connell, il quale si limitava adomandare giustizia all'Irlanda, e la separazione ammi-nistrativa di quell'isola dall'Inghilterra. O' Connell morìnel 1847. I diritti invocati dai Cartisti in favore del po-polo erano il suffragio universale, Parlamenti annui,voto segreto, retribuzione ai deputati, abolizione del

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alla rivoluzione era il suo fratello Guglielmo, poscia im-peratore di Germania. In seguito del rifiuto di Prussia, lapresidenza della nazione Germanica fu conferitadall'assemblea costituente all'arciduca Giovannid'Austria. Una costituzione germanica fu poscia procla-mata dall'assemblea stessa nel giorno 9 di febbrajo1849, cioè nell'identico giorno nel quale, come vedre-mo, fu proclamata la Repubblica dalla Costituente Ro-mana; ma l'una e l'altra istituzione ebbero breve vita.

Avendo la rivoluzione francese del 1848 creata unaforte agitazione anche nel Belgio, per la proclamazionedella Repubblica ed in favore di un'annessione allaFrancia, il re Leopoldo primo si dichiarò pronto di offri-re al popolo la propria abdicazione, se era desiderata;ma questo nobile atto di moderazione gli rese vieppiùaffezionati gli animi della grande pluralità de' suoi sud-diti. Fu pregato di rimanere, e rimase.

Eravi da molti anni in Inghilterra un partito democra-tico fortemente organizzato, e con un grandissimo nu-mero di aderenti, specialmente fra i proletarii. Si chia-mavano i Cartisti, perchè domandavano una carta o sta-tuto del Popolo. I loro capi più celebri furono Hume,Owen, O' Connor. Quest'ultimo era Irlandese, come loera l'ancor più celebre O' Connell, il quale si limitava adomandare giustizia all'Irlanda, e la separazione ammi-nistrativa di quell'isola dall'Inghilterra. O' Connell morìnel 1847. I diritti invocati dai Cartisti in favore del po-polo erano il suffragio universale, Parlamenti annui,voto segreto, retribuzione ai deputati, abolizione del

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censo come requisito elettorale, ed equiponderanza deidistretti elettorali.

Nel giorno 10 d'aprile 1848, i Cartisti tennero unagrande adunanza popolare all'aria aperta, nel prato diKensigton, a Londra, per andar in frotte a presentare unapetizione al Parlamento. Speravano un concorso di due-centomila persone: non ne ebbero che ventimila in circa.Il governo Inglese oppose alla dimostrazione cartista lachiamata sotto le armi e radunamento di centocinquan-tamila cittadini, precedentemente arruolati come guardiespeciali (special constables) con giuramento di tutelarel'ordine pubblico. La petizione cartista, munita di innu-merevoli firme precedentemente ottenute in rotoli sepa-rati, fu di fatto portata al Parlamento con un gran nume-ro di veicoli. Le imperfezioni dell'umana società sonotante, e si danno cosiffattamente la mano le une colle al-tre, che per ottenere una cosa anche giustissima è radoche basti la buona ragione, ove questa non sia fiancheg-giata da qualche forza. Se i cartisti fossero andati induecentomila, avrebbero forse ottenuto subito, non tuttociò che domandavano, ma quasi tutto: non tanto pel ti-more che avrebbero ispirato, ma perchè avrebbero rivol-to il pensiero altrui ad esaminar seriamente la ragione-volezza od irragionevolezza delle lor domande; e benpensandoci anche gli altri Inglesi avrebber trovato che lerichieste dei cartisti, al postutto, erano in gran parte giu-ste. Infatti col tempo le han riconosciute così poco de-menti ed abbominevoli, come dapprima le chiamavano,che a quest'ora sono in non piccola parte già soddisfatte.

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censo come requisito elettorale, ed equiponderanza deidistretti elettorali.

Nel giorno 10 d'aprile 1848, i Cartisti tennero unagrande adunanza popolare all'aria aperta, nel prato diKensigton, a Londra, per andar in frotte a presentare unapetizione al Parlamento. Speravano un concorso di due-centomila persone: non ne ebbero che ventimila in circa.Il governo Inglese oppose alla dimostrazione cartista lachiamata sotto le armi e radunamento di centocinquan-tamila cittadini, precedentemente arruolati come guardiespeciali (special constables) con giuramento di tutelarel'ordine pubblico. La petizione cartista, munita di innu-merevoli firme precedentemente ottenute in rotoli sepa-rati, fu di fatto portata al Parlamento con un gran nume-ro di veicoli. Le imperfezioni dell'umana società sonotante, e si danno cosiffattamente la mano le une colle al-tre, che per ottenere una cosa anche giustissima è radoche basti la buona ragione, ove questa non sia fiancheg-giata da qualche forza. Se i cartisti fossero andati induecentomila, avrebbero forse ottenuto subito, non tuttociò che domandavano, ma quasi tutto: non tanto pel ti-more che avrebbero ispirato, ma perchè avrebbero rivol-to il pensiero altrui ad esaminar seriamente la ragione-volezza od irragionevolezza delle lor domande; e benpensandoci anche gli altri Inglesi avrebber trovato che lerichieste dei cartisti, al postutto, erano in gran parte giu-ste. Infatti col tempo le han riconosciute così poco de-menti ed abbominevoli, come dapprima le chiamavano,che a quest'ora sono in non piccola parte già soddisfatte.

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Il Parlamento nulla concesse in quel giorno; ma in se-guito fu allargato il suffragio elettorale, diminuita l'ine-guaglianza dei distretti elettorali, e adottato il voto perischede segrete. Uno dei constabili speciali del 10 aprilefu Luigi Napoleone Bonaparte, il quale allora vivevacome esule in Londra, ma poco dopo tornò in Francia, edivenne presidente della Repubblica, indi Imperatore.

I grandi eventi si incalzavano cosiffattamente in quelmemorabile anno 1848, che ne sorgeva più d'uno in unmedesimo giorno, ed in diversi luoghi. Il giorno della ri-voluzione di Prussia, 18 marzo 1848, fu la prima dellecinque gloriose giornate di Milano. Radetzky avevaventiquattro grossi battaglioni di fanteria, sessanta can-noni da campo, e sei squadroni di cavalleria. Il popoloinaugurò la sua insurrezione coi sassi, e con pochi fucilida caccia, ma altri ne prese a forza dalla bottegadell'armajuolo Sassi, ed alzò alcune barricate. Gli Au-striaci occuparono i terrazzi del Duomo, per poter tirareda quell'altezza, contro gl'insorti nelle sottoposte piazze,e nella grande strada del Corso.

Nel seguente giorno gli Austriaci occuparono anchela strada del passeggio sui bastioni, che corona tutto in-tero il giro della città, onde giovarsi di quell'elevata po-sizione contro i cittadini, e per impedire che giugnesserorinforzi all'insurrezione dalla campagna. Ma gl'insortiMilanesi si fecero più forti pel loro proprio numero, tan-to più facilmente aumentato per essere quello un giornofestivo nel quale erano chiuse le officine; e rapirono agliAustriaci un cannone. Innumerevoli bandiere a tre colori

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Il Parlamento nulla concesse in quel giorno; ma in se-guito fu allargato il suffragio elettorale, diminuita l'ine-guaglianza dei distretti elettorali, e adottato il voto perischede segrete. Uno dei constabili speciali del 10 aprilefu Luigi Napoleone Bonaparte, il quale allora vivevacome esule in Londra, ma poco dopo tornò in Francia, edivenne presidente della Repubblica, indi Imperatore.

I grandi eventi si incalzavano cosiffattamente in quelmemorabile anno 1848, che ne sorgeva più d'uno in unmedesimo giorno, ed in diversi luoghi. Il giorno della ri-voluzione di Prussia, 18 marzo 1848, fu la prima dellecinque gloriose giornate di Milano. Radetzky avevaventiquattro grossi battaglioni di fanteria, sessanta can-noni da campo, e sei squadroni di cavalleria. Il popoloinaugurò la sua insurrezione coi sassi, e con pochi fucilida caccia, ma altri ne prese a forza dalla bottegadell'armajuolo Sassi, ed alzò alcune barricate. Gli Au-striaci occuparono i terrazzi del Duomo, per poter tirareda quell'altezza, contro gl'insorti nelle sottoposte piazze,e nella grande strada del Corso.

Nel seguente giorno gli Austriaci occuparono anchela strada del passeggio sui bastioni, che corona tutto in-tero il giro della città, onde giovarsi di quell'elevata po-sizione contro i cittadini, e per impedire che giugnesserorinforzi all'insurrezione dalla campagna. Ma gl'insortiMilanesi si fecero più forti pel loro proprio numero, tan-to più facilmente aumentato per essere quello un giornofestivo nel quale erano chiuse le officine; e rapirono agliAustriaci un cannone. Innumerevoli bandiere a tre colori

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sventolavano dalle finestre; suonavan le campane a stor-mo. Le barricate eran gremite di uomini e di fanciulli:uomini, donne e fanciulli gridavano: Viva Pio IX, vival'Italia.

Siamo al terzo giorno dell'insurrezione: gli Austriacivan perdendo terreno, ed abbandonano la centrale e do-minante posizione del Duomo. L'occupano tostogl'insorti, ed issano una bandiera a tre colori sopral'altissimo pinnacolo di quel maraviglioso tempio. Ilvessillo italiano visto dagli abitanti della campagna, an-che a grande distanza mercè i telescopii, diffonde la lie-ta notizia del progresso se non della definitiva vittoriadell'insurrezione, non ostante la continuata chiusura del-

le porte, ed il prolungato crepitaredelle fucilate, e tuonar del cannone.

Nel quarto giorno, cioè il 21 mar-zo, penetra in città un messaggio diCarlo Alberto re di Piemonte, cheoffre ajuto al Popolo. Radetzky do-manda un armistizio, il Popolo, perconsiglio di Carlo Cattaneo, respin-ge la proposta.

Il 22 marzo è la quinta e decisiva giornata. Scorre al-tro sangue Italiano, ma scorre in maggior copia il san-gue Austriaco. Rimane infine la vittoria all'amor di Pa-tria, all'amore della Libertà, alla fiducia nella protezionedel cielo. Radetzky, cogli avanzi del suo esercito, ab-bandona Milano.

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sventolavano dalle finestre; suonavan le campane a stor-mo. Le barricate eran gremite di uomini e di fanciulli:uomini, donne e fanciulli gridavano: Viva Pio IX, vival'Italia.

Siamo al terzo giorno dell'insurrezione: gli Austriacivan perdendo terreno, ed abbandonano la centrale e do-minante posizione del Duomo. L'occupano tostogl'insorti, ed issano una bandiera a tre colori sopral'altissimo pinnacolo di quel maraviglioso tempio. Ilvessillo italiano visto dagli abitanti della campagna, an-che a grande distanza mercè i telescopii, diffonde la lie-ta notizia del progresso se non della definitiva vittoriadell'insurrezione, non ostante la continuata chiusura del-

le porte, ed il prolungato crepitaredelle fucilate, e tuonar del cannone.

Nel quarto giorno, cioè il 21 mar-zo, penetra in città un messaggio diCarlo Alberto re di Piemonte, cheoffre ajuto al Popolo. Radetzky do-manda un armistizio, il Popolo, perconsiglio di Carlo Cattaneo, respin-ge la proposta.

Il 22 marzo è la quinta e decisiva giornata. Scorre al-tro sangue Italiano, ma scorre in maggior copia il san-gue Austriaco. Rimane infine la vittoria all'amor di Pa-tria, all'amore della Libertà, alla fiducia nella protezionedel cielo. Radetzky, cogli avanzi del suo esercito, ab-bandona Milano.

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In quel medesimo giorno, 22 marzo 1848, scoppiò etrionfò la rivoluzione a Venezia. Gli operai dell'arsenaleliberarono Daniele Manin dalla pri-gione, e lo portarono in trionfo sulleloro spalle. Abbiam veduto LuigiManin essere stato l'ultimo dogedella Repubblica di San Marco,estinta nel 1797. Daniele Manin fupresidente della democratica Repub-blica di Venezia nella lunga e glo-riosa difesa del 1848 e 1849. Il co-gnome di Manin gli veniva non da alcuna consanguinei-tà coll'ultimo Doge, ma dalla circostanza che un suo an-tenato Israelita, abbracciando la religione cristiana, futenuto al fonte battesimale da un membro di quella fa-miglia patrizia e ducale.

Tanto è vero, come già notai che i grandi avvenimentisi incalzavano senza posa in quel memorabile anno, chementre si combatteva sulle barricate a Milano, la DietaUngarese, nel giorno 19 di marzo consumò un atto dialta importanza, qual si fu l'abolire la servitù della gle-ba.

Sparsa appena per l'Italia la notizia della partenza de-gli Austriaci da Milano e da Venezia, nacque un'entusia-stica gara di accorrere alla guerra dell'indipendenza na-zionale da tutte le parti della penisola, dalla Sicilia edalla Sardegna, con un'incredibile profusione di grida edi canti, con un mediocre numero di armi e di armati,ma che pur sarebbero stati a sufficienza se fossero stati

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In quel medesimo giorno, 22 marzo 1848, scoppiò etrionfò la rivoluzione a Venezia. Gli operai dell'arsenaleliberarono Daniele Manin dalla pri-gione, e lo portarono in trionfo sulleloro spalle. Abbiam veduto LuigiManin essere stato l'ultimo dogedella Repubblica di San Marco,estinta nel 1797. Daniele Manin fupresidente della democratica Repub-blica di Venezia nella lunga e glo-riosa difesa del 1848 e 1849. Il co-gnome di Manin gli veniva non da alcuna consanguinei-tà coll'ultimo Doge, ma dalla circostanza che un suo an-tenato Israelita, abbracciando la religione cristiana, futenuto al fonte battesimale da un membro di quella fa-miglia patrizia e ducale.

Tanto è vero, come già notai che i grandi avvenimentisi incalzavano senza posa in quel memorabile anno, chementre si combatteva sulle barricate a Milano, la DietaUngarese, nel giorno 19 di marzo consumò un atto dialta importanza, qual si fu l'abolire la servitù della gle-ba.

Sparsa appena per l'Italia la notizia della partenza de-gli Austriaci da Milano e da Venezia, nacque un'entusia-stica gara di accorrere alla guerra dell'indipendenza na-zionale da tutte le parti della penisola, dalla Sicilia edalla Sardegna, con un'incredibile profusione di grida edi canti, con un mediocre numero di armi e di armati,ma che pur sarebbero stati a sufficienza se fossero stati

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uniti e ben condotti. Le donne versavano a piene mani ifiori sui volontari, che s'incamminavano al campo, fre-giati il petto di una croce a tre colori, perchè dicevanoesser questa una crociata liberale, bandita dal vicario diCristo.

Il così detto vicario di Cristo, dal canto suo, non in-tendeva di aver bandita alcuna crociata affatto; anzi ver-sò acqua sul fuoco di quel grande entusiasmo, pubbli-cando l'allocuzione del 29 aprile, nella quale dichiaravadi non voler la guerra coll'Austria. Contuttociò le mili-zie regolari pontificie, comandate dal general GiovanniDurando, le truppe regolari Toscane ed i volontarii to-scani, comandati dal general Laugier, ed altri volontariidello stato Romano e dei piccoli ducati, in due corpi se-parati, dei quali uno era comandato dal general Ferrari,e l'altro dal colonnello Zambeccari, avevano già passatoo passarono il Po. Carlo Alberto aveva varcato il Ticino,coll'esercito regolare Piemontese, sino dai primi giornidopo le cinque giornate di Milano; e non uno si avvisòdi tornarsene indietro per la enciclica pontificia. Moltialtri volontari, specialmente Lombardi, si unironoall'esercito Piemontese. Era in cammino verso la Lom-bardia anche un ragguardevole corpo di quattordici milasoldati Napoletani, sotto la guida del general GuglielmoPepe.

Se non che il 15 maggio vi fu contemporaneamenteuna sommossa in tre delle più grandi città di Europa,cioè una a Parigi, un'altra a Vienna, ed una terza a Na-poli. A Parigi ed a Vienna la parte popolare ebbe il van-

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uniti e ben condotti. Le donne versavano a piene mani ifiori sui volontari, che s'incamminavano al campo, fre-giati il petto di una croce a tre colori, perchè dicevanoesser questa una crociata liberale, bandita dal vicario diCristo.

Il così detto vicario di Cristo, dal canto suo, non in-tendeva di aver bandita alcuna crociata affatto; anzi ver-sò acqua sul fuoco di quel grande entusiasmo, pubbli-cando l'allocuzione del 29 aprile, nella quale dichiaravadi non voler la guerra coll'Austria. Contuttociò le mili-zie regolari pontificie, comandate dal general GiovanniDurando, le truppe regolari Toscane ed i volontarii to-scani, comandati dal general Laugier, ed altri volontariidello stato Romano e dei piccoli ducati, in due corpi se-parati, dei quali uno era comandato dal general Ferrari,e l'altro dal colonnello Zambeccari, avevano già passatoo passarono il Po. Carlo Alberto aveva varcato il Ticino,coll'esercito regolare Piemontese, sino dai primi giornidopo le cinque giornate di Milano; e non uno si avvisòdi tornarsene indietro per la enciclica pontificia. Moltialtri volontari, specialmente Lombardi, si unironoall'esercito Piemontese. Era in cammino verso la Lom-bardia anche un ragguardevole corpo di quattordici milasoldati Napoletani, sotto la guida del general GuglielmoPepe.

Se non che il 15 maggio vi fu contemporaneamenteuna sommossa in tre delle più grandi città di Europa,cioè una a Parigi, un'altra a Vienna, ed una terza a Na-poli. A Parigi ed a Vienna la parte popolare ebbe il van-

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taggio, ma fu schiacciata a Napoli. Cadde il ministero li-berale presieduto da Carlo Troja. Il re di Napoli affret-tossi a mandar l'ordine a' suoi soldati, giunti a Bologna,di retrocedere. I più obbedirono; ma il general Pepe conpochi altri uffiziali e soldati, passò il Po, e andò a dirige-re la difesa della città di Venezia.

Anche dopo la defezione del Papa e del Re di Napoli,rimanevano tante forze materiali e morali in Italia, chesarebbero state bastevoli a vincere, come già notai, sefossero state unite, e se il comandante supremo avesseconosciuto e seguito i principii elementari della Strate-gia. I volontari tutti erano abbastanza disposti a seguirgli ordini di Carlo Alberto. Per isventura, quantunqueegli fosse sinceramente devoto al principio della nazio-nalità italiana, sul campo di battaglia non era che un va-loroso soldato e non punto un buon generale.

L'esercito regolare Piemontese era all'assedio di Pe-schiera; l'esercito regolare Romano, o pontificio, era aVicenza; i Toscani erano a Curtatone presso Mantova;altri volontarii erano sotto Ferrari sulla Piave, ed altrisotto Zambeccari a Treviso; altri in maggior numerosotto il general Pepe a Venezia. Il maresciallo Radetzky:dopo aver lasciato alquanto di tempo a' suoi soldati perripigliare il loro ardire attutito dalle batoste Milanesi, edavendo ricevuto dei rinforzi condottigli dal generalD'Aspre, si accinse a prendere l'offensiva, ed a schiac-ciare successivamente le separate forze italiane. Dappri-ma egli piombò con tutto il pondo del suo esercito suiToscani, accampati alle Grazie, a Curtatone ed a Monta-

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taggio, ma fu schiacciata a Napoli. Cadde il ministero li-berale presieduto da Carlo Troja. Il re di Napoli affret-tossi a mandar l'ordine a' suoi soldati, giunti a Bologna,di retrocedere. I più obbedirono; ma il general Pepe conpochi altri uffiziali e soldati, passò il Po, e andò a dirige-re la difesa della città di Venezia.

Anche dopo la defezione del Papa e del Re di Napoli,rimanevano tante forze materiali e morali in Italia, chesarebbero state bastevoli a vincere, come già notai, sefossero state unite, e se il comandante supremo avesseconosciuto e seguito i principii elementari della Strate-gia. I volontari tutti erano abbastanza disposti a seguirgli ordini di Carlo Alberto. Per isventura, quantunqueegli fosse sinceramente devoto al principio della nazio-nalità italiana, sul campo di battaglia non era che un va-loroso soldato e non punto un buon generale.

L'esercito regolare Piemontese era all'assedio di Pe-schiera; l'esercito regolare Romano, o pontificio, era aVicenza; i Toscani erano a Curtatone presso Mantova;altri volontarii erano sotto Ferrari sulla Piave, ed altrisotto Zambeccari a Treviso; altri in maggior numerosotto il general Pepe a Venezia. Il maresciallo Radetzky:dopo aver lasciato alquanto di tempo a' suoi soldati perripigliare il loro ardire attutito dalle batoste Milanesi, edavendo ricevuto dei rinforzi condottigli dal generalD'Aspre, si accinse a prendere l'offensiva, ed a schiac-ciare successivamente le separate forze italiane. Dappri-ma egli piombò con tutto il pondo del suo esercito suiToscani, accampati alle Grazie, a Curtatone ed a Monta-

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nara, nel giorno 29 di maggio. Cinque mila giovani To-scani, con sei piccoli pezzi di cannone, resistettero persei ore a trentamila Austriaci, sostenuti da un formidabi-le parco di artiglieria. Fu notato fra gli altri un cannonie-re toscano, il quale, avendogli un razzo alla Congreveabbruciato il vestito, continuò in istato di nudità il servi-zio del suo pezzo. Nella sera, Radetzky ebbe a dire: nonavrei giammai pensato che quei ragazzi mi opponesserotanta resistenza. In mezzo a quei ragazzi eranvi ancoradei professori di Pisa, di Firenze e di Siena; e fra i primil'illustre matematico Mossotti. Eravi pure il virtuoso esimpatico Montanelli, che fu poscia collega di Domeni-co Guerrazzi, e di Giuseppe Mazzoni, nel triumviratotoscano.

L'indomani Radetzky procedette contro i Piemontesi,ed ingaggiò contro di essi battaglia a Goito. Aspra fu latenzone: ma questa volta le sorti arrisero al buon dritto,cioè a Carlo Alberto ed ai Piemontesi; se non che CarloAlberto non seppe profittare della vittoria. Il suo mini-stro della guerra, Franzini, nella sera del 30 gli disse:Sire, perchè non inseguiam noi il nemico che si ritira? Ilre gli rispose: non vedete che la pioggia ha sconciate lestrade? Come potrebbero passarvi i nostri cannoni? Ilministro avrebbe dovuto rispondere: i nostri possonoben passare in quello stesso modo con cui passano quel-li dei Tedeschi. D'altronde, Sire, un esercito che si ritiradeve inseguirsi colla cavalleria, coll'artiglieria, collafanteria, in qualunque modo si può. Se i nostri soldatisono stanchi, lo saranno vieppiù quegli altri. Una ritirata

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nara, nel giorno 29 di maggio. Cinque mila giovani To-scani, con sei piccoli pezzi di cannone, resistettero persei ore a trentamila Austriaci, sostenuti da un formidabi-le parco di artiglieria. Fu notato fra gli altri un cannonie-re toscano, il quale, avendogli un razzo alla Congreveabbruciato il vestito, continuò in istato di nudità il servi-zio del suo pezzo. Nella sera, Radetzky ebbe a dire: nonavrei giammai pensato che quei ragazzi mi opponesserotanta resistenza. In mezzo a quei ragazzi eranvi ancoradei professori di Pisa, di Firenze e di Siena; e fra i primil'illustre matematico Mossotti. Eravi pure il virtuoso esimpatico Montanelli, che fu poscia collega di Domeni-co Guerrazzi, e di Giuseppe Mazzoni, nel triumviratotoscano.

L'indomani Radetzky procedette contro i Piemontesi,ed ingaggiò contro di essi battaglia a Goito. Aspra fu latenzone: ma questa volta le sorti arrisero al buon dritto,cioè a Carlo Alberto ed ai Piemontesi; se non che CarloAlberto non seppe profittare della vittoria. Il suo mini-stro della guerra, Franzini, nella sera del 30 gli disse:Sire, perchè non inseguiam noi il nemico che si ritira? Ilre gli rispose: non vedete che la pioggia ha sconciate lestrade? Come potrebbero passarvi i nostri cannoni? Ilministro avrebbe dovuto rispondere: i nostri possonoben passare in quello stesso modo con cui passano quel-li dei Tedeschi. D'altronde, Sire, un esercito che si ritiradeve inseguirsi colla cavalleria, coll'artiglieria, collafanteria, in qualunque modo si può. Se i nostri soldatisono stanchi, lo saranno vieppiù quegli altri. Una ritirata

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vigorosamente incalzata si cambia quasi sempre in fugaprecipitosa.

In quella medesima sera della battaglia di Goito, ilpresidio austriaco di Peschiera, una delle quattro fortez-ze del famoso quadrilatero, si arrese agl'Italiani. Gio-vanni Durando non amava nè stimava i volontari italia-ni. Grave è la sua colpa di esser rimasto per lungo tem-po inerte, e di non aver dato il chiesto e promesso soc-corso a Ferrari. Il quale dopo buonaed onorata resistenza fu battuto daNugent a Cornuda, e si ritirò aMontebelluna. Nugent si avanzò eprese Treviso, dopo non breve dife-sa oppostagli dai volontarii di Zam-beccari.

Radetzky, non molestato da CarloAlberto, andò sopra Durando, che siera chiuso in Vicenza, tenendo sol-tanto all'esterno la forte posizionedel Monte Berico, ove è il santuario della Madonna. No-nostante la coraggiosa difesa delle truppe Romane, re-golari e volontarie, sulle mura della città, ed il valorespiegato dal reggimento svizzero per difendere il MonteBerico, dove pure fu ferito Massimo d'Azeglio, Durandostimò necessario dopo due soli giorni di combattimentoil venire a capitolazione. I patti della resa furono i me-desimi di quelli estorti a Zambeccari in Treviso, vale adire che le milizie italiane le quali uscivano da quelledue città non avessero a riprender le armi contro l'impe-

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vigorosamente incalzata si cambia quasi sempre in fugaprecipitosa.

In quella medesima sera della battaglia di Goito, ilpresidio austriaco di Peschiera, una delle quattro fortez-ze del famoso quadrilatero, si arrese agl'Italiani. Gio-vanni Durando non amava nè stimava i volontari italia-ni. Grave è la sua colpa di esser rimasto per lungo tem-po inerte, e di non aver dato il chiesto e promesso soc-corso a Ferrari. Il quale dopo buonaed onorata resistenza fu battuto daNugent a Cornuda, e si ritirò aMontebelluna. Nugent si avanzò eprese Treviso, dopo non breve dife-sa oppostagli dai volontarii di Zam-beccari.

Radetzky, non molestato da CarloAlberto, andò sopra Durando, che siera chiuso in Vicenza, tenendo sol-tanto all'esterno la forte posizionedel Monte Berico, ove è il santuario della Madonna. No-nostante la coraggiosa difesa delle truppe Romane, re-golari e volontarie, sulle mura della città, ed il valorespiegato dal reggimento svizzero per difendere il MonteBerico, dove pure fu ferito Massimo d'Azeglio, Durandostimò necessario dopo due soli giorni di combattimentoil venire a capitolazione. I patti della resa furono i me-desimi di quelli estorti a Zambeccari in Treviso, vale adire che le milizie italiane le quali uscivano da quelledue città non avessero a riprender le armi contro l'impe-

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ro austriaco per tre mesi. Non dirò vergognosa la con-dotta di Durando a Vicenza; ma per fermo la sua difesadi quella città fu meno onorevole e meno lunga di quellache i volontari da lui disprezzati avevano fatta a Trevi-so, e di quella che fecero dipoi a Bologna, ad Ancona aRoma ed a Venezia.

Così prostrati separatamente i volontarii, Radetzkypotè volger di nuovo, ma con miglior esito per lui, tuttele sue forze contro l'esercito regolare piemontese. Ne se-guì la finale e decisiva battaglia di Custoza, numerouno, il 25 luglio 1848. I Piemontesi, pochi, trafelati, sco-raggiati, affamati, furono vinti dagli Austriaci numero-sissimi, vigorosi, imbaldanziti, vettovagliati. Vedremopiù avanti, che vi fu un'altra battaglia di Custoza, nel1866, egualmente perduta dagl'Italiani per l'imperiziadei loro duci.

Radetzky adunque ebbe per alleato, in quel giorno,anche il digiuno nel campo italiano. Perocchè l'insipien-za ed il poco amore dei capi aveva lasciato mancare aipoveri soldati italiani il cibo, nelle grasse pianure lom-barde. I barbassori incolpano di mancato patriottismo icontadini perchè non diedero da mangiare all'esercito li-beratore; ma le pianure lombarde son grasse pei ricchiproprietari, e non pei miseri coltivatori. L'abitante di uncasolare di campagna avrà forse appena la polenta ne-cessaria alla sua famigliuola per uno o due giorni; pre-tendete voi che sappia e possa improvvisar il pranzo perun reggimento? Carlo Alberto, sfiduciato, si ritirò a Mi-

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ro austriaco per tre mesi. Non dirò vergognosa la con-dotta di Durando a Vicenza; ma per fermo la sua difesadi quella città fu meno onorevole e meno lunga di quellache i volontari da lui disprezzati avevano fatta a Trevi-so, e di quella che fecero dipoi a Bologna, ad Ancona aRoma ed a Venezia.

Così prostrati separatamente i volontarii, Radetzkypotè volger di nuovo, ma con miglior esito per lui, tuttele sue forze contro l'esercito regolare piemontese. Ne se-guì la finale e decisiva battaglia di Custoza, numerouno, il 25 luglio 1848. I Piemontesi, pochi, trafelati, sco-raggiati, affamati, furono vinti dagli Austriaci numero-sissimi, vigorosi, imbaldanziti, vettovagliati. Vedremopiù avanti, che vi fu un'altra battaglia di Custoza, nel1866, egualmente perduta dagl'Italiani per l'imperiziadei loro duci.

Radetzky adunque ebbe per alleato, in quel giorno,anche il digiuno nel campo italiano. Perocchè l'insipien-za ed il poco amore dei capi aveva lasciato mancare aipoveri soldati italiani il cibo, nelle grasse pianure lom-barde. I barbassori incolpano di mancato patriottismo icontadini perchè non diedero da mangiare all'esercito li-beratore; ma le pianure lombarde son grasse pei ricchiproprietari, e non pei miseri coltivatori. L'abitante di uncasolare di campagna avrà forse appena la polenta ne-cessaria alla sua famigliuola per uno o due giorni; pre-tendete voi che sappia e possa improvvisar il pranzo perun reggimento? Carlo Alberto, sfiduciato, si ritirò a Mi-

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lano, ed ivi patteggiò un armistizio coll'Austria il 9 ago-sto 1848.

Uno degli ultimi arrivati, ma ultimo a depor le armi inquella campagna, fu il general Giuseppe Garibaldi, dicui il nome ci verrà innanzi ben molto altre volte ancoranel seguito di questo volume. Già prima del 1848 il suonome era circondato da un'aureola di popolarità in Italiaper la fama delle prodezze da lui operate in America.Garibaldi nacque a Nizza nel 1807 ai 4 di luglio, anni-versario dell'indipendenza Americana. Ascritto alla so-cietà secreta della Giovine Italia fondata da GiuseppeMazzini, fu condannato a morte dal governo Piemontesenel 1834; ma per fortuna egli era allora assente dall'Ita-lia. Visse nei primi anni della sua vita, ora esercitando lapaterna professione di marinajo, ora dando lezioni dimatematica elementare a Marsiglia.

Recatosi nel 1836 nell'America meridionale, ricevettedalla Repubblica dell'Uruguai, di cui la capitale è Mon-tevideo, il comando del suo naviglio nella guerra controRosas, dittatore e tiranno della vicina Repubblica Ar-gentina, detta pure, dal nome della sua capitale, la re-pubblica di Buenos Ayres. Cose inaudite egli fece collesue poche e piccole navi armate, ma per meglio ajutarela repubblica dell'Uruguai contro le forze, numerica-mente assai maggiori, di Rosas, fondò la legione italia-na, ed alla testa di essa, sulle sponde del gran fiume del-la Plata, sostenne e vinse numerosi combattimenti. Insi-gne sopra gli altri combattimenti da lui sostenuti inAmerica, fu quello di Sant'Antonio del Salto, quando

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lano, ed ivi patteggiò un armistizio coll'Austria il 9 ago-sto 1848.

Uno degli ultimi arrivati, ma ultimo a depor le armi inquella campagna, fu il general Giuseppe Garibaldi, dicui il nome ci verrà innanzi ben molto altre volte ancoranel seguito di questo volume. Già prima del 1848 il suonome era circondato da un'aureola di popolarità in Italiaper la fama delle prodezze da lui operate in America.Garibaldi nacque a Nizza nel 1807 ai 4 di luglio, anni-versario dell'indipendenza Americana. Ascritto alla so-cietà secreta della Giovine Italia fondata da GiuseppeMazzini, fu condannato a morte dal governo Piemontesenel 1834; ma per fortuna egli era allora assente dall'Ita-lia. Visse nei primi anni della sua vita, ora esercitando lapaterna professione di marinajo, ora dando lezioni dimatematica elementare a Marsiglia.

Recatosi nel 1836 nell'America meridionale, ricevettedalla Repubblica dell'Uruguai, di cui la capitale è Mon-tevideo, il comando del suo naviglio nella guerra controRosas, dittatore e tiranno della vicina Repubblica Ar-gentina, detta pure, dal nome della sua capitale, la re-pubblica di Buenos Ayres. Cose inaudite egli fece collesue poche e piccole navi armate, ma per meglio ajutarela repubblica dell'Uruguai contro le forze, numerica-mente assai maggiori, di Rosas, fondò la legione italia-na, ed alla testa di essa, sulle sponde del gran fiume del-la Plata, sostenne e vinse numerosi combattimenti. Insi-gne sopra gli altri combattimenti da lui sostenuti inAmerica, fu quello di Sant'Antonio del Salto, quando

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nel giorno 8 di febbraio 1846, con quattro sole compa-gnie, dopo dodici ore di fuoco sbaragliò mille e dugentouomini.

Ricevuto l'annunzio della prossima rivoluzione del1848, Garibaldi fece vela da Montevideo in compagniadi cento altri italiani, sopra una nave che aveva nome LaSperanza, colla bandiera italiana a tre colori. Forme egliavea bellissime. Lunga e bionda era la sua chioma; i li-neamenti del suo volto somigliavan quelli coi quali i pit-tori rappresentar sogliono il Nazzareno. Lo sguardo de'suoi occhi azzurri era dolce e penetrante; forte, armo-niosa e simpatica la voce. Aveva l'anima Greca e Roma-na; l'anima di un artista e di un eroe.

Benchè freddamente ricevuto dal governo Piemontesea Torino, e dall'inetto governo provvisorio a Milano,Garibaldi radunò attorno al picciol nucleo condottodall'America una legione principalmente composta divolontari che si erano ritirati in seguito alla battaglia diCustoza, ed all'armistizio stipulato dal Salasco a Milanoin nome di Carlo Alberto. Dopo un brillante fatto d'armia Luino contro gli Austriaci, Garibaldi condusse in sal-vo i suoi nel cantone Italiano Svizzero del Ticino.

Prima che fosser trascorsi i tre mesi convenuti nellecapitolazioni di Treviso e di Vicenza, Radetzky mandòWelden contro Bologna. Strada facendo il Welden ab-bruciò Sermide, e pubblicò un bando nel quale, collostile degno di un piccolo Attila, egli diceva: «le mietruppe sono dirette contro le bande che si chiamano cro-ciati, e contro i faziosi. Guai a coloro che oseranno far

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nel giorno 8 di febbraio 1846, con quattro sole compa-gnie, dopo dodici ore di fuoco sbaragliò mille e dugentouomini.

Ricevuto l'annunzio della prossima rivoluzione del1848, Garibaldi fece vela da Montevideo in compagniadi cento altri italiani, sopra una nave che aveva nome LaSperanza, colla bandiera italiana a tre colori. Forme egliavea bellissime. Lunga e bionda era la sua chioma; i li-neamenti del suo volto somigliavan quelli coi quali i pit-tori rappresentar sogliono il Nazzareno. Lo sguardo de'suoi occhi azzurri era dolce e penetrante; forte, armo-niosa e simpatica la voce. Aveva l'anima Greca e Roma-na; l'anima di un artista e di un eroe.

Benchè freddamente ricevuto dal governo Piemontesea Torino, e dall'inetto governo provvisorio a Milano,Garibaldi radunò attorno al picciol nucleo condottodall'America una legione principalmente composta divolontari che si erano ritirati in seguito alla battaglia diCustoza, ed all'armistizio stipulato dal Salasco a Milanoin nome di Carlo Alberto. Dopo un brillante fatto d'armia Luino contro gli Austriaci, Garibaldi condusse in sal-vo i suoi nel cantone Italiano Svizzero del Ticino.

Prima che fosser trascorsi i tre mesi convenuti nellecapitolazioni di Treviso e di Vicenza, Radetzky mandòWelden contro Bologna. Strada facendo il Welden ab-bruciò Sermide, e pubblicò un bando nel quale, collostile degno di un piccolo Attila, egli diceva: «le mietruppe sono dirette contro le bande che si chiamano cro-ciati, e contro i faziosi. Guai a coloro che oseranno far

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resistenza! Volgete lo sguardo ai fumanti avanzi di Ser-mide. Il paese restò distrutto perchè gli abitanti fecerofuoco su' miei soldati.»

Il conte Bianchetti, il quale governava la legazione diBologna pel papa, mandò via non solo le truppe com-prese nelle capitolazioni di Treviso e di Vicenza, ma an-cora le altre, e diè fuori un codardo manifesto, col qualeconfortava i cittadini ad esser saggi, e a non opporre unainutile resistenza.

Nondimeno, prima dell'arrivo degli Austriaci, la ple-be si impadronì dei fucili mal custoditi della guardia na-zionale. Nel giorno 7 di agosto Welden, fermato il suoquartier generale al Borgo Panigale presso il ponte delReno, occupò le tre principali porte della città, San Feli-ce, Galliera e Maggiore. Occupò altresì la pubblica pas-seggiata della Montagnola, posta sopra una piccola altu-ra artificiale, residuo di un antico forte, dentro il recintodella città, ma all'estremità settentrionale di essa, inprossimità della porta di Galliera. I Bolognesi vedevano,fremevano, ma lasciavan fare.

Tutto ad un tratto, nel pomeriggio del giorno 8 ago-sto, quasi da improvvisa ed ignota forza sospinti, diederdi piglio alle armi. Bologna è una città singolare sottomolti rapporti morali ed ideali. È una città singolare an-che materialmente per essere quasi tutta a portici, a co-modo riparo dei passeggieri contro la pioggia ed il sole.I vecchi che costrussero quei pilastri e quelle colonnenon prevedevano che un giorno avrebbero ancora pre-

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resistenza! Volgete lo sguardo ai fumanti avanzi di Ser-mide. Il paese restò distrutto perchè gli abitanti fecerofuoco su' miei soldati.»

Il conte Bianchetti, il quale governava la legazione diBologna pel papa, mandò via non solo le truppe com-prese nelle capitolazioni di Treviso e di Vicenza, ma an-cora le altre, e diè fuori un codardo manifesto, col qualeconfortava i cittadini ad esser saggi, e a non opporre unainutile resistenza.

Nondimeno, prima dell'arrivo degli Austriaci, la ple-be si impadronì dei fucili mal custoditi della guardia na-zionale. Nel giorno 7 di agosto Welden, fermato il suoquartier generale al Borgo Panigale presso il ponte delReno, occupò le tre principali porte della città, San Feli-ce, Galliera e Maggiore. Occupò altresì la pubblica pas-seggiata della Montagnola, posta sopra una piccola altu-ra artificiale, residuo di un antico forte, dentro il recintodella città, ma all'estremità settentrionale di essa, inprossimità della porta di Galliera. I Bolognesi vedevano,fremevano, ma lasciavan fare.

Tutto ad un tratto, nel pomeriggio del giorno 8 ago-sto, quasi da improvvisa ed ignota forza sospinti, diederdi piglio alle armi. Bologna è una città singolare sottomolti rapporti morali ed ideali. È una città singolare an-che materialmente per essere quasi tutta a portici, a co-modo riparo dei passeggieri contro la pioggia ed il sole.I vecchi che costrussero quei pilastri e quelle colonnenon prevedevano che un giorno avrebbero ancora pre-

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stato ufficio di serraglie, o barricate, contro i colpi dimoschetto.

I cittadini cominciarono di lontano il fuoco coi fucili,nelle strade che conducono alla Piazza d'armi davantialla Montagnola, ed alla porta di Galliera. Gli Austriacirispondevano coi fucili, coi cannoni e colle bombe. I bo-lognesi caricavano il lor fucile tenendosi riparati dietrouna colonna, indi si spingevano infuori quanto bastavaper mirare e sparare. Si coprivano ancora fra le colonnericaricando l'arma, poi tiravan di nuovo: ma a poco pervolta si andavan facendo innanzi di colonna in colonna,di portico in portico, e stringevano, sempre più dappres-so, il nemico.

Durava da più di due ore il combattimento. Eran ca-duti al suolo non pochi dei nostri, ma un maggior nume-ro degli altri. Alcuni italiani più arditi, e buoni tiratori, efra essi i carabinieri o gendarmi, assalsero la Montagno-la di fianco, dalla parte del giuoco del pallone. Comin-ciava già a manifestarsi nelle fila austriache, poco ripa-rate dagli alberi del passeggio, una certa esitanza. Allafine un ben diretto colpo gettò giù da cavallo un mag-giore austriaco. Quello fu il segnale ed il principio dellafuga generale dei nostri nemici. Discesero dall'alturadella Montagnola, dalla parte di dietro, alla vicina portadi Galliera, e per quella uscirono dalla città. Tutto l'eser-cito di Welden si ritirò, con poco ordine; una parte per lavia di Galliera a Ferrara, e l'altra per la via Emilia a Mo-dena.

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stato ufficio di serraglie, o barricate, contro i colpi dimoschetto.

I cittadini cominciarono di lontano il fuoco coi fucili,nelle strade che conducono alla Piazza d'armi davantialla Montagnola, ed alla porta di Galliera. Gli Austriacirispondevano coi fucili, coi cannoni e colle bombe. I bo-lognesi caricavano il lor fucile tenendosi riparati dietrouna colonna, indi si spingevano infuori quanto bastavaper mirare e sparare. Si coprivano ancora fra le colonnericaricando l'arma, poi tiravan di nuovo: ma a poco pervolta si andavan facendo innanzi di colonna in colonna,di portico in portico, e stringevano, sempre più dappres-so, il nemico.

Durava da più di due ore il combattimento. Eran ca-duti al suolo non pochi dei nostri, ma un maggior nume-ro degli altri. Alcuni italiani più arditi, e buoni tiratori, efra essi i carabinieri o gendarmi, assalsero la Montagno-la di fianco, dalla parte del giuoco del pallone. Comin-ciava già a manifestarsi nelle fila austriache, poco ripa-rate dagli alberi del passeggio, una certa esitanza. Allafine un ben diretto colpo gettò giù da cavallo un mag-giore austriaco. Quello fu il segnale ed il principio dellafuga generale dei nostri nemici. Discesero dall'alturadella Montagnola, dalla parte di dietro, alla vicina portadi Galliera, e per quella uscirono dalla città. Tutto l'eser-cito di Welden si ritirò, con poco ordine; una parte per lavia di Galliera a Ferrara, e l'altra per la via Emilia a Mo-dena.

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L'8 agosto 1848 è la data più onorevole e più memo-rabile della storia moderna di Bologna. Le maravigliosearmonie cronologiche che quasi ad ogni piè sospinto sipresentano nella mia storia, la renderanno meno attraen-te ai lettori miei contemporanei; ma preferendo anche inquesto caso il mio dovere al mio momentaneo interesse,sono costretto a notare che la data moderna della vittoriadei Bolognesi, cioè il giorno 8 di agosto dell'anno 1848,ventesimo sesto anno secolare della fondazione diRoma, si trova essere l'anniversario preciso dell'unicoavvenimento del quale si conosca la data nella storia diBologna antica. È il preciso anniversario del giorno incui Bononia, ossia Bologna, già Felsina, divenne unacolonia Romana. Questa circostanza era ricordata da unverso latino scolpito in una lapide, ora tolta, sulla portadi Galliera, dai merli della quale i Tedeschi tiravanocontro i Bolognesi nell'8 agosto:

«Felsina Romanæ fuit ante colonia gentis.»

La data che ce ne somministra Tito Livio, ridotta dalcalendario decemvirale che era in uso al tempo dellafondazione della colonia Romana-bolognese al calenda-rio attuale, corrisponde all'8 agosto dell'anno 564 diRoma, ossia 189 A. C., ossia ancora 3812 E. A. Questacorrispondenza è dimostrata in Miranda anchecoll'appoggio delle date astronomiche di due eclissi, unaavvenuta durante la guerra Siriaca, e l'altra nel giornodella battaglia di Pidna.

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L'8 agosto 1848 è la data più onorevole e più memo-rabile della storia moderna di Bologna. Le maravigliosearmonie cronologiche che quasi ad ogni piè sospinto sipresentano nella mia storia, la renderanno meno attraen-te ai lettori miei contemporanei; ma preferendo anche inquesto caso il mio dovere al mio momentaneo interesse,sono costretto a notare che la data moderna della vittoriadei Bolognesi, cioè il giorno 8 di agosto dell'anno 1848,ventesimo sesto anno secolare della fondazione diRoma, si trova essere l'anniversario preciso dell'unicoavvenimento del quale si conosca la data nella storia diBologna antica. È il preciso anniversario del giorno incui Bononia, ossia Bologna, già Felsina, divenne unacolonia Romana. Questa circostanza era ricordata da unverso latino scolpito in una lapide, ora tolta, sulla portadi Galliera, dai merli della quale i Tedeschi tiravanocontro i Bolognesi nell'8 agosto:

«Felsina Romanæ fuit ante colonia gentis.»

La data che ce ne somministra Tito Livio, ridotta dalcalendario decemvirale che era in uso al tempo dellafondazione della colonia Romana-bolognese al calenda-rio attuale, corrisponde all'8 agosto dell'anno 564 diRoma, ossia 189 A. C., ossia ancora 3812 E. A. Questacorrispondenza è dimostrata in Miranda anchecoll'appoggio delle date astronomiche di due eclissi, unaavvenuta durante la guerra Siriaca, e l'altra nel giornodella battaglia di Pidna.

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Mamiani, capo del ministero costituzionale di Pio IX,erasi già ritirato perchè il pontefice non aveva volutoconsentirgli le chieste difese contro l'ingresso delle trup-pe austriache nello Stato. Successegli Pellegrino Rossi,economista di alto ingegno, ma di carattere orgogliosoed inamabile. Egli aveva preparato l'arresto e l'espulsio-ne dei più noti agitatori; avea disposto le truppe per ef-fettuare in sicuro il suo colpo, non precisamente colpodi Stato, come oggi si dice, poichè pare che non volesseabolita la costituzione, ma soltanto una sosta nel movi-mento italiano. Tutto aveva preveduto, fuorchè una cosasola: che potesse esser tolto di mezzo improvvisamenteegli stesso. Non per questo è meno da deplorarsi ed ab-bominarsi l'assassinio del quale ei fu la vittima.

Era il giorno destinato all'apertura del Parlamento, 15di novembre; Rossi vi si recava per leggere, secondo gliusi costituzionali, il discorso del trono, in nome del re-gnante pontefice. Disceso dalla carrozza, mentre traver-sava gli atrii del palazzo in mezzo ad una folla ostile cheprofferiva delle imprecazioni contro di lui, uno dei con-giurati lo colpì leggermente col puntale di un ombrello,per fargli voltare il capo e porgere più scoperto il collodall'altra parte; un altro congiurato vibrò un colpo di pu-gnale, che gli tagliò la carotide. Pellegrino Rossi caddeversando un ruscello di sangue; e poco dopo spirò. Conlui spirò ancora la costituzione pontificia, non nata, avero dire, per recare assai buoni frutti; non solo a cagio-ne de' suoi intrinseci difetti, ma ancora per la ragione

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Mamiani, capo del ministero costituzionale di Pio IX,erasi già ritirato perchè il pontefice non aveva volutoconsentirgli le chieste difese contro l'ingresso delle trup-pe austriache nello Stato. Successegli Pellegrino Rossi,economista di alto ingegno, ma di carattere orgogliosoed inamabile. Egli aveva preparato l'arresto e l'espulsio-ne dei più noti agitatori; avea disposto le truppe per ef-fettuare in sicuro il suo colpo, non precisamente colpodi Stato, come oggi si dice, poichè pare che non volesseabolita la costituzione, ma soltanto una sosta nel movi-mento italiano. Tutto aveva preveduto, fuorchè una cosasola: che potesse esser tolto di mezzo improvvisamenteegli stesso. Non per questo è meno da deplorarsi ed ab-bominarsi l'assassinio del quale ei fu la vittima.

Era il giorno destinato all'apertura del Parlamento, 15di novembre; Rossi vi si recava per leggere, secondo gliusi costituzionali, il discorso del trono, in nome del re-gnante pontefice. Disceso dalla carrozza, mentre traver-sava gli atrii del palazzo in mezzo ad una folla ostile cheprofferiva delle imprecazioni contro di lui, uno dei con-giurati lo colpì leggermente col puntale di un ombrello,per fargli voltare il capo e porgere più scoperto il collodall'altra parte; un altro congiurato vibrò un colpo di pu-gnale, che gli tagliò la carotide. Pellegrino Rossi caddeversando un ruscello di sangue; e poco dopo spirò. Conlui spirò ancora la costituzione pontificia, non nata, avero dire, per recare assai buoni frutti; non solo a cagio-ne de' suoi intrinseci difetti, ma ancora per la ragione

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che il pontefice a mal in cuore l'aveva concessa, e mal-volontieri pure continuava a sobbarcarvisi.

L'indomani della morte del Rossi il popolo, o più ve-ramente quella parte del popolo che era solita fare le di-mostrazioni, ne fece una non amorevole ed ossequiosa,come in addietro, ma minacciosa. Si andò al Quirinalecon un cannone a domandare la lega italiana. Alcunodegli Svizzeri di guardia sparò una schioppettata da unafinestra del palazzo. Federico Torre si pose col petto da-vanti alla bocca del cannone per impedire ai cannonierisuoi amici di rispondere con quello alla provocazione;ma molti cittadini andarono a prendere dei fucili, e tor-nati con quelli alla piazza del Quirinale lanciarono di-verse palle contro il palazzo, una delle quali uccise unprelato chiamato monsignor Meglia. Fu una microscopi-ca imitazione della giornata del 10 agosto 1792 a Parigi.Quest'avvisaglia di Roma però ebbe delle conseguenzediverse, pur gravi ancora, anzi gravissime, non tanto sulterreno politico quanto sul terreno religioso, perchè get-tò il capo della Chiesa cattolica nel campo dell'estremareazione; di che venne il Sillabo, e la dichiarazione dellainfallibilità.

Tuttavia, in quel giorno 16 di novembre, cedendo mo-mentaneamente alla violenza del torrente popolare, PioIX affidò il ministero a Giuseppe Galletti, nome assaipopolare; ma divisò sin d'allora d'allontanarsi da Roma.

Cadevano le foglie autunnali nel giardino del Quiri-nale; tramontava il sole del 24 novembre 1848, mentrePio IX, vestito da semplice sacerdote, fuggì per una por-

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che il pontefice a mal in cuore l'aveva concessa, e mal-volontieri pure continuava a sobbarcarvisi.

L'indomani della morte del Rossi il popolo, o più ve-ramente quella parte del popolo che era solita fare le di-mostrazioni, ne fece una non amorevole ed ossequiosa,come in addietro, ma minacciosa. Si andò al Quirinalecon un cannone a domandare la lega italiana. Alcunodegli Svizzeri di guardia sparò una schioppettata da unafinestra del palazzo. Federico Torre si pose col petto da-vanti alla bocca del cannone per impedire ai cannonierisuoi amici di rispondere con quello alla provocazione;ma molti cittadini andarono a prendere dei fucili, e tor-nati con quelli alla piazza del Quirinale lanciarono di-verse palle contro il palazzo, una delle quali uccise unprelato chiamato monsignor Meglia. Fu una microscopi-ca imitazione della giornata del 10 agosto 1792 a Parigi.Quest'avvisaglia di Roma però ebbe delle conseguenzediverse, pur gravi ancora, anzi gravissime, non tanto sulterreno politico quanto sul terreno religioso, perchè get-tò il capo della Chiesa cattolica nel campo dell'estremareazione; di che venne il Sillabo, e la dichiarazione dellainfallibilità.

Tuttavia, in quel giorno 16 di novembre, cedendo mo-mentaneamente alla violenza del torrente popolare, PioIX affidò il ministero a Giuseppe Galletti, nome assaipopolare; ma divisò sin d'allora d'allontanarsi da Roma.

Cadevano le foglie autunnali nel giardino del Quiri-nale; tramontava il sole del 24 novembre 1848, mentrePio IX, vestito da semplice sacerdote, fuggì per una por-

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ta laterale del palazzo Quirinale. Per notar qui uno deimoltissimi rapporti cronologici che legano la storia anti-ca alla moderna, rapporti forse d'origine misteriosa, macertamente utili alla memoria, dirò che, mediante il cal-colo di un'ecclissi di luna mentovata da Plutarco nellavita di Romolo, si rileva che il giorno della fuga di PioIX fu il ventesimo sesto anniversario del 21 aprile se-condo il calendario albano, dell'anno 753 avanti l'Eravolgare, il quale, ridotto al calendario attuale, trovasi es-sere stato il 24 novembre 3248 dell'Era Adamitica omassonica, nel quale il giovine Romolo poscia chiamatoQuirino, fondò la città di Roma.

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ta laterale del palazzo Quirinale. Per notar qui uno deimoltissimi rapporti cronologici che legano la storia anti-ca alla moderna, rapporti forse d'origine misteriosa, macertamente utili alla memoria, dirò che, mediante il cal-colo di un'ecclissi di luna mentovata da Plutarco nellavita di Romolo, si rileva che il giorno della fuga di PioIX fu il ventesimo sesto anniversario del 21 aprile se-condo il calendario albano, dell'anno 753 avanti l'Eravolgare, il quale, ridotto al calendario attuale, trovasi es-sere stato il 24 novembre 3248 dell'Era Adamitica omassonica, nel quale il giovine Romolo poscia chiamatoQuirino, fondò la città di Roma.

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ANNO 1849Repubblica romana.

Nel giorno 21 gennajo si fecero, per suffragio univer-sale di tutti i maschi di non minore età che 21 anni com-piti, ed a scrutinio di lista per provincie, le elezioni perun'Assemblea Costituente in tutto lo Stato romano. Era-no eleggibili tutti i cittadini di venticinque anni compiu-ti. La mia nativa provincia di Bologna, la quale era laprima per popolazione in tutto lo Stato, nominò 24 rap-presentanti del popolo, ossia deputati: dei quali, per nu-mero di voti ottenuti, Carlo Rusconi, che divenne poiministro della Repubblica, fu il primo, io il secondo,Carlo Berti Pichat il terzo, Rodolfo Audinot il quarto.

Ci adunammo per la prima volta pubblicamente nellagrande aula del palazzo della Cancelleria, in Roma, nelgiorno 5 di febbrajo. Eravamo nel numero di 140, fra iquali eravi Giuseppe Garibaldi; ma il numero totale de-gli eletti era 200. Il seggio presidenziale, per votodell'Assemblea, fu costituito di un presidente, un vice-presidente, quattro segretarii e due questori. GiuseppeGalletti fu nominato presidente, Carlo Bonaparte vice-presidente: io fui uno dei segretarii.

In una seduta secreta, e perciò di semplice discussio-ne senza deliberazione, si studiò il grave quesito dellaforma da doversi dare al nuovo Stato. Tre diverse pro-poste furono ventilate: governo provvisorio, regno costi-tuzionale, repubblica. Prima ancora di ricever le notizie

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ANNO 1849Repubblica romana.

Nel giorno 21 gennajo si fecero, per suffragio univer-sale di tutti i maschi di non minore età che 21 anni com-piti, ed a scrutinio di lista per provincie, le elezioni perun'Assemblea Costituente in tutto lo Stato romano. Era-no eleggibili tutti i cittadini di venticinque anni compiu-ti. La mia nativa provincia di Bologna, la quale era laprima per popolazione in tutto lo Stato, nominò 24 rap-presentanti del popolo, ossia deputati: dei quali, per nu-mero di voti ottenuti, Carlo Rusconi, che divenne poiministro della Repubblica, fu il primo, io il secondo,Carlo Berti Pichat il terzo, Rodolfo Audinot il quarto.

Ci adunammo per la prima volta pubblicamente nellagrande aula del palazzo della Cancelleria, in Roma, nelgiorno 5 di febbrajo. Eravamo nel numero di 140, fra iquali eravi Giuseppe Garibaldi; ma il numero totale de-gli eletti era 200. Il seggio presidenziale, per votodell'Assemblea, fu costituito di un presidente, un vice-presidente, quattro segretarii e due questori. GiuseppeGalletti fu nominato presidente, Carlo Bonaparte vice-presidente: io fui uno dei segretarii.

In una seduta secreta, e perciò di semplice discussio-ne senza deliberazione, si studiò il grave quesito dellaforma da doversi dare al nuovo Stato. Tre diverse pro-poste furono ventilate: governo provvisorio, regno costi-tuzionale, repubblica. Prima ancora di ricever le notizie

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di che or ora dirò, la maggioranza dei deputati era giàinclinata a ritenere come la peggiore delle tre proposte,la prima, cioè la provvisorietà del governo; migliore ditutte la terza, cioè la repubblica. Io dissi che la repubbli-ca, in teoria, è la forma di governo maggiormente con-forme alla ragione ed alla giustizia, ma che praticamen-te, nel caso nostro, l'indipendenza e l'unità nazionaledell'Italia, erano cose di una importanza superiore anco-ra a quella di una od altra forma di politico reggimento.Carlo Alberto, per isventura, era divenuto così impopo-lare a cagione dell'avere abbandonato Milano ed accet-tato l'armistizio Salasco, che era assolutamente impossi-bile il proporlo per re d'Italia. Peggio ancora il papa, ilre di Napoli e i duchi di Modena e di Parma. Rimanevail granduca di Toscana; doversi pensare se la fusionedello Stato Romano e della Toscana in un sol regno co-stituzionale potesse per avventura divenire un nucleoprezioso dell'unità politica di tutta l'Italia. Tal fu, nellasostanza, il mio discorso. Ma mentre si discuteva, giun-se la notizia che Leopoldo II era partito per andare araggiungere il papa a Gaeta. Troppo chiaramente adun-que diveniva impossibile ancor egli qual re d'Italia. Al-tra grave notizia sopraggiunse per via segreta. L'inter-vento delle potenze cattoliche contro di Roma, per re-staurarvi il governo temporale del papa, senza opposi-zione per parte delle potenze non cattoliche, era cosastabilita e decisa, checchè noi facessimo, repubblica onon repubblica.

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di che or ora dirò, la maggioranza dei deputati era giàinclinata a ritenere come la peggiore delle tre proposte,la prima, cioè la provvisorietà del governo; migliore ditutte la terza, cioè la repubblica. Io dissi che la repubbli-ca, in teoria, è la forma di governo maggiormente con-forme alla ragione ed alla giustizia, ma che praticamen-te, nel caso nostro, l'indipendenza e l'unità nazionaledell'Italia, erano cose di una importanza superiore anco-ra a quella di una od altra forma di politico reggimento.Carlo Alberto, per isventura, era divenuto così impopo-lare a cagione dell'avere abbandonato Milano ed accet-tato l'armistizio Salasco, che era assolutamente impossi-bile il proporlo per re d'Italia. Peggio ancora il papa, ilre di Napoli e i duchi di Modena e di Parma. Rimanevail granduca di Toscana; doversi pensare se la fusionedello Stato Romano e della Toscana in un sol regno co-stituzionale potesse per avventura divenire un nucleoprezioso dell'unità politica di tutta l'Italia. Tal fu, nellasostanza, il mio discorso. Ma mentre si discuteva, giun-se la notizia che Leopoldo II era partito per andare araggiungere il papa a Gaeta. Troppo chiaramente adun-que diveniva impossibile ancor egli qual re d'Italia. Al-tra grave notizia sopraggiunse per via segreta. L'inter-vento delle potenze cattoliche contro di Roma, per re-staurarvi il governo temporale del papa, senza opposi-zione per parte delle potenze non cattoliche, era cosastabilita e decisa, checchè noi facessimo, repubblica onon repubblica.

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Allora divenne palese a me, come alla maggior partede' miei colleghi, la logica necessità di proclamare la re-pubblica. Bisogna dunque, io dissi a me stesso e agli al-tri, respingere i timidi e mezzani temperamenti. L'auda-cia è per noi l'unica via di possibile scampo. Che se pe-rir si deve, si perisca almeno con una bandiera pura daogni sembianza di compromesso o di paura; si finisca inun modo degno dei nostri antenati Romani. Apparec-chiamoci ad una difesa disperata ma gloriosa, la qualelasci al popolo italiano il desiderio e la speranza, quindiancora la forza, di una risurrezione.

Per la qual cosa, nella notte dal 7 all'8 di febbrajo, midiedi a studiare la miglior forma che trovar potessi peruna concisa legge da chiamarsi il «Decreto fondamenta-le della Repubblica Romana.» Altri senza di me nonavrebber mancato di propor la Repubblica; mi stava acuore di prevenirli per risparmiare il tempo che di leg-gieri poteva esser gettato via nel discutere uno dei solitidisegni lunghi e complicati, che dicono in parte più delbisogno, e per altra parte amettono cose necessarie. Ac-cordatomi pertanto con alcuni colleghi per averne ap-poggio, la mattina del giorno 8 di febbrajo proposiall'Assemblea Costituente il seguente decreto in cinquearticoli:

I. Il papato è decaduto di diritto e di fatto dal gover-no temporale dello Stato Romano.

II. Saranno date al Romano Pontefice le necessarieguarentigie per l'indipendente esercizio del suo poterespirituale.

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Allora divenne palese a me, come alla maggior partede' miei colleghi, la logica necessità di proclamare la re-pubblica. Bisogna dunque, io dissi a me stesso e agli al-tri, respingere i timidi e mezzani temperamenti. L'auda-cia è per noi l'unica via di possibile scampo. Che se pe-rir si deve, si perisca almeno con una bandiera pura daogni sembianza di compromesso o di paura; si finisca inun modo degno dei nostri antenati Romani. Apparec-chiamoci ad una difesa disperata ma gloriosa, la qualelasci al popolo italiano il desiderio e la speranza, quindiancora la forza, di una risurrezione.

Per la qual cosa, nella notte dal 7 all'8 di febbrajo, midiedi a studiare la miglior forma che trovar potessi peruna concisa legge da chiamarsi il «Decreto fondamenta-le della Repubblica Romana.» Altri senza di me nonavrebber mancato di propor la Repubblica; mi stava acuore di prevenirli per risparmiare il tempo che di leg-gieri poteva esser gettato via nel discutere uno dei solitidisegni lunghi e complicati, che dicono in parte più delbisogno, e per altra parte amettono cose necessarie. Ac-cordatomi pertanto con alcuni colleghi per averne ap-poggio, la mattina del giorno 8 di febbrajo proposiall'Assemblea Costituente il seguente decreto in cinquearticoli:

I. Il papato è decaduto di diritto e di fatto dal gover-no temporale dello Stato Romano.

II. Saranno date al Romano Pontefice le necessarieguarentigie per l'indipendente esercizio del suo poterespirituale.

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III. La forma di governo dello Stato Romano sarà laDemocrazia pura, e prenderà il glorioso nome di Re-pubblica Romana.

IV. Le relazioni della Romana Repubblica colle altreprovincie italiane saranno decise dalla Costituente Ita-liana.

V. Gli sforzi della Repubblica Romana mirerannoprincipalmente a promuovere il benessere morale e ma-teriale di tutte le classi della popolazione.

Fuvvi una lunga ed animata di-scussione, alla quale presero partemolti oratori: Garibaldi con pochis-sime e laconiche parole: più a lun-go Savino Savini, Agostini, Masi,Bonaparte, Filopanti, Rusconi,Sterbini, Vinciguerra, Gabussi, Ar-mellini, Saffi, Montecchi: tutti infavore della Repubblica; Mamiani,Audinot, Ercolani, in contrario. Idue più eloquenti furono Terenzio Mamiani ed AurelioSaffi. Il discorso di Mamiani fu lo sviluppo di questo di-lemma; qui non è possibile che Cola di Rienzi, od ilpapa. Non potete nè dovete prender Cola di Rienzi: ras-segnatevi dunque a chiamare il papa. Il discorso di Saffi,il mio e quelli degli altri che parlarono in favore dellaRepubblica, riassumevansi nel rovesciare il dilemma diMamiani, conchiudendo, all'opposto di lui: Papa no;dunque Rienzi. Bonaparte, impallidendo, terminò il suodiscorso con queste parole:

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III. La forma di governo dello Stato Romano sarà laDemocrazia pura, e prenderà il glorioso nome di Re-pubblica Romana.

IV. Le relazioni della Romana Repubblica colle altreprovincie italiane saranno decise dalla Costituente Ita-liana.

V. Gli sforzi della Repubblica Romana mirerannoprincipalmente a promuovere il benessere morale e ma-teriale di tutte le classi della popolazione.

Fuvvi una lunga ed animata di-scussione, alla quale presero partemolti oratori: Garibaldi con pochis-sime e laconiche parole: più a lun-go Savino Savini, Agostini, Masi,Bonaparte, Filopanti, Rusconi,Sterbini, Vinciguerra, Gabussi, Ar-mellini, Saffi, Montecchi: tutti infavore della Repubblica; Mamiani,Audinot, Ercolani, in contrario. Idue più eloquenti furono Terenzio Mamiani ed AurelioSaffi. Il discorso di Mamiani fu lo sviluppo di questo di-lemma; qui non è possibile che Cola di Rienzi, od ilpapa. Non potete nè dovete prender Cola di Rienzi: ras-segnatevi dunque a chiamare il papa. Il discorso di Saffi,il mio e quelli degli altri che parlarono in favore dellaRepubblica, riassumevansi nel rovesciare il dilemma diMamiani, conchiudendo, all'opposto di lui: Papa no;dunque Rienzi. Bonaparte, impallidendo, terminò il suodiscorso con queste parole:

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«Sento sotterra le ombre dei vostri antenati che vi do-mandano la Repubblica.»

A me premeva di far notare la legittima e logica di-scendenza della nostra rivoluzione Romana dalla repub-blica Romana antica e dalla moderna rivoluzione Fran-cese; per la qual cosa, avendo già accennato all'antica egloriosa Repubblica colle parole del terzo articolo delproposto decreto, ricordai la rivoluzione francese ripe-tendo la notissima esclamazione di Danton: Audacia,audacia, audacia!

Il primo articolo, cioè la caduta del poter temporale,fu approvato quasi unanimemente, con soli cinque voticontrarii, fra centoquarantatrè deputati presenti. Il se-condo articolo, relativo alle guarentigie dell'indipenden-za del capo della Chiesa Cattolica nell'esercizio dellasua potestà religiosa, era dettato da sana politica egual-mente che dalla giustizia, non essendo che un corollariodel principio dell'universale libertà di coscienza e di cul-to. Ancor esso perciò fu quasi concordemente approva-to, eccettuata una lieve modificazione nella forma. Dalterzo articolo dissentirono ventidue deputati. La sua ap-provazione riuscì quindi a forte pluralità, e fu fragorosa-mente applaudita dalle pubbliche tribune.

Nel quarto articolo si volle soppressa la menzionedella Costituente Italiana, superiore, nel mio concetto,alla locale Assemblea Romana. Fu sostituita la seguenteforma troppo vaga:

«La Repubblica Romana avrà col resto d'Italia le re-lazioni che esige la nazionalità comune.»

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«Sento sotterra le ombre dei vostri antenati che vi do-mandano la Repubblica.»

A me premeva di far notare la legittima e logica di-scendenza della nostra rivoluzione Romana dalla repub-blica Romana antica e dalla moderna rivoluzione Fran-cese; per la qual cosa, avendo già accennato all'antica egloriosa Repubblica colle parole del terzo articolo delproposto decreto, ricordai la rivoluzione francese ripe-tendo la notissima esclamazione di Danton: Audacia,audacia, audacia!

Il primo articolo, cioè la caduta del poter temporale,fu approvato quasi unanimemente, con soli cinque voticontrarii, fra centoquarantatrè deputati presenti. Il se-condo articolo, relativo alle guarentigie dell'indipenden-za del capo della Chiesa Cattolica nell'esercizio dellasua potestà religiosa, era dettato da sana politica egual-mente che dalla giustizia, non essendo che un corollariodel principio dell'universale libertà di coscienza e di cul-to. Ancor esso perciò fu quasi concordemente approva-to, eccettuata una lieve modificazione nella forma. Dalterzo articolo dissentirono ventidue deputati. La sua ap-provazione riuscì quindi a forte pluralità, e fu fragorosa-mente applaudita dalle pubbliche tribune.

Nel quarto articolo si volle soppressa la menzionedella Costituente Italiana, superiore, nel mio concetto,alla locale Assemblea Romana. Fu sostituita la seguenteforma troppo vaga:

«La Repubblica Romana avrà col resto d'Italia le re-lazioni che esige la nazionalità comune.»

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Il quinto ed ultimo degli articoli da me proposti, ilquale mirava ad una specie di blando e generico, magiusto, necessario e doveroso socialismo, fu respinto.Non ebbe a suo favore che due voti: il mio e quello diCarlo Bonaparte.

Il complesso del decreto fondamentale, ridotto così aquattro soli e concisi articoli, fu approvato da centoventirappresentanti. Undici altri votarono pel no; dodici di-chiararono di astenersi.

Erano le due del mattino del giorno 9 febbrajo 1849,quando fu compiuta, per appello nominale, la votazione.Dalle stipate tribune pubbliche, e dalla folla che esten-devasi anche fuori dell'aula legislativa, proruppero conentusiasmo gli applausi e le grida: viva la Repubblica; lequali si ripeterono per le vie della città anche nella nottestessa. Tuonò per segno di pubblica gioia il cannonedella mole Adriana, suonò la campana dal Campidoglio:i corpi di guardia furono illuminati. A mezzogiorno Giu-seppe Galletti, presidente dell'Assemblea, lesse alla folladel popolo plaudente il decreto fondamentale della Re-pubblica Romana dal verone del Campidoglio. Quelsemplice decreto tenne luogo di costituzione della re-pubblica, per tutto il tempo che essa durò. Un più svi-luppato Statuto nominale, con sessantanove articoli, fupiù tardi, e lungamente elaborato da una commissione,con Cesare Agostini per relatore, e sommariamente vo-tato dall'Assemblea, quasi a guisa di un'indiretta prote-sta, negli estremi istanti della repubblica, cioè il giorno

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Il quinto ed ultimo degli articoli da me proposti, ilquale mirava ad una specie di blando e generico, magiusto, necessario e doveroso socialismo, fu respinto.Non ebbe a suo favore che due voti: il mio e quello diCarlo Bonaparte.

Il complesso del decreto fondamentale, ridotto così aquattro soli e concisi articoli, fu approvato da centoventirappresentanti. Undici altri votarono pel no; dodici di-chiararono di astenersi.

Erano le due del mattino del giorno 9 febbrajo 1849,quando fu compiuta, per appello nominale, la votazione.Dalle stipate tribune pubbliche, e dalla folla che esten-devasi anche fuori dell'aula legislativa, proruppero conentusiasmo gli applausi e le grida: viva la Repubblica; lequali si ripeterono per le vie della città anche nella nottestessa. Tuonò per segno di pubblica gioia il cannonedella mole Adriana, suonò la campana dal Campidoglio:i corpi di guardia furono illuminati. A mezzogiorno Giu-seppe Galletti, presidente dell'Assemblea, lesse alla folladel popolo plaudente il decreto fondamentale della Re-pubblica Romana dal verone del Campidoglio. Quelsemplice decreto tenne luogo di costituzione della re-pubblica, per tutto il tempo che essa durò. Un più svi-luppato Statuto nominale, con sessantanove articoli, fupiù tardi, e lungamente elaborato da una commissione,con Cesare Agostini per relatore, e sommariamente vo-tato dall'Assemblea, quasi a guisa di un'indiretta prote-sta, negli estremi istanti della repubblica, cioè il giorno

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3 di luglio, quando i Francesi erano già padroni di treporte della città.

Nei giorni che immediatamente precedettero la pro-clamazione della repubblica, lo stato era retto da un mi-nistero nominato dalla rivoluzione, prima della convo-cazione dell'Assemblea, ed erano presidente un dotto eliberale prelato: Carlo Muzzarelli. Il più abile e stimatoministro era l'avvocato Carlo Armellini. Dopo lo stabili-mento della Repubblica, l'Assemblea Costituente e so-vrana creò un magistrato supremo della repubblica,composto di tre membri, i quali perciò si chiamarono itriumviri, nelle persone di Armellini, Saliceti e Montec-chi, e nominò otto ministri colle ordinarie attribuzioniministeriali. Il ministro dell'interno fu Aurelio Saffi.

Parve a me che la novella repubblica, avendo tanti ne-mici vicini e lontani, non dovesse por tempo in mezzoper distruggere il più vicino, ed uno dei più pericolosi,che era il re di Napoli. Bisognava mettergli sossopra ilreame, ciò che l'avrebbe indotto a pronta fuga, chiamarea libertà e ad unione italica il suo popolo, e trarne unpossente e prossimo avviamento e mezzo alla formazio-ne dell'intero fascio nazionale. Io voleva insomma ese-guito sin d'allora l'ardimentoso concetto che Garibaldirecò ad effetto undici anni più tardi. L'impresa dell'inva-sione e liberazione del regno di Napoli, colla Repubbli-ca Romana per base, sarebbe stata di un riuscimentomolto più facile ancora che nol fu la spedizione dei mil-le nel 1860.

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3 di luglio, quando i Francesi erano già padroni di treporte della città.

Nei giorni che immediatamente precedettero la pro-clamazione della repubblica, lo stato era retto da un mi-nistero nominato dalla rivoluzione, prima della convo-cazione dell'Assemblea, ed erano presidente un dotto eliberale prelato: Carlo Muzzarelli. Il più abile e stimatoministro era l'avvocato Carlo Armellini. Dopo lo stabili-mento della Repubblica, l'Assemblea Costituente e so-vrana creò un magistrato supremo della repubblica,composto di tre membri, i quali perciò si chiamarono itriumviri, nelle persone di Armellini, Saliceti e Montec-chi, e nominò otto ministri colle ordinarie attribuzioniministeriali. Il ministro dell'interno fu Aurelio Saffi.

Parve a me che la novella repubblica, avendo tanti ne-mici vicini e lontani, non dovesse por tempo in mezzoper distruggere il più vicino, ed uno dei più pericolosi,che era il re di Napoli. Bisognava mettergli sossopra ilreame, ciò che l'avrebbe indotto a pronta fuga, chiamarea libertà e ad unione italica il suo popolo, e trarne unpossente e prossimo avviamento e mezzo alla formazio-ne dell'intero fascio nazionale. Io voleva insomma ese-guito sin d'allora l'ardimentoso concetto che Garibaldirecò ad effetto undici anni più tardi. L'impresa dell'inva-sione e liberazione del regno di Napoli, colla Repubbli-ca Romana per base, sarebbe stata di un riuscimentomolto più facile ancora che nol fu la spedizione dei mil-le nel 1860.

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Ma era necessario prepararla in segreto. Ne parlai aitriumviri, ed ebbi la fortuna di persuaderli; ma per unsentimento di delicatezza che più tardi conobbi esserestata intempestiva, mi trassi in disparte. Montecchi, innome suo e dei suoi due colleghi triumviri, disseall'Assemblea, in seduta segreta, che abbisognavano diuna somma di trentamila scudi (centocinquantamilafranchi) per un uso che eglino stimavan buono, ma taleda non potersi convenientemente palesare a tuttal'Assemblea. Nominasse ella una commissione la qualericeverebbe la comunicazione col vincolo del segreto,ma darebbe il proprio parere all'Assemblea, se la sommadoveva accordarsi o no. Furon nominati a tal uopo Gal-letti, Gabussi e Serpieri; i quali, ritrattisi in luogo appar-tato, appresero trattarsi di una spedizione armata nel re-gno di Napoli dal lato degli Abbruzzi, onde sollevare inquelle provincie la rivoluzione. Dietro il favorevole pa-rere di questa commissione, l'Assemblea, con lodevoleatto di fiducia, votò la chiestasomma, senza sapere a che servirdovesse.

Ma il triumvirato si valsedell'ottenuta facoltà con sommainettitudine. In abili mani la som-ma domandata e concessa, benchèpiccola, avrebbe bastato all'uopo.Invece però di affidar il caricodell'impresa all'uomo più capacedi condurla a prospero fine, cioè a Garibaldi, i triumviri

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Ma era necessario prepararla in segreto. Ne parlai aitriumviri, ed ebbi la fortuna di persuaderli; ma per unsentimento di delicatezza che più tardi conobbi esserestata intempestiva, mi trassi in disparte. Montecchi, innome suo e dei suoi due colleghi triumviri, disseall'Assemblea, in seduta segreta, che abbisognavano diuna somma di trentamila scudi (centocinquantamilafranchi) per un uso che eglino stimavan buono, ma taleda non potersi convenientemente palesare a tuttal'Assemblea. Nominasse ella una commissione la qualericeverebbe la comunicazione col vincolo del segreto,ma darebbe il proprio parere all'Assemblea, se la sommadoveva accordarsi o no. Furon nominati a tal uopo Gal-letti, Gabussi e Serpieri; i quali, ritrattisi in luogo appar-tato, appresero trattarsi di una spedizione armata nel re-gno di Napoli dal lato degli Abbruzzi, onde sollevare inquelle provincie la rivoluzione. Dietro il favorevole pa-rere di questa commissione, l'Assemblea, con lodevoleatto di fiducia, votò la chiestasomma, senza sapere a che servirdovesse.

Ma il triumvirato si valsedell'ottenuta facoltà con sommainettitudine. In abili mani la som-ma domandata e concessa, benchèpiccola, avrebbe bastato all'uopo.Invece però di affidar il caricodell'impresa all'uomo più capacedi condurla a prospero fine, cioè a Garibaldi, i triumviri

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perdettero il tempo ad arruolare, di là dall'Adriatico, tre-mila Albanesi, dei quali niun bisogno vi era, e che fortu-natamente mai non vennero, perchè avrebbero nociutopiù che giovato. Giunto Mazzini al potere, pensò didare, a quanto restava della somma, un'altra destinazio-ne secreta, ed egualmente sbagliata, cioè a promuovereun'insurrezione a Parigi, la quale abortì un po' più tardi,il 13 di giugno.

Nel primo mese della Repubblica Romana, era poten-te l'influenza indiretta di Mazzini, ma il grande agitatorenon era personalmente presente; egli trovavasi a Firen-ze, dove con poco frutto consigliava la proclamazioned'una Repubblica Toscana, od una fusione colla Repub-blica Romana. Fu attraversato nell'uno e nell'altro inten-to, e non favorito come avrebbe dovuto esserlo, dal dit-tatore Guerrazzi. Giunto a Roma Mazzini, benchè nonancora deputato, fu, per un atto straordinario di stimaverso di lui, ricevuto dall'Assemblea nel giorno 6 dimarzo, ed invitato dal vice presidente Bonaparte, il qua-le in quel giorno presiedeva l'adunanza, ad assidersi alsuo fianco. Mazzini parlò all'Assemblea, e disse che ilnome di Roma consigliava ed imponeva cose grandi.Dopo la Roma dei Cesari, e dei Papi, dovervi essere laRoma del Popolo. Forse per non avervi abbastanza pen-sato, omise la Roma repubblicana, non solo più virtuo-sa, ma più potente che la Roma dei Cesari. Pochi giornidopo, Mazzini fu dagli elettori della provincia Romananominato rappresentante del popolo, ossia deputato.

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perdettero il tempo ad arruolare, di là dall'Adriatico, tre-mila Albanesi, dei quali niun bisogno vi era, e che fortu-natamente mai non vennero, perchè avrebbero nociutopiù che giovato. Giunto Mazzini al potere, pensò didare, a quanto restava della somma, un'altra destinazio-ne secreta, ed egualmente sbagliata, cioè a promuovereun'insurrezione a Parigi, la quale abortì un po' più tardi,il 13 di giugno.

Nel primo mese della Repubblica Romana, era poten-te l'influenza indiretta di Mazzini, ma il grande agitatorenon era personalmente presente; egli trovavasi a Firen-ze, dove con poco frutto consigliava la proclamazioned'una Repubblica Toscana, od una fusione colla Repub-blica Romana. Fu attraversato nell'uno e nell'altro inten-to, e non favorito come avrebbe dovuto esserlo, dal dit-tatore Guerrazzi. Giunto a Roma Mazzini, benchè nonancora deputato, fu, per un atto straordinario di stimaverso di lui, ricevuto dall'Assemblea nel giorno 6 dimarzo, ed invitato dal vice presidente Bonaparte, il qua-le in quel giorno presiedeva l'adunanza, ad assidersi alsuo fianco. Mazzini parlò all'Assemblea, e disse che ilnome di Roma consigliava ed imponeva cose grandi.Dopo la Roma dei Cesari, e dei Papi, dovervi essere laRoma del Popolo. Forse per non avervi abbastanza pen-sato, omise la Roma repubblicana, non solo più virtuo-sa, ma più potente che la Roma dei Cesari. Pochi giornidopo, Mazzini fu dagli elettori della provincia Romananominato rappresentante del popolo, ossia deputato.

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Per potergli conferire quel più alto ufficio che tutticomprendevano convenirglisi, i triumviri abdicarono, el'Assemblea nominò un novello triumvirato composto diMazzini, Armellini e Saffi, nel giorno 20 di marzo.

La nuova scelta dei triumviri Romani era la miglioreche allora potesse farsi: ma il giorno fu per un'altra parteinfausto all'Italia, perchè in quel medesimo giorno co-minciarono in Piemonte, contro l'Austria, le ostilità checondussero alla battaglia di Novara. Il ministero di Rat-tazzi a Torino cedette troppo sollecitamente alle impa-zienze del partito democratico, nel denunciare la finedella tregua di Milano prima d'essere abbastanza prepa-rato a rinnovare la guerra; e troppo poco diè ascolto aipiù savii consigli, della Democrazia stessa e dell'Italia,di prender innanzi tratto i necessari concerti colla Tosca-na e colla Repubblica Romana. Gli stessi errori e le stes-se colpe che partorirono i disastri del 1848 trascinaronoad una fine egualmente luttuosa, e più sollecita ancora,la riscossa del 1849: diffidenza contro l'elemento popo-lare, avversione a domandar un ajuto francese, e dimen-ticanza, presso i generali, delle più elementari regoledella strategia.

Chiodo, ministro della guerra per Carlo Alberto, alle-stì un esercito di novantasette mila uomini, compresitredici nuovi reggimenti di Lombardi, Parmigiani, eModenesi. Ben condotta, questa accolta di quasi cento-mila uomini poteva bastare all'uopo, perocchè l'Austriaera al medesimo tempo impegnata nella guerra control'Ungheria e contro Venezia. Però una gran parte

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Per potergli conferire quel più alto ufficio che tutticomprendevano convenirglisi, i triumviri abdicarono, el'Assemblea nominò un novello triumvirato composto diMazzini, Armellini e Saffi, nel giorno 20 di marzo.

La nuova scelta dei triumviri Romani era la miglioreche allora potesse farsi: ma il giorno fu per un'altra parteinfausto all'Italia, perchè in quel medesimo giorno co-minciarono in Piemonte, contro l'Austria, le ostilità checondussero alla battaglia di Novara. Il ministero di Rat-tazzi a Torino cedette troppo sollecitamente alle impa-zienze del partito democratico, nel denunciare la finedella tregua di Milano prima d'essere abbastanza prepa-rato a rinnovare la guerra; e troppo poco diè ascolto aipiù savii consigli, della Democrazia stessa e dell'Italia,di prender innanzi tratto i necessari concerti colla Tosca-na e colla Repubblica Romana. Gli stessi errori e le stes-se colpe che partorirono i disastri del 1848 trascinaronoad una fine egualmente luttuosa, e più sollecita ancora,la riscossa del 1849: diffidenza contro l'elemento popo-lare, avversione a domandar un ajuto francese, e dimen-ticanza, presso i generali, delle più elementari regoledella strategia.

Chiodo, ministro della guerra per Carlo Alberto, alle-stì un esercito di novantasette mila uomini, compresitredici nuovi reggimenti di Lombardi, Parmigiani, eModenesi. Ben condotta, questa accolta di quasi cento-mila uomini poteva bastare all'uopo, perocchè l'Austriaera al medesimo tempo impegnata nella guerra control'Ungheria e contro Venezia. Però una gran parte

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dell'esercito raccolto dal general Chiodo consisteva invecchi soldati, stanchi e disanimati dalla precedentecampagna, e malvolontieri distaccati dalle loro mogli efigli. Improvvida pure fu la scelta del comandante su-premo Czarnowsky. Era stato offerto il comando a di-versi generali francesi, ma l'avevano ricusato. Czarnow-sky erasi acquistata una qualche rinomanza, ma nonmolto incoraggiante, nella guerra della rivoluzione diPolonia, dove era stato sfortunato, ed aveva persino ec-citato qualche sospetto di tradimento, come sogliono ec-citarlo, per lo più ingiustamente, i condottieri sfortunati.Meglio sarebbe stato affidar il comando al Bava, o adalcun altro dei generali Piemontesi, dei quali nessunoeravi di grande abilità, ma almeno avevano patriotismo,coraggio, e cognizione dei luoghi e delle persone. A Ra-morino, altro generale sfortunato e sospetto nella guerraPolacca del 1831, sfortunato pure nel tentativo Mazzi-niano in Savoja nel 1834, fu affidato il comando dellalegione lombarda.

Il campo Piemontese fu inondato da bollettini a stam-pa, alcuni dei quali dicevano: «Soldati, voi fate la guer-ra pei Lombardi che vi tradiscono;» altri dicevano:«mentre voi combattete, la Repubblica si proclama inTorino;» ed altri ancora: «il Re è tradito dai demago-ghi.» Questi detestabili e vili artifizii, per isparger loscoraggiamento nelle fila dell'esercito, furono comune-mente, ma ingiustamente a parer mio, attribuiti allemene delle sagrestie, o dei dorati saloni dell'aristocrazia;od anche delle anticamere della reggia. L'intrinseca pro-

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dell'esercito raccolto dal general Chiodo consisteva invecchi soldati, stanchi e disanimati dalla precedentecampagna, e malvolontieri distaccati dalle loro mogli efigli. Improvvida pure fu la scelta del comandante su-premo Czarnowsky. Era stato offerto il comando a di-versi generali francesi, ma l'avevano ricusato. Czarnow-sky erasi acquistata una qualche rinomanza, ma nonmolto incoraggiante, nella guerra della rivoluzione diPolonia, dove era stato sfortunato, ed aveva persino ec-citato qualche sospetto di tradimento, come sogliono ec-citarlo, per lo più ingiustamente, i condottieri sfortunati.Meglio sarebbe stato affidar il comando al Bava, o adalcun altro dei generali Piemontesi, dei quali nessunoeravi di grande abilità, ma almeno avevano patriotismo,coraggio, e cognizione dei luoghi e delle persone. A Ra-morino, altro generale sfortunato e sospetto nella guerraPolacca del 1831, sfortunato pure nel tentativo Mazzi-niano in Savoja nel 1834, fu affidato il comando dellalegione lombarda.

Il campo Piemontese fu inondato da bollettini a stam-pa, alcuni dei quali dicevano: «Soldati, voi fate la guer-ra pei Lombardi che vi tradiscono;» altri dicevano:«mentre voi combattete, la Repubblica si proclama inTorino;» ed altri ancora: «il Re è tradito dai demago-ghi.» Questi detestabili e vili artifizii, per isparger loscoraggiamento nelle fila dell'esercito, furono comune-mente, ma ingiustamente a parer mio, attribuiti allemene delle sagrestie, o dei dorati saloni dell'aristocrazia;od anche delle anticamere della reggia. L'intrinseca pro-

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babilità delle cose, e la cognizione storica del fatto, ge-nerale e non eccezionale, che le guerre si vincono nonsolo per mezzo del ferro e del piombo ma ancora permezzo dell'oro, adoperato in palese ed in segreto, mi fancredere che quegli infami bullettini siano stati pagatidall'oro austriaco.

Czarnowsky, dal canto suo, rinnovò il solito error ca-pitale dei generali italiani del nostro tempo, di dividerele proprie forze in guisa che non siano in posizione disoccorrersi le une le altre con una sola marcia.

Infatti Lamarmora era alla destra del Po; Ramorino,coi Lombardi, fu mandato alla Cava, dove il Ticino siunisce col Po; Giovanni Durando, ed il duca di Savoja,il futuro re Vittorio Emanuele, schierarono le loro trup-pe vicino a Mortara; Czarnowsky, col re Carlo Alberto ecol corpo principale dell'esercito, si pose nelle vicinanzedi Novara.

Radetzky seguì le regole elementari, ma buone, dellastrategia. Manovrando abilmente alla sinistra del granfiume, andò prima con tutte le sue soldatesche a schiac-ciare la legione Lombarda alla Cava, nel giorno ventu-no; passò nel seguente giorno a disfare presso Mortara,il corpo capitanato da Durando e da Vittorio Emanuele;ed infine, nel giorno 23, si accinse a combattere il prin-cipal corpo Piemontese presso Novara.

Nondimeno la battaglia di Novara propriamente dettaebbe diverse vicende, le quali avrebber potuto dar la vit-toria agl'Italiani, se fosser stati meglio comandati.

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babilità delle cose, e la cognizione storica del fatto, ge-nerale e non eccezionale, che le guerre si vincono nonsolo per mezzo del ferro e del piombo ma ancora permezzo dell'oro, adoperato in palese ed in segreto, mi fancredere che quegli infami bullettini siano stati pagatidall'oro austriaco.

Czarnowsky, dal canto suo, rinnovò il solito error ca-pitale dei generali italiani del nostro tempo, di dividerele proprie forze in guisa che non siano in posizione disoccorrersi le une le altre con una sola marcia.

Infatti Lamarmora era alla destra del Po; Ramorino,coi Lombardi, fu mandato alla Cava, dove il Ticino siunisce col Po; Giovanni Durando, ed il duca di Savoja,il futuro re Vittorio Emanuele, schierarono le loro trup-pe vicino a Mortara; Czarnowsky, col re Carlo Alberto ecol corpo principale dell'esercito, si pose nelle vicinanzedi Novara.

Radetzky seguì le regole elementari, ma buone, dellastrategia. Manovrando abilmente alla sinistra del granfiume, andò prima con tutte le sue soldatesche a schiac-ciare la legione Lombarda alla Cava, nel giorno ventu-no; passò nel seguente giorno a disfare presso Mortara,il corpo capitanato da Durando e da Vittorio Emanuele;ed infine, nel giorno 23, si accinse a combattere il prin-cipal corpo Piemontese presso Novara.

Nondimeno la battaglia di Novara propriamente dettaebbe diverse vicende, le quali avrebber potuto dar la vit-toria agl'Italiani, se fosser stati meglio comandati.

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Il general d'Aspre, francese d'origine, ma Austriaco diservizio e d'animo, cominciò l'attacco alle undici delmattino. La posizione della Bicocca, difesa dapprimadal general Perrone, poi dal duca di Genova, fu presa eripresa sino a quattro volte. Ad un certo momentol'Aspre era sconfitto sopra tutta la linea, e circondato.Inevitabile era la sua perdita, e ne sarebbe forse seguitaquella di tutto l'esercito imperiale, se il duca di Genovaavesse seguito il suo proprio impulso di continuare lamarcia innanzi, ed il generale in capo l'avesse seconda-to. Ma Czarnowsky, pel chimerico timore o preteso peri-colo di esser avviluppato a destra, diede al duca di Ge-nova il fatale ordine di tornarsene indietro.

Gli Austriaci, preso animo da quell'inaspettato movi-mento retrogrado dei Piemontesi, tornarono all'attacco. Ivalorosi generali Passalacqua e Perrone furono uccisi inpersona. Il non men prode duca di Genova ebbe più d'uncavallo ucciso sotto di lui; ma i suoi soldati cominciaro-no a vacillare, indi a sbandarsi. A grado a grado il disor-dine si propagò, e la maggior parte dei soldati piemonte-si si ritrassero entro Novara. Affamati, pel solito erroreo delitto di tardiva distribuzione dei viveri, invece diprepararsi alla difesa della città si diedero a saccheggiarle case. Tale si fu il turpe e luttuoso esito della battagliadi Novara. Carlo Alberto aveva cercato invano la mortenella mischia. L'indomani, 24 marzo 1849, egli abdicòin favore di suo figlio Vittorio Emanuele, e recossi, colcuore affranto, a finire i suoi giorni ad Oporto in Porto-gallo. A Czarnowsky furono fatti dei semplici rimprove-

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Il general d'Aspre, francese d'origine, ma Austriaco diservizio e d'animo, cominciò l'attacco alle undici delmattino. La posizione della Bicocca, difesa dapprimadal general Perrone, poi dal duca di Genova, fu presa eripresa sino a quattro volte. Ad un certo momentol'Aspre era sconfitto sopra tutta la linea, e circondato.Inevitabile era la sua perdita, e ne sarebbe forse seguitaquella di tutto l'esercito imperiale, se il duca di Genovaavesse seguito il suo proprio impulso di continuare lamarcia innanzi, ed il generale in capo l'avesse seconda-to. Ma Czarnowsky, pel chimerico timore o preteso peri-colo di esser avviluppato a destra, diede al duca di Ge-nova il fatale ordine di tornarsene indietro.

Gli Austriaci, preso animo da quell'inaspettato movi-mento retrogrado dei Piemontesi, tornarono all'attacco. Ivalorosi generali Passalacqua e Perrone furono uccisi inpersona. Il non men prode duca di Genova ebbe più d'uncavallo ucciso sotto di lui; ma i suoi soldati cominciaro-no a vacillare, indi a sbandarsi. A grado a grado il disor-dine si propagò, e la maggior parte dei soldati piemonte-si si ritrassero entro Novara. Affamati, pel solito erroreo delitto di tardiva distribuzione dei viveri, invece diprepararsi alla difesa della città si diedero a saccheggiarle case. Tale si fu il turpe e luttuoso esito della battagliadi Novara. Carlo Alberto aveva cercato invano la mortenella mischia. L'indomani, 24 marzo 1849, egli abdicòin favore di suo figlio Vittorio Emanuele, e recossi, colcuore affranto, a finire i suoi giorni ad Oporto in Porto-gallo. A Czarnowsky furono fatti dei semplici rimprove-

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ri, in luogo della punizione che meritava. Ramorinoebbe un processo che lo condusse alla fucilazione.

Brescia, una delle più illustri città italiane per patrio-tismo nazionale, insorse, e sostenne per cinque giorni ilbombardamento; ma infine fa costretta a piegar di nuo-vo il collo all'odiato giogo straniero. La notizia di tuttequeste sventure sparse la costernazione per tutta l'Italia,ed anche in seno all'Assemblea Romana. In una sedutasecreta si presentarono a noi il Castellani, legato dellaRepubblica di Venezia, e Lorenzo Valerio mandato dalParlamento subalpino. Il Valerio raccontò piangendo ildisastro di Novara, ma ne dipinse meno gravi del vero leconseguenze militari. Tanto egli quanto l'inviato Veneto,domandarono all'Assemblea Romana alleanza ed ajuto.

L'Assemblea non diede risposta sfavorevole; se nonche la nostra piccola Repubblica, con tre soli milionid'abitanti, era ornai costretta a pensare alla sua propriadifesa. Si rumoreggiava già di una coalizione retrogradaa nostro danno, e d'una preparata invasione dei nostriconfini da più parti contemporaneamente. Ma l'attitudi-ne del popolo, delle milizie, dell'Assemblea costituentee del triumvirato, era quale esser doveva. La mente di-rettrice era quella di Mazzini. Egli però non ebbe campodi spiegare alcuna straordinaria abilità governativa, per-chè non ve n'era il bisogno. La macchina amministrativacamminava mirabilmente da sè, tanto nella capitale chenelle provincie. Quasi tutti i comuni fecero degl'indirizzipatriotici ed affettuosi alla Repubblica, e si dichiararonopronti a sostenerla contro la minacciata estera prepoten-

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ri, in luogo della punizione che meritava. Ramorinoebbe un processo che lo condusse alla fucilazione.

Brescia, una delle più illustri città italiane per patrio-tismo nazionale, insorse, e sostenne per cinque giorni ilbombardamento; ma infine fa costretta a piegar di nuo-vo il collo all'odiato giogo straniero. La notizia di tuttequeste sventure sparse la costernazione per tutta l'Italia,ed anche in seno all'Assemblea Romana. In una sedutasecreta si presentarono a noi il Castellani, legato dellaRepubblica di Venezia, e Lorenzo Valerio mandato dalParlamento subalpino. Il Valerio raccontò piangendo ildisastro di Novara, ma ne dipinse meno gravi del vero leconseguenze militari. Tanto egli quanto l'inviato Veneto,domandarono all'Assemblea Romana alleanza ed ajuto.

L'Assemblea non diede risposta sfavorevole; se nonche la nostra piccola Repubblica, con tre soli milionid'abitanti, era ornai costretta a pensare alla sua propriadifesa. Si rumoreggiava già di una coalizione retrogradaa nostro danno, e d'una preparata invasione dei nostriconfini da più parti contemporaneamente. Ma l'attitudi-ne del popolo, delle milizie, dell'Assemblea costituentee del triumvirato, era quale esser doveva. La mente di-rettrice era quella di Mazzini. Egli però non ebbe campodi spiegare alcuna straordinaria abilità governativa, per-chè non ve n'era il bisogno. La macchina amministrativacamminava mirabilmente da sè, tanto nella capitale chenelle provincie. Quasi tutti i comuni fecero degl'indirizzipatriotici ed affettuosi alla Repubblica, e si dichiararonopronti a sostenerla contro la minacciata estera prepoten-

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za. Solamente vi furono alcune mosse di contadini rea-zionarii nella provincia di Ascoli, e dei disordini alquan-to più gravi di cattivi repubblicani ad Ancona. Pretende-vano di correggere i retrogradi col coltello. A reprimerlifu mandato dapprima inutilmente Bernabei, indi conpieno successo l'energico Felice Orsini.

Altro quasi non rimaneva a fare ai triumviri, ed altroveramente non fecero, che secondare, più ancora che di-rigere, le buone disposizioni che già vi erano,nell'Assemblea, nella milizia e nel popolo, di difender laRepubblica contro l'invasione straniera. Mazzini meritòlode ancora per una moderazione e temperanza che altrinon si sarebbe di leggieri attesa dal celebre cospiratore.Io fui presente una volta ad una udienza ch'egli diede ataluni i quali venivano da una città di provincia a do-mandargli di far imprigionare certi retrogradi che cospi-ravano ai danni della Repubblica. Raccogliete, lor disseMazzini, le prove della lor reità, ed i tribunali li giudi-cheranno. Ma, ripigliavano gl'inviati, allorchè i retrogra-di governavano non avevano siffatti scrupoli a favor no-stro. — Ed appunto perchè non avevan tali riguardi perla giustizia, conchiudeva Mazzini, i passati governi me-ritavano di cadere, e son caduti. Non vogliamo, noi,camminare sulle loro traccie.

Per verità le cospirazioni all'interno contro la sicurez-za della Repubblica, pur ammesso che ve ne fossero,erano di una evidente impotenza. Ben più formidabilierano gli apparecchiamenti ostili all'estero. Il fuggitivopontefice promosse ed affrettò l'invasione del territorio

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za. Solamente vi furono alcune mosse di contadini rea-zionarii nella provincia di Ascoli, e dei disordini alquan-to più gravi di cattivi repubblicani ad Ancona. Pretende-vano di correggere i retrogradi col coltello. A reprimerlifu mandato dapprima inutilmente Bernabei, indi conpieno successo l'energico Felice Orsini.

Altro quasi non rimaneva a fare ai triumviri, ed altroveramente non fecero, che secondare, più ancora che di-rigere, le buone disposizioni che già vi erano,nell'Assemblea, nella milizia e nel popolo, di difender laRepubblica contro l'invasione straniera. Mazzini meritòlode ancora per una moderazione e temperanza che altrinon si sarebbe di leggieri attesa dal celebre cospiratore.Io fui presente una volta ad una udienza ch'egli diede ataluni i quali venivano da una città di provincia a do-mandargli di far imprigionare certi retrogradi che cospi-ravano ai danni della Repubblica. Raccogliete, lor disseMazzini, le prove della lor reità, ed i tribunali li giudi-cheranno. Ma, ripigliavano gl'inviati, allorchè i retrogra-di governavano non avevano siffatti scrupoli a favor no-stro. — Ed appunto perchè non avevan tali riguardi perla giustizia, conchiudeva Mazzini, i passati governi me-ritavano di cadere, e son caduti. Non vogliamo, noi,camminare sulle loro traccie.

Per verità le cospirazioni all'interno contro la sicurez-za della Repubblica, pur ammesso che ve ne fossero,erano di una evidente impotenza. Ben più formidabilierano gli apparecchiamenti ostili all'estero. Il fuggitivopontefice promosse ed affrettò l'invasione del territorio

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della Repubblica Romana dagli eserciti di quattro poten-ze: Francia, Austria, Spagna e Napoli.

Primi si mossero i Francesi. Imbarcatisi a Tolone, innumero di nove o dieci mila, e condotti dal generale Ou-dinot, vennero a Civitavecchia, e l'occuparono senza in-contrar resistenza, per la fallace lusinga che venisseroquali amici in nostro ajuto. Cadde la benda dagli occhidegl'Italiani quando i Francesi fecero prigioniero il bat-taglione Mellara. Ma il valoroso colonnello Mellara,con italiana astuzia deluse la vigilanza de' suoi custodi,e se ne venne a Roma con alcuni de' suoi soldati; inermibensì, ma qui trovarono armi. Allora la popolare credu-lità creò un'altra leggenda, opposta alla prima che spera-va in Oudinot un nostro amico. Si pretese che fosserousciti dal suo labbro questi accenti di sprezzo: gl'Italia-ni non si battono. Appena uno dei più ignoranti fra' suoicaporali avrebbe potuto parlar così; non il figlio di unmaresciallo di Napoleone, il quale aveva avutosott'occhio le prove di valore fatte dagl'Italiani nellaSpagna ed in Russia.

Per altro le leggende, antiche o moderne, han semprequalche lato di verità. Avevano dato falsamente a crede-re ad Oudinot che i Romani aspettassero con bramosebraccia il ritorno del Papa. La precisa verità è questa: ladifesa di Roma fu sostenuta principalmente da Italianinon Romani, ma con qualche cooperazione reale e spon-tanea, benchè non generale nè entusiastica, dei Romani.All'accostarsi dei Francesi, alla fine di aprile, persino ledonne dei rioni più popolari, e specialmente del Traste-

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della Repubblica Romana dagli eserciti di quattro poten-ze: Francia, Austria, Spagna e Napoli.

Primi si mossero i Francesi. Imbarcatisi a Tolone, innumero di nove o dieci mila, e condotti dal generale Ou-dinot, vennero a Civitavecchia, e l'occuparono senza in-contrar resistenza, per la fallace lusinga che venisseroquali amici in nostro ajuto. Cadde la benda dagli occhidegl'Italiani quando i Francesi fecero prigioniero il bat-taglione Mellara. Ma il valoroso colonnello Mellara,con italiana astuzia deluse la vigilanza de' suoi custodi,e se ne venne a Roma con alcuni de' suoi soldati; inermibensì, ma qui trovarono armi. Allora la popolare credu-lità creò un'altra leggenda, opposta alla prima che spera-va in Oudinot un nostro amico. Si pretese che fosserousciti dal suo labbro questi accenti di sprezzo: gl'Italia-ni non si battono. Appena uno dei più ignoranti fra' suoicaporali avrebbe potuto parlar così; non il figlio di unmaresciallo di Napoleone, il quale aveva avutosott'occhio le prove di valore fatte dagl'Italiani nellaSpagna ed in Russia.

Per altro le leggende, antiche o moderne, han semprequalche lato di verità. Avevano dato falsamente a crede-re ad Oudinot che i Romani aspettassero con bramosebraccia il ritorno del Papa. La precisa verità è questa: ladifesa di Roma fu sostenuta principalmente da Italianinon Romani, ma con qualche cooperazione reale e spon-tanea, benchè non generale nè entusiastica, dei Romani.All'accostarsi dei Francesi, alla fine di aprile, persino ledonne dei rioni più popolari, e specialmente del Traste-

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vere, si chiarivano avverse agli stranieri. La stanchezzapoi di due mesi di lotta prolungata, cangiarono alquantole disposizioni degli animi. L'ingresso dei Francesi, ed ilrialzamento degli stemmi pontifici, furon veduti con in-differenza o con poco rammarico dagli uomini, con fa-vore dalle donne; non però con giubilo neppure da parteloro.

Prima di accingermi alla narrazione dei combattimen-ti che nacquero all'arrivo dei francesi nella giornata del30 aprile, e di quelli che si rinnovarono più sanguinosiancora nel susseguente giugno, ne descriverò brevemen-te il teatro. Sussistono tuttora alcuni imponenti avanzidelle mura erette, sotto Servio Tullio sesto re di Roma; edall'ampiezza dello spazio abbracciato si scorge che icostruttori avevano più in vista la grandezza della Romafutura che quella della Roma loro contemporanea. Tut-tavia il recinto della città fu più volte ampliato. Le pre-senti mura merlate e turrite, alla sinistra del Tevere,sono opera dell'imperatore Aureliano; quelle a destra,tutte disposte in regolar forma di bastioni ad angoli sa-lienti e rientranti, sono più recenti, ed opera dei papi.

Il dotto antiquario Nibby, calcolò che il circuito mo-derno di Roma, compresi i risalti delle torri, ma non cu-rando le minori anfrattuosità dei bastioni, eguaglia sedi-ci miglia romane, e mezzo: ma misurando col compassosulla mappa la frastagliata linea delle mura di Roma,comprese tutte le parti sporgenti e rientranti, si trova intotale la notabil lunghezza di 22 miglia romane da 75 algrado, o circa 33 chilometri. Questo sarebbe il contorno

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vere, si chiarivano avverse agli stranieri. La stanchezzapoi di due mesi di lotta prolungata, cangiarono alquantole disposizioni degli animi. L'ingresso dei Francesi, ed ilrialzamento degli stemmi pontifici, furon veduti con in-differenza o con poco rammarico dagli uomini, con fa-vore dalle donne; non però con giubilo neppure da parteloro.

Prima di accingermi alla narrazione dei combattimen-ti che nacquero all'arrivo dei francesi nella giornata del30 aprile, e di quelli che si rinnovarono più sanguinosiancora nel susseguente giugno, ne descriverò brevemen-te il teatro. Sussistono tuttora alcuni imponenti avanzidelle mura erette, sotto Servio Tullio sesto re di Roma; edall'ampiezza dello spazio abbracciato si scorge che icostruttori avevano più in vista la grandezza della Romafutura che quella della Roma loro contemporanea. Tut-tavia il recinto della città fu più volte ampliato. Le pre-senti mura merlate e turrite, alla sinistra del Tevere,sono opera dell'imperatore Aureliano; quelle a destra,tutte disposte in regolar forma di bastioni ad angoli sa-lienti e rientranti, sono più recenti, ed opera dei papi.

Il dotto antiquario Nibby, calcolò che il circuito mo-derno di Roma, compresi i risalti delle torri, ma non cu-rando le minori anfrattuosità dei bastioni, eguaglia sedi-ci miglia romane, e mezzo: ma misurando col compassosulla mappa la frastagliata linea delle mura di Roma,comprese tutte le parti sporgenti e rientranti, si trova intotale la notabil lunghezza di 22 miglia romane da 75 algrado, o circa 33 chilometri. Questo sarebbe il contorno

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d'un circolo con sette miglia di diametro. Quantunquel'area di Roma sia lungi dall'adeguare un circolo di taldiametro, a cagione della forma irregolare e degli angolisporgenti e rientranti, ma specialmente per le grandi ap-pendici spinte infuori, del Vaticano a destra e del castroPretorio a sinistra, Roma ha tuttavia un'estensione moltogrande entro le mura: della quale la minor parte è occu-pata dalle abitazioni. Il resto è vigne, orti e giardini. Lapresente popolazione oltrepassa di poco le trecentomilapersone; nel 1849 ne aveva 180,000, non compresi i fo-restieri.

Roma ebbe già un maggior numero di porte di quelleche ora ha: oggi ne ha dodici, cioè otto alla sinistra delfiume, e quattro alla destra. Queste quattro meritano diessere qui nominate, perchè sono in ispecial modo lega-te alla storia della guerra del 1849. Incominciando dallapiù vicina alla parte superiore del Tevere, e terminandocolla più vicina al mare, i 1or nomi son questi: portaAngelica, porta Cavalleggieri, porta San Pancrazio, eporta Portese, antica porta Portuensis. Essendo tutto acolli il terreno entro Roma e attorno ad essa, le mura fu-ron poste giudiziosamente presso le creste; le porte neidivallamenti fra colle e colle; ma esse rimangono tutta-via alte per lo più di molti metri sulle ripe del fiume, ec-cettuate le quattro più vicine al fiume stesso, che sonoporta Angelica e porta Portese a destra, porta del Popoloe porta San Paolo a sinistra. Nel 1849 i Francesi attacca-rono in modo diretto le mura a destra del Tevere, e prin-cipalmente la porta San Pancrazio, essendo quella che

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d'un circolo con sette miglia di diametro. Quantunquel'area di Roma sia lungi dall'adeguare un circolo di taldiametro, a cagione della forma irregolare e degli angolisporgenti e rientranti, ma specialmente per le grandi ap-pendici spinte infuori, del Vaticano a destra e del castroPretorio a sinistra, Roma ha tuttavia un'estensione moltogrande entro le mura: della quale la minor parte è occu-pata dalle abitazioni. Il resto è vigne, orti e giardini. Lapresente popolazione oltrepassa di poco le trecentomilapersone; nel 1849 ne aveva 180,000, non compresi i fo-restieri.

Roma ebbe già un maggior numero di porte di quelleche ora ha: oggi ne ha dodici, cioè otto alla sinistra delfiume, e quattro alla destra. Queste quattro meritano diessere qui nominate, perchè sono in ispecial modo lega-te alla storia della guerra del 1849. Incominciando dallapiù vicina alla parte superiore del Tevere, e terminandocolla più vicina al mare, i 1or nomi son questi: portaAngelica, porta Cavalleggieri, porta San Pancrazio, eporta Portese, antica porta Portuensis. Essendo tutto acolli il terreno entro Roma e attorno ad essa, le mura fu-ron poste giudiziosamente presso le creste; le porte neidivallamenti fra colle e colle; ma esse rimangono tutta-via alte per lo più di molti metri sulle ripe del fiume, ec-cettuate le quattro più vicine al fiume stesso, che sonoporta Angelica e porta Portese a destra, porta del Popoloe porta San Paolo a sinistra. Nel 1849 i Francesi attacca-rono in modo diretto le mura a destra del Tevere, e prin-cipalmente la porta San Pancrazio, essendo quella che

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conduce a Civitavecchia; la quale città, col suo porto,formava la lor base.

La campagna Romana è generalmente squallida, percolpa della mala coltivazione: ma la zona aderente allemura, dentro e fuori, contiene le ville dei numerosi prin-cipi romani, eredi delle private fortune dei papi. Le villeromane sono giardini vasti, eleganti, e superbi per copiadi alberi e di fiori, principalmente rose, e per gli adorna-menti architettonici e scultorii. Vastità, magnificenza ebellezza si ammirano in particolar modo nella villa Pan-filia, fuori di porta San Pancrazio, e nel giardino pontifi-cio del Vaticano entro le mura e dietro alla basilica ed alpalazzo, fra le porte Angelica e Cavalleggieri. Il terrenoattorno al giardino, fuori delle mura, porta il singolarnome di Valle dell'Inferno. Ora il terreno dai Francesioccupato nella giornata del 30 aprile, di che or ora dirò,fu la Valle dell'Inferno, ed il fronte d'attacco furono lemura, molto sporgenti in fuori, che circondano i giardinivaticani; ma durante l'assedio più regolare sostenuto daRoma nel mese di giugno, di che parlerò poi, la lottafervette particolarmente nello spazio interposto fra lavilla Panfili e la porta di San Pancrazio. Ivi erano purele belle benchè più piccole ville dei Quattro venti e delVascello. Io che presi qualche parte a quei combattimen-ti, negl'intervalli fra le sedute dell'Assemblea, feci piùvolte la melanconica riflessione che quello era forse ilpiù bel campo di battaglia che mai sia stato al mondo, eche conseguentemente, pur troppo, il terreno non ros-

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conduce a Civitavecchia; la quale città, col suo porto,formava la lor base.

La campagna Romana è generalmente squallida, percolpa della mala coltivazione: ma la zona aderente allemura, dentro e fuori, contiene le ville dei numerosi prin-cipi romani, eredi delle private fortune dei papi. Le villeromane sono giardini vasti, eleganti, e superbi per copiadi alberi e di fiori, principalmente rose, e per gli adorna-menti architettonici e scultorii. Vastità, magnificenza ebellezza si ammirano in particolar modo nella villa Pan-filia, fuori di porta San Pancrazio, e nel giardino pontifi-cio del Vaticano entro le mura e dietro alla basilica ed alpalazzo, fra le porte Angelica e Cavalleggieri. Il terrenoattorno al giardino, fuori delle mura, porta il singolarnome di Valle dell'Inferno. Ora il terreno dai Francesioccupato nella giornata del 30 aprile, di che or ora dirò,fu la Valle dell'Inferno, ed il fronte d'attacco furono lemura, molto sporgenti in fuori, che circondano i giardinivaticani; ma durante l'assedio più regolare sostenuto daRoma nel mese di giugno, di che parlerò poi, la lottafervette particolarmente nello spazio interposto fra lavilla Panfili e la porta di San Pancrazio. Ivi erano purele belle benchè più piccole ville dei Quattro venti e delVascello. Io che presi qualche parte a quei combattimen-ti, negl'intervalli fra le sedute dell'Assemblea, feci piùvolte la melanconica riflessione che quello era forse ilpiù bel campo di battaglia che mai sia stato al mondo, eche conseguentemente, pur troppo, il terreno non ros-

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seggiava soltanto pei fiori, ma ancora per le stille di san-gue umano.

La soldatesca di Oudinot, sbarcata a Civitavecchia,componevasi, come già dissi, di circa novemila uomini.Lasciatane una piccola porzione a guardare quella cittàalle sue spalle, egli arrivò col resto sotto Roma nel mat-tino del 30 aprile. Le forze nostre, numericamente, era-no press'a poco eguali alle sue. Le comandava il genera-le Avezzana, ministro della guerra. Garibaldi aveval'immediato comando della sua legione composta di unduemila e settecento uomini. Altrettanti ne comandava ildottor Luigi Masi, giovine buono e simpatico, ed anchevalente poeta improvvisatore per occasione. Può dirsi inqualche guisa che la rivoluzione lo improvvisò generale,poichè, capitano della Guardia nazionale alla creazionedi essa nel 1847, divenne generale nel 1849. La legioneRomana, ed un avanzo della linea pontificia, in tuttoquasi duemila uomini, erano sotto gli ordini del colon-nello Bartolomeo Galletti, altro giovine simpatico ed av-venente. Avevamo anche un minuscolo corpo di cavalle-ria, trecentoquattro uomini ed altrettanti cavalli, sotto ilcomando del colonnello Savini. A questi debbonsi ag-giungere cinquecento carabinieri o gendarmi, a piedi eda cavallo, comandati dal generale Galletti, presidentedell'Assemblea; altrettanti artiglieri comandati dal Ca-landrelli, e quattro centocinquanta zappatori del Genio.Secondo il computo del Gabussi eranvi in tutto novemi-la e trenta uomini sotto le armi. I seicento bersaglierilombardi di Luciano Manara trovavansi bensì in Roma,

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seggiava soltanto pei fiori, ma ancora per le stille di san-gue umano.

La soldatesca di Oudinot, sbarcata a Civitavecchia,componevasi, come già dissi, di circa novemila uomini.Lasciatane una piccola porzione a guardare quella cittàalle sue spalle, egli arrivò col resto sotto Roma nel mat-tino del 30 aprile. Le forze nostre, numericamente, era-no press'a poco eguali alle sue. Le comandava il genera-le Avezzana, ministro della guerra. Garibaldi aveval'immediato comando della sua legione composta di unduemila e settecento uomini. Altrettanti ne comandava ildottor Luigi Masi, giovine buono e simpatico, ed anchevalente poeta improvvisatore per occasione. Può dirsi inqualche guisa che la rivoluzione lo improvvisò generale,poichè, capitano della Guardia nazionale alla creazionedi essa nel 1847, divenne generale nel 1849. La legioneRomana, ed un avanzo della linea pontificia, in tuttoquasi duemila uomini, erano sotto gli ordini del colon-nello Bartolomeo Galletti, altro giovine simpatico ed av-venente. Avevamo anche un minuscolo corpo di cavalle-ria, trecentoquattro uomini ed altrettanti cavalli, sotto ilcomando del colonnello Savini. A questi debbonsi ag-giungere cinquecento carabinieri o gendarmi, a piedi eda cavallo, comandati dal generale Galletti, presidentedell'Assemblea; altrettanti artiglieri comandati dal Ca-landrelli, e quattro centocinquanta zappatori del Genio.Secondo il computo del Gabussi eranvi in tutto novemi-la e trenta uomini sotto le armi. I seicento bersaglierilombardi di Luciano Manara trovavansi bensì in Roma,

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ma non preser parte al combattimento del 30 aprile, es-sendo legati dalla data parola di non combattere primadel 5 maggio. Il biondo poeta Masi, e i due Galletti, nonavevano che uno scarsissimo patrimonio di scienza epratica militare; nondimeno fecero in quel giorno tutti etre eccellente prova.

Sin dal principio del mattino, Garibaldi e Masi eransipostati fuori porta San Pancrazio, aspettando l'arrivo deifrancesi, per attaccarli di fianco, mentre venivano per lavia Aurelia che estendesi da Civitavecchia sino alla por-ta Cavalleggieri. Il colonnello Galletti col suo reggimen-to stava dentro le mura presso la porta San Pancrazio,come riserva. Un altro avanzo di vecchia linea pontifi-cia, i carabinieri, la guardia nazionale, e i volontarii oc-casionali della giornata, presero posto pure entro la città,ma sulle mura che circondano l'ampio giardino del Vati-cano.

Da quella parte cominciarono i francesi il loro attac-co, coll'artiglieria postata sopra un'eminenza esterna, ecoi tiratori di Vincennes imboscati fra i cespugli. Dopoqueste avvisaglie si accostò la fanteria di linea, e teme-rariamente tentò la scalata delle mura, ma fu obbligata aretrocedere con sua perdita.

Infrattanto uscì dalla porta San Pancrazio la riservadel colonnello Galletti, e unitamente alla legione Masipercosse nel lor fianco destro i francesi. Con maggiorimpeto sopra di essi piombò Garibaldi. I francesi vacil-larono, indi si diedero a ritirarsi con qualche confusione.Un mezzo battaglione, o circa trecento uomini, sotto il

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ma non preser parte al combattimento del 30 aprile, es-sendo legati dalla data parola di non combattere primadel 5 maggio. Il biondo poeta Masi, e i due Galletti, nonavevano che uno scarsissimo patrimonio di scienza epratica militare; nondimeno fecero in quel giorno tutti etre eccellente prova.

Sin dal principio del mattino, Garibaldi e Masi eransipostati fuori porta San Pancrazio, aspettando l'arrivo deifrancesi, per attaccarli di fianco, mentre venivano per lavia Aurelia che estendesi da Civitavecchia sino alla por-ta Cavalleggieri. Il colonnello Galletti col suo reggimen-to stava dentro le mura presso la porta San Pancrazio,come riserva. Un altro avanzo di vecchia linea pontifi-cia, i carabinieri, la guardia nazionale, e i volontarii oc-casionali della giornata, presero posto pure entro la città,ma sulle mura che circondano l'ampio giardino del Vati-cano.

Da quella parte cominciarono i francesi il loro attac-co, coll'artiglieria postata sopra un'eminenza esterna, ecoi tiratori di Vincennes imboscati fra i cespugli. Dopoqueste avvisaglie si accostò la fanteria di linea, e teme-rariamente tentò la scalata delle mura, ma fu obbligata aretrocedere con sua perdita.

Infrattanto uscì dalla porta San Pancrazio la riservadel colonnello Galletti, e unitamente alla legione Masipercosse nel lor fianco destro i francesi. Con maggiorimpeto sopra di essi piombò Garibaldi. I francesi vacil-larono, indi si diedero a ritirarsi con qualche confusione.Un mezzo battaglione, o circa trecento uomini, sotto il

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comando del maggiore Picard, trovandosi circondati inun casino da Garibaldi, furon costretti ad arrendersi pri-gionieri. La vittoria dei romani era completa. Nè gravifurono le nostre perdite; un duecento fra morti e feriti.Si calcolò che ai francesi, fra prigionieri, feriti e morti,mancassero in quel giorno quasi mille uomini.

Garibaldi, Avezzana, ed il colonnello Galletti avreb-bero voluto inseguire i francesi. Mazzini si oppose, nonper considerazioni di ordine tattico, ma politiche. Certacosa era infatti che, ove anche si fosse distrutto sinoall'ultimo fante il piccolo esercito di Oudinot, la Franciaaveva una forza dieci volte oltre il bisogno per farne levendette. La repubblica francese commise il delitto didistruggere la minor sua sorella, malgrado la nostra mo-derazione e generosità, e ne pagò il fio meritato, perchèi reazionarii francesi, essendo riusciti nella loro spedi-zione di Roma all'estero, preser baldanza di intraprende-re ciò che essi chiamarono la spedizione di Romaall'interno. Mazzini però sagacemente prevedeva che unqualche giorno la Francia diventerebbe la nostra alleata.Tardò quel giorno per ben dieci anni, e venne in unmodo non preveduto nè desiderato dal grande agitatore,ma venne.

Fu accettata dall'Assemblea una proposta alquantostrana ma generosa, di Mazzini e di Ercolani, di restitui-re alla Francia senza condizioni i trecento prigionieri.Nel giorno 7 maggio fu dato un banchetto agli uffizialifrancesi liberati, i quali serbarono un prudente e dignito-so silenzio. Dopo il banchetto partirono in compagnia

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comando del maggiore Picard, trovandosi circondati inun casino da Garibaldi, furon costretti ad arrendersi pri-gionieri. La vittoria dei romani era completa. Nè gravifurono le nostre perdite; un duecento fra morti e feriti.Si calcolò che ai francesi, fra prigionieri, feriti e morti,mancassero in quel giorno quasi mille uomini.

Garibaldi, Avezzana, ed il colonnello Galletti avreb-bero voluto inseguire i francesi. Mazzini si oppose, nonper considerazioni di ordine tattico, ma politiche. Certacosa era infatti che, ove anche si fosse distrutto sinoall'ultimo fante il piccolo esercito di Oudinot, la Franciaaveva una forza dieci volte oltre il bisogno per farne levendette. La repubblica francese commise il delitto didistruggere la minor sua sorella, malgrado la nostra mo-derazione e generosità, e ne pagò il fio meritato, perchèi reazionarii francesi, essendo riusciti nella loro spedi-zione di Roma all'estero, preser baldanza di intraprende-re ciò che essi chiamarono la spedizione di Romaall'interno. Mazzini però sagacemente prevedeva che unqualche giorno la Francia diventerebbe la nostra alleata.Tardò quel giorno per ben dieci anni, e venne in unmodo non preveduto nè desiderato dal grande agitatore,ma venne.

Fu accettata dall'Assemblea una proposta alquantostrana ma generosa, di Mazzini e di Ercolani, di restitui-re alla Francia senza condizioni i trecento prigionieri.Nel giorno 7 maggio fu dato un banchetto agli uffizialifrancesi liberati, i quali serbarono un prudente e dignito-so silenzio. Dopo il banchetto partirono in compagnia

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dei loro commilitoni liberati, ma senza armi, e raggiun-sero il lor reggimento ed il resto del corpo di Oudinot,che era attendato a Palo, luogo a metà distanza fraRoma e Civitavecchia.

Gli altri storici della Repubblica Romana, Farini, Ga-bussi, Rusconi, Beghelli, raccontano un incidente diquella marcia dei francesi liberati, nel quale è mescolatoil mio nome: lo racconterò ancor io, perchè sebbene siacosa di piccolissima importanza individuale, è un saggiodi alcune generali e perciò importanti disposizioni deglianimi umani.

Una gran folla di popolo accompagnava il mezzo bat-taglione francese liberato, nella sua marcia dalla piazzaColonna alla porta Cavalleggieri, gridando a squarcia-gola: viva la Repubblica. I francesi continuavano a ser-bar il silenzio, come a buoni soldati prigionieri si addi-ceva. Traversavano la piazza Vaticana, la quale, col ma-gnifico peristilio del Bernino a quattro fila di colonne,coll'obelisco egiziano nel centro, colle due grandi fonta-ne che sembran lanciare due perenni torrenti di argentoverso il cielo, e col più gran tempio del mondo in fronte,è dal canto suo la più bella e maestosa piazza del mon-do. Taluno ebbe la buona e cortese idea di condurre inostri già prigionieri ora ospiti, a veder l'immensa basi-lica. Entrammo alla rinfusa, italiani e francesi.

Lo straniero che per la prima volta pone il piede inSan Pietro, si accorge tosto che quella è una chiesa piùgrande e più bella di qualsivoglia altra chiesa da lui pri-ma veduta; ma non gli sembra ancora tanto grande

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dei loro commilitoni liberati, ma senza armi, e raggiun-sero il lor reggimento ed il resto del corpo di Oudinot,che era attendato a Palo, luogo a metà distanza fraRoma e Civitavecchia.

Gli altri storici della Repubblica Romana, Farini, Ga-bussi, Rusconi, Beghelli, raccontano un incidente diquella marcia dei francesi liberati, nel quale è mescolatoil mio nome: lo racconterò ancor io, perchè sebbene siacosa di piccolissima importanza individuale, è un saggiodi alcune generali e perciò importanti disposizioni deglianimi umani.

Una gran folla di popolo accompagnava il mezzo bat-taglione francese liberato, nella sua marcia dalla piazzaColonna alla porta Cavalleggieri, gridando a squarcia-gola: viva la Repubblica. I francesi continuavano a ser-bar il silenzio, come a buoni soldati prigionieri si addi-ceva. Traversavano la piazza Vaticana, la quale, col ma-gnifico peristilio del Bernino a quattro fila di colonne,coll'obelisco egiziano nel centro, colle due grandi fonta-ne che sembran lanciare due perenni torrenti di argentoverso il cielo, e col più gran tempio del mondo in fronte,è dal canto suo la più bella e maestosa piazza del mon-do. Taluno ebbe la buona e cortese idea di condurre inostri già prigionieri ora ospiti, a veder l'immensa basi-lica. Entrammo alla rinfusa, italiani e francesi.

Lo straniero che per la prima volta pone il piede inSan Pietro, si accorge tosto che quella è una chiesa piùgrande e più bella di qualsivoglia altra chiesa da lui pri-ma veduta; ma non gli sembra ancora tanto grande

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quanto di fatto ella si è. Questo fenomeno avviene gene-ralmente di tutte le cose grandissime: persino al Sole. Cisembran grandi sin dal principio, ma non al grado in cuiveramente lo sono. In San Pietro però, di mano in manoche il novello visitatore si avanza, camminando e purcamminando ancora, avviene che il tempio sembra an-dar sempre più grandeggiando attorno a lui. Allorchèpoi egli arriva sotto la cupola di Michelangelo, ne riceveun'impressione come se al di sopra del suo capo siespandesse all'improvviso la volta dell'Empireo.

Io attesi che tutti fossero fermi e quasi assorti in esta-tica contemplazione; indi con alta e robusta voce, ed inlingua francese, abbastanza intesa anche dalla maggiorparte degl'italiani, dissi così: Cittadini italiani e france-si, in questo luogo sacro e sublime, preghiamo l'Onni-possente per la salute e la libertà di tutti i popolidell'Universo. Detto ciò, posi un ginocchio a terra, mami rialzai prima degli altri, e volsi gli occhi in giro. Vidiche erano tutti inginocchiati. Duolmi di dover pensareche il naturale esito di una tale esperienza oggi sarebbediverso.

In ricambio del mezzo battaglione da noi restituito,Oudinot ci restituì, ma egualmente disarmato, il batta-glione Mellara, fatto prigioniero per sorpresa a Civita-vecchia, ed il cappellano di Garibaldi, Ugo Bassi. Loavevano preso mentre nell'esuberanza della sua bella mapoco riflessiva anima si era inoltrato in mezzo alleschiere francesi per esortarle a non combattere contro laRepubblica Romana.

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quanto di fatto ella si è. Questo fenomeno avviene gene-ralmente di tutte le cose grandissime: persino al Sole. Cisembran grandi sin dal principio, ma non al grado in cuiveramente lo sono. In San Pietro però, di mano in manoche il novello visitatore si avanza, camminando e purcamminando ancora, avviene che il tempio sembra an-dar sempre più grandeggiando attorno a lui. Allorchèpoi egli arriva sotto la cupola di Michelangelo, ne riceveun'impressione come se al di sopra del suo capo siespandesse all'improvviso la volta dell'Empireo.

Io attesi che tutti fossero fermi e quasi assorti in esta-tica contemplazione; indi con alta e robusta voce, ed inlingua francese, abbastanza intesa anche dalla maggiorparte degl'italiani, dissi così: Cittadini italiani e france-si, in questo luogo sacro e sublime, preghiamo l'Onni-possente per la salute e la libertà di tutti i popolidell'Universo. Detto ciò, posi un ginocchio a terra, mami rialzai prima degli altri, e volsi gli occhi in giro. Vidiche erano tutti inginocchiati. Duolmi di dover pensareche il naturale esito di una tale esperienza oggi sarebbediverso.

In ricambio del mezzo battaglione da noi restituito,Oudinot ci restituì, ma egualmente disarmato, il batta-glione Mellara, fatto prigioniero per sorpresa a Civita-vecchia, ed il cappellano di Garibaldi, Ugo Bassi. Loavevano preso mentre nell'esuberanza della sua bella mapoco riflessiva anima si era inoltrato in mezzo alleschiere francesi per esortarle a non combattere contro laRepubblica Romana.

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Poco dopo la giornata del 30 aprile, onorevole e for-tunata per Roma, gli austriaci giunsero sotto Bologna.Dieder principio alle ostilità assalendo la porta di Gal-liera, e furon respinti; ma per adescare i bolognesi aduna sortita, gli austriaci lasciarono sulla strada un can-none, e si appiattarono nelle case del sobborgo. I popo-lani inesperti domandarono al colonnello Boldrini dicondurli alla cattura del pezzo abbandonato. La vecchiaesperienza del Boldrini subodorò l'insidia, e ne avvertì ipopolani; ma, rampognato ingiustamente di timidezza,uscì e fu ucciso insieme con Marliani, e con altri valoro-si imprudenti. Nella sera di quello stesso giorno, comein quella dell'8 agosto 1848, chiamati dal rombo delcannone, accorsero in ajuto dei bolognesi alcuni valoro-si delle vicine terre, specialmente da Budrio e da Medi-cina.

Altri animosi bolognesi, ed in gran numero, stavanlungi dalla loro città, essendo corsi in difesa di Veneziao di Roma. L'indomani dell'assalto a porta Galliera, lacommissione di difesa, composta d'uomini inetti o co-dardi, disse al municipio non potersi più oltre difenderela città; abbastanza essersi fatto per salvarne l'onore. Manon così la pensavano i più generosi popolani, i qualicostrinsero la municipalità a consegnar il potere al pro-fessor Antonio Alessandrini, insigne scienziato, eduomo saggio e virtuoso. Sotto la direzione di lui la cittàcontinuò a difendersi onorevolmente per altri sette gior-ni. Intanto gli austriaci, non solo dalla pianura, a ponen-te, settentrione e levante, ma ancora dai colli di San Mi-

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Poco dopo la giornata del 30 aprile, onorevole e for-tunata per Roma, gli austriaci giunsero sotto Bologna.Dieder principio alle ostilità assalendo la porta di Gal-liera, e furon respinti; ma per adescare i bolognesi aduna sortita, gli austriaci lasciarono sulla strada un can-none, e si appiattarono nelle case del sobborgo. I popo-lani inesperti domandarono al colonnello Boldrini dicondurli alla cattura del pezzo abbandonato. La vecchiaesperienza del Boldrini subodorò l'insidia, e ne avvertì ipopolani; ma, rampognato ingiustamente di timidezza,uscì e fu ucciso insieme con Marliani, e con altri valoro-si imprudenti. Nella sera di quello stesso giorno, comein quella dell'8 agosto 1848, chiamati dal rombo delcannone, accorsero in ajuto dei bolognesi alcuni valoro-si delle vicine terre, specialmente da Budrio e da Medi-cina.

Altri animosi bolognesi, ed in gran numero, stavanlungi dalla loro città, essendo corsi in difesa di Veneziao di Roma. L'indomani dell'assalto a porta Galliera, lacommissione di difesa, composta d'uomini inetti o co-dardi, disse al municipio non potersi più oltre difenderela città; abbastanza essersi fatto per salvarne l'onore. Manon così la pensavano i più generosi popolani, i qualicostrinsero la municipalità a consegnar il potere al pro-fessor Antonio Alessandrini, insigne scienziato, eduomo saggio e virtuoso. Sotto la direzione di lui la cittàcontinuò a difendersi onorevolmente per altri sette gior-ni. Intanto gli austriaci, non solo dalla pianura, a ponen-te, settentrione e levante, ma ancora dai colli di San Mi-

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chele in Bosco, dell'Osservanza e della Villa Baruzzi,che dominano la città a mezzogiorno, piovevano sopradi essa d'ogn'intorno, coi cannoni e coi mortari, una fie-ra grandine di projettili pieni ed esplosivi. La resa av-venne, con patti abbastanza decorosi, nel giorno 16.

Simile fu la sorte di Ancona, ma con una difesa piùlunga, cioè di ventisette giorni. Zambeccari comandavail piccolo ma valoroso presidio; Mattioli era preside, oprefetto; Chierici commissario di guerra: tutti e tre bolo-gnesi. Cominciato l'attacco il 24 maggio, terminò il 20giugno.

Gli spagnuoli occuparono due punti marittimi del ter-ritorio della Repubblica: Fiumicino e Terracina; ma ifrancesi non permisero ad essi di inoltrarsi fino a Romavolendo riservato a sè stessi l'onore di espugnarla.

Intanto il triumvirato trattava col governo francese,colla lusinga di renderselo amico. Le trattative eran con-dotte lealmente, e con volontà a noi favorevole, per par-te dell'inviato francese Lesseps, futuro autore del tagliodi Suez, ma non dal suo governo; laonde a nulla appro-darono. Oudinot promise di non attaccare la piazza diRoma prima del 3 giugno.

Il triumvirato, il quale aveva commesso l'errore, comevedemmo, di non portare la rivoluzione e la guerra entroi confini del regno di Napoli prima che scendessero con-tro di noi le tre altre potenze più formidabili, ebbe alme-no il merito di valersi della tregua di qualche giorno la-sciataci dai francesi, per mandar il nostro piccolo eserci-to contro il re di Napoli, quando costui aveva già varca-

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chele in Bosco, dell'Osservanza e della Villa Baruzzi,che dominano la città a mezzogiorno, piovevano sopradi essa d'ogn'intorno, coi cannoni e coi mortari, una fie-ra grandine di projettili pieni ed esplosivi. La resa av-venne, con patti abbastanza decorosi, nel giorno 16.

Simile fu la sorte di Ancona, ma con una difesa piùlunga, cioè di ventisette giorni. Zambeccari comandavail piccolo ma valoroso presidio; Mattioli era preside, oprefetto; Chierici commissario di guerra: tutti e tre bolo-gnesi. Cominciato l'attacco il 24 maggio, terminò il 20giugno.

Gli spagnuoli occuparono due punti marittimi del ter-ritorio della Repubblica: Fiumicino e Terracina; ma ifrancesi non permisero ad essi di inoltrarsi fino a Romavolendo riservato a sè stessi l'onore di espugnarla.

Intanto il triumvirato trattava col governo francese,colla lusinga di renderselo amico. Le trattative eran con-dotte lealmente, e con volontà a noi favorevole, per par-te dell'inviato francese Lesseps, futuro autore del tagliodi Suez, ma non dal suo governo; laonde a nulla appro-darono. Oudinot promise di non attaccare la piazza diRoma prima del 3 giugno.

Il triumvirato, il quale aveva commesso l'errore, comevedemmo, di non portare la rivoluzione e la guerra entroi confini del regno di Napoli prima che scendessero con-tro di noi le tre altre potenze più formidabili, ebbe alme-no il merito di valersi della tregua di qualche giorno la-sciataci dai francesi, per mandar il nostro piccolo eserci-to contro il re di Napoli, quando costui aveva già varca-

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to il confine, ed erasi impadronito della città di Palestri-na.

Il comando dell'esercito romano avrebbe dovuto affi-darsi al generale Garibaldi; ma anche nelle repubblicheallignano le invidie, e persino qualche cosa che corri-sponde alle adulazioni ed agl'intrighi delle corti monar-chiche. I più fanatici ammiratori di Mazzini erano gelosidella crescente popolarità di Garibaldi, per timore chenon potesse eclissare quella di Mazzini. Il comitato mi-litare consigliò ai triunviri di conferire la carica di gene-rale in capo al colonnello Rosselli, uffiziale rispettabileper la sua virtuosa condotta privata, e per militare dottri-na, ma troppo lungi dall'esser paragonabile a Garibaldi.Per altro il comando effettivo, in tutti i successivi fattid'arme, contro i napoletani e contro i francesi, fu sempreesercitato da Garibaldi.

Dapprima Garibaldi scacciò il distaccamento regio daPalestrina, nel giorno 9 maggio, e prese varii prigionieri,i quali furon condotti a Roma. Garibaldi fece ritorno allacapitale, per unirsi al resto dell'esercito romano sottoRosselli, e marciare a Velletri, ove il re di Napoli avevaconcentrato sedicimila uomini, con cinquanta pezzi diartiglieria.

Non sommavano a tanto le forze di tutto l'esercito diRosselli, compresi un mille e cinquecento volontarii co-mandati da Garibaldi. Fra questi merita una menzioneaffatto speciale una compagnia di fanciulli. Nel 1848 siformò in Bologna un battaglione di fanciulli appartenen-ti per lo più a civili famiglie, i quali nelle ore lasciate li-

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to il confine, ed erasi impadronito della città di Palestri-na.

Il comando dell'esercito romano avrebbe dovuto affi-darsi al generale Garibaldi; ma anche nelle repubblicheallignano le invidie, e persino qualche cosa che corri-sponde alle adulazioni ed agl'intrighi delle corti monar-chiche. I più fanatici ammiratori di Mazzini erano gelosidella crescente popolarità di Garibaldi, per timore chenon potesse eclissare quella di Mazzini. Il comitato mi-litare consigliò ai triunviri di conferire la carica di gene-rale in capo al colonnello Rosselli, uffiziale rispettabileper la sua virtuosa condotta privata, e per militare dottri-na, ma troppo lungi dall'esser paragonabile a Garibaldi.Per altro il comando effettivo, in tutti i successivi fattid'arme, contro i napoletani e contro i francesi, fu sempreesercitato da Garibaldi.

Dapprima Garibaldi scacciò il distaccamento regio daPalestrina, nel giorno 9 maggio, e prese varii prigionieri,i quali furon condotti a Roma. Garibaldi fece ritorno allacapitale, per unirsi al resto dell'esercito romano sottoRosselli, e marciare a Velletri, ove il re di Napoli avevaconcentrato sedicimila uomini, con cinquanta pezzi diartiglieria.

Non sommavano a tanto le forze di tutto l'esercito diRosselli, compresi un mille e cinquecento volontarii co-mandati da Garibaldi. Fra questi merita una menzioneaffatto speciale una compagnia di fanciulli. Nel 1848 siformò in Bologna un battaglione di fanciulli appartenen-ti per lo più a civili famiglie, i quali nelle ore lasciate li-

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bere dalla scuola, e specialmente nelle domeniche, siesercitavano al maneggio delle armi con piccoli fucilifatti apposta per la loro età. Siccome si suol dire, perischerzo ed in serio, che gli adolescenti sono la speranzadella Patria, così quella diminutiva coorte fu chiamata ilbattaglione della Speranza. Nell'aprile del 1849, unasessantina in circa di poveri ragazzi bolognesi, volendoemulare e superare i lor coetanei del battaglione dellaSperanza, si misero in capo di venir a combattere perl'Italia sotto Garibaldi, e lo raggiunsero a Rieti, pochigiorni prima del 30 aprile. Erano laceri anzichenò nelvestito e nella calzatura, e non so se mangiassero peristrada limosinando, o con qualche poco di cibo o di de-naro rubacchiato in casa. Presentaronsi al comitato diarruolamento in Rieti, e furono respinti per la lor teneraetà. Andarono da Pietro Ripari, medico della colonnaGaribaldi, e gli domandarono gravemente di essere in-gaggiati. Era tutta gente di dodici in quattordici anni in-circa. Ripari, malgrado la sua burbera bontà d'animo, liaccolse colle risa; ma essi opposero al riso il pianto, e sene richiamarono a Garibaldi. Il generale ordinò che fos-sero ricevuti. Diede quell'ordine per sentimento di uma-nità, ed anche qualche poco per la sua fede istintiva neimisteri dell'avvenire. Pochi giorni appresso, quei poverifanciulli dovevano salvargli la vita.

Furono armati di picche, abbigliati di camiciuole ope-raje, o blouses, e dati ad istruire ad un uomo, il qualeper verità non meritava quella carica, più importante chenon si credeva. Arrivati col resto della colonna Garibal-

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bere dalla scuola, e specialmente nelle domeniche, siesercitavano al maneggio delle armi con piccoli fucilifatti apposta per la loro età. Siccome si suol dire, perischerzo ed in serio, che gli adolescenti sono la speranzadella Patria, così quella diminutiva coorte fu chiamata ilbattaglione della Speranza. Nell'aprile del 1849, unasessantina in circa di poveri ragazzi bolognesi, volendoemulare e superare i lor coetanei del battaglione dellaSperanza, si misero in capo di venir a combattere perl'Italia sotto Garibaldi, e lo raggiunsero a Rieti, pochigiorni prima del 30 aprile. Erano laceri anzichenò nelvestito e nella calzatura, e non so se mangiassero peristrada limosinando, o con qualche poco di cibo o di de-naro rubacchiato in casa. Presentaronsi al comitato diarruolamento in Rieti, e furono respinti per la lor teneraetà. Andarono da Pietro Ripari, medico della colonnaGaribaldi, e gli domandarono gravemente di essere in-gaggiati. Era tutta gente di dodici in quattordici anni in-circa. Ripari, malgrado la sua burbera bontà d'animo, liaccolse colle risa; ma essi opposero al riso il pianto, e sene richiamarono a Garibaldi. Il generale ordinò che fos-sero ricevuti. Diede quell'ordine per sentimento di uma-nità, ed anche qualche poco per la sua fede istintiva neimisteri dell'avvenire. Pochi giorni appresso, quei poverifanciulli dovevano salvargli la vita.

Furono armati di picche, abbigliati di camiciuole ope-raje, o blouses, e dati ad istruire ad un uomo, il qualeper verità non meritava quella carica, più importante chenon si credeva. Arrivati col resto della colonna Garibal-

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di a Roma il 27 aprile, quasi alla vigilia del primo attac-co dei francesi, i biricchinelli bolognesi non furono re-putati abbastanza istruiti, e molto meno abbastanzaadulti per esporli al fuoco nel giorno 30. Pur nondime-no, nei susseguenti giorni, resi più arditi, e non conten-tandosi più di aver le picche, domandarono dei fucili. —Non ne abbiamo che di quelli della Guardia nazionale:sono più alti di voi, fu loro risposto. — Dateceli ugual-mente, dicevano i monelli. — Ma, piccoli sciagurati,come farete voi a caricare e scaricare? — Di questo la-sciate a noi il pensiero, replicava quella piccola ed eroi-ca marmaglia. — Ebbero i bramati fucili, ed alteramentemarciarono, con quelli sulle spalle, verso Velletri, collacolonna Garibaldi.

L'intero esercito Romano marciava a quella volta perla via Appia. La vanguardia, comandata da Garibaldi,precedeva di un tratto non piccolo, anzi veramente trop-po grande, il centro, posto sotto il diretto comando delgenerale in capo Rosselli. La fortuna, quando è avversa,od anche solo imparziale, difficilmente lascia impunitigli errori; quando essa ha il capriccio di esserci favore-vole a qualunque costo, si può errare impunemente; senon che, potendo essa cangiarsi da un momento all'altro,non è mai da farsi a fidanza con lei, neppur dove ella civolge il suo più lusinghiero sorriso. Insomma, per parla-re in forma più seria, come è serio nella sostanza ancheciò che precede, dico che noi dobbiamo star sempreall'erta, e cercare di non isbagliare giammai, se si può; odi errare il meno che sia possibile.

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di a Roma il 27 aprile, quasi alla vigilia del primo attac-co dei francesi, i biricchinelli bolognesi non furono re-putati abbastanza istruiti, e molto meno abbastanzaadulti per esporli al fuoco nel giorno 30. Pur nondime-no, nei susseguenti giorni, resi più arditi, e non conten-tandosi più di aver le picche, domandarono dei fucili. —Non ne abbiamo che di quelli della Guardia nazionale:sono più alti di voi, fu loro risposto. — Dateceli ugual-mente, dicevano i monelli. — Ma, piccoli sciagurati,come farete voi a caricare e scaricare? — Di questo la-sciate a noi il pensiero, replicava quella piccola ed eroi-ca marmaglia. — Ebbero i bramati fucili, ed alteramentemarciarono, con quelli sulle spalle, verso Velletri, collacolonna Garibaldi.

L'intero esercito Romano marciava a quella volta perla via Appia. La vanguardia, comandata da Garibaldi,precedeva di un tratto non piccolo, anzi veramente trop-po grande, il centro, posto sotto il diretto comando delgenerale in capo Rosselli. La fortuna, quando è avversa,od anche solo imparziale, difficilmente lascia impunitigli errori; quando essa ha il capriccio di esserci favore-vole a qualunque costo, si può errare impunemente; senon che, potendo essa cangiarsi da un momento all'altro,non è mai da farsi a fidanza con lei, neppur dove ella civolge il suo più lusinghiero sorriso. Insomma, per parla-re in forma più seria, come è serio nella sostanza ancheciò che precede, dico che noi dobbiamo star sempreall'erta, e cercare di non isbagliare giammai, se si può; odi errare il meno che sia possibile.

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In quel giorno la sorte favorì la bandiera repubblica-na, non ostante la biasimevole imprudenza di Garibaldi,del marciare coll'antiguardo a mezza giornata davanti alcentro, in prossimità al nemico.

Giunto ch'ei fu a due o tre miglia da Velletri, Garibal-di fe' sosta. Dispose a scaglioni la sua fanteria a destradella strada maestra, sulle pendici dei colli latini che ladominano, e mandò innanzi come esploratrice, per lastrada, la sua piccola cavalleria composta di cento uomi-ni a cavallo. Subito dietro a lui aveva la sua piccola arti-glieria, di due pezzi in tutto, e dietro quella il piccolobagaglio, tirato o portato da muli. Quell'esiguo corpo dicavalleria era comandato da un giovine bolognese, An-gelo Masini. Prima del 1848 era il Masini un giovineelegante e dissipato; ma dal giorno nel quale prese learmi sotto Zambeccari, egli cangiò tenore di vita; rimasebuono e simpatico, ma rinunziò alle frivolezze; altropensiero non ebbe che quello della Patria, e mostrò intutti gli scontri un coraggio ed un'abnegazione cavalle-resca, degna degli eroi dell'Ariosto. I suoi cento soldatiperò erano uomini del comune stampo; non vili nè catti-vi, ma non fiore di valorosi al pari di lui.

La battaglia di Velletri, che di lì a pochi momenti co-minciò, non fu una al certo delle più micidiali, nè dellepiù importanti registrate nella Storia, ma ebbe tuttaviauna reale e considerevole importanza, in quanto che li-berò il territorio Romano dalla presenza delle truppeBorboniche, e dal pericolo di vedervele mai più compa-rire. Quella battaglia è altresì uno dei fatti più singolari,

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In quel giorno la sorte favorì la bandiera repubblica-na, non ostante la biasimevole imprudenza di Garibaldi,del marciare coll'antiguardo a mezza giornata davanti alcentro, in prossimità al nemico.

Giunto ch'ei fu a due o tre miglia da Velletri, Garibal-di fe' sosta. Dispose a scaglioni la sua fanteria a destradella strada maestra, sulle pendici dei colli latini che ladominano, e mandò innanzi come esploratrice, per lastrada, la sua piccola cavalleria composta di cento uomi-ni a cavallo. Subito dietro a lui aveva la sua piccola arti-glieria, di due pezzi in tutto, e dietro quella il piccolobagaglio, tirato o portato da muli. Quell'esiguo corpo dicavalleria era comandato da un giovine bolognese, An-gelo Masini. Prima del 1848 era il Masini un giovineelegante e dissipato; ma dal giorno nel quale prese learmi sotto Zambeccari, egli cangiò tenore di vita; rimasebuono e simpatico, ma rinunziò alle frivolezze; altropensiero non ebbe che quello della Patria, e mostrò intutti gli scontri un coraggio ed un'abnegazione cavalle-resca, degna degli eroi dell'Ariosto. I suoi cento soldatiperò erano uomini del comune stampo; non vili nè catti-vi, ma non fiore di valorosi al pari di lui.

La battaglia di Velletri, che di lì a pochi momenti co-minciò, non fu una al certo delle più micidiali, nè dellepiù importanti registrate nella Storia, ma ebbe tuttaviauna reale e considerevole importanza, in quanto che li-berò il territorio Romano dalla presenza delle truppeBorboniche, e dal pericolo di vedervele mai più compa-rire. Quella battaglia è altresì uno dei fatti più singolari,

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non solo perchè un drappello di due o tre mila uominimise in fuga un re alla testa di sedici mila, ma principal-mente per questa circostanza, unica nella Storia, che lasconfitta di un così numeroso esercito nemico fu ottenu-ta in non piccola parte per merito ed opera di una com-pagnia di fanciulli.

Erano le 8 antimeridiane del giorno 19 maggio 1849.Angelo Masini mandò ratto avviso a Garibaldi che lacavalleria regia era uscita da Velletri, ed avanzavasi dipiccolo passo. Non era dunque una semplice escursionedi esploratori; la lentezza dei cavalieri borbonici era in-dizio che eran seguiti dall'infanteria. Di fatto la fanterianapoletana sfilava dalla porta di Velletri, in coda alla ca-valleria. Era tutto l'esercito regio il quale veniva a pre-sentar battaglia ai Romani. Garibaldi, dal canto suo, nespedì sollecito avviso al general Rosselli, ed egli avan-zossi a cavallo verso il luogo donde veniva il nemico.

Masini, il quale forse conosceva appena il nome diOrazio Coclite, aveva però la bravura dell'antico cam-pione Romano; laonde egli fece osservare a' suoi centouomini che la strada era stretta, e che occupandola serra-ti gli uni contro degli altri, diventavano pari ai nemici:pochi contro pochi. Ignorava però il principio di mecca-nica pel quale un corpo fermo non può rimaner tale rice-vendo l'urto di un altro corpo: fa d'uopo opporre velocitàa velocità; il qual principio è ancora più necessario adaversi in mente per la cavalleria che per la fanteria. An-gelo Masini infilò colla propria spada il maggiore checomandava il primo squadrone di cavalleria regia; ma

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non solo perchè un drappello di due o tre mila uominimise in fuga un re alla testa di sedici mila, ma principal-mente per questa circostanza, unica nella Storia, che lasconfitta di un così numeroso esercito nemico fu ottenu-ta in non piccola parte per merito ed opera di una com-pagnia di fanciulli.

Erano le 8 antimeridiane del giorno 19 maggio 1849.Angelo Masini mandò ratto avviso a Garibaldi che lacavalleria regia era uscita da Velletri, ed avanzavasi dipiccolo passo. Non era dunque una semplice escursionedi esploratori; la lentezza dei cavalieri borbonici era in-dizio che eran seguiti dall'infanteria. Di fatto la fanterianapoletana sfilava dalla porta di Velletri, in coda alla ca-valleria. Era tutto l'esercito regio il quale veniva a pre-sentar battaglia ai Romani. Garibaldi, dal canto suo, nespedì sollecito avviso al general Rosselli, ed egli avan-zossi a cavallo verso il luogo donde veniva il nemico.

Masini, il quale forse conosceva appena il nome diOrazio Coclite, aveva però la bravura dell'antico cam-pione Romano; laonde egli fece osservare a' suoi centouomini che la strada era stretta, e che occupandola serra-ti gli uni contro degli altri, diventavano pari ai nemici:pochi contro pochi. Ignorava però il principio di mecca-nica pel quale un corpo fermo non può rimaner tale rice-vendo l'urto di un altro corpo: fa d'uopo opporre velocitàa velocità; il qual principio è ancora più necessario adaversi in mente per la cavalleria che per la fanteria. An-gelo Masini infilò colla propria spada il maggiore checomandava il primo squadrone di cavalleria regia; ma

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gli altri cento cavalleggieri Garibaldini voltaron le bri-glie, e fuggirono indietro. Masini fu costretto a seguirli.

Nel ritirarsi precipitosamente, venivano contro al ge-neral Garibaldi, il quale stava fermo a cavallo sulla stra-da, e faceva lor segno colla mano di fermarsi. Indarno:perocchè l'impeto dei cavalli fuggenti non potè attutirsiin tempo. Arrivarono addosso a Garibaldi, rovesciandolui ed il suo cavallo, ed insieme il suo fedel moro An-drea Aghiar, ed il capitano Bueno, che gli tenevan com-pagnia.

Garibaldi ne riportò una grave contusione, ma stavaper succedere un disastro assai maggiore; conciossiachè,essendo già passata oltre la cavalleria Garibaldina, so-praggiungeva di trotto quella dei napoletani; e se unprovvedimento inaspettato non interveniva, l'eroicocampione della nazionalità italiana sarebbe stato schiac-ciato, e trapassato da molte punte nemiche, ovvero fattoprigioniero e fucilato. Ma una fortunata combinazioneaveva collocato, proprio a pochi passi davanti al luogodove il duce fu rovesciato dai cavalli di Masini, la com-pagnia dei fanciulli della Speranza. Appena essi adoc-chiarono la caduta ed il pericolo del loro idolatrato ge-nerale, non attesero il comando del lor capitano, ma cor-sero rapidamente giù per la china del colle ove eranoschierati. Una parte di essi si posero di traverso sullastrada, fra Garibaldi ed i nemici che arrivavano: voltaro-no contro di questi i fucili, e fecero una scarica. Gli altriragazzi che eran rimasti sul pendio del colle, non essen-do in tempo ad occupar la strada, fecero fuoco ancor

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gli altri cento cavalleggieri Garibaldini voltaron le bri-glie, e fuggirono indietro. Masini fu costretto a seguirli.

Nel ritirarsi precipitosamente, venivano contro al ge-neral Garibaldi, il quale stava fermo a cavallo sulla stra-da, e faceva lor segno colla mano di fermarsi. Indarno:perocchè l'impeto dei cavalli fuggenti non potè attutirsiin tempo. Arrivarono addosso a Garibaldi, rovesciandolui ed il suo cavallo, ed insieme il suo fedel moro An-drea Aghiar, ed il capitano Bueno, che gli tenevan com-pagnia.

Garibaldi ne riportò una grave contusione, ma stavaper succedere un disastro assai maggiore; conciossiachè,essendo già passata oltre la cavalleria Garibaldina, so-praggiungeva di trotto quella dei napoletani; e se unprovvedimento inaspettato non interveniva, l'eroicocampione della nazionalità italiana sarebbe stato schiac-ciato, e trapassato da molte punte nemiche, ovvero fattoprigioniero e fucilato. Ma una fortunata combinazioneaveva collocato, proprio a pochi passi davanti al luogodove il duce fu rovesciato dai cavalli di Masini, la com-pagnia dei fanciulli della Speranza. Appena essi adoc-chiarono la caduta ed il pericolo del loro idolatrato ge-nerale, non attesero il comando del lor capitano, ma cor-sero rapidamente giù per la china del colle ove eranoschierati. Una parte di essi si posero di traverso sullastrada, fra Garibaldi ed i nemici che arrivavano: voltaro-no contro di questi i fucili, e fecero una scarica. Gli altriragazzi che eran rimasti sul pendio del colle, non essen-do in tempo ad occupar la strada, fecero fuoco ancor

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essi, ma dall'alto, colpendo un maggior numero di uomi-ni, nel fitto della cavalleria regia.

Imbattendosi a questo inatteso e grave ostacolo, i ca-valleggeri napolitani si fermarono, titubarono alquanto,indi volsero prestamente i cavalli, e corsero indietro aprecipizio, andando addosso alla fanteria. Questa pure sifermò, ed invece di spiegarsi a destra e sinistra per com-battere, si mise in disordine. Successe uno di quei mo-menti di parapiglia e di terror panico che alle volte inva-de anche delle truppe migliori di quella, e vi fu una ge-neral fuga per rientrar in Velletri. Molti persino gettaronvia gli zaini per potere correre più speditamente.

I fanti Garibaldini adulti, dal canto loro, si fecero in-nanzi, e dalla strada e dai colli si diedero a fulminare lafanteria e cavalleria Borbonica, le quali, per la ristrettez-za della strada, e per la moltitudine e confusione deifuggiaschi, non potevano correre quanto bramavano.

Garibaldi, senza por mente alle sue contusioni, feceinoltrare tutta la sua colonna, tentando di entrare, sepossibile era, nella città, insiem coi borbonici fuggitivi:ma appena entrati, essi furori solleciti a chiuder le portee guernirono il ciglio delle mura. D'altra parte, gli Sviz-zeri al soldo borbonico occuparono colle artiglierie laforte ed elevata posizione dei Cappuccini. I Garibaldini,stendendosi per la campagna attorno alle mura, si diede-ro a tirare contro i regii coi fucili e coi loro due piccolipezzi di artiglieria, mentre i Napoletani e gli Svizzeri fa-cevan fuoco dall'alto, non solo coi fucili, e coll'artiglie-

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essi, ma dall'alto, colpendo un maggior numero di uomi-ni, nel fitto della cavalleria regia.

Imbattendosi a questo inatteso e grave ostacolo, i ca-valleggeri napolitani si fermarono, titubarono alquanto,indi volsero prestamente i cavalli, e corsero indietro aprecipizio, andando addosso alla fanteria. Questa pure sifermò, ed invece di spiegarsi a destra e sinistra per com-battere, si mise in disordine. Successe uno di quei mo-menti di parapiglia e di terror panico che alle volte inva-de anche delle truppe migliori di quella, e vi fu una ge-neral fuga per rientrar in Velletri. Molti persino gettaronvia gli zaini per potere correre più speditamente.

I fanti Garibaldini adulti, dal canto loro, si fecero in-nanzi, e dalla strada e dai colli si diedero a fulminare lafanteria e cavalleria Borbonica, le quali, per la ristrettez-za della strada, e per la moltitudine e confusione deifuggiaschi, non potevano correre quanto bramavano.

Garibaldi, senza por mente alle sue contusioni, feceinoltrare tutta la sua colonna, tentando di entrare, sepossibile era, nella città, insiem coi borbonici fuggitivi:ma appena entrati, essi furori solleciti a chiuder le portee guernirono il ciglio delle mura. D'altra parte, gli Sviz-zeri al soldo borbonico occuparono colle artiglierie laforte ed elevata posizione dei Cappuccini. I Garibaldini,stendendosi per la campagna attorno alle mura, si diede-ro a tirare contro i regii coi fucili e coi loro due piccolipezzi di artiglieria, mentre i Napoletani e gli Svizzeri fa-cevan fuoco dall'alto, non solo coi fucili, e coll'artiglie-

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ria da campagna, ma ancora coi cannoni da posizione,che avevan preparati per l'assedio di Roma.

Più arditi degli altri soldati di Garibaldi erano i fan-ciulli bolognesi. Acculando il fucile alla spalla, e pie-gandosi indietro per far equilibrio al peso della canna,prendevan la mira e sparavano, indi coricavano a terrasè stessi ed il fucile. Appena l'avevano ricaricato, si al-zavano, miravano e facevan fuoco di nuovo; poi torna-vano a stendersi sul suolo, caricar il fucile, rialzarsi e ti-rare ancora. Alcuni dei Velletrani, che stavan di dietro inosservazione, riferirono poi che i soldati del Borbone,superstiziosi come esser sogliono i meridionali, nel ve-der dall'alto e da lontano i movimenti di quei bellicosifanciulli, esclamavano: mamma mia! che iettatura! (qualsorte avversa!) Noi li ammazziamo; essi cascan per ter-ra, ed il demonio li rialza! Oggi non solo gli uffiziali na-poletani sono colti, come lo era già sin d'allora il fioredella popolazione meridionale, ma anche i soldati grega-

rii di quella parte d'Italia, arruolatinell'esercito italiano, si fanno sti-mare per la buona disciplina e perl'istruzione.

Infrattanto il re Ferdinando II,dal centro della città di Velletri,pensava a' casi suoi, e non gli sorri-deva l'idea di esser fatto prigionierodei Repubblicani. Li supponeva ca-paci, benchè nol fossero, di fucilar-lo se lo avesser preso, com'egli sen-

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ria da campagna, ma ancora coi cannoni da posizione,che avevan preparati per l'assedio di Roma.

Più arditi degli altri soldati di Garibaldi erano i fan-ciulli bolognesi. Acculando il fucile alla spalla, e pie-gandosi indietro per far equilibrio al peso della canna,prendevan la mira e sparavano, indi coricavano a terrasè stessi ed il fucile. Appena l'avevano ricaricato, si al-zavano, miravano e facevan fuoco di nuovo; poi torna-vano a stendersi sul suolo, caricar il fucile, rialzarsi e ti-rare ancora. Alcuni dei Velletrani, che stavan di dietro inosservazione, riferirono poi che i soldati del Borbone,superstiziosi come esser sogliono i meridionali, nel ve-der dall'alto e da lontano i movimenti di quei bellicosifanciulli, esclamavano: mamma mia! che iettatura! (qualsorte avversa!) Noi li ammazziamo; essi cascan per ter-ra, ed il demonio li rialza! Oggi non solo gli uffiziali na-poletani sono colti, come lo era già sin d'allora il fioredella popolazione meridionale, ma anche i soldati grega-

rii di quella parte d'Italia, arruolatinell'esercito italiano, si fanno sti-mare per la buona disciplina e perl'istruzione.

Infrattanto il re Ferdinando II,dal centro della città di Velletri,pensava a' casi suoi, e non gli sorri-deva l'idea di esser fatto prigionierodei Repubblicani. Li supponeva ca-paci, benchè nol fossero, di fucilar-lo se lo avesser preso, com'egli sen-

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za dubbio avrebbe fucilato Garibaldi, e Mazzini, e moltialtri ancora, se avesse potuto. Laonde si rinnovò qui ilcaso che fu visto più in grande nei tempi antichi dopo labattaglia di Salamina e dopo quella di Arbela: la viltàpersonale del monarca determinò la sua fuga, e quella sitrasse dietro per necessità la ritirata dell'intero suo eser-cito, davanti a forze nemiche numericamente deboli.

Alle 4 del pomeriggio il generale in capo Rosselli,precorrendo a cavallo la marcia del centro, raggiunseGaribaldi; il quale da un'altura esterna che domina lacittà di Velletri ed i contorni, stava esplorando l'orizzon-te col suo occhio perspicace applicato al binocolo dacampagna. Disse Garibaldi a Rosselli: generale, vedetevoi quella lunga linea nera che si estende laggiù dallaporta orientale di Velletri andando verso Napoli? Veggo,disse Rosselli. — Bene, soggiunse Garibaldi: quello è ilre di Napoli che si ritira colle sue truppe, anzi fugge.

Ed era così. Garibaldi pertanto propose al Rosselli dimarciare diagonalmente per la campagna, onde tagliar laritirata ai Napolitani, o convertirla in fuga disordinata.Rosselli ricusò, perchè il grosso delle sue truppe non eraancora giunto. Arrivarono un po' più tardi coi loro sol-dati il Masi ed i due Galletti, e scambiarono dei colpi difucile e di cannone contro gli Svizzeri ed altri soldati re-gii, i quali mantennero il fuoco sino a sera dall'alto deglispaldi per favorire la ritirata o fuga del re; ma nella seraanche la loro ritirata fu completa. La mattina seguente,20 maggio, Garibaldi prima, indi Rosselli, con tutte leloro milizie, entrarono solennemente in Velletri, fra gli

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za dubbio avrebbe fucilato Garibaldi, e Mazzini, e moltialtri ancora, se avesse potuto. Laonde si rinnovò qui ilcaso che fu visto più in grande nei tempi antichi dopo labattaglia di Salamina e dopo quella di Arbela: la viltàpersonale del monarca determinò la sua fuga, e quella sitrasse dietro per necessità la ritirata dell'intero suo eser-cito, davanti a forze nemiche numericamente deboli.

Alle 4 del pomeriggio il generale in capo Rosselli,precorrendo a cavallo la marcia del centro, raggiunseGaribaldi; il quale da un'altura esterna che domina lacittà di Velletri ed i contorni, stava esplorando l'orizzon-te col suo occhio perspicace applicato al binocolo dacampagna. Disse Garibaldi a Rosselli: generale, vedetevoi quella lunga linea nera che si estende laggiù dallaporta orientale di Velletri andando verso Napoli? Veggo,disse Rosselli. — Bene, soggiunse Garibaldi: quello è ilre di Napoli che si ritira colle sue truppe, anzi fugge.

Ed era così. Garibaldi pertanto propose al Rosselli dimarciare diagonalmente per la campagna, onde tagliar laritirata ai Napolitani, o convertirla in fuga disordinata.Rosselli ricusò, perchè il grosso delle sue truppe non eraancora giunto. Arrivarono un po' più tardi coi loro sol-dati il Masi ed i due Galletti, e scambiarono dei colpi difucile e di cannone contro gli Svizzeri ed altri soldati re-gii, i quali mantennero il fuoco sino a sera dall'alto deglispaldi per favorire la ritirata o fuga del re; ma nella seraanche la loro ritirata fu completa. La mattina seguente,20 maggio, Garibaldi prima, indi Rosselli, con tutte leloro milizie, entrarono solennemente in Velletri, fra gli

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applausi dei cittadini. Garibaldi inseguì i regii sino adArco, dentro i confini del regno; ma fu richiamato daiTriumviri, perchè si appressava il rinnovarsi dell'assaltodi Roma dai Francesi.

Il generale Oudinot, avendo portato il numero deisuoi soldati a quarantamila, o poco più, intraprese l'asse-dio di Roma secondo il regolare sistema di Vauban, col-le tre trincee parallele e concentriche, per aprir la brec-cia nelle mura e per essa entrare. Il fronte d'attacco ave-va per centro la porta San Pancrazio, e stendevasi dallaporta Portese a porta Cavalleggieri: ma egli aveva inol-tre in poter suo due ponti sul Tevere: uno era lo storicoponte Milvio, nella via Flaminia, superiormente aRoma, ed un altro era un ponte di chiatte da lui fatto co-struire al disotto di Roma, presso la basilica di San Pao-lo. Diede principio alle operazioni nella sera del 2 giu-gno, impadronendosi per sorpresa della villa Panfili, cheera difesa dal battaglione Mellara; poi del casino de'Quattro Venti, e di quello del Vascello, che stavano alladistanza di poco più che un trar di fucile dalla porta SanPancrazio. I nostri che custodivano il casino o palazzodei Quattro Venti ed il Vascello, importantissimi postiper la difesa come per l'offesa, furono, secondo i barbariusi della guerra, gettati giù dalle finestre. A quelli cheposcia mossero ad Oudinot un giusto rimprovero di avermancato alla parola data di non assalir la piazza primadel giorno 3, rispose con un bisticcio: non appartenerequei tre posti alla piazza perchè eran fuori delle mura.

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applausi dei cittadini. Garibaldi inseguì i regii sino adArco, dentro i confini del regno; ma fu richiamato daiTriumviri, perchè si appressava il rinnovarsi dell'assaltodi Roma dai Francesi.

Il generale Oudinot, avendo portato il numero deisuoi soldati a quarantamila, o poco più, intraprese l'asse-dio di Roma secondo il regolare sistema di Vauban, col-le tre trincee parallele e concentriche, per aprir la brec-cia nelle mura e per essa entrare. Il fronte d'attacco ave-va per centro la porta San Pancrazio, e stendevasi dallaporta Portese a porta Cavalleggieri: ma egli aveva inol-tre in poter suo due ponti sul Tevere: uno era lo storicoponte Milvio, nella via Flaminia, superiormente aRoma, ed un altro era un ponte di chiatte da lui fatto co-struire al disotto di Roma, presso la basilica di San Pao-lo. Diede principio alle operazioni nella sera del 2 giu-gno, impadronendosi per sorpresa della villa Panfili, cheera difesa dal battaglione Mellara; poi del casino de'Quattro Venti, e di quello del Vascello, che stavano alladistanza di poco più che un trar di fucile dalla porta SanPancrazio. I nostri che custodivano il casino o palazzodei Quattro Venti ed il Vascello, importantissimi postiper la difesa come per l'offesa, furono, secondo i barbariusi della guerra, gettati giù dalle finestre. A quelli cheposcia mossero ad Oudinot un giusto rimprovero di avermancato alla parola data di non assalir la piazza primadel giorno 3, rispose con un bisticcio: non appartenerequei tre posti alla piazza perchè eran fuori delle mura.

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Nel mattino, svegliato al rombo del cannone, io corsifuori di porta San Pancrazio. Garibaldi aveva presso disè i migliori suoi ufficiali: Manara, Medici, Mellara,Masini, e direi quasi più che una schiera una turba, sti-mabile ma confusa, di giovani poco addestrati a serbarle distanze a compasso e squadra, pieni però di coraggioe di slancio. Precedeva gli altri il Masina a cavallo. Sifece impeto contro il Vascello; i francesi che lo occupa-vano furori sopraffatti, e, pur secondo le necessità dellaguerra, furono messi in fuga e trucidati. Non eravi sfor-tunatamente il tempo di condurli prigionieri in città; bi-sognava correre senza indugio ad assalire il prossimopalazzo dei Quattro Venti. Garibaldi lasciò Medici allacustodia del Vascello; e si volse contro i Quattro Venti.Fuggirono i Francesi ed il casino fu da noi ripreso.

Per qualche tempo i Francesi ci bersagliarono da lon-tano, di fronte, a destra ed a sinistra, colle artiglierie ecolle lor armi di precisione. S'incrociavano i lor projetti-li fischiando per le due aperte gallerie al pian terrenoche davano il nome al casino o palazzo dei Quattro Ven-ti; ma i nostri tenevan fermo. Andai a visitare altre posi-zioni, e così mi fu risparmiata la vista mortificante dellascena che ivi un po' più tardi ebbe luogo. Tornarono iFrancesi all'assalto con maggior impeto di prima, ed inassai maggior numero. Non eran presenti, come dianzi,nè Garibaldi, nè Masini; ed i nostri fuggirono. Un tenta-tivo di ricuperare i Quattro Venti fu fatto da Angelo Ma-sini. A piedi, questa volta, egli camminava davanti aglialtri salendo l'erto viale di fronte al casino, ma una palla

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Nel mattino, svegliato al rombo del cannone, io corsifuori di porta San Pancrazio. Garibaldi aveva presso disè i migliori suoi ufficiali: Manara, Medici, Mellara,Masini, e direi quasi più che una schiera una turba, sti-mabile ma confusa, di giovani poco addestrati a serbarle distanze a compasso e squadra, pieni però di coraggioe di slancio. Precedeva gli altri il Masina a cavallo. Sifece impeto contro il Vascello; i francesi che lo occupa-vano furori sopraffatti, e, pur secondo le necessità dellaguerra, furono messi in fuga e trucidati. Non eravi sfor-tunatamente il tempo di condurli prigionieri in città; bi-sognava correre senza indugio ad assalire il prossimopalazzo dei Quattro Venti. Garibaldi lasciò Medici allacustodia del Vascello; e si volse contro i Quattro Venti.Fuggirono i Francesi ed il casino fu da noi ripreso.

Per qualche tempo i Francesi ci bersagliarono da lon-tano, di fronte, a destra ed a sinistra, colle artiglierie ecolle lor armi di precisione. S'incrociavano i lor projetti-li fischiando per le due aperte gallerie al pian terrenoche davano il nome al casino o palazzo dei Quattro Ven-ti; ma i nostri tenevan fermo. Andai a visitare altre posi-zioni, e così mi fu risparmiata la vista mortificante dellascena che ivi un po' più tardi ebbe luogo. Tornarono iFrancesi all'assalto con maggior impeto di prima, ed inassai maggior numero. Non eran presenti, come dianzi,nè Garibaldi, nè Masini; ed i nostri fuggirono. Un tenta-tivo di ricuperare i Quattro Venti fu fatto da Angelo Ma-sini. A piedi, questa volta, egli camminava davanti aglialtri salendo l'erto viale di fronte al casino, ma una palla

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mortale lo colpì nel petto. Egli cadde per non più rial-zarsi, ed i suoi compagni fuggirono indietro verso laporta della città. L'esanime salma di quel valoroso giac-que insepolta nel viale dov'egli era caduto, per tutto iltempo dell'assedio, perchè la posizione era spazzata daiprojettili nostri e dei nemici per siffatto modo che nessu-no più osava di avventurarvisi.

Continuarono i Francesi per diciotto giorni i lor lavorid'approccio stringendosi a mano a mano sempre piùdavvicino alle mura, e tirando contro di noi coi fucili ecolle grosse artiglierie. I nostri rispondevano con similiarmi non solo dalle mura della città, ma ancora da dueesterne posizioni: quella del Vascello, tenuta dal Medicicoi suoi Lombardi davanti a Porta San Pancrazio, difianco ai Quattro Venti; e l'altra dei Monti Parioli, tenutadal Berti Pichat co' suoi Bolognesi, fuori di Porta delPopolo, contro l'estrema sinistra dei Francesi, che occu-pava Ponte Molle. Se non che, noi pativam penuria dicannoni, e proporzionatamente più ancora di palle, ondegli artiglieri nostri, comandati dal bravo Calandrelli,erano spesso costretti a servirsi di quelle dei francesi ca-dute in città e raccolte, ancorchè per lo più malamente siattagliassero al calibro.

Tuttavia la difesa non languiva mai. Nè ultimi in essaerano i monelli Bolognesi che si illustrarono a Velletri.Un giorno Garibaldi li additò ad un forestiere che conlui visitava le nostre posizioni, e disse: ho là una compa-gnia di ragazzi che si battono meglio degli uomini. Fu-ronvi pure diverse sortite, diurne e notturne, una anche

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mortale lo colpì nel petto. Egli cadde per non più rial-zarsi, ed i suoi compagni fuggirono indietro verso laporta della città. L'esanime salma di quel valoroso giac-que insepolta nel viale dov'egli era caduto, per tutto iltempo dell'assedio, perchè la posizione era spazzata daiprojettili nostri e dei nemici per siffatto modo che nessu-no più osava di avventurarvisi.

Continuarono i Francesi per diciotto giorni i lor lavorid'approccio stringendosi a mano a mano sempre piùdavvicino alle mura, e tirando contro di noi coi fucili ecolle grosse artiglierie. I nostri rispondevano con similiarmi non solo dalle mura della città, ma ancora da dueesterne posizioni: quella del Vascello, tenuta dal Medicicoi suoi Lombardi davanti a Porta San Pancrazio, difianco ai Quattro Venti; e l'altra dei Monti Parioli, tenutadal Berti Pichat co' suoi Bolognesi, fuori di Porta delPopolo, contro l'estrema sinistra dei Francesi, che occu-pava Ponte Molle. Se non che, noi pativam penuria dicannoni, e proporzionatamente più ancora di palle, ondegli artiglieri nostri, comandati dal bravo Calandrelli,erano spesso costretti a servirsi di quelle dei francesi ca-dute in città e raccolte, ancorchè per lo più malamente siattagliassero al calibro.

Tuttavia la difesa non languiva mai. Nè ultimi in essaerano i monelli Bolognesi che si illustrarono a Velletri.Un giorno Garibaldi li additò ad un forestiere che conlui visitava le nostre posizioni, e disse: ho là una compa-gnia di ragazzi che si battono meglio degli uomini. Fu-ronvi pure diverse sortite, diurne e notturne, una anche

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colle camicie ad imitazione di quella dei Fiorentininell'assedio del 1530, ma con frutto egualmente piccolo.Meritò special menzione il valore e la nobile morte d'ungiovine tenente che fu mio amico, in una delle sortitediurne. I sortiti osarono di andar ad attaccare di frontecolla bajonetta una delle trincee nemiche. Camminavadavanti agli altri il tenente Giovanni Giordani. Colpitoin una gamba cadde. Rialzatosi sopra un ginocchio,brandiva in alto la sua spada, e gridava ai suoi: avanti,avanti sempre: ma un'altra palla troncò a quel prode leparole e la vita. I francesi ebbero il barbaro gusto di ca-ricare colla sua rossa tunica, come stoppaccio, un obiz-zo, e di lanciarla dietro ai suoi compagni che rientrava-no in città.

Garibaldi era contento della difesa fatta dai soldati re-golarmente arruolati, ed ancora della cooperazione diCiceruacchio, e di altri popolani di Roma. Nel mattinodel 21 giugno egli scriveva alla sua diletta moglie Anni-ta, la quale era a Nizza presso la signora Rosa RaimondiGaribaldi madre di lui: «bacia la mamma, e dille ch'ellaè fortunata di avermi partorito per un tempo in cui l'Ita-lia ha tanti valorosi!»

Ma intanto le artiglierie francesi avevano terminato diaprire due grandi squarci, o breccie, una a destra e l'altraa sinistra di Porta San Pancrazio, per tener divise le no-stre forze e la nostra attenzione, ignorando noi per qualedelle due tenterebbero l'assalto. Lo tentarono e compie-rono di sorpresa nella notte fra quel giorno stesso ventu-no ed il seguente ventidue, per la breccia a sinistra, fra

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colle camicie ad imitazione di quella dei Fiorentininell'assedio del 1530, ma con frutto egualmente piccolo.Meritò special menzione il valore e la nobile morte d'ungiovine tenente che fu mio amico, in una delle sortitediurne. I sortiti osarono di andar ad attaccare di frontecolla bajonetta una delle trincee nemiche. Camminavadavanti agli altri il tenente Giovanni Giordani. Colpitoin una gamba cadde. Rialzatosi sopra un ginocchio,brandiva in alto la sua spada, e gridava ai suoi: avanti,avanti sempre: ma un'altra palla troncò a quel prode leparole e la vita. I francesi ebbero il barbaro gusto di ca-ricare colla sua rossa tunica, come stoppaccio, un obiz-zo, e di lanciarla dietro ai suoi compagni che rientrava-no in città.

Garibaldi era contento della difesa fatta dai soldati re-golarmente arruolati, ed ancora della cooperazione diCiceruacchio, e di altri popolani di Roma. Nel mattinodel 21 giugno egli scriveva alla sua diletta moglie Anni-ta, la quale era a Nizza presso la signora Rosa RaimondiGaribaldi madre di lui: «bacia la mamma, e dille ch'ellaè fortunata di avermi partorito per un tempo in cui l'Ita-lia ha tanti valorosi!»

Ma intanto le artiglierie francesi avevano terminato diaprire due grandi squarci, o breccie, una a destra e l'altraa sinistra di Porta San Pancrazio, per tener divise le no-stre forze e la nostra attenzione, ignorando noi per qualedelle due tenterebbero l'assalto. Lo tentarono e compie-rono di sorpresa nella notte fra quel giorno stesso ventu-no ed il seguente ventidue, per la breccia a sinistra, fra

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le porte San Pancrazio e Portese. Salirono pel piano in-clinato, formato dalla terra franata in giù al di fuori; edavendo trucidati i pochi difensori trovati vigilanti inquel punto mentre gli altri dormivano, corsero ad impa-dronirsi d'un vicino casino, dentro alle mura, e vane fu-rono le nostre prove di scacciarneli. Un drappello diGuardia Nazionale, comandato dal capitano Regnoli,deputato all'Assemblea Costituente, mantenne brava-mente la sua esposta e pericolosa posizione presso PortaPortese, di fianco ai Francesi entrati per la breccia.

Continuammo tuttavia per nove giorni ancora a difen-derci, sempre sotto l'ispirazione ed il comando di Gari-baldi, entro le mura, e fuori ben anche. La battaglia fina-le, e la più sanguinosa di tutta quella campagna, fu datanel giorno 30 di giugno, sopra lo spazio ben largo, e piùlungo ancora, fra le mura già occupate dai Francesi, e lecase all'interno della città. L'esterna posizione del Va-scello, difesa come dissi dai Lombardi sotto il comandodi Medici, si sostenne sino a tutto il giorno 30, abbenchèle mura di quell'edificio, traforate dalle palle dei canno-ni nemici, cadessero in pezzi. Eravi ancora nella posi-zione esterna di San Pancrazio un piccolo rinforzo diPolacchi, ed un secondo nella posizione pur esternapresso la Porta del Popolo. Distinguevasi fra essi il mag-giore dei poeti che abbia avuto la Polonia, Adamo Mic-kiewitz.

Nella sera di quel medesimo giorno 30, dopo unagrande strage reciproca, durata per tutta quella infaustagiornata, Garibaldi, venne all'Assemblea a dichiararci

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le porte San Pancrazio e Portese. Salirono pel piano in-clinato, formato dalla terra franata in giù al di fuori; edavendo trucidati i pochi difensori trovati vigilanti inquel punto mentre gli altri dormivano, corsero ad impa-dronirsi d'un vicino casino, dentro alle mura, e vane fu-rono le nostre prove di scacciarneli. Un drappello diGuardia Nazionale, comandato dal capitano Regnoli,deputato all'Assemblea Costituente, mantenne brava-mente la sua esposta e pericolosa posizione presso PortaPortese, di fianco ai Francesi entrati per la breccia.

Continuammo tuttavia per nove giorni ancora a difen-derci, sempre sotto l'ispirazione ed il comando di Gari-baldi, entro le mura, e fuori ben anche. La battaglia fina-le, e la più sanguinosa di tutta quella campagna, fu datanel giorno 30 di giugno, sopra lo spazio ben largo, e piùlungo ancora, fra le mura già occupate dai Francesi, e lecase all'interno della città. L'esterna posizione del Va-scello, difesa come dissi dai Lombardi sotto il comandodi Medici, si sostenne sino a tutto il giorno 30, abbenchèle mura di quell'edificio, traforate dalle palle dei canno-ni nemici, cadessero in pezzi. Eravi ancora nella posi-zione esterna di San Pancrazio un piccolo rinforzo diPolacchi, ed un secondo nella posizione pur esternapresso la Porta del Popolo. Distinguevasi fra essi il mag-giore dei poeti che abbia avuto la Polonia, Adamo Mic-kiewitz.

Nella sera di quel medesimo giorno 30, dopo unagrande strage reciproca, durata per tutta quella infaustagiornata, Garibaldi, venne all'Assemblea a dichiararci

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che era giuocoforza il rinunciare alla riva destra del fiu-me; e ci propose di far saltare tutti i ponti del Tevere,per continuare la difesa sulla sinistra di esso. Mal'Assemblea, a proposta di Enrico Cernuschi, decise lacessazione di una resistenza divenuta inutile, e sdegnòdi venire ad una capitolazione qualunque.

Tacque pertanto il nostro fuoco difensivo, tacque ilfuoco di offesa dall'altra parte. Per oltre tre giorni iFrancesi non osarono di inoltrarsi nell'interno della cittàpaghi di prendere ed occupare alcune delle principaliporte. Garibaldi uscì quietamente di Roma nel giorno 3di luglio, per la Porta San Giovanni, con tremila uomini,e, passando con mirabil arte tra Francesi ed Austriaci,andò a deporre le armi presso l'amica Repubblica di SanMarino.

Fra i molti caduti nella difesa di Roma, amo di faruna speciale ed onorevole menzione di Goffredo Mame-li. Egli era un giovine poeta, speciale amico di Mazzini,ed autore di alcuni inni patriotici e popolari, i quali, spo-sati a belle melodie, si cantano oggi ancora con amoredalla vecchia generazione del 1848 e del 1849. Feritonella giornata del 30 aprile, egli morì alla Trinità deiPellegrini, uno degli ospedali pei feriti. Servivano inquegli ospedali molte donne pie e patriotiche, fra le qua-li voglio ricordare la loro comune direttrice, Cristinaprincipessa di Belgiojoso. Amo altresì di far nominalemenzione di un'altra illustre vittima della difesa diRoma, Luciano Manara, lombardo, ucciso nell'ultimo

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che era giuocoforza il rinunciare alla riva destra del fiu-me; e ci propose di far saltare tutti i ponti del Tevere,per continuare la difesa sulla sinistra di esso. Mal'Assemblea, a proposta di Enrico Cernuschi, decise lacessazione di una resistenza divenuta inutile, e sdegnòdi venire ad una capitolazione qualunque.

Tacque pertanto il nostro fuoco difensivo, tacque ilfuoco di offesa dall'altra parte. Per oltre tre giorni iFrancesi non osarono di inoltrarsi nell'interno della cittàpaghi di prendere ed occupare alcune delle principaliporte. Garibaldi uscì quietamente di Roma nel giorno 3di luglio, per la Porta San Giovanni, con tremila uomini,e, passando con mirabil arte tra Francesi ed Austriaci,andò a deporre le armi presso l'amica Repubblica di SanMarino.

Fra i molti caduti nella difesa di Roma, amo di faruna speciale ed onorevole menzione di Goffredo Mame-li. Egli era un giovine poeta, speciale amico di Mazzini,ed autore di alcuni inni patriotici e popolari, i quali, spo-sati a belle melodie, si cantano oggi ancora con amoredalla vecchia generazione del 1848 e del 1849. Feritonella giornata del 30 aprile, egli morì alla Trinità deiPellegrini, uno degli ospedali pei feriti. Servivano inquegli ospedali molte donne pie e patriotiche, fra le qua-li voglio ricordare la loro comune direttrice, Cristinaprincipessa di Belgiojoso. Amo altresì di far nominalemenzione di un'altra illustre vittima della difesa diRoma, Luciano Manara, lombardo, ucciso nell'ultimo

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combattimento a Villa Spada entro le mura, il 30 giu-gno.

I Francesi non occuparono il Campidoglio che nelgiorno 4 di luglio, anniversario dell'indipendenza Ame-ricana, e della nascita di Garibaldi. Siccome il Campido-glio era divenuto la sede dell'Assemblea costituente, edessa era tacitamente ma non ufficialmente prorogata, sti-mai necessario di assumermi, in assenza degli altri, ilmalinconico uffizio d'una protesta, a nome dell'interaAssemblea, davanti alle bajonette francesi. Il reggimen-to Lamarre occupò la piazza superiore del Campidoglio,e due compagnie del medesimo salirono ad occuparel'aula delle adunanze. Io intanto scrissi due separate co-pie d'una protesta, nella quale stimai utile di far menzio-ne anche del quinto articolo della costituzione Francesedel 1848, secondo il quale le armi della RepubblicaFrancese non dovevano mai esser impiegate contro la li-bertà di alcun popolo. Premisi alla protesta la formolaMazziniana «In nome di Dio e del Popolo» colla qualesi solevano intestare i decreti dell'Assemblea e tutti gliatti della Repubblica. Indossata la mia sciarpa tricoloredi deputato, ed impresso il suggello dell'Assemblea adambedue le copie della protesta, ne diedi lettura ad altavoce nei seguenti termini

«In nome di Dio, e del Popolo degli Stati Romani,che liberamente con suffragio universale ha eletto i suoirappresentanti, in conformità ancora dell'articolo quintodella Costituzione francese, l'Assemblea costituente Ro-mana protesta in faccia all'Italia, in faccia alla Francia,

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combattimento a Villa Spada entro le mura, il 30 giu-gno.

I Francesi non occuparono il Campidoglio che nelgiorno 4 di luglio, anniversario dell'indipendenza Ame-ricana, e della nascita di Garibaldi. Siccome il Campido-glio era divenuto la sede dell'Assemblea costituente, edessa era tacitamente ma non ufficialmente prorogata, sti-mai necessario di assumermi, in assenza degli altri, ilmalinconico uffizio d'una protesta, a nome dell'interaAssemblea, davanti alle bajonette francesi. Il reggimen-to Lamarre occupò la piazza superiore del Campidoglio,e due compagnie del medesimo salirono ad occuparel'aula delle adunanze. Io intanto scrissi due separate co-pie d'una protesta, nella quale stimai utile di far menzio-ne anche del quinto articolo della costituzione Francesedel 1848, secondo il quale le armi della RepubblicaFrancese non dovevano mai esser impiegate contro la li-bertà di alcun popolo. Premisi alla protesta la formolaMazziniana «In nome di Dio e del Popolo» colla qualesi solevano intestare i decreti dell'Assemblea e tutti gliatti della Repubblica. Indossata la mia sciarpa tricoloredi deputato, ed impresso il suggello dell'Assemblea adambedue le copie della protesta, ne diedi lettura ad altavoce nei seguenti termini

«In nome di Dio, e del Popolo degli Stati Romani,che liberamente con suffragio universale ha eletto i suoirappresentanti, in conformità ancora dell'articolo quintodella Costituzione francese, l'Assemblea costituente Ro-mana protesta in faccia all'Italia, in faccia alla Francia,

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in faccia al Mondo incivilito, contro la violenta invasio-ne della sua sede, operata dalle armi francesi alle ore seipomeridiane del giorno 4 di luglio 1849.

«Roma, dal Campidoglio, 4 luglio 1849.

«Per l'Assemblea«Il rappresentante del Popolo

«FILOPANTI.»

Fatta la lettura in francese, volli consegnare il docu-mento al colonnello Lamarre. Egli ricusò di riceverlo,dicendo che non aveva tal missione. Sia pure, diss'io mavoi ed i vostri soldati avete udito la nostra protesta. Ladepongo sopra uno di questi banchi: e così feci. Soprag-giunse il vice presidente Bonaparte con due altri deputa-ti: tutti e tre aggiunsero alla mia la loro firma. Per poterentrare, il Bonaparte aveva avuto bisogno di dire ai sol-dati ch'egli era il cugino del Presidente della RepubblicaFrancese. Usciti di là, senza essere molestati, convo-cammo nella sera stessa gli altri nostri colleghi nel pa-lazzo della Cancelleria, pristina sede delle nostre adu-nanze; ed ivi l'altra copia, che meco portai, della prote-sta, fu sottoscritta dalla maggior parte di essi, incomin-ciando dal presidente Galletti. Non si potè pubblicare inRoma, ma fu stampata nei giornali di altri paesi.

«Così, dice Gabussi, ebbe gloriosa e violenta fine laRepubblica Romana, illustrata dal sangue di oltre quat-tro mila de' suoi difensori, compresi in questo numero imorti e feriti nei fatti di Bologna nel maggio 49; di An-cona, di Terracina, di Velletri, e in quelli che ebbero luo-

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in faccia al Mondo incivilito, contro la violenta invasio-ne della sua sede, operata dalle armi francesi alle ore seipomeridiane del giorno 4 di luglio 1849.

«Roma, dal Campidoglio, 4 luglio 1849.

«Per l'Assemblea«Il rappresentante del Popolo

«FILOPANTI.»

Fatta la lettura in francese, volli consegnare il docu-mento al colonnello Lamarre. Egli ricusò di riceverlo,dicendo che non aveva tal missione. Sia pure, diss'io mavoi ed i vostri soldati avete udito la nostra protesta. Ladepongo sopra uno di questi banchi: e così feci. Soprag-giunse il vice presidente Bonaparte con due altri deputa-ti: tutti e tre aggiunsero alla mia la loro firma. Per poterentrare, il Bonaparte aveva avuto bisogno di dire ai sol-dati ch'egli era il cugino del Presidente della RepubblicaFrancese. Usciti di là, senza essere molestati, convo-cammo nella sera stessa gli altri nostri colleghi nel pa-lazzo della Cancelleria, pristina sede delle nostre adu-nanze; ed ivi l'altra copia, che meco portai, della prote-sta, fu sottoscritta dalla maggior parte di essi, incomin-ciando dal presidente Galletti. Non si potè pubblicare inRoma, ma fu stampata nei giornali di altri paesi.

«Così, dice Gabussi, ebbe gloriosa e violenta fine laRepubblica Romana, illustrata dal sangue di oltre quat-tro mila de' suoi difensori, compresi in questo numero imorti e feriti nei fatti di Bologna nel maggio 49; di An-cona, di Terracina, di Velletri, e in quelli che ebbero luo-

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go sotto le mura di Roma, dal 30 aprile sino al 1.° di lu-glio.»

Non guari dopo la caduta di Roma cadde onoratamen-te anche Venezia. Il forte di Marghera, dopo d'esserestato per lungo tempo strenuamente difeso, fu non cedu-to, ma smantellato e sgombro dai difensori. Essi ritira-ronsi colle loro artiglierie sul gran ponte della ferrovia,che passando sopra la laguna congiunge Venezia allaterra ferma. Il ponte contiene 222 archi. Nel mezzo avviun lungo spazio, e largo a guisa di piazza. Ivi i prodicombattenti usciti da Marghera si fermarono, asserra-gliandosi con sacchi pieni di terra, disposti in guisa daformar le troniere e lasciar le aperture per le bocche deicannoni. Le bombe Austriache però, tirate dalla terraferma coll'opportuno rialzo, e descrivendo per aria laloro alta traiettoria, arrivavano a piombare sulla parteoccidentale della città di Venezia, ed anche sino al cen-tro di essa. Il popolo conseguentemente si ritrasse allaparte orientale. Soffriva gli orrori degl'incendi, dellafame e del colera morbus, ma non voleva ancora la resa.Le povere donnicciuole incoraggiavano i combattenti,Veneziani o di altre parti d'Italia, gridando loro: bene-detti da Dio!

Al medesimo tempo anche la guerra, d'insurrezionedell'Ungheria contro l'Austria, correva al suo termine.La rivoluzione Ungherese, come quella dell'Austria pro-priamente detta, della Prussia e del Granducato di Ba-den, fu una conseguenza immediata della rivoluzionefrancese del 24 febbrajo 1848. Dapprima però non pro-

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go sotto le mura di Roma, dal 30 aprile sino al 1.° di lu-glio.»

Non guari dopo la caduta di Roma cadde onoratamen-te anche Venezia. Il forte di Marghera, dopo d'esserestato per lungo tempo strenuamente difeso, fu non cedu-to, ma smantellato e sgombro dai difensori. Essi ritira-ronsi colle loro artiglierie sul gran ponte della ferrovia,che passando sopra la laguna congiunge Venezia allaterra ferma. Il ponte contiene 222 archi. Nel mezzo avviun lungo spazio, e largo a guisa di piazza. Ivi i prodicombattenti usciti da Marghera si fermarono, asserra-gliandosi con sacchi pieni di terra, disposti in guisa daformar le troniere e lasciar le aperture per le bocche deicannoni. Le bombe Austriache però, tirate dalla terraferma coll'opportuno rialzo, e descrivendo per aria laloro alta traiettoria, arrivavano a piombare sulla parteoccidentale della città di Venezia, ed anche sino al cen-tro di essa. Il popolo conseguentemente si ritrasse allaparte orientale. Soffriva gli orrori degl'incendi, dellafame e del colera morbus, ma non voleva ancora la resa.Le povere donnicciuole incoraggiavano i combattenti,Veneziani o di altre parti d'Italia, gridando loro: bene-detti da Dio!

Al medesimo tempo anche la guerra, d'insurrezionedell'Ungheria contro l'Austria, correva al suo termine.La rivoluzione Ungherese, come quella dell'Austria pro-priamente detta, della Prussia e del Granducato di Ba-den, fu una conseguenza immediata della rivoluzionefrancese del 24 febbrajo 1848. Dapprima però non pro-

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dusse un distacco totale dell'Ungheria dall'Austria, masoltanto lo stabilimento di una amministrazione separataed autonoma, della quale Batthiani era presidente, Kos-suth uno dei ministri. Jellacich, bano di Croazia, pro-mosse il sollevamento dei Croati e dei Dalmati contro iMagiari, od Ungheresi propriamente detti.

Di che indignato Luigi Kossuth,fece proclamare la Repubblica Un-gherese il 14 aprile 1849, e la de-cadenza perpetua della casa di Ab-sburgo dal trono di Santo Stefano.Gli Ungheresi furono vittoriosi inmolti scontri, sotto la condotta deigenerali Beni, Klapka, Dembinsky,Gorgey; ma Francesco Giuseppeinvocò l'ajuto della Russia. L'imperatore Nicolò, perl'intenso odio che portava alla rivoluzione, e pel timorche essa s'appiccasse alla Polonia, inviò contro gli Un-gheresi un esercito di centomila uomini. Gorgey, senzala necessaria autorità capitolò per sè e per l'esercito Un-gherese a Villagos, il 13 agosto 1849. Egli fu ed è anco-ra considerato come traditore.

Allorchè l'infausta notizia giunse a Venezia, si videsvanita l'ultima speranza di poter utilmente prolungarela difesa; e Daniele Manin, debitamente autorizzatodall'Assemblea, pubblicò una grida, colla quale conse-gnava il potere della spirante Repubblica Veneta nellemani del municipio di Venezia. Pochi giorni dopo gli

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dusse un distacco totale dell'Ungheria dall'Austria, masoltanto lo stabilimento di una amministrazione separataed autonoma, della quale Batthiani era presidente, Kos-suth uno dei ministri. Jellacich, bano di Croazia, pro-mosse il sollevamento dei Croati e dei Dalmati contro iMagiari, od Ungheresi propriamente detti.

Di che indignato Luigi Kossuth,fece proclamare la Repubblica Un-gherese il 14 aprile 1849, e la de-cadenza perpetua della casa di Ab-sburgo dal trono di Santo Stefano.Gli Ungheresi furono vittoriosi inmolti scontri, sotto la condotta deigenerali Beni, Klapka, Dembinsky,Gorgey; ma Francesco Giuseppeinvocò l'ajuto della Russia. L'imperatore Nicolò, perl'intenso odio che portava alla rivoluzione, e pel timorche essa s'appiccasse alla Polonia, inviò contro gli Un-gheresi un esercito di centomila uomini. Gorgey, senzala necessaria autorità capitolò per sè e per l'esercito Un-gherese a Villagos, il 13 agosto 1849. Egli fu ed è anco-ra considerato come traditore.

Allorchè l'infausta notizia giunse a Venezia, si videsvanita l'ultima speranza di poter utilmente prolungarela difesa; e Daniele Manin, debitamente autorizzatodall'Assemblea, pubblicò una grida, colla quale conse-gnava il potere della spirante Repubblica Veneta nellemani del municipio di Venezia. Pochi giorni dopo gli

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austriaci entrarono in Venezia, squallida e muta. La libe-razione di Venezia fu ritardata sino all'anno 1866.

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austriaci entrarono in Venezia, squallida e muta. La libe-razione di Venezia fu ritardata sino all'anno 1866.

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DAL 1850 AL 1858La Crimea.

Comechè gli effetti della rivoluzione europea del1848 siano stati in gran parte distrutti nel 1849 e nel1851, rimasero nondimeno in vita quattro popolari con-quiste, le quali avevano una considerevole importanzain sè medesime, ed eran gravide di più larghe conse-guenze future: il suffragio universale in Francia, l'aboli-zione della schiavitù assoluta nelle colonie francesi, lasoppressione della servitù della gleba nell'impero Au-stro-Ungarico, e la costituzione in Piemonte.

La costituzione della Repubblica Francese era stataviolata colla spedizione di Roma. Luigi Napoleone Bo-naparte, presidente della Repubblica, aveva promossoquell'iniqua intrapresa per rendersi amico il clero, espianarsi la via all'impero. Nel giorno 2 dicembre 1851,non solo egli violò, ma distrusse la costituzione da luigiurata, col suo colpo di Stato, di trista fama. Fece arre-stare nella notte, i capi del partito popolare ed un grannumero di deputati. Nel mattino un suo decreto affissoai muri dichiarava sciolta l'Assemblea, e convocati i co-mizii per istabilire una nuova costituzione.

Una parte della popolazione di Parigi insorse nel gior-no 4 di dicembre per difendere la libertà e la legge, mafu schiacciata. È dovere dello storico il riferire le veritàimportanti, anche dove a lui o ad altri dispiacciano. Oral'usurpazione consumata da Luigi Napoleone è un fatto

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DAL 1850 AL 1858La Crimea.

Comechè gli effetti della rivoluzione europea del1848 siano stati in gran parte distrutti nel 1849 e nel1851, rimasero nondimeno in vita quattro popolari con-quiste, le quali avevano una considerevole importanzain sè medesime, ed eran gravide di più larghe conse-guenze future: il suffragio universale in Francia, l'aboli-zione della schiavitù assoluta nelle colonie francesi, lasoppressione della servitù della gleba nell'impero Au-stro-Ungarico, e la costituzione in Piemonte.

La costituzione della Repubblica Francese era stataviolata colla spedizione di Roma. Luigi Napoleone Bo-naparte, presidente della Repubblica, aveva promossoquell'iniqua intrapresa per rendersi amico il clero, espianarsi la via all'impero. Nel giorno 2 dicembre 1851,non solo egli violò, ma distrusse la costituzione da luigiurata, col suo colpo di Stato, di trista fama. Fece arre-stare nella notte, i capi del partito popolare ed un grannumero di deputati. Nel mattino un suo decreto affissoai muri dichiarava sciolta l'Assemblea, e convocati i co-mizii per istabilire una nuova costituzione.

Una parte della popolazione di Parigi insorse nel gior-no 4 di dicembre per difendere la libertà e la legge, mafu schiacciata. È dovere dello storico il riferire le veritàimportanti, anche dove a lui o ad altri dispiacciano. Oral'usurpazione consumata da Luigi Napoleone è un fatto

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ben doloroso per gli amici delle istituzioni liberali; maun altro fatto più doloroso ancora, ed umiliante, è que-sto: che un plebiscito di sette milioni e mezzo di suffra-gi, nei giorni 20 e 21 dicembre, a grande maggioranzaassolse indirettamente il delitto dell'usurpatore, confe-rendogli direttamente la presidenza per dieci anni, ed ilpotere costituente. La nuova costituzione, da lui a suobeneplacito formulata, fa promulgata il 14 di gennajo1852. In seguito ad un nuovo plebiscito il dittatore as-sunse nel giorno 2 dicembre 1852, il nome ed il titolo diNapoleone III imperatore dei Francesi.

Fu un delitto il colpo di Stato di Napoleone I nel 18di Brumale, un altro delitto il colpo di stato di Napoleo-ne III nel 2 dicembre 1851. Un delitto non ne legittimaun altro. L'inviolabilità assoluta della persona umana èun principio sacro e generale, limitato soltanto dal prin-cipio della legittima difesa. Perciò sono delitti di semprecrescente gravità: il duello, ossia il suicidio giuocato asorte, il suicidio propriamente detto; l'assassinio privato;il regicidio, ossia l'assassinio di un pubblico magistrato;l'insurrezione ingiusta o non necessaria, e la guerra ag-gressiva. Quanto è lecito e lodevole il combattere per laLibertà e per la Patria in una guerra giusta e difensiva,od ancora in una insurrezione veramente necessaria, al-trettanto stimo illecite e biasimevoli le congiure e gli at-tentati contro la vita di un uomo qualunque egli siasi,principe o privato, in tempo di pace.

Nell'epoca antica l'uccisione dei tiranni era conformeai principii di legislazione che allora erano in vigore; e

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ben doloroso per gli amici delle istituzioni liberali; maun altro fatto più doloroso ancora, ed umiliante, è que-sto: che un plebiscito di sette milioni e mezzo di suffra-gi, nei giorni 20 e 21 dicembre, a grande maggioranzaassolse indirettamente il delitto dell'usurpatore, confe-rendogli direttamente la presidenza per dieci anni, ed ilpotere costituente. La nuova costituzione, da lui a suobeneplacito formulata, fa promulgata il 14 di gennajo1852. In seguito ad un nuovo plebiscito il dittatore as-sunse nel giorno 2 dicembre 1852, il nome ed il titolo diNapoleone III imperatore dei Francesi.

Fu un delitto il colpo di Stato di Napoleone I nel 18di Brumale, un altro delitto il colpo di stato di Napoleo-ne III nel 2 dicembre 1851. Un delitto non ne legittimaun altro. L'inviolabilità assoluta della persona umana èun principio sacro e generale, limitato soltanto dal prin-cipio della legittima difesa. Perciò sono delitti di semprecrescente gravità: il duello, ossia il suicidio giuocato asorte, il suicidio propriamente detto; l'assassinio privato;il regicidio, ossia l'assassinio di un pubblico magistrato;l'insurrezione ingiusta o non necessaria, e la guerra ag-gressiva. Quanto è lecito e lodevole il combattere per laLibertà e per la Patria in una guerra giusta e difensiva,od ancora in una insurrezione veramente necessaria, al-trettanto stimo illecite e biasimevoli le congiure e gli at-tentati contro la vita di un uomo qualunque egli siasi,principe o privato, in tempo di pace.

Nell'epoca antica l'uccisione dei tiranni era conformeai principii di legislazione che allora erano in vigore; e

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perciò era lecita, e qualche volta, benchè non sempre,riuscì utile. Nell'epoca moderna gli attentati, riusciti onon riusciti, contro la vita dei principi, buoni o cattivi,hanno sempre sortito un effetto dannoso alla causa dellalibertà. Riferisco nondimeno per memoria le date di treattentati contro Napoleone III: quello dell'Ippodromonel 1853, quello di Pianori nel 1855, e quello di Orsini il14 di gennajo 1858. Se l'attentato di Felice Orsini aves-se avuto effetto, è palese che Napoleone III non avrebbeintrapresa la spedizione del 1859. Orsini, prima di saliral patibolo, diresse una nobile preghiera a Napoleone diliberar l'Italia. Però l'idea della liberazione d'Italia erafissa nella sua mente sino dalla sua gioventù, non soloper un qualche amore ch'egli aveva per l'Italia, ma perl'odio anche maggiore da lui nutrito contro l'Austria.Quell'odio era a lui ispirato da ragioni politiche generali,e dalle rimembranze domestiche del ripudio dato allasua avola materna Giuseppina. Onde apparecchiare dal-la lontana l'alleanza fra la Francia e l'Italia control'Austria, Napoleone III offerse al Piemonte una propi-zia occasione di guadagnarsi un onore non molto di-spendioso nella guerra di Crimea.

Sotto il pretesto d'una gara di monaci per la custodiadel santo sepolcro a Gerusalemme, ma in realtà per lasperanza d'impadronirsi di Costantinopoli, Nicolò impe-ratore di Russia dichiarò la guerra contro la Porta Otto-mana. Temendo che la preponderanza Russa divenissepericolosa per l'Europa, qual ella sarebbe divenuta colpossesso del Bosforo, la Francia e l'Inghilterra strinsero

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perciò era lecita, e qualche volta, benchè non sempre,riuscì utile. Nell'epoca moderna gli attentati, riusciti onon riusciti, contro la vita dei principi, buoni o cattivi,hanno sempre sortito un effetto dannoso alla causa dellalibertà. Riferisco nondimeno per memoria le date di treattentati contro Napoleone III: quello dell'Ippodromonel 1853, quello di Pianori nel 1855, e quello di Orsini il14 di gennajo 1858. Se l'attentato di Felice Orsini aves-se avuto effetto, è palese che Napoleone III non avrebbeintrapresa la spedizione del 1859. Orsini, prima di saliral patibolo, diresse una nobile preghiera a Napoleone diliberar l'Italia. Però l'idea della liberazione d'Italia erafissa nella sua mente sino dalla sua gioventù, non soloper un qualche amore ch'egli aveva per l'Italia, ma perl'odio anche maggiore da lui nutrito contro l'Austria.Quell'odio era a lui ispirato da ragioni politiche generali,e dalle rimembranze domestiche del ripudio dato allasua avola materna Giuseppina. Onde apparecchiare dal-la lontana l'alleanza fra la Francia e l'Italia control'Austria, Napoleone III offerse al Piemonte una propi-zia occasione di guadagnarsi un onore non molto di-spendioso nella guerra di Crimea.

Sotto il pretesto d'una gara di monaci per la custodiadel santo sepolcro a Gerusalemme, ma in realtà per lasperanza d'impadronirsi di Costantinopoli, Nicolò impe-ratore di Russia dichiarò la guerra contro la Porta Otto-mana. Temendo che la preponderanza Russa divenissepericolosa per l'Europa, qual ella sarebbe divenuta colpossesso del Bosforo, la Francia e l'Inghilterra strinsero

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alleanza, fra loro e colla Turchia, contro la Russia. Leflotte delle tre potenze alleate si riunirono nel giorno 8di settembre 1854. Addì 14 settembre i tre eserciti allea-ti sbarcarono nell'antica Tauride, ossia in Crimea, e vin-sero contro i Russi la battaglia dell'Alma nel giorno 20settembre nostro, ossia 8 settembre giuliano, o russo. Hola noja di dover darne una ai miei lettori contemporanei,notando un pajo delle solite coincidenze cronologiche,che saranno, io spero, meglio intese ed apprezzate dacoloro che verran poi: il giorno della battaglia dell'Almafu l'anniversario di quello della battaglia di Maratona se-condo lo stile giuliano, seguito dalla parte soccombente,cioè dai Russi; e l'anniversario della battaglia di Salami-na secondo il calendario della parte vincitrice, vale adire dei Francesi e degl'Inglesi. Nicolò imperatore diRussia rappresentava allora in qualche guisa nel mondomoderno l'antica parte di Dario e di Serse, essendo egliil possente protettore dei minori despoti dell'Europa. Sela vittoria avesse arriso allo Czar, l'Italia non sarebbeora libera.

La battaglia dell'Alma fu principalmente una pugnaterrestre, ma partecipò ancora al carattere di conflittonavale per la circostanza che la flotta degli alleati bom-bardava i Russi, schierati sulla riva del fiumicello Alma,e quindi in una linea perpendicolare al lido, cioè inmodo da poter essere infilati e gravemente danneggiatidai projettili dell'armata navale. Partecipò dell'indoled'una battaglia marittima anche per le conseguenze cheebbe tre giorni dopo. Perocchè nel giorno 23 settembre

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alleanza, fra loro e colla Turchia, contro la Russia. Leflotte delle tre potenze alleate si riunirono nel giorno 8di settembre 1854. Addì 14 settembre i tre eserciti allea-ti sbarcarono nell'antica Tauride, ossia in Crimea, e vin-sero contro i Russi la battaglia dell'Alma nel giorno 20settembre nostro, ossia 8 settembre giuliano, o russo. Hola noja di dover darne una ai miei lettori contemporanei,notando un pajo delle solite coincidenze cronologiche,che saranno, io spero, meglio intese ed apprezzate dacoloro che verran poi: il giorno della battaglia dell'Almafu l'anniversario di quello della battaglia di Maratona se-condo lo stile giuliano, seguito dalla parte soccombente,cioè dai Russi; e l'anniversario della battaglia di Salami-na secondo il calendario della parte vincitrice, vale adire dei Francesi e degl'Inglesi. Nicolò imperatore diRussia rappresentava allora in qualche guisa nel mondomoderno l'antica parte di Dario e di Serse, essendo egliil possente protettore dei minori despoti dell'Europa. Sela vittoria avesse arriso allo Czar, l'Italia non sarebbeora libera.

La battaglia dell'Alma fu principalmente una pugnaterrestre, ma partecipò ancora al carattere di conflittonavale per la circostanza che la flotta degli alleati bom-bardava i Russi, schierati sulla riva del fiumicello Alma,e quindi in una linea perpendicolare al lido, cioè inmodo da poter essere infilati e gravemente danneggiatidai projettili dell'armata navale. Partecipò dell'indoled'una battaglia marittima anche per le conseguenze cheebbe tre giorni dopo. Perocchè nel giorno 23 settembre

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1854, i Russi per ostruire il porto di Sebastopoli affon-darono le loro proprie navi da guerra. Ecco un risultatodi guerra al quale possono applaudir di cuore anche gliamici della pace perpetua: la distruzione dei mezzi di di-struzione. Altro tedio ai miei contemporanei: il giorno23 settembre 1854 presentò una coincidenza cronologi-ca la quale non si verifica che una volta in un periodo dipiù di diecimila anni: fu il giorno dell'equinozio di au-tunno, e perciò ancora il principio dell'anno repubblica-no francese, ed insiememente il principio dell'annoMaomettano e Turco, e dell'anno civile Ebraico.

La grande contesa continuò e finì, quasi come in cam-po chiuso, all'estremità meridionale della penisola diCrimea, sotto la città di Sebastopoli. Per tacito accordosi facevano dipendere dall'espugnazione di quella cittàle sorti della guerra, come quelle del giuoco degli scac-chi dalla presa del re. I Russi ricevevano frequenti rin-forzi per via di terra, attraverso all'angusto istmo di Pe-rekop; gli alleati ne ricevevano per via di mare. Uno deipiù considerevoli loro rinforzi fu quello ad essi mandatodall'Italiano Piemonte, entrato nell'alleanza nel 1855.Francesi, Inglesi e Turchi vinsero contro i Russi la bat-taglia di Inkermann nel giorno 5 di novembre 1854;Francesi, Inglesi, Turchi e Piemontesi insieme vinsero labattaglia di Traktir, o della Cernaja, nel giorno 16 agosto1855.

I Piemontesi erano comandati da Alfonso Lamarmo-ra. Lode speciale si guadagnarono nella battaglia dellaCernaja i bersaglieri Piemontesi, respingendo i Russi

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1854, i Russi per ostruire il porto di Sebastopoli affon-darono le loro proprie navi da guerra. Ecco un risultatodi guerra al quale possono applaudir di cuore anche gliamici della pace perpetua: la distruzione dei mezzi di di-struzione. Altro tedio ai miei contemporanei: il giorno23 settembre 1854 presentò una coincidenza cronologi-ca la quale non si verifica che una volta in un periodo dipiù di diecimila anni: fu il giorno dell'equinozio di au-tunno, e perciò ancora il principio dell'anno repubblica-no francese, ed insiememente il principio dell'annoMaomettano e Turco, e dell'anno civile Ebraico.

La grande contesa continuò e finì, quasi come in cam-po chiuso, all'estremità meridionale della penisola diCrimea, sotto la città di Sebastopoli. Per tacito accordosi facevano dipendere dall'espugnazione di quella cittàle sorti della guerra, come quelle del giuoco degli scac-chi dalla presa del re. I Russi ricevevano frequenti rin-forzi per via di terra, attraverso all'angusto istmo di Pe-rekop; gli alleati ne ricevevano per via di mare. Uno deipiù considerevoli loro rinforzi fu quello ad essi mandatodall'Italiano Piemonte, entrato nell'alleanza nel 1855.Francesi, Inglesi e Turchi vinsero contro i Russi la bat-taglia di Inkermann nel giorno 5 di novembre 1854;Francesi, Inglesi, Turchi e Piemontesi insieme vinsero labattaglia di Traktir, o della Cernaja, nel giorno 16 agosto1855.

I Piemontesi erano comandati da Alfonso Lamarmo-ra. Lode speciale si guadagnarono nella battaglia dellaCernaja i bersaglieri Piemontesi, respingendo i Russi

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con un fuoco vivissimo ben mantenuto. L'istituzione, ela disciplina dei veloci ed arditi bersaglieri Piemontesi,che allora formavano un sol corpo unito, persino il lorouniforme colla succinta tunica e colle pittoresche piume,sono cose dovute principalmente ad Alessandro Lamar-mora, il quale morì in quella stessa campagna.

Tuttavia pel valore dei soldati Russi, e per l'abilità delloro generale del genio Todtleben, Sebastopoli prolungòla sua resistenza quasi per un anno, cioè dal giorno 23settembre 1854 sino all'8 settembre 1855. In questogiorno, l'esercito degli alleati, comandato dal marescial-lo francese Pellissier, prese d'assalto il forte di Malakoff,indi tutta la città. Così ebbe termine quella specie di gi-gantesca e sanguinosa partita a scacchi. Sebastopoli fusmantellata dai vincitori, ma poi riconsegnata ai Russinel trattato di pace che presto ne seguì. La Russia vi in-corse gravi perdite d'uomini, di danari e di prestigio. Glialleati non ne trassero alcun vantaggio materiale, masoltanto qualche onore. Il maggior vantaggio moralevenne al più piccolo dei quattro alleati, cioè al Piemon-te; perchè la parte onorevole e fortunata da esso soste-nuta nella guerra di Crimea rialzò grandemente lo spiri-to nazionale in tutte le parti dell'Italia.

L'Italia era ancora divisa, come già in altro capitolo sidisse, in molti piccoli stati, tutti governati dispoticamen-te, e soggetti alla straniera protezione Austriaca, eccet-tuato il regno costituzionale subalpino. Eran vive peròin tutte le regioni italiane le aspirazioni verso la libertà,e più forte ancora era l'abborrimento del giogo straniero.

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con un fuoco vivissimo ben mantenuto. L'istituzione, ela disciplina dei veloci ed arditi bersaglieri Piemontesi,che allora formavano un sol corpo unito, persino il lorouniforme colla succinta tunica e colle pittoresche piume,sono cose dovute principalmente ad Alessandro Lamar-mora, il quale morì in quella stessa campagna.

Tuttavia pel valore dei soldati Russi, e per l'abilità delloro generale del genio Todtleben, Sebastopoli prolungòla sua resistenza quasi per un anno, cioè dal giorno 23settembre 1854 sino all'8 settembre 1855. In questogiorno, l'esercito degli alleati, comandato dal marescial-lo francese Pellissier, prese d'assalto il forte di Malakoff,indi tutta la città. Così ebbe termine quella specie di gi-gantesca e sanguinosa partita a scacchi. Sebastopoli fusmantellata dai vincitori, ma poi riconsegnata ai Russinel trattato di pace che presto ne seguì. La Russia vi in-corse gravi perdite d'uomini, di danari e di prestigio. Glialleati non ne trassero alcun vantaggio materiale, masoltanto qualche onore. Il maggior vantaggio moralevenne al più piccolo dei quattro alleati, cioè al Piemon-te; perchè la parte onorevole e fortunata da esso soste-nuta nella guerra di Crimea rialzò grandemente lo spiri-to nazionale in tutte le parti dell'Italia.

L'Italia era ancora divisa, come già in altro capitolo sidisse, in molti piccoli stati, tutti governati dispoticamen-te, e soggetti alla straniera protezione Austriaca, eccet-tuato il regno costituzionale subalpino. Eran vive peròin tutte le regioni italiane le aspirazioni verso la libertà,e più forte ancora era l'abborrimento del giogo straniero.

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Il sentimento nazionale dei moderni Italiani è principalmerito nei nostri poeti. Nelle Georgiche Virgilio cantòcon versi d'insuperabile bellezza e maestà le lodidell'Italia, feconda altrice di biade, santa madre d'eroi;nel suo maggior poema, l'Eneide, egli pose a tenzone gliabitanti dell'Italia meridionale, dal Tevere allo stretto Si-culo, condotti da Turno, contro quelli dell'Italia setten-trionale, dal Tevere sino alle Alpi, capitanati da Enea:ma fece predire per bocca di Giunone, poi confermareper decreto di Giove, che, terminata la guerra, le duegrandi divisioni italiche stringerebbero fra loro un'eternaalleanza, e formerebbero una sola gente. Dante Alighierinella Divina Commedia flagellò l'ignavia degl'Italianisuoi contemporanei; e nel libro della Monarchia esposeil lusinghiero concetto della restaurazione d'una supre-mazia Italica. Francesco Petrarca cantò

il bel PaeseChe Appennin parte, e il mar circonda e l'Alpe,

e confortò gl'Italiani, Latin sangue gentile, a sgombrarda sè le dannose some della signoria straniera. Dietro letraccie di quei tre grandi, altri minori, e più recenti,come Pietro Bembo, Giovanni Guidiccioni, VincenzoFilicaja, Vittorio Alfieri, Giovanni Berchet, GiacomoLeopardi, Alessandro Manzoni, Giuseppe Giusti, s'infer-vorarono a risvegliare coi lor versi la gran dormiente.

Altrettanto fecero colle lor prose Francesco Guerraz-zi, Massimo d'Azeglio, Cesare Balbo, Vincenzo Giober-ti; e più che altri Giuseppe Mazzini. Quest'ultimo eccitòlo spirito nazionale in una maniera più efficace ancora

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Il sentimento nazionale dei moderni Italiani è principalmerito nei nostri poeti. Nelle Georgiche Virgilio cantòcon versi d'insuperabile bellezza e maestà le lodidell'Italia, feconda altrice di biade, santa madre d'eroi;nel suo maggior poema, l'Eneide, egli pose a tenzone gliabitanti dell'Italia meridionale, dal Tevere allo stretto Si-culo, condotti da Turno, contro quelli dell'Italia setten-trionale, dal Tevere sino alle Alpi, capitanati da Enea:ma fece predire per bocca di Giunone, poi confermareper decreto di Giove, che, terminata la guerra, le duegrandi divisioni italiche stringerebbero fra loro un'eternaalleanza, e formerebbero una sola gente. Dante Alighierinella Divina Commedia flagellò l'ignavia degl'Italianisuoi contemporanei; e nel libro della Monarchia esposeil lusinghiero concetto della restaurazione d'una supre-mazia Italica. Francesco Petrarca cantò

il bel PaeseChe Appennin parte, e il mar circonda e l'Alpe,

e confortò gl'Italiani, Latin sangue gentile, a sgombrarda sè le dannose some della signoria straniera. Dietro letraccie di quei tre grandi, altri minori, e più recenti,come Pietro Bembo, Giovanni Guidiccioni, VincenzoFilicaja, Vittorio Alfieri, Giovanni Berchet, GiacomoLeopardi, Alessandro Manzoni, Giuseppe Giusti, s'infer-vorarono a risvegliare coi lor versi la gran dormiente.

Altrettanto fecero colle lor prose Francesco Guerraz-zi, Massimo d'Azeglio, Cesare Balbo, Vincenzo Giober-ti; e più che altri Giuseppe Mazzini. Quest'ultimo eccitòlo spirito nazionale in una maniera più efficace ancora

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che cogli scritti, cioè scendendo nel campo dell'azionecolle congiure, e con moltiplicati tentativi d'insurrezio-ne, sempre abortiti in quanto all'effetto immediato, maproduttori di durevoli conseguenze per la compassioneed ammirazione tributata ai martiri politici. La moltitu-dine si avvezzava a riflettere che non poteva non essercosa buona l'indipendenza nazionale se per amor d'essatante anime nobili affrontavano il patibolo. Finalmenteil sogno dei poeti cominciò ad incarnarsi nei fatti; e po-tentemente vi contribuirono la politica abilità di CamilloBenso di Cavour; il carattere leale e cavalleresco di Vit-torio Emanuele; il valore e le epiche gesta di Garibaldi;le buone disposizioni a favor dell'Italia nella mente diun antico carbonaro divenuto imperatore dei Francesi;infine una misteriosa ed affievolita ma non ancora spen-ta eredità dell'indole Romana nel moderno popolo Italia-no.

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che cogli scritti, cioè scendendo nel campo dell'azionecolle congiure, e con moltiplicati tentativi d'insurrezio-ne, sempre abortiti in quanto all'effetto immediato, maproduttori di durevoli conseguenze per la compassioneed ammirazione tributata ai martiri politici. La moltitu-dine si avvezzava a riflettere che non poteva non essercosa buona l'indipendenza nazionale se per amor d'essatante anime nobili affrontavano il patibolo. Finalmenteil sogno dei poeti cominciò ad incarnarsi nei fatti; e po-tentemente vi contribuirono la politica abilità di CamilloBenso di Cavour; il carattere leale e cavalleresco di Vit-torio Emanuele; il valore e le epiche gesta di Garibaldi;le buone disposizioni a favor dell'Italia nella mente diun antico carbonaro divenuto imperatore dei Francesi;infine una misteriosa ed affievolita ma non ancora spen-ta eredità dell'indole Romana nel moderno popolo Italia-no.

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INDICE

Dal 1821 al 1848. — Rivoluzione greca. Rivoluzionefrancese del 1830.

Anno 1848.Anno 1849. — Repubblica romana.Dal 1850 al 1858. La Crimea.

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INDICE

Dal 1821 al 1848. — Rivoluzione greca. Rivoluzionefrancese del 1830.

Anno 1848.Anno 1849. — Repubblica romana.Dal 1850 al 1858. La Crimea.

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