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Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un ... · nonché dalla tragica Storia del secolo...

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Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto” (Stampa Alternativa, 2015) ECO DELLA STAMPA “Unilibro”, 10.3.2015 - Benedetta la libertà di chi come Céline ha avuto il coraggio di viverla - a spese sue - fino in fondo!E benedetto il coraggio di chi come Stefano Lanuzza in Céline della libertà ha saputo approfondire e presentare - con tutte le sfumature del "caso" - una scrittura (inscindibile dalla vicenda umana dell’autore nonché dalla tragica Storia del secolo breve)) tra le più audaci del ’900, con buona pace di ogni "destra" e ogni "sinistra".Libro intelligente, godibile, imperdibile per chi rifiuta quanto è scontato stantio risaputo.(Isabel Horn, Filologa) 3.2015 - IL CÉLINIANO STEFANO LANUZZASULLA VITA, LA LINGUA E LO STILE DI UN “MALEDETTO” Stefano Lanuzza è forse il maggior conoscitore italiano di Louis-Ferdinand Céline. Il suo ultimo lavoro, Céline della libertà.Vita, lingua e stile di un“maledetto” (Roma-Viterbo, Stampa Alternativa, 2015, pp. 160, € 14,00), propone con taglio comparatista, nell’ambito della più recente produzione critica sull’autore francese, un’analisi serrata e aggiornatissima dell’opera céliniana. Il volume, organizzato in cinque capitoli ( Due capolavori, Balletti antisemiti, Un antisemita deplume, Trilogia del Nord e Neofuturismo, Céline frammenti di vita storia letteratura), ha una nota autobiografica introduttiva che racconta un primo approccio con il Viaggio al termine della notte incontrato casualmente nel novembre 1966, quando il giovane Stefano era venuto a Firenze a levar dal fango i libri della Biblioteca Nazionale. In quel libro fu colpito da un’Avvertenza del traduttore, Alex Alexis (certo, nom de plume): “Il traduttore ritiene opportuno avvertire il lettore che, per conservare la massima fedeltà al linguaggio impiegato dai personaggi del testo originale, si è valso di frequente di una forma italiana volutamente scorretta e di espressioni dialettali”. Da costì parte anche il viaggio lanuzziano intorno a Céline, arricchitosi, nel tempo e nello spazio, di tutte le edizioni possibili. Da costì inizia anche quella revisione critica che ha progressivamente tolto l’Autore “maledetto” dal cliché che da troppo tempo lo aveva sommariamente accompagnato. (FrancescoGurrieri, direttore della rivista “Il Portolano”) “Unilibro”, 17.3. 2015 - Un nuovo libro su Céline Questa di Stefano Lanuzza è stata un'impresa coraggiosa e difficile che sarebbe piaciuta a Céline.Ma forse perché il saggista è avvezzo a scrivere di scrittori "maledetti" è pienamente riuscita e non era facile. In Céline convergono mille facce per ognuna delle quali ci vorrebbe un grosso libro.Eppure in questo libro c'è l’essenziale, il Céline critico e scrittore, politico e rivoluzionario, poetico e osceno, animalista e perseguitato,il Céline della baldoria e del tragico.Un libro che dovrebbe servire a tutti da apripista per addentrarsi nel suo sterminato universo. Lanuzza mette a punto anche il Céline comunista, quale fu sempre seppure deluso dal comunismo applicato ovunque, una cosa che l'estrema destra, che si appropria di Céline, non ha ancora capito,anche se Céline parla chiaro e agisce altrettanto.Dunque ben venga questa nuova stella nel firmamento cèliniano!( MarinaAlberghini, autrice di Céline gatto randagio, Milano, Mursia, 2009
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Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto” (Stampa Alternativa, 2015)

ECO DELLA STAMPA

“Unilibro”, 10.3.2015 - Benedetta la libertà di chi come Céline ha avuto il coraggio di viverla - a spese sue - fino in fondo!E benedetto il coraggio di chi come Stefano Lanuzza in Céline della libertà ha saputo approfondire e presentare - con tutte le sfumature del "caso" - una scrittura (inscindibile dalla vicenda umana dell’autore nonché dalla tragica Storia del secolo breve)) tra le più audaci del ’900, con buona pace di ogni "destra" e ogni "sinistra".Libro intelligente, godibile, imperdibile per chi rifiuta quanto è scontato stantio risaputo.(Isabel Horn, Filologa)

3.2015 - IL CÉLINIANO STEFANO LANUZZASULLA VITA, LA LINGUA E LO STILE DI UN “MALEDETTO”Stefano Lanuzza è forse il maggior conoscitore italiano di Louis-Ferdinand Céline. Il suoultimo lavoro, Céline della libertà.Vita, lingua e stile di un“maledetto” (Roma-Viterbo,Stampa Alternativa, 2015, pp. 160, € 14,00), propone con taglio comparatista,nell’ambito della più recente produzione critica sull’autore francese, un’analisi serratae aggiornatissima dell’opera céliniana. Il volume, organizzato in cinque capitoli (Duecapolavori, Balletti antisemiti, Un antisemita deplume, Trilogia del Nord eNeofuturismo, Céline frammenti di vita storia letteratura), ha una nota autobiograficaintroduttiva che racconta un primo approccio con il Viaggio al termine della notteincontrato casualmente nel novembre 1966, quando il giovane Stefano era venuto aFirenze a levar dal fango i libri della Biblioteca Nazionale. In quel libro fu colpito daun’Avvertenza del traduttore, Alex Alexis (certo, nom de plume): “Il traduttore ritieneopportuno avvertire il lettore che, per conservare la massima fedeltà al linguaggioimpiegato dai personaggi del testo originale, si è valso di frequente di una formaitaliana volutamente scorretta e di espressioni dialettali”. Da costì parte anche ilviaggio lanuzziano intorno a Céline, arricchitosi, nel tempo e nello spazio, di tutte leedizioni possibili. Da costì inizia anche quella revisione critica che haprogressivamente tolto l’Autore “maledetto” dal cliché che da troppo tempo lo avevasommariamente accompagnato. (FrancescoGurrieri, direttore della rivista “IlPortolano”)

“Unilibro”, 17.3. 2015 - Un nuovo libro su CélineQuesta di Stefano Lanuzza è stata un'impresa coraggiosa e difficile che sarebbepiaciuta a Céline.Ma forse perché il saggista è avvezzo a scrivere di scrittori"maledetti" è pienamente riuscita e non era facile. In Céline convergono mille facceper ognuna delle quali ci vorrebbe un grosso libro.Eppure in questo libro c'èl’essenziale, il Céline critico e scrittore, politico e rivoluzionario, poetico e osceno,animalista e perseguitato,il Céline della baldoria e del tragico.Un libro che dovrebbeservire a tutti da apripista per addentrarsi nel suo sterminato universo.Lanuzza mette a punto anche il Céline comunista, quale fu sempre seppure deluso dalcomunismo applicato ovunque, una cosa che l'estrema destra, che si appropria diCéline, non ha ancora capito,anche se Céline parla chiaro e agisce altrettanto.Dunqueben venga questa nuova stella nel firmamento cèliniano!(MarinaAlberghini, autricedi Céline gatto randagio, Milano, Mursia, 2009

3.2015 - Trovo Célinedellalibertà assai ben fatto. Mi è piaciuta molto la digressione sull'antisemitismo de plume, ma è l'intero che tiene bene, con quello stile di mescolarealla sequenzialità cronologica del racconto le decine di pause meditative "celate" nel racconto, come fosse racconto e basta.Bel libro, al quale auguro un buon successo, lungo quella "libertà celiniana" che l'Italia ha conquistato (a differenza della Francia, come giustamente viene notato nel libro) (Antonio Castronuovo, francesista e criticoletterario).

Il Céline di Stefano Lanuzza

“L’Immaginazione”, n. 287, maggio-giugno2015

Irregolare, refrattario, mercuriale, inclassificabile, fuggitivo, individualista,assolutista, laicista, espressionista, splenetico, argotico, coprolalico,aposiopesico, idealista, libertario, comunista, antistalinista, pacifista,maledetto e maledettista. Ma su tutto e anzitutto “poeta” e stilista. Quante lemaschere? Quante le possibili interpretazioni di un uomo così fuoridall’ordinario quale fu il dottor Louis-Ferdinand-Auguste Destouches (poi, percostola di madre, Céline)? Cerca di rispondere a queste e altre domande unlibro di un suo antico ammiratore, Stefano Lanuzza, che da un bel po’ nefrequenta l’opera e che qui – in questo libro che s’intitola Céline della libertà(sottotitolo: Vita, lingua e stile di un “maledetto”) – racconta anche come se nesia messo del tutto casualmente sulle tracce, esemplarmente trascurandocompiti cogenti per un’ancor più cogente passione di lettura. Combattente decorato, reduce irriducibile, viaggiatore sconcertante,contraddittore coerente, perturbabile e perturbato, abissale e ossessivo (maiossequente), medico di “gabinetti” deserti, curatore di diseredati, antisemita eantinazista, Céline è autore di alcuni libri fondamentali del nostro Novecento –malgré lui – europeo. Forse più mitologizzato che letto (come da noi il pur nostro Gadda), ilCéline che esce dall’appassionato (ma non meno loico e dunque razionale)libro di Lanuzza è il ritratto di un autore di importanza ineludibile. Beninteso,Lanuzza non si nega ai passaggi più incresciosi di un’opera che continua arestare sospesa entro un’accoglienza diffidente e sospettosa (a volte anchesospetta), né si nasconde alle più ardue tortuosità, ma cerca di rintuzzare leaccuse più gravi: non soltanto con buoni propositi, ma con buoniragionamenti.

Un libro vivo, il suo, perché c’è dell’autobiografia (poca quella esplicita,molta quella sottilmente disseminata tra le righe); c’è una parte di analisicritica che ripercorre l’intero arco dell’opera, dal Voyage (con l’utile invito atradurre “aubout” come “in fondo” piuttosto che “al termine”) a Rigodon; c’èun utile prospetto dei passaggi essenziali della biografia; e c’è anche laproposta di alcuni estratti aforistici e memorabili dal Voyage e da Mort àcrédit. Ma c’è soprattutto un onestissimo tentativo di accostare un autore al difuori (che non significhi più “dentro”?) le pregiudiziali morali, le pretese del“politicamente corretto” o dell’”ideologicamente corretto”, le anchilosicritiche che impediscono la comprensione di una profondità dal magnificovolto di Medusa (e penso a un poeta nostro come Campana). Pur essendo specialmente fruibile nella parte che Lanuzza dedica alleanalisi stilistiche dei testi, alle comparazioni volanti, e spesso a vere e proprieilluminazioni (come non condividere che in “poesia” sono le parole a creare lecose, o, come sottolinea Lanuzza, che “è sempre il significante a‘materializzare’ il significato dei fatti”?), mi pare che siano sostanzialmentedue le vie di sviluppo del libro. La prima è l’idea che lo stile è tutto e che nulla può distoglierlo – potreiforse dirlo con meno afflato? – dal suo destino. Ma la seconda è che taleassunto non gioca al gioco delle tre carte e che dunque è pur necessario (hicfretus hic salta) affrontare le più dolenti spine di un laicissimo e anchecorporale (non solo mentale) calvario e ideario d’autore. Il che significa che Lanuzza affronta di petto la questione del Célineantisemita e razzista (essendo sufficientemente trasparente, vale a direinsussistente e del tutto pretestuosa la questione del Céline nazista ofilonazista). Poiché il nome compare, tiro in ballo l’”ottocentista” Faldella e,secondo l’estro “gurgandino” di Sandro Sinigaglia, il “faldellin” che nesortisce, perché si tratta di un autore, sì, ma soprattutto di uno stile chel’indignazione fa ma il moralismo spegne (mai dimenticare il secondo degliinterventi continiani), mentre in Céline l’indignazione fa e l’antisemitismoalimenta. Un antisemitismo, che del resto – e qui Lanuzza, tra citazioni scelte edifese in proprio, scende senza timori nell’agone della storia più attuale eattualizzata – tocca punte così estreme da risultare più decisamentenominalista che realista: un vero e proprio furore metafisico, ma non di certo –quantunque storicizzabile – realistico. A tal punto l’una cosa è legata all’altrache finisce addirittura per risultare un errore ermeneutico separarleinterpretandole come idee e come stile. Una separazione, se bene intendo, valida (e persino strenua) ai finididattici, e in fondo anche “politici”. Ma tutto sommato impropria sul pianocritico-letterario, perché l’espressionismo celiniano cresce a quella cospicuapianta: non unica, va da sé, ma decisiva nella furia concrescente e ossessiva(ben diversa la questione di Heidegger, che si risolve in sostegno politico,mentre in Céline nulla può – nel suo mondo – prestarsi a strumentalizzazioni escorciatoie). E tuttavia è lodevole l’accortezza con cui Lanuzza, parlando diBagatelle per un massacro, osservi che si tratta del libro “più francamenteantisemita e poco esorcizzato dall’istanza dello stile”. È tuttavia proprio sulla scorta di Contini che Lanuzza apre (e a ben vedereanche chiude) il suo discorso: “Accade che, da schieramenti politici fra lorocontrari, i ribellistici balletti antisemiti, denunce d’un esagitato untore ocataloghi dell’odio corruttori delle coscienze, vengano strumentalizzati

trascurandone il dato linguistico-stilistico-poematico ribellista”. Ceci produitcela, si potrebbe continianamente dire. E con ciò credo di aver indicatol’essenziale del molto, ma molto di più a cui la lettura di questo libro si offre.(Giovanni Tesio,Critico letterario di “Tuttolibri/La Stampa”),

3.2015 - Questo libro su Célinemi è parso bello, molto bello... Il libro si tiene su anche se uno non ha mai letto Céline... (Carlo Carlucci, scrittore)

CÉLINE LIBERATO

Maggio 2015

Ci sono almeno tre grandi personaggi del Novecento, ‘secolo breve’ che parenon finire con le sue formidabili vicende storiche artistiche letterariefilosofiche scientifiche, nel bene e nel male, fino a oggi. Nella scia di questainfinitezza, la sinistra internazionale ha cercato con varie motivazioni disottrarre all'area del pensiero fascista e nazionalsocialista tre grandi figuredella letteratura come Pound.Heidegger e Céline. Il secondo di questi, pur nelfascino del suo pensiero lucido e a volte allucinato, anche dopo la recentepubblicazione dei suoi Quaderni Neri e il suo dettato in ambito filosofico epolitico-partitico, appartiene senza plausibili attenuanti all’area nazifascista.Gli altri due, soprattutto Céline che diversamente da Pound non ha certo fattodel proselitismo radiofonico, appartengono all'area della grande letteraturaassunta sotto qualsivoglia bandiera e sotto nessuna bandiera. Se ipotizzo libera-mente che Céline ne issasse una, penso ad uno straccioagitato dalla povera gente, alla benda che ha avvolto una ferita, ad una letteradal fronte che nessuno ha mai letto. Penso, infine, a ciò che Céline ha scrittonel Voyageaubout de la nuit:“…che non se ne parli più”. Ma con merito e per fortuna, ancora ne parla Stefano Lanuzza nel suolibroCéline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto” (Roma-Viterbo, Stampa Alternativa, 2015), ultimo di una prestigiosa opera saggistica,stesa dall’autore negli anni in una trentina di volumi. Questo scrittore sicilianoche da molti anni vive a Firenze ha costellato la sua produzione di libri chehanno conseguito un notevole successo critico: tra essi Vita da Dandy, cui nel2000 venne assegnato il Premio internazionale Feronia per la Criticamilitante; L'arte del diavolo, Glierranti, I sognAutori, Bestia sapiens,Irregolari. Autori tra Firenze e l’Europa, una storia della letteratura italiana,Dante e gli altri (Premio Francesco Flora 2002 per la saggistica); una Storiadella lingua italiana; ecc. Inoltre si è particolarmente interessato all'opera diSavinio e di Stefano D’Arrigo e, nel febbraio del 2015, è stato invitato a

Berlino per un Convegno sulla traduzione tedesca, ad opera di Moshe Kahn,del romanzo darrighianoHorcynus Orca su cui, nel 1985, Lanuzza hapubblicato lo studio Scill’e Cariddi. Il nuovo libro qui in esame libera definitivamente Céline da pregiudizialiipoteche ideologiche e lo consegna intatto alla grandezza delle sue opere.Queste vengono ricondotte e valutate nell'ambito della libera espressione chesi è confrontata con i temi e le problematiche del periodo storico dell’esistenzadello scrittore francese. Il bel libro che mi trovo tra le mani mostra già nella copertina il nucleocentrale di un’illuminante rilettura dell'opera. Una rara fotografia ci mostraCéline nel cortile desolato della propria casa: lo si vede dietro un cancellosemiaperto mentre sta guardando fuori con cipiglio diffidente, come di uncane che un giorno sia stato preso a calci, che non si fida e difende conaccanimento la propria solitudine, forse la propria grandezza. Soggetto nonriconducibile a nessun branco ideologico o politico, Céline appare vestitomalamente: i calzoni sono tenuti su con una corda e sulle spalle ha ungiubbotto malconcio. L’espressione del suo viso, soprattutto, è una paginascritta. Coerentemente il titolo del libro è Céline della libertà, e assieme allafotografia attesta come Stefano Lanuzza sia attualmente il più attento edacuto lettore della vita, della lingua e dello stile di un “Maledetto”, comerecita il sottotitolo del volume. Del resto Lanuzza ha al suo attivo il precedentetesto Maledetto Céline. Un manuale del caos (2010), sempre pubblicato conStampa Alternativa, oltre alla traduzione dal francese dell’edizione italiana,con la stessa Casa editrice, di Céline in camicia bruna di Hans-Erich Kaminski;che in questo suo libro del 1938 scrive: “Sono stato un grande ammiratore diCéline e avrei amato restarlo… Per quanto grande scrittore possa essere, luinon riesce a liberarsi delle sue angosce: è ammalato del nostro tempo…Probabilmente più talento si ha più si è tormentati da quest'epoca in cui crollaogni cosa”. Ecco: uno dei meriti di Lanuzza è di mettere in primo piano il talento delgrande scrittore, la qualità della sua opera più che la natura della sua malattiache, dopotutto, fu malattia dell’arte: preferibile alla falsa salute dell’ideologia.Céline è maledetto e benedetto per la sua natura primariamente anarchica eantimilitarista. Mentre quel suo malfamato libello antisemita, Bagatelle per unmassacro, altro non è che un libro di satira.

Isabel Horn, in una nota a Céline della libertà, ha già messo in risalto ilcontenuto godibile, imperdibile ed intelligente di questo libro editato daStampa Alternativa che illumina la qualità della scrittura audace di Célinetogliendolo da ogni disputa ideologica, con… “buona pace di ogni ‘destra’ eogni ‘sinistra’”… Aggiunge Marina Alberghini, tra gli studiosi più attenti alpercorso céliniano: “Céline della libertà è un libro che dovrebbe servire a tuttida apripista per addentrarsi nello sterminato universo dello scrittore francese.Lanuzza mette a punto anche il Céline comunista, quale fu sempre seppuredeluso dal comunismo applicato ovunque, una cosa che l'estrema destra, chesi appropria di Céline, non ha ancora capito, anche se Céline parla chiaro eagisce altrettanto. Dunque ben venga questa nuova stella nel firmamentocéliniano!”Il libro di Stefano Lanuzza, dopo una “premessa” (Conoscenza di Céline),considera dapprima i due capolavori: Voyageaubout de la nuit e Mort à crédit,

a seguire i ‘Balletti’ antisemiti, Un antisemita de plume, Trilogia del Nord eneofuturismo, e infine Céline, frammenti di vita, storia, letteratura (dove ‘tuttoc’entra con tutto’). Senza togliere nulla dell'interesse complessivo suscitato da ogni capitolodel libro, sono da metterne in risalto diversi aspetti del percorso céliniano cheLanuzza pone in evidenza ed affronta in profondità: la valenza filosofica, ilriportare il dichiarato antisemitismo ad un esercizio de plume, la scritturaneofuturista e la tranche de vie del tutto che c'entra con tutto. Sugli ultimi due inediti aspetti intendo soffermarmi. Il primo di questidescrive la scrittura monocentrica rivelante un’oralità parafuturista traspostanella scrittura. Scrive l'autore: “… locuzioni a brani, interiezioni che spezzanoe disarticolano la frase, proliferanti parole in libertà e periodi smembrati inrutilanti suoni-frastuoni”. E ancora: “rimbombi bellici del futurismo guerrescoe del combattimento aereo (‘aeropoesia’) […], un metafuturista chissà seinconsapevole”… Infine, vengono messe in evidenza certe tipologie sonore:“bruio!, vlang!, piutt!, bang!, brrrrrr!, tac! tac! tac!…”. È sorprendente questa attenzione di Lanuzza, non nel senso, ovviamente, diattribuire un’adesione di Céline al movimento futurista ed ancor meno almarinettismo, quanto nel mettere in evidenza dal punto di vista letterario escritturale elementi di libertà espressiva fonografica di forte valoreespressivo: una sorta di anarcoscrittura della libertà. Così, senza appartenenza, la scrittura futurista di Céline si alza alle vettedella sperimentazione letteraria consapevole ed indipendente. Viene alloraalla mente il Canto notturno del pesce di ChrisianMorgenstern, indicato comeesempio di composizione protofuturista: una vera e propria partitura. L’altro aspetto che intendo evidenziare riguarda l’ultimo capitolo, Céline,frammenti di vita, storia, letteratura (dove ‘tutto c’entra con tutto’),perchémostra in modo divertente ed intrigante come, nei grandi esempi di scrittori,vita, persona, personalità ed opere costituiscano un tutto inscindibile... Il divenire di Céline attraversa l’utopia comunista, l’antisemitismo, l’anarchia,la professione di medico dei poveri, l’antimilitarismo, il tutto rifuso inun’impareggiabile scrittura. Grazie a questo saggio di Stefano Lanuzza, lascena di variazione, correzione, mutamento e diversità di Céline vienerestituita alla libertà piena di un’espressione letteraria del più alto livello.(Massimo Mori, poeta verbovisuale).

RETROGUARDIA 2.0- Il testo letterarioquaderno elettronico di critica letteraria a cura diFrancesco Sasso e Giuseppe Panella - 11.4.2015

La passione della/per la parole di Stefano Lanuzza Due particolari e recenti eventi editoriali richiamano il nome dello scrittore e critico StefanoLanuzza. Sono l’Horcynus Orcadi StefanoD’Arrigo, tradotto in lingua tedesca daMoshe Kahn (S.Fischer Verlag, Frankfurt, 2015), e ora, dello stesso Lanuzza, Céline della libertà. Vita, lingua estile di un “maledetto” (Stampa Alternativa, Roma-Viterbo, 2015). Si tratta di due pubblicazioniche hanno al centro, pur diversamente connotato, un linguaggio letterario ‘eretico’ (per unaletteratura non d’‘accatto’, ossia consumistica o di mercato): un linguaggio come passione della

parole, come scelta fortemente trasgressiva. Una parole con cui si identifica uno stile o un’insolitastilistica, innovativa e abnorme, che rivoluziona la prassi della scrittura artistica sia sul pianolessicale, sia su quello ritmico-sintattico ed espansivo. È, insomma, la parola della vita con il suocarico di ‘percetti’ e ‘affetti’ che attraversa il linguaggio – direbbe G. Deleuze – stagliandosinell’opera e fondando uno stile assolutamente originale, imparagonabile e memorabile. La scritturaartistico-letteraria che ne consegue segna una svolta e insieme, diversamente dalle correntiproduzioni di consumo, uno sconvolgimento che assale, devastandole, le abitudini di un pubblicofin troppo assuefatto alla tradizione normativa. Assumono allora rilievo, in D’Arrigo, i sostrati dialettali e l’etimologia rizomatica “dei gerghi dellaSicilia nord-orientale costiera”. Per raccontare la storia di ‘NdrjaCambria (il protagonista diHorcynus Orca), D’Arrigo si è creato un personale linguaggio attivando una catena lessicalerisalente fino alla corte di Federico II. Le maglie, se si segue il cammino a ritroso, «sono il francesee il normanno, l’arabo, il greco bizantino, il latino, il greco antico, il siculo. Questo materialelinguistico si trasformò per quasi duemila anni, giungendo finalmente ai lessici del mezzogiornoitaliano che conosciamo. […] molte parole sono uguali o simili e hanno un significato uguale osimile; altre invece suonano uguali o simili, ma hanno un significato completamente diversodall’italiano. Per chiarire quest’ultimo gruppo, ecco qualcheesempio: stilare significa in italiano“stendere, scrivere un documento” e deriva da stilo, un oggetto per scrivere; mentre, in siciliano,stilare ha invece una coloratura greca, deriva da stylose assume il significato di “avere l’abitudine”,come nell’espressione “stilava alzarsi presto”. Spiare significa in italiano “guardare, osservareattentamente e di nascosto” e deriva da una radice gotica e latina; in siciliano spiare assume inveceil significato di “domandare, chiedere” […]» (cfr. MosheKahn, inwww.retididedalus.it, 2015gennaio).Nell’altro caso, il codice letterario usato da Céline è l’argot1 delle banlieues francesi. Con Viaggioin fondo alla notte, Louis-Ferdinand Célineinaugura infatti – scrive Lanuzza – una narrativa tuttaparticolare: registro gergale più soggettivo e protagonista; sintassi frammentata e spezzettamentodella trama narrativa; varietà linguistiche; espressioni popolari o figure argotiche della banlieueparigina; motsgrossierse deformazioni lessicali; metamorfismi espressionistici e verbi sostantivati;pleonasmi o ridondanze grammaticali con aspre sonorità. Un linguaggio insomma che allontana ilettori dalle attitudini puriste del romanzo ufficiale. «Con il secondo romanzo [Morte a credito], ilparlato argotico assume il definitivo dominio del discorso céliniano. Più che mai lo scrittore avverte ilbisogno di una forma nuova e individuale per la sua narrativa: di un’azione di rottura linguistico-stilistica, ancora più decisa e radicale che nel Voyage, contro l’imbalsamato monolinguismo dellatradizione liceale ordinaria» (S. Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 37).Il suo linguaggio nontrascura niente della lingua, specie d’uso: privilegiando «la lingua d’uso dei ragazzi di strada, deimaliziosi alunni della scuola comunale da lui frequentata o dell’ingegnoso commesso di bottega; e nonrinuncia ad avvalersi del gergo di caserma, dei pesanti motti dei bassifondi o della ‘mala’, nonché dellechiacchierate con l’amico pittore Gen Paul che abitualmente s’esprime in un compiaciuto argotcoprolalico» (Ivi).

Queste due opere, sebbene diversamente collocate, vedono egualmente coinvolto StefanoLanuzza (anche storico della letteratura), perché di Céline della Libertà è l’autore diretto e unico(al “maledetto” Céline, Lanuzza ha già dedicato altri due studi, sempre pubblicati con StampaAlternativa: Maledetto Céline. Un manuale del caos e la traduzione del libello di H.-E.

1«Ecco, per libere traduzioni o trasposizioni, solo alcune delle innumerevoli espressioni adoperate in funzione argotica: je m’en tartine, emmerdeurs, déconner, métèque, le feuaucul, merde à Dieu, branleur, branlerais, croupion, il s’en fout, paumé, peau de vache, rendre plus vache, eczémateux, connard, hurluberlu, mouscaille, rombière, lespetitsboulots, petit nougat, daronne, bouillonner, bourrique, marle, garce, pépère, rouquine, gonzesse, zizi, étre de la fesse, croûter, cafouiller, dégueulasse, la bignolle, merdoyant, enculé, connasse, saloperie, trembloteur, ivrogne, mandrìn... » (S. Lanuzza, Céline Della Libertà…, cit., p. 37).

KaminskiCéline in camicia bruna. Un voyage immaginario). Mentre della traduzione tedesca diHorcynus Orca è stato consulente linguistico. Conoscitore e specialista della lingua di D’Arrigo, haaffiancato l’opera di traduzione di MosheKahn per salvaguardare al meglio il pensiero e la linguadarrighiana. È, poi, appena il caso di ricordare che il Lanuzza, oltre a frequentarne la scritturaletteraria, ha conosciuto personalmente Stefano D’Arrigo che gli ha rilasciato una rara intervista,inserita poi nel volume Scill’e Cariddi. Luoghi di HorcynusOrca (Catania-Acireale, Lunarionuovo,1985).

L’importanza dell’intervista, di cui si riporta qualche frammento, è data anche dal fatto cheD’Arrigo vi rilascia una precisa dichiarazione di poetica: «Ho costantemente cercato di farecoincidere i fatti narrati con l’espressione, la scrittura con l’occhio e con l’orecchio, rifiutandoqualunque modulo che mi apparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assoluto. Nonho rinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partito dall’obiettiva sicurezzache i luoghi della mia narrazione – luoghi topografici ma soprattutto luoghi del testo – restino unfondamentale punto d’incontro e filtraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni volta che hoadoperato neologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornire immediatamente ilcorrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare il periodo e ‘mirare’ il vocabolo finchénon giudicavo d’avere raggiunto l’espressione completa: fino al momento in cui guadagnavo lacertezza che il risultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale, sintattica esemantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura ‘parlasse’».

Se Stefano Lanuzza scandaglia particolarmente autori come D’Arrigo e Céline, che sirichiamano – si può dire con una formula di Wittgenstein – per “somiglianze di famiglia” e inquanto presi da ‘passione della parole’, ciò è anche dovuto al fatto che i due autori in questione, peril nostro critico come per Gianfranco Contini,hanno una consonanza tematica e gergodialettale cheli accomuna come produttori di lingua letteraria di rottura e innovativa. In tale contesto – scriveLanuzza – pertinente è «il rapporto stabilito da Contini fra un Céline che si ritiene soprattutto poetae le stilizzazioni gergodialettali dell’Horcynus Orca, poematico romanzo di D’Arrigo […].Romanzo dell’umano fato è, altresì, Morte a credito: che si intona con lo stesso tema sviluppatograndiosamente nel citato Horcynus Orca (Céline e D’Arrigo sono soldati combattenti in due guerremondiali: nella prima Céline, nella seconda D’Arrigo) e inizia con la scena della misera fine dellavecchia Bérenge, portinaia […]» (S. Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 44).

Quanto al richiamo su Céline e D’Arrigo «soldati combattenti in due guerre mondiali», in talecontesto, Lanuzza ritiene pertinente e anche necessario individuare ancora la componente storico-temporale che muove la narrativa dei due scrittori. E con ciò, specie nel caso di Cèline, Lanuzzatocca gli aspetti problematici e controversi del deplorato antisemitismo céliniano fermandol’attenzione sulla temperie culturale, linguistica e ideologica dell’epoca. Tutto questo è in Célinedella libertà evidente e sottolineato, soprattutto nel capitolo dei “‘Balletti’ antisemiti’ riguardanteBagatelle per un massacro, La scuola dei cadaveri, I bei pasticci.(Antonino Contiliano, filosofo ecritico letterario)

La cavalcata delle emozioni tra l'ideologia e laquestione dello stile aproposito di Céline della libertàdi Stefano Lanuzza

Marzo 2015

Da dove iniziare nel vortice delle emozioni controverse che la lettura diquest'opera mi ha provocato? Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un"maledetto" (Viterbo, Stampa Alternativa, 2015), dell’eminente critico e storicodella letteratura Stefano Lanuzza, che non ha certo bisogno di presentazioni. Dipresentazione si può invece parlare se considero la tipologia di lettore checredo di essere, accostandomi alla presentazione che Lanuzza svolge di Louis-Ferdinand-Auguste Destouches, nome d'arte Céline.

Rapisce la lettura del saggio per la modalità con cui l’autore si addentra pianpiano nel mondo di una personalità quanto mai complessa, e letteraria eumana, non semplice da trattare perché non semplice da comprendere! Célineera un maledetto! Non era fatto per essere amato: "Vuoi davvero leggerlo?Preparati a odiarlo!" avverte Lanuzza in altra sua opera (Maledetto Céline. Unmanuale del caos, Stampa Alternativa, 2010).La complessità deriva anche dalladifficoltà di catalogazione all'interno di un circoscritto/circoscrivibile genereletterario. Si può parlare di ‘letteratura maledetta’? Se proviamo a mettere aconfronto il personaggio Céline(che poi tale è non solo nella nostra trattazione,ma anche nella sua produzione artistica: tenendo conto del suoautobiografismo) con i colleghi non solo francesi, troviamo delle discrepanze.Se poi, per i suoi ultimi libri, proviamo a confrontarlo con i futuristi per viadell'aspetto più prettamente stilistico, anche qui troviamo che Céline non puòessere paragonato a niente e nessuno. "Uno come Céline varca gli steccati enon può stare dove lo metti".

Stefano Lanuzza passa in rassegna le maggiori opere - romanzi sin dalla loro prima edizioneoggetto di intensi dibattiti e scontri - con spirito critico - nell'accezione pura, cioè connessa aquell'atteggiamento che vuole analizzare e soppesare ogni aspetto servendosi dello strumento delpensiero libero e scevro dal preconcetto, scrupoloso, attento, illuminato e illuminante - ma anchecon intento acritico - da cogliersi nell'intenzione di non formulare alcun giudizio se non connesso aquanto il saggista ha compreso dell'uomo/scrittore (inscindibili).

Richiamo allora un termine già usato, non a caso, che ben descrive quanto illettore si accinge a fare dinnanzi a Céline della libertà, quanto il critico siappresta a compiere nel rimboccarsi le maniche - tastiera e libro- , quantol'Autore ha già intrapreso con brillantezza: "viaggio". E "viaggio" dà il titolo allaprima opera céliniana da Lanuzza affrontata: Voyageaubout de la nuit (Viaggioal termine della notte che Lanuzza traduce dal francese con la versione a suoparere più corretta di Viaggio in fondo alla notte, ribattezzandone l'edizioneitaliana). A riprova del contenuto a momenti aforistico di quest'opera - comedel secondo termine che compone la coppia letteraria della prima parte dellatrattazione, Morte a credito - l'Autore ne riporta frasi quasi lapidarie, prima di

intraprendere il suo viaggio. A chiarificazione dell'intento dell'opera céliniana,riporta quanto lo stesso "maledetto" scriveva: "Il viaggio che ci è dato èinteramente immaginario. Ecco la sua fortuna. Va dalla vita alla morte" chesuona un po' come "ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmenteaccaduti è puramente casuale" con aggiunte che certamente lascianopresagire quale angolatura, quale prospettiva Céline assume nel rapportarsicon la vita umana. La notte stessa del titolo del romanzo è il corrispettivo dellamorte della premessa céliniana, e questa notte/morte è fronteggiata "fino infondo". Sin da qui infatti si osserva emergere la compenetrazione uomo-autore-narratore-personaggio, che le stesse parole, citate, di DrieuLa Rochellecommentano così: "la letteratura non è che una forma edulcorata dellaconfessione". Tale ci appare se notiamo come sia possibile in effetti paragonareil rotolare delle parole céliniane, irrefrenabile, alla spontaneità di chi sa di nonessere condannato. In realtà Céline sapeva che presto sarebbe scoppiata labomba ma semplicemente non se ne curava, dunque via con il rotolare!

Forte indizio per la suddetta compenetrazione si rintraccia attraverso ilprotagonista del romanzo, il Je (io) di un Ferdinand Bardamu che è "ritrattopsichico e proiezione dello stesso narratore prima di diventare il pronome d'unindefinito e universale nessuno (personne)".Ma sono due gli aspetti su cuiLanuzza si focalizza nel passare da un approfondimento all'altro: quellocontenutistico e quello formale. In accordo con chi sostiene che la Letteratura èforma (e questo legittima la grandezza di Céline nel panorama mondiale,tenendo anche conto di quanto il contenuto possa cambiare da un popoloall'altro), manderemo giù prima il boccone amaro di un contenuto che suscitatutte le emozioni che lo stile (la forma) vuole rinvigorire, nel chiaro intentoprovocatorio ma anche più semplicemente scevro dalla diffusa ipocrisia. Ilcontenuto di cui si parla è quello ideologico, il più avversato, quello che loavrebbe reso degno dell'etichetta di "maledetto".

La premessa che è opportuno fare è quella degli anni che videro Célineoperante in Francia, quelli tra le due Guerre che devastarono l'Europa e lavidero mutare a una velocità straordinaria su tutti i versanti, dal tecnologico alsocio-politico. In tale contesto mal tollerato perché lontano da ogni sorta distrumentalizzazione era il suo pacifismo, un pacifismo adirato, frustrato dalcostante marciume spiattellato tutti i giorni. Per Céline "l'immedicabile male delmondo è l'assurdo della guerra e la morte, sorda e insensata 'creditrice'". Vi erain lui il rifiuto del patriottismo militarista e guerrafondaio, della ciecaobbedienza alla tirannia; perché Cèline era un anticapitalista anticolonialista."Torna opportuno il sillogismo secondo cui i Paesi poveri, ma ricchi di materieprime, restano poveri perché derubati dai paesi ricchi ma poveri di materieprime, i quali s'arricchiscono ancor più depredando delle materie prime i Paesipoveri" scrive Lanuzza che si fa portavoce della visione di un Céline che videcon i propri occhi i soprusi europei nelle colonie africane, un Céline criticodell'egoismo meschino della piccola borghesia (e riportiamo qui quanto lui fadire dal dirigente al suo Bardamu - personaggio/proiezione - ricordando lapropria esperienza presso la Ford come medico aziendale: ( "voi non sietevenuto qui per pensare [...]. E' di scimpanzé che abbiamo bisogno [...]. Cisaranno altri che penseranno per voi"), un Céline sensibile alla degradazionedelle periferie sottoproletarie e alla solitudine metropolitana "degrado da corte

dei miracoli" (Lanuzza). La guerra è tematica non ricorrente ma costante,apostrofata come "ignobiletragedia" (Céline) "esperienza demenziale"(Lanuzza). E significativo appare che queste parole siano state sulla bocca diun patriota pacifista come Céline, per cui la guerra patriottica è "unacontraddizione in termini, un mito alimentato da una Storia truffaldina edelittuosa", un patriottismo che Samuel Johnson chiama "l'ultimo rifugio dellecanaglie" mentre il Bardamu di Céline dirà che la coscienza è scambiata percodardia dai militaristi, "rifiuto la guerra [...] con tuttigli uomini che contiene[...] fossero loro novecentonovantacinque milioni e io solo, sono loro che hannotorto [...] io non voglio più morire".

Nel ripensare a come proprio questo aspetto contenutistico sia stato l'appiglioper ogni avversione allo scrittore, non si può non tener conto di come leideologie siano sempre state strumentali e strumentalizzate. Non si dimentichicome la stessa scienza e le correnti di pensiero ancora nel XX secolonascevano e si sviluppavano non per sradicarsi dai vincoli d'interesse e dallecensure - come può dirsi a proposito della matematica che più di ogni altrabranca ha potuto a ragione dirsi libera - ma per essere funzionali ad essi, nonper dimostrare ma per giustificare (si pensi al darwinismo sociale e a quanto glistati occidentali fecero nelle colonie, per il loro bene). Fu per la particolarepropensione dell'ideologia alla critica che si trasfigurò quanto lo scrittorevolesse realmente dire, asservendolo ad altro tipo di scopo, mentre dal latoopposto, quando Hitler nel '33 salì al potere, i libri di Céline venivano proibiti inGermania (beh, d'altronde paragonava il Fuhrer al clown Dudule!). E' chiarodunque che non era nazista ma non si può dire nemmeno fosse comunistanella sua successiva corrente staliniana, che deluderà fortemente l'autore inseguito ad un viaggio in Russia in cui ravviserà le stesse miserie che le estremedestre procuravano in Europa, tanto avversante ogni sorta di totalitarismo edispotismo che anche il PCF (partito comunista francese) fingerà di ignorarlo.L'astio crescerà con l'uscita di Mea culpa, in cui lo scrittore mostra tutta la suadelusione per un comunismo che credeva diverso, per un comunismo distanteanni luce dalla teoria di Marx e degli utopisti, tanto che verrà etichettato come"rinnegato". Mussolini, d'altro canto, definisce ilVoyage"scrittura giacobina".Tuttavia si disse di lui anche questo, su Le Figaro: "per noi la questione non è disapere se la pittura del signor Céline sia atroce; noi chiediamo che sia vera.Essa lo è", posizione che Lanuzza comprende e il suo approccio all'autore lodimostra. Il fatto è uno e Lanuzza lo rintraccia nelle parole di Dubuffet:"L'intellighenzia capì subito che c'era uno che s'era messo a smascherare".

Lanuzza esprime il suo rammarico per l'ingiustizia che permette di farcircolare liberamente opere come il MeinKampfdi Hitler mentre si avversapersino in Francia, da ogni dove, un Céline che tanto avrebbe potuto dare sesolo lo si fosse ascoltato prima. E viene in mente quel blocco del progresso, senon quell'involuzione, che viene a depauperare ogni ambito della conoscenzain tempi di guerra, quando lo sfrenato nazionalismo sfocia nell'autarchiafanatica anche culturale sino ad innalzare muri tra chi potrebbe cooperare per ilprogresso, in un'impossibilità di comunicazione, di confronto/scontro fautore divita e creazione. Neppure "a titolo conoscitivo ", scrive Lanuzza, le opere diCèline sono reperibili, "sparite dalle librerie" e "la cui ristampa è, di fatto,ancora interdetta".

Pochi sono coloro che ne apprezzarono e ne apprezzano la produzione perchénessuno si salva dall'ira del "maledetto", nemmeno il popolo, sebbene lui siasempre stato dalla parte del più debole proprio in virtù della sofferta realtàingiusta che lui vorrebbe riflettesse l'uguaglianza in un azzeramento delleclassi sociali mentre invece si assiste al consolidarsi di esse. Ebbene non ignoraperò quelle dinamiche che vedono protagonista la massa - è quello il periododella psicologia delle folle, la fortuna di studiosi come Le Bonne, più vicini forsealla logica della giustificazione che della dimostrazione, forse anche in funzioneopportunistica, è quello il periodo del Futurismo - ponendosi tuttavia in unaprospettiva diversa che richiama echi della scuola della psicologia umanistica,quando dice "se c'è una cosa che il popolo detesta, è la libertà. Gli fa orrore,non la può vedere". Ce n'è pure per la Bibbia, "il libro più letto del mondo... piùporco, più razzista, piùsadico", e Lanuzza riflette in questi termini: "E perchémai si dovrebbe credere in un Dio che, sorvegliando da lassù, discrimina trafedeli e non fedeli alla Chiesa!?". Jean-Paul Sartre è "uno stronzetto", "granculorotto", "piccola schifezza assatanata" eccetera (lo scrittore lo avevacriticato e accusato appellandosi al contenuto ideologico della sua produzioneletteraria).

E' a questo punto che non si può non toccare il tasto dell'antisemitismo che èproprio quanto compromette l'intera carriera di Cèline scrittore. Leggendo tra lerighe viene spontaneo, tuttavia constatare che - ideali e convinzioni a parte -fondamentalmente Céline - ma non si vuole qui correre il rischio di liquidare indue parole un mondo ben più complesso - era un uomo scontento, che cometanti altri suoi contemporanei scontenti individuava il capro espiatorio negliebrei e nei massoni, rintracciando in loro la responsabilità, ma quando seppecosa era accaduto realmente nei campi di concentramento, "ne è statoorripilato" ricorda la moglie, sebbene non si fosse nemmeno allora esposto piùdi quanto l'ampiezza del suo passo permettesse. Ma lui stesso dichiara cheall'epoca dei fatti non sapeva nulla di quello che apertamente definisce"atrocità" e non ne seppe nulla se non alla fine della guerra. L'obiettivo dellasua produzione letteraria non era quello di condannare gli ebrei ma di "lanciareun monito contro l'entrata in guerra della Francia" di cui essi riteneva fossero iresponsabili, mai lui istigò a uno sterminio che tra l'altro non era nemmenoimmaginabile all'epoca dell'uscita di tre dei suoi romanzi oggetto dei più accesidibattiti in materia di antisemitismo e più tardi antisionismo (termine che peròdeve essere reso oggetto delle più opportune distinzioni): Bagatelle per unmassacro, La Scuola dei cadaveri e I bei pasticci. C'è da dire però molto sullastoria personale di Céline che impatta tragicamente sempre con ebrei che dicerto non lo aiutarono nella sua carriera artistico-letteraria, né gli reserogiustizia. Il suo errore fu quello di generalizzare a tutto un popolo quantoriscontrava in contesti circoscritti: tutto, persino l'arte, non poteva che esserein pugno ad una cerchia elitaria, razzista a sua volta. Lanuzza ricorda come uncopione teatrale da lui scritto fu respinto dall'impresario del teatro al vaglio delquale sarebbe dovuto passare, ebreo di Leningrado. Dirà degli ebrei "padroniassoluti del mondo", razzisti che giudaizzano la cultura e l'arte. "Vi s'aggiungail carattere - dicono collerico - dello scrittore, livoroso contro dei critici ebreiall'origine dell'insuccesso della sua commedia La Chiesa e dopo che l'amataElizabeth lo lascia andando a sposare in America l'ebreo Ben Tamkel. Senzatrascurare l'episodio del suo licenziamento del dispensario di Clichy e la

sostituzione con un medico israelita". Fu per le sue posizioni antigiudaicheaccusato di collaborazionismo soprattutto negli anni dei nazisti in Francia con ilgoverno di Vichy, ma lui rifuggiva da ogni sorta di strumentalizzazione, ogniassoggettamento o prostituzione, in nome di quella libertà che era la sua stellapolare, tanto che dopo il 1943 non vorrà più ristampare i suoi libri proprio pernon fare la fine del superuomo nietzschiano stendardo di una proclamatasuperiorità ariana insieme ad un darwinismo sociale su altro versanteimpiegato. Ma c'è dell'altro: l'avversione per l'autoglorificazione. In unintervista che Lanuzza cita, Céline afferma: "Ho depositato il manoscritto senzail nome dell'autore e senza l'indirizzo. Casualmente, l'involucro era fatto con unfoglio che era servito alla mia domestica per avvolgerci le pantofole; c'eraun'etichetta. E' così che s'è saputo il mio nome ed è per questo che ho assuntouno pseudonimo, perché me ne infischio di me stesso come dei premi e dellavoro letterario". Talmente lui grida disperatamente alla libertà, talmente larivendica, che non può non odiare la scuola, "fabbrica di nozioni che glorificanoil Capitale". Dunque è da rifuggire ogni accusa di collaborazionismo nazifascistacome qualsiasi tipo di clientelismo.

"Tutto è contraddizione in quest'uomo" e infatti in lui si può parlare di"antisemitismo anticapitalista". Ma è irrinunciabile la necessità di leggere tuttoquesto in una prospettiva storica, vuole dirci Stefano Lanuzza, perché"stampati nella prima metà del XX secolo e colpevoli d'imperseguibili reati diopinione, essi sarebbero da leggere non solo come esercizi polemici ofenomenologie di emozioni in contrasto con gli ordinamenti obbligati, maanche come produzioni che possano far discutere sui rapporti tra Storia everità". Ma "riconosciuto il mortificanteantisemitismo di Céline" scrive Lanuzza,"e distinguendo la letteratura da oltranze ideologiche, l'opera céliniana è oggida contestualizzare in frangenti della vicenda storica europea caratterizzati daun'avversione per l'ebreo e da campagne d'opinione identificantianticapitalismo e antisemitismo [...] appare allora troppo facile o distraentegravare in esclusiva Céline del ruolo di capro espiatorio d'un antisemitismo chenella prima metà dei novecenteschi anni Quaranta è, non solo nella Francia diVichy, così diffuso e sistematico da credersi ammissibile".Lanuzza allora sente ildovere di ripercorrere storicamente sino ai giorni nostri quello che è stato ed èl'antisemitismo che, come già detto, va distinto dall'antisionismo. Infattispesso, successivamente al crollo dei totalitarismi e alla presa di coscienzadegli abominii, non si farà più ricorso ad istanze eugenetiche per contrapporsiad un popolo storicamente sempre avversato, bensì alle politiche militaristeche lo stesso giovane stato d'Israele attua in Medio Oriente, aspetto del suoagire politico che ha comportato la rottura di Israele con le sinistre europee,ribadisce Lanuzza, che argomenta questo aspetto importantissimo con stralcitratti da documentazioni quali giornali nazionali italiani (la Repubblica, ilmanifesto, l'Espresso) ed esteri (Ha'aretz, Suddeutsche Zeitung), che dannospazio alle voci di scrittori e studiosi di tutto il mondo. "In Israele" cita Lanuzza"la democrazia è solo per gli israeliani", senza dimenticare di sottolineare lacondizione dei palestinesi che cercano di vivere senza il terrore della mortenella Striscia di Gaza, "prigione a cielo aperto", "ghetto" come lo è lo stessostato d'Israele sebbene esso in chiave autodifensiva/aggressiva. Riporta ilsaggista le parole di molti tra coloro che si espressero a proposito della Shoah -tragedia dell'umanità, espressione della decadenza morale e non solo - in

relazioni agli odierni rapporti internazionali: "L'ossessione della nuova Shoahdietro la porta scatena processi di permanente vittimizzazione che sisinergizzano con i complessi di colpa occidentali, legittimando un''industriadell'Olocausto' che fa un uso strumentale e ricattatorio della memoriadell'immane catastrofe per fini di propaganda". Ma, ecco, questa forse è unadigressione, una parentesi - seppur ampia - in cui Lanuzza abbandonamomentaneamente quell'ottica che vuole descrivere dall'esterno, peraddentrarsi a pieno nel clou di una questione tutt'oggi scottante, senza iltimore di sporgersi pericolosamente. Potrebbe sembrare che il saggista aquesto punto abbandoni il suo atteggiamento super partes mantenuto per tuttoil corso della trattazione, eppure tale non appare più nel momento in cui ci siaccorge che lui non fa che constatare la realtà oggettiva, sottolineando comeIsraele fu "voluto anche dall'Organizzazione delle Nazioni Unite(ONU) per ilcontrollo del Medio-Oriente" (asserzione che avrà fatto imbestialire non pocagente). Allora "appare equivoco voler tacciare di antisemitismo quanti criticanole vessazioni sociali e le prevaricazioni territoriali, la politica armata el'impunità internazionale d'Israele che infrange le convenzioni tra gli Stati. Nonsi cada nel gioco di assimilare surrettiziamente antisemitismo e antisionismo",aggiunge Lanuzza citando lo storico Yakov M. Rabkin dell'Università di Montreal.Il puntuale acuto saggista, a questo punto non può, parlando di Céline, nonspezzare una lancia a favore di un Gunter Grass, Nobel per la letteratura nel1999, proclamato "persona non grata" nel 2012 dal governo israeliano dopol'uscita della nota poesia Ciò che va detto (caso, questo, in cui di antisionismosi parla), in occasione delle questioni attorno all'atomica. Sempre in contestoisraeliano si giunge, in occasione del Festival d'Israele di musica classica, allaproibizione dell'opera La Valchiria di Wagner, ci ricorda Stefano Lanuzza, pervia dell'antisemitismo dell'autore. Non occorre allora specificare quanteriflessioni vengano in mente e quante deduzioni si possano fare, dunque, sulcaso Céline. Ma questo excursus che potrebbe sembrare dirottare il lettoreverso una più politicizzante oratoria vuole in realtà mettere in discussionequanto sinora si è detto a proposito del protagonista degli studi lanuzziani, chedeve essere compreso tenendo conto anche delle consapevolezze oggiconquistate (come quelle che ancora non vogliamo afferrare). Oggi, che siapplaude a uomini che al tempo furono, sì, a libro-paga dell'Ovra, la poliziasegreta fascista. Céline – questo di lui si può dire a voce alta – era libero,"assolutamente LIBERO, e non pagato". Céline della libertà...

Ma questo stesso excursus vuole anche dirci quanto la realtà dei fatti non siasempre semplice da scovare, quanto la fortuna di Céline dipese fortementedalla cultura del tempo che visse, da conflitti che prescindevano dallo stessoautore, quanto ancora una volta siamo vittime di una censura che mette daparte l'arte, quella autentica (Wagner è un caso davvero eclatante), forse pertimore che l'uomo non abbia perso il vizio di essere profondamente epericolosamente corruttibile nell'animo. E' di noi stessi che non ci fidiamo?

"Céline è il Novecento", tanto che è stato definito dal nouveauphilosophefiloisraeliano Bernard-Henri Lévy come "il più grande e il più attuale deglistorici del XX secolo, di cui egli è anche il sintomo e il rivelatore". Asserzione,questa, impegnativa e intrascurabile. Ma qui non siamo solo dinnanzi ad unrappresentante/testimone/campione del passato. Si dice che la letteratura è

chiaroveggenza, che gli artisti di qualsiasi campo espressivo, di qualsiasinazionalità, dai poeti ai romanzieri, dai pittori/scultori ai musicisti/cantautori,tanto hanno predetto anche secoli prima, dal sottomarino di Verne all'atomicadi Svevo. Un brivido allora ci coglie nel leggere quanto Lanuzza ci fa notare: "Inun delirio visionario, [Céline] predice il 'pericolo cinese'" anche se risulta oggiopportuno variare la profezia, aggiunge ancora Lanuzza, perché non di unpotere militare si tratta bensì economico-commerciale (d'altronde il primo èdetenuto dagli Stati Uniti "gendarmi del mondo" - ed ecco ancora un Lanuzzache non esita a constatare, ma mi correggo: ancor più che di constatazioni, ilsaggista si occupa di critici confronti). Céline è il Novecento...

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Ma tra irritazioni e travolgimenti emozionali non bisogna dimenticarsi di ciò cherese grande Céline, se non si considera che molti trovarono in lui, oltre che lostorico, persino il filosofo. E' arrivato infatti il momento di passare al secondopunto della produzione letteraria che ha fatto tanto discutere, e discutereanche su questo versante, quello dello stile.

"Sconvolge l'uso medio della lingua francese usuale" scrive Stefano Lanuzza,utilizza un "linguaggio venato d'argot" e "volendo nominare i sentimentidell'insensato e dell'inaccettabile" "lo scrittore si foggia una prosa inaudita". Abraccetto con la violenza delle storie e dei personaggi sopraggiunge infatti unostile che scandalizza, che sconvolge per i toni da bassofondo popolare ma chefunzionali sono alla trasmissione di quelle emozioni non semplici damanifestare come da spiegare, tanto meno da condividere. I confronti stilisticichiamano in causa gli italiani Stefano D'Arrigo e Carlo Emilio Gadda con le lorocontaminazioni dialettali di cui attuano però rimaneggiamenti che rendono laloro prosa unica nel panorama letterario internazionale, a tal punto che di essisi può dire quanto Lanuzza stesso afferma a proposito di Céline riproponendo leparole di Caproni, che è stato tra i maggiori poeti italiani del Novecento: "unalingua italiana atta atradurre Céline" è "ancora da inventare". Allostesso modo come crediamo possano essere tradotti i nostri autori nelfrancese, nell'inglese, nel tedesco?

Lanuzza, da vigile studioso di Letteratura comparata, chiama in causa ancheJames Joyce con il suo Ulisse, sebbene non per l'aspetto linguistico ma per lacondivisione di quella che è stata definita "scrittura vivente" che sia in virtùdello stream of counsciousness o per lo "stile emotivo". Emozioni anarchicheche scalciano sino a scoperchiare una pentola dalla quale escono indomabili. E'questa la prosa di Céline, una pentola a pressione colta figuralmente nel suomomento estremo di esplosione, non potendo più tollerare il troppo che èsempre troppo. Il paragone con Hugo sopraggiunge - non può nonsopraggiungere - quando dice di Céline che il suo argot rifugge daglistereotipati adattamenti dialettali cui hanno ricorso e ricorrono molti autorifrancesi tra cui appunto l'autore di I miserabili, Nostre Dame de Paris e moltoaltro. D'altronde molti successivamente si ispirarono allo stile di Céline, tra cuiil Cavanna fondatore di Charlie Hebdo. D'Arrigo e Gadda a lui si avvicinanonell'intento e nella capacità di manipolare il dialetto lontani dalla semplicecontaminazione.

Tuttavia, l'ignoranza di molti dei suoi contemporanei che si ersero a giudici e agrandi critici, non riuscendo a inserire l'autore in nessuna delle categorieletterarie allora esistenti, non sostennero che aveva portato delle innovazionialla letteratura, non sostennero che il suo fosse sperimentalismo, necessità didistinguersi da qualsiasi forma precostituita anche linguistica, dissero invecequesto: "puzza di russo lontano un miglio", dimentichi delle vicende e delleposizioni anche ideologiche dello scrittore (occasione forse in cui a ragione,questa volta, le si chiamerebbero in causa).

Il tono argoticocéliniano è "liquidatore della letteratura fine a se stessa","persegue nuovestrade conoscitive e destabilizza ogni fissità sintattico-lessicale". Dunque alla fine s'è detto! S'è detto quanto profondamente modernofosse il suo stile, ricorrente ad uno spezzettamento della trama narrativa, aduna sintassi frammentata. Lo si può accostare al post-futurismo, affermaLanuzza, ma anche qui c'è un'unicità d'intenti e di stile, aspetto sul quale loscrittore puntava costantemente a costo di essere ripetitivo ricalcandone lanecessità e la peculiarità ("ci vuole unostile per scrivere"). Numerosi sono ineologismi, come "sporcaccionate", partoriti dall'autore, contro "l'imbalsamatomonolinguismo della tradizione liceale ordinaria", proiettato, invece, verso una"lingua reinventata [...] soliloquio di un Io maturato dopo Joyce e prima diBeckett [...] rimembranza scritta a pezzi e strappi" ricca di "punteggiaturamartellante [...] distorsioni tonali, sequenze dissonanti e onomatopee [...]paroliberismo futurista" "in un'atmosfera d'iperrealismo ambientale". Si puòparlare, prosegue il saggista, di "oralità pseudofuturista" pregna di "proliferantiparole in libertà", "stilizzazioni onomatopeico-fonosimboliche", "divertimentifonetici, asemantici o fuggevoli pensieri che simulano stati autistici". E'l’ingresso del gergo fumettistico nel romanzo moderno e post-moderno conMarinetti e seguaci.

Dal momento che siamo entrati nel merito dello stile, va fatta una notasull'eleganza espositiva di Stefano Lanuzza, che scrive: "In modorabdomantico, procedendo per illazioni criptosaggistiche, deformazionisociopolitiche e giudizi morali sempre opinabili, per pagine scucite da unasgretolata oralità variante in mutevole chiacchiera, lo scrittore attaccaromanzieri e giornalisti..." eccetera. Dunque a riflettere sullo stile di Célineé unautore che sa di cosa parla.

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Nell'ultima parte del saggio, l’acuto e puntuale critico affronta con precisionestorica la biografia dell'autore che si intreccia alle vicende dell'Europa, annoper anno, lasciando emergere come le vicende politiche, sociali e umane sianosoprattutto qui inestricabilmente legate. "Céline è il Novecento" lo ripetiamoancora una volta come ripetiamo quanto esso abbia in sé tutte lecontraddizioni del secolo, contraddizioni che la biografa italiana di Céline,Marina Alberghini, riscontra persino fisiognomicamente in una fotografia cheritrae un Louis-Ferdinand adolescente: "La metà destra del viso ha uno sguardoduro, grintoso, da predatore, la bocca volitiva e sprezzante. L'altra metà è ilvolto sognante di un poeta, lo sguardo perso, dietro un orizzonte lontano".Lanuzza, invece, scrive: "Durante la sua esistenza, lui, un buono e un empio,

un sognatore e un cinico, ogni volta non è quello che sembra e resta persempre il proprio stesso segreto, custodito in un rancore rimante con un doloreantico chiuso nell'ombra d'una offesa immedicabile, segnato da una colpachiusa ad ogni intrusione". Ripropone poi le parole dello stesso Céline che, neltentativo di comprendere se stesso, racconta di un episodio, un rito a cui haassistito in Africa, che lo ha profondamente turbato forse per l'inquietanteidentificazione che spontaneamente ha attuato: "si fa un cerchio con delleliane [...] si poggia il cerchio a terra, si mette al centro del cerchio unoscorpione - si dà fuoco alle liane, lo scorpione si ritrova alloraaccerchiato, circoscritto dal fuoco, cerca immediatamente di uscire mainvano - gira rigira, va e viene ma non può uscire e alloras'immobilizza all'interno del cerchio, e pungendosi a lungo sullacorazza, si avvelena e muore"…E' ciò che faceva Céline. E' ciò che faceval'uomo del XX secolo.(Giulia Sottile, psicologa, saggista).

Sabato 04 Aprile 2015

La passione della-per la "parole" di Stefano Lanuzza

di Antonino Contiliano

Due particolari e recenti eventi editoriali richiamano il nome dello scrittore e critico StefanoLanuzza. Sono l’HorcynusOrca di Stefano D’Arrigo, tradotto in lingua tedesca da Moshe Kahn (S.Fischer Verlag, Frankfurt, 2015), e ora, dello stesso Lanuzza, Céline della libertà. Vita, lingua e stiledi un “maledetto” (Stampa Alternativa, Roma-Viterbo, 2015). Si tratta di due pubblicazioni chehanno al centro, pur diversamente connotato, un linguaggio letterario ‘eretico’ (per una letteraturanon d’‘accatto’, ossia consumistica o di mercato): un linguaggio come passione della parole, comescelta fortemente trasgressiva. Una parole con cui si identifica uno stile o un’insolita stilistica,

innovativa e abnorme, che rivoluziona la prassi della scrittura artistica sia sul piano lessicale, sia suquello ritmico-sintattico ed espansivo. È, insomma, la parola della vita con il suo carico di ‘percetti’e ‘affetti’ che attraversa il linguaggio – direbbe G. Deleuze – stagliandosi nell’opera e fondando unostile assolutamente originale, imparagonabile e memorabile. La scrittura artistico-letteraria che neconsegue segna una svolta e insieme, diversamente dalle correnti produzioni di consumo, unosconvolgimento che assale, devastandole, le abitudini di un pubblico fin troppo assuefatto allatradizione normativa.

Assumono allora rilievo, in D’Arrigo, i sostrati dialettali e l’etimologia rizomatica “dei gerghi dellaSicilia nord-orientale costiera”. Per raccontare la storia di ‘NdrjaCambria (il protagonista diHorcynus Orca), D’Arrigo si è creato un personale linguaggio attivando una catena lessicalerisalente fino alla corte di Federico II. Le maglie, se si segue il cammino a ritroso, «sono il francesee il normanno, l’arabo, il greco bizantino, il latino, il greco antico, il siculo. Questo materialelinguistico si trasformò per quasi duemila anni, giungendo finalmente ai lessici del mezzogiornoitaliano che conosciamo. […] molte parole sono uguali o simili e hanno un significato uguale osimile; altre invece suonano uguali o simili, ma hanno un significato completamente diversodall’italiano. Per chiarire quest’ultimo gruppo, ecco qualche esempio: stilare significa in italiano“stendere, scrivere un documento” e deriva da stilo, un oggetto per scrivere; mentre, in siciliano,stilare ha invece una coloratura greca, deriva da stylos e assume il significato di “avere l’abitudine”,come nell’espressione “stilava alzarsi presto”. Spiare significa in italiano “guardare, osservareattentamente e di nascosto” e deriva da una radice gotica e latina; in siciliano spiare assume inveceil significato di “domandare, chiedere” […]» (cfr. Moshe Kahn, in www.retididedalus.it, 2015gennaio).

Nell’altro caso, il codice letterario usato da Céline è l’argot1 delle banlieues francesi. Con Viaggioin fondo alla notte, Louis-Ferdinand Céline inaugura infatti – scrive Lanuzza – una narrativa tuttaparticolare: registro gergale più soggettivo e protagonista; sintassi frammentata e spezzettamentodella trama narrativa; varietà linguistiche; espressioni popolari o figure argotiche della banlieueparigina; motsgrossiers e deformazioni lessicali; metamorfismi espressionistici e verbi sostantivati;pleonasmi o ridondanze grammaticali con aspre sonorità. Un linguaggio insomma che allontana ilettori dalle attitudini puriste del romanzo ufficiale. «Con il secondo romanzo [Morte a credito], ilparlato argotico assume il definitivo dominio del discorso céliniano. Più che mai lo scrittore avverteil bisogno di una forma nuova e individuale per la sua narrativa: di un’azione di rottura linguistico-stilistica, ancora più decisa e radicale che nel Voyage, contro l’imbalsamato monolinguismo dellatradizione liceale ordinaria» (S. Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 37). Il suo linguaggio nontrascura niente della lingua, specie d’uso: privilegiando «la lingua d’uso dei ragazzi di strada, deimaliziosi alunni della scuola comunale da lui frequentata o dell’ingegnoso commesso di bottega; enon rinuncia ad avvalersi del gergo di caserma, dei pesanti motti dei bassifondi o della ‘mala’,nonché delle chiacchierate con l’amico pittore Gen Paul che abitualmente s’esprime in uncompiaciuto argot coprolalico» (Ivi).Queste due opere, sebbene diversamente collocate, vedono egualmente coinvolto Stefano Lanuzza(anche storico della letteratura), perché di Céline della Libertà è l’autore diretto e unico (al“maledetto” Céline, Lanuzza ha già dedicato altri due studi, sempre pubblicati con StampaAlternativa: Maledetto Céline. Un manuale del caos e la traduzione del libello di H.-E.KaminskiCéline in camicia bruna. Un voyage immaginario). Mentre della traduzione tedesca diHorcynus Orca è stato consulente linguistico. Conoscitore e specialista della lingua di D’Arrigo, haaffiancato l’opera di traduzione di Moshe Kahn per salvaguardare al meglio il pensiero e la linguadarrighiana. È, poi, appena il caso di ricordare che il Lanuzza, oltre a frequentarne la scritturaletteraria, ha conosciuto personalmente Stefano D’Arrigo che gli ha rilasciato una rara intervista,inserita poi nel volume Scill’e Cariddi. Luoghi di Horcynus Orca (Catania-Acireale, Lunarionuovo,1985).

L’importanza dell’intervista, di cui si riporta qualche frammento, è data anche dal fatto cheD’Arrigo vi rilascia una precisa dichiarazione di poetica: «Ho costantemente cercato di farecoincidere i fatti narrati con l’espressione, la scrittura con l’occhio e con l’orecchio, rifiutandoqualunque modulo che mi apparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assoluto. Nonho rinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partito dall’obiettiva sicurezzache i luoghi della mia narrazione – luoghi topografici ma soprattutto luoghi del testo – restino unfondamentale punto d’incontro e filtraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni volta che hoadoperato neologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornire immediatamente ilcorrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare il periodo e ‘mirare’ il vocabolo finchénon giudicavo d’avere raggiunto l’espressione completa: fino al momento in cui guadagnavo lacertezza che il risultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale, sintattica esemantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura ‘parlasse’».Se Stefano Lanuzza scandaglia particolarmente autori come D’Arrigo e Céline, che si richiamano –si può dire con una formula di Wittgenstein – per “somiglianze di famiglia” e in quanto presi da‘passione della parole’, ciò è anche dovuto al fatto che i due autori in questione, per il nostro criticocome per Gianfranco Contini, hanno una consonanza tematica e gergodialettale che li accomunacome produttori di lingua letteraria di rottura e innovativa. In tale contesto – scrive Lanuzza –pertinente è «il rapporto stabilito da Contini fra un Céline che si ritiene soprattutto poeta e lestilizzazioni gergodialettali dell’Horcynus Orca, poematico romanzo di D’Arrigo […]. Romanzodell’umano fato è, altresì, Morte a credito: che si intona con lo stesso tema sviluppatograndiosamente nel citato Horcynus Orca (Céline e D’Arrigo sono soldati combattenti in due guerremondiali: nella prima Céline, nella seconda D’Arrigo) e inizia con la scena della misera fine dellavecchia Bérenge, portinaia […]» (S. Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 44). Quanto al richiamo su Céline e D’Arrigo «soldati combattenti in due guerre mondiali», in talecontesto, Lanuzza ritiene pertinente e anche necessario individuare ancora la componente storico-temporale che muove la narrativa dei due scrittori. E con ciò, specie nel caso di Cèline, Lanuzzatocca gli aspetti problematici e controversi del deplorato antisemitismo céliniano fermandol’attenzione sulla temperie culturale, linguistica e ideologica dell’epoca. Tutto questo è in Célinedella libertà evidente e sottolineato, soprattutto nel capitolo dei “‘Balletti’ antisemiti’ riguardanteBagatelle per un massacro, La scuola dei cadaveri, I bei pasticci.

8.4.2015

Recensioni Autore: Stefano Lanuzza / Stampa Alternativa / pp. 160/ € 14,00

Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto”

Recensione di Stefano Scrima

C’è uno scrittore che tutt’oggi, all’esser nominato, scatena storcimenti di naso: sì, genialeinnovatore, amabile dissacratore, ma l’uomo… l’uomo non fu esattamente uno stinco di santo.Fondamentalmente perché disse le cose sbagliate al momento sbagliato, e sottolineo, al momentosbagliato. Si tratta di Céline, autore di uno dei più importanti romanzi del Novecento, Viaggio infondo alla notte (“in fondo” e non “al termine”, come tiene a sottolineare Stefano Lanuzza),ricordato anche per le invettive antisemite promulgate attraverso alcuni celebri libelli e articoli. Ilmomento era evidentemente quello peggiore per parlare di queste tematiche, ovvero il preludio allaShoah. Le cose dette erano probabilmente poco fondate, ma pur sempre opinioni senza proiettili esenza alcuna volontà di essere strumentalizzate da perpetratori di genocidi. Oggi, all’indomanidell’attentato a Charlie Hebdo, l’Occidente si ritrova d’accordo sul diritto alla libertà d’espressioneed è probabilmente arrivato il momento di riprendere in mano il caso Céline per contestualizzarnevita e pensiero, ridimensionando così il presunto reato per cui la Resistenza francese lo condannòalla pena capitale – alla quale scampò – nel 1943. Questo l’intento di un fine conoscitore delloscrittore francese, Stefano Lanuzza, il quale ci propone un efficace Céline della libertà. Vita,linguae stile di un “maledetto”, sorta di manuale su vita e pensiero di Céline, «Inafferrabile,disincantato Céline, l’uomo più solo e più libero» (p.156), un autentico enigma, nonostante ilmarcato autobiografismo delle opere.

La prima parte del libro è dedicata al Voyageaubout de la nuit (1932) e a Mort à crédit (1936),narrazioni pessimistiche della beffarda sorte umana, tenuta in scacco dalla morte creditrice einfestata da insensate vicende belliche che non fanno che svelare il volto carognoso dell’uomo. Lostile è tutto nuovo, col suo argot, il gergo popolare elevato a opera d’arte, Céline cambierà persempre le sorti della letteratura.

Si continua entrando nel vivo della polemica suscitata dall’uomo Céline con gli scritti antisemitiBagatelles pour un massacre (1937), L’Écoledescadavres (1938) e LesBeauxDraps (1941) a cuisegue una sezione intitolata Un antisemita de plume. Notizie, digressioni, divagazioni,comparazioni in cui vengono messi in campo tutti gli elementi che ci consentono di ricostruire ilquadro in cui si sviluppò il pensiero “maledetto” di Céline.

Anzitutto, esordisce Lanuzza, «ha poco senso che, mentre ha libera circolazione un libropromulgatore del ‘male assoluto’ qual è il MeinKampf (1925) di Hitler, non debbano circolareliberamente, quanto meno a titolo conoscitivo e di studio, opere di Céline sparite dalle librerie,irreperibili nelle biblioteche e la cui ristampa è, di fatto, ancora interdetta. Poterle leggere senzaimpedimenti o censure servirebbe invece a riscontrare l’inconsistenza del pregiudizio razzista esoprattutto a chiarire come il giudeo vituperato da Céline non sia che un’astrazione dell’avidodetentore d’ogni ricchezza e potere» (p.53). E così Lanuzza ci mostra il Céline radicalmenteantimilitarista, lontano anni luce da qualunque destra, per niente razzista, ossessionato da ciechefobie personali che giungono a una definitiva e grossolana identificazione dell’Ebreo col Potere, equindi dell’Ebreo capitalista con il dominio economico mondiale e la volontà di una nuova guerrache lo sancisca definitivamente. Personali sì, perché nel 1937 i dirigenti ebrei dell’EsposizioneUniversale negano la rappresentazione di alcune sue opere, Elizabeth lo lascia per un ebreo e poi, da

medico, verrà anche licenziato dal dispensario di Clichy per essere sostituito da un medico israelita.I suoi attacchi sono così duri da mettere in imbarazzo qualsiasi antisemita che ritenga fondate le sueconvinzioni. Sono ingiustificabili e livorose, ma pur sempre da inserire in un «compiacente contestoanticapitalista e antigiudaico» (p.82) molto forte in quel periodo storico, e soprattutto in alcun modoinneggianti allo sterminio. Il “massacro” di cui parla è quello che potrebbero subire i francesinell’eventualità della guerra scongiurata. E poi, pacifista e nauseato dalla guerra com’è, lui che laguerra l’ha fatta, non avrebbe mai potuto spingere in quella direzione. Tutto ciò per giungere allaconclusione di un antisemitismo de plume di Céline, astratto, compensatore delle sue delusioni, diun uomo che elegge l’Ebreo/Potere a bersaglio comodo per sedare la sua disperazione esistenziale eper affermare un ideale di comunismo puro, poetico, lungi dal comunismo reale visto e denigratocoi suoi stessi occhi, per una società realmente egualitaria. Segue la fuga di Céline verso la Danimarca e il suo ritorno in patria raccontato attraverso latrasposizione letteraria della cosiddetta “Trilogia del nord” (D’un château l’autre, 1957, Nord,1960, Rigodon, 1969), e quindi le accuse, le calunnie (in particolare quella, gratuita, di Sartre che loaccusa di esser stato pagato dai nazisti – ma le opinioni di Céline erano completamente libere), lecondanne, l’emarginazione, le ristrettezze economiche, la vecchiaia, la morte nel 1961. Chiude illibro un’utile cronologia della vita di Céline intrecciata ai significativi eventi storici che fecero delNovecento il trionfo dell’assurdo.

Il ritmo dell’intera opera di Lanuzza intreccia, appunto, trama delle opere, vita e pensierodell’autore e contesto politico-sociale, servendosi di una prosa particolarmente elegante e curata, inquel tentativo di contestualizzazione per cui questo lavoro rappresenta una gradita novità nelpanorama della letteratura celiniana. Il consiglio che si può dare agli storcitori di naso di cui sopra èquello di leggere con attenzione quest’opera che restituisce la dignità a un anticonformista, libero daqualsiasi forma di etichetta sociale e letteraria, a cui molti sono e dovrebbero essere grati.

MazaraCult , aprile 2015

La passione della/per la parole di Stefano Lanuzza

di Antonino ContilianoDue particolari e recenti eventi editoriali richiamano il nome dello scrittore e critico StefanoLanuzza. Sono l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, tradotto in lingua tedesca da Moshe Kahn(S. Fischer Verlag, Frankfurt, 2015), e ora, dello stesso Lanuzza, Céline della libertà. Vita,lingua e stile di un “maledetto” (Stampa Alternativa, Roma-Viterbo, 2015). Si tratta di duepubblicazioni che hanno al centro, pur diversamente connotato, un linguaggio letterario‘eretico’ (per una letteratura non d’‘accatto’, ossia consumistica o di mercato): un linguaggiocome passione della parole, come scelta fortemente trasgressiva. Una parole con cui siidentifica uno stile o un’insolita stilistica, innovativa e abnorme, che rivoluziona la prassi dellascrittura artistica sia sul piano lessicale, sia su quello ritmico-sintattico ed espansivo. È,insomma, la parola della vita con il suo carico di ‘percetti’ e ‘affetti’ che attraversa il linguaggio– direbbe G. Deleuze – stagliandosi nell’opera e fondando uno stile assolutamente originale,imparagonabile e memorabile. La scrittura artistico-letteraria che ne consegue segna unasvolta e insieme, diversamente dalle correnti produzioni di consumo, uno sconvolgimento cheassale, devastandole, le abitudini di un pubblico fin troppo assuefatto alla tradizione normativa.Assumono allora rilievo, in D’Arrigo, i sostrati dialettali e l’etimologia rizomatica “dei gerghidella Sicilia nord-orientale costiera”. Per raccontare la storia di ‘NdrjaCambria (il protagonistadi Horcynus Orca), D’Arrigo si è creato un personale linguaggio attivando una catena lessicalerisalente fino alla corte di Federico II. Le maglie, se si segue il cammino a ritroso, «sono ilfrancese e il normanno, l’arabo, il greco bizantino, il latino, il greco antico, il siculo. Questomateriale linguistico si trasformò per quasi duemila anni, giungendo finalmente ai lessici delmezzogiorno italiano che conosciamo. […] molte parole sono uguali o simili e hanno unsignificato uguale o simile; altre invece suonano uguali o simili, ma hanno un significatocompletamente diverso dall’italiano. Per chiarire quest’ultimo gruppo, ecco qualche esempio:stilare significa in italiano “stendere, scrivere un documento” e deriva da stilo, un oggetto perscrivere; mentre, in siciliano, stilare ha invece una coloratura greca, deriva da stylos e assumeil significato di “avere l’abitudine”, come nell’espressione “stilava alzarsi presto”. Spiaresignifica in italiano “guardare, osservare attentamente e di nascosto” e deriva da una radicegotica e latina; in siciliano spiare assume invece il significato di “domandare, chiedere” […]»(cfr. Moshe Kahn, in www.retididedalus.it, 2015 gennaio).

Nell’altro caso, il codice letterario usato da Céline è l’argot[1] delle banlieues francesi. Con

Viaggio in fondo alla notte, Louis-Ferdinand Céline inaugura infatti – scrive Lanuzza – unanarrativa tutta particolare: registro gergale più soggettivo e protagonista; sintassiframmentata e spezzettamento della trama narrativa; varietà linguistiche; espressioni popolario figure argotiche della banlieue parigina; motsgrossiers e deformazioni lessicali; metamorfismiespressionistici e verbi sostantivati; pleonasmi o ridondanze grammaticali con aspre sonorità.Un linguaggio insomma che allontana i lettori dalle attitudini puriste del romanzo ufficiale.«Con il secondo romanzo [Morte a credito], il parlato argotico assume il definitivo dominio deldiscorso céliniano. Più che mai lo scrittore avverte il bisogno di una forma nuova e individualeper la sua narrativa: di un’azione di rottura linguistico-stilistica, ancora più decisa e radicaleche nel Voyage, contro l’imbalsamato monolinguismo della tradizione liceale ordinaria» (S.Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 37). Il suo linguaggio non trascura niente della lingua,specie d’uso: privilegiando «la lingua d’uso dei ragazzi di strada, dei maliziosi alunni dellascuola comunale da lui frequentata o dell’ingegnoso commesso di bottega; e non rinuncia adavvalersi del gergo di caserma, dei pesanti motti dei bassifondi o della ‘mala’, nonché dellechiacchierate con l’amico pittore Gen Paul che abitualmente s’esprime in un compiaciuto argotcoprolalico» (Ivi).Queste due opere, sebbene diversamente collocate, vedono egualmente coinvolto StefanoLanuzza (anche storico della letteratura), perché di Céline della Libertà è l’autore diretto eunico (al “maledetto” Céline, Lanuzza ha già dedicato altri due studi, sempre pubblicati conStampa Alternativa: Maledetto Céline. Un manuale del caos e la traduzione del libello di H.-E.KaminskiCéline in camicia bruna. Un voyage immaginario). Mentre della traduzione tedesca diHorcynus Orca è stato consulente linguistico. Conoscitore e specialista della lingua di D’Arrigo,ha affiancato l’opera di traduzione di Moshe Kahn per salvaguardare al meglio il pensiero e lalingua darrighiana. È, poi, appena il caso di ricordare che il Lanuzza, oltre a frequentarne lascrittura letteraria, ha conosciuto personalmente Stefano D’Arrigo che gli ha rilasciato una raraintervista, inserita poi nel volume Scill’e Cariddi. Luoghi di Horcynus Orca (Catania-Acireale,Lunarionuovo, 1985). L’importanza dell’intervista, di cui si riporta qualche frammento, è data anche dal fatto cheD’Arrigo vi rilascia una precisa dichiarazione di poetica: «Ho costantemente cercato di farecoincidere i fatti narrati con l’espressione, la scrittura con l’occhio e con l’orecchio, rifiutandoqualunque modulo che mi apparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assoluto.Non ho rinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partito dall’obiettivasicurezza che i luoghi della mia narrazione – luoghi topografici ma soprattutto luoghi del testo– restino un fondamentale punto d’incontro e filtraggio delle lingue del mondo. Naturalmente,ogni volta che ho adoperato neologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornireimmediatamente il corrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare il periodo e‘mirare’ il vocabolo finché non giudicavo d’avere raggiunto l’espressione completa: fino almomento in cui guadagnavo la certezza che il risultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo,che la totalità lessicale, sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, lascrittura ‘parlasse’».Se Stefano Lanuzza scandaglia particolarmente autori come D’Arrigo e Céline, che sirichiamano – si può dire con una formula di Wittgenstein – per “somiglianze di famiglia” e inquanto presi da ‘passione della parole’, ciò è anche dovuto al fatto che i due autori inquestione, per il nostro critico come per Gianfranco Contini, hanno una consonanza tematica egergodialettale che li accomuna come produttori di lingua letteraria di rottura e innovativa. Intale contesto – scrive Lanuzza – pertinente è «il rapporto stabilito da Contini fra un Céline chesi ritiene soprattutto poeta e le stilizzazioni gergodialettali dell’Horcynus Orca, poematicoromanzo di D’Arrigo […]. Romanzo dell’umano fato è, altresì, Morte a credito: che si intona conlo stesso tema sviluppato grandiosamente nel citato Horcynus Orca (Céline e D’Arrigo sonosoldati combattenti in due guerre mondiali: nella prima Céline, nella seconda D’Arrigo) e iniziacon la scena della misera fine della vecchia Bérenge, portinaia […]» (S. Lanuzza, Céline dellalibertà…, cit., p. 44). Quanto al richiamo su Céline e D’Arrigo «soldati combattenti in due guerre mondiali», in talecontesto, Lanuzza ritiene pertinente e anche necessario individuare ancora la componentestorico-temporale che muove la narrativa dei due scrittori. E con ciò, specie nel caso di Cèline,Lanuzza tocca gli aspetti problematici e controversi del deplorato antisemitismo célinianofermando l’attenzione sulla temperie culturale, linguistica e ideologica dell’epoca. Tutto questoè in Céline della libertà evidente e sottolineato, soprattutto nel capitolo dei “‘Balletti’ antisemiti’

riguardante Bagatelle per un massacro, La scuola dei cadaveri, I bei pasticci.

[1] «Ecco, per libere traduzioni o trasposizioni, solo alcune delle innumerevoli espressioniadoperate in funzione argotica: je m’en tartine, emmerdeurs, déconner, métèque, le feuaucul,merde à Dieu, branleur, branlerais, croupion, il s’en fout, paumé, peau de vache, rendre plusvache, eczémateux, connard, hurluberlu, mouscaille, rombière, lespetitsboulots, petit nougat,daronne, bouillonner, bourrique, marle, garce, pépère, rouquine, gonzesse, zizi, étre de lafesse, croûter, cafouiller, dégueulasse, la bignolle, merdoyant, enculé, connasse, saloperie,trembloteur, ivrogne, mandrìn... » (S. Lanuzza, Céline Della Libertà…, cit., p. 37).

Maggio 2015 - Una lettera

Mio caro Stefano,non pochi sussulti mi scuotevano il cuore mentre leggevo il tuo libro su Céline, specialmente quando alcunesue frasi mi ricordavano cose ed emozioni di tanto in tanto avvertite nel passato, e, adesso che invecchio, fintroppo presenti nei miei giorni annoiati e ormai così colmi di disincanto e caratterizzati da un giudizio piùschietto sui miei casi personali. Per esempio, come Céline, mi sono sentita sempre più nel corso deltempo una figlia difettiva, sempre "redarguita dai genitori...opprimenti" […]. Come Céline penso, ora che hoperduto tanti amici e troppi profondi affetti, che è davvero "terribile come la gente la si perda lunga la via,compagni che sono scomparsi come tanti sogni, che tutto è finito, svanito, che anche noi ci perderemocosì". Come lui provo sempre più disgusto per il fango del mondo che ormai si può mangiare a cucchiaiateabbondanti per pranzo e cena. Per quanto riguarda il gesto della scrittura penso come lui che prima della Parola ci sia l'emozione, che siaquest'ultima l'origine d'ogni fare artistico.Il tuo saggio su Céline completa il discorso che da tempo fai su questa extra-ordinaria figura di scrittore. Locompleta, infatti, con una fittissima documentazione storica e critica che contestualizza gli atteggiamentitrasgressivi e spesso contraddittori dello scrittore francese, e che gli hanno causato tante scomunicheletterarie e sociali. E' particolarmente appassionata la tua difesa pro-Céline, quando lo difendi dall'accusa diantisemitismo, e cerchi di scagionarlo adottando la tesi dell'identificazione Ebreo-Capitalismo; ma poi, nellabiografia, si è indotti a riflettere sulla quantità di tristi episodi capitati al povero Céline per colpa di alcuniebrei. E a concludere che, se egli non è affatto incline al razzismo, tuttavia emotivamente ce l'ha con chi - aqualunque razza appartenga - s'arricchisca ai danni dei ceti più poveri.Il suo comunismo, come dici bene tu perché lo proclamava lui, è una purissima utopia, qualcosa d'innato,un'inclinazione al senso della giustizia sociale, al bene.Sembra forse strano che il livore di Céline nasca dall'amore e dal desiderio della pace e dell'uguaglianza;eppure è proprio così: vedere traditi i propri ideali (come quando si recò nei paesi comunisti e vide quello chenon avrebbe voluto e pensato di vedere) lo tormenta, lo indigna, gli smuove le budella, gli fa buttare fuoritutta la bile. Céline è un sognatore che si astiene dal parlare dei suoi sogni e piuttosto esterna delusionidolori, sconfitte, lasciandosi andare ad "un'adrenalinica profusione di oscenità, insolenze, offese,imprecazioni e bestemmie". Ho sottolineato sulle pagine del tuo libro tutti gli aggettivi con i quali definisci la scrittura di Céline: è unelenco lunghissimo dal quale viene fuori la tua ammirazione per lo stile unico dello scrittore, per il suo"rabelaisiano edonismo argotico", bellissima e acuta definizione che raccoglie in un solo sintagma tutte lesue caratteristiche.Ho l'impressione che sia questa tua fortissima ammirazione a spingerti a ragionare dei "vizi" veri o presunti diCéline stendendo su di essi una benevolenza "a priori". Tutto sommato, quello che tu pensi, quello chepensiamo in molti, è che un 'opera d'arte vada giudicata come tale. L'Etica non può inficiare un giudizioestetico. Mi sembra di potere fare mio il giudizio del cattolico Georges Barnanos che scrive: "Per noi laquestione non è di sapere se la pittura del Signor Céline sia atroce; noi chiediamo che sia vera. Essa lo è".In questa verità sta, come affermi tu, la cura per "l'esattezza e l'autenticità, che (...) riscatta e libera dallescorie dell'esistenza: dalle delusioni, dalle ingiustizie subite, dall'angustia, dall'afflizione".Poi, certo, se ci chiede se la scrittura abbia delle responsabilità morali; non si può non rispondereaffermativamente, perché la Parola incide, muta il corso delle cose, presagisce, incita al fare, diffonde buoneo cattive idee. E qui torniamo, a proposito di Céline, a muovere un passo indietro, e a fare i conti con i suoisogni, con la sua biografia, con il clima del suo tempo e con l'esperienza atroce della guerra. D'altra parte la

difesa migliore è quella pronunciata dall'imputato Céline in molte interviste da lui rilasciate, in molte lettereinviate agli amici, che tu non manchi di portare come prove a suo favore.Fai parlare come testimoni gli amici che lo conoscevano bene e soprattutto la fedelissima Lucette.Il lettore di questo tuo minuzioso saggio, che ti è certamente costato un enorme lavoro di ricerca didocumenti e testi tra i più svariati, può utilizzarlo per ricavarne una cronologia accurata degli eventi dellabiografia di Céline, come di quelli della Storia e dei movimenti culturali più importanti in Francia ma anchealtrove. Il saggio può anche essere letto come una storia della critica sull'opera dello scrittore francese.Non credo, dunque, che sia possibile dirne di più e con tanta acuratezza e fedeltà di quanto abbia fatto tu.Ma sono convinta che l'elemento più importante di questo saggio sia la profondità dei giudizi critici che tu vaipronunciando sulle opere di Céline, comprese quelle postume. E anche l'amore indiscusso che "senti" inqualità di lettore nei suoi confronti, non disgiunto da una tua propensione verso gli scrittori alternativi, i piùliberi, i più appassionati, i più grandi, se per grandezza intendiamo unicità ed inimitabilità. Quelli spessolasciati nell'ombra, perché scomodi, perché troppo sinceri e vivi, perché non si sono mai piegati a niente enessuno: le loro anime parlano una lingua diversa, forse accecante, una lingua che uccide più della spada,per ricordare una definizione evangelica; che è poi la lingua dell'individualità, l'impronta perenne di unpassaggio eccezionale sulla scena del mondo. E, infatti, tu stai dalla parte dello stile così prorompente enuovo, dalla parte di un impasto così unico che fu ed è un problema per chi lo traduce.Credo che, con questo saggio, tu abbia completato la tua lunghissima opera di scandagliamento di una vita,di un'anima, di una scrittura grandissime. E posso solo immaginare la felicità che te ne è venuta, come di chifinalmente sia riuscito a consegnare di nuovo alla libertà ed all'innocenza un amico a lungo imprigionato eavvilito dalle cattive opinioni degli altri.E questo tuo modo di operare con libertà e passione è per me motivo di affetto nei tuoi confronti e di fortestima.Non ho scritto una vera e propria recensione, perché, tempo fa, anch'io pronunciai una forte difesa di Célinenel mio intervento intitolato "Non si può odiare Céline", che non ricordo più se sia stato pubblicato e che tucomunque possiedi. Mi sarei ripetuta, Stefano.Per finire, ti consegno il mio grazie per avermi concesso di immergermi per qualche pomeriggio in unadoppia fiamma luminosa: quella della scrittura di Céline e quella della tua scrittura(Franca Alaimo,poetessa, critico letterario)

Maggio 2015 - Célinedellalibertà, il saggio dello studioso siciliano Stefano Lanuzza, pubblicato da Stampa Alternativa con il sottotitolo “Vita, lingua e stile di un ‘maledetto’”, si propone innanzitutto di mettere in primo piano il fulgido talento dell’autore di “Voyageaubout de la nuit” e “Mort à crédit”, e di analizzare la qualità della sua opera più che la natura delle sue contraddizioni politico-culturali. Viene tra l’altro sottolineato lo slancio di una scrittura monocentricarivelante un’oralità parafuturista trasposta sulla pagina; e l’impasto in divenire di una esistenza che attraversa l’utopia comunista, l’antisemitismo, l’anarchia, la professione di medico dei

poveri, l’antimilitarismo(MarcoPalladini, direttore di “Le reti di Dedalus”, maggio 2015).

18.5.2015 - Bel libro su Céline "anche aforista". È un lavoro pieno di vita, di grande coinvolgimento (Gino Ruozzi, studioso dell’Aforisma, collaboratore del “Sole/24 Ore”).


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