+ All Categories
Home > Documents > Che - Togliatti

Che - Togliatti

Date post: 29-Oct-2015
Category:
Upload: mangiacarrube
View: 60 times
Download: 2 times
Share this document with a friend
20

Click here to load reader

Transcript
Page 1: Che - Togliatti

DOMENICA 29 APRILE 2007

ILL

US

TR

ZIO

NE

RO

MA

N C

IES

LE

WIC

Z

OMERO CIAI

«Aleiducha! Dall’ultima tappa ufficiale, ti mando unfedele abbraccio maritale. Pensavo di esserti fe-dele anche con il pensiero prima di vedere le ra-gazze more di qui. Impossibile resistergli… un ba-cio. Che». Allegro, beffardo e anche innamorato,Ernesto Guevara scrisse questo bigliettino, finora

inedito, alla moglie Aleida March dal Marocco nel corso del suo primoviaggio dopo la vittoria della rivoluzione cubana. Siamo nell’estate del1959. Guevara ha sposato Aleida il 2 giugno. Dieci giorni dopo parte etornerà a L’Avana solo alla fine di settembre. Tre mesi e mezzo da am-basciatore della nuova Cuba senza luna di miele. Quando ha saputo delviaggio, la povera Aleida, che ha appena perso un figlio per un abortospontaneo, ha lottato per partire con lui ma il Comandante è stato irre-movibile. «Sarebbe questo tuo — disse alla novella sposa — un privile-gio inaccettabile. Cosa penserebbero di me gli altri membri della dele-gazione che non possono portare con sé le mogli?». Perfino Fidel Ca-stro intervenne ben due volte presso il Che in favore di Aleida. Ma nonci fu nulla da fare. Era il primo dei numerosi abbandoni che soffrirà Alei-da nei sette anni (1959-66) in cui dividerà la sua vita con quella del Che,gli regalerà quattro figli (Aleidita, ‘60; Camilo, ‘62; Celia, ‘63; e Ernesto,‘65), e diverrà per sempre la “vedova ufficiale” che ne difenderà la me-moria e occulterà ciò che di quel ricordo al regime non serve.

(segue nelle pagine successive)con un articolo di CARLOS FRANQUI

il fatto

Eliseo, la casa del presidente-reANAIS GINORI e BERNARDO VALLI

cultura

Le Corbusier e l’utopia di cementoENRICO REGAZZONI e AMBRA SOMASCHINI

la lettura

Giallo su giallo, un killer al TourGIANNI MURA

le tendenze

Le piante e i fiori del grande caldoPAOLO PEJRONE e ROSSELLA SLEITER

l’immagine

Lo stilista-sultano che creò la modaNATALIA ASPESI

la memoria

Attentato a Togliatti, le carte segreteALDO AGOSTI e ALBERTO CUSTODERO

ALEIDA MARCH

Succede a volte che le parole siano mute, che smarriscanoil loro significato. Che non si sappia o non si possa spiega-re l’esatta portata degli avvenimenti che stiamo vivendo.Fu questa la sensazione che provai nel momento del di-stacco (la partenza del Che per il Congo, ndr), il primo ditanti che avrei vissuto, sempre, come definitivi. Ogni vol-

ta ignoravo che ne sarebbero seguiti altri simili e che avrebbero sem-pre risvegliato in me quell’istinto di protezione nei suoi confronti cheandava al di là di ogni razionalità. Nonostante sapessi fin troppo be-ne che tutto era già scritto. Per questo mi costava tanto farmene unaragione. Per questo mi era così difficile accettarlo. Ora, cercando dirievocare quei fatti — fatti che m’ero ripromessa di non raccontare —provo le stesse emozioni e gli stessi timori di allora, quando con tuttele mie forze mi aggrappavo a qualcosa che non sarebbe mai più statouguale a prima. [...] Dal tono delle sue lettere, che conservo come ilmio tesoro più caro, capivo che non ero soltanto io a essere segnatada quella prova. Anche per lui la separazione era dura da sopportare,insostenibile, tanto più che io potevo contare almeno sulla compa-gnia e il conforto dei figli, immagine concreta del nostro amore.

Le lettere. A distanza di anni, rileggendo per l’ennesima volta lelettere che mi scrisse dalle regioni più sperdute del Congo, possomisurare l’enormità del suo sacrificio, del suo scegliere di viveresenza di noi.

(segue nelle pagine successive)

DomenicaLa

di Repubblica

Guevara, la guerriglia e i figli,le poesie e le lettere d’amoreA quarant’anni dalla morte

Aleida March lo racconta in un libro

delLa vedova

CHE

Repubblica Nazionale

Page 2: Che - Togliatti

re il francese […] Quando ci siamosposati sapevi chi ero. Amami, macapiscimi: il mio destino è segnato,niente mi fermerà fino alla morte».

L’ultimo incontro con Aleida all’e-stero non è tra due amanti ma tra unguerrigliero in cerca d’autore e unafunzionaria del regime, quasi unagente dei servizi. Lo scenario è Praga.Fidel Castro invia Aleida per convince-re Guevara a tornare a Cuba. Guevara sirifiuta. Vuole andarsene per la sua stra-da, vuole preparare una guerriglia nellasua Argentina. In fretta i cubani gli orga-nizzano la spedizione in Bolivia: l’unicopaese dove c’è un partito comunista cheaccetta (in realtà fingono) l’idea della lot-ta armata. Lui ci casca e loro sbagliano lazona più propizia per la guerriglia e si di-menticano di attivare una rete di collega-mento. Ancora per un po’ Fidel Castro fa ildoppio gioco: sostiene Guevara ma rassi-cura i sovietici che non lo vogliono né nelgruppo dirigente cubano né in giro per l’A-merica Latina a combinare guai che posso-no incrinare la divisione del mondo dellaGuerra fredda. Poi l’abbandona.

Nelle memorie, a volte dolci, spessostruggenti di Aleida, gli ultimi due anni delChe praticamente non ci sono. Da vedovaufficiale, l’unica signora Guevara nella no-menclatura, difende la versione ortodossa.Le ultime volte che s’incontrano litigano,racconterà la scorta. Per Tania, che lui in-contra “troppo spesso”, e perché Guevara,durante un breve soggiorno a Cuba, haavuto un’altra donna e un altro figlio. Maneanche questo Aleida ammette oggi: il mi-to del guerrigliero eroico non va sporcato.Lo stesso avverrà per i diari, per i “quadernidi Praga”, per gli appunti, per quelle ottocasse sigillate di documenti originali delgrafomane Guevara che Castro conse-gnerà a Carlos Franqui e questo porterà adAleida. Ossessionata dal “cubanizzare” ilChe per ordine di Fidel («l’unico uomo difronte al quale perdevo la facoltà di parola»)nasconderà tutto per trent’anni vigilandosulla memoria del marito nella forma pre-scelta dal regime.

Marito che aveva trascorso gli ultimi seimesi della sua vita senza un contatto né conlei né con i cubani, mentre il suo piccoloesercito boliviano veniva decimato e ac-cerchiato. Così, se in Congo l’avevano sal-vato scambiando la sua vita e quella deglialtri cubani con il via libera agli anticastristiche volevano emigrare negli Stati Uniti, inBolivia L’Avana gira la testa dall’altra partee attende che il destino si compia. L’8 otto-bre 1967 Barrientos decide che deve mori-re, la mattina del 9 l’incosciente Mario Te-ran lo fucila. Il Che muore ed è per il bene ditutti: russi, cubani e americani.

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

la copertinaTestimonianze

La donna che sposò Guevara nel 1959 e gli restò a fianco fino al 1967,annodella morte, ha scritto un libro intitolato “Evocación”, dove agli struggenti ricordiprivati fanno da contrappunto i silenzi sulla rottura politicacon Castro e sulla disperataavventura bolivianaNe anticipiamo alcuni brani

(segue dalla copertina)

Guevara e Aleida March si co-nobbero sulla sierra dell’E-scambray verso la metà del1958. Lui era già uno dei co-mandanti che guidava unacolonna della guerriglia

mentre lei, «una maestrina bionda e roton-detta», era fuggita in montagna dopo averpreso parte ad alcuni scioperi e azioni di boi-cottaggio che l’avevano segnalata come«sovversiva» alla polizia del dittatore Batista.Galeotti furono un foulard di seta nero cheAleida regalò al Che affinché reggesse unbraccio che s’era fratturato cadendo dal tet-to di una caserma e una parola, “Caterpil-lar”, che lei non sapeva scrivere. Fu un colpodi fulmine ma fra il primo incontro e il primobacio ci furono la lunga marcia su Santa Cla-ra, la battaglia decisiva e l’ingresso all’Avana:i mesi cruciali della rivoluzione. E soltantodopo l’ultimo atto, la resa della Cabaña, l’e-strema fortezza dei batistiani nella capitale,il Che e Aleida cominceranno a vivere comedue fidanzati. Ma, fatta la rivoluzione, Gue-vara aveva un grosso problema personale:chiudere il legame con Hilda Gadea, la pe-ruviana che aveva conosciuto in Guatema-la e sposato in Messico, e dalla quale avevaavuto una figlia, Hildita, prima di unirsi, nel1956, alla spedizione di Fidel Castro a Cuba.

Hilda raggiunse l’Avana vittoriosa l’ulti-ma settimana di gennaio del ‘59. ScriveAleida: «Alberto Castellanos (un attenden-te di Guevara) andò a prenderla all’aero-porto. I genitori del Che la stavano aspet-tando. Al ritorno, nessuno ci presentò. E co-sì, quando me la trovai davanti la squadraida capo a piedi. Fu allora che tutte le miepreoccupazioni si sciolsero come neve alsole. In un baleno mi convinsi che la perso-na che mi stava davanti non poteva assolu-tamente essere la mia rivale: dovevo soloaspettare che il Che decidesse». Come con-traddirla: sul volto di Hilda c’erano stam-pati i tratti rudi e rocciosi degli indios peru-viani, era piccolina e poco affascinante,mentre lei, Aleida, era una bianca, europea,femminile e sensuale. Sul piano dell’avve-nenza fisica non c’era partita.

Sarà per questo e per la sua leggendariagelosia che Aleida starà tremendamenteantipatica a tutti i biografi di Guevara. Lamaggioranza le dedica appena qualche pa-ragrafo. Ha scritto Jorge Castañeda: «Erne-sto s’innamorò di lei; l’intensità del suo af-fetto durò anni. Ma misteriosa risulta la di-stanza che abbastanza presto si interposefra loro due. Qualcuno l’attribuisce alla ri-voluzione; altri alla tendenza di Aleida adessere quel genere di donna il cui aspetto fi-

sico si rovina rapidamente; altri ancora aduna possessività femminile che sopravvi-verà alla morte del marito e si estenderà aisuoi figli, ai suoi archivi, alla sua memoria».Anni più tardi, Pepe Aguilar, un amico d’in-fanzia del Che che aveva conservato con luiun legame molto intimo fino alla fine, co-glierà bene il mistero di Aleida: «Era moltodifficile averci a che fare e, per di più, era ter-ribilmente gelosa di tutti coloro che eranostati vicini al Che prima di lei».

Nonostante la sua nota bellezza, parti-colare che lo ha reso, molto al di là della suavita, il mito più sfruttato e durevole del No-vecento, Ernesto Guevara non fu mai undonnaiolo. I suoi amori si possono contaresulle dita di una mano. L’aristocratica“Chichita” nell’adolescenza argentina,Hilda, Aleida e, forse, Tania Bunke, la guer-rigliera d’origine tedesca che lo affiancheràin Bolivia. Ma la sua relazione con le donnefu sempre quella di colui che seduce e ab-bandona perché ha un compito più alto,trascendente l’amore, da compiere. E nep-pure Aleida sfugge al destino.

Dopo il matrimonio vennero gli anni del-l’impegno e della lotta politica. Guevara sibatte per l’industrializzazione di Cuba, di-venta ministro dell’Industria e poi presi-dente della Banca centrale (i famosi pesosfirmati semplicemente “Che”), riceve la cit-tadinanza onoraria. Nel giro di trenta mesiperde la sua sfida. Mentre Fidel Castro ab-braccia l’Orso sovietico e vende Cuba comezuccherificio del Patto di Varsavia, Guevarascrive che l’Urss è un paese capitalista e im-perialista come l’America di Lindon John-son e della Cia. Così lascia ogni incarico etorna alla guerra, alla guerriglia. Va prima inCongo, poi in Tanzania. Dal Congo scrive adAleida: «Non mi ricattare. Non puoi rag-giungermi né adesso né fra tre mesi. Fra unanno forse sarà diverso e allora vedremo. Lacosa va soppesata nei minimi dettagli. Sevieni, l’importante è che tu non sia “la si-gnora” ma la combattente, e per questo de-vi prepararti per bene, almeno devi studia-

OMERO CIAI

“Quando ci siamosposati sapevi chi eroAmami ma capiscimi:il mio destinoè segnato,niente mi fermeràfino alla morte”

“Mio marito il Che”la verità di Aleida

CAMUFFATOA sinistra, Aleida

e il Che,

camuffato

da Ramon,

in Tanzania

nel 1966

A destra, insieme

a Remedios

Sopra, in auto

il 2 giugno 1959,

giorno delle nozze

ALEIDITA, LA PRIMA FIGLIANella foto grande a centro pagina, Ernesto “Che”

Guevara e Aleida March all’ingresso della città

di Santa Clara all’inizio della primavera 1959

Qui sopra, nell’intimità della loro casa con la figlia

primogenita Aleidita nel 1961

FO

TO

© G

EN

KO

FIL

MS

GM

BH

BA

LT

AB

ICK

TV

FIL

M R

IGH

TS

LL

C

Repubblica Nazionale

Page 3: Che - Togliatti

(segue dalla copertina)

Ma soprattutto la gigante-sca portata del suo con-sacrarsi anima e corpoalla lotta per conquista-re un mondo più giusto.Come emerge con im-

pareggiabile chiarezza dalle parole e dal to-no del suo primo messaggio: «Mia unica almondo: (L’ho preso in prestito dal vecchioHickmet) Che miracolo hai fatto con que-sta povera, vecchia carcassa che non cercaabbracci reali ma si strugge pensando aituoi baci, sognando le concavità in cui l’ac-coglievi, il tuo odore, le tue carezze rudi,contadine? Questa è un’altra Sierra Mae-stra, ma senza il piacere d’averla concepitané — fino a oggi almeno — di sentirla mia.Tutto scorre al rallentatore come se la guer-ra fosse cosa di dopodomani. Per adesso, latua paura che mi facciano fuori è altrettan-to infondata delle gelosie di un tempo. Lemie giornate le passo tra le lezioni di fran-cese — cui dedico alcune ore — di swahili edi medicina. Fra qualche giorno comin-cerò un lavoro più serio, di addestramento.Una specie di Minas del Frío, per intender-ci, quella della guerra, non quella che ab-biamo visitato insieme. Dai un bacio spe-ciale a ogni bambino (Hildita compresa).Fatti fare una foto con tutti loro e manda-mela. Non grande, e poi un’altra piccoli-na. Studia il francese, non da infermierae voglimi bene. Un lungo bacio, di quel-li da reincontro. Ti ama, Tatu»

La morte della madre. Durante lasua permanenza in Congo, seppe del-la morte della madre. Affidò la sua an-goscia a una lettera nella quale si au-gurava che «non avesse troppo soffer-to e che non avesse avuto tempo perpensare a me». Fu in memoria dellamadre che scrisse uno dei suoi rac-conti più commoventi, La piedra.Evocandola, scrisse della sua neces-sità fisica che «appaia mia madre;che io appoggi la testa sul suo grem-bo magro e lei mi dica “il mio vec-chio”, con una tenerezza rude epiena. Che possa sentire fra i ca-pelli la sua mano ossuta accarez-zarmi a scatti, come un pupazzocaricato a molla, come se la tene-rezza traboccasse dagli occhi edalla voce [...]. Non è necessariochiederle perdono; lei ha già ca-pito; e tu lo sai per certo quan-do la senti mormorare “il miovecchio”...». Questo era l’uo-mo che, al di sotto della scorzad’apparente durezza, io co-

Nel1964, durante il suo secondo viaggio a Mosca, FidelCastro si accordò con Nikita Krusciov per trasforma-re Cuba nello zuccherificio socialista. Il potere eco-

nomico esercitato da Guevara fin dalla fine del 1959, com-preso il suo potente ministero dell’Industria, svaniva. La suarisposta Guevara la diede al seminario di Algeri, nel febbraiodel1965, quando dichiarò: «I paesi socialisti sono, in una cer-ta misura, complici dello sfruttamento imperialista». Fu larottura con Castro e con i sovietici. In quei mesi, di passaggioa Parigi, Guevara mi aveva detto: «Franqui, con Fidel né ma-trimonio né divorzio».

Al suo arrivo all’Avana, nell’aprile di quello stesso anno,scoppiò il conflitto fra lui e Fidel, e la soluzione fu spedirlo afare la rivoluzione in Africa. Di cubani a dargli manforte glie-ne inviarono pochi e, alla fine del 1965, sconfitto e a un passodalla morte, prima di fuggire, il Che scrisse: «Mai come oggiho avvertito fino a che punto era solitario il mio cammino».Dopo la lettura della sua lettera di commiato al congresso delPartito comunista, che Guevara aveva dato ordine di leggeresolo dopo la sua morte, il Che si rifugiò a Praga, rifiutandosidi tornare a Cuba, fino a quando non lo andò a cercare il co-mandante Valdés per convincerlo all’avventura boliviana.

Qualche mese dopo, con una manciata di uomini, Gue-vara diede il via alla sua tragica esperienza boliviana. Alla fi-ne di maggio del 1957, scrisse nel suo diario: «Con l’Avananon c’è comunicazione». L’assenza di comunicazione per-durò fino alla sua morte, nell’ottobre del 1967. In quell’epo-ca lavoravo all’Ufficio affari storici, situato a un isolato di di-

stanza dalla casa di Celia Sánchez e Fidel Castro. Da lì pas-savano tutti, e il commento era che il comandante Piñero,capo delle operazioni di intelligence, Bolivia inclusa, dicevache stavano preparando un piano per salvare il Che, in duefasi. La prima era l’invio di contingenti di guerriglieri cheavrebbero aperto diversi fronti per alleggerire la situazionedel Che; la seconda era un’azione di rastrellamento per tro-vare il Che e portarlo in salvo. Passarono mesi senza che suc-cedesse niente. Fidel Castro diede la notizia della morte diGuevara basandosi sulle tracce di una cicatrice e con la fo-tocopia delle pagine del diario del Che, consegnato dalla Ciaa un’agenzia di stampa. Dato che conoscevo, dai tempi diRadio Rebelde, sulla Sierra Maestra, la calligrafia e lo stile deibollettini del Che, Fidel mi mandò a cercare perché dessi ilmio parere, che fu affermativo.

Guevara morì in Bolivia solo e abbandonato. La sua deci-sione di lasciare il potere e di andare a morire lottando con-tro il nemico, quella foto di lui morto che sembra il Cristo delMantegna e la carenza di miti lo trasformarono, al di là deisuoi errori e dei suoi fallimenti, nel mito della rivoluzione. An-ni dopo che il Che si era trasformato in un mito universale, Fi-del Castro ordinò di recuperare i suoi “resti” e di trasformar-lo nell’icona del suo apartheid turistico. I morti non possonoparlare, ma la Cuba di oggi, alleata con i peggiori capitalisti,che nega ai cubani le spiagge, gli alberghi, i ristoranti e le cli-niche del dollaro, è la negazione della vita e del pensiero di Er-nesto Che Guevara.

Traduzione di Fabio Galimberti

CARLOS FRANQUI

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 29 APRILE 2007

noscevo nelle più intime fibre. [...]La partenza per la Bolivia. L’addestra-

mento stava per finire. Questa volta vivevoin modo meno apprensivo la sua partenza,forse perché avevo avuto la possibilità dipartecipare ai preparativi, o magari perchépensavo che avremmo potuto rivedercipresto: speravo che la separazione non du-rasse più di cinque anni. Anche se non riu-scivo mai a prevedere quanto tempo sa-rebbe passato tra un incontro e l’altro, cre-devo fermamente che, nel giro di cinqueanni, l’avrei potuto raggiungere. [...]

Qualche giorno prima della partenza, lotrasportarono in un luogo sicuro, a L’Ava-na. Trasformato di nuovo nel vecchioRamón, chiese di vedere i bambini. Se sipresentò così camuffato, era per il timoreche i più grandicelli lo riconoscessero e po-tessero parlarne a qualcuno, con tutte leconseguenze del caso. Quando arrivarono,lo presentai come un uruguaiano moltoamico del papà che voleva conoscerli. [...]Tanto per il Che quanto per me fu un mo-mento difficilissimo. Si può ben immagi-nare il suo strazio: avere i figli lì, così vicini,e non potersi rivelare, non poterli trattarecome desiderava fu una delle prove più du-re della sua vita. Per i ragazzi, quello fu ungiorno di festa; erano scatenati, giocaronotutto il tempo per ingraziarsi l’amico dipapà, perché vedesse quello che sapevanofare. [...] Aleidita, correndo a perdifiato,batté la testa. Il Che si precipitò a prestarleun’attenzione così premurosa che lei mi sifece incontro per sussurrarmi all’orecchio:«Mamma, quest’uomo è innamorato dime». Anche il Che aveva sentito. Non ci di-cemmo nulla, ma entrambi sbiancammodall’emozione.

Da quella casa raggiunse l’aeroporto: sa-rebbe volato prima in Europa per poi ri-prendere il viaggio, verso la meta finale. Pri-ma di partire, mi scrisse una poesia. Aquanto mi dissero avrebbe voluto scriverlasu un fazzoletto bianco che tuttavia nontrovò. [...] L’ultimo frammento recita:

Addio, mia unica, / non ti faccia tremarela fame dei lupi / né il freddo steppario del-l’assenza: / ti porto nel petto dalla parte delcuore / e ce ne andremo insieme, finché lastrada si dissolva.

Mi chiedevo se stava per cominciare unanuova fase della nostra vita, ma non pote-vo fare altro che aspettare. Piansi tutte lemie lacrime prima di tornare a casa.

[...] L’incertezza, di nuovo. Le notiziedalla Bolivia arrivavano sempre attraver-so terzi. Ricevetti una sola lettera. Me l’a-veva portata il peruviano Juan PabloChang, il Cinese, reduce dalla visita alcampo di Ñancahuasú prima del suo in-serimento definitivo nelle file della guerri-glia. «Mia unica, approfitto del viaggio diun amico per mandarti queste righe. Avreipotuto spedirtele; ma mi è sembrata piùintima la via “paraufficiale”. Ti potrei direche mi manchi tanto da perdere il sonno,ma so che non mi crederesti, quindi miastengo. Ci sono giorni nei quali la melan-conia avanza incontenibile e mi pervade.A Natale, a Capodanno, soprattutto. Nonsai quanto mi mancano le tue lacrime di ri-to, sotto un cielo di stelle nuove che mi fa-cevano pensare al poco che ho approfitta-to della vita sul piano personale. [...] Nulladi interessante della mia di qui. Il lavoro mipiace ma mi assorbe troppo e a volte mistanca. Appena posso, studio e sogno; gio-co a scacchi, contro avversari non propriodi prima categoria. Cammino parecchio.Sto dimagrendo, un po’ per la nostalgia,un po’ per il lavoro. Dai un bacio ai pez-zettini di carne, e a tutti gli altri. Per te unbacio carico di sospiri e di altre angosce daltuo povero e spelacchiato Marito»

La morte. Di nuovo ottobre, e con essola tragedia. Lo seppi da Fidel in persona,che alla conferma della notizia mi mandòa chiamare. Io ero sull’Escambray, peruna ricerca storico-sociale. Celia venne aSanta Clara e dall’aeroporto mi mandò aprendere per accompagnarmi nel ritornoa L’Avana. Lì mi aspettava Fidel, che miportò a casa sua dove rimasi da sola peruna settimana. Quindi mi spostai perqualche tempo in un’altra abitazione ac-compagnata dai miei figli. Fidel veniva atrovarci quasi ogni giorno. [...] Il 18 otto-bre si tenne la solenne cerimonia funebrein Plaza de la Revolución. Fidel fu l’unicoa parlare. Mi chiese di essere presente, magli risposi che sentivo di non avere la for-za necessaria per affrontare l’evento. Pre-ferivo restare a casa, davanti alla televi-sione, in compagnia dei miei figli più pic-coli, anche se neppure i più grandicellipotevano rendersi pienamente contodell’accaduto.

Traduzione di Daniela Carpani© 2007 Rcs Libri Spa

ALEIDA MARCH

“Ci sono giorniin cui la malinconiaavanza incontenibile:Natale e Capodannosoprattutto. Non saiquanto mi mancanole tue lacrime di rito”

“Dovette travestirsiper l’ultimo addio”

Il mito e l’eredità tradita

CONTROFIGURASopra, il Chetravestitoda “vecchioRamon”,la controfigurausata per far visitain sicurezzaa Aleida e ai figliA destra,i figli del Checon la madree i nonni nel 1968

FO

TO

© G

EN

KO

FIL

MS

GM

BH

BA

LTA

BIC

K T

V F

ILM

RIG

HT

S L

LC

FO

TO

© G

EN

KO

FIL

MS

GM

BH

BA

LTA

BIC

K T

V F

ILM

RIG

HT

S L

LC

IL LIBRO

Si intitola Evocación. La mia vita a fianco del Che (Bompiani,215 pagine, 16,50 euro, in uscita il 2 maggio) il libro di AleidaMarch, la donna che sposò Ernesto Che Guevara nel 1959e gli restò accanto fino al 1967, anno della mortedel Comandante. È un lungo racconto dall’infanzia al golpedi Batista fino all’incontro con il Che nella Sierra Escambraye la sua nuova vita tra famiglia, figli e l’impegno rivoluzionariodel marito. Sabato 12 maggio alle 18,30 alla Fiera del librodi Torino, il volume sarà presentato dalla figlia del Che AleiditaGuevara. I testi a firma Aleida March e le foto pubblicatein queste pagine sono tratte dal libro Bompiani

Repubblica Nazionale

Page 4: Che - Togliatti

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

PARIGI

La Quinta Repubblica, dellaquale i francesi eleggerannodomenica 6 maggio il sestopresidente (o la prima donna

presidente), compirà l’anno prossimomezzo secolo. La sua data di nascita è il 28settembre 1958, se ci si riferisce al giorno incui fu approvata, con un referendum, lanuova Costituzione. Ma è meglio andareindietro di qualche settimana. Il primogiugno, una domenica, poco dopo le 21,nell’emiciclo di Palazzo Borbone, il presi-dente dell’ultima Assemblea nazionaledella Quarta Repubblica annunciò infatticon tono solenne che, avendo ottenuto lafiducia (con 329 voti contro 224), il genera-le Charles de Gaulle assumeva le funzionidi Presidente del Consiglio. Di fatto è quel-la sera che la Francia inaugurò un’altra Re-pubblica. La quinta dalla fine dell’ancienrégime, durante la Rivoluzione francese.

Ma è bene retrocedere ancora di qual-che giorno. Il 19 maggio, all’hôtel d’Orsay,sulla sponda sinistra della Senna, doveadesso c’è il Museo d’Orsay (ricavato daquell’albergo e dall’omonima stazioneferroviaria) sempre il generale de Gaulle,che da tre anni non teneva conferenzestampa, spiegò ai giornalisti, e quindi alPaese e alla società politica in preda al pa-nico, le condizioni e le formalità per un suoritorno al potere. Un ritorno già garantito.Si trattava di precisare soltanto le proce-dure. Un particolare tutt’altro che trascu-rabile, vista l’atmosfera da colpo di Stato.

Quel 19 maggio del ‘58 ero seduto sulparquet del grande salone dell’hôtel d’Or-say in cui il generale parlava nel tardo po-meriggio. Dalla finestra spalancata vedevogli almeno mille poliziotti schierati sulLungosenna. Un elicottero, sul quale si di-ceva fosse Jules Moch, il ministro degli In-terni, sfarfallava su di noi facendo un granchiasso. Vicino a me, come me acco-sciato sul pavimento per man-canza di sedie, c’era GeorgesArnaud, autore del Sa-lario della Paura,un roman-zo di gran-de successonei primi anniCinquanta. Ilregista Clouzotne aveva tratto unfilm, interpretato daYves Montand. Ar-naud era per i ribelli al-gerini. E come me volevaraggiungere al più prestol’Algeria. Là, ad Algeri, si svol-gevano gli avvenimenti chestavano uccidendo la QuartaRepubblica e riportando al poterede Gaulle. Il generale era appena ar-rivato da Colombey-les-deux-Egli-ses, villaggio dell’Alta Marna, a due-centocinquanta chilometri dalla capita-le, dove si era ritirato dopo aver lasciato ilgoverno nel 1946, disgustato dai partiti chegli rendevano la vita impossibile. Là avevaaspettato, con apparente flemma e realeimpazienza, che la Francia, della qualeaveva rappresentato la dignità nei bui an-ni dell’occupazione tedesca, avesse anco-ra bisogno di lui.

A creare le condizioni per un suo ritornoera la guerra d’Algeria. Quello che GeorgesArnaud, mio vicino all’hôtel d’Orsay, chia-mava «il putsch dei generali fascisti» stavainfatti riportando al potere il quasi settan-tenne ex capo della Francia Libera. Seigiorni prima della conferenza stampa del-l’hôtel d’Orsay, il 13 maggio, l’Armée scon-fitta in Indocina, a Dien Bien Fu, umiliatanella spedizione di Suez contro l’Egitto diNasser e impegnata da quattro anni in Al-geria, era insorta contro il governo di Pari-gi, dal quale non si sentiva abbastanza ap-

poggiata. E aveva chiesto il ritorno di deGaulle. Altrimenti avrebbe mandato i suoiparà sui Campi Elisi. Quei poliziotti schie-rati da Jules Moch sul Lungosenna erano,secondo Arnaud, «una pagliacciata». Cosapotevano fare contro un eventuale sbarcodei militari sediziosi d’Algeria?

Non ho mai più incontrato l’autore delSalario della paura. Come altri intellettua-li francesi, quando l’Algeria diventò indi-pendente scelse di viverci, ma ne fu cac-ciato appena il regime diventò più intran-

sigente. Più burocratico. Nella mia memo-ria Georges Arnaud è legato a quel giornodi maggio, in cui vidi per la prima volta incarne ed ossa Charles de Gaulle. Il roman-ziere era l’altra Francia. I francesi erano di-visi. Lacerati da quel conflitto, di chiarostampo coloniale, ma visto da molti comeuna minaccia all’integrità nazionale, l’Al-geria essendo considerata una delle tanteprovince metropolitane, in cui vivevanoun milione di francesi (insieme a dieci mi-lioni di algerini).

Nata in seguito al putsch militare di Al-geri, la Quinta Repubblica fu considerata alungo dall’opposizione di sinistra Un col-po di Statopermanente. Questo era il titolodi un libro di François Mitterrand, il qualeventitré anni dopo, nel 1981, diventato pri-mo presidente socialista di quella detesta-ta Repubblica, si adeguò volentieri alle sueistituzioni, usandole da monarca repub-blicano per ben quattordici anni. La Costi-tuzione scritta dall’avversario de Gaulle gliandava a pennello.

il fattoSimboli del potere

Il palazzo del presidente-re

Fatto costruire da un conte e abitato dall’amante di Luigi XV,l’Eliseo fu adottato come dimora dei capi di Statoelettivi dalla Seconda Repubblica, a metà OttocentoOra che i francesi stanno per sceglierne il nuovo inquilino,ne ricordiamo la storia fino alle attuali istituzioni,le più monarchiche che una democrazia ricordi

BERNARDO VALLI

PARIGI

«Mi annoiavo molto». Come, signora Mitter-rand? «Sì, all’epoca mi annoiavo molto. Vede, la mogliedel presidente è poco più che un ninnolo, un gingillo.Dentro all’Eliseo si muove come un’ombra». Sorridebeffarda, sul volto traspare ancora la luce dell’eterna ri-belle. «È una gatta selvatica», diceva François Mitter-rand. François e Danielle, cinquant’anni di vita e di lot-ta comune, un lungo cammino attraverso la storia finoa varcare quel cancello, 55 rue du Faubourg-Saint-Ho-noré. L’Eliseo. Le Château, nell’immaginario dei fran-

cesi, anche se questa dimora non ha nulla del castelloma sembra piuttosto la classica casa borghese dell’ot-tavo arrondissement, come sosteneva il generale deGaulle. «Qui lo Spirito non soffia» osservò, dopo avertentato invano di spostare la presidenza della Repub-blica in un luogo a suo dire più appropriato, un forte mi-litare a Vincennes.

Anche la coppia Mitterrand non amò mai veramen-te il palazzo costruito dal conte d’Evreux nel 1718 e scel-to da madame de Pompadour per sfuggire alla corte diVersailles. «Lo consideravo un luogo di lavoro», confes-sa Danielle che rimase a vivere nei suoi appartamenti inrue de Bièvre, sulla rive gauche. Le cene con gli amici e iparenti avvenivano sempre altrove, in una delle tantecase di Mitterrand. Eppure pochi luoghi come l’Eliseoemanano il fascino del potere. Qui, nel Salon d’Argent,Napoleone firmò la sua seconda abdicazione, subito

DanielleMitterrandricordaANAIS GINORI

9

10

10

2

8

3

12

11

SALLE PAULIN (piano nobile)Sala da pranzo degli appartamenti presidenziali, porta l’improntadel gusto del presidente Pompidou, primo successore di de Gaulle,che non intervenne su nessun altro ambiente del palazzo

ILLUSTRAZIO

NE D

I MIRC

O TAN

GH

ERLINI

ABDICAZIONESconfitto a Waterloo (1815), Napoleone

firmò l’atto di abdicazione all’Eliseo

FO

TO

AF

P

Repubblica Nazionale

Page 5: Che - Togliatti

dopo la sconfitta di Waterloo. E qui Luigi Bonaparte pre-parò il colpo di Stato, mentre organizzava una festa do-po l’altra, suscitando così l’amara ironia di Victor Hugo:«Fa ballare la Repubblica prima di farla saltare per aria».Il governo s’insedia e si dimette all’Eliseo, il Consigliodei ministri si tiene ogni mercoledì all’Eliseo, le leggivengono promulgate all’Eliseo. I vertici internazionali,le riunioni diplomatiche avvengono all’Eliseo. Il famo-so computer Giove che controlla l’arma atomica si tro-va all’Eliseo.

«Monsieur le président!». Danielle Mitterrand non di-menticherà mai quel momento. Quando il 21 maggio1981 le guardie repubblicane scandirono l’ingresso delnuovo presidente nel Salon des Fêtes. È in questo gran-de salone al primo piano che il 16 maggio si insedierà ilvincitore del voto di domenica prossima, NicolasSarkozy o Ségolène Royal. «Subito dopo, scelsi di nonandare con François a fare la parata sui Campi Elisi»,continua la signora Mitterrand sul filo dei ricordi. «Io emia sorella Christine eravamo curiose di visitare gli ap-partamenti presidenziali. Dissi ai ciambellani: “Non c’èbisogno che ci accompagnate, ce la caveremo da sole”.Mi guardarono come una pazza. “Escluso, madame”. Ècosì che dovetti abituarmi ai passi felpati, alle frasi sus-surrate». Refrattaria alla moda, fino ad allora aveva in-dossato sempre pantaloni e borse a tracolla. Quel gior-no, con massimo sforzo, trovò un vestitino patriotticoblu, bianco e rosso.

Nel protocollo presidenziale la première dame deFrance può tutt’al più aspirare ad occuparsi dei menùdei pranzi di Stato, della tosatura dei prati, dello smista-mento della corrispondenza. E comunque molta del-l’ordinaria amministrazione rimane in mano ai milita-ri, quasi seicento dei mille dipendenti. Danielle Mitter-rand riuscì a ottenere una ristrutturazione completadegli appartamenti presidenziali, così come un fazzo-

letto di terra nel grande parco, destinato a Ypsilon e Bal-tico, i due labrador neri. L’architetto Philippe Starck sioccupò della sua camera, Jean-Michel Wilmotte diquella del presidente. Il primo a modernizzare l’Eliseoera stato Pompidou, introducendo le poltrone e le li-brerie anni Settanta. Giscard d’Estaing aveva recupera-to lo stile Napoleone III ma aveva fatto un’altra innova-zione: aprire l’Eliseo al popolo. Il 14 luglio 1977 quasi ot-tomila persone si misero in fila per entrare nei saloni do-rati e nel grande parco. Da allora è una tradizione che siripete per la festa nazionale.

Mitterrand cambiò il Salon des Fêtes, aprendo su en-trambi i lati nuove finestre e innalzando un piccolo pal-co per l’orchestra durante i ricevimenti. Decise anche dirisistemare lo studio presidenziale nel Salon Doré, scel-to da de Gaulle per la splendida prospettiva sui giardini.Con Mitterrand il primo piano dell’Eliseo divenne unlabirinto di intrighi e segreti, ogni stanza una “cellula”di collaboratori in concorrenza tra di loro, che comuni-cavano con il capo dello Stato soltanto attraverso bi-gliettini.

«François lavorava fino a tardi, poi tornava a dormirea casa». La mattina l’autista andava a prendere il presi-dente per riportarlo all’Eliseo. «Era il suo modo di nonessere completamente prigioniero», aggiunge la mo-glie, che Mitterrand chiamava solo “Danou”. Figlia dipartigiani, giovane militante socialista, non era desti-nata a rimanere nei canoni presidenziali, diversa daYvonne de Gaulle, Claude Pompidou e Anne-AymoneGiscard, capaci di conversare amabilmente di stagionie botanica durante i pranzi di Stato. «Non si può sem-plicemente dire: “Sei la moglie del presidente, non devifare questo o quello”», spiega. «Rimanevo una militan-te che voleva esprimersi sulle cose che le stavano a cuo-re». Con la sua fondazione per i diritti umani France-Li-bertés ha scompaginato le regole. Ha fatto infuriare laCina invitando il Dalai Lama, poi re Hassan II del Ma-rocco (che la definì “moglie morganatica”) sostenendopubblicamente la causa dei saharawi; ha viaggiato nelSudafrica dell’apartheid e nel Kurdistan rischiando di

morire in un attentato. Ognivolta che lei si muoveva all’e-stero, qualcuno al quai d’Or-say doveva correre ai ripari.«Danou, mi pugnali alle spal-le?», scherzava Mitterrand. Leperdonava tutto, come lei hasempre fatto con lui.

«Quanti sprechi, quanti ritisuperflui», ricorda ancoraadesso pensando ai quattor-dici anni passati all’Eliseo.L’orologiaio che una volta asettimana ricarica i trecento epassa orologi a pendolo (il piùconosciuto, a doppia faccia-ta, nel Salon Murat, segna iltempo di parola nelle riunio-ni di governo per il presidentee il primo ministro). Le cenecon duecento convitati, set-temila coperti d’argento, letovaglie di broccato d’oro, lacantina con gli champagnemillesimati. Il lusso non le èmai piaciuto: «Per me l’Eliseonon era una vetrina ma la pos-sibilità di cambiare il mon-do». La stampa francese mal tollerava le sue espressio-ni politiche “scomposte” e le sue amicizie così poco ras-sicuranti, da Fidel Castro al sub-comandante Marcos.

Da dodici anni, con Bernadette Chirac, all’Eliseo ètornata la normalità. La moglie dell’attuale presidentesi è calata nei panni della padrona di casa, scrupolosanel selezionare la carta da lettere, il fornitore ufficiale difoie gras, la composizione dei bouquet. Nel 1967 chie-sero alla signora Giscard: «Cosa può desiderare di piùadesso che è prima donna di Francia?». «Non esserlopiù», rispose lei, tuttavia rassegnata alla sua condizio-ne. Oggi i ciambellani devono prepararsi all’eventualitàdi una cerimonia d’insediamento con una “Madame laprésidente” e un “Premier Monsieur de France”. Se in-vece vincerà la destra, Cécilia Sarkozy ha già fatto sape-re di non sentirsi adatta alla vita dell’Eliseo. «Sono poli-ticamente scorretta», ha commentato una volta, ag-giungendo che forse nessuna donna della sua genera-zione sarebbe più adatta a quel ruolo di soprammobile.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 29 APRILE 2007

Al momento del crollo della Quarta Re-pubblica la Francia non era in preda a unadelle sue puntuali collere sociali o econo-miche. Il Paese era in piena espansione; illivello di vita migliorava con regolarità dacinque o sei anni; aumentava anche la na-talità, segno vitale in una società afflitta dauna demografia cronicamente anemica. Ilpieno impiego era garantito. Gli effimerigoverni succedutisi dal dopoguerra, ben-ché deboli e incoerenti, avevano portato ilPaese sulla strada della prosperità. La ma-lattia era politica. Le istituzioni erano pa-ralizzate (in quei giorni di maggio, da quat-tro settimane si tentava invano di mettere

fine alla quarta crisi di governo in dueanni); l’integrità territoriale era mes-

sa in pericolo dall’insurrezionealgerina; e nella gerarchia inter-

nazionale la Francia aveva subitouna serie di severe umiliazioni.

L’ultima era arrivata con il bruscoarresto della spedizione franco-in-

glese di Suez, imposto dall’ormaisuperpotenza americana. La mag-

gioranza dei francesi sperava in uncambiamento e quando i militari d’Al-

geria insorsero spuntò il nome di de Gaul-le. Fu pronunciato dai generali, ma molti sel’aspettavano, contavano su di lui.

Con accenti brutali ma realistici, in unacronaca del 1959, lo storico François Furet,tutt’altro che indulgente con de Gaulle,scrive che, per ironia della storia, con laQuinta Repubblica si mette in movimentoun auspicato riformismo borghese. E que-sto accade in seguito «a un colpo di Statoreazionario canalizzato da un monarca li-

berale». Quest’ultimo, il ge-nerale de Gaulle, avvia subi-to un rapido processo di de-colonizzazione, smontal’impero africano e in quat-tro anni, dopo avere dimo-strato ai militari che nonpossono vincere la guerra,accetta l’indipendenza del-l’Algeria. De Gaulle non hamai amato Napoleone Bo-naparte. Ne ha denunciatospesso il cinismo e la dismi-sura. E nella primavera del1958, quando l’Armée di Al-geri insorge contro il gover-no di Parigi, non segue l’e-

sempio dell’«uomo di Brumaio», comeviene chiamato Bonaparte per il colpo diStato contro il Direttorio del 9 novembre(brumaio) del 1799. Erano in parecchi apensare che de Gaulle non avrebbe resisti-to alla stessa tentazione. Furono delusi,smentiti, rassicurati.

Ritornato al governo, de Gaulle regolatuttavia i conti con la Repubblica parla-mentare dominata dai partiti. E dà al Pae-se una Costituzione basata, almeno inparte, sui principi elencati in un suo cele-bre discorso pronunciato a Bayeux dodi-ci anni prima. La nuova Costituzione sta-bilisce un audace spostamento di poteridal legislativo all’esecutivo. Il ruolo delParlamento viene ridimensionato e ilpresidente, con la sua elezione al suffra-gio universale diretto (introdotta dallariforma del 1962), acquista una suprema-zia che ne fa, come si è soliti dire, un mo-narca repubblicano. Quando disponeanche di una maggioranza in Parlamen-to, egli esercita un’autorità più estesa diquella del presidente americano. Il siste-ma ha tuttavia retto a tante prove: allasuccessione del fondatore nel 1969; al-l’alternanza di sinistra nel 1981; alle tre“coabitazioni” del presidente con unamaggioranza parlamentare ostile, equindi a una forte limitazione dei suoipoteri, ad accezione della politica esterache resta una sua prerogativa. SégolèneRoyal promette una Sesta Repubblica,con maggiori poteri al Parlamento. Nico-las Sarkozy appare meno disponibile aicambiamenti. Che in realtà non moltifrancesi sembrano auspicare.

CORTILE D’ONOREQui il presidenteaccoglie e salutagli ospiti di Stato

SALONE DEGLIAIUTANTI DI CAMPOOspita pranzie cene ufficiali

SALONENAPOLEONE IIIUsato per ricevimentie incontri bilaterali

GIARDINO D’INVERNOQui si fannole foto di gruppodei nuovi governi

SALONE DELLE FESTEUsato per le conferenzestampa presidenzialie numerose cerimonie

ORATORIOUna scala segretaconduce al comandoatomico sotterraneo

APPARTAMENTISituati al pianonobile, più volterimaneggiati

SALONE CLEOPATRAGià toilette dellaPompadour e ufficiodi Napoleone III

TERZA (1870-1940)La più lunga, tormentata dagli scandalie marchiata dall’affare Dreyfus (nella foto)

QUARTA (1946-1958)Soccombe all’instabilità (nella foto, RenéCoty, secondo dei suoi due presidenti)

QUINTA (1958 A OGGI)Fondata dal generale de Gaulle (foto),basata su un marcato presidenzialismo

Le Repubbliche

1

13

6

7

5

4

SALON DORÉ (piano nobile)Adottato come ufficio presidenziale da de Gaulle in poi,cioè da tutti i capi di Stato della Quinta Repubblica tranne ValéryGiscard d’Estaing, che gli preferì il primo salone d’angolo

SALON MURAT (piano terra)Ex sala da ballo,vi si riunisce tutti i mercoledìil Consiglio dei ministri

PETIT SALONParte dei vecchiappartamentipresidenziali

PRIMA (1792-1799)Dal regicidio a Napoleone, segnatadal Terrore di Robespierre (foto)

SECONDA (1848-1851)Nasce da una rivoluzione e muorecon il colpo di Stato di Luigi Bonaparte (foto)

11

13

3

2

1

4

5

6

7

8

9

12

LA GUIDA

FO

TO

SY

GM

A/C

OR

BIS

FO

TO

AF

P

FO

TO

AF

P

Repubblica Nazionale

Page 6: Che - Togliatti

che con la sua attività di agente di poten-za straniera impedisce il risorgere dellaPatria. Lo ritengo colpevole quale man-dante delle stragi di fascisti (rettifico l’e-spressione che avete usata), di italiani alNord. Ho sempre pensato che fosse salu-tare per l’Italia la sua soppressione, masolo tre o quattro mesi or sono ho conce-pito per la prima volta l’idea di compiereio stesso l’attentato. E a questa decisionesono stato indotto dai più recenti avveni-menti politici, in particolare la partecipa-zione di Togliatti al convegno comunistainternazionale».

Una volta a Roma, Pallante spedì a To-gliatti un biglietto con la richiesta di unappuntamento: «I motivi e l’urgenza del-la richiesta d’incontrarla mi riservo dispecificarli di persona». In un verbale del18 agosto, il giovane di Randazzo raccon-ta al procuratore aggiunto, Giuseppe Aro-matisi, il suo “incontro” con il Migliore,quando gli sparò a bruciapelo. «Mi stavodirigendo verso il portone di via della Mis-sione per chiedere da dove fosse uscitol’onorevole Togliatti, quando lo vidi ve-nirmi incontro attraverso la porta a vetri.Avanzai per colpirlo di fronte, ma non fe-ci in tempo ad estrarre la pistola e ad ab-bassare il grilletto. Ebbi l’impressione cheil mio gesto fosse stato notato dallo stessoTogliatti, e per un momento rimasi per-plesso e come intontito. In questo tempomi passò innanzi e mi superò e io, supe-rato il momentaneo smarrimento, lo se-guii, estrassi l’arma e gli sparai».

Pochi giorni dopo l’attentato, in isola-mento a Regina Coeli dove era rimbalza-ta l’eco dell’insurrezione, il giovane diRandazzo teneva un fitto epistolario conamici e parenti. Nelle missive, sequestra-te, indirizzate agli amici Paolo Marrone eLuigi Vagliasindi e allo zio Domenico Pal-lante, il mancato omicida faceva parlarela sua coscienza. E dava sfogo ai rimorsi,che non erano certo per aver sparato a To-gliatti — che non cita mai per nome —ma per aver deluso il genitore: «Il con-tegno di mio padre — scrive all’amicoLuigi il 26 agosto — è spiegabile e io logiustifico. Ma una combinazione difatti mi hanno dato molto da pensaresul suo ultra rigido comportamento.In giudizio lo avrò contro». Non unaparola di pentimento. La sofferenzadi Pallante è un’altra: «Il dolore chepiù mi tormenta, credimi — confidaall’amico Paolo — è di credermi di-menticato e ripudiato dai miei pa-renti e amici, che pur un giorno ioapprezzai e amai».

Tenta, poi, di giustificarsi inqualche modo. «Credo che la miaazione, venuta così a sorpresa esenza un mio cenno, avrà messodalla parte avversa quanti mi fu-rono amici. Ma se c’è qualcunocon la testa sulle spalle, caro Pao-lo, dovrebbe comprendere etrarne le migliori conseguen-ze!». Nei ricordi cerca confortoalla solitudine: «La sera, nei mo-menti di malinconia, e nellaprofonda solitudine in cui mitrovo, sento e risento le note delpianoforte. Ma poi mi fò corag-gio e vengo a quello che è del miodestino e della mia fede. E tutto si acco-moda». Il tormento, in quei momenti, pa-

re essere solo ciò che pensano di lui i suoigenitori. «Caro Paolo, desidererei avereda te informazioni sui miei. Io per ora nonscrivo loro. Saranno furenti. Ma Iddio havoluto così». All’«affettuosissimo» Luigiaccenna al suo futuro giudiziario: «Comeavrai potuto leggere dai giornali, a mezzoautunno avremo il processo. Io mi ci pre-paro con serenità e coscienza. Dovrò af-frontare calunnie, accuse, invettive, non-ché una sentenza che già prevedo un po’dura». Il suo fu considerato dai giudici undelitto politico, e ciò gli procurò sollievo:«Mi consola il fatto di non figurare comeun reo qualsiasi, ma come responsabile diuna mia esclusiva iniziativa a difesa e co-ronamento di quello che è sempre stato ilmio ideale».

Pallante commenta anche l’insurre-zione che ha infiammato il Nord: «Ho ap-preso con vero dolore — scrive a Luigi —e credimi, dei delittuosi fatti di sanguescatenatisi nel settentrione. Più di tuttomi rattrista il sacrificio di sangue cui sonoandati incontro numerosi agenti delleforze dell’ordine. A questi silenziosi mar-tiri, dalle alte sfere soprannaturali, saràdato conoscere che le mie intenzioni era-no delle più pure e che quindi saranno fie-ri di essersi sacrificati per la difesa dei figlimigliori d’Italia, quindi per la loro Pa-tria!». «A quanto è scaturito dal mio gesto,caro Luigi, non c’è niente da commenta-re. Ma c’è solo da capire, ripeto capire, daparte nostra, del Governo, e da quanti an-cora oggi si sentono veri italiani».

Ma è nella lettera del 30 agosto, indiriz-zata allo zio Domenico, che Pallante siconfessa, dolendosi per il dolore causatoalla famiglia, ma rivendicando di averagito quasi in forza di una volontà supe-riore. «Mio caro zio, cosa dire a spiega-zione di un gesto che ha scombussolatoogni aspettativa? Tante cose avrei da di-re, molto avrei da sostenere, niente da farattribuire a colpa quello che già da tem-

po avevo deciso di fare. La mia situazioned’oggi già l’avevo dinanzi agli occhi allor-ché venni ad abbracciare te e i miei ama-ti parenti l’ultima volta. È per questo chenon potei trattenermi dal piangere dirot-tamente». «Posso quindi affermare, aconclusione assoluta di ogni spiegazio-ne, che il mio destino aveva fortementeincamminato ogni mio atto, anche diquelli che oggi sono venuti alla luce perdare dispiacere a mio padre, nel sensoche oggi mi hanno portato in una cella.Mio padre, e logicamente, mi ha allonta-nato dalla sua famiglia, insensatamentemi si è dichiarato avversario». «Spero chemi vorrai sempre bene e che compren-derai come il nostro nome non sia statomacchiato da alcun delitto, ma che si èimposto nella tradi-zione di quanti la Pa-tria hanno sempreamato e servito».

Pallante fu con-dannato, il 3 ottobredel 1953, a dieci annie otto mesi di reclu-sione, lavorò comesuo padre alla Fore-stale, e oggi è untranquillo pensio-nato a Catania.

ALBERTO CUSTODERO

la memoriaStoria d’Italia

Il 14 luglio 1948, in un periodo di estrema tensione politica,lo studente siciliano Antonio Pallante sparò da brevedistanza quattro colpi di rivoltella contro il segretariodel Partito comunista, che rimase ferito ma si salvòAbbiamo ritrovato negli archivi l’incartamento del processoche ne seguì e documenti rimasti sepolti per sessant’anni

“Io sono semprequell’Antonio buono,affettuosoe ponderato”,scriveva dalla cellail mancato assassinoa un amicocui la censuranon inoltrò la missivaI verbali della vittimae di Nilde Iotti

Attentato a Togliattile lettere segrete

IL VERBALESopra, PalmiroTogliattiin ospedaleA destra, l’armausata da PallanteIn basso, il luogodell’attentatopresidiatoda un agentee l’ultima paginadel verbaledella deposizionedi Togliatti

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

ROMA

«Anche se in una celladel Regina Coeli, caroPaolo, io sono sem-pre quell’Antonio

buono, affettuoso, e ponderato!». Era il 23agosto del 1948 quando Antonio Pallan-te, da una cella d’isolamento del carcereromano, scrisse queste parole dirette alsuo amico d’infanzia Paolo Marrone. Po-co più d’un mese prima, il 14 luglio, inpiazza Montecitorio, quel ragazzo diRandazzo, provincia di Catania, che si de-finiva «buono e ponderato», all’epoca ap-pena venticinquenne, aveva sparato abruciapelo quattro colpi di rivoltella con-tro Palmiro Togliatti, ferendolo grave-mente. E scatenando al Nord un moto in-surrezionale che costò la vita a decine dipersone. Quasi sessant’anni dopo, il fa-scicolo giudiziario di “Pallante Antonio diCarmine e di Meloro Maddalena, nato aBagnoli Irpino il 3 agosto del 1923” è di-ventato pubblico, custodito nell’Archiviodi Stato, sezione di Galla Placidia.

Bisogna slegare sei o sette cordicelleper aprire il faldone quasi imbozzolitoche contiene un migliaio di fogli ingialliti.Le pagine più toccanti che spuntano daquel fascicolo dimenticato sono le lettereinedite che Pallante scrisse a Regina Coe-li e che la censura sequestrò. Da quei ma-noscritti emerge il ritratto di un giovanefortemente condizionato da una ideolo-gia intrisa di fascismo, che arrivò a Romacon un solo libro, Mein Kampf di Hitler.Pallante, iscritto a Catania a Giurispru-denza, per anni aveva finto di dare esamie ingannato il padre, agente forestale, cheper mantenerlo agli studi aveva vendutoun terreno di famiglia per duecentomilalire. Ai primi di luglio del 1948 salutò geni-tori, parenti e amici, raccolse da loro tre-milacinquecento lire e disse che sarebbeandato a Catania per la tesi di laurea. A Ca-tania ci passò solo per acquistare pistola emunizioni, e invece partì per Roma.

Il fascicolo giudiziario inizia con la te-stimonianza di “Iotti Romilde fu Egidionata a Reggio Emilia, deputato al parla-mento”, interrogata dal procuratore diRoma due ore dopo la sparatoria. Standoa questa testimonianza di Nilde Iotti, chevide Togliatti «abbattersi al suolo», men-tre «quel giovane pallido in viso si abbas-sava sul ferito e gli sparava a bruciapelo alfianco sinistro», e che fu la prima a grida-re ai carabinieri «arrestatelo, arrestatelo»,diventa difficile immaginare che il Mi-gliore, in quel drammatico frangente,possa aver pronunciato la fatidica fraseche gli viene attribuita: «Non perdete lacalma». Dopo quello della Iotti, c’è l’in-terrogatorio dello stesso Togliatti del 22novembre, quando, ormai guarito, ponefine alla tesi del complotto agitata a lungodall’Unità e da esponenti del Pci. «Nonsono in grado di fornire alcun elemento inmerito a responsabilità di altre persone —dichiara, lapidario, ai giudici — non es-sendomi curato di fare indagini, né mi èstato riferito da altri alcun elemento al ri-guardo».

Così il forestale Carmine Pallante de-scriveva il figlio. «Ha un carattere mite eubbidiente, però un po’ nervoso, si adira-va quando era contrariato anche nelle piùpiccole cose. Ha una certa ripugnanza perle armi. Durante il passato regime era ap-partenuto alla Gioventù italiana littoria».Fu la madre a ricordare la sua vocazionereligiosa: «Dopo le elementari — dichiaròMaddalena Miloro — frequentò perquattro anni il seminario di Cassano Io-nio perché aveva manifestato l’intenzio-ne di farsi prete». Dal seminario alla poli-tica: Pallante, ambizioso quanto confuso,passò dai liberali all’Uomo qualunque, emanifestò l’intenzione sia di scrivere perl’Unità, che di iscriversi all’Msi. Ecco co-me descrisse se stesso alla polizia che loaveva appena arrestato. «Nel ‘44 mi sonoiscritto al Partito liberale, diventandonedirigente della sezione di Randazzo. Lolasciai perché a mio giudizio troppo con-servatore. Nel mio paese sono conosciu-to come un fascista perché il mio noto an-ticomunismo viene a torto giudicato fa-scismo». Ed ecco come spiegò il moventedel suo gesto. «Ho sempre pensato che inTogliatti si debba ravvisare l’elementopiù pericoloso alla vita politica italiana

FO

TO

OL

YM

PIA

Repubblica Nazionale

Page 7: Che - Togliatti

Tra il febbraio e il luglio del 1948 la giovane democrazia italiana è sotto-posta a tensioni durissime, che in più di un momento sono a un passodal metterla in discussione. Esclusi socialisti e comunisti nel giugno 1947

dal terzo governo De Gasperi, l’Assemblea costituente è ancora riuscita, su-perando divisioni politiche sempre più profonde, a dare al paese la sua nuovaCostituzione. Ma la carta fondamentale della Repubblica appare più la testi-monianza estrema di un momento irripetibile, maturato nel clima di unità deldopoguerra e presto svanito, che il fondamento riconosciuto di una nuovaconvivenza civile.

La Guerra fredda è diventata ormai una realtà. Il risultato delle elezioni delprimo Parlamento repubblicano italiano, convocate per il 18 aprile, rappre-senta una posta altissima per le due superpotenze, che si dimostrano tutt’al-tro che disposte ad accettarlo a scatola chiusa: George Kennan, autorevoleconsigliere del segretario di Stato americano, prospetta l’ipotesi di «metterefuori legge il Partito comunista e condurre un’energica azione contro di essoprima delle elezioni» per provocarlo alla guerra civile, e fornire così il pretestoalla rioccupazione militare del Paese. Togliatti informa l’ambasciatore sovie-tico Kostylev che il Pci è pronto a reagire ad un’eventualità del genere conun’insurrezione armata nel Nord del paese. Strutture paramilitari clandesti-ne sono apprestate non solo dai comunisti, ma, come è ora ampiamente do-cumentato, anche dai cattolici, in vista di uno show downritenuto inevitabilenel caso che gli avversari non accettino un responso sfavorevole delle urne.

Il clima è avvelenato da una situazione sociale esplosiva. La politica di risa-namento economico e finanziario inaugurata da Einaudi e proseguita da Pel-la ha aumentato i livelli di una disoccupazione già estesissima. La Confindu-stria attribuisce il dilagare degli scioperi a un piano preciso del Pci e invita leimprese associate a non concedere nulla sul fronte della contrattazione. Lacampagna elettorale si apre così in un clima di contrapposizione esasperata,in cui la situazione dell’ordine pubblico sembra sul punto di sfuggire di ma-no. La Chiesa e i comitati civici si mobilitano nella lotta contro «l’Anticristo».Gli emigrati americani scrivono alle loro famiglie in Italia che in caso di vitto-ria del Fronte gli aiuti del Piano Marshall cesseranno, e sarà la fame. I partitidel Fronte popolare, apparentemente sicuri della vittoria, plaudono al colpodi forza con cui i comunisti, in Cecoslovacchia, si sono sbarazzati degli allea-ti di governo, e evocano minacciosi scenari di resa dei conti finale. I toni del-la propaganda si fanno via via più accesi, rappresentando due Italie irriduci-bilmente nemiche.

La vittoria della Democrazia cristiana, netta oltre ogni previsione, nonsmorza la tensione. Nelle settimane successive al voto l’attenzione del Parla-mento è polarizzata dalla ratifica dell’accordo con gli Stati Uniti sul Piano Mar-shall. Nella discussione alla Camera, il 10 luglio, Togliatti denuncia in quel-l’accordo una subordinazione «alla politica dei gruppi dirigenti imperialistidegli Stati Uniti» e ammonisce che se il Paese dovesse essere trascinato in unaguerra, «noi conosciamo qual è il nostro dovere. Alla guerra imperialista si ri-sponde oggi con la rivolta, con la insurrezione per la difesa della pace, della in-dipendenza, dell’avvenire del proprio Paese!».

Tre giorni dopo un editoriale del quotidiano socialdemocratico, siglato dalsuo direttore Carlo Andreoni, bollando la «jattanza con la quale il russo To-gliatti parla di rivolta», esprime la certezza che «il governo della Repubblica ela maggioranza degli italiani avranno il coraggio, l’energia, la decisione suffi-ciente per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e i suoi complici. Eper inchiodarveli non metaforicamente». Questa prosa virulenta può esseregiudicata emblematica del clima in cui matura il gesto di Pallante il 14 luglio.Sia la Direzione del Pci sia la Cgil sono colte di sorpresa dall’imponenza di unarisposta di massa, disarticolata e in gran parte spontanea, in cui confluisconola frustrazione per la sconfitta elettorale del 18 aprile, lo sdegno per l’attenta-to alla vita di un dirigente amatissimo dai militanti, la diffusa attesa per una«spallata» decisiva che in tanti si aspettano.

Non è mai stato provato che dietro questo movimento tumultuoso ci fos-sero una trama organizzativa e una leadership politico-militare del Pci, comesosterrà più tardi il ministro Scelba. È probabile piuttosto che scattino queimeccanismi di difesa che il partito ha predisposto per l’ipotesi di una «pro-vocazione» e di un colpo di Stato, e che in qualche caso questi meccanismisfuggano di mano, soprattutto per l’intervento degli ex-partigiani, a chi li ave-va ideati. Per tre giorni, paralizzata dallo sciopero generale, l’Italia sembra sul-l’orlo della rivoluzione. Restano sul terreno almeno quindici morti, equa-mente divisi fra agenti delle forze dell’ordine e dimostranti, mentre vengonooperati migliaia di arresti.

Eppure in quel momento decisivo ciascuna delle parti che si fronteggianocompie un passo indietro sull’orlo del baratro: i comunisti frenano, evitanoche il moto si trasformi in insurrezione, e presto lasciano cadere anche la ri-chiesta di dimissioni del governo. Questo a sua volta non cede alla tentazionedi mettere al bando il Pci. La guerra di movimento dei caldi mesi di febbraio-luglio si trasforma lentamente in guerra di posizione. Le appartenenze sepa-rate, benché abbiano messo radici profonde e destinate a durare, non cancel-lano del tutto il senso di una cittadinanza comune e il rispetto di una serie diregole sia pure a malincuore condivise. La democrazia, malgrado tutto, tiene.

ALDO AGOSTI

EDIZIONE STRAORDINARIANella foto grande, l’edizionestraordinaria dell’Unità

del 14 luglio 1948Qui sopra, una letteradi Antonio Pallantedal carcere di Regina CoeliSotto, un suo ritratto del tempo

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 29 APRILE 2007

La rivoluzione

che non ci fu

Ediz

ioni

Ded

alo

www.edizionidedalo.it

Cos’è la luce? Perché riscalda? Daquanti colori è composta? Un astrofisi-co in pensione risponde alle milledomande dei tre nipotini, appassionatidi raggi laser e impazienti di capiremeglio quello che vedono ogni giorno.

Roland LehoucqLa luce…vista da vicino

Cos’è il Sole? Perché brilla? Come fa ascaldarci, se è così lontano? Un simpa-tico astronomo risponde alle domandedi quattro piccoli amici, guidandolicon pazienza e senso dell’umorismo inun viaggio alla scoperta della stella anoi più vicina.

Roland LehoucqIl Solela nostra stella

non ècome credi

Laura Minestroni

Narrativa

Si comincia così. Col mentire a se stessi e credere perdutamente alle proprie fantasie. Poi si finisce per ingannare gli altri e il mondo intero.

Lupetti

IN LIBRERIA

Distr

ibuito d

a M

essa

gger

ie L

ibri

www.lupetti.com

FO

TO

GIA

NC

OLO

MB

O/C

ON

TR

AS

TO

FO

TO

OLY

CO

M -

PU

BLIF

OT

O

Repubblica Nazionale

Page 8: Che - Togliatti

l’immagineSvolte della moda

All’alba del Ventesimo secolo, negli anni febbriliche precedono la Grande guerra, un couturierfrancese sconvolge la buona società disegnandoabiti sotto i quali “si poteva percepire il corpo!”Ora, alla sua opera e alla sua straordinaria vita,il Metropolitan di New York dedica una mostra

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

NATALIA ASPESI

La notte dell’11 giugno1911 Paul Poiret offrì atrecento ospiti la più fia-besca delle sue tante stu-pefacenti feste. L’aveva in-titolata “La milleduesima

notte”, in omaggio più alla sua moda ara-beggiante che alla passione orientalistaprecipitata su Parigi con l’arrivo degli au-daci Ballets Russes. Il giardino, simile aquello di Versailles, e il palazzo appartenu-to a Luigi XVI, dove il couturier aveva apertola sua sartoria, erano illuminati dalle torcerette da servitori di colore a torso nudo, ragaz-ze seminude spargevano incenso, pappagallimulticolori, uccelli del paradiso, pavoni si na-scondevano spaventati tra gli alberi da cui pen-devano frutti luminosi, un immenso buffet per-correva una specie di grotta di Alì Baba, caraffe dibevande multicolori emanavano luce, dal buioarrivava musica esotica, tra gli ospiti in costumepersiano si muovevano saltimbanchi, fattucchie-re, cartomanti, mimi, finti mendicanti e finti vendi-tori di schiavi. Su un trono d’oro sedeva Paul Poiretabbigliato da sultano, con un fiabesco turbante di ra-so bianco incrostato di gemme su cui svettava unaaigrette di fili di cristallo: arrivati tutti gli ospiti, Poi-ret che a trentadue anni era già chiamato “le magni-fique”, aprì una grande gabbia dorata dove lo atten-deva la languida, incantevole favorita: la sua model-la ideale, la ventenne moglie Denise, bella e sottile,che in quella notte di meraviglia, con quei pantalonigonfi di chiffon ocra stretti alle caviglie, la corta cri-nolina a paralume di lamè dorato, leggera come lacorolla rovesciata di un papavero, il turbante d’orocon una gigantesca aigrette fermata da un gioiello diturchesi, era l’immagine della nuova femminilità li-bera e sensuale che inaugurava il Ventesimo secolo.

Era il tempo dell’audacia, anche per le donne, an-che per la moda, dell’ultimo fulgore di piacere e mi-stero prima della tragedia della guerra: era anche iltempo in cui stava nascendo il movimento femmi-nista che chiedeva di uscire dalla secolare sudditan-za e pretendeva prima di tutto il diritto al voto. Sindagli inizi Poiret aveva sconvolto la buona societàcancellando sei secoli (se si esclude il periodo del Di-rettorio e dell’Impero napoleonico) di abbigliamen-to femminile costrittivo, di vite strette e di gonne acono, di strati e strati di tessuto a celare ogni natura-lezza, ancora in auge in quel primo decennio del se-colo. La sua fu una rivoluzione epocale, quasi ol-traggiosa, del modo di vestire, una vera metamorfo-

E lo stilista-sultano

creò la donna libera

quando scende in strada, quando è di tutti. Così unsabato pomeriggio andò alle corse di Longchampcon tre mannequin vestite con lo stesso abito di lineagreca, dagli spacchi laterali che mostravano, massi-ma impudicizia, le caviglie, per di più avvolte nellanovità delle calze colorate. Fu uno dei tanti scandaliche accompagnarono il travolgente successo inter-nazionale del couturier. Le Figaro scrisse: «Senzaombra di dubbio quegli abiti sono il peggio delle re-centi follie». E L’illustration: «Che orrore! Sotto queivestiti si poteva percepire il corpo!». In Inghilterra,dove Margo Asquith, moglie del primo ministro li-berale, aveva invitato Poiret a mostrare i suoi mo-delli, ci fu una vera crisi politica e la stampa conser-vatrice attaccò Downing Street, per l’occasione so-prannominata «Gowning Street» (da gown, abito).

“Le magnifique” accumulava fama, denaro, sve-nimenti di signore, oltraggi di gentiluomini, e, im-perturbabile, seguiva la sua strada di appassionatoinnovatore. Nel 1910 lanciò una gonna così strettaalle caviglie che le signore erano costrette a saltella-re: e questa volta intervenne addirittura papa Pio Xordinando ai parroci di non dare l’assoluzione allesignore così bizzarramente abbigliate. Ma fu con “Lamilleduesima notte” del giugno 1911 che inauguròle più scandalose delle sue innovazioni, la jupe cu-lotte e la jupe entrevée (la gonna pantalone e la gon-na ripresa alle caviglie), e addirittura un modello diveri pantaloni ampi, vagamente maschili, che anti-cipavano i pigiama degli anni Trenta. Jean Worth, dacui aveva lavorato a vent’anni, figlio di Charles Fre-derick, il creatore delle imponenti crinoline dell’Im-peratrice Eugenia, commentò la novità: «È volgare,è malvagia, è brutta! Il mondo è impazzito: nessunoparla più di arte, letteratura o politica, ma solo diquell’orribile indumento!». Nei mesi seguenti Poiretvendette jupe culotte per dodici milioni di franchi.Nessun couturier di quel periodo, ancora legati allamorigeratezza del corsetto, né il grande JacquesDoucet, né Madame Paquin né le sorelle Callot, ave-vano mai raggiunto un tale trionfo. Nel suo diario ilpoco più che ventenne Jean Cocteau scrisse: «Le du-chesse sono pronte a farsi vestire, svestire, metterein costume da Paul Poiret. Sognano solo di diventa-re la sua favorita, le fodere di seta e pelliccia dei cu-scini, i paralumi e i tappeti dell’harem del sultano al-la moda».

Paul Poiret a trent’anni era un uomo robusto conbarba e baffi scuri, neri occhi sporgenti, un aspettodignitoso e imponente da vecchio gentiluomo inmarsina e tuba. Veniva da una famiglia di nego-zianti di tessuti, il suo primo impiego l’aveva avuto

da Jacques Doucet, il sarto dell’alta società fine se-colo e grandioso collezionista, da Watteau a Matis-se, da Chardin a Picasso, da cui aveva acquistato ilcelebre Les Demoiselles d’Avignon. Poiret amava ledonne e le voleva libere; la moda e la voleva demo-cratica, per tutti; l’arte e fu uno scopritore di talen-ti. George Lepape era sconosciuto quando il cotou-rier lo scelse per disegnare l’album di una sua col-lezione. Era sconosciuto Romain de Tiroff, che a di-ciannove anni fece alcuni schizzi degli abiti pre-sentati da Poiret a Mosca e San Pietroburgo e dueanni dopo, a Parigi, divenne il suo assistente dise-gnatore col nome di Ertè. Nessuno sapeva chi fosseil pittore americano Edward Steichen e lui lo scelseper fotografare la sua collezione, trasformandolo inuna celebrità. Anche Man Ray fu introdotto alla fo-tografia di moda ed è sua quella famosa della gio-vane miliardaria Peggy Guggenheim in un abito ri-camato con strascico di un Poiret già in declino.Amico di artisti, collezionò più di un centinaio diopere, da Brancusi a Matisse, da Modigliani a Pica-bia, da Picasso a Van Dongen, Utrillo, Rouault, Vla-minck, Dunoyer de Segonzac e Raoul Dufy che perlui disegnava tessuti, inviti, pannelli.

Era davvero un personaggio vulcanico, eclettico,costantemente creativo: scriveva articoli, libri tutto-ra preziosi per chi si occupa di moda (En habillant

l’Epoque, Revenez-y, Art et finance), ed essendo ungran gourmet anche un famoso ricettario, 107 ricet-

te o curiosità culinarie. Fu attore accanto a Colette neLa vagabonde, disegnò costumi per le Folies-Bergé-re e il Casino de Paris, per un Nabuchodonosor e perun Afrodite. Con i suoi dipendenti, con cui era pro-tettivo e generoso, la regola d’oro, che vale anche pergli stilisti di oggi, era: «Voglio essere ubbidito anchequando ho torto». Dalle clienti pretendeva cieca sot-tomissione e non accettava nessuna osservazione.Offeso con la baronessa Henri de Rothschild, cheaveva criticato un suo abito, le impedì di entrare auna sua sfilata. «Non sono abituata ad essere messaalla porta dai miei fornitori», disse l’oltraggiata da-ma. «Non mi considero un suo fornitore e fino aquando non se ne andrà non ci sarà nessuna sfilata».Il giorno dopo si presentò il Barone stesso in compa-gnia della sua giovane amica che sino a quel mo-mento non aveva osato farsi vedere da Poiret perpaura di incontrare la Baronessa. Per quel che ri-guarda le critiche, Poiret ha fatto scuola: ad esserecacciate dalle sfilate oggi sono le giornaliste che nonsi prostrano ai piedi dei Narcisi più potenti.

Tutto ciò che oggi fa naturalmente parte delmondo della moda fu in qualche modo anticipato

si del corpo che, liberandolo dal rigido corsetto e dal-l’eccesso di stoffa, scegliendo come punto di forzadell’abito le spalle e non la vita, restituiva alle donneil diritto alla forma naturale, le preparava all’indi-pendenza, alla fuga dalla domesticità claustrofobi-ca, al mondo del lavoro e delle carriere, agli sport, maanche al tango che nessuna donna deformata in unaassurda clessidra, contro cui già si scagliava la scien-za medica, avrebbe mai potuto affrontare.

Le ricche signore parigine, come la contessa diGreffulhe, modello per la proustiana duchessa diGuermantes, si entusiasmarono subito per questasemplicità d’avanguardia che in qualche modo siadeguava allo slancio dei nuovi movimenti artistici,per le linee diritte, alla greca, gli scolli a barchetta, lavita alta, i colori vivaci, per la scoperta di una mai pro-vata libertà di movimenti. Ma le signore stavanochiuse nei loro salotti, nelle loro carrozze e automo-bili, e Poiret invece pensava che la moda esiste solo

STANCHEZZALassitude,un modellodi tunicadi Paul Poiretdisegnatoda GeorgesLepapenel 1912

Repubblica Nazionale

Page 9: Che - Togliatti

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 29 APRILE 2007

TRA I GUANCIALIUn vestitorealizzatodal couturierPaul Poirete disegnatoda GeorgeLepapenel 1911

ALBUM DI FAMIGLIAIn alto, Madame Poiret con la figlia Martinenel 1912. In basso, la famiglia Poiret: da sinistraPerrine, Madame Poiret, Colin, Paul e Martine

DIVE E ANCELLENella foto a sinistra,

due abiti di Poiretdel 1911

Qui accantoun abito da sera

in velluto bludel 1923

Nella foto in basso,Paul e Denise

Poiret in costumealla festa

della Milleduesimanotte del giugno 1911

Sotto, un dipintodi Georges Lepape

ispirato a Denisedurante la festa

da lui: e non solo nelle li-nee rivoluzionarie e neicolori alla Matisse, da sem-pre scopiazzati anche nelle ul-time collezioni; non solo nei tur-banti che attualmente fasciano la testadelle fashion victims; e negli allora scandalo-si stivali maschili al ginocchio, a tacco piatto e incolori squillanti che indossò anche l’attrice-dan-zatrice fatale Ida Rubinstein in un suo viaggio inAbissinia, conquistando gli atterriti dignitari loca-li. Fu il primo couturier a lanciare il suo profumo, eper questo aprì un laboratorio e una società chechiamò Rosine, dal nome della prima dei suoi cin-que figli, nata nel 1906. Fu il primo a progettare unacollezione di moda maschile, a inventare la bouti-que, a studiare il sistema del prêt-à-porter e delle

d’oro inventata, come il bar nel salotto, dal coutu-rier.

Al culmine del suo successo, venerato in tutto ilmondo, Poiret, a trentacinque anni, chiuse di col-po tutto, laboratori e casa di mode. Il 3 agosto 1914la Germania aveva dichiarato guerra alla Francia, elui, spinto da appassionato patriottismo, raggiun-se subito il reparto di fanteria cui era stato assegna-to, vestito con una divisa di tessuto pregiato e fattasu misura, a bordo della sua Renault Torpedo gui-data dall’autista. Evitando le baracche militari, si si-stemò con il pittore André Derain in un alberghet-to che arredò subito con mobili Impero e tendeMartine. Assegnato come aiuto sarto al 119° reggi-mento fanteria, imparò ad attaccare bottoni alle di-vise, accorgendosi dello spreco di tessuto e tempocon cui erano confezionate. Instancabile e deside-

roso di essere utile alla Patria,molestò ogni responsabiledell’esercito arrivando sino aAlexandre Millerand, mini-stro della guerra e futuro pre-sidente francese, senza risul-tato.

Dopo quattro anni e mezzodi impegno militare, a guerrafinita, Poiret fu finalmentecongedato. La sua primoge-nita Rosine, a dieci anni, eramorta di otite, il neonato Ga-spard di spagnola. Con unpiccolo capitale, bisognava, aquarant’anni, ricominciare

da capo, grandiosamente. Ma il mondo era cambia-to, erano cambiate le donne che con gli uomini alfronte avevano scoperto l’indipendenza, anche lamoda doveva cambiare, semplificarsi, diventare ra-zionale, meno costosa, a disposizione di tutti, adat-ta per quella nuova figura di donna che non era piùla signora ma la ragazza, splendente di giovinezza,impaziente di muoversi liberamente negli abiti dal-le gonne accorciate: la flapper, la bachelor girl.

Lui, che era stato il primo a rivoluzionare l’abbi-gliamento femminile e capiva benissimo i nuovi bi-sogni delle donne, non capì che il cambiamentonon era temporaneo ma irreversibile: il suo bisognodi unicità, di preziosità, gli suggerivano abiti rina-scimentali e medioevali, addirittura da infanta se-centesca; non gli mancava né l’ispirazione né la sa-pienza della bellezza, ma ormai le sue idee non cor-rispondevano più ai desideri delle donne. Il preci-pizio fu veloce, le riviste di moda cominciarono a

ignorarlo, le clienti sparivano. Ma la sua fama resi-steva e, in pieno sfacelo, Natasha Rambova, in viag-gio a Parigi col marito Rodolfo Valentino, gli ordinòun intero guardaroba. Anche Josephine Baker, lamassima star degli anni Venti, si vestiva solo da lui.Né le drammatiche difficoltà impedivano a Poiretdi mantenere il suo orgoglio: Mistinguett, che unavolta l’aveva irritato, gli chiese un costume rosa car-ne per un suo spettacolo al Casino de Paris. Lei ar-ricciò il naso: «Ma questo per lei è rosa?». E lui: «Cer-to mia cara, rosa spento, così appropriato per lei».

La situazione finanziaria peggiorava, fu costret-to a chiedere aiuto alle banche, che spietate si im-possessarono anche del suo nome. Continuava adavere iniziative brillanti, eleganti, raffinate, cheperò fallivano. Dovette vendere anche la sua col-lezione di quadri, finiti nei grandi musei america-ni e francesi, fino a quando i nuovi padroni gli tol-sero il telefono, gli sbarrarono l’ingresso nei suoiuffici e nel 1929, l’anno del crollo di Wall Street,chiusero definitivamente la Maison. Con ognifranco che guadagnava in vari modi Paul Poiretpagava i suoi debiti, andò anche a presentarsi alleliste di collocamento, che non prevedevano lavo-ro per un couturier, mestiere sconosciuto. Ungiorno incontrò Coco Chanel vestita di nero e lui,che odiava sia quel colore che la nuova giovane di-va della moda, le chiese ironico: per chi porta il lut-to signora? «Per lei signore», fu la risposta crudele.

Ma Paul Poiret che era stato ricco, potente, te-muto, venerato, non piegò mai la testa neppurenelle avversità, non smise mai di credere in se stes-so, di sognare, di progettare: neppure quando lamoglie lo lasciò, neppure ad ogni sfratto dalle ca-mere ammobiliate, neppure quando gli amici ri-masti fecero una colletta per permettergli di man-giare. Colpito dal morbo di Parkinson, debilitatoper le privazioni della miseria ma anche della Se-conda guerra mondiale, Paul Poiret morì in ospe-dale la sera di venerdì 28 aprile 1944: aveva ses-santacinque anni, Parigi era occupata dai nazisti,il primo maggio era una giornata di sole e il suo fu-nerale fu seguito da trecento persone. Non se neaccorse quasi nessuno, neppure i giornalisti, tran-ne Lucien François: «...un uomo non può, comePoiret ha fatto, dedicare la sua vita a esaltare il pre-stigio del lusso in una città che vive di lusso e ne ri-cava tesori; un uomo non può, come Poiret, esse-re stato colui cui tanti artisti, sarti, industriali tes-sili, profumieri, devono indirettamente parte del-la loro fortuna; un uomo non può esser Poiret emorire in tale desolata miseria».

Nell’agosto del 1914,partì per il frontecon una divisa su misurafatta di tessuto pregiato,a bordo della sua Torpedoguidata dall’autista

SILHOUETTEIn alto due modellidi Paul Poiretdel 1911 disegnatida Georges LepapeA sinistra,abito da giardinodel 1926A destra,un abito di setacon maniche crespee ornamentidi organza ai polsie alle spalle (1922)disegnatoda André Marty

royalties, a partire alla conquista degli Stati Uniti,a chiedere agli artisti di lavorare per lui. ChiamòMartine, come la sua secondogenita nata nel 1911(vennero poi Colin nel ‘12, Perrine nel ‘16, Gaspardnel ‘18), la scuola di arti decorative ispirata all’au-striaca Wiener Werkstatte, aperta a ragazzine par-ticolarmente dotate, di famiglia operaia, che lui sti-pendiava. Fu un’iniziativa così geniale che sei me-si dopo Poiret poté aprire in Faubourg Saint Ho-noré un negozio per vendere i loro lavori ultramo-derni, tappezzerie, tappeti, tessuti d’arredamen-to, mobili, lampade, vasi; le Martine, comevenivano chiamate le allieve della scuola, furonoingaggiate per decorare appartamenti, ristoranti,alberghi. Con quegli arredi Poiret decorò un ca-stello di Isadora Duncan; Sacha Guitry fu il primoad ordinare la vasca da bagno interrata di mosaico

LA MOSTRA

Il Metropolitan Museum’s Costume Institutedi New York celebra Paul Poiret allestendouna mostra dal titolo Poiret: King of Fashion. Sarannoesposti vestiti, disegni e bozzetti (parte di questomateriale non è mai stato esposto prima) e attraversovideo installazioni la mostra approfondirà la tecnicadi Poiret e la sua modernità. La mostra sarà inauguratail 7 maggio e aprirà al pubblico dal 9 maggio al 5 agosto

Repubblica Nazionale

Page 10: Che - Togliatti

Uno zibaldone di poesie, immagini, oli,litografie che il grande architetto

intitolò “Le Poème de l’angle droit”. Lo considerava la sintesidel suo pensiero artistico, l’ultimo approdo della sua concezionedello spazio. Ora, 52 anni dopo, viene pubblicato anche in Italia

ENRICO REGAZZONI

L’uomo che guarda e le utopie di cementodella Cupido 80 (una camera assai evo-luta per l’epoca), perfezionata consplendide fotografie. Infine liberatadall’aereo (Corbu fu tra i primi civili afarne un uso sistematico): «Dall’aereoho assistito a spettacoli che si potreb-be definire cosmici. Che invito alla me-ditazione, che richiamo alle verità fon-damentali della nostra terra!».

Così, partendo dagli occhi, riuscì acogliere il senso di tutti i progetti che sitrovò ad affrontare, a formulare le do-mande corrette e dunque a dotarsi di unbagaglio culturale essenziale che gliconsentì un uso trasversale del propriosapere. Pur avendo cominciato comeorafo cesellatore (La Chaux-de Fondsera città d’orologi e il suo primo maestrofu il pittore Charles L’Eplattenier), la

stricarsi nella spaventosa mole di ma-teriali che Le Corbusier, per bulimiad’azione ma anche per fiera volontà ditestimonianza di sé, ci ha consegnato:cento edifici, centosettanta progettinon costruiti, sessantacinque progettidi urbanistica, quattrocento pitture aolio, sette affreschi, duecento litogra-fie, quaranta tappezzerie, cinquantasculture, venti mobili, cinquanta libri,seimila disegni autografi, trentadue-mila disegni dello studio d’architettu-ra. Terrorizzante, d’accordo. Ma si po-trebbe almeno tentare, per scoprirequanto della sua eredità sia ancora vi-vo. La meta, come si dice, vale il viaggio.

Poi ci sono le occasioni, come questaedizione de Le Poème de l’angle droit (Ilpoema dell’angolo retto), dove Corbu(come lo chiamavano gli amici) eleggela forma artistica a ultimo approdo del-l’organizzazione spaziale. O come, ar-retrando nel tempo, le manifestazioniche si tennero vent’anni fa (sembranosecoli, quanto a clima culturale) in oc-casione del centenario della nascita.Proprio in quella circostanza, all’iniziodel 1987, apparve un numero specialedella rivista Casabella (all’epoca diret-ta da Vittorio Gregotti) curato da Pier-re-Alain Croset e interamente dedica-to a Le Corbusier. Meglio: il numerodella rivista prendeva in esame l’incre-dibile capacità di osservazione del rea-le che per il progettista era la primachiave di lavoro. «Guardare / osserva-re / vedere / immaginare / inventare /creare», questa la progressione cheteorizzava lui stesso negli ultimi anni.E ancora: «Sono un asino ma che hal’occhio. Si tratta dell’occhio di un asi-no che ha capacità di sensazioni. Sonoun asino con l’istinto della proporzio-ne. Sono e rimango un visivo impeni-tente».

Più che un’attitudine: un dono, il suosguardo. La possibilità di cogliere ilcentro al primo colpo d’occhio. Ma an-che una tecnica, dapprima sorrettadalla pratica costante del disegno (lamacchina fotografica era per lui «stru-mento di pigrizia»), poi, con l’arrivo

Chi si ricorda di Le Corbu-sier? Travolte dall’impie-tosa stagione della bellez-za, figure che hanno se-gnato con forza il nostromodo di pensare e di vive-

re rischiano oggi di essere difficilmen-te ricostruibili. Sono entrate nella sto-ria, si dice: ma la storia recente, e cioèquell’ordinamento del tempo passatoche pensavamo imperdibile, si è anchetrasformata in una zona franca della ri-mozione collettiva. E non è semplicerestituire nitidezza al profilo del perso-naggio che forse più di ogni altro in-fluenzò l’architettura del Novecento,forzandone i limiti e saturandola di ge-nialità e contraddizioni.

Intanto, quanti furono i Le Corbu-sier? Anagraficamente, uno solo: e cioèquel Charles-Edouard Janneret-Gris(lo pseudonimo di Le Corbusier loadottò per la prima volta sulla rivistaEsprit Nouveau, da lui fondata nel 1919con il pittore Amédée Ozenfant e ilpoeta Paul Dermée), nato in Svizzera,a La Chaux-de-Fonds il 6 ottobre 1887.Culturalmente, molti di più: il raziona-lista severo e l’umanista innamoratodella classicità mediterranea, il teoricodel cemento armato e il disegnatore dileggerissimi mobili, l’autodidatta inlotta contro le accademie e l’architettodisposto a collaborare con qualsiasipotente, l’intellettuale che vagheggia-va complessi abitativi ai limiti di unalogica concentrazionaria e il poeta ca-pace di progettare una chiesa che solograzie al suo peso non spiccava il volo.E poi il tirchio, il lirico, il generoso, il ci-nico, il genio... Tutto e il suo contrario,apparentemente. Ma sempre in ten-sione verso il confine dell’eccellenza, esempre all’insegna di un culto smisu-rato di se stesso.

Così, se uno ne avesse voglia (ma chi,fra quanti non lo conoscono già, po-trebbe oggi sentirsi spinto a fare i conticon lui, senza timore di apparire obso-leto o snob?), dovrebbe cercare di di-

qualità estetica (di un oggetto, di un edi-ficio, di un’intera città) non diventò mail’obiettivo primario della sua ricerca,ma piuttosto un esito naturale della ne-cessità. Impossibile, qui, riassumere inpoche righe le esperienze che segnaro-no il suo percorso creativo. Ricordere-mo il suo apprendistato presso PeterBehrens, a Berlino (fra il 1910 e il 1911),e il “voyage d’Orient” (sempre nel 1911),due fatti che certo pesarono nella suaradicale devozione alla classicità. Co-me pure fu decisiva, nel suo insegui-mento di uno standard edilizio innova-tivo, l’impressione che gli fecero le rovi-ne della Prima guerra mondiale in Fran-cia. Di tutto questo (e della sua espe-rienza pittorica, all’insegna del puri-smo) formulò una sintesi magistrale inVers une architecture, il libro che nel1923 gli valse la definitiva consacrazio-ne nell’olimpo della modernità.

Altro fu la battaglia per costruiredavvero. Tutti segnati da una forteesemplarità, gli edifici da lui firmati fu-rono certo inferiori, per numero e di-mensioni, a quelli che la sua carica diutopia gli avrebbe suggerito. Dalle vil-le ai “grands travaux”, fino alla cappel-la di Notre-Dame-du-Haut e a Chandi-garh (la nuova capitale indiana), LeCorbusier inseguì tanto il sogno collet-tivo di un nuovo modo di abitare quan-to quello, solitario, di un’arte che var-cava la soglia dell’indicibilità e diven-tava cosa. Pensò smisuratamente ingrande, riprogettando città senza es-serne richiesto e bussando, spessoinutilmente, a porte non consigliabiliquali quelle di Pétain, Stalin e Mussoli-ni (nulla di suo è edificato in Italia). Di-sinvolto Robespierre dell’architettura,cercò di imporre la felicità dell’ugua-glianza, disegnando spazi che indiriz-zavano i comportamenti delle perso-ne, anziché assecondarli. Poiché fu ge-niale, i suoi sbagli ebbero comunqueun senso. Ma quelli dei suoi entusiastinipotini, molto meno.

Ricordo un personale pellegrinag-gio giornalistico di anni fa all’Unitéd’habitation di Marsiglia, l’edificio-

“Sono un asino- diceva di sé -

ma che ha l’occhioSono un asinocon l’istinto

della proporzioneSono e rimango

un visivo impenitente

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

LeCorbusierI taccuini di

Repubblica Nazionale

Page 11: Che - Togliatti

Quell’angolo rettotra la mente e il cuore

Manoscritti, ghirigori, litografie, oli, disegni, collage. Nel1955 Le Corbusier pubblica Le poème de l’angle droit, poe-ma in formato extralarge, 32 per 42 centimetri, mischia

scrittura e composizione, parole e immagini, fonde bozzetti e pa-piers collés insieme alla sua ispirazione poetica. Un libro elegante,raffinato, in edizione limitata, 250 copie soltanto, un lavoro lungootto anni e 155 pagine, un discorso plastico-letterario, una nuovasintesi delle arti, un’affascinante percezione del reale presentatadalle Editions Verve promosse da Tériade, ovvero dall’effervescen-te artista e critico parigino Stratis Elefteriades che sulla sua rivistaospitava Léger, Matisse, Picasso. Il poème esce per la prima volta inItalia il 29 maggio (Electa, 185 pagine, 145 illustrazioni, 95 euro) conuna lunga introduzione di Juan Calatrava: «Le Corbusier attribui-va a questo poema un posto fondamentale nel suo iter e lo consi-derava un’opera di sintesi di ricapitolazione del suo pensiero e del-le sue idee intorno alla creazione artistica e architettonica».

Un libro sensoriale diviso in sette sezioni: Milieu-Ambiente,Esprit-Mente, Chair-Carne, Fusion-Fusio-ne, Caractères-Caratteri, Offre-Offerta, Ou-til-Attrezzo. Un sottocapitolo è dedicato aLa main ouverte-La mano aperta: «La vitache si gusta attraverso il plasmare delle ma-ni, la vita che è nella palpazione». In una fra-se c’è il grande amore per Yvonne Gallis, lamoglie morta: «Lei è in alto e non lo sa [...] leiè la rettitudine, il bimbo dal cuore limpidoche sta al mio fianco, i suoi gesti semplici equotidiani sono il sigillo della sua grandez-za». In un’altra la descrizione dell’ambienteche ci circonda: «L’universo dei nostri occhiriposa su di un piano bordato di orizzonte /La faccia girata verso il cielo / Consideriamolo spazio inconcepibile fino a qui non col-to». C’è un autoritratto: «Sono un costruttore di case e palazzi, vivoin mezzo agli uomini in pieno nella loro matassa ingarbugliata. Fa-re un’architettura è fare una creatura».

Ma cos’è l’angle droit definito dallo stesso Le Corbusier «catego-rico angolo retto del carattere, della mente, del cuore»? «È immagi-ne di ordine e chiarezza, è la figura più prossima alla linea retta —spiega Francesco Dal Co, ordinario di storia dell’architettura alloIuav di Venezia, che ha curato l’edizione italiana — il segnale e il se-gno di una differenza e di un confine, dei punti infiniti dove le co-se, toccandosi, si separano predisponendosi a venire ricomposte».«Questo poema — aggiunge — è il tentativo di mostrare come lamano lavora. Le Corbusier esemplifica il passaggio spiegando co-me la sua mano operi nell’avvalersi della parola, lo scrivere e dellaforma, il dipingere».

AMBRA SOMASCHINIcittà da lui progettato come un transa-tlantico (e costruito fra il 1947 e il 1952).Un gigante di cemento lungo 165 me-tri e alto 56, pensato per ospitare 1.600persone in 337 appartamenti di 23 tipi(ma la superficie standard è di 98 metriquadrati), ma anche dotato di serviziinterni quali albergo, bar e supermer-cato. Un’architettura grandiosa, in-quietante, che articola i “cinque pun-ti” fondamentali da lui teorizzati(pianta libera, facciata libera, pilotis disostegno, finestra in lunghezza e tetto-terrazza) e che, nel bene e nel male, la-scia il suo segno in chi la abita. C’erano,all’epoca, violente zuffe condominialiper decidere sulle enormi spese di ri-strutturazione (il cemento a vista siammalora rapidamente), e alcuni spa-zi pensati per la vi-ta in comune (ci-neclub, atelier difotografia, club diping-pong) eranostati chiusi. Dallapalestra sul tetto-terrazza, divenutascuola di karate,provenivano leangoscianti urladei lottatori. Mamolti inquilini(soprattutto ar-chitetti ed ex ra-gazzi del ’68 chenon avevano abdi-cato alle utopie co-munitarie) eranocomunque felici diesser lì, sostenen-do che all’internodell’Unité vigevauna solidarietànon riscontrabilein alcun quartierecittadino.

Sempre in quel viaggio, mi capitò dipernottare nel convento di Sainte-Ma-rie de la Tourette, a Eveux-sur-l’Arbre-sle, non molto distante da Lione. Erauno degli ultimi lavori di Le Corbusier(edificato fra il 1957 e il 1960), ma an-

che qui le impronte dei casseri eranoimbruttite da cavillature e crepe. E an-che qui era evidente la passione del-l’architetto per le idee e la sua noncu-ranza per le cosiddette finiture. Spez-zate in due le funzioni del chiostro (cheserve a pregare e a muoversi), i padridomenicani pregavano sui tetti-ter-razza e si spostavano nei lunghi cam-minamenti interni. Le celle, un’ottan-tina, riprendevano le dimensioni delModulor (un sistema di proporzioni amisura d’uomo che l’architetto avevaricavato dalla sezione aurea e dalla se-rie di Fibonacci): 226 centimetri in al-tezza, cioè un uomo con le braccia al-zate, e 186 in larghezza, un uomo con lebraccia aperte. Qualche lamentela deireligiosi, perché quello strambo pro-

gettista, che ama-va il contrasto deimateriali, avevamurato i vetri dellefinestre fisse diret-tamente nel ce-mento. Quando sirompevano, comeai vetri accade, eraun bel guaio.

Da ultimo visitaiil Cabanon di CapMartin, la baraccain legno (un qua-drato di 366 centi-metri di lato) checostruì per sé da-vanti al mare, sulterreno di amici, edal quale uscì perquel suo ultimobagno (morì nuo-tando, per crisicardiaca, il 27 ago-sto 1965). Un tavo-lo, uno sgabello,un letto, un lavan-

dino. Un’autopunizione? Al contrario:l’idea di quanto basta. Oggi, che l’ar-chitettura è un effetto e lo stupore è lasua musa, nulla sembra bastare. Delresto, l’essenziale richiede una dimen-sione. Il superfluo, no.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 29 APRILE 2007

TIRATURA LIMITATANel montaggio grafico,un’immaginedi Le Corbusiere cinque pagine tratteda Le Poème de l’angledroit. Il libro fu pubblicatonel 1955 dalle EditionsVerve in tiratura limitataOra esce anche in Italiaper Electa, che hariprodotto fedelmentel’edizione originale

RENZO PIANO, LE CORBUSIERE LA MAGICA LUCE ROSSALo schizzo e gli appuntiqui sotto sono il primo studiodell’architetto Renzo Pianoper il convento delle Clarisseche sta progettando e che dovràsorgere accanto alla cappelladi Ronchamp, operadi Le Corbusier. Accantoal disegno Piano ha scritto:“Le Corbusier a RonchampLe Corbusier la luce la fa entrareda nord. È la luce magicache si colora di rosso”

Repubblica Nazionale

Page 12: Che - Togliatti

mi dietro.Vado in un baretto lungo la Loira, un’omelette e

un bicchiere di Muscadet, pessimo il caffè. Mi sa cheaveva ragione la ragazza, un pompino e una coppadi Champagne era meglio. Amen. Pensiamo al pez-zo. Torno in albergo.

* * *«Challans. Tanto per dire che tipo è Bill Sheldon.

Oggi alle 18.48 parte alla ricerca della settima vitto-ria al Tour (il record, e con sei tutte di fila, è già suo)con un 7 giallo stilizzato sulla forcella. La ruota die-tro, lenticolare, è stata decorata da un celebre writerdi New York, Benny Salvatore. I motivi ornamenta-li, dorati su fondo nero, hanno un che di funebre, mapassi. Sul telaio si leggo-no due numeri, un 2 e un10. Così si chiama la lineadi abbigliamento dellaRoll studiata per Shel-don. Spiegazione. Il 2 ot-tobre (del ‘96) gli era sta-to diagnosticato il can-cro ed è da questa data, citiene a ricordarlo, cheSheldon comincia la suaseconda vita. Questosarà comunque il suo ul-timo Tour, l’ha detto e ri-petuto. E ha già designa-to il suo erede, Mirko Val-li. In passato gli aveva fat-to la corte perché entras-se nella sua squadra, e Valli aveva detto “no grazie”perché ci teneva a fare la sua corsa, senza vincoli. An-che adesso Sheldon lo corteggia. Gli tiene in caldo ilposto non più da gregario ma da capitano. I duegrandi avversari del Tour sono questi. [...]

«Si parte dalla Vandea, come nel ‘99, primo Tourvinto da Sheldon. Uno a cui nessuno pensava, inchiave maglia gialla, la sua era già una bella storia,quella di un ragazzo che sconfigge il cancro e che poibatte tutti gli avversari, infilando sei vittorie conse-cutive. Le ultime due più faticate, ma ugualmentesuccose. Sheldon è motivatissimo: “So di poter arri-

vare a sette Tour, è più di un sogno”. E ne trova unaper gli avversari: “È l’ultima occasione che loro han-no per battermi”. “Loro” chi?, questo è il punto. Glispagnoli annunciano Royo in buone condizioni,meno teso dell’anno scorso. Herrera, bel cavallino,verrà buono per le tappe. I francesi sono al minimostorico per numero di partecipanti e qualità. L’ulti-ma vittoria, col grande Hinault, è del 1985. Vernier,che almeno sul podio era salito, ha smesso.

«Altro in giro non si vede, e questo ci riporta aMirko Valli. Ho scambiato con lui qualche parola ap-partata tra una conferenza stampa e i massaggi. C’èqualcosa di nobile nel profilo delicato di questo ra-gazzo, e anche il suo modo di inquadrare la corsa èpoco comune, nel ciclismo: “Io so che vincerò il

Tour. Se non questo, ilprossimo. Ho ventisetteanni, almeno altri sei licorrerò. Mi sono innamo-rato del Tour da ragazzi-no, ma non so spiegareperché. È come per unadonna o una musica, èuna sensazione fortissi-ma che ti prende. Col Tourè nata la passione per In-durain. Mi sembrava unsaggio, non un freddo.Penso che noi siamo pri-ma di tutto atleti, ma an-che dispensatori di emo-zioni. Quando ero unmorto che pedalava, sullo

Stelvio, tanta gente mi ha incoraggiato e io ho capi-to, nel momento di maggior sofferenza, che ero en-trato nel cuore di tanti, anche se avevo vinto poco. Eper essere sincero, lo so che non vincerò mai molto.Potrei vincere una corsa in linea solo se avesse l’arri-vo in salita, e di corse così in Italia c’è solo il giro del-l’Emilia. In volata non sono forte, e non è così facilelevarsi tutti di ruota. A cronometro sono migliorato.Nel prologo non ha importanza se perdo 20 o 50 se-condi. Non corro dal Giro e potrei avere qualche pro-blema sul ritmo”.

«Già, il prologo. Non i soliti 6-8 km, ma 19. Una co-

sa seria, un impegno vero e legato al vento, che sul-l’oceano è mutevole e, molto spesso, forte. Ieri ci èstato regalato tutto il ventaglio, dalla pioggia al sole,unica costante il vento. Noir-moutier è un’isola piat-ta, famosa per le patate, le mimose e una frase del pit-tore Renoir che giudicava le sue acque ben più sug-gestive di quelle del Mediterraneo. Ciclisticamenteè famosa per il Gois, una stradina che si apre nel ma-re, percorribile solo con la bassa marea. [...] Alcuni siostinano a chiamare il Tour ‘la Grande Boucle’, maquest’anno il profilo è quello di due rotaie sbilenchee quasi parallele, prima da ovest a est — sino allosconfinamento in Germania — , poi da est a ovest —dalle Alpi ai Pirenei — , infine rapida (e con un paiodi tappe-trappola) risalita fino a Parigi». [...]

* * *Rileggo e detto. Ai dimafoni c’è Roberta, le faccio

lo spelling di tutti i ciclisti stranieri. Piero è in corta.Piero è un impallinato di ciclismo, secondo me co-nosce anche i dilettanti uzbeki. Guardo l’ora, tra unpo’ dovrebbe tornare Carletto da Challans, il paesedelle anitre, la grande riserva della Tour d’Argent.Vado sotto la doccia. Mi asciugo, mi stendo nudo sulletto. Ho spento l’aria condizionata per paura delcolpo della strega — è così dal ‘98, il Tour di Pantanil’ho seguito piegato in due, con Carletto che mi aiu-tava a infilare i jeans, che mi allacciava le scarpe. Unasigaretta, un sorso di Vittel, un superermetico di Do-menica quiz da terminare.

Dopo un po’ bussano. Dev’essere Carletto. Mi al-laccio intorno ai fianchi un telo da bagno — dovreidimagrire, ma non si viene al Tour per dimagrire —e apro la porta. Non c’è nessuno. No, qualcuno c’è.La ragazza della stazione, lì a terra sulla moquetteverde, sembra ancora più minuta. Ha la camiciastrappata, dei brutti segni sul collo, un foglietto gial-lo — un post-it — attaccato alla mano destra. Mi chi-no per vedere se sta male o è una finta e in pochi se-condi accadono molte cose. Uno: il telo mi scivoladai fianchi e resto più o meno nudo. Due: mi sembrache la ragazza non respiri. Tre: un grido fortissimo didonna mi buca le orecchie. Poi il corridoio si riempiedi cameriere, facchini, turisti, un tipo vestito di scu-ro e imponente (dev’essere della sicurezza interna)

la letturaCronisti noir

Esce per Feltrinelli il primo romanzo di Gianni Mura,un thrillingche si dipana lungo il percorso di un Tour de France insanguinatoNe anticipiamo il capitolo iniziale, dove una ragazza assassinata“bussa” alla porta della stanza d’albergo del narratore e lo precipita- da un’avventura fatta di racconti epico-sportivi e di ottime cene -in un incubo che solo un bizzarro commissario saprà dissolvere

“Ehi, Barba, ti andrebbeuna bella scopata?”

Ha parlato una ragazzinaminuta, capelli neri

a caschetto, minigonnaForse ho capito maleForse è una tossica

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

GIANNI MURA

NANTES, 1 luglio

«Ehi, Barba, ti andrebbe una bellascopata?».Sono appena uscito dalla stazio-ne, due quotidiani italiani in

mano. Il mio albergo è proprio di fronte. Ha parlatouna ragazzina minuta ma con grandi tette. Capellineri a caschetto, camicia a maniche lunghe, mini-gonna, sandali. Forse ho capito male. Forse no. For-se è una tossica.

«Non ho capito bene».«Allora ripeto: ti andrebbe una bella scopata, nel

tuo albergo?».Tutte le volte che mi abbordano ho sempre il ti-

more di essere scortese.«Mi sembra un po’ presto».«Mica vero, la tarda mattinata è l’ideale per i pen-

sionati».«Non sono ancora un pensionato».«E che ci fai a Nantes?».«Sono qui per il Tour».«Benissimo. Viva il Tour. Offerta speciale: un

pompino imperiale più una coppa di Champagne,cinquanta euro. Champagne a carico tuo. Cosa c’è,non sono abbastanza carina? O sei finocchio?».

«No, anzi, ma ho da lavorare».«Mi crolla il mito dell’italiano sempre arrapato».Sveglia, la ragazzina. Il rosa della “Gazzetta” l’ha

notato.«Sono poco italiano e poco arrapato». La seconda

è una mezza bugia. Lei è bella è anche simpatica, nel-la sua sfrontatezza. Carletto è andato a Challans persintonizzare la radio di bordo su Radio Tour e tornaa metà pomeriggio. Il pezzo è il solito pezzo di vigilia.Metto la mano nella tasca destra, dove tengo le ban-conote sotto i cinquanta. Ne prendo una a caso. È daventi. Gliela allungo.

«Dai, vai a farti un panino, è l’ora giusta anche perquello».

«Lo considero un anticipo». Fa sparire i soldi nel-la tasca della camicia. «Arrivederci».

Non torno in albergo, quella è capace di venir-

Repubblica Nazionale

Page 13: Che - Togliatti

Il killer della bici accanto

giallo su giallo al Tour

che correndo precede l’arrivo di due poliziotti. Gri-dano a tutti di andar via, a me dicono «dentro» conaria poco amichevole. Mi sono ridrappeggiato neltelo, mi siedo sul letto e vedo un uomo anziano chi-narsi sulla ragazza. Poi la porta si chiude. Non primache una voce dall’accento del Midi urli «porco, as-sassino, lasciatelo in mano a noi che gli tagliamol’uccello e glielo ficchiamo in bocca».

Poi silenzio. Ho il cuore in gola e la certezza di es-sere in un brutto guaio. Uno dei poliziotti («AgenteLe Guilloux, ho alcune domande per lei») mi ordinadi spostarmi dal letto, potrei cancellare delle prove.

«Prove di che?».«Come di che? La troviamo nudo sulla porta della

sua stanza, una ragazza a terra, con le vesti scompo-ste, e si mette a fare il furbo?».

«La ragazza può chiarire tutto».«La ragazza non chiarirà più nulla. A quanto sem-

bra è morta strangolata. Sarà la sua autopsia a chia-rire qualcosa, semmai. Risparmiamo tempo: l’haviolentata?».

«No, né lei né altre».«Controlleremo. La conosceva?».«Mai vista in vita mia».«E com’è finita proprio davanti alla sua porta?».«Non lo so, ero a letto, stavo facendo un gioco enig-

mistico, vede il pennarello ancora aperto? Hannobussato, credevo fosse l’autista, mi sono coperto co-me capitava e sono andato ad aprire».

«Perché dovrei crederle?».«Perché è la verità».«La sua verità. Ne vuole sentire altre?».Preferirei di no, ma si apre la porta ed entra un ti-

po magro, con gli occhialini d’oro. Mi guarda comefossi una merda secca.

«Le Guilloux, continuo io. Tu e Vernet andate datutti quelli che stanno al piano, magari qualcuno hasentito qualcosa. Ci vediamo dopo».

Dà un’occhiata in giro, si sofferma sull’Olivetti 32.«So che lei è giornalista e che è a Nantes per il

Tour».«Sì, come base, le prossime tappe sono qui intor-

no e a Nantes ci sono più posti letto».«Come mai usa ancora questo ferrovecchio?».«Ci sono affezionato, mi piace scrivere così e non

essere nato, glielo garantisco».«Non ho nulla da temere», ribatto cercando di te-

ner ferma la voce. E intanto penso: mi avrà vistoqualcuno mentre parlavo con la ragazza? Un dialo-go di un minuto scarso, senza mai alzare i toni. Gio-co il jolly: «Può chiedere informazioni sul mio contoa Blanchard, il gran capo del Tour. Pensi che da pro-fessionista ha vinto solo una corsa, il Grand Prixd’Aix-en-Provence, e io c’ero. Il primo Tour l’ho se-guito nel ‘67».

«Non mi interessa la storia della sua vita, ma solole ultime ore. Controlleremo, ci informeremo. Arri-vederci».

E via rigido, senza una stretta di mano. Forse è giu-sto, sono un sospettato. E cammino in bilico: ho rac-

contato una balla, sonoinnocente ma rischio dipassare per colpevole.Fumo una Ms dopo l’al-tra. Meno male che arrivaCarletto. «Sô giamò tu-scòss», dice. «Il facchinoportoghese», aggiunge.«Un casìn de la madòna»,chiosa.

Carletto Morelli, mila-nese di piazzale Corvet-to, autista alla Gazzettadello Sport, prima a tra-sportare giornali (tempomassimo cinque ore edieci da Milano piazzaCavour a Roma via Mar-

sala, anche con la nebbia e la neve), poi inviato allecorse ciclistiche, è andato in pensione nel ‘91. L’hoingaggiato al volo. Non seguirei il Tour se non ci fos-se e lui non lo seguirebbe senza di me. Andiamo d’ac-cordo su molte cose, ed è fondamentale: quasi unmese di vita in comune, a volte dividendo anche lacamera d’albergo, non si reggerebbe se l’altro nonfosse in sintonia.

Gli racconto tutta la storia.«Se salta fuori che vi eravate parlati, è un casino»,

commenta. «Era un casino anche se dicevo che ci eravamo

parlati. Volevo vedere come te le cavavi tu, toc toc ec’è una morta sull’uscio».

«E chi ha bussato?».«E che cazzo ne so io? Lei no, se era morta».«T’hann fa su un pacch, me par». Poi cambia di-

scorso.«Non avevi prenotato nel miglior ristorante di

Nantes? Siamo quasi in ritardo e mangerei un bue».Prendiamo un taxi, sembra che a Nantes ci siano

solo lavori in corso. L’Atlantide è al quarto pianod’un palazzo ultramoderno. Jean-Yves Guého fauna cucina fresca, con accostamenti insoliti (gran-seola e mango, astice e fagioli) e i dolci sono strepi-tosi. Ancora Muscadet, ma di quello buono, e perchiudere un Vieux Calvados di Heurtevent. Parlia-mo della corsa, di altre vecchie corse, il Calva lo as-saggia anche lui (quando guida, solo acqua minera-le — qui non scherzano —, e del vino e dei distillatisente solo il profumo, «che è già qualcosa»).

A mia moglie ho già telefonato, è sull’altopiano diPinè con sua sorella, si alzano presto per andare afunghi. Al giornale ho già fatto la telefonata di con-trollo, pezzo arrivato, tutto a posto. C’è solo da spe-rare di prender sonno presto, forse avrei dovuto ber-ne due, di Calva, adesso chiamiamo un taxi e via.

Sul marciapiede c’è l’ispettore Gibert con due po-liziotti diversi da quelli del pomeriggio.

«La dichiaro in arresto. Venga con noi».Vedo che Carletto sta per partire come un bufalo

e lo blocco.«Avvisa qualcuno a Roma, Aligi o Peppe o Fabri-

zio. Meglio se trovi Stella. Dillo anche a Blanchard.Non preoccuparti, non ho fatto niente di male».

«Tranne che un omicidio», ridacchia Gibert. Ma-nette, sedile dietro e via, senza lampeggiante.

«Posso prendere in albergo due cose di cui ho bi-sogno?», chiedo.

«Ma certo», dice un poliziotto. E mi tira un fortis-simo pugno alla bocca dello stomaco. «Di questo haibisogno, bastardo».

Mi vomito addosso una buona cena. «Un veroporco», sento dire. Il dolore è acutissimo, mi sforzodi non urlare, la situazione precipita e mi sa che sia-mo solo all’inizio.

© 2007 Giangiacomo Feltrinelli Editore

sul computer».«Le piace anche strangolare puttane?».Ha una voce fredda, ha qualcosa del serpente. De-

vo stare attento.«Non sapevo che battesse».«Proprio qui davanti. Dominique Roux, dicianno-

ve anni ma ne dimostrava meno, eroinomane eninfomane, specializzata in ammucchiate a tre e aquattro. Pur di fare quattrini abbordava tutti, uomi-ni e donne, vecchi e giovani, bianchi e neri. Sicuro dinon averla mai vista?».

«E quando? Siamo arrivati stamattina da Tours. Legiuro, ispettore, mai vista in vita mia».

«Ispettore Gibert. Io non so se lei sia stato il primoa vedere Dominique morta o l’ultimo a vederla viva,o se ha coperto tutt’e duei ruoli. L’indagine è appe-na partita. Lei è un testi-mone importante, quin-di non può lasciare la cittàe tanto meno la Francia.Se lo ricordi».

«Veramente domanipomeriggio dovrei esserea Noir-moutier per il pro-logo del Tour».

«Per domani pomerig-gio dovremmo averequalche elemento inpiù».

Devo mostrarmi colla-borativo. Gli scrivo il nu-mero del mio cellulare —lui ricambia con un biglietto da visita — e gli dico ilprogramma.

«Per cena ho prenotato all’Atlantide, quai Ernest-Renaud, alle otto e mezzo. Andiamo lì, pare che simangi bene, e poi rientriamo in albergo. Magari lachiamo domani verso mezzogiorno per la faccendadel prologo».

Torna a guardarmi come fossi una merda secca.«Non me ne importa nulla di come mangia. Ho per

le mani un caso di omicidio e il principale indiziatoè davanti a me. Se mi ha raccontato anche solo unavirgola non corrispondente a verità rimpiangerà di

Bussano, apro la portaNon c’è nessuno. No,

qualcuno c’è. La ragazzadella stazione, lì a terrasulla moquette,sembrapiù minuta. Ha un post-it

attaccato alla mano destra

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 29 APRILE 2007

IL LIBRO

Gianni Mura, cronista sportivo di Repubblica, si inventa un Tour de France bagnatodi sangue. Il protagonista fa il mestiere di Mura: segue il Tour, quando può mangiae beve bene, ricrea per i lettori il clima delle tappe, telefona ogni tanto alla saggiamoglie, descrive la quotidianità bizzarra di una delle manifestazioni sportivepiù epiche. Ma fin dall’inizio le cose si mettono male: una giovane prostitutache ha tentato di adescarlo viene trovata senza vita davanti alla porta della camerad’albergo del cronista. Che naturalmente viene subito sospettato, portato in galerae interrogato a sangue. Il brano che anticipiamo è il primo capitolo. Il libro si intitolaGiallo su giallo (Feltrinelli, 232 pagine, 14 euro) e uscirà il 3 maggio.L’immagine è tratta dal film di animazione Appuntamento a Bellevilledi Sylvain Chomet del 2003

FO

TO

WE

BP

HO

TO

Repubblica Nazionale

Page 14: Che - Togliatti

Dopo un difficile inizio di carriera la giovane soprano russa,relativamente poco ascoltata e poco nota in Italia, è ormaiconsiderata un astro assoluto della lirica e attira plateeappassionate ovunque si esibisca. Tra i suoi fan c’è ancheun celebre scrittore sudafricano, che in esclusivaper le nostre pagine racconta come è diventato un “netrebkiano”

Ho appena intrapreso unpellegrinaggio di dieci-mila chilometri — il terzoin tre anni — sulle ormedel soprano russo AnnaNetrebko. Ogni viaggio

ha rappresentato una pietra miliaresulla via dell’amore che mia moglie edio percorriamo insieme da quando ciincontrammo per la prima volta a Sali-sburgo, alla fine del 2004. Fu subito do-po averla incontrata che sentii cantarela Netrebko per la prima volta in Sem-pre libera: uno dei suoi primi cd dive-nuto ormai quasi leggendario. La miaprima passione musicale erano state lecomposizioni strumentali. SoprattuttoMozart. Con gli anni, alcuni straordi-nari interpreti — attraverso delle vec-chie registrazioni di Caruso, Gigli eBjörling, Tebaldi e Galli-Curci, poi del-la Sutherland e, inevitabilmente, dellaCallas — mi hanno fatto apprezzare an-che l’opera. Ma è stato ascoltando An-na Netrebko in una piccola città nelcuore del Sudafrica che ho colto le po-tenzialità dell’opera in quanto espe-rienza totale, in un modo che non ave-vo mai immaginato. Inviai immediata-mente un sms per raccontare della miascoperta alla donna che amavo. Di lì acinque minuti lei mi rispose con unsunto della carriera di Anna Netrebko— compreso il fatto che l’artista avevadefinitivamente sfondato sulla scenamondiale nel 2002 al Festival di Sali-sburgo, nei panni di Donna Anna, nelDon Giovanni.

Nacque così l’idea del primo dei mieipellegrinaggi, nell’agosto del 2005. Na-turalmente ottenere dei biglietti era sta-to impossibile, pur con sei mesi di anti-cipo. Ci mettemmo ugualmente in viag-gio alla volta di Salisburgo nella convin-zione che una volta sul posto sarebbeaccaduto qualche miracolo. Non fu co-sì. Pare che al mercato nero i biglietti perla Traviata con la Netrebko e RolandoVillazón fossero venduti per cinquemi-la euro. Quella sera dunque mia moglie,suo fratello Krystian ed io ci recammo alristorante Zirkelwirt, al centro di Sali-sburgo, consapevoli del fatto che Anna

NetrebkoVi racconto la voce

che ha incantato il mondo

SUSANNAAnna Netrebkoritratta durantele prove nel ruolodi Susannanelle Nozze di Figarodi Mozart l’annoscorso a Salisburgo

Anna

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

LE ALTRE

ANGELA GHEORGHIUSoprano drammatico, romenadi nascita (Adjud 1965), debuttòal Covent Garden di Londranel ruolo di Mimì nella Bohèmedi Giacomo Puccini. Suo maritoè il tenore Roberto Alagna

RENÉE FLEMINGNata nel 1959 in Pennsylvania,la sua fama si affermò definitamentenel ruolo della Contessanelle Nozze di Figaro di MozartOggi è apprezzata soprattuttocome interprete di Richard Strauss

NATALIE DESSAYFrancese, nata a Lione nel 1965,soprano di coloritura dalla voceestesissima. Celebre la sua Reginadella notte nel Flauto magicodi Mozart. Problemi alle corde vocalil’hanno tenuta lontanadalle scene per lungo tempo

BARBARA FRITTOLIÈ nata e ha compiuto gli studimusicali a Milano, dove può contarealla Scala su un pubblico entusiastaApplaudita in tutto il mondo,è interprete mozartianama soprattutto del repertorio italianoda Rossini a Verdi e Puccini

ANDRÉ BRINK

Repubblica Nazionale

Page 15: Che - Togliatti

stesse cantando a meno di cento metrida noi, pur restando irraggiungibile co-me se fosse su un altro pianeta.

Dopo cena, sotto una pioggia sfer-zante, ci trasferimmo al Café Tomasel-li, ancora profondamente sconsolatima almeno consapevoli di esserci avvi-cinati. Lungo la strada ci imbattemmoin una delle numerose strutture a for-ma di cono che quell’estate erano dis-seminate per tutta Salisburgo. Era di ungiallo sfacciato. Una volta raggiuntala,Krystian si fermò premendovi control’orecchio e rimase senza fiato dallasorpresa: «Da questo coso escono suo-ni!». Mi avvicinai, e la mia incredulitàpresto si trasformò in meraviglia. «Diomio!», dissi. «È la Traviata! È Anna!».Proprio così. In diretta dalla Fest-spielhalle. Arrivammo al Tomasellizuppi sino al midollo, ma sentivo che lamia missione era stata portata a com-pimento: avevo sentito Anna Ne-trebko. Dal vivo — anche se a distanza.

Un anno dopo, era l’agosto del 2006,grazie all’intervento di una persona in-fluente e addentro al Festival riuscim-mo ad ottenere i biglietti per Le Nozze diFigaro (pare che quella volta al mercatonero avessero raggiunto i diecimila eu-ro). Proprio come la sua Donna Annaaveva ridefinito tre anni prima il DonGiovanni, e come la sua Violetta dellaTraviata aveva infuso nella musica diVerdi le profonde complessità e l’uma-nità del testo di Dumas, la Susanna diNetrebko rivelava delle profondità chepochi altri soprano avevano espressoprima di lei. Questa Susanna non erauna soubrette, ma presentava ombre esfumature di sofferenza umana — efemminile — di cui forse solo Mozart erastato consapevole. (Pochi giorni dopo,quando si presentò l’opportunità di di-scutere brevemente di questo con AnnaNetrebko, lei ammise con un accenno disorriso: «Quando iniziai a lavorare a Su-sanna sapevo solo che dovevo fare qual-cosa di nuovo». E io, per un attimo, hopensato a Baudelaire: «Plonger au fonddu gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe? /Au fond de l’Inconnu pour trouver dunouveau!».

E siamo al terzo pellegrinaggio. Que-sta volta ad animarmi era un proposito

amplificato: non volevamo più ascolta-re solo Anna, ma Anna-e-Rolando. Dadiversi anni ormai questi due artisti so-no al centro del mondo operistico. Dicoppie famose l’opera ne ha viste: Giglie Galli-Curci, Tebaldi e Di Stefano. O an-cora Di Stefano con la Callas. E in tempipiù recenti Alagna e Gheorghiu. Ma pursenza perdere di vista questi tenori e so-prani, Anna Netrebko e Rolando Vil-lazón hanno acquistato un rilievo stella-re che sembra mettere in ombra tutti glialtri. Come la stessa Anna ha detto re-centemente, con un’alzata di spalle:«Un tempo gli artisti appartenevano al-la Chiesa, mentre oggi appartengono aimedia e al denaro». Questo li mette difronte ad una scelta cruciale: sottostareallo sfruttamento dei media e del dena-ro o servirsene, cogliendo l’opportunitàper affermare la propria libertà interio-re. Sempre libera, appunto.

Inizialmente Anna e Rolando si sonofatti apprezzare per le loro capacità in-dividuali. Lei, dagli esordi piuttosto dif-ficili al teatro Mariinskij di San Pietro-burgo (dove, come tutti ormai sanno,da studentessa di musica lavava i pavi-menti per poter assistere alle prove deicantanti) sino all’affermazione nel DonGiovanni; lui esordendo al Conserva-torio nazionale di musica del Messico efacendosi strada tra i giovani artisti del-la Pittsburg Opera, prima di attrarre sudi sé l’attenzione del mondo nel 1999nelle vesti di Des Grieux in Manon, aGenova. Ma quando hanno iniziato acantare insieme è stato come se unotsunami musicale avesse investito ilmondo. Sembrano darsi l’un l’altro lapossibilità di crescere — di essere —con maggior pienezza; entrambi con-tribuiscono, separatamente, ad un in-sieme incomparabilmente più grandedei loro esseri individuali. Non solo ag-giungono qualcosa alla musica, ma laincarnano, rivoltandola su se stessa, fa-cendola espandere e poi riversarsi sulpubblico. È questo il segreto della loroBohème e — persino più trionfalmente— della loro Traviata e del loro Elisird’amore.

La giovane scrittrice sudafricana Su-san Mann, nella sua recente operaQuarter Tones, fa maliziosamente bol-

lare l’opera in questi termini da uno deisuoi personaggi: «L’ultima cosa di cuiho bisogno è un italiano nevrotico chemi urli come se gli avessero appena fat-to una multa». L’opera sembra infattispesso considerata — anche dagliamanti della musica — un genere trop-po “superficiale”, troppo “melodram-matico” per essere preso seriamente.Viene alla mente il famoso dottor John-son, che definì il romanzo «un piccoloracconto, per lo più d’amore». Da allo-ra abbiamo conosciuto Dostoevskij eTolstoj, Sigrid Undset, Kafka e Már-quez... E mi pare che, da quando Ne-trebko e Villazón hanno iniziato a

reimmaginare il significato stesso delconcetto di opera, questo non sarà piùlo stesso.

Nel mentre, giovani come sono (en-trambi hanno sui trentacinque anni),Netrebko e Villazón possono sfruttareappieno gli eccessi del mondo dei divi,mantenendo al tempo stesso — graziein parte ad un sano senso dell’umori-smo — un’autentica umiltà. Di fatto,un’innocenza assolutamente disar-mante. Netrebko viene salutata in Ger-mania come «die letzte Primadonna»(l’ultima primadonna, ndt) eppurenon si fa problemi di girare per le stra-de di Salisburgo su una bicicletta mal-concia, i capelli neri raccolti in un cap-pellino con visiera. E Villazón sarà purelargamente acclamato come forse il piùgrande tenore dei nostri tempi, ma a chigli chiede come sia la vita sull’Olimpo

risponde che sua moglie gli ricorda dinon essere dopotutto che un aquilonenel cielo — e che è lei a tenerlo salda-mente legato a terra. La dice lunga an-che la gioia con cui racconta la parabo-la dello specchio magico, che risucchiaal suo interno chiunque specchiandosidica una bugia. Un soprano fissa lospecchio e proclama: «Io penso che ilmondo non abbia mai visto una Gildacome me»; con un suono di risucchio,lo specchio la fa sparire. Arriva un bari-tono, che si vanta: «Io penso di essere ilmiglior Rigoletto mai apparso sullascena»; e sparisce. Si avvicina poi un te-nore, si mette in posa e inizia: «Io pen-so...»; immediatamente lo specchio lorisucchia per sempre. Questo certa-mente non potrà mai accadere ad Annae Rolando: una delle prime cose checolpisce l’ascoltatore o lo spettatore èquanto ciascun ruolo, ciascuna battu-ta, ogni alterazione, legato, pausa o ru-bato siano stati pensati.

Sono stati già descritti come «la cop-pia ideale», o «i gemelli divini». È ne-cessario farsi largo tra il fitto fogliamedelle metafore e degli aggettivi inventa-ti dai media quando vogliono montareun caso. Questi due cantanti, prove-nienti da angoli opposti della Terra,sembrano offrire un cocktail intenso,inebriante e assolutamente irresistibi-le a base di vodka e tequila. Ed è affasci-nante vedere con quale abbandonoVillazón riesce ad identificarsi con lamelanconia e la collera più tetre e laquasi insopportabile tenerezza dellamusica russa, o la convinzione e l’esu-beranza con cui Netrebko fa propria lafuria española di una zarzuela.

È vero che entrambi danno il loromeglio nel contesto di un’opera, dovepossono vestire un ruolo che nel corsodi un’interpretazione si sviluppa, siespande e cresce. È questo il motivo percui parlavo di una esperienza totaledell’opera: in un’aria specifica è possi-bile che Renée Fleming, Cecilia Bartoli,Angela Gheorghiu o Mirella Freni offra-no un’interpretazione “migliore” diNetrebko. Ma se si guarda l’effettocomplessivo, fatto di apparenza, capa-cità recitative e canore, questi due arti-sti sono semplicemente unici. (Ad ogni

buon conto, come ha insistito una vol-ta la stessa Anna in un’intervista, nellamusica non si tratta di scegliere deicampioni: quel che occorre piuttosto èil senso di gratitudine e ammirazionecon cui si sa apprezzare un miracolo).

È per questo che non ho resistito allatentazione di andare a Parigi per vede-re e sentire quei due in concerto alThéâtre des Champs-Élysées. Non sitrattava di un’opera, quindi nessunodei due poteva dare — e sviluppare —l’“esperienza totale” che avevano of-ferto con Verdi, Mozart, Puccini o Do-nizetti. Ma pur nei limiti delle piccole,levigate perle che hanno cantato da so-li o insieme, in una miscela eclettica main definitiva magica, fatta di Ciaikovskije Verdi, Gounod e Rachmaninov, Mor-rena-Torroba, Ponchielli, Catalani eMassenet, hanno incantato il pubblicoparigino (non elegante come quello delFestival di Salisburgo o della WienerOper, ma decisamente esigente e daigusti sicuri). C’è stato qualche intoppo:In Je veux vivre, da Roméo et Juliette, lavoce di Netrebko è preoccupantemen-te venuta meno in un do di petto. E du-rante uno dei bis — il Brindisidella Tra-viata — si è addirittura dimenticata leparole. Ma lei e Rolando ne hanno fat-to un trionfo: la cantante si è prima pie-gata in due crollando dal ridere; lui poil’ha aiutata a rialzarsi, mettendosi aballare con lei. Alla fine tutto il pubbli-co era in piedi ad incoraggiarli e ap-plaudirli.

Così la serata si è trasformata in unarappresentazione. Il pubblico, che al-l’inizio osservava Anna (la quale era al-la sua prima apparizione parigina) conatteggiamento critico, analizzando leinterpretazioni con intelletto d’ac-ciaio, è stato man mano blandito e con-quistato sino a farsi travolgere dall’e-stasi e dall’esultanza, per finire in pie-di, in un applauso scrosciante che si èprotratto per molti minuti, con alcunidei francesi che addirittura urlavano«Spasiba!».

Siamo venuti, abbiamo visto, siamostati conquistati.

Sono pronto per il prossimo pellegri-naggio.

Traduzione di Marzia Porta

“Un tempo gli artistiappartenevano

alla Chiesa”, diceAnna con un’alzata

di spalle, “oggiappartengono

ai media e al denaro”

L’AUTORE

André Brink (ritratto con Anna Netrebko nella foto qui accanto,scattata dalla moglie Karina l’anno scorso a Salisburgo)è uno scrittore sudafricano di cui molti libri sono tradotti in ItaliaTra i suoi titoli ricordiamo: Un’arida stagione bianca, editoda Sperling; La polvere dei sogni e Desiderio, Feltrinelli; La primavita di Adamastor, Instar Libri. L’editore Le Vespeha anche pubblicato Ieri è vicino. Scritti sul Sudafrica e La Valledel Diavolo. Da Un’arida stagione bianca è stato tratto nel 1989un fortunato film con Donald Sutherland, Susan Sarandone Marlon Brando

MANONAnna Netrebko nei panni di una moderna Manon

Si tratta dell’edizione dell’omonima operadi Jules Massenet andata in scena lo scorso marzoalla Staatsoper di Vienna. Con la soprano, il tenore

Roberto Alagna interpreta Des Grieux

AL BALLOAnna Netrebko ancora sul palcoscenico dell’Operadi Vienna, uno dei teatri dove più spesso è chiamataad esibirsi, insieme alla Festspielhaus di SalisburgoQui la vediamo impegnata nella tradizionale seratadel grande ballo dell’Opera, lo scorso 15 febbraio

RECITALLa Netrebko con il tenore messicano Rolando Villazóndurante un recital tenuto l’anno scorso all’auditoriumCiaikovskij di Mosca. Nel Paese natale la Netrebkoè stata oggetto di polemiche dopo che ha chiesto

(e ottenuto) la cittadinanza austriaca

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 29 APRILE 2007

FO

TO

RE

UT

ER

S

FO

TO

TA

SS

FO

TO

AP

FO

TO

AP

Repubblica Nazionale

Page 16: Che - Togliatti

48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

i saporiTrasgressioni Macinatura fine o grossolana, di maiale

o carni miste, morbido o ben stagionato,il gioiello più celebre della nostra norcineriaviene festeggiato da oggi a Caglicon “Distinti Salumi” e a metà maggio a Felinonella due giorni di “Salame & Champagne”

Sei un salame, ti dicono. Guai a offendersi: chi usa il più trasgressivo e goloso dei salumi comeun insulto non sa godersi i piaceri della tavola. Perché addentare pane e salame è un inno al-la gioia del palato, ovunque noi siamo: picnic, pausa lavorativa, merenda, intermezzo, cola-zione rustica, premio dopo una vigorosa camminata o consolazione a metà di un’intermi-nabile giornata sui libri. Con tutte le variabili connesse, a cominciare dal pane: michetta fra-grante o due robuste fette di pane cafone, la lunga baguette o lo sfizioso bocconcino con pe-

peroncino e cipolla, la croccante pasta dura mantovana o il pane toscano senza sale.Ma soprattutto lui, il principe dei panini: macinatura fine o grossolana, pepe in grani o aglio a sveni-

re, magro e muscoloso o languido e grassoccio, morbido come si conviene appena svezzato dalla lavo-razione o indurito da una stagionatura severa, di puro maiale o frutto di “meticciato carnivoro”. E poiil taglio, su cui si rischiano litigi epocali: con o senza budello, fetta spessa o sottile, sottilissima, in dia-gonale o tonda come una moneta. E ancora, il bicchiere a coté: dall’immancabile Cola dei ragazzini auna birra fresca e spumosa, su su fino all’empireo alcolico: un bianco secco e aroma-tico, un rosso allegro e corposo, o l’ammiccante compagnia delle bollicine.

Non a caso, il secondo fine settimana di maggio, a Felino, terrasanta del salame, op-portunamente gemellata con Cumières, si celebra “Salame & Champagne”, due gior-ni di passione eno-gastronomica con produttori emiliani e vignerons francesi in pas-serella insieme. Il tutto con i ristoranti-testimonial di un’altra storica rassegna, “Sa-lame mon amour” — Cantinetta, Porta di Felino, Trattoria Leoni, Pane e Salame —pronti a offrire il menù degustazione completo di flute a 35 euro, pausa pranzo coifiocchi tra il mercato del mattino e la visita al Museo del salame, alloggiato nel castel-lo medievale che domina il borgo.

Visitare il museo, dove si racconta il percorso del miglior salame artigianale, aiuta acapire che c’è salame e salame. E che le protezioni europee — Dop e Igp — non basta-no a garantirci. L’elenco degli additivi permessi in alcuni disciplinari — a cominciareda caseinati, polifosfati, nitriti e nitrati di sodio e potassio — lascia inquieti così comegli starter microbici, che accelerano artificiosamente la stagionatura. Certo, alcune so-stanze aiutano a sterilizzare le carni, uccidendo i batteri tossici. In altri casi, migliora-no colore, sapore, aspetto. In compenso, la presenza di nitriti — che possono forma-re nitrosammine cancerogene — è vietata nell’acqua potabile, mentre i nitrati — me-no velenosi — rischiano di trasformarsi in nitriti se non tamponati dall’acido ascorbi-co (vitamina C). In quanto ai polifosfati, trattengono l’acqua nei tessuti e alterano ilrapporto calcio-fosforo, intervenendo negativamente sulla calcificazione ossea.

Per fortuna, esistono produzioni che prosperano alla larga dalla chimica: carni di prima scelta, ma-nipolazione e salagione accurate, budelli naturali, stagionatura in cantine controllate. Nei giorni scor-si Massimo Spigaroli, allevatore-culto di Polesine Parmense, ha fondato il Consorzio del suino nero,razza pregiata importata a fine Settecento dai Borbone, da cui si ricavano culatelli e salami meraviglio-si. Visitare la sua “Antica Corte Pallavicina” significa imparare molto su come si allevano maiali felici esui sapori straordinari dei salumi di qualità.

Altro itinerario didattico quello di Cagli (Pesaro Urbino) dove da oggi a martedì si svolge “Distinti Sa-lumi”, sequenza di laboratori, assaggi, racconti, menù intorno agli insaccati d’autore. I dannati del co-lesterolo si regalino solo fette sottilissime.

CacciatoraProdotti a partire da carni magre di suini

del Centro-nord, i salamini italianialla cacciatora dop vengono addizionati

in maniera simile ai Brianza

In più, è possibile aggiungerelatte magro in polvere o caseinati

CasalìnL’alternativa al salame mantovano

più conosciuto è una piccola produzioneprotetta da Slow Food. Ingredienti: spalle,

lonze, filetti e rifilatura di prosciuttoAggiunte consentite: aglio, sale, pepe,spezie. Si insacca nel budello naturale

CiaùscoloIl salame da spalmare, tipico marchigiano, si prepara con carni da pancetta, costate

e spalla, sminuzzate e impastate con lardo, sale, pepe, aglio, finocchio,buccia di arancia. Va gustato nel giro

di qualche settimana con pane casereccio

VarziNato nell’Oltrepò pavese, di origine

longobarda, marchio dop, vienepreparato con ritagli di coscia, spalla,

lonza, coppa, filetto, guancialee pancetta. Dopo l’aromatizzazione

e l’insaccatura, viene stufato e asciugato

itinerariIl vulcanicoIvan Albertelligestiscecon la moglieBarbarauna bellalocanda

a Fontanelle,campagna parmense,dove la cucinatradizionaleè impreziositadalle “chicche”delle cantine di casa:salumi, vinie grandi Champagne

Primattore

di picnic

e merende

Salame

LICIA GRANELLOBrianza

Secondo il disciplinare dop, le spalledi suini allevati tra Piemonte, Emilia

Romagna e Lombardia, frescheo congelate, sono lavorate con triti

di pancette e gole. Tra gli additiviconsentiti: vino, zucchero, aglio, lattosio

La bucciaI diversi spessori delle varie

sezioni dell’intestino del suino –crespone, cresponetto, filzetta, genti-

le – identificano alcune tipologie di sala-me. Ma il budello naturale è importante pertutte le varietà di carni utilizzate: mucca, pe-cora, capra, oca (salami kosher), perfino tro-ta. Essendo una membrana porosa, bisognaevitare la vicinanza con odori forti, che rovi-nerebbero la fragranza dell’impasto. Me-

glio rimuovere il budello prima di ta-gliare le fette, per evitare che la muf-

fa presente sulla su perficiecontamini il gusto del

salame

Repubblica Nazionale

Page 17: Che - Togliatti

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 29 APRILE 2007

UnghereseInventato in Italia, è approdato in Ungheriadue secoli fa. Il taglio della carneè finissimo, la consistenza magra,l’aromatizzazione con pepe e paprikaesaltata da una leggera affumicatura.Il Milano, ha speziatura diversa

FinocchionaPer il salame medievale toscano, rifilature di prosciutto, guanciale e grasso del maialemacinati e conciati con sale, pepe, semidi finocchio, aglio, vinoMatura una settimana al caldoLa stagionatura dura oltre cinque mesi

FelinoSi impastano carni fresche di prosciutto,coppa, spalla e sottospalla di maialiemiliani “pesanti”, tritate, aromatizzatecon sale, pepe, pochissimo aglio pestatoe vino bianco. Si insacca in budellonaturale. Stagionatura di almeno due mesi

StrolghinoPregiato e particolare, sfrutta i ritaglidella lavorazione del culatelloLa carne, magra e dolce, vieneinsaccata in budelli sottili, lunghi, strettie forgiata a ferro di cavallo. Va gustatotenero e non stagionato

SopressaDop vicentina che si ottiene insaccandoin grossi budelli bovini un macinatodi spalla, prosciutto, capocollo, lardoe una miscela di aromi. Per darle formacompatta, si massaggia in acqua caldaQuella all’aglio ha un cordino colorato

Il borgo medievalenel cuore della food-valley è famosoper il suo castello,sede di un originaleMuseo del salame,ultimo natonel circuito dei musei

del cibo. In zona, infatti, si trovanoquelli dedicati a parmigiano reggianoe prosciutto di Parma

DOVE DORMIRELA CORTE DI SAN MICHELINOVia Venturini 24, San Michele GattiTel. 0521-831238Camera doppia da 65 eurocolazione inclusa

DOVE MANGIARELA PORTA DI FELINOVia Casale 28 BTel. 0521-836839Chiuso domenica, menù da 22 euro

DOVE COMPRAREANTICHE CANTINE LUPPI Via San Vitale 30, San Vitale BaganzaTel. 0521-330711

Felino (Pr)Appoggiatanell’ultimapropagginedella Marcad’Ancona a ridossodell’Umbria,è un felice mixdi economia agricola

e industriale (carta). Grande tradizione di insaccati, in primis salame lardellato,ciaùscolo e coppa di testa

DOVE DORMIREAGRITURISMO GOCCE DI CAMARZANOFrazione MoscanoTel. 336-649028Camera doppia da 70 eurocolazione esclusa

DOVE MANGIAREMARCHESE DEL GRILLOVia Rocchetta Bassa 73Tel. 0732-625690Chiuso dom. sera e lun., menù da 40 euro

DOVE COMPRARESALUMERIA BARBAROSSAFrazione San Michele 89Tel. 0732-676921

Fabriano (An)Alta sul mare,già notaper l’allevamentodei bachi da seta,la zona (il nomeviene dal latinomedievale Brolum,campo) ha avviato

un’eccellente attività di salumificazioneIl microclima aiuta la stagionatura degliinsaccati Igp, lavorati a punta di coltello

DOVE DORMIREANTICO CASALE DI LISYCONContrada NunziataTel. 0941-533288Camera doppia da 80 eurocolazione inclusa

DOVE MANGIAREDA ANGELOStrada 139 per Ucria SinagraTel. 0941-594433Chiuso lunedì, menù da 22 euro

DOVE COMPRARESALUMIFICIO SALVATORE CAPUTO Contrada S. Maria Lo PianoTel. 094-1560121

S. Angelo di Brolo (Me)

Ciaùscolo, la nutella suinascoperta dalle legioni romane

CORRADO BARBERIS

Inconsapevole nutella suina, da spalmare sul pane come una marmellata, spetta probabilmente alciaùscolo il rango di più antico salame italiano. Esso preesisteva, infatti, a quella battaglia di Sentinoche consentì ai Romani di affacciarsi sulla Padania. Correva il 295 avanti Cristo. La costa settentrio-

nale delle Marche era allora abitata da una tribù gallica, i Senoni, che producevano il loro tradizionalepãté de campagne — tuttora presente, benché sempre meno, nelle salumerie francesi: carne lardo e fe-gato mescolati assieme in varie proporzioni. Vittoriosi, i Romani espulsero gli sconfitti dall’agro che an-cor oggi prende il nome di Senigallia, e li respinsero verso le montagne. Là i superstiti di Sentino conti-nuarono a fabbricare il loro pãté, insacchettandolo. Era nato il ciaùscolo, da cibuscolo, forse, propizia-tore di gagliarde merende.

Al secondo posto — o addirittura in lizza per il primo — troviamo le luganeghe. E anche qui c’entranoi Romani: i quali, spingendosi sempre più a sud, giunsero a contatto con i lucani, che avevano un’artetutta loro di insaccare il maiale. Da essi — dice Varrone — i soldati la appresero, ma è lecito pensare cheancora più godessero di imporre ai vinti cospicui annui tributi di quegli elaborati. Sicché l’insaccato perantonomasia finì per chiamarsi lucanica. E ancor oggi il nome — se non proprio l’impasto — vive dalleparti di Cannobio (Novara) in un salamino da bollire dove la carne di manzo prevale sulla suina. Vive nel-le luganeghe trentine, spesso ma non sempre di puro maiale, e nelle venete. A Treviso il podestà si preoc-cupava di garantirne l’autentica provenienza suina già con editti del secolo Quattordicesimo. Il fatto chele lucaniche si siano oggi spostate così a nord (in Basilicata il nome è scomparso, rimangono fortunata-mente le soppressate) lascia pensare che le legioni romane abbiano avuto un’influenza non secondarianella diffusione del prodotto.

Un salto di un migliaio di anni e ci troviamo ai piedi del Circeo, a Monte San Biagio. Al centro di un for-te insediamento saraceno, sbaragliato dopo le vittorie delle armate cristiane al Garigliano nel 916 dellanostra epoca. Qui la salsiccia, promossa a salame per l’occasione, si fa tuttora col coriandolo: spezia delmondo arabo per eccellenza. Ai cultori di sociologia religiosa decidere se i saraceni, mangiando quellasalsiccia, tenevano in non cale i dettami antisuini di Maometto e se la salsiccia era di carni lecite, bovinee ovine. Certo è che quei granelli di coriandolo confitti nelle carni sembrano rappresentare ancora oggi,dopo tanti secoli, la concrezione non si sa bene se del seme stupratore o delle lacrime delle vergini cri-stiane trascinate verso gli harem del Medio Oriente. Quasi a vergognarsi di un passato così sofferto, gliattuali produttori soffocano il delicato sentore del coriandolo sotto un’orgia di peperoncino.

E ancora i saraceni c’entrano, sia pure non da protagonisti, nella gara per la quarta posizione. Nel 1060inizia — ad opera dei Normanni — la riconquista cristiana della Sicilia. Per ripopolare le contrade spo-polate dalle stragi, il conte Ruggero chiede alla sua terza moglie, Adelasia del Monferrato, di mandargliun po’ dei suoi vassalli e servi. Questi arrivano e si portano dietro le loro usanze alimentari. Così aSant’Angelo di Brolo (Messina) si può gustare un salame di stretta osservanza padana: lo stesso che sidirama a sud fino a Chiaramonte Gulfi che, dall’alto dei suoi ottocento metri, sfida il proprio paralleloa sud di Tunisi. E che emozione quando, nelle sagre paesane messinesi, capita di incontrare un pro-duttore di salame il cui cognome finisce in audi, proprio come quello del nostro vecchio presidente Ei-naudi, langarolo.

Fette di salame, pagine di storia.L’autore è presidente dell’Istituto nazionale di sociologia rurale

7i salami protettidall’Unione Europea(dop e igp)

60le tipologiedi salame censitein Italia

420le caloriecontenute in mediain un etto di salame

Repubblica Nazionale

Page 18: Che - Togliatti

ROSSELLA SLEITER

Ditelo con una rosa, senz’acqua

Se passate dal Castello di Masino noterete che c’èuno strano movimento e una certa tensione nel-l’aria. Due cose insolite in quest’angolo di Pie-monte fuori dal grande turismo. Camioncini chescaricano banconi, tende, vasi, alberi e piante;gente che misura a passi il campone sotto il Ca-

stello, sposta balle di fieno, costruisce chioschi e traccia sen-tieri nell’erba. Stanno preparando la scena dello spettacoloche incomincerà venerdì 4 maggio: la “Tre giorni per il giardi-no”, mostra mercato inventata dall’architetto Paolo Pejronesedici anni fa, un po’ per attirare visitatori nell’allora nuovaproprietà del Fondo per l’ambiente italia-no, un po’ per riprendere quello che gli in-glesi chiamerebbero “la gloria del giardi-no”, cioè il gusto per piante scelte per labellezza e per la speciale resistenza a cre-scere e prosperare in condizioni di prigio-nia dorata come in un vaso o in un’aiuola.

In sedici anni Masino ha fatto scuola,perché è in questo mondo di giardinieri,in questi centodieci stand di vivaisti ita-liani e stranieri che mettono in mostra leloro collezioni e le novità di giardinaggio,che si capisce dove va il gusto, quale pian-ta va di moda, quale colore fa tendenza.Anni fa, in una delle prime edizioni, ci si rese conto che il bos-so, lento, longevo, sempreverde, era ancora un protagonistasulla scena del giardino, anche se non come accadeva al tem-po del suo massimo splendore nel giardino all’italiana. DaMasino partì la tendenza ad avere il bosso tagliato a sfera neivasi di cotto toscano. Ed è ancora bosso nel 2007, tagliato a on-da, a piramide, a spirale, per guidare lo sguardo verso la vistamigliore, per separare una zona del terrazzo o del giardino, daun’altra.

Prendiamo il glicine. Una delle piante di cui conosciamo ilprofumo, la forma a grappolo, il colore lilla, la forza nel cre-scere. Pochissimi, fino all’anno scorso, avrebbero sospettatoche ne esistano più varietà (da cercarsi sotto il nome latino diwisteria). Quella che marca la nuova stagione ha un nome,

macrobotrys, e alcune caratteristiche speciali. È rifiorente,produce un grappolo tanto lungo da toccare il suolo da unapergola, ha un profumo meno intenso.

Prendiamo le peonie. Da quando abbiamo capito che èinutile cercare la pianta fiorita tutto l’anno, accettando la leg-ge di natura, immaginarci in giardino o in terrazzo a maggio,in mezzo alle peonie in fiore è un nuovo, piccolo piacere del-la vita. A Masino per la prima volta si possono trovare le peo-nie che l’inglese Peter Smithers, giardiniere aristocratico pri-ma ancora che diplomatico al servizio di Sua Maestà, avevaibridato per sé per i suoi amici e che Rivière, lo specialista di

Francia, ha acquistato quest’anno.E sempre parlando di inglesi, loro pre-

feriscono un geranio che assomiglia a unbocciolo di rosa, il Rosebud. Non lo colti-vate ancora? Eppure è l’ultima moda. In-sieme agli agapanthus dal fiore blu, agliibischi sempre più avanzati nella fioritu-ra (settembre e ottobre), ai cisti, alle pas-siflore, che meno terra hanno più fiorifanno, al corbezzolo, pianta mediterra-nea e risorgimentale per eccellenza (ver-di le foglie, bianco il fiore, rosso il frutto).Per non dire delle salvie, non da cucina,ma da fiore, che se le annaffi le offendi.

Già, il problema dell’acqua. Certe rose non la vogliono, traqueste, la rosa gallica, come le vecchie rose francesi di Mon-sieur Guillot, un marchio che è una garanzia. Tutti i ceanothus,o lillà della California, preferiscono il terreno poco bagnato e,in cambio, danno una magnifica fioritura blu. Il giardiniereche non spreca acqua ha capito la tendenza del momento. Ilgiardiniere che salva e coltiva i semi naturali, come quelli rac-colti dall’associazione Kokopelli che a Masino porta circaquattrocento varietà di pomodori da riscoprire, fa tendenza.Un giardino come oasi naturale, con poche piante orticoleben tenute: questo è l’ultimo grido dal Castello di Masino.

Tre giorni per il giardino: 4-5-6 maggio, orario 10-18. In-gresso a pagamento. Castello di Masino, Caravino, Torino,tel.0125-778100. e-mail: faimasino@fondoambiente. it

50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

le tendenzeNuovi vivai

Il clima che cambia costringe il regno vegetale ad adattarsiErica e ortensie diventano specie esotiche, i prati all’inglese

si seccano e trionfano cisti e papaveri bianchi. Una lottaper la sopravvivenza che può diventare moda, come diràla “Tre giorni per il giardino” al Castello di Masino

Fioridel grande caldo

i

Centodieci standdi espositori italiani

e stranieriper scoprire

le ultime novità

PAEONIA ICE STORMBianca, fiore semplice, gambo

legnoso, resiste al freddo, fioriscetra aprile e maggio. Vuole

la mezz’ombra, terriccio leggero, ottimodrenaggio, acqua con moderazione

ROSA GALLICAFacile, resiste al freddo, al sole,alla mezz’ombra e alla siccità

Non arrampica. Trova da sola il propriohabitat, assecondatela

con dello stallatico in autunno

SALVIALe specie ad arbusto sono le più belle,non vogliono acqua, cercano il sole,si accontentano di qualsiasi terreno,fioriscono in piena estate. Vogliono

però spazio e vasi grandi

BOSSOOdia il vento e il terreno compatto,vuole terriccio leggero, posizionea mezz’ombra e acqua, moderata,

durante il grande caldoPotature prima dell’inverno

AGAPANTHUSFacile, si moltiplica e rifiorisce

per sempre. Le foglie non ingialliscono,ma non sopporta la neve. Sboccia

tra luglio e agosto aiutato dall’annaffio

CISTUSCespuglio di macchia, sempreverde,

fiorisce d’estate non vuole né concime,né acqua. Per le varietà più belle

qualche accortezza: terrenoleggero, molto sole

Repubblica Nazionale

Page 19: Che - Togliatti

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 51DOMENICA 29 APRILE 2007

La siccità promessa delle estati future ci spingea rinunciare alle piante “aliene”. Largo dunque ad allori,

fichi, bossi, melograni, mimose, agrifogli e a tuttigli altri esemplari che stanno bene in pieno sole

Ecco i consigli di un grande architetto del verde

L’allarme c’è: il caldo e la siccità sono forti, con-tinui e incalzanti. L’inverno, qui in Piemonte,è stato caldo all’inverosimile e la pioggia (e

quindi la neve) non è praticamente caduta. Unastrana e torva minaccia aleggia sulle nostre regioni:i campi sono all’asciutto, il grano stenta a crescere.L’acqua sta diventando sempre più rara e i giardini,si sa, sono delle vere spugne.

I giardini, come sono stati finora concepiti, volu-ti e proposti, confidano nell’acqua come base forte,vitale ed essenziale. Conseguenza e derivazione delsuccesso dei campi da golf (e della loro proliferazio-ne) e tramutati nell’immaginario collettivo in idea-li, smeraldini maxi giardini, i prati sono diventati nelcorso dell’ultimo secolo i più importanti “pezzi diresistenza”, i piatti forti di una cucina internaziona-le giardiniera. Soffici e vellutosi si propongono co-me larghe e assolate pause di una, spesso intensa,sinfonia di vegetazione.

Richiesti, coltivati, concimati, tosati ed esibiti,hanno, ahimè, bisogno di tanta, tantissima acquadurante l’estate. Per loro e per la loro felicità è ne-cessario ricreare un’atmosfera scozzese, fatta didocce frequentissime e neanche brevissime. Senzadimenticare che il caldo, il grandissimo caldo che lenostre regioni sono riuscite a scatenare e sviluppa-re in questi ultimi anni, sottopone a mille attacchi eaggressioni le verdi e luminose speranze delle su-perfici a prato.

La degenerazione a questo punto è vicina: da unlato gli attacchi fungini rendono questi affascinan-ti immigrati di un Nord piovoso e fresco un ele-mento delicato, esotico ed alieno. Dall’altro, trop-po caldo e siccità diventano vere avversità: e il giar-diniere si deve trasformare in un piccolo (e triste)chimico. Questo nel migliore dei casi: perché spes-so da chimico deve trasformarsi in un poco scrupo-loso avvelenatore. Il caldo, se diventa per un perio-do prolungato, forte e insistente, può tramutare unprato all’inglese in un laboratorio chimico (e vele-noso). E per quest’anno si prevede, secondo la me-teorologia, una quarta, interminabile e violentaestate.

Sarà necessario a questo punto, per il bravo e co-scienzioso giardiniere, prendere o cercare di adot-tare provvedimenti saggi e tempestivi: innanzitut-to perché non ridurre, nei giardini stessi, le superfi-ci a prato? O, più radicalmente, perché non abban-donare il faticoso e laborioso sogno di un prato al-l’inglese per un prato all’italiana? Al posto della rigi-da (e un po’ spocchiosa) uniformità, perché nontrasformare il giardino in una più semplice, mesco-lata e variopinta assemblea vegetale? Sarà più ele-gante una giacca di velluto o una di tweed?

Con una superficie fatta di “macchie” rustiche edi presenze saltuarie (e salutari) si può ricondurre ilprato ad esser prato? Il prato all’italiana può, du-rante l’estate, diventare anche un po’ giallo, forse unpo’ rado. Con un po’ di pazienza e dopo un po’ di an-ni, tende a autoselezionarsi, dando vita a sistemi ve-getali molto più sani per noi, per i nostri vicini, per

gli uccelli, per i ricci, i rospi, le salamandre, le lucer-tole, gli insetti, per tutta quella parafernalia anima-le che un giardino può sostenere e far convivere. Eper i cani? E per noi? Il contatto con prodotti “selet-tivi” e con i concimanti chimici non è auspicabile efelice. Proprio no.

E il resto del giardino? Rododendri, azalee, kal-mie, eriche e ortensie sono diventate in pochi annipiante esotiche pure loro, dipendenti in modo ec-cessivo dall’acqua e dalla umidità ambientale. Orasoffrono scontente: vorrebbero tanto esser sposta-te in latitudini e altitudini differenti. A loro non è suf-ficiente dare acqua, anche se continua, frequente enon troppo calcarea. Durante i giorni, ormai lunghie implacabili dell’estate, pretendono umidità am-bientali ormai sempre più rare.

Felice vittima di anglofila passione per rododen-dri e ortensie, ho dovuto, per pace e tranquillità, ri-durne la presenza all’essenziale, al minimo. Ungiardino è bello e piacevole se felice, e se l’aspettodelle piante coltivate è normale: un giardino non èun ospedale, né un carcere dove tenere forzate e in-felici piante aliene non adatte. Il capriccio per il ca-priccio, anche in giardino, è odiosissimo.

Ben vengano quindi nei giardini le rose, che delcaldo e della siccità sono soltanto felici, ben venga-no gli azzurri, leggeri e impareggiabili ceanoti, chedalle sabbie della California stanno invadendo, for-ti pure delle loro sempreverdi, lucide ed elegantis-sime foglioline, le nostre future… sassaie! E con lo-ro i meravigliosi papaveri bianchi e gialli: la Rom-neya coulteri che nel secco prospera e si moltiplica.

Ben vengano quindi oleandri, e pure rosmarini,corbezzoli, filliree, melograni, fichi, mimose, lecci,sughere, cotini, agrifogli, bossi ed allori… Questobreve e condensato elenco non è soltanto un sug-gerito e vocale scioglilingua, può essere l’inizio,suggerito e consigliato, per un giardino nuovo adat-to al sole, al caldo e all’asciutto. Intelligenti e prontisono i coraggiosi che prevedono, cambiano e adat-tano e si adattano.

E i cisti? Da esotici (trentacinque anni fa, quandone piantai alcuni, per provare) ora sono diventati ipiù facili, semplici e bellissimi compagni delle mieassolate e scoscese prode. Sempreverdi, robustissi-mi, amanti delle più infelici ed estreme situazioni disecco e di caldo, sembrano nati per il posto. Legge-ri, sottili (ed elegantissimi) i fiori si aprono presto almattino per accompagnare il giorno fino a sera. Fe-lici di sole, di caldo e di strapazzi, sono diventati i mi-gliori amici del giardino asciutto. Alan Fraddè un ci-sto bianco puro, il fiore perfetto grande ed apertomostra felicissimo le sue piccole macchie marroni,quasi bordeaux. Robustissimo, sta crescendo edespandendosi sempre di più alle falde di un sasso-so (e assolato) angolo del giardino. Da pochissimimesi, vistone il successo e la felicità (in questi ultimitre anni), ne ho piantati altri tre, che sono anche lo-ro vicini vicini. E appagati. Nel giardino felice, os-servazione, curiosità e coraggio potrebbero esserconiugate con passione, pazienza e sensibilità.

Oleandro, rosmarino, corbezzoloGuida al giardino asciutto ma felice

PAOLO PEJRONE

GERANIO ROSEBUDVuole luce, sole e protezione dal vento

e dal gelo. Fiorisce da maggioad agosto, va coltivato in vaso

con terriccio leggero e buon drenaggio

CORBEZZOLOSempreverde, altezza da albero,

fiorisce da settembre in poi, fruttificad’estate, da agosto a settembre

Vuole sole, in natura crescecon la sola pioggia

PASSIFLORAMeno terra, più fiori durante l’estate

Più terra, più foglie per la pergolaTeme il freddo, non la siccità

Più una varietà è bella,più ha bisogno di clima mite

ROSA GUILLOT ORSOLA SPINOLAIbrido fortunato del francese Guillot,

non supera gli ottanta centimetri,resiste alle malattie, è profumataVuole sole, poca acqua, stallatico

in autunno e un vaso tutto suo

HIBISCUSQuello ad alberello non vuole acqua,

cerca il sole, cresce ovunque e fiorisced’estate. Quello a cespuglio

è più esigente: sole, terriccio leggero,acqua e concime. Ma è più bello

WISTERIA MACROBOTRYSCerca da sola il nutrimento in qualsiasi

suolo e con qualunque esposizioneSi può potare due volte l’anno,

ma è difficile salire alla sua altezzacon le forbici

Repubblica Nazionale

Page 20: Che - Togliatti

52 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 29 APRILE 2007

l’incontroAnti-divi

LONDRA

Riccardo Cocciante ci vieneincontro all’ingresso degliAir Studios. In mezzo allevolte gotiche della chiesa

sconsacrata di Hampstead — nuova re-sidenza degli studi di registrazione diGeorge Martin, famoso produttore deiBeatles — la sua figura è ancora più mi-nuta. Il tempo delle cattedrali, viene dapensare: Notre Dame de Paris, era il ‘98,e in quasi dieci anni ne ha fatti di viaggi.«L’opera ha viaggiato. Io mica tanto», di-ce Cocciante. «Dei tanti luoghi lontanis-simi che l’hanno accolta ho visto soltan-to la Cina. Neanche in Corea del Sud l’hoaccompagnata. E dire che lì l’hanno vo-luta per ben due volte, e la seconda, incontemporanea alle rappresentazionidi Seul, hanno organizzato schermi perla ripresa via satellite nei teatri delle al-tre città». Come si dice, un successo pla-netario. «Credo di sì, ma non me ne cu-ro più di tanto. La sola urgenza che ho èdi esprimermi, quindi di comporre.Sempre».

Per il momento sta registrando. Ades-so in uno studio normale (legno chiaro etappezzerie, macchine sofisticatissi-me) per le basi; tra qualche settimana sisposterà nella sala grande per registrarel’orchestra. La visitiamo, la sala grande.È la chiesa vera e propria, con tanto di or-gano. La musica rimbalza sulle volte,sfiora le grandi vetrate, scende in pic-chiata verso i leggii già pronti. Sembraquasi di vederla, di poterla afferrare involo. Una straordinaria acustica natu-rale. «Giulietta e Romeo se la meritano»,dice Cocciante. Ai tragici amanti vero-nesi è dedicata la sua nuova opera, sem-pre su libretto di Pasquale Panella, auto-re del Battisti dopo-Mogol e traduttore-autore della versione italiana di Notre

Dame. Giulietta e Romeo debutterà ilprimo giugno all’Arena di Verona e per iprimi quattro giorni annunciati (fino al4 giugno) i biglietti erano già esauriti al-la fine di gennaio. «È una grande dimo-strazione di fiducia da parte del pubbli-co. E anche una bella responsabilità»,dice Cocciante. Ma neanche questo fat-to “pratico” sembra turbarlo.

È seduto accanto a Rick Wentworth,direttore e orchestratore di Giulietta eRomeo (e di Ca ira, l’opera dell’ex PinkFloyd Roger Waters sulla rivoluzionefrancese). Ha davanti le partiture e an-che il libretto. Lo scorriamo. Amore,amore, amore: la parola magica è unacostante nei testi di Panella. «È fatto ap-posta. Stiamo parlando di Giulietta eRomeo. E comunque Panella non è unpoeta, è un meraviglioso scrittore per lamusica e con la musica va ascoltato. Ri-cordo un gioco che facevo da ragazzino:prima di Sanremo i giornali pubblicava-no i testi delle canzoni che avrebberopartecipato al festival. Li leggevo e cer-cavo di capire come sarebbero state lemusiche. Impossibile. Quelle parolesenza musica erano orribili».

Da adolescente amava Sanremo?«Accidenti se mi piaceva. Sono arrivatoin Italia, da Saigon, quando avevo diecianni. In casa si ascoltava l’opera. Il mioprimo incontro con la musica leggera èstato il festival». A Saigon — oggi Ho ChiMinh City — Cocciante non è più torna-to. «Quando avrei voluto non si poteva,c’era la guerra. Adesso ho qualcosa chemi blocca. Forse la paura di vedere lacittà troppo diversa da come la ricordo.Due film mi hanno fatto tornare la no-stalgia: Indocina, ma soprattutto L’a-mante, la storia di Marguerite Duras. Daquel film uscivano gli odori, i sapori,usciva la luce che ha illuminato la miainfanzia. Di Saigon, dopo cinquant’an-ni, ho un ricordo ancora chiarissimo:dalla Cattedrale, percorrendo la rue Ca-tinat, saprei perfettamente come torna-re a casa».

Tornare a casa, oggi, vuole dire torna-re a Dublino. Lì vive da anni con sua mo-glie (e manager) Cathy e con David, il lo-ro figlio sedicenne. «L’Irlanda mi piacemoltissimo. È in realtà un paese del sud:il calore della gente, l’energia delle suemusiche popolari. C’è in Irlanda un ri-spetto per tutta la musica, dal rock alfolk, senza snobismi. Da Dublino nonvorrei mai spostarmi. Questa è la primavolta dopo anni che la lascio per cosìtanto tempo. Ma nei miei progetti c’èquello di sparire del tutto, di non esserepiù un “fatto fisico”, di esserci soltantoattraverso la musica».

Lo sguardo azzurro, quasi trasparen-te, si è fatto sottile, appuntito, penetran-te. Anche se, in trentacinque anni di car-riera, Cocciante ci ha abituati all’evane-scenza, il concetto merita comunqueuna spiegazione. E mentre parla ci vienein mente la sua prima apparizione inpubblico come “cantautore”. Inverno1973, Roma, Teatro dei Satiri. Sul palcoCarlo Massarini presenta tre giovani

di scomparire? «A cambiarmi è stata lagrande scoperta di una novità in me. Iosono un cantante. Un cantautore, se vo-gliamo. Ho fatto Bella senz’anima, poiMargherita, poi Cervo a primaverae tut-te le altre. Cominciare è facile; difficile ècontinuare, soprattutto restando peranni allo stesso livello. Puoi avere un col-po di fortuna al momento giusto, puoiavere la faccia giusta. Hai il look, ma lemode passano. E ti dici: che faccio ades-so? Io ho avuto la fortuna di non avere unlook, né la faccia giusta. Aznavour avevaforse la faccia giusta? E la Piaf? Ce l’ave-va la Piaf? La mia ambizione non è maistata quella di apparire in pubblico.Però volevo esprimermi. Sei introverso,ma hai comunque bisogno di dire qual-cosa. È arrivato il successo, ma detesta-vo essere considerato una star. Tantoche a un certo punto ho avuto bisogno ditornare a vivere normalmente. Il divi-smo uccide. Io non sono caduto nellatrappola. Me ne sono andato dall’Italia.Sono francese a metà — mia madre erafrancese — e mia moglie è francese. Hoscelto Parigi. E lì, senza più problemi dipopolarità; lì, quasi alla fine di una car-riera — almeno così mi sentivo — hoscoperto che potevo fare altro, e chequesto altro mi piaceva moltissimo».

Il resto è noto: Cocciante ha apertouno dei suoi «cassetti perenni» zeppi dimelodie («Ne ho ancora a centinaia,chissà dove finiranno») ed è uscita NotreDame de Paris. «Ho riscoperto unaespressione popolare come l’opera e leho dato una vita nuova. Questo mi hapermesso di unire le mie due anime:quella classica, fatta di pura melodia, el’altra, quella che graffia, moderna,sempre rivolta al futuro. Il successo diNotre Dameha dimostrato che avevo ra-gione: si può fare un’opera con il lin-guaggio di oggi, ma non destabilizzanteper un pubblico popolare. Senza sceno-grafie, ma con eleganza».

Il turno di registrazione è finito. La“session” avrebbe dovuto concludersialle sette, invece è la mezzanotte passa-ta. Si entra in sala e non si sa mai quandosi esce, è normale. Per questo il bar degliAir Studios è aperto ventiquattro ore suventiquattro. «Continuiamo a parlare albar» dice infatti Cocciante. Anche la lo-quacità è cosa nuova. Sembra esausto,ma ha ancora troppe cose da dire e, so-prattutto, ha come un’urgenza di dirle.Gli argomenti si accavallano, uno inse-gue l’altro. C’era stato il concerto al Co-losseo, il 16 settembre del 2005, per solitrecento invitati (e grandi schermi fuo-ri): quel concerto è il debutto del suo im-pegno decennale con l’Associazioneitaliana per la ricerca sul cancro (allaquale andrà un euro su ogni bigliettovenduto per la nuova opera, fino al2015). Al Colosseo aveva cantato Giu-lietta e Romeo da solo, voce e pianofor-te. Poi erano arrivate le audizioni pertrovare i cantanti. «Quando abbiamofatto quelle per Notre Dame era stato undisastro. Non si trovava nessuno. PerGiulietta e Romeo abbiamo avuto mi-

musicisti: Francesco De Gregori, Anto-nello Venditti e Riccardo Cocciante. Unbattesimo. Nessuno era uguale all’altro,ma tutti e tre, nello stesso momento sto-rico, rivendicavano una canzone fattadi ribellione, poesia, libertà. De Gregoribellissimo principe, già colto e distante;Venditti più sanguigno, infagottato nel-l’eskimo, con la sua anima popolare giàin evidenza; Cocciante accuratamentenascosto da una massa di riccioli scuri,ma con una rabbia da scuotere i muri.«Avevo bisogno di esprimermi, avevobisogno di cantare. Non ho mai parlatomolto, neanche da bambino. La musicaera l’unico modo che avevo per farmicapire. Eravamo quattro figli e io ero ilsecondo, Mai stata facile la vita per il se-condo figlio».

La sua timidezza era evidente, cosìcome un rapporto non proprio serenocon il suo corpo. Sembra un’altra perso-na, oggi. Forse proprio perché, dopotanto successo, può concedersi il lusso

gliaia di provini. La cosa più strana? Era-no tutti cantanti giovanissimi, anche diquattordici anni. La più straordinaria? Iloro curricula. In molti era scritto: dopoaver visto Notre Dame ho deciso di can-tare».

Ma, in fondo, i suoi aspiranti cantantisono quelli che oggi non comprano piùi dischi, che pretendono di scaricarligratis dalla rete e che quindi la danneg-giano. «È un periodo di passaggio. Chiha la mia età è legato al formato. A noipiace avere in mano l’oggetto disco. I ra-gazzi se ne fregano. Anche nella musicavedo una transizione. I grandi vecchispesso mi deludono e nella rabbia deigiovani non trovo verità. Hanno troppobenessere e, se non ce l’hanno, il veroscopo è quello di raggiungerlo. Noi cibattevamo per ottenere altre cose».

Del suo progetto di eclissi totale ha giàcalcolato tempi, modi e luoghi? «Deci-dere di comporre opere popolari e dinon interpretarle implica una sparizio-ne. Già mi sto eclissando, quindi. Dove?Senz’altro a Dublino. Quando sono lì miconcentro bene, passo intere giornate aimmaginare. In fondo l’arte è questo perme: ho sempre l’idea che gli uomini ab-biano dei sogni, e che li vorrebbero ve-dere realizzati. Gli unici che riescano adare forma ai sogni sono gli artisti. Equando un sogno, un pensiero, un’idea,si materializzano, che bella cosa. Quan-do, con due sole linee, un pittore ti fa ca-pire un concetto, quando con poche no-te un compositore ti tocca il cuore, que-sto è l’artista. È tutto e niente. L’evolu-zione del mondo passa attraverso l’arte.È un motore spirituale enorme. Penso aMozart e Rossini, spesso lievi eppure co-sì potenti. Dopo tanti drammi in musi-ca, dopo Notre Dame e Giulietta e Ro-meo, mi piacerebbe fare qualcosa di piùallegro. Un’opera buffa, per esempio.Anzi, lo decido in questo momento: cre-do proprio che la farò».

Ho sempre avutobisogno di cantareper esprimermiNon ho mai parlatomolto, neanchequando ero bambinoEravamo quattro figlie io ero il secondo:mai stata facile la vitaper il secondo figlio

‘‘

‘‘Ha creato “Bella senz’anima”e “Margherita”. Poi ha trovatouna seconda giovinezza reinventandol’opera: “Notre Dame” è stataun successo planetario, “Giulietta

e Romeo” pare avviataa ripeterne i trionfiAdesso ha due nuoviprogetti: il primodi lavoro, scrivereun’opera buffa;il secondo di vita,ritirarsi nel segreto

dei suoi affetti, “sparire del tutto,non essere più un fatto fisico,esserci solo attraverso la musica”

Riccardo Cocciante

FO

TO

GR

AZ

IA N

ER

I

LAURA PUTTI

Repubblica Nazionale


Recommended