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Quattro incontri di lettura e riflessione
tenuti presso il
Circolo Politico Culturale Don Luigi Sturzo Via Reich,14 - Torre Boldone
Ottobre/Novembre 2014
ACLI Bergamo
Circoli di R-Esistenza
Anno 2014
Riflessioni sul Testo:
“NON ABBIATE PAURA”
di S.Petrosino/G.Nicolini
“Per paura la vita diventa un camminare
sghembo.
Scarto improvviso, per non sfiorare il prossimo
che rimane sconosciuto.
Scappare di sguardi, con la paura al centro e tutto
il mondo al confine.
Incrociarsi in difesa, senza incontrarsi.
Per paura si abbandona la battaglia buona
del nostro bene.
La relazione che ci fa persone, viste e
riconosciute.
Per paura si muore di paura.
Insieme è nulla la paura.
(Mariapia Veladiano)
da “Ma come tu resisti, vita”
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“HOPE”
“SPERANZA” “Se io avessi una botteguccia,
fatta di una sola stanza,
vorrei mettermi a vendere, sai cosa?
La Speranza! “Speranza a buon mercato”
Per un soldo ne darei, a un solo cliente,
quanto basta per sei.
E alla povera gente, che non ha da campare,
darei tutta la mia speranza,
senza fargliela pagare”.
(Gianni Rodari)
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“Camminavo lungo la strada , con due amici, quando il sole tramontò.
Il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue.
Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto.
Sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco.
I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura
e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura…”
(dal Diario di Edvard Munch, 1885)
“L’URLO” di Munch
L’urlo rimane un grido sordo, che non può essere avvertito dagli altri; rappresenta tutto il dolore che
vorrebbe uscire da noi, senza riuscirci.
L’urlo diviene solo un modo per guardare dentro sé, ritrovando angoscia e disperazione…
Gli amici non sentono l’urlo che proviene dall’anima dell’uomo, incuranti della sua angoscia, a
testimonianza della falsità dei rapporti umani.
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1° Incontro: 16 Ottobre 2014 Le nostre riflessioni
“Dalla paura alla speranza”
Nella vita si incontrano tanti ostacoli che generano nell’uomo la paura.
La paura si manifesta in modi diversi, secondo le situazioni in cui è vissuta; l’angoscia è la paura
più silenziosa, subdola, non percepita dagli altri, ma solo interiorizzata da chi ne soffre. Può
manifestarsi in vari modi: timore, spavento, orrore, tristezza, disperazione, isolamento, solitudine.
La paura inizia quando si è bambini, ma riguarda poi tutte le età della vita; per contrastarla ci vuole
coraggio. Il coraggio è generato dalla speranza, dal sogno, come desiderio di superamento della
paura. E’ importante sognare per dare uno scopo alla nostra giornata, alla nostra vita.
Sognare significa guardare in positivo, al presente e al futuro.
Goethe dice:” Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, cominicia…”
Per dare concretezza al sogno serve l’audacia che reca in sé generosità, forza, magia.
L’audacia, cioè il coraggio, è sostenuta dai legami, dalle prossimità, dagli incontri, dalle buone
relazioni che sappiamo costruire. L’incontrarsi crea occasioni per pensare liberamente e arrivare ad
uno scambio, ad un confronto di idee. L’incontrarsi genera discussioni che portano ad un
arricchimento della Comunità.
Anche nel campo sociale è importante la compartecipazione e la possibilità di esprimere
liberamente il proprio pensiero per la costruzione del bene comune.
Non bisogna scontrarsi o accusarsi, se si hanno idee diverse, ma è importante trovare l’accordo,
trovare soluzioni, venirsi incontro usando anche il buon senso, con ogni possibile mediazione.
La politica deve essere sociale e solidale.
Quando ci si incontra e ci si confronta, bisogna chiarire bene il proprio pensiero, approfondire i
concetti espressi con parole e con termini adeguati e chiari, perché spesso le parole vengono male
interpretate o espresse in modo inadeguato.
In sostanza è indispensabile, in un confronto, la volontà di farsi capire bene perché un
fraintendimento può far credere di avere idee contrastanti.
E’ importante l’incontro tra culture diverse, tra credenti e non credenti, perché i volti e le storie di
ciascuno emergano e si possano confrontare.
Bisogna guardare non alle diversità, ma a ciò che si ha in comune; solo così riusciamo ad
avvicinarci all’altro, anche se ha una fede diversa dalla nostra.
Nella società odierna molto tecnologica, c’è tanto individualismo; ognuno pensa a sé, ai propri
benefici, e si ha paura di perdere ciò che è stato acquisito.
Anche nelle famiglie di oggi ci sono situazioni che generano tristezza, insicurezza, paura.
Le situazioni dolorose generano paure nuove alle quali non si è preparati . La paura ti rende più
sensibile verso gli altri; infatti chi offre aiuto, sicuramente sa che cosa significhi aver bisogno di
aiuto.
Oggi molte persone hanno paura della solitudine; c’è solitudine negli anziani, nei giovani, negli
uomini e nelle donne.
Le paure possono essere individuali, ma anche familiari e sociali. Ci sono paure storiche, perché anche il periodo storico influenza le paure; dopo la seconda guerra
mondiale ad esempio, l’Italia era distrutta, disastrata, ma c’era tanta voglia di ricostruire, di
ripartire, di riemergere .
Ecco allora spiegato il boom del benessere degli anni 60: la gente ha voglia di svagarsi, di divertirsi;
la gente ha fiducia!
Oggi la paura e l’insicurezza sono dovute anche alla crisi che stiamo attraversando. Per chi ha fede
la provvidenza viene in aiuto; per chi non ha fede tutto è più difficile e si ricorre anche a falsi idoli
che sostituiscono la speranza: prevale “l’Avere anziché l’Essere”.
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Purtroppo oggi si è più fragili, ma la fragilità è la conseguenza del timore che il benessere possa
venir meno.
Nelle situazioni difficili è importante la prossimità e la parola buona. Relazionarsi con chi soffre
vuol dire farsi carico delle sofferenze dell’altro; ascoltarsi però è faticoso, sia per chi racconta e ha
bisogno di dire, sia per chi ascolta e ha bisogno di capire.
Oggi purtroppo c’è molta gente che sente, ma non ascolta; rimane quindi indifferente, non si pone
domande, non sa dare risposte.
In un tempo che sembra oscurare o impaurire la vita dell’uomo, bisogna cercare vie di speranza
Domanda:
Per superare le paure ci vuole coraggio.
Quali sono le strade da intraprendere, suggerite dalle varie esperienze di vita, di cultura e
religione diverse, che ci possono portare al coraggio, inteso come superamento della paura, per
affrontare in modo positivo la vita? E affidarci alla speranza?”
Giotto: La Virtù teologale della SPERANZA (Cappella degli Scrovegni - Padova)
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2°Incontro del 30 ottobre 2014
“La paura del vivere e la paura del morire”
“Il trionfo della morte”Danza macabra- Oratorio dei Disciplini -Clusone
La vita è un mistero.
Nel momento in cui inizia la vita, il momento della morte è già presente. La consapevolezza del
dover morire ci accompagna ogni giorno; infatti tra tutti gli esseri viventi, solo l’uomo sa che deve
morire. La paura di vivere e la paura di morire sono dentro di noi e sono presenti anche nel nostro
inconscio.
La paura della morte prelude ad altre paure che ci impediscono di affrontare la realtà della nostra
vita in modo sereno. La nostra faticosa quotidianità, la vita che scorre inesorabile, gli anni che
avanzano, la crisi… fanno emergere paure che ci spaventano, ci fanno rifiutare situazioni che non
vorremmo mai dover affrontare.
La fragilità, la malattia, la disabilità, il venir meno delle nostre forze fisiche e psichiche; la
precarietà, l’insicurezza economica, la solitudine. Legami parentali sempre più esigui e magari
lontani; le amicizie che si riducono, una vita a volte isolata, proprio perché si ha paura. A volte
anche di chi ci è accanto!
Costruiamo muri simbolici intorno a noi, muri sempre più alti e impenetrabili. Ci chiudiamo in noi
stessi, come le sbarre che mettiamo alle nostre finestre, come lo sguardo che teniamo sempre basso,
quando camminiamo per strada.
La paura della morte dovrebbe invece rendere più forte il desiderio di una vita ben spesa.
Si deve vivere nel bene, una vita buona, dando importanza alle cose che contano, agli affetti, ai
valori e lasciando andare ciò che invece è superfluo o ancor peggio cattivo e malvagio. Di fondamentale importanza è perciò la distinzione tra il bene e il male. Una costante del nostro
tempo è la confusione tra il bene e il male e la complessità delle situazioni di oggi ne rende ancora
più difficile una netta distinzione.
Abbiamo perciò il dovere morale di interrogarci per capire e raggiungere una saggezza nei pensieri,
nelle azioni quotidiane, negli atteggiamenti e nelle parole che usiamo verso chi ci sta accanto. La
consapevolezza della nostra finitezza ci porta a dare maggior valore alla vita che deve essere
vissuta con saggezza, distinguendo le azioni buone da quelle malvagie, quindi la vita deve essere
spesa bene.
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Come affrontiamo concretamente ogni giorno della nostra vita? Con quali occhi guardiamo gli altri,
occhi buoni o occhi di invidia, o peggio ancora di malvagità? Invidiare significa non accettare se
stesso e questo porta come conseguenza cattiverie, vendette e comportamenti negativi nei riguardi
degli altri.
C’è a volte anche un aspetto positivo dell’invidia; infatti quando vediamo nelle altre persone le doti,
le qualità, la generosità, che a noi mancano, ci sentiamo mossi dal desiderio di migliorarci, ci
sentiamo stimolati a far meglio.
Allora il confronto con l’altro produce in noi un cambiamento che dà frutto.
Il nostro sguardo illumina la realtà, si diventa capaci non solo di guardare , ma di vedere il buono, il
bello e il vero della vita.
Tutto questo ci allarga il cuore, ci rende positivi e ravviva in noi la speranza.
Dando valore ad ogni momento della vita, si allontana così l’idea negativa della morte, della paura
della morte, poiché seguiamo un progetto di vita che ci conduce per mano.
L’albero della vita è in ognuno di noi. Basta credere, basta avere fede…e la vita continua, anche
dopo la nostra morte.
Domanda:
E’ meglio credere, per vivere bene, o è meglio vivere bene , per credere? E essere così testimoni di
speranza?
“L’albero della vita” di Gustav Klimt Un albero che assomma a sé significati universali di amore, rinascita, energia vitale, quello che
Gustav Klimt ideò per il fregio della sala da pranzo di palazzo Stoclet, a Bruxelles tra il 1905 e il
1909.
L’albero, una fiabesca creazione con spirali e gemme, è affiancato a sinistra da una donna sola, che
simboleggia l’attesa; a destra una coppia, fusa in un abbraccio..
( Ci fa pensare alla simbologia della “coperta”, che avvolge; nella coppia si è “coperta” l’uno
dell’altro)
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3°Incontro del 13 novembre
“La crisi dei valori nella nostra società”
Spesso oggi giungono a noi da giornali e telegiornali messaggi negativi che ci spaventano.
Si affrontano i problemi in modo gridato, con termini e provocazioni che portano alla ribellione.
Si tende a distruggere, anziché costruire; si tende a dividere, anziché unire,
Ci viene presentata un’ idea distorta della realtà, si esalta tutto ciò che è apparenza, si creano falsi
miti e si dà importanza alla bellezza, che è solo esteriore, che è solo apparenza, ma che nasconde
grandi vuoti interiori e una pochezza di idee e di ideali.
I giovani oggi osannano chi è bello, famoso, trascinatore di folle. C’è una specie di idolatria verso
personaggi famosi dello spettacolo che si impongono attraverso lo schermo televisivo; essi spesso,
con la loro immagine che diventa modello, impongono messaggi fortemente negativi che portano
per emulazione comportamenti sbagliati, dei quali spesso i ragazzi non hanno neppure
consapevolezza.
Chi si propone agli altri in questo modo, invitando a modelli di vita fortemente discutibili, ha una
grande responsabilità; purtroppo manca il senso della coscienza e manca questa riflessione: “Che
impatto ha il mio comportamento sugli altri? E ciò che propongo sugli altri è un valore o un
disvalore?”
Si determina così una mediocrità esistenziale che spinge soprattutto i più deboli e i più fragili
all’emulazione; questa mediocrità è imposta in modo subdolo e aliena la libera scelta. “Chi è
diverso da me, è fuori” dice spesso qualcuno.
Questo atteggiamento può essere pericoloso, perché oscura le possibili attenzioni e l’accoglienza
dell’altro, che è diverso da me, ma ricco nella sua peculiarità e specificità.
La diversità diventa un arricchimento, se valorizzata e vissuta all’interno di una comunità, intesa
come luogo di condivisione e di accoglienza.
Purtroppo la paura “dell’altro” è sempre più presente, soprattutto la paura dello straniero.
Si arriva così in modo inconsapevole alla individuazione di “un nemico” da cui proteggersi,
favorendo la crescita e la diffusione di paure che da individuali diventano collettive.
Si confondono i concetti di “comunanza” e “comunità”, dello “stare insieme” in modo efficace e
del “gruppo”, senza chiedersi il perché stare insieme e per che cosa.
Si teme l’alterità,
Abbiamo bisogno poi di una Comunità in cui deve essere sempre valorizzato il “genere umano”
nella sua complessità e molteplicità, rappresentato da uomini e donne, persone che, pur avendo un
diverso modo di affrontare la vita, sono complementari nella loro differenza di genere.
Per affrontare i problemi e approcciarsi alla odierna realtà, i due generi, maschile e femminile, sono
complementari e equamente indispensabili sia nella società che nella famiglia.
Oggi invece si sta rischiando l’affermazione del “gender”, che propone la presenza nella famiglia
del genitore 1 e genitore 2, senza distinzione di sesso, azzerando così il ruolo distintivo dei due
ruoli, quello del padre e della madre.
Le conseguenze di questa assurda libertà sono incontrollabili ed estremamente pericolose.
La bellezza dell’alterità uomo/donna rappresenta un valore assoluto, poiché questa alterità non significa solo distinzione dei ruoli e peculiarità oggettive diverse, ma esalta il valore dell’essere
coppia, dello stare insieme, dell’essere protezione l’uno nei confronti dell’altro, dell’essere
espressione convinta di gestualità, parole, sguardi, attenzioni discrete, ma profonde.
Bellissima l’immagine della “coperta”: quando ci si vuol bene, uno è coperta dell’altro, calore che
avvolge, accarezza, protegge, difende…
“Insieme è nulla la paura”affermazione più che condivisibile di Mariapia Veladiano!
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Domanda:
”In un mondo così complesso e in continuo mutamento, come possiamo riportare la nostra
attenzione sui grandi valori? Come testimoniare l’accoglienza, la generosità, la solidarietà, la
sobrietà, il rispetto reciproco? Come rieducare al bello, al buono, alla carità e alla semplicità?A
un nuovo stile di vita?”
“Scienza e carità”-Picasso-1897 Un incredibile Picasso ci fa apprezzare un’altra delle virtù teologali: La Carità
La diversità è arricchimento, quando si traduce in accoglienza
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4° Incontro del 27 Novembre 2014
“Dio diventa uomo, l’uomo incontra Dio”
In tutti gli scritti del Nuovo Testamento troviamo l’espressione: “Non temere, non temere”.
E’ un chiaro incoraggiamento alla fiducia, all’affidamento a Dio, quando ci sentiamo fragili,
indifesi, incapaci di superare le difficoltà della vita.
Quando ci sentiamo smarriti, soli, abbandonati da tutti nelle nostre tribolazioni terrene, ci assale la
paura, siamo sfiduciati; ci sembra di essere soli nel deserto dell’umanità, pensiamo che nessuno ci
possa salvare.
Sentirci cercati, chiamati simbolicamente per nome, perché riconosciuti dalla società, ci fa vincere
la paura e intravedere la salvezza!
La nostra debolezza, fragilità, insicurezza, il nostro allontanamento dalla vita, subiscono un
cambiamento se ascoltiamo la voce di Dio, se ci affidiamo alla fede e alla speranza.
Come nella parabola della pecorella smarrita, Dio sente il nostro allontanarci, il nostro isolarci dal
mondo, ci vede soli, smarriti, ci cerca, ci chiama, finché non ci trova.
E così capiamo che la nostra vita è importante, è un dono prezioso che non possiamo disperdere nel
nulla, anche se siamo fragili, poveri, peccatori.
Con l’aiuto di Dio e la semplicità del nostro cuore, possiamo anche noi essere “dono” per gli altri e
gli “altri” essere dono per noi. Questa reciprocità è una opportunità da non perdere: ci può far
apprezzare la vita nella nostra Comunità, ci fa essere partecipi e accoglienti, ci fa capire quanto ogni
presenza accanto a noi può essere vissuta come “prossimità”, nel significato cristiano della parola.
Allora la paura fugge, lascia il posto alla forza di volontà, al coraggio, alla fiducia, alla voglia di
vivere “bene”, fino agli ultimi giorni della nostra vita, come se fosse sempre il primo giorno della
nostra esistenza.
Certo, una paura rimane sempre in noi, ci accompagna, ci ricorda la nostra finitezza e precarietà: è
la paura della morte, ultimo esito della nostra esistenza, della nostra solitudine. E’ insita in noi, la
ignoriamo nei momenti felici, ci assale nei momenti di sofferenza; la scacciamo dai nostri pensieri,
ma ritorna, riemerge, nel buio dei nostri pensieri.
Dobbiamo allora riuscire, sempre, a intravedere la luce che rende l’uomo, unico essere vivente
capace di sperare oltre la morte, capace di credere nell’amore di Dio, oltre la morte
.
Il “coraggio” dell’uomo lo possiamo trovare in queste parole:
“Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porterà con sé
l’annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi.
E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la
paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò”.( dal film “Dune”)
E queste altre parole, sulla fragilità e precarietà dell’uomo:
“Legala agli altri la luce che non hai, la forza che non possiedi, la speranza che senti vacillare in
te, la fiducia di cui sei privo. Illuminali del tuo buio. Arricchiscili con la tua povertà. Regala un
sorriso quando hai voglia di piangere”.(Alessandro Manzoni)
Bellissime parole!
Parole di Speranza!
Domanda: “Nella società dell’indifferenza e dell’individualismo, come possiamo essere
testimoni di prossimità e di fede?”
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“Il buon pastore” mosaico-mausoleo di Galla Placidia - Ravenna
“Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una,
non lascia le novantanove nel deserto
e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?
….”
( Luca 15,3..)
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Pensieri, Parole, Immagini…
Le nostre riflessioni sono legate alle tante “parole” lette e meditate, rilette e ripetute,
scorrendo le pagine di
“NON ABBIATE PAURA”
Parole, che si sono trasformate in pensieri personali e riflessioni,
semplici parole dettate dal nostro cuore.
Ci hanno guidato anche le parole di Don Sergio Colombo
che hanno stupendamente tradotto il significato di
paura e coraggio
solitudine e fiducia
alleanza e prossimità
parola buona
parola amica
vita buona!
E le parole di Don Giovanni Nicolini, quando racconta:
-Percorrendo il “Cammino di Santiago” ho incontrato un crocifisso strano:
Gesù inchiodato sulla croce.
Ma un braccio non è inchiodato: E’ proteso verso il basso, verso di noi:
“E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”
(Giovanni12,36)
Dove?Alla Croce?Aspetta! Facciamo strada insieme.
Lasciamolo venire. Nella pienezza dei tempi:
“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”
(Giovanni1,14)
E’ l’ultimo passo di Dio piegato verso di noi, fino alla nostra carne.-
“El Cristo da la
Man Tendida”
a Furelos (Galizia)
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Van Gogh, “Campo di grano con corvi”1890
“…Briciole di grano - il vento le violenta al mio passaggio - la strada è segnata - la percorro verso
il nuovo domani - insieme ai corvi neri miei compagni di viaggio - lascio la luce per il buio in cui
mi annullo…”
Il dipinto esprime tutta la solitudine dell’uomo, in questo caso dell’artista; è un grido di dolore e di
disperazione, una strada senza via d’uscita, senza meta, verso l’ignoto. Un cielo che pare un oceano
in tempesta, in cui il chiaro si mescola al buio, sempre più scuro; i corvi neri volteggiano, come un
triste presagio di morte…( poco dopo Van Gogh si suicida…)
Se guardiamo bene,
la paura è sempre legata alla solitudine:
come succede nella notte che crea mostri
e ingrandisce tutte le difficoltà
e poi le facce familiari del mattino
e i colori del giorno
ci fanno sentire di nuovo a casa…,
la paura cresce e si fa incontrollabile
quando il suo oggetto è impreciso.
Viene invece arginata
e addomesticata dalla parola:
soprattutto dalla parola amica, familiare
che toglie la malignità alla paura,
mi libera dalla prigione
in cui mi rinchiudo
e diffido di tutto e di tutti,
persino di me stesso:
dalla paura della mia paura.
(Sergio Colombo- “Sul coraggio”)
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“S.Anna, La Vergine e il Bambino con
l’agnellino” ( Leonardo da Vinci, 1510 circa)
Una prossimità che ci dà fiducia, un legame familiare, affettivo, di tenerezza, che si espande nel
tempo e nello spazio. Un legame d’amore che unisce Dio all’Uomo, alla storia di ogni uomo. Un
legame che ci invita a dire: ” Io non ho paura!”
Il coraggio
ci viene dalla parola buona,
dalla promessa che ci arreca l’altro
che mi viene incontro,
dalle cose che mi capitano
e mi propongono un’alleanza,
che mi invitano
ad una vita buona e promettente
anche negli ostacoli e nelle paure.
Il coraggio
di affrontare le minacce e le paure
ci viene, insomma, da una compagnia,
dal regalo di una prossimità
che ci dà fiducia.
(Sergio Colombo)
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I nostri pensieri… “Non avere paura è impossibile, ma nel contempo è una sollecitazione a vincere questo stato d’animo, comune al mondo animale. La paura nel migliore dei casi ci permette di sopravvivere e
nel peggiore porta all’annientamento di sé. Ragione, speranza, fiducia, sono le armi vincenti per
superar la paura e guardare avanti con serenità. Da soli combattere è difficile, insieme le vittorie
sono sicuramente più facili”.
“Solitudine: sofferenza interiore e tendenza a isolarsi. Si può vincere attraverso il rapporto con
persone buone e amiche; a lungo andare viene a crearsi l’attesa dell’incontro con gli altri.
Coraggio: decidere a reagire a ciò che ci tormenta distrugge la nostra vita. Senza il coraggio ci si
lascia prendere dalla paura tanto da abbandonare le battaglie buone del nostro bene.
Speranza: con il coraggio e con la speranza ci si può mettere in gioco per riuscire a vivere
concretamente ciò che si dava per scontato (forse anche dimenticato). Lo dice anche il libro a
pag.10:-Non è più il tempo di dare per scontato-
Senza coraggio e senza speranza ci prende la paura, che ci fa abbandonare la battaglia buona del
nostro bene”.
“Le parole –chiave che mi hanno colpito: 1) Ridare alle PAROLE il senso originario: quanto è importante il valore della Parola, parlata,
sussurrata, ascoltata, buona, letta, soppesata nel suo significato, amica, mai urlata, gridata,
pronunciata a vanvera..
2) Dalla Parola alla capacità di RELAZIONE tra persone, tra uomini e donne che sanno tessere la
ricca trama del saper comunicare. Sapersi mettere in relazione attraverso una partecipazione
attiva, dentro la COMUNITA’che può diventare così pedagogica, educante, coinvolgente,
aggregante, mai individualista, solitaria, paurosa di se stessa…
3) Dalla Relazione alla voglia di PARTECIPAZIONE di ogni singola persona nei confronti della
Comunità; protagonismo umile, sensibile, attivo, di testimonianza, mai egocentrico, di
supremazia sugli altri, mai protagonismo che fa rumore, che impone, che detta regole a tutti i
costi…
4) Dalla Persona all’esigenza di stare INSIEME, per ascoltarsi, per parlare e confrontarsi, per
avere il coraggio di esprimersi e raccontarsi, dicendo ad alta voce parole che spesso stanno
chiuse in noi stessi e non osano farsi VOCE…
5) La nostra Voce che si fa SUONO, come uno strumento musicale dolce o acuto: dolce per
pronunciare parole buone, come amore, attenzione, cura, coraggio, audacia, parole che si
fanno SPERANZA; suono acuto, provocato dalla PAURA, dalle nostre paure, dall’ansia, dalla
sfiducia, dalle preoccupazioni quotidiane, dall’insicurezza singola o collettiva, dall’isolamento
e dalle solitudine…
6) Perché devo avere PAURA? Perchè devo essere sfiduciata? Forse perché sono anziana? Forse
perché è sempre più frequente in me il pensiero della paura grande e misteriosa che è quella
della morte?
7) No, non devo avere Paura, perché la mia vita è stata ed è tuttora un DONO, prezioso e unico,
irripetibile; questa unicità mi deve far riflettere: No, non devo avere paura!
Nada te turbe, nada te espante: quien a Dios tiene, nada le falta. Nada te turbe, nada te espante, solo Dios basta! Niente ti turbi, niente ti spaventi: chi ha Dio, niente gli manca. Niente ti turbi, niente ti spaventi, solo Dio basta! (Canone di Taizè)
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“L’esperienza dell’uomo si costituisce all’interno del suo andare incontro, del suo illuminare, del
suo rispondere. Non lasciarsi prendere dalla paura del proprio limite, perché ci può influenzare
negativamente. Accoglierlo significa anche riuscire ad accettarlo. Il sentirci capaci, nonostante
tutto, ci aiuterà ad agire per il bene e di conseguenza ad illuminare la realtà che ci circonda,
prendendo però anche coscienza che ciascuno di noi ha appunto dei limiti.
Non è indispensabile essere dei campioni! Ciò ci rende grandi, cioè veri, come siamo, e non la
professione che svolgiamo, anche se bisogna sempre dare prova di essere qualcuno. Importante è
fare il bene, anche se non di successo.
Illuminare il nostro cammino dipende da noi, dal nostro cuore, dalla nostra libertà, dalle nostre
decisioni. Illuminare con lo sguardo significa anche vedere ciò che guardiamo, prestare attenzione,
prendersi cura.
Perciò il “non temere” significa che possiamo essere capaci, pur tra mille difficoltà, di fare il bene,
di abitare la terra, di illuminare con lo sguardo ciò che ci circonda.”
“La paura è un’emozione positiva perché ci prepara ad affrontare una situazione di pericolo, sia
reale che immaginario. E’ il nostro cervello che, lanciando il segnale di allarme, ci predispone a
lottare o a fuggire”.
”Mi ha molto colpito il concetto di “finitezza e mortalità”contenuto nel libro della Sapienza: -La nostra vita è breve e triste, non c’è rimedio quando l’uomo muore.
Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati…-
Angosciante affermazione che mi ha fatto riflettere, soprattutto mi ha fatto pensare al perché una
persona deve tanto darsi da fare sulla terra, dovrebbe agire, nel bene o nel male, se poi non rimane
più nulla? Il nostro impegno o disimpegno, il nostro saper scegliere tra il bene e il male, è proprio
inutile? E’ tempo sprecato? Ne vale la pena, di essere onesti, rispettosi, di essere cittadini e
credenti che propendono per il bene comune?
Io credo proprio di sì! La mia condizione di limitatezza, di precarietà, proprio perché la mia vita è
breve, deve spingermi ancor di più ad agire, fino alla fine. Mi impegna, con senso del dovere, a
cercare di trasmettere con umiltà e perseveranza, qualcosa che altri continueranno, dopo di me.
Io, persona finita e mortale, devo essere “educatore” (e-ducere) fino alla fine dei miei giorni.
Il mio sguardo deve saper cogliere, nello specchio in cui mi rifletto, non l’immagine della caducità
della mia vita, non i segni degli anni che avanzano, ma ciò che sta dentro di me: i valori, le gioie, le
sofferenze, i miei sogni e le mie delusioni, quei sentimenti buoni che, antichi quanto la storia
dell’uomo, si trasmettono e si tramandano, finché l’uomo esisterà sulla terra.
La mia vita certamente non conta nulla, ma ciò in cui credo, nella mia breve esistenza, forse altri lo
faranno proprio, perché la vita continua, continua…sempre!
La mia vita, come un granello di senape?
“Nello scritto di Nicolini ho notato una cosa che mi ha fatto pensare e cioè l’immagine della
“coperta”, importante, perché quando ci si vuol bene, uno è coperta dell’altro. Non ho paura
perché tu mi vuoi bene; mi accetti come sono, con la mia nudità fisica e con la mia povertà di
persona, ossia con i miei limiti. Quando tutto questo si spezza, ci si nasconde a Dio e agli uomini,
perché ci prende la paura.
Infatti vale quanto si è già detto:” Io non ho paura perché tu sei con me” o anche “perché voi siete
con me” in riferimento alla Comunità. La comunione con il Signore e tra noi ha un segreto: “L’amore”
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“Non abbiate paura” Già questa affermazione è incoraggiante, non ci fa sentire soli, non avere
paura, ma avere il coraggio del cambiamento. Di certo ho poca fede, pur sapendo che Dio mi ama:
io vorrei sentire più forte l’amore verso i fratelli.
Dio con la sua misericordia mi cerca, mi dà la possibilità per migliorare con questi incontri di
riflessione ( lectio, Vangelo, preghiere, R-Esistenza)
Contro la paura c’è l’amore, questa è la speranza!
“Io…devo. La paura dell’altro ci perseguita, ci fa cambiare atteggiamenti, comportamenti, ci fa camminare
“sghembo, come dice Mariapia Veladiano, pur di non incrociare l’altro.
E’ preoccupante questa sensazione, sempre più diffusa, sempre più strumentalizzata.
Cosa posso fare allora io, nei miei comportamenti quotidiani, per vincere questa paura?
A volte la ritrovo in me, sensazione sottile, ma presente; a volte è in me, in modo forte, devastante.
Diventa così chiusura assoluta.
C’è il rischio che questa chiusura possa toccarmi e segnarmi profondamente?
Allora io devo…
Devo riscoprire la bellezza dello stare insieme
Devo ri-pensare al concetto positivo di Comunità, ma anche al concetto negativo di comunanza.
Devo riflettere sempre sull’uso delle mie parole, poiché possono dividere, anziché unire,
allontanare, anziché accogliere.
Devo ridare senso al mio “bene” verso gli altri, e considerarlo come una coperta che avvolge e che
protegge, come una fiamma che riscalda, come un grembo materno che mi fa sentire unito all’altro,
in comunione con l’altro.
Devo allontanare da me la tentazione della solitudine, poiché stare soli forse può apparire comodo:
in solitudine non si vedono le difficoltà altrui, non si sentono le richieste di aiuto, non si toccano
con mano i problemi dell’altro, a volte anche di chi ci è estremamente vicino.
“Non avere paura, non temere!” devo ripetermi, ogni volta che questo sentimento mi assale, poiché
non sono solo: “l’altro” mi è accanto.
Sta a me vederlo, sentirlo, toccarlo, farlo diventare parte dei miei pensieri.
Dopo aver ascoltato Petrosino sono sempre più convinta che la speranza e lo sforzo di saper
vedere il bicchiere mezzo pieno nella vita, è la soluzione per affrontare le paure e le difficoltà.
Non da meno è la condivisione con altri delle proprie paure e ansie. Avere accanto una famiglia e
una Comunità accogliente, come già avevamo detto, attenua le paure, dà coraggio, altra qualità
essenziale per sentirsi più sicuri. Saper apprezzare ciò che abbiamo avuto e non solo ciò che
abbiamo perso; saper vedere positivo nelle persone, e non solo il negativo, è un inizio.
Il cammino è lungo, dura una vita, ma con il Signore nel cuore nulla è impossibile.
E l’atteggiamento positivo verso la vita è basilare.
Buon cammino a tutti!
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(Pag.24). La paura è polisemica. (S.Petrosino).
Come molte cose nell’uomo, la paura ha una valenza (e degli effetti) diversa a seconda del suo tragitto, del suo oggetto, delle sue motivazioni e del suo traguardo. -C’è la paura che parte da me e che ricade su di me. Paura umanissima in taluni casi, patologica in altri. C’è la paura che mi può far bene (non cancelliamo la paura!), come quando ho la percezione del limite a cui posso arrivare e non lo oltrepasso. C’è la paura nociva, invece, quella che mi paralizza e non mi fa decidere nelle scelte, nei comportamenti, nel buttarmi fuori da me stesso. Nel fondo è una paura di vivere, una paura di amare. -C’è la paura che parte da me e ricade su persone o oggetti, situazioni: temo per qualche persona cara (nasce dall’amore), temo per le conseguenze di qualche comportamento negativo osservato negli altri (è il contrario dell’indifferenza), temo per il bene comune (ho a cuore la polis). Oppure temo per un avvenire che mi appare troppo critico (ho smarrito la speranza), temo nel lavoro chi mi comanda e così divento servile, temo un insuccesso e così non scendo dal mio piedistallo. Al fondo della paura c’è sempre il tipo di incontro con la paura e con noi stessi, quell’incontro che ci permette di vincerla, o di conviverci, o di trasformarla in occasione di crescita. La qualità dei legami che riesco a intessere è fondamentale in questo approccio. (Pag.28). La grande paura. (S.Petrosino). La coscienza di essere finito e mortale può avere due sbocchi: -serietà nei confronti dell’essenziale; -paura del non-senso e quindi esasperazione incontrollata, che può portare a una decisa violenza.
Sono consapevole che questo passo vuole soltanto essere una descrizione della realtà, non una interpretazione completa e propedeutica di essa. La prima affermazione infatti (“la coscienza di essere finito e mortale può spingere alla serietà esistenziale nei confronti di ciò che è essenziale”) è una incompleta regola di vita, per quanto buona, e non può essere presa, da sola, come regola di comportamento positivo nella vita. Si può infatti giungere all’essenziale se si ha paura, ma l’invito per una pienezza umana è andare oltre. La paura può essere il primo gradino, poi però occorre che essa sia affiancata dalla consapevolezza che l’essenziale va cercato e scelto non solo per paura, ma per il suo valore intrinseco di bellezza, verità e giustizia nei confronti degli altri. Solo così la paura può trasformarsi in occasione di crescita e di maturità umana. Un esempio dal campo della fede. Era frequente, soprattutto in passato, la proposta di comportamenti positivi motivati però soltanto dalla paura o da un certo…utilitarismo: non far così perché andrai all’inferno, compi queste opere così andrai in Paradiso. Oggi la Chiesa, più giustamente, pur additando sempre questa finalità escatologica, invita a fare le nostre scelte di vita perché conquistati dalla bellezza di un annuncio a cui diamo fiducia, o perché colpiti dalla verità e bontà di uno stile di vita comunicato da Dio all’uomo.
La paura dunque può essere feconda, ma resta sempre la premessa a scelte di vita più mature. La paura del non-senso (seconda affermazione) è effettivamente paralizzante e scatenante energie negative, come afferma l’autore. Da qui la fondamentale importanza per ognuno, soprattutto nell’età giovanile, di porsi molti “perché” esistenziali, di mettersi in atteggiamento umile di ricerca, per accogliere e non rifiutare il senso dell’esistenza. Dall’umiltà e dalla sincerità di questo “guardare”, dentro e fuori di sé, la realtà può essere percepita non come insignificante, ostile, ma come ricca di senso e potenzialità, anche nei suoi aspetti meno gratificanti. Una vita provata e ferita, capace però di trovare “senso” nel suo percorso, è senz’altro più appagante di una vita normale, ma priva di consapevolezze a cui agganciare il proprio procedere.
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(Pag.66). “Essere perfetti non vuol dire essere inappuntabili e irreprensibili, ma camminare incessantemente verso la comunione”.(G.Nicolini) Mi colpisce questo passo, che fa giustizia di una visione troppo legalistica della perfezione e le dà una dimensione non privata, individualistica, ma comunitaria e solidale. L’autore, per indicare il traguardo della perfezione, non usa il termine unità, che pure sarebbe efficace, ma quello di comunione, che apre orizzonti più vasti e profondi, che guarda alla consonanza degli animi e non solo alla loro vicinanza. E’ un termine che non rimane un semplice traguardo; esso diventa anche base di partenza per cammini che possono attraversare la vita in modo pieno e corresponsabile.
(Pag. 71,72). “…la piccolezza, la debolezza, la povertà…sono realtà preziose che Dio elegge come segni e strumenti della sua potenza contro ogni nemico…A vincere saranno solamente la fede, la fiducia e l’accoglienza cordiale e piena del dono di Dio”. (G.Nicolini). Solitamente portati a pensare che piccoli, deboli, poveri siano specifiche categorie di persone a cui guardare pur con compassione e solidarietà, dobbiamo operare invece un deciso cambiamento di visuale. Solo riconoscendo in noi stessi debolezza, fragilità, piccolezza, cioè le dimensioni del nostro limite, ci accorgeremo che questo ci rende più aperti alla presenza di Dio e quindi paradossalmente più forti, più grandi, più ricchi. E allora più sicuri, meno timorosi e indecisi.
Se si vuole poi allargare il discorso a una visione più laica, che prescinda dal concetto della
presenza divina, il discorso funziona lo stesso. Le moderne scienze psicoterapeutiche infatti scavano nel
vissuto individuale fino a far emergere una finalmente più lucida coscienza di sé, da cui partire per esorcizzare ossessioni e paure. La visione laica si ferma qui. In quella cristiana si va oltre, fino alla scoperta di quell’Altro-da-sé che è l’Amore di Dio: che ci ricerca, ci ritrova e nel cui abbraccio paure e fragilità vengono messe in fuga.
“La natività”
(Giotto – Cappella degli Scrovegni –Padova)
“Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di David un salvatore, che è Cristo Signore…” (dal Vangelo di Luca 2,8-20)
Le nostre riflessioni terminano qui, ma non finisce il nostro desiderio di continuare a ritrovarci. Il
nostro “gruppo” ha consolidato , durante questi incontri, il legame di amicizia che ci unisce, ha
riscoperto la bellezza della “parola”, scritta, letta e parlata; la bellezza delle parole scambiate,
dopo momenti di silenzio e di riflessione personale. La “serenità” ci ha accompagnato. Questo
legame ha lasciato in noi un “segno”profondo e un desiderio di “prossimità”.
Un grazie ad Anna M., Anna Z., Antonella, Delia, Dolores, Litty, Luisa, Mietta,Valeria, Silvia,
fino al prossimo ritrovarci!
Annalisa