+ All Categories

civ9

Date post: 27-Oct-2015
Category:
Upload: annalisa-gianfelice
View: 41 times
Download: 2 times
Share this document with a friend
Description:
dottrina
24
1 LA TRATTAZIONE DELLA CAUSA 1.- Introduzione: la funzione processuale della fase di trattazione. La concentrazione attuata con la riforma del 2005. 2.- L’interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione. 3.- L’individuazione del thema decidendum. A) Il ruolo del giudice (richiesta di chiarimenti alle parti e le eccezioni rilevabili d’ufficio). B) L’attività delle parti (le preclusioni e l’emendatio libelli). 4.- L’individuazione del thema probandum. A) L’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali. B) La prova contraria. C) Mezzi di prova di ufficio. D) L’ordinanza ammissiva delle prove. 1. La funzione processuale della fase di trattazione. La concentrazione attuata con la riforma del 2005. Già con la riforma del codice di rito introdotta dalla legge n.353 del 1990 la fase di trattazione del procedimento è improntata ad esigenze di concentrazione e speditezza ritenute di interesse pubblico e, quindi, sottratte al principio dispositivo 1 . Il suo obiettivo fondamentale è quello d’individuare il thema decidendum senza possibilità di ampliamento successivo, anche se su di esso venga a registrarsi il consenso delle parti. La conferma normativa di tale assunto è nella formulazione – rimasta invariata - dell’art.189 c.p.c. che stabilisce espressamente che le conclusioni, ai fini della decisione, devono essere precisate nei limiti di quelli formulate nell’atto introduttivo o a norma dell’art.183 c.p.c. L’assunto non riguarda i procedimenti pendenti alla data del 30 aprile 1995, per i quali trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt.183 e 184 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla riforma ex lege 353 del 1990, incentrati su un diversa concezione del processo. Il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del giudizio di primo grado risultava infatti posto a tutela della parte destinataria della domanda, con la conseguenza che la violazione di tale divieto - pur essendo rilevabile anche d’ufficio - non era tuttavia sanzionabile in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte, consistente nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implicasse l’accettazione 2 . L’ulteriore riforma – rispetto a quella del 1990 – introdotta con l. 28.12.2005 n.80 e successive modificazioni, applicabile ai processi introdotti dopo il 28.2.2006 – ha ribadito l’interesse pubblico sotteso all’esigenza di esatta individuazione del thema decidendum, ulteriormente concentrando la fase di trattazione – che prima si svolgeva quasi necessariamente in tre udienze 1 Cass.13.12.2006 n.26691. L’irrilevanza del consenso del convenuto ai fini dell’ampliamento della domanda – così come formulata nell’atto introduttivo ed eventualmente “emendata” durante la trattazione – è stata affermata anche da Cass. 19453/2005 e da Cass.23127/04. 2 Cass. 29.11.2006 n.25242.
Transcript
Page 1: civ9

1

LA TRATTAZIONE DELLA CAUSA 1.- Introduzione: la funzione processuale della fase di trattazione. La concentrazione attuata con la riforma del 2005. 2.- L’interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione. 3.- L’individuazione del thema decidendum. A) Il ruolo del giudice (richiesta di chiarimenti alle parti e le eccezioni rilevabili d’ufficio). B) L’attività delle parti (le preclusioni e l’emendatio libelli). 4.- L’individuazione del thema probandum. A) L’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali. B) La prova contraria. C) Mezzi di prova di ufficio. D) L’ordinanza ammissiva delle prove. 1. La funzione processuale della fase di trattazione. La concentrazione attuata con la riforma del 2005. Già con la riforma del codice di rito introdotta dalla legge n.353 del 1990 la fase di trattazione del procedimento è improntata ad esigenze di concentrazione e speditezza ritenute di interesse pubblico e, quindi, sottratte al principio dispositivo 1 . Il suo obiettivo fondamentale è quello d’individuare il thema decidendum senza possibilità di ampliamento successivo, anche se su di esso venga a registrarsi il consenso delle parti. La conferma normativa di tale assunto è nella formulazione – rimasta invariata - dell’art.189 c.p.c. che stabilisce espressamente che le conclusioni, ai fini della decisione, devono essere precisate nei limiti di quelli formulate nell’atto introduttivo o a norma dell’art.183 c.p.c. L’assunto non riguarda i procedimenti pendenti alla data del 30 aprile 1995, per i quali trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt.183 e 184 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla riforma ex lege 353 del 1990, incentrati su un diversa concezione del processo. Il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del giudizio di primo grado risultava infatti posto a tutela della parte destinataria della domanda, con la conseguenza che la violazione di tale divieto - pur essendo rilevabile anche d’ufficio - non era tuttavia sanzionabile in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte, consistente nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implicasse l’accettazione2. L’ulteriore riforma – rispetto a quella del 1990 – introdotta con l. 28.12.2005 n.80 e successive modificazioni, applicabile ai processi introdotti dopo il 28.2.2006 – ha ribadito l’interesse pubblico sotteso all’esigenza di esatta individuazione del thema decidendum, ulteriormente concentrando la fase di trattazione – che prima si svolgeva quasi necessariamente in tre udienze

1 Cass.13.12.2006 n.26691. L’irrilevanza del consenso del convenuto ai fini dell’ampliamento della domanda – così come formulata nell’atto introduttivo ed eventualmente “emendata” durante la trattazione – è stata affermata anche da Cass. 19453/2005 e da Cass.23127/04. 2 Cass. 29.11.2006 n.25242.

Page 2: civ9

2

successive - in una (tendenzialmente) unica udienza. Al contempo ha stabilito che durante la trattazione debba essere individuato il thema probandum, per cui negli atti introduttivi e negli scritti difensivi da depositarsi nei termini di cui all’art.183, sesto comma, c.p.c. le parti dovranno fissare l’oggetto sia della lite sia dell’indagine istruttoria, con conseguente preclusione a riguardo nelle successive fasi del processo. Il criterio che ha ispirato il legislatore dell’ultima riforma - sintetizzato dalla dottrina nello slogan “meno udienze, più preclusioni” – può porre innanzitutto un problema di interferenza fra i blocchi di contenzioso, posto che le cause introdotte prima dell’1.3.2006 continuano ad essere disciplinate dalle norme abrogate (e, fra esse, quelle sulla trattazione). Se, infatti, non è di particolare difficoltà l’individuazione della pendenza del processo3, qualche perplessità potrebbe esserci in caso di riunione tra cause rispettivamente soggette al vecchio e al nuovo rito ordinario 4 . La scelta del modello processuale da utilizzarsi è fondamentale per la trattazione e, quindi, per stabilire i criteri di preclusione. Alcune pronunce di merito, ancorchè relative alle diversità del rito ordinario prima e dopo la riforma del 1990, hanno proposto soluzioni differenti, proponendo l’applicazione in via analogica dei criteri previsti dall’art.40 quarto comma c.p.c. o, in difetto, il criterio residuale della prevenzione 5 ovvero escludendo la possibilità di trattazione unitaria dei procedimenti6. Ritengo che la differente regolamentazione della trattazione non sia di per sè ostativa alla riunione, qualora ne ricorrano i presupposti, attesa l’identità di “stato” dei procedimenti. Ragioni di praticità consigliano tuttavia di evitare la riunione durante tale fase, rinviandola alla successiva fase istruttoria o decisoria. Secondo l’attuale formulazione dell’art.180 c.p.c. la trattazione della causa è orale e di essa si redige processo verbale. La dottrina ha ritenuto che si tratti di un precetto di carattere generale, di contenuti generici e vuoti, in cui l’oralità viene “compensata” dalla menzione della redazione del verbale7. La scarsa rilevanza della norma può essere forse recuperata in chiave programmatica, come espressione della volontà del legislatore di ispirarsi ai principi di concentrazione ed oralità, per favorire lo scambio diretto delle informazioni sul processo fra i vari interlocutori (applicazione di tale principio sono comunque l’art.183, quarto comma c.p.c. – richiesta del giudice di chiarimenti alle parti e indicazione delle eccezioni rilevabili

3 Il processo è tecnicamente pendente anche se interrotto o sospeso o cancellato dal ruolo ovvero in pendenza del termine per la riassunzione. Anche i processi per cui sia maturata una fattispecie estintiva sono “pendenti”, in quanto l’estinzione, pur operando di diritto, forma materia di eccezione da proporre, a cura della parte interessata, prima di ogni altra sua difesa (art. 307, ultimo comma, c.p.c.). 4 L’utilizzazione di un rito sbagliato costituisce error in procedendo che può essere fatto valere come motivo d’impugnazione ove la parte alleghi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato, per avere inciso sulla determinazione della competenza ovvero sul contraddittorio o sui diritti di difesa (Cass. 8.7.2005 n.14376). 5 Trib. Alba 28.4.1997, in Giur. It. 1998, 67. 6 Trib. Nola 28.1.1997, in Foro It. 1997, I, 2691; Trib. Bari 28.12.1995, in Giur. It. 1996, 403. 7 Alberto Bucci – Anna Maria Soldi “Le nuove riforme del processo civile” – Cedam 2006, pag.6.

Page 3: civ9

3

d’ufficio; gli artt.185 e 117 c.p.c. – interrogatorio libero delle parti; l’art.281 sexies c.p.c. – decisione della causa a seguito di trattazione orale). In tale ottica il verbale di udienza dovrebbe essere compilato dopo l’esposizione delle questioni da trattare o, comunque, contenere una sintetica enunciazione di esse, senza appesantirsi di deduzioni difensive non autorizzate, in conformità peraltro con la previsione dell’art.126 c.p.c. 2. L’interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione. Il terzo comma dell’art.183 c.p.c. stabilisce che il giudice istruttore fissa una nuova udienza se deve procedersi a norma dell’art.185 c.p.c; se si deve effettuare cioè un tentativo di conciliazione. In tal caso è disposta la comparizione personale delle parti. Trattasi di una eventualità che è prevista in due ipotesi specifiche e che determina necessariamente il differimento dell’udienza di trattazione (tendenzialmente unica): essa è rimessa all’iniziativa congiunta delle parti o all’esercizio di un potere discrezionale del giudice. In ogni caso il legislatore ha voluto estrapolare questa parentesi procedimentale dalla prima udienza, individuando una specifica ipotesi di rinvio al duplice fine: a) di consentire alle parti di individuare i termini della possibile mediazione ed al giudice di conoscere i fatti di causa; b) di enucleare uno spazio nel processo nel quale fosse possibile, prima di dar corso alla lite, un dialogo informale – scevro cioè da formalità di acquisizione – con l’obiettivo principale di ricercare un accordo. In base alla formulazione della norma ante riforma, alla prima udienza di trattazione (successiva a quella di comparizione) il giudice era tenuto ad interrogare liberamente le parti se si presentavano e a tentare la conciliazione, quando la natura della causa lo consentiva. La prassi aveva dimostrato che raramente le parti intervenivano di persona (per non compromettere forse il tecnicismo delle allegazioni difensive) e che comunque nella confusione delle udienze in genere non si procedeva alla loro audizione su circostanze di fatto che il giudice avrebbe dovuto peraltro preventivamente conoscere. La riforma ha tenuto conto del vanificato effetto della norma, riscrivendola. La comparizione delle parti è oggi conseguenza di una specifica e congiunta richiesta delle parti che vincola il giudice, il quale “fissa la comparizione delle medesime”, senza possibilità quindi di disattendere la richiesta stessa, neanche qualora ritenga la causa matura per la decisione, senza bisogno di ulteriori indagini (art.187, primo comma, c.p.c.). Nel caso di contumacia del convenuto, l’attore non può chiedere l’interrogatorio libero, in quanto la “richiesta congiunta” presuppone l’avvenuta costituzione in giudizio di più parti. Nel caso di litisconsorzio necessario, l’istanza deve provenire da tutti i litisconsorzi, rimanendo altrimenti privo di utilità il tentativo di conciliazione; per il

Page 4: civ9

4

litisconsorzio facoltativo sarà invece sufficiente l’istanza di un convenuto per la relativa causa cumulata. L’istanza deve essere formulata in limine litis, prima che inizi la trattazione della causa (cd. interrogatorio di cognizione); se proposta in seguito, durante l’ulteriore corso del processo (cd. interrogatorio istruttorio), potrà avere soltanto l’effetto di sollecitare il giudice all’esercizio di un potere discrezionale, senza vincolarlo, posto che “il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell’istruzione” (art.185, secondo comma c.p.c.). La possibilità di differimento della prima udienza per la comparizione personale delle parti è inoltre rimessa al prudente apprezzamento del giudice che procede in tal caso a norma dell’art.117 c.p.c. Quid iuris se all’udienza fissata per il tentativo di conciliazione si presenta una sola parte? Dovrà comunque procedersi al suo interrogatorio libero? Propenderei per la risposta affermativa solo se la comparizione è conseguenza dell’iniziativa delle parti, posto che l’art.185 c.p.c. non richiede che esso avvenga in contraddittorio tra loro, a differenza di quanto previsto dall’art.117 c.p.c. Dalle risposte che le parti danno e, più in generale, dal loro comportamento processuale, il giudice può desumere argomenti di prova (art.116 c.p.c.) 8 . Le parti inoltre potranno farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, informato sui fatti di causa 9 . La procura può anche essere autenticata dal difensore della parte. E’ bene sottolineare la volontà del legislatore a che il tentativo di conciliazione sia una effettiva opportunità offerta dal processo; una soluzione alternativa alla sentenza. Questo esige un obbligo d’informazione dei fatti di causa (la loro mancata conoscenza da parte del procuratore è valutata anch’essa ai sensi del secondo comma dell’art.116 c.p.c.) e modalità adeguate di espletamento (sarebbe opportuno disporre la comparizione ad un orario fisso, in una condizione ambientale che consenta quanto meno il dialogo e il confronto). Tale volontà legislativa, in funzione decisamente deflativa, è evidente in altri dati normativi (si pensi all’art.696 bis c.p.c. e alla nuova figura della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, con un ruolo diverso del consulente, mediatore oltre che tecnico). E’ accentuata nel progetto di (ulteriore) riforma del codice di rito10, nonostante numerose critiche della dottrina, che 8 Ha precisato a riguardo la Suprema Corte che le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale, pur se prive di alcun valore confessorio - in quanto detto mezzo è diretto semplicemente a chiarire i termini della controversia - ben possono nondimeno costituire il fondamento del convincimento del giudice (Cass. 2.4.2004 n.6510). 9 L’interrogatorio formale, invece, non può essere reso a mezzo di procuratore speciale, atteso che il soggetto a cui è deferito deve rispondere personalmente in base all’art.231 c.p.c. (Cass.24.11.2000 n.15195). Le dichiarazioni eventualmente rese dal procuratore potranno semmai essere valutate liberamente, ai sensi dell’art.116 c.p.c.

10 d.d.l. Mastella sulle “Disposizioni per la razionalizzazione e l’accelerazione del processo civile”. Il nuovo testo proposto dell’art.185 c.p.c. parla più propriamente di ipotesi concrete, che il giudice formula e rispetto alle quali ciascuna parte «è tenuta a specificare a quali condizioni è disposta a conciliare la controversia» sapendo che, qualora rifiuti una conciliazione vantaggiosa,

Page 5: civ9

5

ha evidenziato come il processo civile non sia il luogo ideale per la conciliazione, da attuarsi – specie per le cause semplici e seriali – presso organi qualificati di mediazione11. Se la conciliazione ha esito positivo si forma processo verbale della convenzione conclusa; il verbale è titolo esecutivo. 3.- L’individuazione del thema decidendum. A) Il ruolo del giudice (la richiesta di chiarimenti alle parti e le eccezioni rilevabili d’ufficio). Il quarto comma dell’art.183 c.p.c. stabilisce che nell’udienza di trattazione il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione. La disposizione è identica al terzo comma del previgente art.183 c.p.c. e la ratio della disciplina resta quella di indurre le parti ad un effettivo confronto, con la partecipazione attiva del giudice, per puntualizzare i temi essenziali della controversia. L’applicazione della norma presuppone l’esame preventivo del fascicolo; a tal fine l’art.168 bis c.p.c. stabilisce che il fascicolo stesso debba essere trasmesso all’istruttore dopo l’iscrizione a ruolo e prima dell’inizio della causa. La prassi attesta una pressoché generalizzata disapplicazione della norma, atteso che la consistenza numerica dei ruoli civili e il contesto caotico delle udienze spesso ostacolano il dialogo informato ed informale sui fatti e le questioni rilevanti; l’udienza di prima comparizione e trattazione della singola causa non ha così un suo “spazio” per l’attività riservata dal comma in questione all’iniziativa del giudice. Un’attività tuttavia sulla quale si è soffermata la Suprema Corte. L’art.183, III co. c.p.c. è stato ritenuto uno specifico strumento predisposto dall’ordinamento processuale per la corretta individuazione della domanda, ove il giudice abbia dubbi sulla stessa; il dovere di provvedere in tal senso è stato altresì collegato all'art.175 c.p.c. norma che dispone che lo svolgimento del procedimento è improntato al principio di lealtà, con precetto rivolto al giudice, che vale, prima ancora che nei confronti delle parti, nei suoi stessi confronti 12 . Il giudice quindi è tenuto a chiedere alle parti i chiarimenti necessari. Il modo attraverso il quale egli assicura il suddetto rispetto è senz’altro determinato dall’utilizzazione di poteri processuali che implicano giudizi di opportunità rimessi ad apprezzamenti meramente discrezionali; il mancato esercizio della facoltà in argomento può tuttavia tradursi

sarà condannata alle spese anche in caso di esito favorevole della lite, se contenuto nei limiti della rifiutata conciliazione (nuovo testo dell’art. 91, comma 1, c.p.c.). Alle parti si richiede del resto un atteggiamento collaborativo: esse «debbono chiarire le circostanze di fatto rilevanti per la causa in modo completo e veritiero» (nuovo comma 3 dell’art. 88 c.p.c.), anche perché il giudice potrà porre a base della decisione «i fatti non specificamente contestati» (nuovo testo dell’art. 115, comma 1, c.p.c.). E’ reintrodotta inoltre la comparizione obbligatoria delle parti all’udienza di trattazione. 11 Bruno Capponi “Trattazione della causa, ruolo del giudice, cultura del contraddittorio nel d.d.l. Mastella” in www.judicium.it. 12 Cfr. sul punto Cass. 7.6.2000 n.7752.

Page 6: civ9

6

in un vizio della sentenza, qualora nella motivazione non si adduca un’adeguata spiegazione del motivo per cui – a fronte di un’omissione sul piano della individuazione della domanda e della comprensione delle allegazioni attoree – il giudice abbia omesso anch’egli di individuare esattamente la domanda, integrandola in sede di chiarimenti. La Cassazione ha avuto modo di esprimere i suddetti principi occupandosi di un caso frequente nella prassi giudiziaria ossia di domanda di pagamento formulata in termini generici e indeterminati che richiedeva l’esercizio di un potere officioso, strumentale alla precisa individuazione del petitum13 14. Più delicato si presenta l’applicazione pratica del precetto normativo secondo cui il giudice “indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio”. Il riferimento è alle cd. eccezioni in senso lato o eccezioni d’ufficio. L’aspetto da affrontare è quello della esatta individuazione di tali eccezioni nonché delle modalità attraverso le quali il giudice deve farle valere nel processo. Le sezioni unite civili hanno affermato a riguardo i seguenti due principi 15 : I. nel nostro ordinamento vige il principio generale della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, con la conseguenza che l'eccezione in senso stretto ha carattere eccezionale, essendo limitata alle ipotesi in cui la legge riserva esclusivamente all’interessato l'iniziativa per la decisione sul fatto estintivo, modificativo, impeditivo e a quelle in cui essa si coordina all'esercizio di un'azione costitutiva; II. anche se si trova di fronte ad una eccezione in senso lato (e quindi rilevabile d'ufficio), il giudice non può procedere al rilievo d'ufficio del fatto estintivo, modificativo, impeditivo se questo non è stato tempestivamente allegato dalle parti (e ciò perché una cosa è l'allegazione dei fatti, spettante alla parte, ed altra cosa è il rilievo d'ufficio; quest'ultimo presuppone l'avvenuta tempestiva allegazione). La dottrina e la giurisprudenza successiva hanno tuttavia rilevato che il principio sub II non era esaustivo e doveva essere integrato. L’eccezione di giudicato è stato il paradigma di tale ragionamento. Il giudicato interno e quello esterno corrispondono all’unica finalità rappresentata dall'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa: l'autorità del giudicato è quindi riconosciuta non nell'interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell'interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi - nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile - per l'intera comunità. Corollario di tale ragionamento è che il rilievo dell'esistenza di un giudicato

13 Cass. 30.7.2001 n.10372; la pronuncia ha ritenuto applicabili anche al processo del lavoro i principi sottesi alla previsione dell’art.183, terzo comma, c.p.c. in relazione alla richiesta di chiarimenti alle parti. 14 In dottrina si è detto (Alberto Bucci – Annamaria Soldi – op. cit. pag.13) che la richiesta di chiarimenti costituisce un’attività squisitamente discrezionale, il cui mancato uso, lungi dal poter formare oggetto di un motivo di impugnazione, per violazione della legge processuale, comporta soltanto una maggiore attivazione probatoria della parte che avrebbe avuto interesse a rendere i chiarimenti stessi. La lettura della norma mi sembra riduttiva, oltre che contraria ai richiamati principi espressi dal giudice di legittimità. 15 Cass. S.U. 3.2.1998 n.1099 e, in seguito, Cass. S.U. 25.5.2001 n.226

Page 7: civ9

7

esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle preclusioni di parte, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito (in termini Cass. Sez. Un. n.226/2001). Non tutte le eccezioni in senso lato necessitano quindi della tempestiva allegazione dei fatti su cui si basano. In una recentissima e articolata pronuncia la Cassazione 16 ha precisato pertanto che tali eccezioni qualora coinvolgano un interesse pubblico in campo processuale possono essere rilevate in ogni stato e grado del processo, senza che rilevi la tempestiva allegazione di parte. Si pensi ad esempio – oltre il già citato caso dell’eccezione di giudicato – alle condizioni dell’azione e, in particolare, alla mancanza di interesse ad agire17 ed al difetto di legittimatio ad processum18. L'allegazione è invece necessaria - e deve aver luogo al massimo entro il termine ultimo entro il quale nel processo di primo grado si determina definitivamente il thema decidendum e probandum – quando si tratta di eccezioni in senso lato relative ad un diritto di carattere sostanziale, il cui esercizio in campo processuale non incide in alcun modo su interessi pubblici ma ha una rilevabilità condizionata al rispetto del principio dispositivo e del contraddittorio. La fattispecie esaminata dalla Corte nella citata sentenza n.14581/2007 riguarda un’eccezione concernente l’entità del massimale assicurativo in una causa fra danneggiato (a seguito di sinistro stradale) e assicuratore. Trattasi senz’altro di un’eccezione in senso lato perché relativa all’accertamento nel quantum del diritto (di carattere sostanziale) fatto valere in giudizio dall’attore19. Il giudice di merito non aveva tenuto conto del massimale perché l’allegazione del massimale era avvenuta oltre il termine perentorio per la definitiva determinazione del thema decidendum e probandum; la Cassazione ha confermato l’esattezza di tale conclusione, precisando che tale principio di diritto è stato esposto con riferimento all'art.183 c.p.c. non novellato in quanto applicabile nella causa esaminata, ma che il medesimo principio vale anche con riferimento all'art.183 novellato che prevede un termine perentorio per fini corrispondenti. E’ evidente allora che se per un verso vi è nella giurisprudenza di legittimità un ampliamento della categoria (ritenuta di carattere generale) delle eccezioni in senso lato, per altro verso la distinzione stessa perde di rilevanza, perché spesso non è necessario stabilire se si sia di fronte ad una eccezione in senso

16 Cass. 22.6.2007 n.14581 17 Secondo Cass. 13.12.2006 n.26632 l’insussistenza dell'interesse ad agire deve essere rilevato d'ufficio in ogni stato e grado del processo. 18 Secondo Cass. 26.9.2006 n.20819, il difetto di legitimatio ad processum deve essere oggetto di verifica, preliminare al merito, da parte del giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio. 19 Circa le peculiarità di tale eccezione si discute se il massimale si ponga come fatto impeditivo dell'azione proposta dal danneggiato in riferimento alla parte del danno eventualmente eccedente ovvero, al contrario, se debba essere considerato come fatto costitutivo con riguardo alla parte di danno compresa in quel limite (si veda a riguardo Cass. 12.2.1998 n.1473).

Page 8: civ9

8

lato o ad una eccezione in senso stretto, dovendosi comunque avere riguardo alla tempestività o meno dell’allegazione di parte, entro il termine perentorio suddetto. In definitiva, il principio generale è quello di devoluzione al giudice dell'accertamento di tutte le condizioni inerenti alla verifica della sussistenza e della consistenza del titolo della domanda giudiziale, sulla base di tempestive allegazioni di parte. Può essere utile riportare alcune significative applicazioni di tali principi nella giurisprudenza della Suprema Corte:

- Qualora l'assicuratore lasci trascorrere il termine di sei mesi dalla scadenza del premio o della rata di premio ed agisca successivamente per il pagamento non solo del premio relativo al periodo assicurativo in corso al momento del decorso di quel termine e, quindi, della risoluzione di diritto del contratto ai ex art.1901, terzo comma, c.c. ma anche di premi dovuti per periodi successivi, l'avvenuta verificazione della risoluzione, quale fatto impeditivo del diritto dell'assicuratore alla corresponsione dei premi per i detti periodi successivi, costituisce un fatto integratore di un'eccezione in senso lato e, conseguentemente, può essere rilevata d’ufficio dal giudice (Cass. 12.1.2007 n.494);

- In tema di risarcimento del danno, mentre l'ipotesi, prevista dal comma secondo dell’art. 1227 cod. civ., in cui il debitore, con il proprio contegno colposo, abbia determinato un aggravamento del danno, costituisce oggetto di una eccezione in senso proprio ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 112 cod. proc. civ., il fatto colposo del creditore che abbia contribuito al verificarsi dell'evento dannoso - ipotesi regolata dal comma primo dello stesso art. 1227 cod. civ. - è rilevabile d'ufficio. (In applicazione di tale principio, la S. C. ha ritenuto corretta la decisione della Corte di merito che, in sede di liquidazione del danno da mancata fruttificazione cagionato dall'impianto di una discarica di materiali inerti su di un terreno occupato per la esecuzione di opere relative alla costruzione dell'autostrada Messina - Palermo, aveva, d'ufficio, ritenuto un concorso di colpa delle danneggiate ) Cass. 19.11.1998 n.11654;

- Nelle controversie promosse per far valere diritti che presuppongono la validità di un determinato contratto, la nullità del contratto stesso è rilevabile d'ufficio, anche in grado di appello, rientrando nel potere-dovere del giudice la verifica della sussistenza delle condizioni dell'azione, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, e senza incorrere in vizio di ultrapetizione se il contratto configura un elemento costitutivo della domanda (dovendo il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità coordinarsi con quello della domanda). In una tale prospettiva, la questione relativa alla nullità del contratto può integrare una mera allegazione difensiva volta a sollecitare il potere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità, con la conseguenza che, in mancanza di un'esplicita

Page 9: civ9

9

richiesta di declaratoria di nullità del contratto, non si rendono applicabili le regole delle preclusioni o limitazioni per la proposizione di domande nuove o di eccezioni in senso stretto (Cass. 23.8.2006 n.18374) 20 . Deve tenersi presente tuttavia che la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto opera quando si chieda l'adempimento del contratto, in considerazione appunto del potere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione, e non quando la domanda sia diretta a far dichiarare l'invalidità del contratto stesso o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento, dovendosi coordinare l'art. 1421 c.c. con l'art.112 c.p.c, il quale, sulla base del principio dispositivo su cui va modellato il processo, impone al giudicante il limite insuperabile della domanda attorea, anche alla luce del nuovo art.111 Cost. che richiede di evitare, al di là delle precise e certe indicazioni normative, ampliamenti dei poteri di iniziativa officiosa21.

In tempi recenti la Suprema Corte a sezioni unite è intervenuta per risolvere un conflitto creatosi nelle sezioni civili circa l’eccezione di interruzione della prescrizione, stabilendo che essa integra un'eccezione in senso lato e non in senso stretto, rilevabile pertanto d'ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti; ha evidenziato che l’istanza di parte è necessaria solo in relazione all'eccezione di prescrizione e che non ha fondamento di diritto positivo assimilare al regime di rilevazione di una eccezione in senso stretto quello di una controeccezione, qual è l'interruzione della prescrizione (Cass. S.U. 27.7.2005 n.15661). Un accenno infine alle modalità attraverso cui il giudice deve far valere le eccezioni d’ufficio nell’ambito del processo. E’ evidente che la fase di trattazione è il momento privilegiato per sottoporre al contraddittorio delle parti questioni idonee a risolvere la controversia e che, al contempo, non vi è una preclusione per il giudice per far valere eccezioni mai emerse nel corso della trattazione. La Cassazione tuttavia ha stabilito che il giudice che ritenga, dopo la fase di trattazione, di sollevare una questione rilevabile d’ufficio e non considerata dalla parti, deve segnalarla alle medesime e consentire loro di argomentare in merito, per evitare sentenze “a sorpresa” o “decisione della terza via”; la decisione della controversia sulla base di una questione non preventivamente sottoposta alle parti implica la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio22. B) L’attività delle parti (le preclusioni e l’emendatio libelli). 20 Tutte le eccezioni che si riferiscono alle verifica della sussistenza delle condizioni dell’azione coinvolgono – come accennato nel testo - un interesse pubblico in campo processuale e possono quindi farsi valere senza la preclusione della tempestiva allegazione di parte. 21 In termini, da ultimo, Cass. 6.10.2006 n.21632. 22 Cass. 21.11.2001 n. 14637 (cfr. anche Cass. 31.10.2005 n.21108). In senso difforme tuttavia Cass. 27.7.2005 n.15705 (in Foro It. 2006, I, 3174, con nota di Ernesto Fabiani) secondo cui la nullità degli atti del processo può essere dichiarata solo se espressamente comminata dalla legge mentre l'art.183 c.p.c. che pure prevede che il giudice indichi alle parti le questioni rilevabili d'ufficio, non commina alcuna sanzione per l'omissione di tale adempimento.

Page 10: civ9

10

L’art.183 quinto comma c.p.c. ha contenuto identico al previgente quarto comma della norma. Contempla tre diverse attività da espletarsi nell’udienza di trattazione e che riguardano esclusivamente le parti: 1) la proposizione di domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni del convenuto (ius variandi); 2) la richiesta di autorizzazione a chiamare in causa un terzo ai sensi degli artt.106 c.p.c. e 269 c.p.c. se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto; 3) la precisazione e modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni già formulate (ius poenitendi). Le prime due attività si riferiscono all’attore e possono essere espletate solo nella prima udienza; la terza invece può essere compiuta da entrambe le parti anche dopo l’udienza, nei termini assegnati ai sensi del sesto comma. All’attore è concesso lo ius variandi e cioè la possibilità di introdurre domande nuove e diverse rispetto a quella originariamente proposta, solo però ove esse trovino giustificazione nella domanda riconvenzionale (reconventio reconventionis), nonché di sollevare eccezioni volte a paralizzare la domanda riconvenzionale del convenuto (exceptio reconventionis; ad es. a fronte di una riconvenzionale avente ad oggetto la richiesta di pagamento, potrà eccepire la prescrizione o una causa di estinzione dell’obbligazione). Può anche proporre le eccezioni rivolte a neutralizzare le eccezioni avversarie (exceptio exceptionis), da intendersi in senso proprio, non anche nelle semplici controdeduzioni finalizzate a contestare il fondamento dell'azione 23 (ad esempio, contro l’eccezione di prescrizione può eccepire la sospensione o l’interruzione della stessa). L’attore infine può chiedere al giudice l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo. E’ bene evidenziare che le modalità di estensione del contraddittorio da parte dell’attore sono diverse da quelle previste per il convenuto, il quale ha diritto allo spostamento dell’udienza di prima comparizione e a chiamare in causa il terzo. L’iniziativa dell’attore è invece subordinata all’espressa autorizzazione del giudice, il quale sarà tenuto a valutare a tal fine l’effettivo collegamento tra difesa del convenuto e esigenza di ulteriore difesa dell’attore (la decisione potrà essere presa in udienza o a seguito di riserva, in ogni caso fissando altra udienza di trattazione se si autorizza la chiamata). Il caso tipico è quello del convenuto che si difende affermando che responsabile del comportamento ad esso imputato è un terzo. Si tratterà allora di verificare se l’attore poteva prima del giudizio individuare correttamente il destinatario degli effetti della sua domanda ovvero se solo la difesa del convento ha fatto sorgere l’esigenza di estendere il contraddittorio al terzo. In

23 Cass. 11.3.2006 n.5390; Cass. 30.7.2004 n.14581 (nella fattispecie la S.C. ha ritenuto inammissibile la introduzione in giudizio di un titolo extracontrattuale - rimborso "pro quota", ai sensi dell'art. 1069, ult. comma, cod civ., delle spese di manutenzione di una strada - in aggiunta all’originario titolo contrattuale, oggetto di eccezioni di nullità del contratto e di prescrizione formulate dal convenuto in comparsa di risposta, avendo escluso che tale introduzione fosse conseguenza logico - giuridica di dette eccezioni, alle quali, invece, era solo fattualmente ed occasionalmente collegata).

Page 11: civ9

11

definitiva, la chiamata in causa su iniziativa dell’attore non è ammissibile per sopperire ad un’iniziale erronea prospettazione della domanda in ordine al soggetto che si ritiene obbligato. Si pensi al caso frequente nell’attuale casistica giudiziaria di domanda di ripetizione d’indebito proposta dal correntista di una banca per somma che si assumono indebitamente versate in base a clausole contrattuali nulle; se il rapporto bancario è stato oggetto di cessione di ramo d’azienda è indubbio che l’attore è tenuto ad individuare correttamente il soggetto destinatario degli effetti della sua domanda, a prescindere dalle difese del convenuto che contesti la propria legittimazione. La dottrina ritiene – a mio avviso fondatamente – che le stesse facoltà previste per l’attore debbano riconoscersi al convenuto che intenda proporre nuove domande o eccezioni o chiedere al giudice di essere autorizzato a chiamare un terzo qualora tale esigenza sia sorta dalle difese di altri convenuti, anch’essi evocati in giudizio24. Un problema può sorgere se il convenuto si costituisce all’udienza. Pur essendogli precluse le facoltà processuali in tema di domande, è sempre possibile da parte sua la proposizione di eccezioni in senso lato, difese e contestazioni che potrebbero far sorgere nell’attore l’interesse a proporre domande, chiamate di terzo od eccezioni. L’attore deve necessariamente espletare tale attività alla stessa udienza, secondo il tenore letterale della norma? Ragioni di buon senso e di rispetto del diritto di difesa dovrebbero portare ad affermare che in questo caso il giudice, se richiesto, deve concedere un rinvio dell’udienza per consentire all’attore questa attività difensiva. Lo stesso dovrebbe accadere nel caso in cui all’udienza intervenga volontariamente un terzo ex art.105, primo comma c.p.c. nella veste cioè d’interventore principale o litisconsortile: il terzo, deducendo in giudizio un proprio diritto soggettivo, determina un ampliamento della causa, con conseguente diritto delle parti originarie ad adeguare le proprie difese alla (nuova) situazione fatta valere (la realizzazione del diritto di difesa non sembra invece essenziale in caso d’intervento del terzo adesivo dipendente ex art.105 secondo comma)25. Tale conclusione trova il conforto di due pronunce, una delle quali del giudice del leggi. Ha stabilito infatti la Corte Costituzionale – sia pure con riferimento al procedimento davanti al Giudice di Pace – che la norma di cui all'art.320, quarto comma c.p.c. può essere interpretata, conformemente a Costituzione, al di là della sua letterale formulazione, come espressiva di una direttiva generale, pur tenuto conto dell'obiettivo di una rapida soluzione del processo: il giudice di pace risulta pertanto obbligato a fissare una nuova udienza qualora l'attore abbia necessità di apprestare le proprie difese, comprendenti non

24 Fabio Santangeli – “Le udienza di trattazione della causa nel processo civile ordinario alla luce delle recenti riforme” nota n.24 - in www.judicium.it. 25 La dottrina ritiene che dovrebbe comportare un rinvio dell’udienza di trattazione anche l’emanazione di una delle ordinanze di cui agli artt.648, 649, 186 bis e 186 ter c.p.c. specie se la relativa richiesta è formulata direttamente all’udienza (Consolo, La trattazione della causa, in Consolo-Luisi-Menchini-Salvaneschi, Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006).

Page 12: civ9

12

soltanto ulteriori attività probatorie, ma anche ulteriori attività assertive, in conseguenza della proposizione in prima udienza di domanda riconvenzionale da parte del convenuto 26 . La Corte di Cassazione ha a sua volta recepito – sempre in relazione all’udienza ex art. 320 c.p.c. – l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma27. Entrambe le parti possono durante la trattazione precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni proposte negli atti introduttivi. Tale attività processuale può avvenire all’udienza di trattazione o nei termini di cui al sesto comma dell’art.183 c.p.c28. L’attività consentita esclude innanzitutto mutamenti della domanda. I termini “mutamento” e “modificazione” in realtà non hanno differenza sul piano lessicale; sotto il profilo giuridico invece sono collegati, con riferimento alla domanda, alla mutatio libelli (preclusa) e alla emendatio libelli (ammessa entro i suddetti limiti temporali). Va altresì precisato che con l’introduzione del sistema delle preclusioni processuali, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti - e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice - essendo l'intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano - in quanto espressione di un interesse pubblico - l'ampliamento successivo del "thema decidendi" anche se su di esso si venga a registrare il consenso del convenuto29. Dal punto di vista teorico l’individuazione di una domanda nuova non crea problemi, avendo anche di recente ribadito la Suprema Corte che “costituisce domanda nuova la deduzione di una nuova causa petendi che comporti, attraverso la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e l’introduzione nel processo di un nuovo tema d’indagine e di decisione, alterando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia” 30 . L’applicazione di tale principio alla pratica ha spesso determinato incertezze interpretative, che hanno richiesto anche l’intervento delle sezioni unite (v.nota sub 28). A titolo meramente esemplicativo (e attingendo alla casistica delle fattispecie esaminate dalla Cassazione):

- la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra una domanda nuova rispetto a quella (originarimante formulata): a) di adempimento contrattuale31; b) di pagamento basata su promessa di pagamento 32 ; c) di risarcimento del danno aquiliano) 33 ; d) cambiaria o causale esercitata con

26 Corte Costituzionale 12.11.2002 n.447. 27 Cass. 8.8.2003 n.11946. 28Sulle diverse opzioni interpretative dell’art.183 c.p.c. è significativa l’esperienza del Tribunale di Genova (in “Linee guida operative sull’organizzazione della prima udienza di trattazione del processo civile ordinario” - Foro it. 2007, V, 118) al cui interno sono state contate sei diverse prassi applicative. 29 In termini, Cass. 13.12.2006 n.26691 che ha evidenziato l’irrilevanza dell’accettazione del contraddittorio sulla domanda nuova dopo la riforma del 1990. 30 Cass. 19.8.2003 n.12133. 31 Cass. S.U. 22.5.1996 n.4712 (in Foro it. 1998, I, 2975); Cass. 20.12.2001 n.16063. 32 Cass. 18.7.2002 n.10405. 33 Cass. 6.4.2001 n.5152.

Page 13: civ9

13

l’utilizzo della cambiale quale promessa di pagamento 34 , trattandosi di diritti eterodeterminati che si fondano su diversi fatti costitutivi;

- la precisazione quantitativa del petitum indicato nell’atto introduttivo non implica domanda nuova, purchè identiche rimangano le causali, come nel caso : a) di condanna al pagamento di maggiori somme per gli stessi fatti costitutivi indicati originariamente 35 ; b) di demolizione dell’opera che sia il risultato della prosecuzione dell’attività edificatoria illecita denunciata con la domanda basata sulla violazione delle distanze legali36.

- nell’ambito della responsabilità extra contrattuale costituisce domanda nuova quella basata su una condotta omissiva se nell’atto introduttivo erano stati dedotti solo fatti commissivi, perchè introduce nel processo un nuovo tema d’indagine e di decisione, alterando i termini sostanziali della controversia 37 ; lo stesso dicasi nel caso in cui il mutamento riguardi le circostanze che hanno verificato il danno38;

- in materia contrattuale, poiché le cause di annullamento per vizio della volontà concretano fattispecie distinte, da cui scaturiscono autonome azioni di impugnativa negoziale, si ha mutamento della causa pretendi, con conseguente formulazione di domanda nuova, allorquando, domandato inizialmente l’annullamento per dolo, si formuli in seguito domanda fondata sull’errore con riferimento allo stesso contratto39;

- in tema di contratto preliminare di compravendita, nel caso in cui il bene, così come pattuito, non possa essere trasferito, la domanda di risarcimento del danno che si sostituisca a quella di adempimento non integra alcuna mutatio libelli, atteso che la reintegrazione per equivalente rappresenta un surrogato legale della reintegrazione in forma specifica, sicché, nella domanda diretta al trasferimento del bene, può ritenersi implicita la domanda volta all'acquisizione del suo equivalente pecuniario40.

La preclusione di domande nuove conosce un’altra deroga – oltre che nel caso della recoventio reconventionis – in una ipotesi espressamente disciplinata dal codice civile. L’art.1453, secondo comma c.c. consente infatti all’attore di domandare la risoluzione anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere 34 Cass. 28.1.2003 n.1233. 35 Cass. 23.5.2002 n.7546 chiarisce, con riferimento ad una fattispecie in materia di locazione, quando la modificazione quantitativa del petitum costituisca domanda nuova e quando, invece, integri modificazione della domanda stessa. 36 Cass.5.6.2003 n.8978. 37 Cass. 17.7.2003 n.11202; Cass. sez. un. 19.12.1995 n.12950. 38 La Cassazione ha ritenuto un mutamento della causa petendi nel caso in cui: l’attore aveva proposta domanda di risarcimento danni da incidente stradale, deducendo in citazione che il sinistro si sarebbe verificato secondo determinate circostanze, sostenendo in seguito che l’incidente si sarebbe verificato con una diversa dinamica (Cass. 25.6.2003 n.10128); l'attore aveva proposto domanda di risarcimento danni per la presenza di una profonda buca non segnalata, introducendo in seguito nuovi elementi fattuali, quali la non visibilità della buca ed il fatto che essa fosse piena d'acqua al momento dell'incidente, che integravano la diversa figura dell'insidia stradale, rispetto all'assunta responsabilità dell'ente proprietario della strada per omessa segnalazione della presenza della buca (Cass. 30.6.2005 n.13982). 39 Cass. 12.2.2003 n.2104. 40 Cass. 28.7.2005 n.15883.

Page 14: civ9

14

l’adempimento. La Cassazione ha costantemente affermato a riguardo la deroga alle norma processuali che dispongono il divieto della mutatio libelli nel corso del processo 41 . La sostituzione non è possibile tuttavia con la domanda di risarcimento del danno, la quale integra un’azione del tutto diversa per petitum da quella di adempimento e di risoluzione42. La giurisprudenza di legittimità ha invece pronunce contrastanti nell’interpretazione dell’art.1385, secondo comma c.c. circa il rapporto tra domanda di esecuzione (o di risoluzione) e esercizio del diritto di recesso da parte del contraente adempiente (nel caso in cui la parte inadempiente abbia versato una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria). A volte si è affermato che la parte non inadempiente che abbia agito per l'esecuzione (o la risoluzione) del contratto ed il risarcimento dei danni può, in sostituzione di tali originarie pretese, legittimamente invocare (senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei "nova") la facoltà di cui all'art. 1385, comma secondo, cod. civ., poiché tale modificazione delle istanze originarie costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento ed un’istanza di ampiezza più ridotta rispetto all'azione di risoluzione 43 . Le pronunce più recenti hanno invece affermato che la parte adempiente che, dopo aver intimato la diffida ad adempiere, abbia agito per la risoluzione del contratto e per la condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1453 cod. civ. non può, in sostituzione di dette pretese, chiedere il recesso dal contratto a norma dell'art. 1385, secondo comma, cod. civ., risultando tale istanza preclusa dalla risoluzione del contratto già avvenuta di diritto con la proposizione della domanda di risoluzione, restando irrilevante la natura dichiarativa della sentenza che accerta la già avvenuta risoluzione44. Durante la trattazione alle parti è consentito soltanto modificare le circostanze relative a fatti storici principali che non mutano la fattispecie concreta (la modificazione della domanda) ovvero allegare meri chiarimenti o specificazioni degli elementi del rapporto (la precisazione della domanda). Tale attività può avvenire – come accennato in precedenza - nel corso dell’udienza di trattazione, con deduzione scritta a verbale di udienza, oppure mediante deposito di memorie difensive entro i tre termini previsti dal sesto comma dell’art.183 c.p.c. Alcuni problemi possono derivare dall’applicazione della norma. - Innanzitutto, il giudice, se richiesto, è tenuto a concedere tali termini, anche se intenda avvalersi della facoltà prevista dall’art.187, primo comma c.p.c. (qualora cioè ritenga la causa matura per la decisione, senza necessità di approfondimento

41 La questione del rapporto tra la domanda di risoluzione, di adempimento e di risarcimento è ampiamente affrontata in Cass. 27.7.2006 n.17144, sentenza annotata da Vito Amendolagine, in Il Corriere Giuridico, 2007, fasc.2, pag.223. 42 Cass. 27.3.2004 n.6161 ha ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria introdotta in corso di causa in sostituzione di quella originaria di adempimento; ugualmente inammissibile è stata ritenuta la sostituzione, nel corso del giudizio, della domanda iniziale di risarcimento con quella di risoluzione per inadempimento (Cass. 27.7.2006 n.17144). 43 Cass. 11.1.1999 n.186; cfr. anche Cass.7644/1994, Cass.1213/1989. 44 Cass. 2.12.2005 n.26232 e, da ultimo, Cass. 19.4.2006 n.9040.

Page 15: civ9

15

istruttorio)? In realtà l’art.187 fa riferimento solo alla riscontrata inutilità dei mezzi di prova e, quindi, alla ritenuta superfluità della istruzione 45 e non già della trattazione, che potrebbe comunque servire alla parte per modificare o precisare domande, conclusioni ed eccezioni. Con riferimento agli artt.180 e 183 c.p.c. introdotti dalla riforma del 1990, il giudice di legittimità ha inoltre ribadito che la mancata concessione del termine richiesto dalle parti per l’appendice scritta della prima udienza di trattazione costituisce error in procedendo46. Un dato contrario potrebbe tuttavia rinvenirsi nell’art.80 bis disp. att. c.p.c. norma che, secondo alcuni, è miracolosamente scampata ad espresse abrogazioni nel corso delle varie modifiche legislative intervenute e che consentirebbe la rimessione in decisione già alla prima udienza47. Senza approfondire la questione se la mancata abrogazione della disposizione di attuazione possa ritenersi una dimenticanza del legislatore (la norma fa riferimento alla prima comparizione delle parti e non alla fase, divenuta indefettibile, della trattazione), essa non appare comunque in grado d’incidere sulle scansioni processuali delineate dalle ultime riforme del codice di rito. Potrebbe semmai conservare un’efficacia residuale, nel senso che alla prima udienza, se le parti non hanno formulato richiesta di appendice scritta della trattazione e se non sussistono esigenze istruttorie, il giudice può decidere la causa, anche ai sensi dell’art.281 sexies c.p.c, e comunque consentire la precisazione delle conclusioni. Concluderei pertanto nel senso di concedere sempre alle parti che lo richiedano la possibilità di completare le deduzioni difensive utili per la delimitazione del thema decidendum, anche nel caso in cui il giudice ritenga di dover decidere separatamente una questione di merito avente carattere preliminare (art.187, secondo comma) o di provvedere sulle questioni di giurisdizione e di competenza ovvero su altre pregiudiziali (terzo comma), valorizzando appunto l’inciso del primo comma – in una lettura unitaria e sistematica dell’articolo – secondo cui la decisione può essere anticipata se non vi è bisogno di assunzione di mezzi di prova. D’altra parte, il settimo comma dell’art.183 c.p.c. fa salva l’applicazione dell’art.187 c.p.c. rispetto ai provvedimenti istruttori, sull’implicito presupposto che la fase di trattazione sia ormai conclusa. Si riscontrano tuttavia decisioni in senso opposto da parte della giurisprudenza di merito edita48. - In caso alla prima udienza il convenuto venga dichiarato contumace, il giudice è tenuto, su richiesta dell’attore, ad assegnare (tutti) i termini di cui all’art.183, sesto comma c.p.c?

45 La Cassazione ha affermato che nel procedimento ordinario di cognizione, l'udienza per le deduzioni istruttorie indicata dall'art. 184 cod. proc. civ. non costituisce un momento indefettibile che debba necessariamente precedere la decisione, facendo riferimento appunto all’art.187 c.p.c. 46 Cass.15.2.2007 n.3607. 47 Fabio Santangeli, op.cit. par.7 48 Secondo il Tribunale di Torino (sent. 22.7.2002 in Giur.it. 2003, 715), al termine della prima udienza di trattazione il giudice istruttore ove ritenga la causa matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, può legittimamente rimettere le parti davanti al collegio, così disattendendo la richiesta formulata da una di esse per la concessione dei termini per la trattazione scritta e conseguente fissazione di udienza per l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 184 c. p. c; in tal senso anche Corte Appello Firenze 22.2.2002 in Gius. 2002, 1644).

Page 16: civ9

16

Occorre considerare la natura dei tre termini e la posizione processuale del contumace. Il primo termine consente lo svolgimento di un’attività di modificazione e precisazione che è ovviamente ipotizzabile solo per la parte costituita, il che porta ad escludere che possa riguardare il contumace. Il secondo termine fa riferimento ad un’attività di replica e di proposizione di eccezioni che presuppone il contraddittorio, al pari del terzo comma per la prova contraria. Il giudice quindi deve tener presente - al momento in cui riceve la richiesta di termini da parte dell’unica parte costituita – della realtà processuale esistente in quel momento. Il problema che si pone riguarda l’eventualità che il contumace si costituisca in Cancelleria nella pendenza dei termini. Tale facoltà è senz’altro consentita, ma non è idonea, a mio avviso, ad alterare la scansione del processo, così come fissata in sua assenza, conclusione che può ritenersi corollario del principio delle preclusioni processuali. Nella comparsa di risposta il convenuto potrà prendere posizione sulla domanda e svolgere attività difensiva, con i limiti conseguenti alla sua tardiva costituzione, derivanti sia dall’art.167, secondo comma c.p.c. sia dallo stato del procedimento a quel momento, caratterizzato dalla sua assenza. Non potrà quindi partecipare in alcun modo all’appendice scritta della trattazione neanche per formulare istanze istruttorie o per effettuare produzioni documentali. Diversamente argomentando, il secondo ed il terzo termine dovrebbero comunque essere concessi, nell’ipotesi che il contumace, costituendosi in Cancelleria, voglia avvalersene, riconoscendosi in tal modo tutela ad un’esigenza difensiva di una parte estranea al contraddittorio. E’ pur vero che nel precedente sistema il convenuto, ancorché contumace, aveva comunque diritto ad un termine prima dell’udienza di trattazione per proporre eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio; con la preclusione di cui all’art.167, secondo comma c.p.c. tuttavia tale esigenza non sussiste più. La costituzione dopo la prima udienza pone il convenuto nella condizione di accettare il processo nello stato in cui esso si trova, ivi compresa la modifica della domanda consentita all’attore. Si potrebbe argomentare, di contro, che al convenuto che si costituisca nella pendenza dei termini del sesto comma dell’art.183 c.p.c. è in tal modo riservato un trattamento di sfavore rispetto al terzo che intervenga nel processo nella stessa circostanza di tempo. L’interveniente infatti “non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna parte” (art.268, secondo comma c.p.c.): se all’attore è consentito lo ius poenitendi e il diritto di completare le allegazioni istruttorie, anche il terzo che interviene (e non già il contumace che si costituisce) dovrebbe esercitare tale facoltà. L’art.268 c.p.c. presenta tuttavia un problema di coordinamento tra i due commi, proprio per il regime delle preclusioni introdotto dalle ultime riforme. Ciò ha fatto ritenere in dottrina 49 che la modificazione delle domande,

49 Tarzia, Lineamenti del nuovo processo civile di cognizione, Milano, 1996; Trisorio Liuzzi, Giurisprudenza Italiana 1996, IV, 73; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991.

Page 17: civ9

17

eccezioni e conclusioni nonché le allegazioni istruttorie sono consentite al terzo solo ove egli si sia costituito anteriormente alla prima udienza di trattazione. In definitiva, l’attività consentita alle parti deve essere valutata con riferimento al momento in cui si verifica la preclusione ossia rispetto all’udienza di trattazione. Se l’interveniente (ed il convenuto) si costituiscono dopo, ad essi non dovrebbe essere consentito di usufruire del termine già concesso all’attore, proprio perchè nessuna parte sarebbe più legittimata a chiedere i termini per l’appendice scritta della trattazione. L’attore, a sua volta, in caso di contumacia del convenuto, avrà interesse a chiedere un unico termine, per l’attività prevista dal n.1 del comma sesto e per il completamento delle allegazioni istruttorie di cui al n.2. Penso che non sia necessario – proprio per l’assenza di contraddittorio – la concessione di un duplice termine, connesso alla facoltà di replica. Nell’ipotesi di pluralità di convenuti, di cui uno solo di essi contumace, tutti i termini saranno concessi, ma tenderei ad escludere che gli stessi possano valere per il contumace. - L’art.183, sesto comma c.p.c. deve ritenersi norma flessibile? Le parti cioè devono necessariamente richiedere tutti e tre i termini? Potrebbe accadere che esse abbiano interesse soltanto ad integrare le allegazioni istruttorie, ritenendo di non dover procedere ad operazioni di modifica e precisazione. L’obiettivo di celerità del processo dovrebbe far propendere per la possibilità di adattare la norma, per quanto possibile, a tale esigenza, evitando l’assegnazione anche del termine sub n.1 se esplicitamente e congiuntamente rifiutato. - Il mancato rispetto dei termini assegnati implica decadenza rilevabile d’ufficio? Il carattere perentorio dei singoli termini, previsti a pena di decadenza, in funzione di un interesse pubblico allo svolgimento ordinato del processo, fa propendere per la rilevabilità ex officio della tardività, pur in assenza di eccezione di parte. Naturalmente le decadenze operano singolarmente, così la parte che – ad esempio - non si sia avvalsa del primo termine, potrà nell’ulteriore termine indicare mezzi di prova e produrre documenti. Qualche annotazione infine sull’attività prevista specificatamente dai nn.1, 2 e 3 del sesto comma dell’art.183 c.p.c. Il n.1 stabilisce che il termine è “per il deposito di memorie limitate alla sola precisazione o modificazione delle domande, delle eccezioni già proposte”. Il decorso di tale termine implica quindi una decadenza della facoltà di modificare le domande proposte nel processo. E’ sempre possibile tuttavia una riduzione espressa della domanda, in quanto l’art.189 c.p.c. stabilisce che le conclusioni delle parti, formulate in previsione della decisione, debbano essere “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art.183 c.p.c.”. La reductio può avvenire anche per rinuncia implicita, comportamento che può

Page 18: civ9

18

discendere soltanto da fatti logicamente incompatibili con la volontà di mantener fermo uno o più capi della domanda50. Entro il secondo termine è prevista la conclusione delle attività preordinate alla individuazione del thema decidendum, in quanto alle parti sarà consentito “replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime”. La proposizione di repliche e di nuove eccezioni è possibile dunque solo come risposta all’attività di controparte, ulteriore rispetto a quella dell’atto introduttivo e compiuta nell’udienza di trattazione o nel primo termine. Se ad es. l’attore ha proposto all’udienza una reconventio reconventionis, entro il secondo termine il convenuto potrà sollevare l’eccezione di prescrizione, a pena di decadenza; se invece la prescrizione è stata sollevata dal convenuto all’udienza stessa, sarà l’attore che entro il secondo termine potrà a sua volta eccepire o replicare a detta eccezione. Il regime delle preclusioni opera anche in ordine agli effetti della non contestazione, in relazione ai fatti costitutivi cd. principali su cui fonda la pretesa dell’attore. Le sezioni unite della Cassazione hanno dettato a riguardo principi di diritto di carattere generale nel processo civile51, attribuendo rilievo alla mancata contestazione da parte del convenuto. Essa vincola il giudice all’esistenza dei fatti costitutivi, coordinandosi il potere di contestazione con quello di allegazione: il limite della contestabilità di tali fatti originariamente non contestati si identifica pertanto nel momento in cui scatta la barriera preclusiva per la modificazione di domande, eccezioni e conclusioni già formulate. Si tratta di una preclusione argomentabile dal sistema e non di decadenza comminata dalla legge, che non ne fa cenno52. Un’ultima questione riguarda la possibilità d’introduzione nel processo, in corso di giudizio, di fatti sopravvenuti alla trattazione o divenuti rilevanti a seguito di modifiche legislative. Nonostante la dottrina sul punto abbia presentato soluzioni diverse, mi sembra che il sistema delle preclusioni renda possibile far rientrare lo ius e il factum superveniens tra i motivi che giustificano il provvedimento di rimessione in termini da parte del giudice ai sensi dell’art.184 bis c.p.c.53 4.- L’individuazione del thema probandum. A) L’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali. Entro il secondo ed il terzo termine previsto dall’art.183, sesto comma c.p.c. va definito anche il thema probandum della

50 Cass. 11.6.2004 n.11200. 51 Cass. sez.un. 23.1.2002 n.761; cfr. anche Cass. 2.3.1995 n.2415: i principi enunciati si riferiscono al processo del lavoro ma sono applicabili, in via generale, al sistema delle preclusioni nel processo civile. 52 In tal senso Codice di procedura civile commentato, a cura di Claudio Consolo e Francesco P. Luiso, 2007 IPSOA, commento all’art.183 c.p.c. p.100. 53 Così Giampiero Balena in Balena-Bove, Le riforme del processo civile, Bari 2006, pag.98

Page 19: civ9

19

controversia. Le parti devono produrre documenti e richiedere assunzioni di prova negli atti introduttivi, senza tuttavia incorrere in alcuna preclusione se non vi provvedono; possono svolgere infatti tale attività anche durante l’udienza ex art.183 e, successivamente, nei termini richiesti ai sensi del sesto comma. Con le memorie di cui ai nn.2 e 3 della norma, le parti sono espressamente autorizzate a indicare mezzi di prova ed a effettuare produzioni documentali nonché ad indicare le prove contrarie. Nella procedente formulazione, l’art.184 c.p.c. faceva riferimento a “nuovi mezzi di prova”, lasciando intendere – secondo parte della giurisprudenza e della dottrina – che le integrazioni istruttorie fossero possibili solo come conseguenza della proposizione di nuove domande e di nuove eccezioni, restando altrimenti precluse. L’attuale formulazione dell’art.183, sesto comma n.2 c.p.c. ha eliminato tale incertezza, affermando la facoltà per le parti di formulare altri e diversi mezzi di prova, senza alcuna decadenza collegata alla domanda introduttiva e alla comparsa di risposta. E’ evidente altresì che, sebbene sia possibile richiedere prove non dedotte in precedenza, le stesse debbono necessariamente riguardare i fatti che già costituiscono il thema decidendum, così come delineato a seguito dell’attività di allegazione conclusasi con la memoria di cui al secondo termine dell’art.183, sesto comma. La valutazione di ammissibilità dovrà quindi tener conto delle circostanze estranee alla controversia, escludendole a priori dalle acquisizioni processuali. Il legislatore della riforma del 2005 ha mantenuto ferma la distinzione tra “mezzi di prova” e “documenti”, nonostante l’orientamento espresso dalle sezioni unite della Cassazione54 che ha esteso il divieto di nuove prove in appello ex art.345 c.p.c. anche alle prove costituite ossia ai documenti, qualificati species del più ampio genus dei mezzi di prova. Per quel che rileva ai fini dell’argomento in esame, le sezioni unite hanno ribadito in tale pronuncia (in motivazione, paragrafo 6.1) che “il superamento della barriera preclusiva di cui all’art.184 c.p.c. importa la decadenza dal potere di esibire documenti, salvo che la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo assunto dal processo o che la formazione sia successiva allo spirare dei suddetti termini; che, al di fuori di tali casi, il mancato rispetto dei termini stabiliti per le nuove deduzioni porta – per il carattere perentorio di essi – ad effetti che devono ritenersi di regola irreversibili, perché removibili solo attraverso lo strumento della rimessione in termini”. Il che porta ad affermare, quindi, che la produzione documentale, decorso il termine perentorio, è possibile solo in tre casi: a) se lo sviluppo del processo giustifichi l’allegazione (si pensi, ad es, alla ricevuta di un pagamento avvenuto nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo o all’atto di transazione stragiudiziale della lite); b) se il documento è di formazione successiva, con riferimento non soltanto alla data in cui esso è stato formato ma al suo contenuto, al fine di verificare se la parte poteva

54 Cass. sez.un. 20.4.2005 n.8203 in Foro it.2005, 1690.

Page 20: civ9

20

comunque averne tempestivamente la disponibilità; c) se la parte che è incorsa in decadenza è stata rimessa in termini, nelle ipotesi previste dall’art.184 bis c.p.c. L’unificazione del termine per completare la trattazione e per formulare le istanze istruttorie (sub n.2 del sesto comma dell’art.183 c.p.c.) potrebbe dar luogo in alcuni casi a difficoltà nella gestione della controversia per l’esigenza di contemperare le esigenze di difesa delle parti con il dettato normativo 55 . Potrebbe accadere che all’udienza di trattazione l’attore formuli una reconventio reconventionis e che rispetto a tale domanda il convenuto proponga un’eccezione di prescrizione entro il secondo termine; l’attore non potrebbe più allegare nello stesso termine il documento che dimostri l’interruzione della prescrizione. Si è ritenuto che in tale ipotesi debba comunque essere consentita la richiesta di prove o la produzione di documenti entro il terzo termine 56 (quello cioè destinato alla prova contraria; soluzione che potrebbe essere in linea con l’interpretazione a riguardo della Suprema Corte, come si esaminerà in seguito) ovvero debba essere in qualche modo assicurato il diritto di difesa, con applicazione flessibile delle norme di riferimento, facendo leva sulla portata generale dell’art.175 c.p.c. (ad es. consentendo l’allegazione istruttoria all’udienza fissata per l’assunzione dei mezzi di prova o permettendo la riapertura dell’istruttoria se la causa è stata rimessa in decisione o, in ultima analisi, rimettendo in termini la parte). È opportuno inoltre accennare ad una questione problematica sull’esatta estensione della preclusione istruttoria in tema di prova testimoniale. La Suprema Corte ha affermato di recente che nel processo articolato in fasi successivi - già delineato dalla legge n.353 del 1990, che ha abrogato gli ultimi due commi dell'art.244 c.p.c. - il termine perentorio assegnato dal giudice per deduzioni istruttorie concernenti detta prova riguarda non solo la formulazione dei capitoli, ma anche l'indicazione dei testi, con la conseguenza che, una volta che il giudice abbia provveduto sulle richieste avanzate dalle parti, non è più possibile effettuare tale indicazione od integrare la lista testi, in quanto l'unica attività processuale giuridicamente possibile circa le prove ammesse consiste nell'assunzione delle medesime57 . In precedenza tuttavia si era espressa in senso decisamente contrario, ritenendo che la parte che deposita la lista testimoniale dopo la scadenza del termine assegnatole dal giudice non incorre in alcuna decadenza perché l'art.184 secondo comma c.p.c. prevede la perentorietà del termine per indicare nuovi mezzi di prova non per indicare i nomi dei testi di una prova già ammessa58.

55 La questione è affrontata in dottrina da Fabio Santengeli, op. cit. par.8 e da Antonio Briguglio, Il nuovo rito ordinario di cognizione: meno udienze, più preclusioni (dalla l. n.80/2005 alla l. n.263/2005), in www.judicium.it par.5. 56 Giampiero Balena, in Balena-Bove, op. cit. pagg.89-90. 57 Cass. 16.6.2005 n.12959. 58 Cass. 19.7.1999 n.7682.

Page 21: civ9

21

La parte può altresì sostituire il teste ritualmente e tempestivamente indicato in caso di sopravvenuto decesso di costui, prevalendo in questo caso il giustificato impedimento, idoneo ad evitare la decadenza59. Infine, va ricordato che vi sono alcune ipotesi in cui la legge espressamente prevede che l’indicazione di mezzi di prova e le produzioni documentali non sono soggette a decadenza: ciò accade ad esempio per la querela di falso, proponibile in ogni stato e grado del processo (art.221 c.p.c.); per il giuramento decisorio che “può essere deferito in qualunque stato della causa” (art.233 c.p.c.); per i documenti “decisivi” che giustificano la revocazione (art.395 n.3 c.p.c.). B) La prova contraria. Il terzo termine, anch’esso predeterminato dal legislatore (venti giorni), è concesso “per le sole indicazioni di prova contraria”. Si è accennato in precedenza al tentativo di parte della dottrina (sub nota 49) – al fine di assicurare il rispetto del principio del contraddittorio e della parità delle armi nel caso di allegazioni istruttorie che si rendano necessarie a seguito delle eccezioni proposte nel secondo termine – di considerare l’espressione “prova contraria” in senso ampio e atecnico, comprendendo anche le prove del tutto nuove, costituende o precostituite, che possano considerarsi latu sensu giustificate dalle nuove allegazioni difensive della controparte. A riguardo, la Cassazione ha precisato60 innanzitutto che la prova contraria è diretta a contrastare le prove dell’altra parte. La pronuncia si riferisce alla formulazione dell’art.184 c.p.c. ante riforma del 2005 – quando per la definizione del thema decidendum e del thema probandum erano previsti termini non coincidenti, diversi tra loro nella successione temporale – ma i principi affermati sono senz’altro applicabili anche agli attuali artt.183 e 184 c.p.c. in quanto il tenore letterale dell’espressione “indicazione di prova contraria” è rimasto inalterato. La sentenza ha riconosciuto, in particolare, che le prove contrarie comprendono non soltanto le prove orali ma anche quelle documentali, rivolte a contrastare le prove dell’altra parte. Tale conclusione smentisce altresì un’autorevole dottrina secondo la quale le prove contrarie possono essere solo quelle testimoniali61. Ha precisato inoltre la Corte che non è necessario che le prove da contrastare siano state formulate nel termine concesso per indicare i mezzi di prova e per produrre documenti, sganciando l’espressione “prova contraria” dall’attività effettuata nel primo termine dell’art.184 c.p.c. (dopo la riforma, termine sub 2 del sesto comma dell’art.183).

59 Cass.21.7.2006 n.16764. 60 Cass. 9.2.2005 n.2656 in Foro it. 2005, I, 1730, con breve nota di Carlo Maria Barone; la massima redazionale della rivista pone in evidenza la questione della prova contraria, trascurata dalle due massime ufficiali elaborate dall’Ufficio del Massimario. 61 Crisanto Mandrioli – Diritto processuale civile, Torino, 2003, II, 271

Page 22: civ9

22

La Corte è andata oltre nel suo ragionamento, precisando, in un obiter dictum, che “è sufficiente perché siano ammissibili nuove prove orali o documentali, da indicare nel secondo dei termini dell’art.184, primo comma c.p.c, che le stesse non tendano (come precisa l’art.2697 c.c.) a provare i fatti che costituiscano il fondamento del diritto fatto valere in giudizio, ma a dare la prova contraria di quei fatti”. La prova contraria, prodotta nel rispetto del relativo termine, può essere validamente destinata – nel giudizio della Corte - a contrastare tutti i fatti dedotti dalle controparti, ivi compresi quelli prospettati negli atti introduttivi e allegati in seguito (nei limiti consentiti) nella fase di trattazione. Tale conclusione pare in realtà eccessiva, consentendo tramite la prova contraria non solo la confutazione della prova dell’avversario ma la negazione, anche per la prima volta, dei fatti costitutivi dell’altrui pretesa; di sicuro smentisce la giurisprudenza edita di merito che si è espressa in maniera contraria, ritenendo inammissibile la contestazione dei fatti costitutivi effettuati per la prima volta dal convenuto in sede di memoria istruttoria di replica62. L’obiter dictum della Cassazione potrebbe in ogni caso giustificare, nel nuovo rito, la contestazione delle nuove allegazioni consentite dal sesto comma n.2 dell’art.183 c.p.c. C) Mezzi di prova di ufficio. L’ottavo comma dell’art.183 c.p.c. disciplina le modalità di esercizio del potere del giudice d’intervenire nella formazione del thema probandum, disponendo l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova 63 . Questa facoltà può essere esercitata solo dopo la definitiva formulazione delle richieste istruttorie e le produzioni documentali su iniziativa di parte, espressione di un temperamento del principio dispositivo in funzione di un interesse pubblico alla giusta definizione del processo. E’ la stessa ordinanza con la quale si provvede sulle istanze delle parti che deve contenere l’ordine di acquisizione dei mezzi di prova d’ufficio, con garanzia tuttavia del contraddittorio. In tal caso, infatti, l’ordinanza dovrà anche prevedere un duplice termine perentorio (non rigidamente prefissato, come nel sesto comma): uno per consentire alle parti la deduzione di mezzi di prova necessari in relazione alla prova d’ufficio; l’altro per eventuali repliche. Il giudice all’esito provvederà “ai sensi del settimo comma”, con un’altra ordinanza cioè in cui deciderà su tutte le richieste delle parti e sulle questioni dalle stesse sollevate in relazione ai mezzi di prova disposti in maniera officiosa; atteso il regime delle preclusioni, sarà necessario che le nuove richieste di prova delle parti siano effettivamente correlate alla prova d’ufficio.

62 Trib. Pistoia 25.10.1997 in Foro it. 1997,I, 3684. 63 I mezzi di prova riservati al potere di disposizione del giudice sono previsti dagli artt.118 (ordine d’ispezione di persone e di cose), 191 (consulenza tecnica d’ufficio), 213 (richiesta d’informazioni alla pubblica informazioni), 240 e 241 (giuramento suppletorio e estimatorio), 254 (confronto fra testimoni), 257 (chiamata dei testi de relato), 281 ter (ammissione di prova testimoniale).

Page 23: civ9

23

Ci si chiede se si realizza in tal modo una preclusione anche per il giudice, al quale sarebbe precluso in seguito di disporre d’ufficio mezzi di prova. A prescindere dal fatto che la norma non contiene una preclusione espressa, alcuni articoli in tema di prove fanno a mio avviso propendere per la possibilità per il giudice di disporre dei mezzi d’ufficio anche in seguito, presupponendo l’esercizio di tale potere l’espletamento dell’attività istruttoria di parte: solo dopo l’escussione dei testi indicati dalle parti, potrà rendersi necessario il confronto di cui all’art.254 c.p.c; lo stesso dicasi per i testi de relato ex art.257, primo comma c.p.c. Inoltre, l’acquisizione della prova sull’an potrà condizionare l’espletamento d’ufficio di una consulenza tecnica; il deferimento del giuramento suppletorio non è sottoposto a termini, potendo avvenire in ogni stato della causa. L’art.183, ottavo comma, c.p.c. può ritenersi allora espressione non già di una preclusione per il giudice ma di un principio di diritto che deve regolamentare l’esercizio del suo potere di disporre d’ufficio mezzi di prova: assicurare il diritto di contraddittorio e difesa delle parti64; diritto che non potrà che esercitarsi con le modalità stabilite dal comma in argomento65. In realtà, la giurisprudenza di merito edita, affrontando la questione della prova testimoniale d’ufficio ex art.281 ter c.p.c, ha ritenuto che la sua ammissione, per non stravolgere il sistema di preclusioni, deve avvenire in un contesto temporaneamente conseguente alle richieste istruttorie delle parti 66 . La dottrina che, sulla stessa scia, ha ritenuto che la riforma abbia introdotto con l’art.183, settimo comma, c.p.c. un momento preclusivo per l’assunzione di prove d’ufficio ha fatto leva anche su una pronuncia della Corte Costituzionale, sempre in tema di prova testimoniale disposta dal giudice ai sensi dell’art.281 ter c.p.c. Il giudice delle leggi ha affermato in motivazione che “in nessun caso il potere officioso del giudice di cui all’art.281 ter potrebbe – senza attribuire al giudice un arbitrario (più che discrezionale) potere di disporre, per lasciarle o non definitivamente maturare, delle decadenze istruttorie nelle quali una parte fosse incorsa – essere esercitato oltre i limiti della fase istruttoria, ferma l’applicabilità del disposto dell’art.184, ultimo comma c.p.c.” Ritengo che proprio il secondo comma dell’art.184 c.p.c. consentiva al giudice di disporre d’ufficio mezzi di prova a prescindere dalle preclusioni istruttorie per le parti, purchè fosse ad esse assicurata, entro un termine perentorio, la deduzione di mezzi di prova che si rendevano di conseguenza necessari. Con la riforma del 2005 il principio è stato ribadito, tramite l’inserimento del comma ottavo all’art.183 c.p.c. richiamato anche dall’art.187, quarto comma c.p.c. nel caso di rimessione della causa sul ruolo dopo la riserva per la decisione.

64 In tal senso anche Fabio Santangeli, op. cit. 65 Cfr. Antonio Briguglio, op. cit. par.4. 66 Trib. Foggia ord. 4.11.1999 in Foro it. 2000, I, 2093 con nota di Ernesto Fabiani, sul potere del giudice monocratico di disporre d’ufficio la prova testimoniale ai sensi dell’art.281 ter c.p.c.

Page 24: civ9

24

D) L’ordinanza ammissiva delle prove. Se la causa necessita di attività istruttoria il giudice è chiamato dunque a pronunciarsi sui mezzi di prova secondo lo schema indicato dal settimo comma dell’art.183 c.p.c. I provvedimenti a riguardo potranno essere due, in successione tra loro, uno – al termine della trattazione - sulle richieste delle parti e sulle prove d’ufficio, l’altro – ad istruttoria già avviata – sui mezzi di prova richiesti dalle parti in relazione a quelli disposti d’ufficio. Il provvedimento che statuisce sulle richieste delle parti è quello più frequente e deve essere pronunciato, secondo il tenore letterale della norma, all’esito dell’udienza di trattazione ovvero dopo il decorso dei termini per la sua appendice scritta. Nel primo caso – nel caso cioè non vi sia richiesta di termini – il giudice potrà adottare il provvedimento in udienza, provvedendo sulle richieste e fissando altra udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti; se invece si riserva, l’ordinanza emanata fuori udienza deve essere pronunciata entro trenta giorni. Devono stabilirsi le modalità con cui il giudice debba provvedere nel caso – molto frequente – in cui le parti chiedano i termini di cui al sesto comma dell’art.183 c.p.c. La prassi registra due differenti soluzioni. Spesso il giudice rinvia ad altra udienza, successiva alla scadenza dei termini in questione, per decidere - in udienza o a seguito di riserva (da sciogliere entro trenta giorni) - se e quali prove assumere, al fine anche di consentire il contraddittorio sulle prove contrarie. A volte, invece, la decisione istruttoria è adottata nei trenta giorni successivi alla scadenza dell’ultimo dei tre termini del sesto comma: soluzione più conforme allo spirito della riforma che è quello di evitare udienze inutili e di contenere i tempi del processo (l’udienza per le decisioni istruttorie sarebbe infatti sganciata dal rispetto di qualsiasi termine rispetto alla scadenza dell’ultimo dei tre termini di cui al comma sei). Naturalmente il giudice potrà ritenere la causa matura per la decisione e, disattendendo le istanze istruttorie delle parti, rinviare ad una udienza in cui rimettere la causa stessa in decisione. L’ordinanza dovrà essere comunicata alle parti costituite nelle forme e nei modi previsti dal decimo comma dell’art.183 c.p.c.67

67 Sulle comunicazioni tramite fax e posta elettronica, cfr. Giampiero Balena, Uso del fax e degli strumenti elettronici, in Foro it. 2005, V, 96.