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club milano n. 34 · 2016-10-03 · club milano n. 34 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in...

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CLUB MILANO N. 34 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro Un viaggio fino a Capo Nord e una rinascita. Questo è Reaching the Cape, lavoro fotografico di Di Giovanni Le botteghe di Milano? Alcune hanno una lunga storia alle spalle, altre sono più recenti. Tutte sono bellissime Faso: «Il baseball? Passione complementare che mi ha donato la dimensione agonistica che manca alla musica» Autunno è senz’altro il periodo migliore per visitare le Langhe, il regno dell’uva Nebbiolo e del tartufo bianco SETTEMBRE - OTTOBRE 2016 Angela Missoni: «Siamo una grande famiglia, i ricordi di infanzia sono pieni di giochi con amici e cugini» pagina 16
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club milano n. 34

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro

Un viaggio fino a Capo Nord e una rinascita. Questo è Reaching the Cape, lavoro fotografico di Di GiovanniLe botteghe di Milano? Alcune hanno una lunga storia alle spalle, altre sono più recenti. Tutte sono bellissime

Faso: «Il baseball? Passione complementare che mi ha donato la dimensione agonistica che manca alla musica»Autunno è senz’altro il periodo migliore per visitare le Langhe, il regno dell’uva Nebbiolo e del tartufo bianco

settembre - ottobre 2016

Angela Missoni: «Siamo una grande famiglia, i ricordi di infanzia sono pieni di giochi con amici e cugini»− pagina 16

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Ci ho messo anni per capirlo: ciò che rende meravigliosa la nostra città è la sua “di-mensione”, che unita alla storica laboriosità dei suoi abitanti e alla continua (talvolta bulimica) voglia di rinnovarsi, rende Milano un laboratorio di esperienze pratica-mente unico. Né troppo grande né troppo piccola, Milano non ha l’estensione di una metropoli europea, tantomeno mondiale, ma ha tutto ciò che serve per attrarre chiunque e per non far mancare assolutamente nulla a chi ci vive. Esiste ancora la di-mensione del quartiere: si può vivere l’atmosfera bohémien di Isola e in pochi minuti a piedi tuffarsi nella modernità glamour di Porta Nuova. Si può passare in pochi minuti dai romantici vicoli di Brera al jet set del quadrilatero della moda, dalla movida dei Navigli all’atmosfera post industriale di Zona Tortona. Una tale varietà di ambienti e situazioni in uno spazio così stretto e facilmente accessibile non lo ha nessun’altra città. Per godere a pieno di tutto questo il milanese dovrebbe andare oltre il momento dell’evento. La parola “evento” è forse il termine più abusato a Milano, al punto da diventare un freno. Ci si muove solo se c’è un evento con il risultato che si perdono le migliori occasioni per vivere gli spazi, le persone e le vere offerte culturali, di qualsiasi tipo. Un momento fantastico dell’anno è quello che stiamo per affrontare: l’autunno, la classica mezza stagione schiacciata da un’estate che sembra non finire mai e un inverno sempre buono per le fughe in montagna. Terminata la settimana della moda, senza la Design Week alle porte, senza grandi concerti, festival musicali o finali di Champions League, l’autunno restituisce ai milanesi la città nel suo spirito più auten-tico. In autunno Milano è come una bellissima donna senza trucco, finalmente capace di regalarti energie, e non solo di prosciugartele. Certo, la dimensione autunnale è più intima, nascosta. È il momento della ricerca dei propri spazi e della selezione di ciò che ci piace davvero. Ma spesso è anche bello perdersi, a caso, per scoprire luoghi inaspettati che entreranno per sempre nella nostra personalissima playlist, un piccolo tesoro di esperienze da far conoscere ad amici e persone care nei mesi a venire. Sco-perta e condivisione. Milano sa essere anche questo.

La mezza stagione

Stefano Ampollini

editoriaL

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contents

point of view 10autumn in milan

di Roberto Perrone

inside 12brevi dalla città

a cura di Elisa Zanetti

outside 14brevi dal mondo

a cura di Elisa Zanetti

portfolio 20reaching the cape

foto di Matteo Di Giovanni

cover story 16angela missoni

di Nadia Afragola

interview 32tullio dobner

di Simone Sacco

focus 30Guarda come dondolo

di Chiara Temperato

interview

Faso

di Paolo Crespi

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focus 26tra le pieghe

di Roberto Perrone

weekend 38impossibile perdersi

di Carolina Saporiti

bunch 36ebbrezza creativa

di Alessia Delisi

AUTORIGOLDI_nuovaTiguan_CLUBMILANO210x279NEW.indd 1 06/09/16 18:24

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contents

In copertina

Angela Missoni

food 60Luigi taglienti

di Elisa Zanetti

food 58amore d’oltralpe

di Simone Zeni

free time 62da non perdere

a cura di Enrico S. Benincasa

secret milano 64metti una casa a zucca

di Marilena Roncarà

style 42 il pantalone italiano

della Redazione di Club Milano

wheels 50L’elettrico che avanza

di Carolina Saporiti

style 44Warmth of home

di Luigi Bruzzone

hi tech 54 salotto Hi-tech

di Paolo Crespi

design 48 Positive mood

di Marzia Nicolini

overseas 56Forza della natura

di Andrea Zappa

wellness 40il benessere secondo bacco

di Simona Lovati

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Point oF vieW

roberto perroneGiornalista e scrittore dalle radici “zeneisi” si è occupato di sport, enogastronomia e viaggi al Corriere della Sera. Ora è freelance. Il suo sito è perrisbite.it. Il suo ultimo libro è Manuale del Viaggiatore Goloso (Mondadori): guida da leggere e consultare per mangiare e bere bene.

«Non so se tutti hanno capito ottobre la tua grande bellezza / nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza» (Francesco Guccini, Canzone dei 12 mesi). È strano come la stagione dove tutto si riavvia, la stagione del vino, motore della vita e della socialità, della ripresa di tutte le attività, dal lavoro alla scuola, venga pensata e vissuta come una stagione crepuscolare, come l’inizio di una parabola discendente. Massimo Montanari storico e docente, tra le altre materie, di Storia dell’Alimentazione sottolinea che «la vendemmia, dal Medioevo a oggi, è anche un momento fondamentale di coesione del mondo contadino, di festa». La ven-demmia c’è già stata, ma questa è la stagione del vino, che comincia a maturare, per le nostre ebbrezze. Forse allegrie sarebbe meglio. Perché allora consideriamo l’autunno come qualcosa di negativo, qualcosa di privante? Mentre scrivo sento l’aria più fresca (o comunque sento l’aria, perché fino a pochi giorni fa non c’era, né fredda, né calda) che entra dalla mia finestra. Forse è questo, forse sono le foglie morte che si accumulano nei viali, i colori che si fanno più scuri, la gente intristita perché le vacanze sono finite, quelle al sole, quelle che pretendono vestiti leggeri, costumi da bagno, pedule e zaini, per il mare o per i monti. Per molti l’autunno è la stagione del ritorno alla routine. Ma quindi il problema non è la stagione, è considerare gran parte della nostra vita una routine, non amare quello che si fa, per una ragione o per l’altra. Allora l’autunno non è una stagione crepuscolare, decadente per se stessa, ma per come la viviamo. L’autunno è stagione bellissima, è l’atteggiamento con cui si affrontano i momenti della vita a farcelo comprendere oppure no. L’autunno è un passaggio entusiasmante, a me ha sempre affascinato il senso della ripartenza, la città che si riempie, la gente che ritorna ad affollare le strade, il riprendere la propria vita. Non ho mai vissuto l’autunno come un mo-mento periferico, anzi. L’ho sempre associato a una strada che attraversa una cam-pagna dove i colori dominanti sono il rosso, l’ocra, il giallo, il marrone e il viaggio è il senso del tutto. Sotto questo aspetto, Milano sta vivendo un grande autunno, la città vibra. Negli ultimi due anni è cambiata e sta cambiando ancora, sotto i nostri occhi. E d’autunno la ripartenza della metropoli è ancora più evidente. Posti nuovi, case nuove, insegne nuove, iniziative nuove. Tutto riprende e si rinnova. Ho appena finito di leggere un’intervista a Cristiana Capotondi, romana diventata milanese per amore. All’inizio sentiva nostalgia di Roma, poi Milano l’ha travolta. Milano è così, scrosti la sua patina di grigio e di riservatezza e scopri una città che sa accoglierti e stimolarti. Basta solo star lontani dal suo lato isterico. Ma questo vale per qualsiasi stagione e per qualsiasi posto.

autumn in milan

Roberto Perrone

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inside

Probabilmente qualcuno ha cercato di afferrarli immaginan-do fossero veri, gli iperrealistici frutti e vegetali creati da Giu-seppe Carta ed esposti a Germinazioni. I diari della Terra, la prima mostra tenutasi nella sede milanese di Eataly, in piazza XXV Aprile. Ideata da Arte Contemporanea Italiana, l’espo-sizione di oli su tela e sculture in bronzo ha reso omaggio alla biodiversità dell’Italia, mettendo in scena lo stretto rapporto fra cibo e arte, nutrimenti per il corpo e per l’anima.www.eataly.net

Pronti, partenza, via…Avrà tutta la classe di Armani la prossima edizione della Milano Marathon, il grande evento sportivo che si svolgerà il 2 aprile e per il quale sono già aperte le iscrizioni. EA7 Emporio Armani sarà title e technical sponsor e realizzerà le maglie tecniche che i runner indosseranno per i 42 km del percorso. Amata dai milanesi, nell’ultima edizione la maratona ha visto ai nastri di partenza 20mila atleti.www.milanomarathon.it

Nutrimento per l’anima

Cambio casa…Nuance, profumi e consistenze materiche sono gli ingredienti che l’interior designer e consu-lente immobiliare Andrea Castrignano usa per delineare nuovi paesaggi domestici. Conosciuto al grande pubblico per la conduzione del pro-gramma televisivo Cambio Casa, Cambio Vita!, il designer aspetta chi avesse voglia di portare una ventata di novità fra le pareti domestiche nel suo studio in via Adige 11.www.andreacastrignano.it

Into the Finnish forest Provengono dalla foresta finlandese di Isokyrö e sono interpretati da Jussi Vijala della distilleria Kyrö, i gin di segale che Björk Swedish Brasserie – al 20 di via Panfilo Castaldi – ha da poco inse-rito nel menu. Assaggi della cucina di Bjork, dalle aringhe marinate al caviale nordico di coregone, sono stati elaborati in sintonia con il gin, per accompagnarne al meglio la degustazione. www.bjork.it

The English BoutiqueRinfrescare il proprio business english in modo rapido ed efficace attraverso conversazioni su temi specifici, video, traduzioni e test di verifica. The English Boutique, la scuola di soli insegnanti madrelingua di via Costanza, 3, ha lanciato Bee-Eng Smart, un nuovo corso dedicato alle imprese e al mondo del lavoro per aiutare i professionisti a migliorare le proprie competenze linguistiche.www.theenglishboutique.it

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outside

LightnessLeggerezza è la parola chiave della nuova collezione autunno inverno di Herno. Il classico bomber di piuma è proposto con caratteristiche tecniche che lo rendono ancora più performan-te: il nylon, di soli sette denari, è il più leggero al mondo, mentre l’imbottitura è un mix di piuma d’oca e tecnica che rende il capo waterproof. I capispalla sono disponibili sia nella versione maschile sia femminile.www.herno.it

È stata inaugurata da poco La donna che legge, mostra che indaga il rapporto di Gabrielle Chanel con letteratura e scrit-tori. Svelata per la prima volta, la biblioteca di Mademoiselle Chanel rivela una fervida lettrice e mette in luce l’influenza che la lettura ha avuto sulle sue creazioni. Libri, fotografie, quadri, oggetti d’arte e creazioni di moda saranno esposti fino all’8 gennaio presso Fondazione Musei Civici di Venezia, Ca’ Pesaro–Galleria Internazionale d’Arte Moderna.www.chanel.com

La donna che legge

Al galoppo!Le candeline da spegnere sono ormai 118. 750gli espositori provenienti da tutto il mondo, oltre 200 gli eventi tra competizioni sportive e spetta-coli e 3mila gli eleganti quadrupedi protagonisti. Fieracavalli ritorna a Verona dal 10 al 13 novem-bre per parlare ancora una volta del mondo del cavallo e dell’affinità naturale che da millenni lega l’uomo a questo meraviglioso animale. www.fieracavalli.it

Tra i filari della FranciacortaNatura e buon vino, queste le parole chiave del Festival del Franciacorta in Cantina, che si è tenuto il weekend del 17 e 18 settembre. Settantasei cantine hanno aperto le loro porte, pronte a svelare i segreti dei vitigni Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco e a far degustare le tipologie di Franciacorta. Spazio anche allo sport, con itinerari in bicicletta e trekking in vigna.www.franciacorta.net

Instant designQuest’estate Spotti Milano ha aperto le porte del rinnovato spazio in viale Piave con Instant Panorama, il nuovo allestimento che ha consoli-dato la direzione creativa di Studiopepe. Instant Panorama racconta un interno sofisticato che sembra esistere fuori dal tempo e nel quale luci, colori e texture si uniscono in una sottile armo-nia, frutto del dialogo continuo tra riferimenti alla tradizione e al design contemporaneo.www.spotti.com

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cover story cover story

Angela Missoni ha sempre sognato una sola cosa: fare la mamma. La più giovane dei tre figli di Ottavio e Rosita non è entrata subito nell’impresa di famiglia, ma ha coltivato altre passioni negli anni, si è sposata e ha avuto tre figli. Nel 1992 ha deciso di occuparsi di moda e finalmente nel 1997, con la “benedizione” di mamma Rosita, ha lanciato la sua prima collezione. Oggi è l’unica designer del brand di maglieria più famoso del mondo

di Nadia Afragola

ANGELA MISSONI

IL CAPITALE UMANO

Missoni è uno dei pochi marchi della moda italiana che può vantarsi di essere ancora al 100% un family business. Dal-la sua fondazione al boom degli anni Ottanta, il testimone è passato da una all’altra generazione e oggi il successo è stato riconosciuto anche con una mo-stra, Missoni Art Colour, allestita pri-ma al Museo Maga di Gallarate (città dove tutto è iniziato) e poi al Fashion and Textile Museum di Londra. Nato come piccolo laboratorio tessile a Gal-larate, Missoni si spostò poi a Sumira-go, sempre in provincia di Varese, dove ancora oggi ha sede l’azienda: era il 1953 quando fecero la loro comparsa le maglie con fantasia a righe e a zig zag. A capo di tutto Ottavio Missoni, il fondatore, e la moglie Rosita Jelmini che disegnò gli abiti fino al 1997, anno in cui passò il testimone alla figlia An-gela, oggi unica designer di tutte le li-nee. È la storia di una famiglia italiana, quella che ci racconta in queste pagine Angela, la storia di una maison dove fi-gli e nipoti hanno spesso posato per le pubblicità del marchio. Ma è anche la storia di chi ha reso importante la setti-mana della moda di Milano. Forse non

tutti lo sanno, ma fu proprio il marchio di Varese, nel 1966 a sfilare, per la pri-ma volta, al Teatro Gerolamo portando così il prêt-à-porter a Milano. Angela, che ricordi ha della sua infan-zia?Ricordi felici, di giochi sempre in com-pagnia di altri bambini, tanti bambi-ni! Siamo una grande famiglia, quindi c’erano i miei fratelli, i miei cugini e molti, moltissimi amici. Ognuno in-vitava i suoi, si “condividevano” e così coltivavamo relazioni diverse, che sono non di rado sopravvissute al tempo e restano amicizie ancora oggi. Poi c’e-rano le lunghe vacanze al mare, in una piccola isola della Dalmazia dove per molti anni i miei hanno affittato una casa. Non c’erano né gas, né elettricità, né acqua corrente... Si viveva all’aria aperta, immersi nell’acqua del mare, cuocendo alla griglia sugli scogli i pesci spesso pescati da noi, bevendo e cu-cinando con l’acqua dolce del pozzo. Erano giornate lunghissime trascorse all’aperto, erano gioiose, avventurose, sempre con il rumore delle cicale nelle orecchie, in compagnia dei miei fratelli e dei miei genitori, ma anche dei tanti

parenti e amici di passaggio. C’erano ospiti che andavano e venivano, ralle-grando le tavolate a cena, illuminate con candele e lampade a petrolio.Sapeva già cosa voleva fare da gran-de?Principalmente la mamma: avere e crescere dei figli è sempre stato il mio più grande sogno, il mio più ambizio-so progetto. Poi direi che, in generale, ho avuto aspirazioni e occupazioni diverse, rivolte tutte però nella stessa direzione, ovvero a ridisegnare l’esi-stente. Avrei voluto fare l’architetto. O altrimenti, la progettista di spazi, arredi e prodotti per l’infanzia, mira-ti a ottimizzare il lavoro dei genitori e la qualità di vita e gioco dei bambini. E ancora, l’imprenditrice nell’ambito delle colture organiche e dei prodotti biologici. Ovviamente anche la moda è sempre rientrata nei miei interessi: par-liamo di un linguaggio e di un punto di vista estetico inalienabile, di un sogno a 360 gradi, quello di cui parlavo prima, ridisegnare l’esistente...Per anni si è rifiutata di lavorare con i suoi genitori. Dopo una breve esperienza a 18 anni come assistente

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cover story cover story

di sua madre, presa da una crisi di rigetto ha lasciato l’Italia. E poi cosa è successo?Non mi sono mai “rifiutata”. Ho lavora-to da quando avevo 19 anni nei periodi di vendita, per avere un’indipendenza economica, riuscendo così nello stesso periodo ad andare ad abitare da sola. Non mi sono mai trasferita del tut-to all’estero. Ho lavorato, in seguito, come assistente di mia madre in atelier, dai 23 anni ai 28 anni, e poi ho avuto i miei tre figli… Ed è proprio in quel periodo, quando sono stata a casa con loro, che mi sono dedicata a progetti diversi e ho cominciato a pensare che potevo orientare la mia vita al di fuo-ri dell’azienda. I miei genitori non mi hanno mai forzata a lavorare con loro, e questo discorso è valso anche per i miei fratelli: abbiamo tutti iniziato in maniera quasi naturale. Poi, quando ho capito bene il costo emotivo e psicolo-gico che poteva avere su di me un’inte-razione quotidiana, fianco a fianco con il talento, l’esperienza e la determina-zione imprenditoriale di mia madre Rosita e di mio padre Ottavio che ve-devano molto lungo, mi sono informal-mente prospettata un’alternativa. Un’alternativa… In che senso?Il nome e l’assetto imprenditoriale di Missoni sono come una grande cu-pola sotto la quale possono confluire e convivere attività diverse: Missoni non sono solo vestiti da indossare. Ho iniziato a pensare a qualcosa che fos-se completamente concepita e con-trollata da me. Così, senza pressioni né imposizioni, mi sono sentita libera di prendere o lasciare, libera di con-frontarmi con un piano tutto mio o di non farlo, o di non fare. Ho accettato gli spunti che arrivavano dall’esterno,

giacca maschile, il giubbotto smanica-to, il giaccone o il cappotto extra lun-go, ecc... Tanti modelli codificati, facili, corti e lunghissimi, ampi e slim, veloci da indossare e accostare, che sono stati declinati con le texture, i punti, i co-lori e i riflessi straordinari del lurex di Missoni XXI secolo. Convivenze estre-me di pattern storici, inedite bande, striature melange e nuovi cromatismi. Memoria e soluzioni esclusive, innova-tive. Il perfetto incontro di questi due aspetti direi che è la chiave del succes-so Missoni di oggi.Molta maglieria, come da tradizio-ne, senza rinunciare a look divertenti e sexy. Come si evita di dare una sta-gionalità precisa ai capi?La maglia è divertente, la maglia è sexy. È longeva e versatile. È moda da colle-

dapprima ho cominciato a occuparmi di nuovi progetti per Missoni, ad esem-pio la linea bambino, la profumeria, la pelletteria. Poi sono passata a imposta-re il progetto di brand identity che non era mai esistito fino a quel momento. È solo in seguito che ho capito che era la moda il vero ambito all’interno del quale avrei voluto esprimermi. È nata così la linea Angela Missoni: pezzi in maglia, tendenzialmente in tinta unita. Quello è stato per me un importante punto di partenza. Il modo vero con cui ho iniziato a comunicare con mia madre sullo stesso piano a livello lavo-rativo, creativo e professionale. Le sono piaciuta e a un certo punto, guardando una mia collezione, ha detto: «Questo è quello che Missoni dovrebbe essere oggi» e mi ha passato le redini creative dell’azienda.È vero che ha provato anche ad alle-vare polli?Sì, era una delle idee che avevo relati-vamente alle colture e agli allevamenti biologici di cui le ho parlato prima. Cos’è la moda per lei?Un gioco combinatorio che coinvol-ge istinto, cultura e innovazione. Una personale, e libera, appropriazione e interpretazione di dati, stilemi, spunti formali, elementi decorativi, conte-nuti estetici. La mia concezione della moda implica, alla pari, memoria e ricerca, passato e contemporaneità, norma e trasgressione, provocazione e sense of humour. Ho avuto la fortuna di ereditare un linguaggio esclusivo e immediatamente universalmente rico-noscibile, che può mutare all’infinito, esprimere significati diversi, interpre-tare e improntare il tempo.Nell’aprile del 1967 Missoni presen-tò la nuova collezione a palazzo Pitti

zione, fatta di pezzi che puoi ripren-dere, interpretare, ricontestualizzare stagionalmente, illimitatamente. Basta non perdere di vista tutto questo.Con questa collezione ha rievocato lo stile degli anni Settanta, il perio-do di maggior successo del marchio. Quelle righe iconiche e un certo zig zag come fanno a non passare mai di moda?Mio padre scherzava dicendo: «Ci co-piano da tremila anni!». Le righe e gli zig zag non sono infatti delle esclusi-ve Missoni. Prima di essere e diventa-re delle iconiche signature del nostro brand, rappresentano dei prodromi estetici, dei paradigmi della cultura tessile. Diciamo che i miei genitori hanno saputo tradurre questi pattern in un linguaggio moda. I “nostri” ac-

a Firenze, facendo sfilare le modelle senza reggiseno. Fu uno scandalo. Da allora quanto è cambiato il modo di fare scandalo in passerella?Non ridurrei l’episodio a uno scandalo, lo chiamerei piuttosto un’idea di co-municazione, allora forse involontaria o completamente mirata a valorizzare e spettacolarizzare i modelli... Fu un gesto o una scelta d’amore, contestua-lizzata in un periodo di grandi idea-li stilistici e di autentica fiducia nel nuovo. Direi che eravammo di fronte a un’idea di comunicazione che ha pre-corso il tempo, visto che oggi il come è diventato più importante del cosa. Abbiamo vissuto, a partire da quegli anni, la destabilizzazione di un rito codificato come la sfilata che, da Yves Saint Laurent a Jean Paul Gaultier o da McQueen a Tisci, non ha conosciu-to né limiti, né alcuna censura. E dal 1967 a oggi ha comunque avuto come suoi principali focus i cliché o i ghetti della bellezza e della sessualità, i teatri del mostrare e del celare, dell’essere e dell’apparire.La collezione autunno inverno 2016-17 che ha interamente disegnato è una delle migliori collezioni di sempre, a detta dei critici. Da dove arriva l’ispi-razione?Ho voluto riscoprire l’essenzialità, la linearità del knitwear e lo spirito del tempo che quella moda ha generato. C’è una traccia ideale, ricordata a me-moria, di anni che, tra Settanta e Ot-tanta, ha visto trionfare la libertà di essere, sedurre, trasgredire. C’è la leg-gerezza di un vestire fatto di scelte e accostamenti informali, personali, stri-denti, sbagliati, inaspettati. Il trionfo di capi che il tempo ha reso transgenera-zionali, epocali passepartout come la

costamenti e le “nostre” scansioni cro-matiche trasfigurano all’infinito righe e zig zag e li trasformano in proposizioni di tendenza, in motivi della moda che non smettono di evocare e rimandare a un passato indefinibile, perfettamente postmoderno. Un passato contempora-neo… Ecco! Quella di Missoni è la storia di una famiglia che è sempre stata molto uni-ta. Si fa tanto parlare oggi di famiglia in Italia. Cosa ne pensa in merito?Sono cresciuta con il culto della fami-glia trasmesso a tutti noi da mia madre Rosita. E della famiglia sono a totale fa-vore. Tuttavia non è una cosa così facile come si può pensare, ma rappresenta un’incontestabile forza, una risorsa e un capitale inestimabile. Dategli valo-re, sempre.

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PortFoLio

Un lavoro fotografico realizzato a fine 2015, un viaggio on the road, da Milano a Capo Nord e ritorno. Un percorso di scoperta, rinascita e speranza per Matteo Di Giovanni che, nel 2011, ha subito l’amputazione di una gamba a causa di un incidente in Bosnia-Erzegovina. Sostenuto da sponsor e da una campagna di crowdfunding su Kickstarter, con “Reaching The Cape” Matteo ha ripreso il suo percorso professionale. Ogni viaggio è innanzitutto un’occasione di crescita interiore e l’autore ha provato che nella vita esistono limiti, ma non confini. Il viaggio è durato due mesi e le fotografie sono state scattate solo in analogico privilegiando un linguaggio tradizionale. La direzione artistica del lavoro è di Micamera e ha visto, tra i suoi più importanti sostenitori, New Old Camera, lo storico negozio di fotografia nel cuore di Milano, punto di riferimento per fotografi professionisti e amatori, da sempre impegnato nella divulgazione della cultura fotografica. www.newoldcamera.com

foto di Matteo Di Giovanni

REACHING THE CAPE

PortFoLio

In questa pagina.

In alto, Strandby,

Denmark. Sotto, Apple

Juice Stand, Norway.

Nella pagina a fianco.

Germany. La

commistione tra

aspetto tecnologico e

aspetto artigianale è

il cuore del progetto,

l’elemento che avvicina

la protesica alla

fotografia analogica

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PortFoLio PortFoLio

In questa pagina.

Alta, Norway. Nella

pagina a fianco. The

Last House Before

North Cape. Il

progetto rappresenta

una rinascita e una

riappropriazione

di tutto quello che

a un certo punto

sembrava perduto

per sempre. Una

storia profondamente

personale che viene

raccontata attraverso

una serie di ritratti,

paesaggi e interni

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PortFoLio PortFoLio

matteo di giovanniClasse 1980, è fotografo documentarista. Attualmente vive a Milano. Ha frequentato un master in Fotografia all’Università di Westminster nel 2012. Dopo un grave incidente stradale in Bosnia-Erzegovina, ha ripreso a pieno la sua attività. Si occupa di progetti relativi a problemi sociali e antropologici, concentrandosi sui temi della memoria e dell’identità. È coinvolto nel progetto Officine Fahrenheit, dove collabora con lo stampatore Gianni Romano. Foto di Ryuichi Watanabe. www.matteodigiovanni.com

In questa pagina.

In alto, Åland

Photographic Museum,

Finland. In basso,

Driving through. Nella

pagina a fianco. Åland

Islands, Finland. Questo

viaggio è una metafora

dell’esperienza di

Matteo. Allontanandosi

progressivamente

dalle aree popolate si

addentra in una terra

quasi disabitata, per poi

fare ritorno ai luoghi

conosciuti

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Focus

02. Davide

Longoni, dopo una

laurea in Lettere,

e un’esperienza

nell’agenzia Contrasto,

ha deciso di dedicarsi

al pane aprendo un

negozio a Milano

03. I due titolari

di Pregiate Carni

Piemontesi si dividono

tra due macellerie

01. La vetrina della

macelleria aperta da

Ercole Villa, oggi è

gestita da Mauro Brun

e Bruno Rebuffi

ni soci, il nuovo Mercato del Suffragio. Il suo pane viene dalla storia e anche dalla geografia, materie amate all’università. Ci sono profumi e fragranze di una volta: dai cereali alle olive, dal pane con l’uvetta a quello di segale fino a quello con i grani antichi. Ricerca ed evoluzione riportano al gusto di un tempo. Quello del pane che non mancava mai sulle nostre tavole. Un tempo le macellerie a Milano erano 1300, ora ne restano 300. In di-minuzione. Un po’ i nuovi stili alimentari, in sen-so buono, tesi al migliore equilibrio dietetico, un po’ il terrorismo salutista in senso cattivo, di certe mode-tendenze che mentono sapendo di mentire. A Milano c’era, e per fortuna c’è ancora, una gran-de tradizione. E resiste la più celebre macelleria della città, Pregiate Carni Piemontesi aperta da Ercole Villa. Un tempio per i patiti della “ciccia”. Ercole è andato in pensione, ma la bottega non ha chiuso. Anzi ha ripreso intensità con i nuovi tito-lari, Mauro Brun e Bruno Rebuffi, allievi divenuti eredi. I due si dividono tra la macelleria origina-ria, l’Annunciata dove è rimasto Mauro e quella che fu di Ercole, dove opera Brunetto. Amicizia,

Sono ancora aperte, come un tempo, le botteghe di una volta. Per fortuna. Magari cambiate, forse ristrutturate, qualcuna aperta recentemente dalla meglio gioventù che, però, ha conservato lo spiri-to degli antichi, qualità e umanità, anche ruvida. Sapore di Milano: eccellenza e carta vetrata. Uo-mini e donne, perché la forza di una certa idea di Milano sono le persone. Piero Bonardi apre la sua salumeria-gastronomia il 2 gennaio del 1973, un ragazzino, praticamente, come sua moglie Anna, dopo varie esperienze (cucina anche per la Na-zionale di pugilato, come testimoniano le foto alle pareti) e dopo aver attraversato le classiche salu-merie milanesi, da Peck al Salumaio di via Monte-napoleone. «Qui, al mio primo stipendio, per poco non svengo. Una cifra esorbitante. Sono ricco, penso. Ma si erano sbagliati, quel Bonardi era il direttore. Si chiamava come me». Il segreto di una grande bottega è la fedeltà. Reciproca. Il commer-ciante offre qualità, la clientela continuità. Ci sono persone che vengono qui da 43 anni. Ovviamen-te si cambia, la cucina si ampia, quinoa o bulgur solo dieci anni fa erano praticamente sconosciuti.

professionalità, attenzione, qualità. Cresciuti in via della Spiga nella macelleria dei fratelli Quat-tro (di cognome e di fatto), quando questa chiuse decisero di investire su una loro attività, «in tem-po - raccontano - per essere travolti dalla mucca pazza». A un certo punto pensarono di mollare e aprire un’officina, ma lo sconforto fu contenuto dalla passione. Le loro carni sono selezionate con cura, le rosse vengono da un allevamento certifica-to, quello di Sergio Massaglia a Buttigliera d’Asti.C’è sempre una storia dietro una grande bottega, finiamo con due pasticcerie. La Pasticceria Miglia-vacca fondata nel 1958 da Alberto Migliavacca e dalla moglie Maria Laura Daverio che prosegue, rinnovata, con laboratorio a vista, la sua strada di qualità. Per i cornetti, le torte, i lievitati, la gente si spinge fino alla periferia est di Milano. Lo stesso succede per la Martesana (ora alla sede storica, ha altri negozi più centrali). Aperta nel 1966 (augu-ri!), adesso con il pluripremiato capo pasticcere Davide Comaschi regala sempre qualche golosa novità. Botteghe milanesi. Cercatele, tra le pieghe della città.

I gusti e i tempi cambiano. «Meno bonarda e più champagne». La cantina, 200 etichette, è curata dal figlio Marco. Molti piatti di verdure, pesce al vapore. Una giusta evoluzione. Però restano insu-perabili i classici: dall’insalata russa ai risotti, poi i grandi stagionali, la cassoeula, i mondeghili, le tradizionali polpette milanesi, difficili da trovare così buone. Aperto la domenica mattina, il giorno della paella, vera, ricca, ordinare per credere. Non distante, diverso per età e percorso, ma simile per dedizione, entusiasmo e qualità c’è il negozio di Davide Longoni. Davide è arrivato a Milano seguendo il suo senso per la farina (anche il suo libro ha questo titolo). La sua era una famiglia di fittavoli, poi piccoli proprietari terrieri che fecero un gruzzolo vendendo le terre diventate edifica-bili. I nonni rilevarono un panificio, ma Davide, prima di mettere le mani in pasta, ha fatto la sua strada: geometra, laurea in lettere, uno stage da Contrasto a occuparsi di foto e fotografi. Quindi il ritorno a casa e, infine, l’atterraggio a Milano. Ol-tre a questo negozio - con un dehors che qualcuno ha definito newyorchese - si è inventato, con alcu-

01

di Roberto Perrone

TRA LE PIEGHEAlcune hanno una lunga storia alle spalle, altre sono più recenti. Sono

le bellissime botteghe di Milano che resistono grazie alla qualità dei prodotti che offrono e alla passione dei loro proprietari

Focus

INDIRIZZIGastronomia Bonardiviale Umbria 27Panificio Davide Longonivia Tiraboschi 19Pregiate carni piemontesivia dell’Annunciata 10Pasticceria Migliavaccavia Ajaccio 3La Martesanavia Cogliero 14

02

03

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intervieW intervieW

Basso e baseball, da sempre queste sono le due passioni e le due occupazioni di Faso che oggi, unite, stanno dando vita a un progetto «bellissimo» nel centro Sportivo Saini. Si chiamerà Hit Single Arena e già dalla

prossima primavera dovremmo iniziare a sentirne parlare

di Paolo Crespi

FASO

PASSIONI COMPLEMENTARI

Milanese quasi doc, «unico ascendente fuori mappa la nonna paterna, di Ma-cerata», Nicola Fasani detto Faso (nella vita e sul palco degli Elio e Le Storie Tese, di cui è da sempre il bassista e il coautore di tante hit) ha una conoscen-za invidiabile del territorio metropoli-tano, che percorre in Vespa da quando aveva sedici anni.Quali sono le tue zone di riferimento, quelle che sai a memoria?Sono fondamentalmente tre. I dintorni di piazza Carbonari, vicino alla Mag-giolina, dove sono cresciuto: è stata la mia arena da bicicletta, quando dodi-cenne partivo in esplorazioni che arri-vavano fino al Parco di Monza. I miei mitici negozi di dischi e giocattoli han-no lasciato il posto ad abbigliamento e telefonia… Poi zona viale Washington, dove ho “impiantato” la mia prima casa da single, e infine Porta Romana, dove sono approdato già grandicello e papà. Ma non posso certo trascurare i 28 anni passati a frequentare il Parco Forlanini, ovvero il centro sportivo Saini, dove c’è uno storico campo da baseball oggi ben gestito da Ares Milano, la società di cui sono presidente e per la quale, dopo un quarto di secolo di militanza attiva, al-leno i ragazzi ogni volta che posso. E per loro, ma non solo, ho anche messo in campo un bel progettone.Di cosa si tratta?Si chiamerà Hit Single Arena e nasce da una constatazione: il Saini è il più bel centro sportivo della città perché è immerso nel verde e può ospitare mol-tissime discipline, ma potrebbe essere molto di più per quelli che cercano di praticare un’attività sportiva, quel-li che amano stare all’aperto e quelli che vogliono svagarsi un po’. L’idea mi

è venuta attraversando ogni volta, per raggiungere il nostro campo, l’ex pista da hockey con anello per il pattinaggio che giace nel più completo abbandono da quando, vent’anni fa, si ruppe il “fri-goriferone” che produceva il ghiaccio.Quale sarebbe il nesso?Lo spreco: mi son detto che invece sa-rebbe bellissimo farci un campus per i bambini, ma anche un’area per eventi e concerti, un cinema all’aperto e, siste-mando un edificio esistente, un nuovo spazio multifunzione: di giorno bar su-per salutare con le spremute di frutta fresca, dove si possa mangiare e bere qualcosa a prezzi accessibili (esatta-mente l’opposto dell’andazzo milane-se), di sera pub per fare musica dal vivo. Con al piano inferiore almeno due sale prova dove a turno i ragazzi possano suonare a una tariffa innovativa: gratis, salvo particolari esigenze di orario. Agli adulti vorremmo dare la possibilità di sperimentare forme di divertimento sportivo. Del tipo batting cage, il tunnel protetto dove senza rischi puoi provare una battuta, parliamo sempre di base-ball…Complimenti per l’idea, ma a che pun-to siete?In una fase avanzata. L’area è stata data in concessione alla federazione base-ball, che ha incaricato il sottoscritto di fare un piano. Abbiamo già fatto analiz-zare il terreno e l’amico “architetto-ba-seballista” Francesco Baldi ha disegnato il progetto che ha il sostegno dell’as-sessorato allo sport del Comune ed è piaciuto anche in Regione. Tra l’altro il tutto accadrebbe in un’area servita e senza problemi di coprifuoco acustico.Cosa manca per partire?Partner privati. Per le aziende sarebbe

una grande opportunità: con il costo di uno striscione a San Siro presidierebbe-ro il posto per 18 anni… Siamo anche vicino all’aeroporto di Linate: si po-trebbero concepire pubblicità orizzon-tali sul tetto visibili dagli aerei. Il mio sogno è quello di inaugurare almeno una parte di Hit Single Arena entro la prossima primavera.Musica e sport nel tuo caso hanno vo-luto dire basso & baseball. Cosa rap-presentano l’uno e l’altro?Beh, il basso è lo strumento dietro al quale, o con addosso il quale, ho percor-so tutto il mio cammino nella musica. Oggi mi rendo conto che per comporre non è l’ideale e quando sono al compu-ter preferisco scrivere tracce per tutti gli strumenti tranne che per il mio. Una curiosità: da mancino lo suono come se non lo fossi e anche quando mi metto alla batteria, che uso discretamente, la configurazione è quella dei destri, ma con le mani aperte anziché incrocia-te. Una cosa che fa sempre impazzire Christian Meyer, il batterista ufficiale. Il baseball è una passione complementare perché, in quanto sport considerato mi-nore, mi ha regalato quella dimensione agonistica che la musica, per fortuna, non ha.La prossima sfida di gruppo?La nostra prima, vera tournée all’este-ro come EELST, se si escludono i con-certi americani del ’98, in cui, ahimè, avevamo deciso di tradurre in inglese le nostre canzoni. Ora sappiamo che gli stranieri non disdegnano di ascoltarle in lingua originale. Abbiamo incontra-to il manager giusto et voilà, un paio di settimane già programmate tra marzo e aprile 2017: Londra, Bruxelles, Parigi… Mica bruscolini!

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di Chiara Temperato

GUARDA COME DONDOLOIl ritmo saltellante dello swing porta in pista la Milano danzante. Il fascino del

Proibizionismo risuona in città, capelli impomatati e rossetti sfavillanti tornano di moda e le nottate milanesi si riempiono dell’euforia vintage di balere e festival musicali

Focus

Erano gli anni Trenta quando gli Stati Uniti co-nobbero una nuova forma di jazz, briosa e meno intellettuale. Si chiamava swing e a suonarlo erano le grandi orchestre che lanciavano seducenti me-lodie sulle piste da ballo. Un ritmo libero e scan-zonato faceva uscire la musica dagli speakeasy e le dance hall diventavano il simbolo della libertà. Era tempo di festeggiare e di scatenarsi a un ritmo frenetico. Cittadini bianchi e neri si mescolavano, Benny Goodman e Duke Ellington dirigevano le grandi orchestre. Lo swing favorì la nascita di bo-ogie woogie, swing crash e lindy-hop, stili di bal-lo acrobatici molto apprezzati poi da subculture giovanili, come gli zooties negli USA, gli zazous in Francia. Lo swing intanto diventa fenomeno culturale a livello mondiale, dona nuova visibilità alla cultu-ra afroamericana, vestendola di abiti stravaganti, i cui colori eccentrici provocano la società bacchet-tona e conformista. L’Europa ne è affascinata e in

Italia il nuovo trend musicale arriva con Alberto Rabagliati e il trio Lecan. Oggi, all’alba del 2017, questo genere riscrive la sua storia, torna a far sognare i nostalgici e a incu-riosire i più giovani. In un’epoca completamente devota al passato, e maniaca del rétro, viene da chiedersi se il “ripescaggio” del vintage sia solo una moda passeggera, un malinconico rifugio o una condizione imprescindibile, perché nulla è possi-bile se non partendo dal vecchio. Ma per i nuovi ballerini milanesi lo swing sembra una semplice passione, mossa solo dalla frenesia delle loro indo-mabili ginocchia. All’inizio sono state le spumeggianti serate Twist and Shout a vestire Milano a festa, a ritmo di rock’n’roll e swing. Hanno scatenato orde di dan-zatori provetti o improvvisati, alimentato l’estro degli style-addicted e ingolosito chi semplicemen-te voleva divertirsi. Eserciti trionfanti di danzato-ri, con tanto di brillantina nei capelli e gonne a

01

01. Lo Spirit de Milan

fa rivivere gli spazi delle

ex Cristallerie Livellara,

riempiendoli di musica

e sapori vintage. Qui

si balla, si mangia e si

condivide lo spirito del

tempo, con la carica

dello swing che trascina

tutti in pista

Focus

ruota colorate hanno preso d’assalto Milano che, al calar del tramonto, sembra fermarsi nel tempo. Una città che si rilassa e si diverte quando getta la maschera e si mostra per quello che è.Dove respirare l’autenticità del passato se non nei cortili e nelle piste de La Balera dell’Ortica? Qui il ritmo vibrante dello swing e del boogie woogie mette d’accordo tutti quelli che amano divertirsi tra balli scatenati, pasta e fagioli e fiumi di vino della casa. Banditi i dresscode, è richiesta solo la voglia di condividere e lasciarsi trascinare dall’e-suberanza delle orchestre. Il giovedì è la serata swing: prima lezioni con tanto di maestri e poi tutti in pista a scatenarsi; da ottobre è in arrivo anche il “brunch swingato”. Alla balera, racconta-no i gestori, «lo swing non è una tendenza, ma un modo di essere».Dalla semplicità al gusto rétro chic, a far tendenza è lo Spirit de Milan, un locale che esprime la sua anima sia nell’amore per lo swing che nel deside-rio di recuperare l’antica Milano da osteria, con cucina, canti, balli e lezioni di dialetto milanese. Anticipatore di questa tendenza e con un occhio attento alla scena internazionale, lo Spirit de Mi-lan è il cuore pulsante del quartiere Bovisa. È il sa-bato sera, durante la Holy Swing Night, che si tra-sforma nel tempio del ballo, quando le orchestre danno fiato agli strumenti e i ballerini si librano in aria a tempo di musica. Il locale in ottobre ospita

anche lo Swing’n’Milan, un’occasione in cui giac-che attillate in vita, con spalle imbottite e iperbo-lici risvolti tornano di moda. Pantaloni a vita alta, larghi al ginocchio e stretti alla caviglia, sono issati da eccentriche bretelle e il cappello Borsalino fa capolino sulle teste impomatate, mentre donne stile pin up sfoggiano gonne sgargianti, bianche calzette e chiome raccolte in code, toupé, o in portentosi pompadour.Per chi ama una cornice classica ed elegante c’è Il Maglio, raffinata location che ospita serate a base di swing (il venerdì) e un ristorante dal menu tra-dizionale, oppure la Maison Milano, un’antica sta-zione postale che diventa un lussuoso regno del ballo, del buon cibo e del divertimento con le sue proposte musicali e di intrattenimento, dal burle-sque allo swing e al tango. E infine per chi voles-se riassaporare l’aria del proibizionismo di New York, riempire le orecchie con musica live acusti-ca jazz e scaldare i tacchi con melodie swing, un salto al Jumpin Jazz Ballroom è d’obbligo.La mania dello swing fa sobbalzare Milano, anche locali storici come Il Magnolia, lo Speakeasy Club di Rozzano e Il Bloom mettono in calendario se-rate dedicate a questo genere musicale. Puro divertimento? Un nuovo stile di vita? Certo è che quando partono le danze e si scaldano gli ambienti, lo swing esplode al ritmo irrefrenabile di un passato che incanta e suggestiona.

02

02. La Balera

dell’Ortica è il tempio

del divertimento

genuino, con serate

frizzanti a base di ballo,

musica dal vivo e cucina

casereccia. Foto di

Daniele Fragale

indirizzi La Balera dell’Ortica via Giovanni Antonio Amadeo 78Spirit de Milanvia Bovisasca 57/59Il Magliovia Granelli 1 Maison Milano via Lodovico Montegani 68Jumpin Jazz Ballroomviale Monza 140

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Mi accoglie a casa sua, in piena estate, dove si sta ancora riprendendo da un non piccolo problema di salute. «Tut-to risolto, fortunatamente», sono le sue prime parole accompagnate da uno sguardo vispo e un’innegabile voglia di confidarsi. Tullio Dobner è fatto così: un intellettuale appassionato che non si sottrae mai al confronto. Traduttore italiano di Stephen King per tre deca-di esatte e contemporaneamente alle prese con altri nomi (Grisham, Koonz, Barker, Sheldon e altri ancora) in grado di far tremare le classifiche di vendita. Un convitato di pietra, nemmeno così tanto discreto («Ho sempre amato le traduzioni emotive trasudanti perso-nalità»), che ci ha tenuto compagnia per innumerevoli ore. Da un pezzo Dobner si è accasato con la Newton & Compton e a breve tornerà al lavoro ri-dando lustro a due capolavori di H.G. Wells quali La macchina del tempo e La guerra dei mondi. Un bel traguardo di carriera all’insegna, come al solito, del vocabolo giusto.Settanta primavere di cui 47 passate a tradurre di tutto: una vita dedicata alla parola, la tua. Al puro intelletto.Soprattutto una vita dedicata all’in-terposta persona. E comunque non ho mai desiderato altro che questo.Sicuro?Sì. D’altronde ho tradotto tonnellate di romanzi ma, di mio, ho scritto ben poco (una raccolta di racconti – I libri che perdevano le parole – più Schizosofia uscito solo per il web, NdR). Il fatto è che quando giochi otto ore al giorno con i concetti altrui, alla sera ti ritrovi svuotato di parole tue.Come descriveresti a un profano il tuo mestiere?Come quello di un attore: anch’io, in fondo, mi limito a interpretare un testo creato da qualcun altro. E non potrei fare altrimenti visto che, in campo ar-tistico, non ho mai creduto all’oggetti-vità.Ma così facendo non si corre il rischio

di essere troppo “creativi”?L’importante è non consegnare bozze impersonali. Anche perché al mondo esistono due sole categorie di tradu-zioni: quelle che ci azzeccano e quelle che vanno completamente fuori strada. Una volta “azzeccato” il testo, è quasi necessario aggiungerci un po’ di tuo, un’ipotesi di sensibilità. Anche perché questo rimane un mestiere molto peri-coloso…Addirittura?Già. La nostra resta una lingua ricca ed è triste limitarsi a quelle trecento paro-le che sono sempre il viatico di una tra-duzione fredda e impersonale. Bisogna essere musicali, scavare dentro la pagi-na, adoperare quel determinato modo di dire se il caso lo richiede.E se il testo originale è brutto?Una buona traduzione non lo salverà di certo. Prendi La casa dipinta di Gri-sham a cui lavorai anni fa. Un critico entusiasta mi telefonò dicendomi che avevo tramutato il re del legal thriller in un “grande autore americano”. Com-plimento respinto al mittente: in quel caso fu tutta farina dello stesso Gri-sham che, evidentemente, s’era stufato di scrivere d’avvocati col pilota auto-matico.Fatto sta che nel 1983 esce “Cujo” di Stephen King e Dobner diventa un traduttore “popstar”: ti ci ritrovi?Il termine mi fa sorridere visto che King – prima del boom di It nel 1987 – qua da noi era ancora visto come “uno scrittore di culto” nonostante Carrie, Le Notti di Salem e ovviamente Shining. Il fatto è che alla Sperling & Kupfer erano oltremodo terrorizzati: in Cujo c’era un bambino che faceva una brutta fine e loro non volevano inimicarsi il pubbli-co femminile. Mi chiesero di trovare le parole adatte per le eventuali lettrici-mamme! A libro consegnato in reda-zione tirarono un sospiro di sollievo mentre io trovai l’autore della vita.Perché King e non altri?Perché non ha eguali nel campo della

narrativa statunitense. Quando King scrive “semplice” e non abusa di quella sua prosa così chimica e strabordante, beh, non ce n’è davvero per nessuno. Senza dimenticare le affinità personali che ci legano a cominciare dall’anagra-fe.Il romanziere del Maine farà set-tant’anni nel settembre 2017…Sì, King ed io siamo nati nello stesso mese ad appena dodici mesi di distan-za. E oltre al segno zodiacale, vergine, condividiamo anche un identico pathos generazionale. Quella sorta di pessimi-smo di fondo che nel suo caso è coin-ciso con la guerra in Vietnam mentre nel mio è scaturito con la tragedia di piazza Fontana, un crimine che an-cora reclama giustizia. E poi veniamo entrambi dal basso: Stephen scrisse i suoi primi libri in una roulotte mentre io ho cominciato a fare il traduttore in una piccola mansarda di via Previati, in zona Fiera, dove non avevo neppure il fornello a gas!Non c’è proprio niente che vi divide?Beh, anche se non ci siamo mai incon-trati, immagino che a livello di gusti musicali non andremmo granché d’ac-cordo! (ride, NdR) Lui è un metallaro nell’anima e, quando scrive, spara a tutto volume AC/DC e Ramones. Io non ce la farei mai… Quando lavoro ho bisogno di silenzio o, al massimo, metto in sottofondo un disco di musica rinascimentale. O dei Beatles.La tua ultima traduzione di King, La leggenda del vento, risale ormai al 2012: ti manca?Mi manca come se vedessi la mia fidan-zata storica uscire con un altro uomo. Tempo fa la Sperling ci ha pure pro-vato a farmi correggere una traduzione “kinghiana” realizzata da un loro auto-re. Dopo un’ora avevo già riscritto ex novo tre pagine! Lì ho compreso di non avere più l’obbiettività necessaria per fare una cosa del genere. E così ho detto addio al mio caro, vecchio amico di una vita.

intervieW

Il primo settembre ha compiuto settant’anni. Dal 2012 non traduce più Stephen King ma, nonostante ciò, il suo lavoro continua ad accompagnare generazioni di lettori attraverso

i più clamorosi bestseller internazionali. Non ultimo L’Uomo di Marte di Weir

di Simone Sacco - foto di Cecilia Gatto

TULLIO DOBNER

LE PAROLE DEGLI ALTRI

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IN VINO Autunno, stagione di vendemmia e uva in tavola. Nuovi colori cominciano a spuntare e la voglia di visitare cantine alla ricerca del vino migliore è irrefrenabile. Da Milano una meta imperdibile per esperti o semplici bevitori sono le Langhe. Ma se preferite le fughe di relax,concedetevi trattamenti all’uva in una Spa. E, infine, riempite le vostre case di oggetti che ricordino Bacco perché «uva oggi, uva domani e i malanni stan lontani»

illustrazione di Virassamy

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municazione continua che favorisce la cooperazione dello staff e l’erogazione al cliente del migliore servizio possibi-le, senza mai trascurare alcun dettaglio. «Conoscere in anticipo chi verrà in of-ficina il giorno successivo, essere infor-mati sulla sua storia dal punto di vista automobilistico, sapere se ad esempio è socio del Porsche Sci Club o se gioca a golf, permetterà al personale di acco-gliere il cliente al meglio segnalandogli un prodotto di suo interesse oppure l’organizzazione di un evento sportivo cui potrebbe desiderare partecipare…» spiega Luigi de Vita Tucci, direttore ge-nerale dei Centri Porsche Milano Nord e Milano Est. E a proposito di eventi imperdibili, le date non sono ancora state rese note, ma tutti gli amanti di Porsche possono iniziare a segnarsi una nota per ottobre e novembre: arrivano le nuove Cayman e Panamera.www.milano.porsche.it

piano la Customer Experience, offrendo un servizio sartoriale, interamente svi-luppato sulle esigenze del cliente.Così se fino a ora il programma Exclu-sive aveva permesso alla clientela Por-sche di personalizzare la propria vet-tura definendo ogni tipo di dettaglio: dalla scelta dei materiali a quella delle colorazioni (ben 198 le tinte disponibi-li fuori listino), dalla personalizzazione della seduta sino alla possibilità di ave-re la firma o il nome del guidatore sul battitacco, ora gli amanti della sportiva tedesca potranno scoprire quanto possa essere gratificante avere la possibilità di rivolgersi a un amico e non a un sem-plice rivenditore. Ma come funziona il Customer Contact Team? Il program-ma prevede l’analisi quotidiana delle agende dei due centri milanesi e mette in contatto diretto e costante le diver-se professionalità che operano al loro interno, dando vita a un flusso di co-

Il caffè a letto la mattina, un fiore per festeggiare un anniversario importante, il piatto preferito la domenica, l’asciu-gamano sullo scaldasalviette pronto all’uscita dalla doccia. Chi di noi non ha una piccola attenzione dedicata cui non potrebbe mai rinunciare? E chi di noi non vorrebbe riceverne di nuove? I clienti dei Centri Porsche di Milano possono ora scoprirne alcune davvero speciali: è stato infatti da poco lan-ciato il nuovo programma Customer Contact Team, una coccola a tutti gli effetti che il celebre marchio tedesco ha scelto di sperimentare in due nazio-ni e cinque concessionarie: in Italia a Padova – centro pilota per il progetto dove le prime prove sono state fatte nel 2014 – e a Milano, nei due Centri di Milano Nord e Milano Est; in Spagna, nelle due sedi di Madrid. Il programma riflette il desiderio di Por-sche di mettere sempre più in primo

Porsche customer contact team

advertoriaL

Dopo avere dato spazio alla personalizzazione con il programma Exclusive, i Centri Porsche di Milano Nord e Milano Est presentano un nuovo servizio che si propone di offrire alla clientela un’accoglienza davvero speciale

buncH

indirizziCentro Porsche Milano Nordvia Stephenson 53 - MilanoCentro Porsche Milano Estvia Rubattino 94 - Milano

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Evoca la sinuosità delle

curve di un decanter La

Cité du Vin, cittadella

tematica nata lo scorso

giugno a Bordeaux che

offre un’esperienza

immersiva nella cultura

vinicola mondiale

È nata lo scorso giugno a Bordeaux, in Francia, La Cité du Vin, il più grande museo del mon-do dedicato alla cultura enologica. Una sorta di “Guggenheim del vino” insomma, progettato dal-lo studio parigino XTU Architects ispirandosi alla rotondità di questa bevanda e al suo movimento nel bicchiere, ma anche ai vortici incessanti dell’a-diacente fiume Garonna. Protagoniste non solo le migliori etichette francesi, ma quelle di 80 Paesi del mondo, Italia compresa, con la sua Strada del Prosecco e i vini dei Colli Conegliano Valdobbia-dene. A World of Cultures è, non a caso, il payoff di questa iniziativa che ospita al suo interno mostre permanenti e temporanee, aree degustazione, un auditorium, una biblioteca, una boutique, un’eno-teca e il ristorante Le7, affidato allo chef Nicolas Lascombes. Gioielli in Fermento è invece il concor-so che, in ambito italiano, abbina il vino e il gio-iello d’autore: ogni anno il Mediterraneo e le sue tradizioni offrono agli artisti in gara lo spunto per la realizzazione di opere suggestive, capaci di evo-care tutte le sensazioni legate al bere. Quest’anno gli oltre 40 nomi selezionati, italiani e stranieri, saranno protagonisti di un’esposizione che si ter-rà dal 9 al 17 settembre negli spazi milanesi del

Laboratorio Formentini per l’editoria e che, dopo essere passata per Padova, Torre Fornello e Barcel-lona, si sposterà dal 20 ottobre al 25 novembre al Meatpacking district di New York. Ma i connu-bi tra vino e design non finiscono qui: lo scorso aprile la cantina Feudi San Gregorio ha presentato DUBL ESSE Dosaggio Zero, la nuova edizione, in tiratura limitata, di DUBL, lo spumante metodo classico campano. La produzione in corso, che rac-chiude il meglio delle uve dei vigneti di Greco, sarà disponibile a partire dal 15 settembre con un packaging ideato da Fabio Novembre. Anco-ra ad aprile Passoni Nature, in collaborazione con DINN!, ha presentato Decanter, famiglia di sedu-te le cui cromie sono ottenute con un’innovativa tecnica di colorazione che sfrutta vinacce pregiate. Brut è invece il nome della collezione di tavoli e panche progettate da Konstantin Grcic per Magis che richiama alla mente la dolcezza del vino friz-zante. Si ispira a Milano la nuova Colonna Vino di Toncelli che, tramite una laboriosa tecnica di intarsio, riproduce sulle sue ante la planimetria del quadrilatero della moda. All’interno la sintesi di un’enoteca, con tutti gli strumenti per aprire e degustare le vostre annate preferite.

di Alessia Delisi

Nel corso dei secoli il vino si è affermato non solo per il suo sapore, ma anche per il ricco sapere a esso collegato. Proprio questo connubio ispira ogni anno progetti e iniziative, come la neonata Città del Vino

EBBREZZA CREATIVA

Non di solo pane...Bensì anche di vino si nutrono molti progetti contemporanei, dalle bottiglie ai mobili

Passoni nature - Decanter

Frutto di una ricerca meticolosa, la collezione di

sedute Decanter è una combinazione di legno e vino

dalle sfumature naturali, nata da una collaborazione

con DINN!

www.passoninature.com

Feudi san Gregorio - DUBL ESSE

All’interno di un packaging ideato

da Fabio Novembre, DUBL ESSE

Dosaggio Zero racchiude il meglio

delle uve dei vigneti di Greco.

Disponibile, in tiratura limitata, a

partire dal 15 settembre

www.dubl.it

Kelly & Jones - Notes of Wine

Pinot Grigio, Riesling, Cabernet, Merlot e

Chardonnay: sono questi i vini che hanno ispirato la

collezione di fragranze della sofisticata Kelly Jones

www.kellyandjones.com

Liana Pattihis - Emilia

I vitigni del paesaggio emiliano sono

protagonisti di questa spilla di Liana

Pattihis, una delle artiste premiate

durante l’ultima edizione di Gioielli in

Fermento

www.gioiellinfermento.com

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toncelli - Colonna Vino

È un tributo alla capitale della moda e del design questa piccola

enoteca dotata di wine cellar, di un ripiano estraibile e di tutti gli

strumenti necessari all’apertura e alla degustazione delle bottiglie

www.toncelli.it

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«Le Langhe non si perdono» dice il cugino di Ce-sare Pavese ne I mari del sud, primo testo di La-vorare stanca. I due parenti stanno camminando fianco a fianco in quei territori pieni di ricordi, l’uno – Cesare – ormai vive a Torino e l’altro è appena rientrato dopo un lungo viaggio in giro per il mondo. È uno stretto legame con queste terre che Pavese descrive anche nei Racconti: «Il mio paese sono quattro baracche e un gran fan-go [...] volevo girare per tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti: “Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là”». Oggi gran parte del mondo “quei tetti” delle Langhe li cono-sce molto bene e li associa principalmente a due cose: al vino e al tartufo bianco. Sebbene in Italia si producano ottimi vini a qualsiasi latitudine, il Piemonte e in particolare le Langhe non possono essere trascurati dai veri appassionati.Qualsiasi stagione è adatta a una “gita” in questi territori, in estate i viticoltori hanno più tempo da dedicare agli avventori e a luglio il festival

Collisioni è un bellissimo modo per raggruppare insieme più passioni. Ma è certamente l’autun-no il periodo più consigliato sia perché si posso-no assaporare i piatti tipici della regione – non tutti adatti alle temperature estive – sia perché è la stagione del tartufo bianco d’Alba. In questo momento dell’anno infatti si svolge anche la Fie-ra Internazionale dedicata a questo specialissimo fungo (quest’anno parte l’8 ottobre e continua fino al 27 novembre). Il mistero del Tuber Ma-gnatum è ancora irrisolto: cresce in pochissime aree del mondo e quella delle Langhe, Roero e Monferrato sembra proprio essere la migliore gra-zie a natura incontaminata, livello di umidità e condizioni del suolo. Altra grande eccellenza da scoprire è l’uva nebbiolo, la regina di queste dolci colline, protetta dai castelli e dalle torri dei pic-coli villaggi fortificati. Area di lotte e di splendore nel Medioevo, dalle Langhe passarono pellegrini, mercanti di sale, avventurieri, crociati, monaci la-sciando – ognuno di essi – un segno e un’eredità. Ma il segno più grande resta quello dei contadini

01 02

che nei secoli hanno modellato il paesaggio, pre-servando l’anima antica e selvatica caratterizzata da noccioleti, viti e borghi arrocati. Da una par-te, a proteggere questa terra la catena delle Alpi, dove si distinguono bene Monviso e Monte Rosa, dall’altra spira il Marin, il vento del mare che scal-da e profuma l’aria. Ma cosa proprio non si può perdere una volta giunti qui? Si può iniziare da Barolo che sorge su un altopiano circondato da colline ricoperte di vigneti. Camminando tra le vie strette del paese si scoprono bottiglierie, botteghe e il castello che ospita anche il Museo del Vino (ma un giro lo merita anche quello del Cavatappi) per poi sce-gliere un’osteria dove mangiare una battuta al coltello con tartufo, accompagnata da un buon bicchiere di vino. Barolo è bella vederla soprattut-to dall’alto, riprendendo la macchina per diriger-si verso la prossima tappa del viaggio: Grinzane Cavour. Anche qui si rimane incantati dalla vista sui poggi coperti di vigneti e dalle Alpi che fanno da sfondo. Tra una sosta e l’altra, nelle Langhe, si

possono mettere le gambe sotto al tavolo, con la sicurezza di mangiare bene praticamente ovun-que. Ma vale la pena allungare un po’ il giro per andare a provare la cucina di due giovani chef. Il primo è Federico Gallo che guida la cucina della Locanda del Pilone, una stella Michelin ad Alba e Ambassade della prestigiosa Maison de Cham-pagne Krug (offre tre camere doppie, tre junior suite e due suite). A Guarene invece è Michelan-gelo Mammoliti che incanta i palati al ristorante La Madernassa.Da Grinzane si viaggia verso Serralunga. Il consi-glio è di lasciare la macchina lungo la strada che porta al borgo e percorrere gli ultimi metri a pie-di. La stretta via è in salita, ma molto suggestiva, come lo è il comune La Morra, considerato il bal-cone naturale delle Langhe. Tornando ai contadi-ni non si può partire di qui senza aver provato la loro tradizionale merenda che consiste in vitello tonnato, acciughe al verde, frittate, salumi e for-maggi tipici, come robiola e murazzano. Un’espe-rienza che non vi farà più “perdere” le Langhe.

di Carolina Saporiti - foto di Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero

Non si tratta di sbagliare strada, ma piuttosto di perdere nella propria memoria l’immagine delle colline verdi ricoperte di vigneti e il ricordo dei sapori dei piatti accompagnati da ottimi bicchieri di Barbaresco e Barolo. Benvenuti nelle Langhe, il regno di uva e tartufo!

IMPOSSIBILE PERDERSI

WeeKend WeeKend

01. La zona delle

Langhe e Roero

sono diventate nel

2014 Patrimonio

dell’Umanità e il

Paesaggio Culturale

di questi vigneti è

stato dichiarato il 50°

sito italiano protetto

dall’Unesco. Foto di

Davide Dutto

02. L’autunno è la

stagione migliore in

cui visitare le Langhe,

quando cambiano

i colori delle colline

e si può assaggiare

una delle specialità

di questo territorio:

il tartufo bianco.

della cantina Beni di Batasiolo a La Morra. Dopo una giornata all’aria aperta, due ore di relax con mas-saggi Abhyanga e sessione di Yoga alla Spa La Sovrana, la giornata si chiude con una cena indimentica-bile al ristorante Gourmet La Rei, una stella Michelin.www.ilboscaretoresort.it

delle meravigliose Gold Suite; un menu degustazione incentrato sul tartufo e una sessione di tratta-menti della tradizione indiana nella Aveda Destination Spa. In alter-nativa ci si può calare nell’energia della vendemmia settembrina con un sabato incentrato su natura, relax, buona cucina e ottimi vini

nelle vigneImmerso nei vigneti, sulla sommità di una collina coltivata a Nebbiolo, Il Boscareto Resort & Spa è un luo-go d’incanto e un punto privilegiato di sguardo sui luoghi più affascinanti delle Langhe. Per questo autunno il Resort ha ideato un soggiorno incentrato sui sensi: il lusso di una

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WeLLness

Simbolo di benessere e di abbondanza, l’uva è un prezioso alleato della bellezza e della salute della nostra pelle. Il suo segreto? Un insieme di sostanze attive utili per favorire la rigenerazione cutanea e cellulare. «In testa ci sono diversi tipi di zuccheri dalle proprietà idratanti – ci spiega il dottor Luigi Rigano, cosmetologo e consulente indipendente del settore cosmetico a Milano – seguono vitami-ne idrosolubili, come la C, e alcune vitamine del gruppo B, enzimi, fattori di crescita (ovvero mole-cole in grado di sostenere la proliferazione cellu-lare, presenti in tutta la frutta fresca e nell’uva in particolare), e il resveratrolo, un potente polifeno-lo che aiuta a contrastare l’attacco dei radicali li-

beri, causa di invecchiamento. Ultimi, ma non per ordine di importanza, gli alfa-idrossiacidi (AHA), ingredienti stimolanti, rigeneranti cellulari e dalle virtù esfolianti».Rispetto all’uva bianca, quella nera è più efficace se inserita nella “mise en place” di trattamenti este-tici. «La sua marcia in più è dovuta agli antocia-ni – continua l’esperto – sostanze colorate che le conferiscono la sua tipica sfumatura violacea, che aumentano il turnover cellulare ed epidermico e difendono dallo stress ossidativo». E ancora, se si desidera puntare sull’azione antietà, occorre che gli acini siano maturi, mentre se l’obiettivo è idra-tare, nella formulazione del soin è preferibile che

01

di Simona Lovati

L’uva Regina, non solo di nome, ma anche di fatto, è tra i frutti della nostra tradizione che contiene il complesso più performante di sostanze idratanti, rigeneranti e protettive nei confronti dell’invecchiamento

IL BENESSERE SECONDO BACCO

WeLLness

01. Les Sources de

Caudalie a Martillac

(Francia), membro dei

Small Luxury Hotel of

the World. Il castello

ospita la prima Spa

Vinothérapie, che

propone rituali a base

di uva e vino

il frutto sia più acerbo. Un paragrafo a sé merita l’olio di vinaccioli, estratto dai semi. Si tratta di un olio con lipidi polinsaturi dalle notevoli virtù emollienti, antiossidanti. È anche ricco di vitami-ne, tra cui la F, meglio conosciuta come Omega 3.Se si vuole ricreare a casa un rituale di tutto ri-spetto, è necessario preparare una sorta di frullato con polpa e buccia dell’uva, miscelarlo con argilla e applicarlo sul viso aiutandosi con garze di coto-ne, per evitare di fare colare il composto. «Rispetto ad altri sistemi – conclude Rigano – la polpa stessa del frutto funziona da vettore idratante. Ne con-segue un rafforzamento della capacità assorbente dei tessuti cutanei che in questo modo possono integrare più facilmente i principi attivi impiegati durante il trattamento e raggiungere un livello di equilibrio e di benessere ideale».Grazie ai benefici dell’uva e all’intuizione di due imprenditori, Mathilde Cathiard e Bertrand Tho-mas, nella regione di Bordeaux (la più produttiva in Francia in materia di vigneti) negli anni Novan-ta è nato il brand cosmetico Caudalie, che sfrutta le proprietà di uva e derivati, così come la prima Spa Vinothérapie. Il vino infatti, si scopre, ha vir-tù antiage sulla pelle, tonifica e protegge le pareti dei capillari sanguigni. Un tuffo nello champagne, invece, grazie al particolare tipo di fermentazio-ne che gli conferiscono le sue tipiche bollicine, è

ottimo per ottenere un effetto scrub e rilancia-re la microcircolazione sanguigna. E proprio in Francia, nei pressi di Bordeaux, si può provare il trattamento Fleur di Vigne, la proposta di Les Sources de Caudalie che consiste in un avvolgi-mento corpo purificante e dinamizzante all’argilla tiepida, arricchita da estratti di uva e olio di vinac-cioli. Rimanendo in Italia sono comunque tante le Spa che utilizzano questo speciale ingrediente nei loro trattamenti. Al Four Seasons Milano, il rituale relax per i piedi porta la firma di Tauleto Spa. Il bagno energizzante a base di polifoneli bio, mandorle dolci e olio di vinaccioli è seguito da uno scrub e da un impacco astringente all’albume d’uovo che si conclude con un massaggio. Se il vostro obiettivo, invece, è ottenere un viso radioso e senza imperfezioni, il trattamento giusto è l’an-tiaging all’uva di Sangiovese. Il cuore del soin di Adler Thermae a Bagno Vignoni, in Toscana, sono un morbido gommage e una maschera drenante, per infondere rinnovata giovinezza alla pelle del volto. Un accostamento originale arriva dalle Ter-me di Merano: si tratta di un peeling al sale e vino rosso. Levigante e rigenerante, fa parte del nuovo pacchetto Sapore di vino, che comprende anche il massaggio con olio di vinaccioli e un ingresso alle terme. E per i romantici, un bagno in tinozza per due. Per non farsi mancare proprio niente.

02. Il nuovo peeling ai

vinaccioli altoatesini e

sale di Terme Merano.

Il soin dedicato al

corpo asporta in

dolcezza impurità e

cellule morte, per

donare alla pelle

rinnovata luminosità e

morbidezza. Foto di

Manuela Prossliner

02

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Ama definirsi, un po’ sfacciatamente, il pantalone italiano e non a torto, dal momento che dal suo lancio nel 2007 Berwich ha continuato a percorre-re la sua strada: produrre un capo italiano al 100%. Da allora tanti traguardi sono stati raggiunti. Nel 2014 è nata la collezione femminile, Madame Ber-wich, e nel frattempo la gamma proposta si è am-pliata, tenendo sempre fissi come obiettivi l’inter-nazionalizzazione del marchio, la differenziazione del prodotto e il legame con il territorio. «È la no-stra linea strategica» dice Massimo Gianfrate che, insieme ai fratelli Graziana, Antonella e Angelo, si occupa dell’azienda di famiglia Icoman, di cui Ber-wich fa parte: «Abbiamo un’ottima distribuzione in Italia ed entro 18 mesi vorremmo aprire il no-stro primo flagship store a Milano, l’epicentro del nostro business». Da questo primo store ne nasce-ranno altri in altre nazioni, soprattutto in Medio ed Estremo Oriente. Una scelta che si sposa con il rispetto delle tradizioni e l’amore per il proprio territorio. Berwich sorge A Martina Franca, uno dei poli industriali più importanti nel comparto abbi-gliamento, dove ancora oggi avviene il 100% della produzione. «Non delocalizziamo – spiega Massi-mo – è una scelta. Come lo è stata quella di inve-stire sul ricambio generazionale e oggi l’età media del nostro personale è di 30 anni». Scelte che per

Berwich non sono un caso, ma una costante. Il fat-to che l’azienda pugliese comprenda in sé tutte le fasi di produzione ne rappresenta infatti il punto di forza: «Questa è la strategia: non varcare i confi-ni del territorio. Seppure con alcune difficoltà, vo-gliamo mantenere la nostra purezza». Nonostante un made in Italy “vero” abbia costi molto alti, per Berwich si tratta di uno dei valori più importan-ti da diffondere, attraverso collezioni di pantaloni basate sul fascino dell’esplorazione del mondo. Da sempre il marchio presenta collezioni ricercate sia in termini di qualità, sia di innovazione. «Cerchia-mo di dare un contributo migliorativo al mondo dei tessuti – racconta Massimo – e siccome siamo grandi amanti delle partnership verticali è nata di recente la collaborazione con Tessuti di Sondrio, storica azienda cotoniera». Da questo rapporto è nata Manopesca, una collezione di modelli slim fit in cui sono state mantenute morbidezza e forma. La Puglia è una regione con un carattere forte che si scorge in ogni paio di pantaloni del marchio, che da Martina Franca devono arrivare a tutto il mon-do. Oggi Berwich propone 15 tipologie differenti di prodotti «la delocalizzazione – conclude Mas-simo – va bene per le produzioni massificate, non per quelle come la nostra. Che con il tempo ripaga molto di più».

della Redazione di Club Milano

Non un semplice capo d’abbigliamento, ogni pantalone Berwich racchiude il rispetto per le tradizioni e il territorio dove vengono fabbricati. Ecco come il brand di Martina Franca ha raggiunto importanti traguardi

IL PANTALONE ITALIANO

styLe

Partire, viaggiare,

scoprire sono i verbi

a cui Berwich si

ispira per ogni nuovo

progetto. I suoi

prodotti sono infatti

distribuiti secondo

criteri di selettività e

collaborazione con i

propri retailer

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styLe

WARMTH OF HOME

di Luigi Bruzzone

In lana, calda e avvolgente, la giacca due bottoni è un pezzo versatile per l’arrivo della stagione fredda

Two-button jacket

Motivi a quadri, presi in prestito dai disegni di plaid e coperte sottolineano l’idea di relax della collezione Fendi uomo autunno inverno 2016-17. La silhouette è morbidae confortevole, i pantaloni hanno una vestibilità rilassata

styLe

Henry cotton’s

Giacca due bottoni in lana disegno check

www.henrycottons.it

del mare 1911

Giacca due bottoni sfoderata

www.delmare1911spa.com

Fradi

Giacca due bottoni in lana a fantasia check

www.fradi.it

Laboratori italiani

Giacca due bottoni in lana a quadri

www.laboratoriitaliani.eu

individual

Giacca due bottoni in misto lana

www.individualdenim.it

at.P.co

Giacca due bottoni sfoderata in misto lana

www.atpco.it

Hackett London

Giacca due bottoni in lana shetland

www.hackett.com

eleventy

Giacca due bottoni con fantasia check

www.eleventy.it

tagliatore Pino Lerario

Giacca due bottoni sfoderata e destrutturata

www.tagliatore.com

supergaSneakers con tomaia in tessuto check e suola in gomma

campomaggiTracolla in pelle tinta in capo

sealupCardigan in maglia di lana con maniche in montone e bottoni in vero corno siglati Sealup

stetsonBerretto in lana fantasia check

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di altri brand, altrettanto iconici e d’ec-cellenza, ricercati in giro per il mondo dall’azienda stessa e proposti in esclusi-va nel negozio di Milano per uno sguar-do che sa evolversi, rifarsi alle proprie radici e al contempo lasciarsi ispirare da prospettive differenti. L’ampia of-ferta dello store rispecchia l’evoluzione del marchio nel corso degli anni: dalla produzione iniziale degli anni Trenta, orientata esclusivamente agli imper-meabili, agli anni Cinquanta e Sessanta quando Sealup diventa una delle indu-strie di abbigliamento più importanti in Italia. Attenta al rispetto dei più alti standard di sicurezza sul lavoro, ecoso-stenibilità e trattamento della privacy, ogni anno Sealup realizza nei propri stabilimenti in Italia 50mila capi, con-tribuendo a una continua affermazione del made in Italy nel mondo.

aprire il proprio store nella centrale via Brera 3/5, all’angolo con via dell’Orso, il suggestivo tratto che collega due luo-ghi simbolo della città: il Teatro della Scala e l’Accademia di Brera. La nuova boutique si presenta come uno spa-zio moderno, luminoso ed essenziale. All’ingresso i clienti sono accolti dalla luce proveniente da grandi finestre ad arco che si affacciano su uno dei mera-vigliosi cortili interni di Milano, men-tre all’interno si possono scoprire i fa-mosi capispalla impermeabili, i caban, i cappotti e i capi in piuma d’oca sia per uomo sia per donna. Le collezioni sono affiancate da modelli limited edi-tion Sealup Brera, capi su ordinazione e capi su misura. Ma non solo: all’in-terno pantaloni, maglieria, camiceria e accessori Sealup. Tra le novità più in-teressanti anche una speciale selezione

Un palazzo d’epoca nel cuore di Bre-ra, uno spazio di 300 metri quadrati su due piani e quattro grandi vetrine, è la nuova casa di Sealup, storico marchio di capispalla che durante la settimana della moda ha aperto a Milano il suo primo flagship store. Dal 1935 pun-to di riferimento nella produzione di luxury rainwear e outerwear, nonché espressione di 100% made in Italy nel mondo, Sealup è stato sinora distribu-ito nei migliori multi brand italiani ed esteri e ora ha inaugurato il suo primo negozio monomarca. L’obiettivo è pre-sentare al meglio l’universo del mar-chio, il suo spirito di ricerca e di modern design e offrire alla clientela un’espe-rienza di shopping unica. La scelta del capoluogo meneghino rispecchia il dna milanese di Sealup, fatto di eleganza e sobrietà, così come la decisione di

sealup apre il suo primo flagship store a milano

advertoriaL

Tra i più prestigiosi produttori di impermeabili e outerwear di lusso, Sealup ha inaugurato il suo negozio monomarca proponendo capispalla, modelli limited edition e una speciale selezione di altri brand di eccellenza. Immancabili i capi su misura, gli accessori e tutto ciò che occorre per un guardaroba completo

Le vetrine del negozio monomarca di Sealup, a Milano

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Confortevole, a effetto

cocoon: il divano Nubilo

Beige-Corallo è uno

dei pezzi icona di Petite

Friture. A firmarlo

il designer francese

Constance Guisset

Settembre mese di (ri)partenze, di buoni proposi-ti e di qualche nervosismo perché le vacanze non sembrano durare mai abbastanza. Il rientro può essere reso più dolce se ci si circonda di accessori e arredi “positivi”. Nelle tonalità: solari e vitamini-che per i più estroversi, tenui e pastello per le per-sonalità più timide. Negli accostamenti: inediti, creativi, pop come in un quadro di Andy Warhol. Nei materiali: naturali possibilmente, sempre i mi-gliori veicoli di felicità. Nelle linee: pulite, giocose, fantasiose. Non esiste una regola generale nella scelta, la cosa importante è che con la loro estetica questi oggetti riescano a trasmetterci spontanea-mente un piacevole senso di serenità. Che poi, in fondo, una delle missioni del design è creare oggetti felici, che oltre a essere pratici e as-

solvere alla loro specifica funzione, siano anche in grado di coinvolgere chi li usa e, soprattutto, di far stare bene. La casa, in questo modo, può diventare un nido – o cocoon, per usare un termine molto di moda tra i design addicted – dove fare il pieno di buone energie e annientare i pensieri negativi. Un riferimento colto? La frase-manifesto del grande Bruno Munari. In tempi non sospetti aveva già le idee chiarissime: «Non ci deve essere mai  un’arte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usare». Al contrario, bello e funzionale si mescolano, dandosi forza l’un l’altro e creando pezzi che in casa servono anche al buonumore. Per questo inizio autunno basteranno pochi, sele-zionati elementi per dare alla casa il giusto twist. E ripartire sarà forse un po’ più facile.

di Marzia Nicolini

Il rientro dalle ferie resta sempre traumatico. Oltre ai buoni propositi, anche una casa vivace e solare può aiutare a tornare alla routine più dolcemente. Colori spensierati e linee giocose per sentirsi ancora un po’ in vacanza

POSITIVE MOOD

Voglia di sorridereAccessori pop e chic di cui circondarsi per stare bene. Senza mai prendersi troppo sul serio...

coin casa - Tovaglietta pesce

Tovaglietta in fibra naturale a forma

di pesce. Da usare anche come

centrotavola: semplice, ma super chic

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normann copenhagen - Bau Small

Lampada pendente scultorea e colorata piena di personalità. Il

paralume è una composizione di forme geometriche di diverse

sfumature. Si assembla a casa, perfetto esempio di Do It Yourself

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texturae - Cockatoo

La carta da parati Cockatoo, disegnata da Elena Salmistraro per la Yarn

collection di Texturae si ispira all’anima pop degli uccelli simbolo dell’Australia,

simpatici protagonisti di una composizione dai colori tenui, ma contrastanti

www.texturae.it

Gan rug - Silaï Pink Carpet

La designer belga Charlotte Lancelot firma un

soffice tappeto in tessuto naturale intrecciato dai

toni pastello. Leggero, lo si può abbinare ai cuscini

e pouf della serie

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driade - Magic Hour

Nato dall’estro creativo e surreale

di Thukral and Tagra, considerati tra

i più importanti esponenti dell’arte

contemporanea indiana, l’orologio a

parete Magic Hour unisce elementi

figurativi e pattern digitali. Qui nella

variante rotonda

www.driade.com

desiGndesiGn

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Caratterizzata da

dimensioni compatte,

la e-up! è una city-car

quattro posti con

un’autonomia di 160

km. A Milano la si

può trovare presso

le concessionarie

AutoRigoldi

In Norvegia i politici parlano di vietare la vendi-ta di auto a benzina dal 2025 in poi. E in Italia? Rse (Ricerca sul Sistema Energetico), su mandato della Presidenza del Consiglio, vuole programma-re questo autunno una road map sulla mobilità sostenibile in Italia che definisca strategie e sce-nari al 2030. L’obiettivo è organizzare contenuti, identificare il mix di vettori e tecnologie in grado di rispondere alla necessità di decarbonizzazione e quindi contribuire alla definizione delle politiche, normative e industriali, che potrebbero portare l’I-talia a ricoprire un ruolo da protagonista sul tema della mobilità sostenibile. Volkswagen è in prima fila nel promuovere questo modello di mobilità. Con il prototipo Budd-e, presentato quest’anno, ha svelato il nuovo pianale MEB specifico per le sue future auto elettriche, testimoniando un forte impegno in questa direzione. D’altro canto, già nel 2013 il marchio tedesco ha lanciato sul mercato italiano la sua prima auto 100% elettrica, la e-up! che consuma solo 11,7 kWh/100 km. Le sue dimensioni e i suoi consumi ne fanno il veicolo ideale per muoversi in città o per gite fuori porta assolutamente sostenibili. Infatti l’autonomia me-dia della e-up! – che può raggiungere una velocità massima di 130 km/h – si attesta tra 120 e 160 km in funzione di stile di guida e carico utile. Si tratta di valori adatti soprattutto ai centri urbani e a quei

pendolari che si muovono tra il centro e le prime fasce extraurbane. Come sempre Volkswagen ha creato un prodotto efficiente, ma tenendo conto anche dei dettagli: il servofreno eletromeccanico infatti unisce impianto frenante e funzione freno motore. Quest’ultima è molto utile per gestire al meglio la quantità di corrente disponibile nella batteria. Infatti, sfruttando il recupero dell’energia nelle fasi di rilascio e frenata, si trasforma l’energia cinetica in energia elettrica che ritorna ad essere immagazzinata nella batteria. Il guidatore ha per-tanto facoltà di influire molto su questi consumi e di conseguenza sull’autonomia della vettura. La e-up!, dal canto suo, è in grado di disattivare uten-ze temporaneamente non necessarie. Ma una delle caratteristiche che rendono e-up! una citycar ide-ale è anche l’alto livello di personalizzazione svi-luppato da Volkswagen con specifici allestimenti ed elementi di design che la rendono inconfondi-bile. La gamma delle dotazioni va dagli indicatori di direzione delle luci diurne a LED, ai cerchi in lega leggera perfezionati dal punto di vista aero-dinamico, fino agli interni accoglienti e luminosi. Le app del sistema di infotainment e navigazione maps+more fanno parte della dotazione base del-la e-up! insieme a sistema radio-CD, impianto vi-vavoce, cinque porte, climatizzatore automatico, parabrezza e sedili anteriori riscaldabili.

di Carolina Saporiti

Compatta e rispettosa dell’ambiente, la piccola e-up!, citycar elettrica di Volkswagen, promette costi di esercizio estremamente contenuti e grandi possibilità di personalizzazione

L’ELETTRICO CHE AVANZA

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vi modelli». È con questo entusiasmo e in previsione di tutte queste novità che la storica concessionaria Lombar-da Motori con sede a Monza (fondata da Luigi Zannier nel 1963), ha aperto lo scorso anno una sede a Milano «in città mancava una concessionaria Seat – spiega Della Torre – e a un anno dalla apertura il bilancio è più che positivo. Milano è una città su cui si deve lavo-rare tanto: noi stiamo cercando di far-ci conoscere tramite il tessuto sociale. Da una parte i clienti “storici” di Seat hanno finalmente avuto la loro conces-sionaria, dall’altra ci sono quelli nuovi che non conoscono, o conoscono poco, il marchio e che rimangono sorpresi». L’invito è quello di andare a provare di persona; la promessa? Farvi vivere la città senza stress.www.seat.lombardamotori.it

merciale di Lombarda Motori – perché è una macchina confortevole e spaziosa che è la caratteristica che viene sempre più ricercata nelle automobili, ma allo stesso tempo offre innovazioni a livello tecnologico che rendono più comoda e sicura la guida. E questo ormai è fon-damentale». Il tutto senza sacrificare l’aspetto estetico «Seat Ateca ha asso-ciato alla tecnologia un design ricerca-to. Nel suo segmento, può vantare una dimensione ridotta, ma nonostante ciò abitacolo e bagagliaio risultano molto capienti» continua Della Torre. L’in-gresso in questo segmento rappresenta un passo strategico importante: «Seat è un’azienda che crescerà nei volumi e nel fatturato perché ha un grandis-simo potenziale. Ateca rappresenta la vera novità del marchio spagnolo e dà il via a una serie di lanci di nuo-

Un’automobile per semplificarci la vita. È Seat Ateca, il nuovo SUV – il primo della casa automobilistica spagnola – che è stato lanciato sul mercato italiano a fine luglio. La nuova Ateca annovera numerosi sistemi di assistenza, per una guida facile e confortevole, unita alla massima sicurezza a bordo. Tra questi il Traffic Jam Assist, l’ACC con Front Assist, il Traffic Sign Recognition, il Blind Spot Detection, il Park Assist 3.0, il Rear Traffic Alert e la funzione Top View. Quest’ultima, attraverso le quat-tro telecamere situate nella calandra frontale, nel paraurti posteriore e nei gusci degli specchietti retrovisori ester-ni, permette di visualizzare l’intera area circostante alla Ateca a 360°. «Ate-ca risponde esattamente alle esigen-ze dell’automobilista di oggi – spiega Mauro Della Torre, responsabile com-

con seat ateca ogni giorno diventa meraviglioso

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sottovalutati i lettori audio portatili, ad alta fe-deltà, in grado di abbattere quella vera e propria “barriera del suono” costituita dai normali ripro-duttori di musica digitale compressa, ovvero i pla-yer Mp3, ormai integrati via software all’interno di altri dispositivi, tablet e smartphone in testa. Anche se liquida, la colonna sonora del nostro cocooning autunnale merita di essere ascoltata al meglio. Della partita fa parte a pieno titolo anche la radio, la cui recuperata dignità consente oggi di scegliere apparecchi di grande fascino e qua-lità, in grado di riprodurre fedelmente sia i cana-li tradizionali (analogici), sia digitali (DAB) e le diffusissime stazioni online. E l’autunno riserva una sorpresa proprio per i cultori del mass media più amato e “social” dell’era pre Internet. Da Tom DeVesto, l’americano di origini italiane che più di tutti ha contribuito a reinventare la radio e a rilan-ciarla nel mondo dell’elettronica di consumo (la Tivoli fu una sua creazione), una nuova gamma di prodotti di eccellenza che con il marchio Como Audio alzano l’asticella elevando l’apparecchio radiofonico a smart speaker. Da provare.

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Situate nel bel mezzo del Pacifico, le isole Ha-waii sono una di quelle destinazioni da sogno di cui spesso si tiene una cartolina appiccicata sulla porta del frigo e, ogni volta che la si chiude, ci si ripromette di organizzare lì il prossimo viaggio. Madre Natura sembra aver deciso di manifesta-re proprio qui tutta la sua forza e bellezza: il blu ruggente delle grandi onde dell’oceano, infatti, fa da contrasto alla terra nera dei vulcani che le caratterizzano, per non parlare del manto verde smeraldo della vegetazione che tenta di ricoprire qualsiasi centimetro di terra emersa dell’arcipela-go. Un paradiso in cui la prima parola che si sente appena scesi dalla scaletta dell’aereo è «Aloha», che in lingua locale significa “affetto, amore, pace e compassione”; un’espressione che già fa inten-dere lo spirito rilassato che pervade la vita quoti-diana degli hawaiani. Quante isole visitare e quali scegliere dipende tutto dal numero di giorni che

si hanno a disposizione, tenendo in considerazio-ne che solo per arrivare a udire il “magico saluto” sono necessari circa due giorni tra scali, check-in e sale d’attesa. L’isola di Hawaii, soprannominata Big Island, è la maggiore delle otto principali e con il suo possente vulcano Kilauea è senza dubbio una tappa obbligata del viaggio. Camminare sul-la cresta di una montagna fumante all’interno del Volcanoes National Park, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è un’esperienza senza paragoni. An-cora di più se si decide di ammirare dall’alto la lava che cerca di spaccare la roccia partecipando a un tour in elicottero, partendo dall’eliporto di Hilo, località sulla costa occidentale nota per le sue spiagge nere. Il pilota farà sicuramente un giro anche sulle Akaka Falls, le cascate più importan-ti dell’isola, per farvi ammirare il loro impressio-nante salto di 140 metri. L’isola è anche nota agli appassionati di golf per offrire i migliori campi

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dell’arcipelago. Chi vuole invece rimanere assor-dato dalla potenza dell’oceano deve dirigersi a Waimea sulla North-Shore di Oahu: nelle “gior-nate buone”, come dicono da queste parti, fanno bella mostra di sé le onde più grandi del mondo, i cui picchi raggiungono 15 metri di altezza. Tra novembre e dicembre vi si radunano i surfisti più temerari per cimentarsi in appuntamenti quali il Vans Triple Crown of Surfing e il Billabong Pipe Masters. Ma Oahu è tristemente nota anche per il violento bombardamento giapponese del 7 di-cembre 1941 alla base americana di Pearl Harbor. Per ricordare questo tragico avvenimento è sta-to istituito un monumento esattamente sopra il relitto di una delle navi colpite, la USS Arizona. Presso il Pearl Harbor Visitor Center è possibile partecipare a un tour guidato dell’area, ammirare una ricostruzione esatta della battaglia, numero-se gallerie fotografiche e un docufilm con riprese dell’epoca. Abbandonata la storia, si può prose-guire con la fantasia andando a visitare l’immenso Ho’omaluhia Botanical Garden che, non a caso, è stato il set di alcune ambientazioni del film Juras-sic Park. L’area, molto vasta, può essere esplorata con la propria auto e raccoglie la flora proveniente da Asia, Africa e Polinesia. Da non perdere anche l’isola di Maui, in grado di offrire una varietà di paesaggi incredibili. La soluzione migliore per go-

dere della sua bellezza è affittare un 4x4 e iniziare a esplorarla. Molto famosa è la Strada per Hana, un percorso costiero di un centinaio di chilome-tri fatto da 600 curve e 54 ponti che permette di ammirare allo stesso tempo cascate nascoste nella foresta come panorami mozzafiato a strapiombo sul mare. Tralasciando le spiagge più famose per i surfisti come quella di Hookipa, di grande fasci-no è quella di Kaihalulu, una mezzaluna di sabbia rossa incastonata nel fianco del cono di cenere di Ka’uiki Head. Il sentiero per raggiungerla è imper-vio, il che la rende una meta difficile da raggiun-gere per le famiglie, ma molto amata dagli appas-sionati di nudismo. In tutto l’arcipelago hawaiano si organizzano crociere per avvistare le balene, ma proprio dal piccolo porto di Lahaina, posto sulla costa occidentale di Maui, partono i tour più quo-tati: tutte le agenzie del luogo assicurano almeno un avvistamento con le megattere che, nel perio-do tra dicembre e maggio migrano dall’Alaska alla ricerca di acque più calde. All’appello mancano ancora le isole di Niihau, Kauai, Molokai, Lanai e Kaoolawe, ma solo chi ha molto tempo a dispo-sizione può permettersi di farsi ispirare da questi antichi nomi e scegliere quale altra meravigliosa isola esplorare. Tutti gli altri dovranno salire sulla scaletta dell’aereo di ritorno con nelle orecchie il suono del “magico saluto”.

di Andrea Zappa - foto di Hawaii Tourism Authtority

Lontane, molto lontane: le Hawaii sono una meta sognata ma poco visitata soprattutto dagli europei. Chi riesce a pianificarvi un viaggio sarà però appagato dai colori e dalla flora incontaminata di questo arcipelago

FORZA DELLA NATURA

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overseas overseas

01. La selvaggia e

deserta costa dell’Isola

Kauai, una delle

principali otto isole

dell’arcipelago. Foto di

Tor Johnson

02. Tra le varie

attrazioni delle

Hawai ci sono le

innumerevoli cascate,

alcune delle quali

raggiungono altezze

superiori ai cento

metri. Foto di Tor

Johnson

03. Un surfista su una

delle spiagge della

North Shore dell’isola

di Oahu. Il surf da

queste parti è lo sport

nazionale. Foto di Tor

Johnson

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Ci sono la cucina turca e quella scandinava, le ta-pas spagnole e la moussakà greca o balcana. Da più lontano arrivano uramaki, rodizio, ceviche e gyoza. A Milano si possono avere difficoltà nel trovare un buon risotto con zafferano e midollo, ma è quanto mai semplice incappare in ristoranti etnici insoliti e azzardati. Per molti anni la spasmodica ricerca dell’esotico ha fatto sì che la città, e l’Italia tutta, abbiano un po’ trascurato le cucine a noi più vici-ne, come quella d’Oltralpe dei padri della nouvelle cuisine, il movimento culinario emerso nel 1973 per merito dei critici gastronomici Christian Mil-lau e Henri Gault, e dell’haute pâtisserie (eccezio-ne fatta per i macaron di Ladurée e compagnia bella che, nella loro veste di coloratissimi bocconi, si sono ritagliati un’inossidabile fetta di pubblico). Nell’ultimo periodo però la tendenza è sembra-ta cambiare e, da Milano a Roma, fino a Torino e Bologna, la Francia è tornata a conquistare i pa-lati gourmand a suon di baguette, croissant, crêpes

ed eclair. Nel capoluogo lombardo il colosso dei prodotti da forno Délifrance ha aperto un gran-de store nella moderna piazza Gae Aulenti. Non solo: se la catena L’éclair de Genie di Christophe Adam è pronta a rifornire la città con i suoi lunghi dolcetti di pasta choux in corso di Porta Ticinese e in corso Garibaldi (presto anche con boutique in centro storico), la pasticceria di Pascal Caffet in via San Vittore prepara dolci dall’estetica e dal gusto impeccabili e impareggiabili macaron. Qui ad accogliervi è Olivier Gallo, colto maître pâtissier che nei suoi dolci mette tutta la sapienza che si ritrova anche nello store Caffet di Torino, in piazza Castello, interamente dedicato al ciocco-lato (ed elegante come una moderna gioielleria).Oltre al dolce, si possono degustare ottimi vini, carne e pane croccante da Le vrai, locale a metà tra brasserie e boulangerie in via Galilei. Da Amuse Bouche, in via Savona, si possono ordinare quelli che la gestione definisce testualmente «30 gram-

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mi di dimensione artistica per soddisfare tutti i palati e tutti gli appetiti», un tripudio di panini con uvette, formaggi, pomodori, sottòli ricercati e senape à l’àncienne. Via Correggio 50 è infine l’indirizzo per gli amanti delle crêpes, qui ha sede La creperie d’Auriane che propone anche piatti creativi francesi (spesso a base d’anatra) e zuppe. E anche Roma ha il suo tempio delle crepes, un ristorantino alla moda aperto nella prima metà del 2016. Si tratta del colorato Crêpes Galettes e si trova in via Leonina, dove il titolare Florent prepara orgoglioso e appassionato le originali bre-toni, sia dolci sia salate, accompagnate dall’inse-parabile sidro di mele ma anche baguette e altri prodotti tipici. La vera novità capitolina dell’anno che va ad affiancare locali storici come il Charly’s Sauciere (con oltre 45 gloriosi anni di attività nella sua sede di via San Giovanni in Laterano) e Le Levain Bakery, il forno di via Santini aperto a fine 2014 da un’idea del giovane pasticcere pu-gliese Giuseppe Solfrizzi, cresciuto alla corte del celebre Alain Ducasse, che impiega le sue farine biologiche e il lievito madre al servizio di un’ispi-

razione di pasticceria tutta francese.Dotta, e innegabilmente golosa, anche Bologna non si è tirata indietro davanti alle ultime tenden-ze food e Le bar a’ vin, in via Nazario Sauro, ne è la dimostrazione. Gestito da Angelo, che tra i primi portò nel capoluogo emiliano l’allure delle strade di Parigi con il ristorante Au Coq Qui Rit, questo localino riesce ad accontentare ogni clien-te con etichette ricercate (sempre bene lasciarsi consigliare), bollicine naturali, bocconcini sani e degustazioni attente anche a chi è intollerante. E l’ambiente è carico di un romanticismo che sfiora la magia. Le altre città? Sicuramente arriveranno.Una tendenza, quella che riporta la tanto ammi-rata creatività francese (soprattutto in ambito dol-ciario), che pare essere solo all’inizio e che non si può leggere come un fenomeno modaiolo, ma piuttosto come un’evoluzione inevitabile di quel processo, ormai consolidato nel Belpaese, di con-servazione, riscoperta, valorizzazione e attualizza-zione di ricette e pietanze che fanno la storia dei territori. E che dalle nostre montagne ha quindi appena superato il confine.

di Simone Zeni

Dopo le cucine etniche più azzardate e le pasticcerie regionali o scandinave, il food trend del momento è un ritorno alle origini. E da Milano a Roma tornano sulle tavole dolci raffinati e piatti eredi della nouvelle cuisine

AMORE D’OLTRAPE

01. In Italia va di

“moda” la cucina

francese e in molte

città hanno aperto

locali che propongono

sapori d’Oltralpe

02. Dolce o salata,

la cucina francese,

così varia e golosa,

conquista tutti

midnight in milanInagura il 19 settembre a Milano il locale Pourquoi Pas?, la nuova Brasserie Cafè Restaurant di C.so Garibaldi 17, un angolo parigino nel cuore di Milano. Un concen-trato di competenze, esperienze e attitudini di tre amici diventati oggi anche soci. Simone Taiuti, Gian-carlo Siola e Daniele Pagani hanno infatti unito le proprie capacità per dare forma a questo angolo parigi-no nel cuore milanese. Il progetto si è materializzato in uno spazio di 30 mq aperto dal petit déjeuner al calar della notte, per un’offerta che non tralascia l’appuntamento dell’a-peritivo. Protagonisti, ça va sans dire, i prodotti migliori francesi: verre de vin blanc ou rouge, cremant de Loire, champagne, bières françaises, il tutto accompagnato da piccole amuse bouche, piccoli chou, foies gras o fresche cruditées. 02

Food Food

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Food

La ricetta dello chefUna delle ricette preferite dallo chef mescola i profumi delle more di gelso e della verbena per esaltare il gusto delle animelle con il succo di vitello

Food

La sua è una cucina senza tempo, antica e moderna insieme. Ha lavorato al fianco di Ezio Santin, Christian Willer, Christian Sinicropi e Carlo Cracco. Nel 2009 ha guadagnato la sua prima Stella Michelin, mentre nel 2014 si è aggiudico le Tre Forchette del Gambero Rosso. Classe 1979, Luigi Taglienti inaugura una nuova fase della sua vita alla guida di Lume, il ristorante nel quale spera di poter crescere anche come manager

di Elisa Zanetti

LUIGI TAGLIENTI

Com’è nato il suo amore per la cucina?È una passione venuta fuori piano pia-no. In casa abbiamo sempre mangiato bene: mio nonno aveva l’orto e in fa-miglia siamo tutti buone forchette. Poi è arrivata la scuola alberghiera e così la passione è diventata professione. Tengo a sottolineare questo: il cuoco è un pro-fessionista, non è uno che lo fa solo per passione: ci vuole tantissima passione, ma è una professione con dei parametri ben definiti.Cosa differenzia un professionista?Ci sono degli elementi che sono ogget-tivi, delle preparazioni, dei passaggi che sono fondamentali e che un cuoco deve fare per diventare un professionista e non restare un “cuochetto”. Contano molto le esperienze di professionalità vissuta, lo studio, l’approccio al lavoro che è fatto di disciplina, perché è duro: dà molto, ma priva anche di molte cose. Fare bene questa professione significa viverla a 360 gradi, senza staccare. Cer-to, ci sono dei momenti di relax, ma il processo mentale è costante: a mente fredda si ripercorrono i passaggi, si cer-ca di capire dove migliorare... Noto che le piace definirsi “cuoco”, è una parola genuina, che non si sente spesso oggi…Sì, adesso cercano tutti le copertine di Vanity Fair… Io ho imparato molto da Ezio Santin, un professionista fedele

all’italiana e così via. Compongo una cucina molto personale: creativa e con-temporanea, ma che rispecchia l’italia-nità, una nuova italianità.Qual è il suo rapporto con la tradizio-ne?Mi piace parlare un linguaggio che sia italiano, che non corrisponda per forza con la tradizione, ma che segua quei profumi e quei sapori in grado di fare riaffiorare la memoria. La vera tradi-zione è la memoria, non è quello che intendono tutti. Il piatto tradizionale è quello che ciascuno tramite quel piat-to ricorda, è un riaffiorare di memorie vissute. Si tratta di un legame più per-sonale, intimo. Il suo piatto della memoria?I fagioli all’uccelletto di mia nonna. Le piace vivere a Milano?Nei primi quattro anni in cui sono sta-to qui sono stato totalmente assorbito dall’impegno a Il Ristorante Trussardi alla Scala. In questo anno di lavori de-dicati a Lume, ho imparato a conoscer-la, girarla e mi piace: è una città che dà energia, che mette la giusta pressione e noi stiamo cercando di creare qualcosa di innovativo, ridando vita all’ex fabbri-ca Richard Ginori, uno spazio che ha avuto un significato importante per l’I-talia e nel quale spero di poter cresce-re anche come manager, lanciando un nuovo brand.

alla sua cucina, ma in modo umile, pa-cato. Credo siano valori che mancano: oggi sono tutti grandi chef, poi davanti a una stufa… Parliamone: fare il cuoco è diventata una moda, ma se lo sei dav-vero quando ti trovi a usare una stufa la fai funzionare, non è lei che fa cam-minare te.La prima cosa che ha imparato in cu-cina?Ti accorgi sempre dopo di quello che impari, impari sbagliando, fai un per-corso e non ti rendi conto delle acqui-sizioni che fai, è un continuo crescere. Sono entrato in cucina presto e ho im-parato come si lavano i piatti. Chi lava per terra ha la stessa importanza di chi manteca un risotto: il risotto va al clien-te, chi pulisce il pavimento ti permette di lavorare meglio, se cucinassi nello sporco non potresti fare il risotto bene. Ci vuole rispetto per tutti.La sua cucina è una cucina sia classi-ca che innovativa… La mia è una cucina senza regole, per-ché le regole le conosco e credo di ave-re delle buone nozioni della “cucina classica”. Questo mi permette di essere naturale e di creare cose inedite, attra-verso flash mentali. Ad esempio: ho l’i-dea di accostare l’aragosta alle lumache bianche liguri? Ci provo, ma lo faccio cuocendo le lumache in maniera tra-dizionale, alla ligure, faccio il soffritto

lume Si trova all’interno della ex fabbrica Richard Ginori e fa parte di W37, la realtà polifunzionale gestita da MB America che comprende abitazioni, uffici e spazi per eventi. «L’idea – spiega Taglienti – è creare un luogo dove ritagliarsi un mo-mento di tranquillità, vogliamo che gli ospiti entrino nella nostra casa e la rendano loro». E potranno farlo davvero: una stanza di W37 è in-fatti riservata ai clienti di Lume che potranno pernottare lì. Progettati dall’architetta Monica Melotti, gli spazi sono caratterizzati da tonalità bianche e ampie vetrate affacciate sul giardino interno a catturarne la luce, da qui il nome Lume. La cucina è chiusa in un cubo di vetro ornato da decori che, riattualizzan-do il motivo del ricamo, rappre-sentano l’equilibrio fra patrimonio storico e contemporaneità. via Giacomo Watt 37 - Milanowww.lumemilano.com

Ingredienti per 4 persone: 4 tranci di animella da140 g, burro, succo di vitello, 200 g di anacardi idratati, 40 ml latte, 40 ml panna, 5 ml di aceto d’anfora, sale, pepe bianco, more di gelso fresche, foglie di verbena

Animella di vitello cotta al tegame, anacardi e more di gelso

Prendere i 4 tranci di animella, sbian-chirli in acqua acidulata, e riporle in un tegame medio a bordi bassi, con poco burro chiarificato. Arrostire le animelle sino a renderle belle dorate, aggiungere un poco di burro fresco e continuare la cottura mantenendole rosa all’interno. Lasciare riposare al caldo per almeno 8 minuti, poi glassare le animelle con il succo di vitello. Per preparare la crema

di anacardi intiepidire il latte e la pan-na, aggiungere la frutta secca e frullare sino a ottenere una crema liscia. Con-dire con aceto d’anfora e un filo di olio aggiustando di sale e pepe bianco. Pre-sentare il piatto adagiando alla base la crema di anacardi, dopo di che aggiun-gere anacardi e more di gelso fresche, alcune foglie di verbena e terminare con l’animella glassata.

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Il 150esimo anniversario delle relazio-ni diplomatiche tra Giappone e Italia è l’occasione per portare a Palazzo Reale una mostra dedicata all’ukiyo-e, termine con il quale si indica la pro-duzione artistica seriale in stampe, a opera di giovani artisti di Tokyo (allora Edo), Osaka e Kyoto a partire dal ‘700. Soggetti di queste opere, divenute po-polari perché accessibili a tutti per i minori costi, sono uomini, animali, pa-esaggi naturali, immagini mondane, di arti e mestieri o legate alla dimensione onirica, tutti elementi del cosiddetto “mondo fluttuante”. I tre artisti sim-bolo di questa corrente sono Hokusai, Hiroshige e Utamaro e, per raccontare la loro esperienza artistica, l’Honolulu

Musueum of Art ha concesso agli or-ganizzatori 200 silografie policrome e libri illustrati che andranno a popolare le cinque sezioni in cui è divisa la mo-stra (Paggi e luoghi celebri: Hokusai e Hiroshige; Tradizione letteraria e vedu-te celebri: Hokusai; Rivali di “natura”: Hokusai e Hiroshige; Utamaro: bellez-za e sensualità; I Manga: Hokusai inse-gna). Un’occasione per conoscere alcu-ni artisti capaci di forgiare l’immagine del Giappone ancora prima dell’arrivo della fotografia, veri e propri innova-tori che hanno influenzato movimenti europei successivi come l’Impressioni-smo, arrivando a lasciare tracce fino ai giorni nostri, dai manga agli anime sen-za dimenticare il mondo del tatuaggio.

Hokusai, Hiroshige, Utamaro

Palazzo Reale - Milanodal 22 settembre al 29 gennaiowww.hokusaimilano.it

Una selezione dei migliori eventi che animeranno la città nei prossimi mesi

Da non perdere...

a cura di Enrico S. Benincasa

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TEDxMilanoIl Teatro del Verme ospita la quarta edizione di TEDxMilano, dedicata al tema “Incroci”, inteso come commistione tra culture, scambi di competenze e confronto tra percorsi personali e professionali. Il format è ovviamente quello collau-dato: 15 minuti per ogni relatore per condividere idee ed esperienze con il pubblico in sala e, successiva-mente, con la rete. Teatro Dal Verme - Milanoil 16 ottobre www.tedxmilano.it

Free time

Dal 2010 Lodi, grazie al Gruppo Fo-tografico Progetto Immagine, ospita durante il mese di ottobre uno degli eventi dedicati alla fotografia più inte-ressanti in Italia. Stiamo parlando del Festival della Fotografia Etica, inizia-tiva che promuove la fotografia come strumento di conoscenza e approfon-dimento della realtà e che porta nella città lombarda fotoreporter di caratura internazionale per esporre i propri la-vori. Nell’edizione 2016 il festival si “allunga” e aumenta di un weekend la sua durata, portando quindi da tre a quattro i fine settimana di attività. Sarà probabilmente superato il record di presenze dello scorso anno di poco più di 9mila visitatori. Mostre, dibattiti, in-

contri e workshop saranno organizzati in diversi punti del centro città, mentre gli appuntamenti serali si svolgeranno alla biblioteca comunale. Oltre al con-corso principale, ci sarà spazio anche per approfondimenti vari sempre lega-ti a temi importanti dal punto di vista del contenuto, sia in “Spazio ONG”, sia in quello dedicato alle popolazioni che vivono agli estremi del mondo, sia in quello dedicato all’approfondimen-to tematico sul cancro. Da quest’anno, inoltre, l’evento si fa itinerante con “Travelling Festival”, iniziativa che por-terà le mostre in giro per la Lombardia, in particolare a Milano (allo Spazio San Fedele), Voghera e Bergamo, ma anche in Umbria, a Perugia.

Festival della Fotografia Etica

Location varie - Loditutti i weekend di ottobrewww.festivaldellafotografiaetica.it

Red Bull Flying BachLa breakdance dei Flying Steps incontra sul palco del Teatro degli Arcimboldi le musiche di uno dei compositori più importanti del Settecento, Johann Sebastian Bach. Uno spettacolo che fa sempre il sold out in tutto il mondo e che, per la versione italiana, vedrà la partecipazione della ballerina Vir-ginia Tomarchio. Due gli spettacoli previsti nella giornata del primo ottobre, uno alle 17 e uno alle 21. Teatro degli Arcimboldi - Milanoil 1 ottobrewww.teatroarcimboldi.it

Milano Musica25esima edizione per Milano Musica, la manifestazione che, in collaborazione con il Teatro Alla Scala, indaga i linguaggi della musica contemporanea con concerti e performance studiate per l’occasio-ne. Il programma di quest’anno è dedicato a Gérard Grisey e alla sua produzione musicale avanguardisti-ca. Venti gli eventi in programma, a cavallo tra ottobre e novembre, in diversi luoghi della città. Location Varie - Milanodal 9 ottobre al 21 novembrewww.milanomusica.org

La via geometricaTra le tante cose fatte nella sua vita, Leonardo da Vinci ha contribuito anche allo sviluppo del gioco degli scacchi? Da questa domanda, sorta in seguito al ritrovamento del manoscritto di Frà Luca Pacioli intitolato De ludo scachorum da parte di Franco Rocco, profondo conoscitore della storia del gioco, è nato prima un volume e oggi una mostra che, oltre a rispondere positivamente a questo quesito, presenta video e altri oggetti dedi-cati agli scacchi. Spazio Espositivo PwC - Milanofino al 30 settembre

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Succede talvolta che l’estro degli ar-chitetti prenda il sopravvento regalan-doci squarci di quartieri che sembrano arrivare da un’altra dimensione e che inevitabilmente ci sorprendono. Tut-to questo a Milano accade anche al Villaggio dei Giornalisti, in una fascia di terreno che si sviluppa in maniera sinuosa a partire da piazza Carbona-ri. A venirci incontro, in realtà un po’ mimetizzate tra le più ordinarie ar-chitetture di quartiere che sembrano, invece, fare l’occhiolino alle case va-canza, sono alcune casette dalla forma alquanto bizzarra, le case “igloo” dette anche “zucca” per la caratteristica for-ma del tetto. Si tratta, infatti, di vere e proprie cupole realizzate con un siste-ma a volta, formato da mattoni forati: sono costruzioni monofamiliari a base circolare di circa 45 metri quadri. Il tutto è stato progettato dall’ingegnere Mario Cavallé anche se, a dire il vero, due fra le sue creazioni, quelle ispira-

te a uno dei funghi più appariscenti e velenosi del bosco, l’amanita muscaria, con tanto di gambo e cappello rosso, furono demolite nel Dopoguerra e di loro abbiamo traccia solo nelle foto. Le altre, a forma di igloo o zucca, sono per fortuna sopravvissute (8 su 10) ed è davvero difficile non notarle in via Lepanto, a ridosso della ferrovia. Ma per partire dall’inizio bisogna tornare al maggio del 1911 quando l’avvocato Mario Cerati, redattore de “Il Secolo”, diffondeva un editoriale sul tema degli alloggi e delle case popolari ribadendo che, se tanto era stato fatto a vantaggio delle classi operaie, c’era invece poco o niente per la piccola e media borghe-sia. La sua proposta era di formare una società cooperativa che acquistasse ter-reni nel comune di Milano o limitrofi per costruirvi fabbricati a uso dei soci. L’iniziativa ebbe così successo che, in pochi mesi, il progetto iniziò e venne costituita la società “Quartiere Giardi-

no Mirabello”, mentre il quartiere pre-se poi il nome di Villaggio dei Giorna-listi perché il primo nucleo di adesioni arricò perlopiù da pubblicisti. Oggi il villaggio è un tranquillo quartiere re-sidenziale immerso nel verde e, tra un viottolo e l’altro, precisamente in via Perrone di San Marino, c’è un’altra sor-presa pronta ad accoglierci: la famosa casa palafitta, un’opera del movimento razionalista degli anni Trenta, firmata dall’architetto Luigi Figini. Anche se un po’ soffocata tra le altre abitazioni e ormai priva di quell’«affettuoso ab-braccio della natura», come lo aveva descritto Figini, che ben consentiva di apprezzare il gioco dei pieni e dei vuoti, la casa resta ancora lì a mostrarci un’organizzazione del quotidiano più che mai ispirata. Ma soprattutto insie-me alle case igloo, ci parla della storia di questo quartiere, degli architetti che lo hanno immaginato e di come conti-nui a “produrre pensiero”.

Sembrano le case delle favole, invece sono quelle del Villaggio dei Giornalisti, alla Maggiolina, casette monofamiliari a base circolare che assomigliano a zucche per la caratteristica forma del tetto. Uno spaccato di architettura del XX secolo che aveva più di un’idea in testa

Metti una casa a zucca

di Marilena Roncarà - foto da Urbanfile.org

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beauty & fitness: Accademia del Bell’Essere Via Mecenate 76/24 Adorè C.so XXII Marzo 48 Aspria Harbour Club Milano Via Cascina Bellaria 19 Caroli Health Club Via Senato 1Centro Sportivo San Carlo Via Zenale 6 Damasco Via Tortona 19 Get Fit Via Lambrate 20 - Via Piranesi 9 - V.le Stelvio 65 - Via Piacenza 4 - Via Ravizza 4 - Via Meda 52 - Via Vico 38 - Via Cenisio 10 Greenline Via Procaccini 36/38 Gym Plus Via Friuli 10 Intrecci Via Larga 2 Le Garcons de la rue Via Lagrange 1 Le terme in città Via Vigevano 3 Orea Malià Via Castaldi 42 - Via Marghera 18 Romans Club Corso Sempione 30 Spy Hair Via Palermo 1 Tennis Club Milano Alberto Bonacossa Via Giuseppe Arimondi 15 Terme Milano P.zza Medaglie d’Oro 2, ang. Via Filippetti Tony&Guy Gall. Passerella 1 Virgin Active Milano Diaz Piazza Diaz 6

art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo Teatro Carcano C.so di Porta Romana 63 Teatro Derby Via Pietro Mascagni 8 Teatro Libero Via Savona 10 Teatro Litta C.so Magenta 24 Teatro Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 Teatro Strehler Largo Greppi 1 Triennale V.le Alemagna 6 Triennale Bovisa Via Lambruschini 31

hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so Matteotti 4 Bronzino House Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a Domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park Hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi 1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton Diana Majestic V.le Piave 42

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