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Come le facce di un poliedro - ISIS Europa · COME LE FACCE DI UN POLIEDRO ii ISIS “Europa”...

Date post: 15-Jun-2021
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Come le facce di un poliedro o dei diversi aspetti dell’insegnare Matematica a cura di Maria Guida Prefazione di Lia Terracciano Teresa Boccia, Carla Circone, Anna Copia, Claudia De Sarno, Aurelio Di Napoli, Rosa Anna Esposito, Adele Febbraro, Elvira Fratini, Cecilia Fuschillo, Domenico Grasso, Annamaria Lip- piello, Antonella Lo Sapio, Aurora Marciano, Emilia Marino, Silvana Molaro, M. Rosaria Napoli, M. Consiglia Petroli, Consiglia Russo, Luisa Scarano, Antonietta Sorrentino, Carlo Stromboli, Rosa Tafuro, Lucrezia Vivenzio.
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Come le facce di un poliedro

o dei diversi aspetti dell’insegnare Matematica

a cura di Maria Guida Prefazione di Lia Terracciano

Teresa Boccia, Carla Circone, Anna Copia, Claudia De Sarno, Aurelio Di Napoli, Rosa Anna Esposito, Adele Febbraro, Elvira Fratini, Cecilia Fuschillo, Domenico Grasso, Annamaria Lip-piello, Antonella Lo Sapio, Aurora Marciano, Emilia Marino, Silvana Molaro, M. Rosaria Napoli, M. Consiglia Petroli, Consiglia Russo, Luisa Scarano, Antonietta Sorrentino, Carlo Stromboli, Rosa Tafuro, Lucrezia Vivenzio.

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

ii

ISIS “Europa” Pomigliano d’Arco. Prima edizione Giugno 2020.

Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.

Originalità e correttezza dei singoli paragrafi sono responsabilità diretta dei rispettivi autori.

In copertina: Franco Cuomo Geometrie. Si ringrazia l’autore per la gentile concessione.

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INDICE

Prefazione pag. 2

1 La metacognizione in Matematica pag. 4

2 Tecnologia digitale e Matematica pag. 12

3 Matematica e problem solving pag. 18

4 Matematica e realtà pag. 29

5 Sviluppare lo spirito critico e creativo con la didattica per si-

tuazione-problema in Matematica

pag. 36

6 CLIL: un esempio di didattica attiva in Matematica pag. 45

7 Strategie e meccanismi per tenere alta la partecipazione dello

studente all’attività didattica in Matematica

pag. 58

8 Imparare la Matematica in un contesto laboratoriale pag. 63

Note sugli autori pag. 74

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RINGRAZIAMENTI

Questo libro nasce come prodotto finale collaborativo dei docenti di Mate-matica partecipanti al corso di formazione “La Matematica in un mondo complesso”, tenutosi all’ISIS “Europa” di Pomigliano d’Arco (NA) nell’ot-tobre e novembre 2019, nell’ambito delle iniziative formative della rete d’Am-bito 19 della Campania. Un sentito ringraziamento alla Dirigente Scolastica Rosanna Genni per avermi invitato come formatrice ma soprattutto per aver sempre messo lo studente al centro di questa ed altre iniziative mirate all’innovazione della scuola.

Maria Guida

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PREFAZIONE

di Lia Terracciano Molte volte nella mia carriera professionale di insegnante e in quella parimenti impegnativa di genitore, mi sono trovata davanti a bambini, preadolescenti e adolescenti nell'impegnativo compito di far comprendere loro perchè è utile (e può essere al tempo stesso affascinante) studiare la matematica. Ogni volta, la risposta più semplice che ho ritenuto opportuno dare ai ragazzi è stata sempre la stessa: perchè la matematica è in ogni cosa che facciamo. Quando cuciniamo, quando facciamo la spesa, quando lavoriamo da cassiera, da muratore, da ingegnere, da astronauta, le nostre azioni non sono altro che una sequenza di attività che usano quei concetti algebrici che, spesso a forza, la maestra provava ad inculcare nella nostra testa. Inutile dire che ogni volta i miei interlocutori rimanevano sempre con uno sguardo, al tempo stesso interrogativo e incredulo; ma posso sicuramente ag-giungere che dopo pochissimi esempi concreti, erano costretti a ricredersi e cominciare a lavorare di buona lena sui compiti assegnati. “La matematica non sarà mai il mio mestiere” cantava un bravo cantautore negli anni 80 e forse interpretava proprio uno di quei luoghi comuni che so-vente condizionano il nostro modo di pensare e ci creano pregiudizi che per pigrizia ci rifiutiamo di superare. Il libro che vi apprestate a leggere vuole proprio confutare questo pregiudizio testimoniando due importanti messaggi che, spero, possano arrivare con im-mediatezza e semplicità ai lettori. Innanzitutto il libro testimonia una straordinaria esperienza didattica matu-rata nel tempo dai docenti che si sono misurati con questo progetto del quale sono onorata di aver fatto da tutor, una esperienza, credetemi, che trae linfa vitale dal quotidiano confronto con centinaia di allievi, inconsapevoli colla-boratori nell'opera compositiva dei propri prof, ai quali devono aver tra-smesso parte di quello spirito creativo vulcanico, tipico della loro età, troppe volte imbrigliato in schematismi formali rigidi e improduttivi. Ma poi, scorrendo le pagine e i capitoli, questo libro lascia trapelare un altro aspetto parimenti affascinante e ci fa man mano comprendere il motivo per cui questa materia ci seduce: perchè è al tempo stesso ordine e disordine,

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ragionamento e intuito, metodo e inventiva, soluzione unica e soluzione mul-tipla; perchè è entrata nel nostro lessico quotidiano con parole come scom-posizione, comune denominatore, mettere in evidenza; perchè la società di-gitale in cui viviamo, che misura ogni cosa in byte, senza numeri ci proiette-rebbe immediatamente all'età della pietra; perchè ci insegna a risolvere i pro-blemi quotidiani ma anche a crearne ed, a volte, inventarne. Insomma perchè, diciamocelo chiaramente, la matematica ci sarebbe anche piaciuta tantissimo, ma forse non ce l'hanno mai spiegata con la passione e la dedizione che apprezzerete nelle prossime pagine, per cui non mi resta che augurarvi una buona lettura.

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1 LA METACOGNIZIONE IN MATEMATICA

1.1 Metacognizione nell’apprendimento della matematica di Carlo Stromboli.

Diamo una immediata definizione di metacognizione. Il concetto di “metacognizione” è, come molti altri concetti psicologici, una specie di raccoglitore di aspetti differenti del funzionamento psichico.

Esso include:

­ l'atteggiamento metacognitivo: la modalità riflessiva e consapevole con cui l’alunno affronta i compiti cognitivi;

­ la conoscenza metacognitiva: le idee che sviluppa sul funzionamento mentale;

­ i processi metacognitivi di controllo: processi con cui di conseguenza lo controlla.

Per quanto questa sistematizzazione della metacognizione possa non es-sere da tutti condivisa, pensiamo che sia indiscutibile il fatto che i fenomeni sottostanti siano rilevanti per capire l’apprendimento e le sue diffi-coltà. Buone prestazioni in matematica sembrano, infatti, essere imputabili proprio all’insieme di conoscenze che lo studente acquisisce circa la cogni-zione e la sua regolazione. Queste, se ben organizzate, costituiscono una vera e propria metateoria (Cornoldi, 1995; Borkowski e Muthukrishna, 2011) in grado di guidarlo nel mettere in atto comportamenti strategici con buoni ri-sultati nelle prestazioni.

Lo studio della metacognizione e di concetti ad essi legati, come ci ricorda Bruno D’Amore ha inizio alla fine degli anni ’70. Nel corso del decennio

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successivo molti sono stati i lavori di analisi ed esperimenti didattici atti a sottolineare l’atto della consapevolezza dello studente nell’analisi dei concetti affrontati, della capacità di acquisizione e di acquisizione ragionata.

Celebre il problema dell’autobus e dei soldati: «Un bus dell’esercito trasporta 36 soldati. Se 1128 soldati devono essere

trasportati in bus al campo d’addestramento, quanti bus devono essere usati?». Lo studente risolve il problema perdendo il senso della proposta con-creta dal punto di vista semantico, e concentrandosi sui dati numerici e non sulla “storia” contenuta nel testo. Per cui risponde: 31,3 o 31,33, “dimenti-cando” che si sta parlando di autobus. Lo studente metacognitivamente ca-pace dovrebbe avere il “coraggio” di rispondere 32, anche se la divisione dà come quoziente 31,333333.

Nel 1987 Alan H. Schoenfeld pubblicò un suo celebre articolo sulla me-tacognizione, posta in relazione con l’insegnamento-apprendimento della matematica. Nell’articolo illustrava i risultati dell’indagine sul famoso pro-blema del bus e dei soldati.

Questi sono soltanto i primi di numerosi studi che si sono succeduti ed hanno approfondito il problema della metacognizione nell’apprendimento, indipendentemente da età e tipo di scuola.

Ciò che anche nella discussione emersa negli incontri del corso di forma-zione è l’attenzione alle esperienze metacognitive che permettono allo stu-dente la presa di coscienza dei processi cognitivi in atto.

La difficoltà degli alunni di astrarre, di ragionare, al di la del mero calcolo o della risoluzione meccanica di un problema, di osservare innanzitutto il contesto ed individuare eventuali altre strade o strade alternative, più belle, eleganti e a volte le uniche efficaci da percorrere.

Aspetti affettivi, emotivi e motivazionali. Gli approcci metacognitivi hanno integrato gli aspetti emotivo-motivazionali quando ci s i è resi conto che certi soggetti possedevano le conoscenze cognitive e metacognitive ne-cessarie per lo svolgimento di un compito, ma che non le utilizzavano. In altre parole, questi soggetti avrebbero saputo cosa fare e come farlo, ma non avevano la volontà di provarci. La motivazione e le reazioni emotive e affet-tive accompagnano e influenzano i processi cognitivi e metacognitivi durante l’apprendimento scolastico (De Beni et al., 2001). Per Caponi et al. (2006), il sistema emotivo-motivazionale è costituito da

­ le credenze dell’alunno circa le proprie capacità di affrontare deter-minati compiti (autoefficacia, percezione di competenza, attribu-zione, senso di controllo e autodeterminazione);

­ gli scopi che lo guidano (obiettivi, interessi, valori, motivazioni 7 in-trinseche);

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­ le reazione emotive (ansia, orgoglio, vergogna, sentimenti legati a sé e all’autostima).

Le emozioni relative all’apprendimento sono legate al modo nel quale lo studente spiega i suoi successi o insuccessi. Nel caso ideale, l’allievo pos-siede una buona stima di sé, uno stile attributivo adeguato e le emozioni positive e negative che prova mentre fa matematica lo spingono ad im-pegnarsi e a rimettersi in questione. Nella realtà, però, non è sempre così. È possibile infatti che l’allievo sviluppi schemi mentali stabili disfunzio-nali. Per esempio, un alunno in difficoltà, con un’immagine negativa di sé, può tendere ad attribuire le proprie prestazioni a cause che sfuggono al suo controllo quali la mancanza di abilità, la difficoltà del compito o la fortuna.

Processi metacognitivi di controllo Durante lo svolgimento di un com-pito, l’allievo è nell’obbligo di prendere decisioni. Queste decisioni sono di diversi tipi: continuare o no a lavorare; valutare la correttezza di quello che sta facendo; chiedere o meno l’aiuto a qualcuno; organizzare il lavoro di gruppo nel caso di un’attività con altri compagni; etc. Nella risoluzione dei problemi, in particolare, i processi decisionali hanno una grande importanza. Zan (2007) cita alcune decisioni cruciali che corrispondono a quello che chiama processi di controllo: assicurarsi della perfetta comprensione del pro-blema prima di intraprendere un piano d’azione, pianificare, mantenere il controllo di come procedono le cose durante la risoluzione (in particolare decidere cosa fare e quanto tempo riservare ai vari tentativi), distribuire bene le proprie risorse. In Caponi et al. (2006) e in Fantuzzi (2011), i processi me-tacognitivi di controllo sono classificati in quattro tipi:

­ la previsione ­ la pianificazione ­ il monitoraggio ­ l’autovalutazione.

Essi vengono descritti cosi da Fantuzzi:

1) Previsione: saper anticipare il livello della propria prestazione, in relazione alla tipologia, alla difficoltà e alla finalità del compito. Questa capacità richiede al soggetto di aver memorizzato certe informazioni relative a compiti e pre-stazioni precedenti. Durante questo processo sarà anche necessario formu-lare delle ipotesi, il che favorisce processi di inferenza e di deduzione. 2) Pianificazione: capacità a ordinare le fasi/operazioni necessarie per risol-vere il compito. La pianificazione può essere fatta a corto, medio o lungo

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termine, e dipende dalla comprensione del compito e dagli obiettivi (anche intermedi) che il soggetto si è fissato. 3) Monitoraggio: capacità di controllare l’esecuzione del compito. Durante le fasi di monitoraggio è importante mantenere alta l’attenzione, per esempio grazie all’attivazione di strategie di limitazione/controllo dei fattori distraenti. 4) Autovalutazione: valutazione autoriferita da parte del soggetto appren-dente, relativa all’efficacia e all’efficienza delle strategie cognitive messe in atto. Non si tratta di valutare il prodotto realizzato, ma piuttosto COME è stato raggiunto questo risultato, attraverso l’analisi delle strategie adottate (adeguatezza in relazione al successo o insuccesso avuto), la riflessione sulla generalizzazione delle strategie e la definizione di un piano strategico futuro finalizzato alla riapplicazione delle strategie efficaci e al superamento delle strategie inadeguate. Sviluppo delle capacità metacognitive Le capacità metacognitive non sono dunque una caratteristica stabile dell’individuo, ma piuttosto un insieme di conoscenze e di processi soggetti a cambiamenti. Infatti, “la capacità di riflettere sul proprio pensiero e di regolare le proprie attività cognitive si svi-luppa e si affina col procedere dell’età e parallelamente allo sviluppo cogni-tivo, determinando dei cambiamenti relativi alla generalità e alla specificità delle conoscenze, al tipo di consapevolezza e verbalizzabilità e infine alla di-sponibilità d’uso” (Caponi et al., 2006, p.27). Come scrive anche Tardif (1997), la metacognizione fa parte dello sviluppo cognitivo e, di conseguenza, consiste in un tipo di conoscenza che si sviluppa con l’esperienza e la scola-rizzazione. L’insegnante deve quindi costruire delle situazioni che permet-tono ai ragazzi di ampliare le proprie risorse legate ai processi di controllo, cosi come devono permettere di sviluppare un atteggiamento metacognitivo positivo e costruttivo verso se stesso e verso la materia.

1.2 Esperienze di attività metacognitive nella matematica di Carlo Stromboli

Il laboratorio matematico L’attività di risoluzione dei problemi e l’appren-dimento collaborativo possono essere dei validi strumenti per aiutare gli al-lievi a sviluppare le loro capacità metacognitive. In teoria, però, l’uno non implica l’altro. Infatti si può risolvere un problema da solo, ed è possibile lavorare con altri per la risoluzione di un semplice esercizio. Una modalità pedagogica che combina risoluzione di problemi e apprendimento collabora-tivo è il laboratorio matematico. Esso, secondo Bolondi (2006), è determi-nato dalle caratteristiche seguenti:

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­ si entra in laboratorio perché si vuole capire qualcosa. Un laboratorio è quindi un luogo (non necessariamente fisico), o un tempo, in cui si entra con una motivazione forte, legata alla voglia di sapere, in cui si rompono gli schemi scolastici. La sfida per l’insegnante sta nel co-struire situazioni che risvegliano questo ordine di motivazione.

­ si parte dal problema, non dalla soluzione. Questo implica la neces-sità per gli allievi di “sporcarsi le mani” nel tentativo di comprendere, scoprire ed imparare. Non si presenta una teoria e poi alcuni suoi esempi, ma invece si parte da un problema, una osservazione, un insieme di dati, e si cerca di costruire una spiegazione razionale e di organizzarla in una teoria.

­ non è possibile sapere a priori quali strumenti matematici saranno necessari per capire e risolvere il problema o la situazione. Tutte le conoscenze e le abilità degli allievi possono essere mobilitati.

­ il lavoro non è mai individuale. La collaborazione può essere sia oriz-zontale (tra i ragazzi) che verticale (tra ragazzi/gruppo e insegnante). In un laboratorio, anche gli alunni normalmente in difficoltà pos-sono contribuire al lavoro del gruppo, e il compito dell’insegnante sarà di fare in modo che le proposte di tutti vengano riconosciuti e condivisi.

­ non si riesce a tracciare una linea di demarcazione netta tra teoria e pratica. L’esperienza e la riflessione sull’esperienza si fondono e fa-voriscono il sorgere delle procedure tipiche del pensiero matematico: definizione, astrazione, generalizzazione, schematizzazione, dimo-strazione, verifica;

­ tutto ciò che si fa ha un senso, anche gli errori. I tentativi sbagliati, le strade senza uscita, le ripetizioni e i circoli viziosi sono altrettante occasioni per dare una dimensione costruttiva all’errore. In generale, però, questo non accade automaticamente. Infatti l’azione dell’inse-gnante è spesso indispensabile per spingere i ragazzi a porsi do-mande sulla pertinenza del loro operato e a riflettere su come i loro errori potrebbero essere una chiave per individuare la strada giusta.

­ l’intuizione si unisce al rigore, la fantasia al metodo e l’inventiva al mestiere. Come per le situazioni problemi, processi cognitivi di alto livello come la creatività sono richiesti in situazione di laboratorio.

Come si può costatare da questi 7 punti, il laboratorio non deve per forza essere un luogo particolare e nessun materiale specifico (come per esem-pio nel laboratorio di scienze) è necessario. Bolondi (2006) nota però quanto la presenza di artefatti (modelli matematici e geometrici, materiale per costruire e sperimentare, giochi, computer e calcolatrice tascabile…) può essere utile per spingere gli allievi a sperimentare e ad esercitare la propria intuizione. In una situazione di laboratorio, l’insegnante ha anche

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un ruolo importante rispetto alla promozione delle capacità metacogni-tive degli allievi. Pertichino et al. (2003), parlando di “peer tutoring”, met-tono in evidenza i comportamenti possibili del tutor e i loro effetti. Que-sti comportamenti possono, secondo me, essere trasferiti al docente che fungerà da modello per gli allievi. In questo senso il docente procede durante il laboratorio a correzioni, suggerimenti e annotazioni, ma so-prattutto pone domande relative ai contenuti (“che cosa state facendo? Potete descriverlo in modo preciso?”), alle modalità (“perché fate così? Come viene inserito ciò che state facendo nella soluzione?”) e alle capa-cità di monitoraggio (“Come vi aiuta a risolvere il problema assegnato?”). Come scrivono Caponi et al. (2006) “Queste domande servono a inco-raggiare la riflessione degli studenti sul proprio operato, a promuovere lo sviluppo di capacità di automonitoraggio e autodiagnosi e a fare esplici-tare il ragionamento che sta dietro le loro scelte quando mettono in atto le strategie di controllo.”. Uno degli obiettivi del docente è che gli allievi, anche se in difficoltà all’inizio di fronte a queste domande, inizino ad anticiparle e finalmente a porsele da soli, cioè a se stessi e ai propri com-pagni. Così facendo gli alunni diventano più autonomi e guadagnano fi-ducia nei propri mezzi. Una particolare attenzione deve probabilmente essere portata agli allievi insicuri riguardo alle proprie abilità.

Alcune esperienze che ho avuto si rifanno al metodo Jigsaw Classroom, so-prattutto nell’introduzione di un nuovo argomento. Parliamo di classi prime della scuola secondaria di II grado. Nella pratica, il metodo Jigsaw Classroom funziona nel modo seguente: L’insegnante sceglie un argomento che sarà oggetto di studio per la classe articolata in gruppi. Tale argomento deve essere suddivisibile in moduli auto-sufficienti ma integrabili. Di tale argomento, procura materiali di studio di varia natura (parti del libro di testo, dispense, fotocopie, power point, sito-grafie etc.) che saranno poi forniti agli studenti. L’insegnante crea dei Gruppi Jigsaw (che dovranno creare il quadro conosci-tivo d’insieme) e dei Gruppi di Esperti (ciascuno con un argomento specifico da studiare ed approfondire). In ciascun gruppo Jigsaw nomina un leader-referente. Ciascun membro di ogni Gruppo Jigsaw fa parte di un Gruppo di Esperti differente. Sia nei Gruppi Jigsaw sia nei Gruppi di Esperti, l’appren-dimento avviene attraverso il cooperative learning ed il peer education: si ri-correrà, dunque, all’ausilio dei compagni e non a quello dell’insegnante nel processo di studio e di approfondimento. Al termine dell’attività, l’insegnante somministrerà una prova di verifica a li-vello individuale ma che contenga gli argomenti complessivi di tutto il lavoro. In base ai diversi contesti di apprendimento, può trattarsi di un quiz oppure di una esposizione orale, eventualmente supportata da un power point di sin-

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tesi. All’interno dei Gruppi di Esperti si instaurano tra gli studenti delle pro-ficue relazioni di scaffolding che investono sia i processi di apprendimento sia le abilità comunicative. Scaffolding (derivato di scaffold, parola della lingua inglese traducibile con il vocabolo italiano impalcatura) è un termine desunto dal lessico psicopedago-gico. La sua introduzione nell’ambito della psicologia e della pedagogia risale alla pubblicazione sul Journal of Child Psychology and Psychiatry (1976), di un articolo firmato da Jerome Bruner, David Wood e Gail Ross, nel quale si presentavano ed approfondivano le dinamiche di interrelazione intercorrenti tra un bambino ed un tutor impegnati nella risoluzione di un compito (nello specifico, la costruzione di una piramide tridimensionale in blocchi di legno). In seguito, il termine scaffolding venne usato in senso più lato e metaforico per descrivere il processo in cui una persona più esperta aiuta una persona meno esperta durante la costruzione attiva del suo processo di apprendi-mento, supportandola nella risoluzione di un problema o nel raggiungimento di un obiettivo. Tale dinamica di supporto può attuarsi sia tra persone di età differente (adulto/bambino o ragazzo) sia tra pari. Nell’implementazione del metodo Jigsaw Classroom, l’impiego della LIM può risultare utile ed efficace, poiché, segnatamente all’atto della sintesi finale, permette di evidenziare concetti e parole-chiave, creare connessioni e colle-gamenti ipertestuali di maggiore impatto; incrementare, grazie all’aspetto vi-sivo, la soglia di attenzione di tutti gli studenti, facilitando la completa com-prensione dell’argomento; incidere positivamente sul livello di motivazione degli studenti. In ragione di ciò, può risultare valido il prevedere la presenza di un esperto informatico in ciascun gruppo e, conseguentemente, la creazione di un gruppo di esperti informatici che si confronti sulle migliori modalità d’im-piego dei supporti digitali e riporti questo tipo di esperienza al gruppo madre. Implementare nelle classi il metodo Jigsaw Classroom non è difficile, purché l’insegnante sia motivato e si impegni quanto occorre nella fase preliminare, scegliendo con oculatezza l’argomento, strutturando in modo adeguato i gruppi, fornendo un supporto discreto ma costante durante lo svolgimento dell’attività didattica. Laddove insorgano delle problematiche, il docente deve essere pronto ad intervenire ma sarebbe preferibile se ciò accadesse solo dopo aver lasciato al leader del gruppo la possibilità di cimentarsi in prima persona in un tentativo di risoluzione dei conflitti o di gestione di una diffi-coltà.

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Riferimenti.

Andrich Miato S. e Miato L. (2003), La didattica inclusiva: la via italiana all’ap-prendimento cooperativo metacognitivo, Erickson, Trento Bandura A. (2000), Autoefficacia, Erickson, Trento Cornoldi C. (1995), Metacognizione e apprendimento, Il Mulino, Bologna

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2 TECNOLOGIA DIGITALE E MATEMATICA

2.1 Il contributo della tecnologia digitale di Elvira Fratini

In questi ultimi anni, con l’implementazione del Piano Nazionale Scuola Di-gitale si è avviato un cambiamento culturale importante nella nostra scuola. La tecnologia digitale non è rappresentata più solamente da “lavagne interat-tive” e “apparecchi tecnologici”, ma diventa sempre più lo strumento per rinnovare profondamente la didattica e renderla più attrattiva per i ragazzi, usando metodi e linguaggi vicini alle loro sensibilità. È impensabile credere che, introducendo le nuove tecnologie, la scuola possa cambiare improvvisamente; non è sufficiente introdurre le tecnologie per mi-gliorare l’apprendimento. Per migliorare la scuola, occorre cambiare le pratiche. L’insegnante deve riflettere sull’uso delle ICT, utilizzando le quali l’insegna-mento diventa la scienza della progettazione. Pertanto con le nuove tecnolo-gie gli studenti non possono fare da soli ed il primo ruolo dell’insegnante diventa quello di progettista! Le risorse da cui attingere informazioni, notizie e saperi sono tutte in rete, ma le stesse devono essere canalizzate attraverso la regia dell’insegnante. Le ICT, pertanto, devono diventare delle risorse per promuovere un processo di in-segnamento/apprendimento significativo. Progettare l’insegnamento con le ICT, nella logica delle competenze, signi-fica:

­ favorire il processo di costruzione della conoscenza attraverso l’esplorazione e la scoperta delle risorse informative (condivisione);

­ promuovere esperienze di comprensione attraverso molteplici pro-spettive (scelta e interpretazione delle fonti);

­ promuovere l’apprendimento in contesti realistici rilevanti e signifi-cativi;

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­ incoraggiare l’autonomia e l’espressione; ­ inserire l’apprendimento in un’esperienza sociale; ­ incoraggiare l’uso di molteplici modalità di rappresentazione; ­ promuovere l’autoconsapevolezza.

La conoscenza, in tal modo, non risulta statica e chiusa, ma diventa iperte-stuale, multimediale, per associazione, dinamica e flessibile; non è un sapere sequenziale, ma si costruisce di volta in volta insieme agli alunni. L’insegnante deve sostenere l’allievo nella ricerca attiva. Le formae mentis da promuovere negli allievi sono:

­ pensiero abduttivo: saper affrontare l’imprevisto che sorge dal caos; ­ pensiero critico: valutare, interpretare, filtrare, leggere criticamente,

porsi domande e problemi, creare relazioni con le proprie cono-scenze;

­ pensiero multidimensionale: confrontare punti di vista, organizzare, contestualizzare.

Sia la scuola che la società sono molto legate alle tecnologie digitali, in quanto le stesse, di fatto, sono regolarmente utilizzate nella vita quotidiana. I vantaggi di tale uso possono essere così riassunti:

­ la fluidità e la rapidità delle visualizzazione diverse; ­ la possibilità di maneggiare gli artefatti; ­ la ricchezza dei contenuti, ma ancor di più la possibilità di rendere

fluido il passaggio da un mediatore ad un altro, la continuità di pas-sare dal concreto all’astratto e viceversa, dal generale al particolare.

L’utilizzo del digitale diventa, pertanto, un supporto per i processi logici, riduce le lezioni frontali, scardinando in tal modo le convizioni tradizionaliste degli insegnanti. Inoltre favorisce l’introduzione di soluzioni innovative all’interno delle scuole, quali:

­ lo sviluppo delle competenze digitali di docenti, studenti e cittadini in laboratori per l’innovazione;

­ la diffusione di nuovi ambienti per la didattica; ­ i progetti per sensibilizzare genitori, docenti e ragazzi all’uso corretto

di internet e ai pericoli della rete. In questi anni di grandi cambiamenti, onde favorire l’introduzione delle tec-nologie digitali, la scuola si è trovata e continua ad affrontare una serie di problematiche, inerenti:

­ le strutture e le infrastrutture (la banda, il wifi, le modalità one-to-one oppure un dispositivo per tanti, il netbook oppure il tablet);

­ la dematerializzazione, ossia il saper fare a meno della carta; ­ i nuovi contenuti e i nuovi formati, ossia l’utilizzo di libri di testo

digitali, le diverse piattaforme utilizzate dalle varie case editrici, la questione self-pubblishing e degli e-book pubblisher gratuiti per co-struire i libri;

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­ le piattaforme e i sistema di videocomunicazione che potrebbero permettere la comunicazione tra plessi diversi, scuole montane o ad-dirittura sezioni ospedaliere.

Alla luce di questo nuovo scenario, la proposta formativa della scuola deve favorire la tecnologia come risorsa culturale “normale” per la didattica e deve riconoscere il valore delle competenze sviluppate nell’informale, rendendole funzionali agli apprendimenti. Per la matematica, l’introduzione delle tecnologie digitali in Italia risale alla fine degli anni ’70, allorquando si intravede l’opportunità di introdurre a scuola le calcolatrici tascabili. Da allora software e progetti sono stati svilup-pati, espressamente per la matematica, sia per il calcolo algebrico, sia per la geometria.

2.2 Esempi di app di Cecilia Fuschillo La tecnologia è una componente sempre presente nella vita dei nostri stu-denti e si impone come un nuovo paradigma educativo, ma non è facile inte-grare la tecnologia in classe e insegnare ad utilizzarla in modo consapevole ed equilibrato. I discenti di oggi fin da piccoli vivono una vita digitale ricca di esperienze e aspirano ad apprendere agendo in modo innovativo e creativo e noi docenti siamo chiamati ad esaminare i nuovi scenari didattici reali/virtuali e le loro implicazioni, valutandone la l’eventuale utilità nel contesto del processo di apprendimento. I dispositivi mobili regalano l’accesso a un mondo di informazioni da esplo-rare, interpretare, comunicare e rappresentare che la scuola non può conti-nuare a considerare marginali così come ad ignorare le aspettative degli alunni. E’ tuttavia opportuno chiarire che gli strumenti multimediali sono solo degli artefatti e non possono sostituire il docente. Non possono presentare le ri-sorse in modo approfondito, né i flussi di informazione rimpiazzare le rela-zioni significative che si creano in una classe reale tra gli alunni e il docente, però un uso sensato e corretto delle tecnologie in classe consente di costruire delle lezioni attive e coinvolgenti intrecciando i diversi sapere e favorendo l’acquisizione di competenze in un contesto collaborativo. Vari documenti ministeriali per il curricolo contengono riferimenti all’uso delle tecnologie digitali nell’apprendimento e insegnamento della matematica sin dalla scuola primaria. La ricerca in didattica della matematica si occupa da molti anni di tipi software e del loro utilizzo per l’insegnamento e l’apprendimento della matematica. La diffusione del tablet e dello smartphone non sarebbe stata possibile senza l’affermazione e la creazione delle applicazioni. Le “app” hanno trasformato

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il modo di interagire dando vita a nuovi linguaggi e forme di comunica-zione in grado di favorire la creatività e l’apprendimento by doing in chiave collaborativa. Una buona progettazione didattico/metodologica trova nelle app delle op-portunità utili a promuovere e a rafforzare le abilità. Le applicazioni create per aiutare a muovere i primi passi nel mondo della matematica sono davvero molte e diversificate. Si va da app basate sul me-todo Montessori, che sta avendo largo seguito tra le insegnanti (e non solo), che sfrutta le famose asticelle e tessere, fino ad app che riescono a conciliare l’esperienza ludica del gioco, all’apprendimento delle prime operazioni. Anche gli argomenti sono tra i più vari: si possono trovare applicazioni dedi-cate ai primissimi passi nella matematica per i bambini di età pre-scolare, fino ad app che agevolano la memorizzazione di formule di algebra e geometria per i ragazzi delle medie. Qui di seguito è una breve rassegna di alcune tra le migliori app dedicate alla matematica. La Matematica di Montessori è uno strumento ideale per l’insegnamento di addizioni e sottrazioni con numeri a due e quattro cifre. L’applicazione consente di settare gli intervalli numerici con cui far lavorare i ragazzi, così come l’utilizzo o meno dei riporti, per arrivare a una vera e propria persona-lizzazione del procedimento delle operazioni. La difficoltà dei calcoli è pro-gressiva e a motivare il bambino è un sistema di raccolta punti e premi, sot-tolineando così l’importanza dell’apprendimento grazie all’esperienza ludica. GeoGebra conosce un grande sviluppo e un notevole successo si parla già di 300.000 download al mese ed è stato tradotto in decine di lingue, si sta sperimentando già una sua versione tridimensionale e si sta pensando a ver-sioni per iPhone e iPad. I motivi del grande successo di GeoGebra, oltre al fatto di coniugare ambiente geometrico e ambiente algebrico, nonché am-biente simbolico, sono dovuti anche alla sua gratuità (free software), nonché alla possibilità di essere aperto (open-source) ad accogliere contributi di svi-luppatori di tutto il mondo. Punto di forza del software inoltre è la rete, in continua crescita a livello mondiale, dei GeoGebra Institute, organizzazioni a carattere non profit che riuniscono e mettono in collegamento tra loro in-segnanti, studenti, sviluppatori di software e ricercatori con i seguenti obiet-tivi: creazione di materiale libero per l’insegnamento e la formazione degli insegnanti; seminari frontali e on-line per insegnanti; organizzazioni di com-petizioni per gli studenti; supporto on-line agli utenti; sviluppo di software; elaborazione di progetti di ricerca. Kahoot E’ piattaforma di apprendimento basata su gioco, progettata per es-sere accessibile dalle aule e con qualsiasi dispositivo mobile, è un valido sup-porto nei casi non si abbia un laboratorio di informatica a disposizione e si possa far uso dei dispositivi mobili degli alunni (tecnica comunemente defi-nita BYOD )

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I quiz possono essere creati da chiunque, per qualsiasi argomento e per gli studenti di tutte le età e possono essere riprodotti utilizzando qualsiasi dispo-sitivo, desktop o portatile con un browser web. Fra i principali vantaggi è quello di attrarre e divertire gli studenti per farli partecipare attivamente con un metodo di lavoro condiviso coerente con il nuovo mondo del lavoro. Euclidea è una app di geometria dinamica, che propone all’utente di risol-vere alcuni problemi di geometria euclidea classica, quali la costruzione di angoli, di centri di circonferenze inscritte o circoscritte a poligoni (regolari o non), di rette parallele e perpendicolari a rette date, passanti per uno o più punti dati, e così via. Dopo aver installato l’applicazione Euclidea per tablet e smartphone e averla aperta, ci si ritrova davanti alla schermata principale, dalla quale si può accedere al gioco (premendo il pulsante centrale), accedere alle statistiche di gioco personali (ovvero avere una statistica sulla durata del gioco, sul numero di stelle acquisito e sui livelli già risolti), alle impostazioni. Photomat: Semplice ed efficace risolve espressioni con foto. Per utilizzarla basta puntare la fotocamera sull’espressione matematica e l’app svelerà magi-camente il risultato. Ma non solo, spiega anche tutto il procedimento eseguito in maniera dettagliata. OneMath è un’applicazione made in Italy, al momento disponibile solo per Android, che propone interessanti funzioni per risolvere calcoli com-plessi. È gratuita, funziona senza connessione a Internet e non richiede regi-strazioni. Tutto quello che si deve fare per usare OneMath è scaricare la app sul dispo-sitivo e avviarla. Nella schermata principale, premere sul pulsante per acce-dere al menu dell’applicazione e scegliere una delle funzioni disponi-bili: Equazioni e sistemi, per risolvere espressioni numeriche, equazioni di se-condo e di terzo grado, sistemi a due e a tre incognite; Calcolatrice, per avere a disposizione una calcolatrice scientifica oppure Conversioni, per lavorare con le basi numeriche e effettuare semplici conversioni. Conclusioni: In conclusione le opportunità tecnologiche e metodologiche offerte dai nuovi strumenti sono molteplici e in prospettiva ci aspettiamo che i vari ambienti di lavoro integrino sempre più le risorse visuali con i problemi tradizionalmente posti e le attività esplorative anche di tipo touch con gli strumenti automatici consueti. Se la matematica non è solo calcolo, e si pone sempre più come ‘pensare matematico’, il visuale è sicuramente la chiave di ingresso per un nuovo mondo accattivante ed impegnativo. Riferimenti

Accomazzo, P., Beltramino, S., Sargenti, A. Esplorazioni matematiche con geoge-bra A cura di: Ornella Robutti, Ledizioni 2013

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Biancardi, A.& Ara, A.(2018) La matematica con le app. Carrocci. Rivoltella, P. C. (2013). Fare didattica con gli EAS. La Scuola. Brescia Ilaria Tonetto La matematica più facile con le app https://kidpass.it/la-matematica-piu-facile-con-le-app/ App per matematica di Salvatore Aranzulla https://www.aranzulla.it/app-per-matematica-1023708.html

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3 MATEMATICA E PROBLEM SOLVING

3.1 Cos’è il Problem Solving e perché utilizzarlo di Anna Copia Un problema può essere definito come la situazione in cui si trova un

essere vivente, il solutore, il quale desidera passare da uno stato dato ad uno desiderato, ma non può farlo tramite un’azione istintiva né mediante un com-portamento appreso.

Il termine inglese Problem Solving è quindi il processo cognitivo messo in atto per analizzare questa situazione e trovare una soluzione. Si tratta di un concetto entrato a far parte di diversi settori professionali, un requisito inse-rito nei curricula e un metodo utilizzato ora anche nel contesto accademico e scolastico.

Infatti, nell’ottica del lifelong learning, sono le nuove competenze ad as-sumere maggior valore: il problem solving, il pensiero critico, la creatività, la gestione costruttiva dei sentimenti, le cosiddette soft skills.

Grazie a questo metodo di apprendimento è possibile sviluppare una serie di abilità fondamentali per la vita futura del ragazzo.

In primo luogo la capacità di analizzare e valutare la propria attività co-gnitiva, avendo così consapevolezza dei vari aspetti del lavoro mentale. Una persona capace di individuare il tipo di ragionamento a cui è più portata, le difficoltà incontrate durante il processo risolutivo e i benefici ricavati, sarà anche in grado di scegliere per sé la strategia migliore o di trovare gli errori compiuti nel percorso di ricerca.

Inoltre, la capacità di elaborare un pensiero creativo, detto anche pensiero produttivo, da contrapporre a quello riproduttivo che procede per automati-smi. Un approccio creativo permette di analizzare il problema da diversi punti di vista, di riformularlo in termini nuovi, ottenendo una visione globale della situazione, lasciando la possibilità di cogliere al tempo stesso le parti che la costituiscono e i nessi tra queste.

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L’obiettivo finale è quello di dare vita ad “esseri pensanti”, dare ai ragazzi quello spirito critico fondamentale per affrontare una realtà globale e in con-tinuo mutamento.

3.2 Come approcciarsi al metodo per la soluzione dei pro-

blemi di Anna Copia Spesso la matematica è percepita dagli studenti come una disciplina in cui

tutto è preconfezionato, le cose si devono fare in una determinata maniera e solo in quella. Non c’è possibilità di utilizzare la fantasia e si devono seguire schemi fissi, e se si esce dal seminato certamente si sbaglierà. Un altro pro-blema, legato a quello appena enunciato, è che gli studenti a volte non capi-scono da dove si parta e dove si voglia arrivare. Soprattutto in geometria, ma capita anche in altri campi della matematica, non si capisce perché le cose da cui si parte sono quelle e non si capisce che cosa si stia cercando. Questo, come si diceva, è legato al primo aspetto messo in luce in quanto dato che gli studenti non hanno partecipato al processo di costruzione, al percorso di scoperta che ha portato a quei risultati, non è chiaro perché si parta da quei presupposti per arrivare a quelle conclusioni, non è naturale, lo sarebbe solo se anche loro avessero provato a risolvere da soli, o meglio con l’aiuto del docente, i problemi che hanno portato a quei risultati.

Il fatto che “se si esce dal seminato certamente si sbaglierà” inoltre non deve essere vista come una limitazione ma come una risorsa. La storia del pensiero umano è fatta di tentativi ed errori e a questo si deve abituare il pensiero dei nostri studenti, o per lo meno si deve dar loro la possibilità di sperimentare tale modalità. L’attività di problem solving diventa a questo punto di primo piano e vediamo subito perché. Daremo per assioma il fatto che l’utilizzo e lo sviluppo della fantasia, della creatività sia un elemento sti-molante e motivante per gli studenti. Un altro assunto che si farà è che gli studenti si fidano del docente e di ciò che esso propone. Questo non sempre accade, lo ammetto, ma questo aspetto dipende moltissimo dalla capacità del docente di guadagnarsi le fiducia degli alunni. Da questi due assiomi parti-remo per sviluppare il percorso di questa tesi. La possibilità di utilizzare la risorsa creatività va sfruttata, ma per vedere come questo può essere fatto dobbiamo analizzare prima cos’è un problema. “Risolvere un problema si-gnifica trovare una strada per uscire da una difficoltà, una strada per aggirare o superare un ostacolo, per raggiungere uno scopo che non sia immediata-mente raggiungibile. Risolvere un problema è un impresa specifica dell’intel-ligenza umana […]. In generale un desiderio può condurre ad un problema oppure no. Se un desiderio fa venire subito in mente, senza alcuna difficoltà, qualche azione ovvia che verosimilmente ci fa ottenere l’oggetto desiderato non c’è problema. Se invece non viene in mente nessuna di tali azioni, ecco il problema. Quindi avere un problema significa: cercare coscientemente

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un’azione appropriata per ottenere uno scopo chiaramente concepito ma non immediatamente ottenibile. Trovare tale azione (o tali azioni) porta a risolvere il problema” In classe porto sempre il paragone che risolvere un problema è come trovare le strada in un labirinto che va dall’ingresso all’uscita. La meta-fora del labirinto è per me particolarmente significativa: è una metafora che si rifà ad un gioco e dunque predispone gli allievi a tentare di arrivare alla fine, rende conto in maniera chiara che per arrivare alla soluzione è possibile pren-dere vicoli ciechi, che non portano dunque a risolvere il problema, ma che e indispensabile percorrere per trovare la strada giusta. Si dovrà allora tornare indietro, e provare un’altra strada. Come in un labirinto è possibile essere fortunati e trovare subito la strada giusta, ma si capisce che questa non è la regola bensì una possibilità all’inizio poco probabile. Questo dà già un idea di quanto sia necessaria la fase creativa nella soluzione di problemi.

3.3 Tecniche di risoluzione dei problemi di Annamaria Lippiello Descartes, tra tutti, progettò di presentare un metodo universale per la

risoluzione di problemi costituito da questi tre passi: ­ ridurre ogni problema ad un problema matematico, ­ ridurre ogni problema matematico ad un problema algebrico, ­ ridurre ogni problema algebrico alla soluzione di una equazione.

Cartesio stesso, per primo, si rese conto come tale schema sia a volte inutilizzabile. È certo che fosse alquanto pretenzioso da parte di uno schema di questo tipo quello di voler essere universale, trattandosi di uno schema troppo spoglio e in grado di prendersi in carico un ristretto numero di tipo-logie di problemi, per lo meno se visto in un ottica di tipo formativo, ossia insegnare ai ragazzi a diventare buoni risolutori di problemi. Trovo anzi che il fatto di trovare uno schema generale vada contro il principio stesso di abilità nel risolvere problemi, che non può ridursi all’applicazione di un metodo quanto all’integrazione creativa di una serie di strumenti. Innanzitutto va chiarito esplicitamente che in ogni problema che affrontiamo, di qualsiasi tipo esso sia, ci sono degli elementi chiave, che sono:

­ Le risorse iniziali, i punti di partenza, ­ L’obiettivo,

­ Le strategie, le modalità, le relazioni che legano i primi ai secondi, la condizione o le condizioni da rispettare per arrivare dalle prime al secondo.

Si sono chiamati con questi termini i tre elementi chiave di un problema per dare l’accezione più generale possibile ad essi. Ma si chiarirà subito agli studenti che parlando di risorse si intendono i DATI e QUELLO CHE SAP-PIAMO su di essi, ossia tutti i teoremi, le proprietà che gli enti che trattiamo posseggono e che si studiano. Le risorse sono dunque il nostro punto di par-tenza, la nostra conoscenza. L’obiettivo sono le INCOGNITE, quello che

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dobbiamo trovare, il punto in cui dobbiamo arrivare, cercando di vedere con chiarezza, in ordine conveniente, tutte le relazioni che devono intercorrere fra le incognite ed i dati, in rapporto alla CONDIZIONE.

Fasi propedeutiche alla risoluzione di un problema, che risultano in ogni caso indispensabili e debbono essere discusse con gli studenti sono:

­ riconoscere in una situazione reale il problema matematico, ­ la stesura di un eventuale testo del problema o la scrittura di quali

sono i punti di partenza. Questi sono due passaggi che hanno più a che fare con problemi di vita

quotidiana. Spesso il problema, soprattutto a scuola, viene proposto già con un testo esplicito.

Ci sono dei passi fondamentali che possono aiutare nella risoluzione di un problema. Si riportano di seguito quelle che sono ritenuti i più significativi:

­ L’analisi dettagliata del testo e la comprensione di ogni sua parte. ­ L’identificazione della richiesta posta dal problema, (obiettivo). ­ L’identificazione chiara dei dati, (parte delle risorse). ­ La strutturazione dei dati, il fatto di ordinarli secondo una schema

mentale, il più utile possibile per quel tipo di problema: costruzione di tabelle, grafici e disegni, scrittura di considerazioni, diagrammi o schemi… la schematizzazione o rappresentazione dei dati non è uni-voca per tutti i problemi, anche se ci possono essere tipologie di pro-blemi che possono essere schematizzati in maniera simile e soprat-tutto tipologie di risolutori che prediligono determinati tipi di sche-matizzazione. Questo punto è molto importante e se fatto in maniera corretta può aiutare molto a trovare una soluzione. Gli strumenti (ta-belle, rappresentazioni…) dovranno essere indagate nei problemi che via via si presenteranno.

­ La scelta dell’incognita o delle incognite per la scrittura dell’equa-zione o delle equazioni. In genere può essere conveniente prendere come incognita quello che chiede il problema.

­ L’analisi delle connessioni tra i dati (condizione) e la scrittura coe-rente a queste delle equazioni o delle formule risolutrici. Questa spesso è la fase più critica assieme alla rappresentazione e schema-tizzazione dei dati. Qui spesso interviene la tecnica di individuazione e scomposizione in sottoproblemi che si è in grado risolvere.

­ La risoluzione delle equazioni o dell’equazione del problema o del sottoproblema.

­ La valutazione della soluzione per la verifica dell’accettabilità, o in-terpretazione del significato di una certa soluzione.

­ L’organizzazione del lavoro fatto e l’argomentazione dei risultati e del processo di risoluzione.

3.4 Metodo BOTTOM-UP e TOP-DOWN di Rosa Tafuro

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Tra le tecniche i per la valutazione della validità delle strategie utilizzate ce

ne sono due che meritano un a particolare nota: il metodo il metodo Bottom-Up e Top -Down

Bottom-Up L’idea di base è semplicemente quella di partire dai dati che si hanno per

arrivare alla soluzione. Organizzare i dati ricercando tra le “cose che sap-piamo”, utilizzando le proprietà che conosciamo, cercando di risalire verso la soluzione: Partendo dai dati e dalle conoscenze che si hanno, cioè dallo studio della teoria che si è fatto, si devono mettere insieme i dati e, appunto, la teoria. Scrivere con i dati che si hanno tutte le formule che conosciamo, o meglio quelle che crediamo siano le più utili in quel tipo di problema. In ogni formula ci mancherà un dato o più. Se ce ne manca solo uno possiamo trovarlo (o con quella formula o con quella inversa), se ce ne mancano di più proviamo a vedere se ci sono altre formule che ce lo possono dare. Si dovrà dunque ragionare sulle formule che si possono usare a seconda dei dati che si hanno. Cercare di convergere verso la soluzione, ossia trovare alla fine una formula che dia quello che ci era stato richiesto e in cui conosco i valori di tutte le altre grandezze.

Top-Down L’idea è quella di partire da ciò che devo trovare dalla soluzione (che non

ho) e cercare di scrivere equazioni che mi possono dare il risultato e mano a mano cercare le quantità che mi mancano all’indietro, cioè sfruttando le co-noscenze che ho, trovando il modo per calcolare le quantità che mi mancano e che mi portano alla soluzione. Si deve avere sempre un occhio alla soluzione e uno ai dati per trovare la strada che conduce dall’una agli altri. Anche in questo caso la teoria ed il ragionamento sono essenziali al processo. In genere questi metodi funzionano molto bene anche con problemi di fisica e vorrei qui riportare una possibile proposta di schema di risoluzione per un problema che si può fornire anche ai ragazzi.

1. Leggere bene il testo, con l’obbligo di capire tutto quello che c’è scritto. Se non si capisce qualcosa non si deve andare avanti a leggere. In questa fase si possono scrivere i dati e la richiesta del problema. Se ci sono più richieste trovare un risultato alla volta, dividere il problema.

2. Se necessario fare uno schema del problema, disegnare quello che mi aiuta, disegnare quello che devo trovare.

3. Scrivere le formule che conosciamo e che ci danno il risultato. Ragio-nare sulle formule che si possono usare a seconda dei dati che abbiamo (per vedere quali usare).

4. Controllare se nella formula che si è scritta si hanno tutti i valori (se li dà il testo del problema) di tutte le altre grandezze della formula (oltre al risultato che si deve trovare e che ovviamente non abbiamo).

5. Per i valori che non si hanno cercare altre formule con cui si potrebbero

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trovare tali valori. Non si possono usare (rischio la circolare autoreferenzialità del metodo) le stesse formule che ho già usato.

6. Fare lo stesso ragionamento del punto 4: se si hanno a disposizione tutti i termini della formula allora la si userà, altrimenti si andrà avanti a cer-care altre formule finché non si arriverà a dover utilizzare solo i dati che il problema mette a disposizione.

7. Quando si hanno formule in cui si possono usare i dati, si applicano e, tornando verso l’alto con le formule che si sono già scritte si risale verso il risultato.

È certo in ogni caso che nonostante tutte le tecniche che si hanno a di-

sposizione, e che si sono volute qui indicare, la risoluzione di problemi è, come detto dall’inizio, un attività che dovrà sempre poggiare e far riferimento anche all’intuizione, alla creatività, alla fantasia, intese sia come capacità di far collegamenti all’interno del nostro schema logico e interpretativo (collega-menti che avverranno all’interno del nostro cervello) e sia come capacità di concepire qualcosa di nuovo. Questa attività rende conto di una grandissima possibilità del potenziale umano, da valorizzare negli studenti, in un ottica di sviluppo e progresso umano verso i veri significati della vita, che tenga conto della collettività e del servizio ad essa. Nella risoluzione dei problemi mentre si tiene un occhio aperto a tutte le possibilità l’altro ne valuta in modo appro-fondito una in particolare, utilizzando varie tecniche: considerando il pro-blema come già risolto, costruendo schemi in cui incognite e dati siano riuniti in modo appropriato, cercando di rispettare ciò che è richiesto dalla condi-zione. Si deve cercare di trovare indizi famigliari nel problema, di riferirsi a qualche conoscenza pertinente: una breccia che porti alla soluzione. L’idea brillante viene da questo tipo di impostazione, valutando un po’ “tutto in-sieme”, considerando contemporaneamente sia nel suo complesso. Alla fine la soluzione sembrerà una sequenza ordinata di passi attraverso i quali si passa da dei dati alla soluzione, ma di fatto nel risolvere il problema la sequenza non è stata affatto così ordinata e sequenziale. Si salterà molto spesso da una parte all’altra, aggiustando qua o là un passaggio, un paragrafo, finché non si arriva alla forma finale. Questo è un altro processo tipico che avviene in tutti i processi creativi, a partire dalla musica fino ad arrivare alla scultura, alla pit-tura, alla scrittura, invadendo la risoluzione dei problemi e molte altre avven-ture del pensiero umano.

3.5 Programmare attraverso il problem solving di Claudia De

Sarno Oggi il mondo è diventato molto più complesso, in piena trasformazione

digitale, e questo si riflette sia nella vita delle persone, sia nella vita delle or-

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ganizzazioni economiche che scolastiche. In un contesto di questo tipo i pro-blemi sono la regola, perciò le competenze di problem solving sono diventate ancora più importanti, e lo saranno sempre di più: con la trasformazione di-gitale, l’intelligenza artificiale, la robotica. I lavori che prevedono compiti semplici e ripetitivi sono stati i primi in cui le macchine hanno sostituito l’uomo. Rimarranno sempre più riservati agli esseri umani quei lavori che ri-chiedono creatività e intuito, caratteristiche difficilmente replicabili da un software.

Problem solving significa letteralmente “risoluzione di problemi”, ovvero la strada per dare la migliore risposta possibile a una determinata situazione critica, solitamente nuova, ed è una soft skill di cui si sente parlare sempre più spesso.

Molte persone hanno un’attitudine naturale alla soluzione di problemi, ma si tratta comunque di una competenza che può essere acquisita, grazie anche all’applicazione di un metodo.

Il metodo del problem solving più diffuso prevede quattro fasi o passaggi: 1) Definire il problema Quello che viene ritenuto il problema evidente, spesso non è il problema

reale ma solo un suo sintomo. Analizzare bene una situazione, andare a fondo e individuare la situazione critica originale è l’unico modo per raggiungere una soluzione efficace. Se la situazione è complessa può essere utile scom-porre il problema principale in problemi secondari. A questo punto si tratta di rappresentare e analizzare il problema: determinare i fattori rilevanti, capire quali informazioni ci servono, reperire i dati di riferimento.

2) Generare alternative È la fase creativa, quella della ricerca delle soluzioni alle domande poste

dal problema. Qui si tratta anche di organizzare le informazioni e individuare delle risorse per realizzare un piano di attuazione. Può essere molto utile uti-lizzare metodologie di design thinking.

3) Valutare e selezionare le alternative Bisogna prendere in considerazione diverse soluzioni alternative e poi se-

lezionare quella che sembra più in linea con le aspettative di successo. In questa fase entra in gioco quel processo cognitivo ed emozionale che per-mette di raggiungere una scelta finale.

4) Implementare le soluzioni Scelta la soluzione e realizzato un piano di attuazione, questo va imple-

mentato, cioè portato a esecuzione. È questa la fase in cui tutto il processo di problem solving trova compiuta espressione.

Perchè è importante programmare per problem solving nella scuola?

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Questo metodo di apprendimento permette di sviluppare una serie di abi-lità fondamentali per la vita futura del ragazzo, quali:

­ la capacità di analizzare e valutare la propria attività cognitiva, avendo così consapevolezza dei vari aspetti del lavoro mentale, ossia una persona capace di individuare il tipo di ragionamento a cui è più portata, le difficoltà incontrate durante il processo risolutivo e i be-nefici ricavati, sarà anche in grado di scegliere per sé la strategia mi-gliore o di trovare gli errori compiuti nel percorso di ricerca;

­ la capacità di elaborare un pensiero creativo, detto anche pensiero produttivo, da contrapporre a quello riproduttivo che procede per automatismi, ossia un approccio creativo permette di analizzare il problema da diversi punti di vista, di riformularlo in termini nuovi, ottenendo una visione globale della situazione, lasciando la possibi-lità di cogliere al tempo stesso le parti che la costituiscono e i nessi tra queste.

L’obiettivo finale è quello di dare vita ad “esseri pensanti”, dare ai ragazzi

quello spirito critico fondamentale per affrontare una realtà globale e in con-tinuo mutamento.

Un aspetto fondamentale relativo al problem solving ma anche, molto di più, al gioco, è quello del recupero della motivazione allo studio della mate-matica; in questo modo essa può rendersi “appetibile” non solo a quei quattro o cinque allievi che “sguazzano” volentieri tra le formule, ma a tutti, anche a quelli svantaggiati.

Cimentandosi su un problema o un gioco e risolvendolo, l’allievo cessa di essere soggetto passivo per diventare il protagonista di un processo mentale, lo scopritore, l’inventore della soluzione; questo influisce notevolmente sulla

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sua motivazione, oltre che sul livello di attenzione e sulla qualità dell’appren-dimento. Affidando un problema o un gioco agli allievi, l’insegnante cede loro la responsabilità di un processo, di una situazione, permette cioè la de-voluzione della situazione (situazione a-didattica).

In una situazione a-didattica, quindi, l’alunno diventa responsabile del processo, del metodo di risoluzione. Ciò che, infatti, caratterizza il problem solving ed il gioco rispetto ai tradizionali esercizi è l’assenza di un algoritmo definito o di uno schema di comportamento; quello che si cerca, quindi, non è tanto la soluzione in sé ma il modo per arrivare ad essa, il procedimento risolutivo. Generalmente, invece, facendo uso di formule o algoritmi prede-finiti, la responsabilità dell’allievo si riduce all’esecuzione accurata e pedisse-qua. L’alunno, però, talvolta è disorientato da questa libertà e indetermina-zione; per lui è più comoda la classica lezione frontale, la dimostrazione da imparare, l’esercizio con algoritmo risolutivo predefinito, ecc..

Tutto ciò dipende molto dallo stile cognitivo di ciascun allievo: c’è chi preferisce creare, autoregolarsi, stupirsi, scoprire e chi invece cerca una ricetta pronta da eseguire diligentemente e con maggiore garanzia di successo. Da parte del docente è importante da un lato rispettare e valorizzare gli stili indi-viduali, dall’altro impedire che essi si radicalizzino, facendo sì che gli allievi sappiano affrontare le diverse situazioni.

Di seguito si riportano esempi di attività laboratoriali, impostate sul pro-blem solving, per la soluzione di compiti di realtà, da applicare sia in classi della scuola primaria che secondaria, nella consapevolezza che ciascuna situa-zione problematica può essere affrontata e risolta con differenti metodologie, a seconda delle età degli alunni, delle conoscenze acquisite e del pensiero ma-tematico sviluppato personalmente.

3.6 Problem solving in classe di Consiglia Russo Attualmente nella pratica della didattica matematica si hanno due generi

di questioni: la scarsa motivazione a far matematica e la scarsa capacità di risolvere problemi; proponendo una matematica “per problemi” si può mi-gliorare la competenza negli alunni riguardante il problem solving e motivarli, mostrando loro i processi che portano a costruire il pensiero matematico.

Allorquando si propone un problema alla classe, questo non deve apparire “come una situazione reale” ma essere una situazione reale, vicina alla vita vera degli alunni. In tal modo, gli studenti si sentono interessati e coinvolti a risolverlo.

L’esempio, qui di seguito riportato, riguarda “la spesa” ed in particolare si tratta di un’attività laboratoriale.

Problema: dal fruttivendolo…

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“Bisogna organizzare una cena e come dessert, tra le tante ricette, si sce-glie di preparare una macedonia di frutta.

Ingredienti:

Ingredienti:

400 g di banane

50 g di fragole

1 limone

400 g di pesche

300 g d’uva

- dividiamo la classe in gruppi di 2/3 persone, i quali si recano dal fruttivendolo e si trovano davanti a questa scena

Costo banane al kg 1.80 euro

Costo fragole 3.00 euro al cestino

Costo pesche al kg 2.20 euro

Costo uva al kg 3.50 euro

Costo limoni al kg 2.00 euro

Mentre aspettano il turno, ricordano di non avere controllato quanti soldi

hanno nel portafogli. Controllato l’importo, scoprono che la somma a dispo-sizione è 5.67 euro, e si domandano se i soldi saranno sufficienti o meno per comprare la frutta necessaria.

A questo punto ogni gruppo deve descrivere come fare per raggiungere l’obiettivo, come risolvere il problema e se è necessario avere informazioni aggiuntive. Nel caso in cui i soldi sono sufficienti, che altro potrebbero com-prare? Se invece non lo sono, quale somma serve oltre quella che già posseg-gono?

Una volta che tutti i gruppi hanno terminato il lavoro bisogna confrontare le varie risposte. Saranno tutte uguali? Da che cosa deriveranno eventuali dif-ferenze?”

La riflessione sul problem solving ci porta a stabilire che non può esistere

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una didattica matematica fatta solo di problemi, in quanto è imprescindibile che si debba fare anche un lavoro di sistematizzazione del sapere, attraverso strumenti e tecniche che si sono consolidate nel tempo. Ma se il processo di motivazione allo studio della materia può aver luogo tramite l’approccio per problemi, questo permetterà agli alunni di arricchirsi a livello cognitivo anche di tutte le altre attitudini precipue di questa disciplina, quali le facoltà intuitive e logiche, l’educazione ai procedimenti euristici e ai processi di astrazione e di formalizzazione di concetti, la capacità di ragionare induttivamente e de-duttivamente, le attitudini sia analitiche che sintetiche, il ragionamento e la riflessione, la capacità di sistemare logicamente e riesaminare criticamente le conoscenze via via acquisite, la facoltà di prendere decisioni.

In questo modo si contribuisce attivamente alla formazione del carattere di tutti gli studenti.

Riferimenti.

Alberti, G.E., Gandolfi, A. (2008) La pratica del problem solving Franco Angeli Chiappi, R. (2006) Problem Solving nelle organizzazioni: idee, metodi e strumenti da Mosè a Mintzberg, Springer D’Amore, B. (1993). Problemi, pedagogia e psicologia della matematica nell’attività di problem solving. Progetto MASE. vol. Xa. Prefazione di Gérard Vergnaud. Mi-lano: Franco Angeli. Fischetti, A. (2009). La creatività e il problem solving. Ed. Alpha test Mosconi, G. & D’Urso, V. (1973) La soluzione dei problemi Giunti - Barbera, Firenze Progettazione top-down e botton up. Enciclopedia Britannia

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4 MATEMATICA E REALTA’

4.1 Il linguaggio della Matematica di Aurelio Di Napoli

La Matematica costituisce il linguaggio delle scienze sperimentali; infatti sono innumerevoli le sue applicazioni alla Fisica, all’Astronomia, alla Chi-mica, all’Ingegneria, all’Informatica, alla Biologia e all’Economia. E anche se ancora si è lungi da una descrizione matematica di tutta la realtà, le scienze sperimentali e la Matematica si evolvono sinergicamente in tale direzione. L’importanza della Matematica nella descrizione della realtà è magnifica-mente espressa dall’affermazione di Galilei: L’universo è scritto in termini matematici e intendere non può la natura chi non intende la Matematica. Il grande matematico e scienziato Gauss considerava la Matematica la regina delle scienze!

Per il modo con cui è costruita, per il suo linguaggio semplice e rigoroso, per il suo significato, per i suoi problemi, la Matematica rappresenta l’espres-sione più elevata dell’intelligenza e della logica dell’uomo e alcuni dei suoi teoremi o alcune delle sue formule possiedono certamente una sublime bel-lezza! Per questo motivo il suo studio svolge un ruolo importante e insosti-tuibile nella formazione del pensiero razionale. Chi è abituato allo studio della Matematica è portato ad affrontare qualsiasi problema (anche di natura non matematica) con intelligenza e logica.

In definitiva la Matematica serve a ogni persona per fare meglio qualsiasi cosa.

La Matematica abitua all’onestà intellettuale: nella dimostrazione di un teorema o nella risoluzione di un problema non si può imbrogliare o barare!

Col suo linguaggio universale la Matematica affratella i popoli. Ad esem-pio la formula risolutiva dell’equazione di secondo grado è scritta allo stesso modo in Italia o in Cina o in qualsiasi altro Paese.

La civiltà di una nazione dipende fortemente dalla cultura matematica del

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suo popolo e pertanto se si vuole realmente far progredire la società occorre che tutti studino più Matematica.

Lo straordinario progresso della Matematica pone a coloro che la inse-

gnano una sfida: riuscire a trasmettere alle generazioni future questo meravi-glioso e immenso patrimonio di conoscenze. In Italia la scuola media supe-riore ove l’insegnamento della Matematica dovrebbe essere più curato è il Liceo Scientifico, tuttavia i testi di Matematica diffusi oggi per questo tipo di scuola non sempre possiedono, a mio parere, la semplicità, la chiarezza, il rigore e l’ampiezza di contenuti che invece dovrebbero avere. Al contrario, essi presentano spesso un linguaggio impreciso e prolisso, talvolta errori con-cettuali e, infine, un elevato, quanto inutile, numero di esercizi ripetitivi e meccanici che mortificano le intelligenze migliori! La didattica della Matema-tica nella scuola media superiore può e deve essere migliorata.

Nelle Università italiane la Matematica viene insegnata solo in alcune Fa-coltà scientifiche, invece sarebbe certamente utile introdurre un corso di Ma-tematica Generale in tutte le Facoltà. Ovviamente il programma di un tale corso dovrebbe variare a secondo del corso di laurea. In particolare esso do-vrebbe essere ampio nella Facoltà di Medicina (un medico dovrebbe avere, ad esempio, conoscenze sulle equazioni differenziali), di giurisprudenza e nei corsi di laurea in Filosofia e in Scienze politiche (un avvocato, un giudice, un politico o un filosofo non dovrebbero avere alcun dubbio, ad esempio, su come si fa la negazione di una proposizione), invece nei corsi di laurea in lettere o in lingue basterebbe solo un programma minimo.

Lo studio della Matematica risulta semplice e naturale solo per pochissimi studenti, invece la maggior parte di essi trova difficile studiare questa disci-plina. Molti hanno difficoltà soprattutto nella risoluzione degli esercizi e dei problemi e anche nel comprendere e nel ricordare la dimostrazione dei teo-remi. La spiegazione di questo fatto, ben noto a tutti i docenti di Matematica, non è facile. Penso che molto dipende dall’esperienza che ogni individuo fa nei primi anni di vita; probabilmente alcune esperienze contribuiscono alla formazione di opportune sinapsi che si rivelano utili allo sviluppo dell’intui-zione e della logica, che sono le due qualità più importanti per comprendere la Matematica. Tuttavia l’esperienza acquisita in molti anni d’insegnamento mi fa ritenere che anche gli studenti che all’inizio trovano difficoltà, possono con l’impegno, con la fatica e con l’esercizio personale raggiungere alla fine un buon livello di preparazione matematica.

Allora, alle domande “a cosa ci servirà in futuro la trigonometria?”, “per-ché e come costruire una tavola delle derivate?”, o ancora “perché usare i numeri negativi, se poi non li potrò applicare al mio lavoro più tardi?”, la risposta può essere evasiva.

Per evitare di sentirsi rispondere cose del tipo “ma si, le radici quadrate sono molto utili, anche solo per superare l’esame di matematica!”, o ancora

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“lamentati con il Ministro dell’Istruzione sul programma e presentagli il tuo punto di vista”.

4.2 La matematica nella quotidianità di Adele Febbraro Ecco qui alcuni esempi concreti che ci confermeranno che la matematica

è fondamentale nella nostra vita e che ci serve per più di un motivo nel quo-tidiano.

La matematica ti circonda appena valichi le porte automatiche del tuo su-permercato preferito. Effettivamente, le porte e i passaggi di sicurezza che trovi all’ingresso del supermercato sono costituiti di sistemi elettronici che non avrebbero potuto essere concepiti senza matematica. Poi, inizi a fare la spesa e il tuo carrello si riempie di prodotti etichettati (il famoso codice a barre, che indica grazie alle sue cifre, il produttore e il suo codice specifico), poi ti dirigi alla cassa, dove ogni etichetta sarà scannerizzata con il suo laser e il prezzo totale apparirà sul suo schermo. Alla fine, paghi con carta di credito, assegno o contanti.

Tutte queste tappe, tutte queste operazioni hanno utilizzato numerose no-zioni ed equazioni matematiche (che “di solito” si studiano nei corsi di mate-matica online a domicilio).

Sempre durante la spesa, all’improvviso ti accorgi che il negozio propone delle offerte promozionali, con il 30% di riduzione e che lo sconto aumenta all’acquisto di due articoli similari. Capisci che il 10% di riduzione su un pro-dotto e il 20% sul secondo prodotto uguale non danno una riduzione totale del 30%. Ecco allora l’utilità di saper fare calcoli mentali e di aver studiato le percentuali.

Hai deciso di acquistare un bene immobile, ma ecco che per il rimborso ti propongono delle rate con tasso d’interesse. Per sapere esattamente quello che pagherai, quello che dovrai risparmiare, quello che dovrai rimborsare, il calcolo del tasso d’interesse è fondamentale. Nell’ottica di acquistare una casa, decidi di farla realizzare con un progetto. Devi saper utilizzare una scala, calcolare gli angoli, immaginare dei mobili in scala per portare a compimento il progetto.

L’utilizzo delle nozioni di matematica in cucina è quasi obbligatorio e spesso si utilizzano le proporzioni. Cucinare e fare matematica allo stesso tempo, è possibile! Allo stesso modo, devi conoscere le regole di base per le conversioni del peso (da grammi a libbre e viceversa), della temperatura (Cel-sius e Fahrenheit, se spulci le ricette sui siti americani) o semplicemente per sommare o dividere gli ingredienti (es: mescolate 2/3 di 500 g. di farina, ag-giungete due uova, del latte e poi aggiungete il terzo di farina rimanente).

Che sia per piccoli o per grandi lavori, la matematica sarà la tua migliore

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alleate al momento del bricolage. Che tu debba mescolare diversi prodotti, o che tu debba calcolare un an-

golo per costruire una parete, devi saper fare le proporzioni, ma anche trovare gli angoli (seno, coseno, angolo retto), calcolare l’ipotenusa di un triangolo, prevedere il numero di assi per costruire uno scaffale, etc.

Si tratta di esempi talmente naturali che non ci rendiamo nemmeno conto di come, proprio grazie all’apprendimento della matematica, ci sia possibile effettuare tutte queste operazioni e trasformare la nostra abitazione.

Certo, al giorno d’oggi, il GPS è integrato nelle macchine o è presente nei nostri smartphone, e già qui la matematica è presente. Ma prima dell’avvento di tutta questa tecnologia, c’erano la bussola, il goniometro, il sestante e l’astrolabio: utilizzando il metodo della triangolazione possiamo determinare a che distanza ci troviamo da un punto fisso o in che direzione ci dirigiamo. La triangolazione (oggi perfezionata con l’ausilio dei satelliti), con il calcolo di angoli e distanze, è ancora oggi molto utile in cartografia e in navigazione… Chiedete a quelli che fanno il giro del mondo a vela come farebbero se non sapessero situare un punto su una carta!

Il caso esiste? Non è questo l’argomento ed anzi la presenza della mate-matica in questo campo non è un caso.

Ottimizzate i vostri guadagni a poker con la matematica! Se hai già delle conoscenze del calcolo delle probabilità e della legge dei grandi numeri, allora sei in grado di valutare le tue probabilità di vincita. La mate-matica nel poker incide notevolmente sulle capacità dei giocatori. E allo stesso modo influenza altri giochi di fortuna, come il Black Jack. È del tutto logico: avere delle nozioni di questa materia per lavorare nel commercio è un vantaggio non trascurabile, uno strumento indispensabile. Per calcolare i prezzi di vendita, per utilizzare il programma Excel, per calcolare una percen-tuale di vendita, una commissione, uno sconto, per convertire le valute estere, la matematica è nel quotidiano di ogni commerciante.

Non avrai il tuo prof ad aiutarti, ma gli esercizi sugli enigmi legati alla matematica potranno aiutarti.

Non devi aver seguito dei corsi di matematica o conseguito la maturità scientifica per diventare contabile, segretaria o per prevedere il budget di spesa di un anno della tua famiglia: tuttavia è indispensabile che tu abbia delle nozioni di matematica (come le funzioni, l’aritmetica, ecc.), perché ne avrai bisogno ogni giorno nel tuo lavoro. Manipolare una tabella Excel, inserire delle formule di calcolo, produrre delle statistiche, valutare dei budget di pre-visione, fare della riproduzione e fusione di documenti, la matematica è ovun-que.

Il Teorema di Talete consente di effettuare dei calcoli anche per grandezze inaccessibili, come l’altezza di una piramide.

La matematica, con la formula per il calcolo dell’area, le equazioni e i vo-

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lumi, è spesso utilizzata in architettura per rappresentare a tre dimensioni al-cune costruzioni e per creare la prospettiva su un piano.

Le arti e la matematica spesso si accoppiano bene! Anche con l’informatica, con i programmi di morphing e i programmi per

gli effetti speciali in 3D, ritroviamo l’applicazione della matematica nella con-cezione dei video giochi e dei film d’animazione.

Impossibile creare uno spostamento, immaginare una superficie curva o deformare un’immagine senza un minimo di conoscenze in matematica.

Scopri subito gli insegnanti disponibili per lezioni di matematica e geome-tria per bambini e non solo!

In psicologia e in sociologia: tutti i risultati sono analizzati e comparati. In acquagym: devi imparare a contare e a tenere a mente il numero di

movimenti. In biologia: la matematica è utile per trovare il numero di molecole pro-

dotte in una reazione chimica. In sartoria: anche qui la matematica la si ritrova per individuare la simme-

tria assiale, per effettuare dei tagli di angoli, etc. A teatro: la matematica ti aiuta a trovare dei punti di riferimento nello

spazio, ma anche a prevedere la durata di uno spettacolo, o a calcolare l’in-tensità di una luce.

A scacchi: avere un istinto di anticipazione, calcolare lo spostamento dei tuoi pezzi sulla scacchiera.

Nelle immersioni subacquee: per conoscere regolarmente le tue costanti, per non metterti in pericolo, per valutare la profondità, la quantità di aria a disposizione, per valutare il tempo da aspettare prima di immergerti nuova-mente, bisogna avere un minimo di spirito matematico e di logica.

Praticando il tuo sport preferito: per valutare una distanza, per creare un effetto, per calcolare un angolo.

In amore: matematica e seduzione sono intimamente legati! Ottimizza il tuo gioco con la matematica! Per organizzarti ogni giorno: contare i giorni, i mesi, o per valutare il

tempo a disposizione per effettuare un compito Per calcolare le tasse da pagare. Per il tuo budget di spesa: dare una mancia ai tuoi figli, realizzare un bud-

get mensile per la tua famiglia, o in previsione di un acquisto importante (casa, macchina, fare un viaggio, etc.).

Per viaggiare: valutare una distanza e il tempo necessario per arrivare a destinazione, per convertire una misura.

Per giocare a bigliardo: da cui l’utilizzo della simmetria. Per dipingere e disegnare: saper restituire i colori, mescolando una certa

quantità di pigmenti. Per visitare regolarmente la tua pagina Facebook o di qualsiasi altro social:

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non avevi mai notato che grazie ai tuoi amici, grazie ai giochi cui giocate as-sieme, il social o il sito sul quale navighi riesce a mirare sempre meglio la pubblicità e a personalizzarla in funzione dei tuoi gusti? Dietro questo feno-meno si nasconde un insieme di algoritmi che sarebbero impossibili senza una conoscenza approfondita della matematica.

E alla fine, per risolvere degli enigmi matematici! Come si è visto, la matematica ha numerosissime applicazioni concrete e

reali nel nostro quotidiano. Che tu cerchi di diventare un matematico o no, questa disciplina è una

scienza a parte, ma che resta determinante nella vita di tutti i giorni: senza matematica, un grandissimo numero di invenzioni e di tecnologie non sareb-bero venute alla luce.

La matematica serve a modellare il reale, il che è come dire che la natura potrebbe essere scritta in linguaggio matematico; ma questa è un’altra do-manda, no?

4.3 Un’attività laboratoriale svolta in classe di Rosa Anna Esposito L’azione didattica del lavoro è stata strutturata al fine di fare emergere

negli alunni la capacità di riconoscere l’esistenza di una proporzionalità diretta in determinate situazioni problematiche, vissute in prima persona, indivi-duando le variabili che entrano in gioco. Il percorso formativo si è articolato, attraverso attività di osservazione, manipolazione, rielaborazione cognitiva e ri-codificazione, a realizzare un processo di apprendimento deduttivo. Gli al-lievi sono stati guidati dall’insegnante ad osservare e a discutere fra loro per prospettare soluzioni ed ipotesi interpretative; la discussione li ha abituati ad ascoltare gli altri, a farsi idee proprie e a prospettarle liberamente.

Gli alunni vengono condotti in palestra ed eseguono il primo gioco: la camminata. Una prima discussione con gli alunni mette in evidenza che ci sono due quantità che sembrano essere importanti nella descrizione di un moto: lo spazio percorso e il tempo impiegato. Con dello scotch telato, l’in-segnante traccia sul pavimento un tratto rettilineo lungo sei metri e chiama sei alunni. Tre di loro percorrono tre percorsi diversi: il primo si ferma a due metri, il secondo a quattro metri e il terzo a sei metri. I tre alunni rimasti, invece, cronometrano il tempo e registrano i dati su una tabella spazio-tempo. Lo stesso iter viene eseguito per un secondo gioco ovvero la corsa. I dati relativi alle attività eseguite sono, quindi, riportati su un grafico spazio-tempo. Gli alunni notano che i punti sperimentali, riportati sul grafico, sembrano essere allineati, sia per quanto riguarda l’esperimento della “camminata”, sia per quello della “corsa”. Gli alunni tracciano le due rette che congiungano i punti ed evidenziano una pendenza diversa per le rette relative ai due diversi modi di effettuare il moto. Si dà inizio ad un dibattito, dove emerge che il moto di un oggetto è caratterizzato da un altro elemento, oltre allo spazio e

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al tempo: la velocità. Dall’analisi dei grafici, e ricordando i due diversi esperi-menti effettuati, gli alunni deducono che più la retta è ripida, maggiore sarà la velocità del corpo il cui moto è rappresentato sul grafico stesso e la rela-zione di proporzionalità diretta che lega le due grandezze in gioco.

Riferimenti

A che cosa serve la Matematica? http://scuolaoggi.blog.kataweb.it/a-che-cosa-serve-la-matematica

La scienza dei numeri nel nostro quotidiano

https://www.superprof.it/blog/applicazioni-pratiche-della-scienza-del-calcolo/

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5 SVILUPPARE LO SPIRITO CRITICO E CREATIVO CON LA DIDATTICA PER SITUAZIONE-PRO-

BLEMA

5.1 Il processo di scoperta ed i potenziale creativo dello studente di Antonella Lo Sapio

Negli ultimi anni, nel mondo scolastico si sono susseguite varie metodo-logie al fine di ridurre il divario tra contesto di aula e realtà esterna e viste le evoluzioni tecnologiche che hanno investito soprattutto i giovani si è richie-sto che anche la scuola fosse adeguata ai tempi e alla società attuale, per cui si è andata sempre più affermando quella che viene denominata didattica per competenze. La scuola è passata dal sapere, al saper fare e il saper pensare in modo tale da coniugare questi tre concetti. Anche il Ministero con le Indica-zioni Nazionali 2003, (le Nuove Indicazioni per il curricolo 2007, le Indica-zioni Nazionali 2012, la Raccomandazione Europea 2006, etc.) tende ad un approccio didattico di tipo laboratoriale, cioè alla scoperta del nuovo sapere, partendo dalle proprie basi attraverso situazioni-problema, dove il discente è protagonista del proprio apprendimento e non contenitore di un sapere.

Le nuove tecnologie come l’uso della LIM, applet e programmi quali Geogebra, Cabri hanno supportato con immagini la didattica attuale.

La strategia del problem solving è stata da molti utilizzata ed è quella che preferisco per avere una continua attenzione e partecipazione dal gruppo classe, in modo da impostare la lezione non solo su contenuti dati da poi assimilare, ma coinvolgerli con domande stimolo e sollecitazioni e renderli attivi nella spiegazione per mettere in atto quei processi di meta-cognizione.

Inoltre, lavorare per gruppi favorisce l'interazione tra gli alunni e li stimola e ricercare nuove soluzioni, confrontandosi, dove l'obiettivo non è solo arri-vare alla soluzione del problema, ma come ci si arriva.

Nell' attività di docente, si utilizzano sempre diverse metodologie tra cui

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le situazioni-problema di tipo costruttivista, dove l'alunno fa, agisce, e, una volta messo in moto il suo pensiero, si prova, si valuta, si discute, anche sbagliando, considerando l'errore come opportunità e non fallimento nella sua attività: si offre la possibilità all’allievo di potersi mettere nei panni di chi si pone il problema e quindi ha necessità di risolverlo; si presenta l’esperienza in forma aperta, lasciando diverse possibilità di discutere la soluzione; si in-seriscono anche documenti per aumentare il livello di simulazione; si fa rife-rimento a conoscenze e schemi da mobilitare non conosciuti in partenza, ma che devono essere ritrovati dall’allievo; si danno indicazioni con frasi chiare, possibilmente brevi.

In una pedagogia di questo tipo, il ruolo dell’allievo è quello di stare al centro del processo di apprendimento, di partecipare e tendere ad una ope-razione anche collettiva per realizzare un progetto-prodotto conclusivo co-struendo, nella stessa occasione, nuove competenze. Egli agisce attraverso prove ed errori in prospettiva laboratoriale, è invitato a manifestare dubbi, a sostenere ragionamenti, a servirsi della sua capacità di mettere in campo in-telligenze diverse per raggiungere lo scopo.

È importante, inoltre, condurre l’allievo a studiare i suoi errori per tro-varne la causa e a praticare così l’autocorrezione, incoraggiare i suoi modi di espressione personale, portarlo ad esprimersi possibilmente in modo rigo-roso e chiaro in modo da essere comprensibile e poter comunicare il proprio pensiero ai compagni.

Compito dell'insegnante è quello di di creare nelle proprie classi ambienti di apprendimento nei quali necessita:

• incoraggiare gli studenti all’esplorazione; • aiutarli a verbalizzare le loro idee matematiche; • far loro constatare che molte questioni matematiche hanno più di una

risposta corretta; • insegnare, attraverso esperienze, l’importanza di un ragionamento accu-

rato e di una comprensione corretta; • incoraggiare tutti gli studenti sulle loro capacità matematiche. “Non si fa della matematica se non occupandosi di problemi, ma ci si

dimentica a volte che risolvere un problema è solo una parte del lavoro; tro-vare delle buone questioni è importante tanto quanto trovare delle soluzioni. Una buona riproduzione di un’attività scientifica da parte dell’allievo esige che si tratti, che si formuli, che si provi, che si costruiscano dei modelli, dei linguaggi, dei concetti, delle teorie, che egli li scambi con altri, che riconosca quelli che sono conformi alla cultura, che egli prenda a prestito quelli che gli sono utili, etc. . Per rendere possibile una tale attività, il professore deve dun-que immaginare e proporre agli allievi delle situazioni che essi possano vivere e nelle quali le conoscenze appaiano come la soluzione ottimale che si può scoprire attraverso i problemi posti”. (Brousseau, 1986)

La matematica, secondo Ernest, è molto efficace nel descrivere il mondo

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attraverso le sue teorie e ciò non è casuale, ma deriva dalle sue origini empi-riche e dalla sua funzione linguistica. La matematica è un ramo della cono-scenza collegato con il resto della conoscenza attraverso il linguaggio natu-rale, linguaggio che permette di enunciare teorie su situazioni sociali e sulla realtà fisica.

Concludo riportando uno stralcio di Polya: “.... qual sia il primo e princi-pale obiettivo dell'insegnamento della matematica, soprattutto nella scuola secondaria: insegnare a pensare. Ciò significa che l'insegnante non deve solo fornire informazioni, ma anche fare in modo che gli allievi sviluppino l'abilità di utilizzare le informazioni ricevute, insistendo sul saper fare...”.

5.2 Costruire lo scenario per pianificare lo svolgimento dell’atti-vità di M Consiglia Petroli Le situazioni che noi viviamo quotidianamente non sono sempre facili da identificare. Talvolta dobbiamo ricorrere ad uno sforzo di immaginazione, ma anche a qualche ‘tecnica di estrazione’, che ci permetta di isolare una si-tuazione dal suo contesto per poterla ‘catturare’. E’ possibile identificare situazioni rappresentative e significative, corrispon-denti a situazioni reali e modellizzarle creando opportuni scenari Gli scenari descrivono aspetti quali interazioni tra docenti e studenti ed even-tuali altri soggetti, strumenti e risorse, contesti e ambienti di apprendimento Scopo degli scenari è di ispirare la costruzione, da parte del docente, di prati-che didattiche innovative sempre intese a costruire un ponte tra vita vissuta e scuola, tra pratica e teoria All’inizio del lavoro con uno scenario bisogna sempre andare a conoscere lo svolgimento delle azioni. Lo scenario dovrebbe essere presentato visivamente – con l’aiuto di foto, disegni, sequenze di filmati o anche descrizioni che per-mettono di immaginare la scena – permettendo al discente di vedersi prota-gonista in questo filmato e di valutare che cosa sa già fare nella situazione in questione e di quali altri mezzi ha bisogno per comunicare con successo. Po-tersi immedesimare in una situazione è una condizione per autovalutarsi, e cioè per stabilire quali siano le risorse già disponibili e quali manchino, per fissare gli obiettivi e infine anche per verificare i progressi compiuti. . Una buona pianificazione dello svolgimento dell’attività facilita la sua messa in opera. I passi dello scenario possono essere ricostruiti in modo abbastanza preciso. Se rimangono delle domande aperte, è l’occasione per effettuare ulteriori ri-cerche. Una buona pianificazione dello svolgimento dell’attività facilita la sua messa in opera. La pianificazione deve prevedere la consegna, i ruoli delle e dei partecipanti,

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le tappe dell’attività, il tempo attribuito a ciascuna di esse, gli spazi a disposi-zione, il tipo di prodotto che le o gli studenti devono realizzare. Questi ele-menti devono essere adattati da chi insegna in funzione del contesto e degli obiettivi ricercati. Saranno messi eventualmente per iscritto quale guida per la realizzazione e la valutazione dell’attività stessa. Può anche risultare inte-ressante farsi un’idea del possibile ruolo dell’insegnante in ciascuna delle tappe, anticipando così le eventuali difficoltà che potrebbero presentarsi, in modo da prevedere possibili soluzioni. Quando i discenti possono immaginare lo scenario davanti a sé e immedesi-marsi nella situazione, allora un passo importante nell’apprendimento è già fatto: attraverso lo scambio e la visualizzazione si sono chiarite molte do-mande, sono state introdotte alcune parole chiave, e i partecipanti, grazie a queste conoscenze, sono in grado di affrontare la situazione comunicativa con più sicurezza. Poi si può discutere nel gruppo su che cosa mettere al centro nelle prossime tappe. In questa fase spetta al docente aiutare il gruppo a fissare aspetti centrali e obiettivi ragionevoli e corrispondenti al livello. Le domande guida per questa fase possono essere:

­ Che cosa so già fare? ­ Che cosa è importante per me? ­ Che cosa voglio imparare?

Valutare in modo realistico le proprie capacità richiede esercizio. L’ideale è quando l’autovalutazione può riposare su un’osservazione diretta della pra-tica. Una situazione può, ad esempio, essere inscenata in un gioco di ruoli, e i partecipanti valutano dopo com’è andata e dove hanno raggiunto i loro li-miti. Non tutto quello che i discenti non sanno o non sanno ancora fare così bene costituisce automaticamente un obiettivo di apprendimento valido. Conte-nuti adatti e obiettivi realistici nascono dal dialogo tra docente e discenti. Il docente può suggerire di saltare le tappe che al momento sono troppo difficili o mettere al primo piano gli elementi che sono adatti all’attuale livello lingui-stico del gruppo, tenendo però sempre in considerazione i punti che per i discenti rivestono una particolare importanza. Alla fine di questa fase di sperimentazione e di valutazione si può stabilire un «programma» concreto per il seguito del lavoro: quanto tempo deve o può essere dedicato allo scenario? Quali tappe dello scenario e quali capacità po-niamo in centro? Quali sono gli obiettivi per il gruppo ed eventualmente quelli individuali dei partecipanti? E’ consigliabile fissare per iscritto questi obiettivi nel gruppo al termine della fase di pianificazione, in modo da poter-cisi riferire durante il lavoro con lo scenario e alla fine verificare quali obiettivi siano stati veramente raggiunti. E’ ovvio che visualizzare e interpretare uno scenario, e poi il processo di au-tovalutazione e di formulazione degli obiettivi richiedono tempo. Non si tratta però di tempo «perso» bensì di tempo dedicato all’apprendimento: i

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partecipanti sono impegnati con lo scenario e utilizzano il vocabolario che vi si riferisce; attivano le loro conoscenze e le loro risorse linguistiche; comuni-cano in una situazione autentica e, non da ultimo, sviluppano capacità per gestire il loro apprendimento con più autonomia. Esempio di pianificazione di uno scenario didattico della durata di ca. 7-8 ore di insegnamento e sviluppato attraverso le seguenti tappe, a. In anticipo rispetto all’inizio dell’unità didattica, tutti gli studenti ricevono il compito di raccogliere la documentazione relativa all’argomento prescelto e di presentare la loro esperienza in classe, con il supporto della documenta-zione raccolta, b. La prima lezione è dedicata alla presentazione del vissuto da parte degli studenti designati. Nella seconda lezione viene fatta un’analisi della situazione presentata, tenendo conto delle esperienze dei diversi studenti, e viene alle-stito un primo elenco approssimativo delle conoscenze utilizzate, delle capa-cità necessarie e degli atteggiamenti. c. Nella terza lezione l’insegnante fa un’analisi delle consegne effettuate Ogni gruppo presenta alla classe i risultati nel corso della quinta lezione. d. Il filmato dell’attività è la base per la sesta lezione. Gli studenti a coppie redigono un rapporto scritto e in seguito presentano il rapporto oralmente. e. La settima lezione è dedicata alla valutazione sommativa a cui seguirà la restituzione dei risultati e un bilancio definitivo.

5.3 Dualità docente-alunno nella didattica per situazione-pro-blema. Il ruolo dell'insegnante: mentoring e creatività di M. Ro-saria Napoli Negli ultimi anni, all’interno del problematico e complesso mondo della scuola, si è andata sempre più affermando quella che viene denominata la “Didattica per Competenze”, al fine di ridurre quanto più possibile il divario tra il contesto aula e la realtà esterna in cui vivono i nostri studenti. A tal riguardo è necessario proporre esperienze ed attività matetiche capaci di sollecitare e motivare gli studenti affinchè il sapere non rimanga inerte ma riesca ad essere utilizzato in situazione al fine di risolvere problemi. La situazione-problema è una situazione didattica che ha come scopo quello di coinvolgere l’allievo per costruire un sapere. Essa è molto utilizzata nel lavoro per progetti e per percorsi basati su pro-blemi. L’allievo in questo caso è chiamato a proporre ipotesi risolutive, argo-mentando le proprie scelte, usufruendo di conoscenze multidisciplinari e ri-ferite a differenti contesti. In questa situazione formativa il docente si configura come un moderatore e

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come uno stimolatore della discussione e della metacognizione, supporta gli allievi in termini di sintesi e di risorse. Egli deve organizzare e scegliere i contenuti in modo che siano contestualiz-zati il più possibile all’esperienza dei propri studenti o ad ambientazioni reali e complesse e non astratte. Il compito del docente è quello di educare prima di insegnare, di guidare gli studenti alla scoperta del loro talento e delle loro potenzialità prima di co-struire i saperi. Il docente deve saper cogliere punti di vista alternativi ribaltando i problemi e immaginando tutte una serie di soluzioni diverse da verificare. In tal caso il docente deve avere la capacità di prevedere nella situazione pro-blema la presenza di una contraddizione rispetto alle pre-conoscenze dei suoi allievi, per scatenare nei soggetti in formazione, un conflitto cognitivo che però deve essere colto come risolvibile. Questo conflitto, infatti, deve poter essere risolto attraverso l’attivazione della propria zona di sviluppo prossimale ed il risultato a cui l’allievo perviene deve essere per lui significativo e deve poter essere raggiunto attraverso un per-corso autonomo e personalizzato. Per questo motivo è necessario che il contesto educativo assuma cambia-menti radicali in modo da poter avere una ricaduta sugli atteggiamenti che scaturiscano in una maggiore partecipazione, impegno e motivazione. Il docente deve essere in grado di creare contesti inediti e deve porre gli alunni di fronte alla necessità di decodificare o usare linguaggi sconosciuti per svi-luppare la loro creatività intellettiva. Molto spesso il docente di matematica si trova a vedere crescere sempre di più il numero di allievi che hanno un debole interesse per questa disciplina, in alcuni casi addirittura un disagio o un rifiuto. Per tale motivo il docente ha il compito di aiutare l’alunno a non sentirsi inadeguato e deve proporre la matematica servendosi di metodologie accattivanti ed inusuali. Il docente in questo frangente è mentore, il che significa che non deve pro-muovere l'abitudine alla ripetizione, ma al contrario deve promuovere il pen-siero libero, scevro da qualsiasi pregiudizio, con tutto ciò che ne consegue, unitamente alle perplessità dei suoi studenti. Il docente deve invogliare e guidare gli alunni ad esplorare nuove strategie per riscoprire la bellezza e la forza del pensiero critico. Quando il docente pianifica un’ipotesi di situazione-problema, come sostiene anche il Prof. Mario Castoldi, deve in primis mettere in evidenza la sfida che la situazione presenta, deve richiamare l’attenzione sul perché essa debba es-sere risolta, deve offrire allo studente la possibilità di mettersi nei panni di chi si pone il problema,deve presentare il problema in forma aperta in modo da lasciare libero spazio alla discussione, deve inserire documenti autentici per aumentare il livello di simulazione, deve fare riferimento a conoscenze e schemi da mobilitare non conosciuti dall’allievo, deve declinare la situazione

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in differenti step con frasi chiare e possibilmente brevi. L’allievo, quindi, diventa il fulcro del processo di apprendimento ed il do-cente deve essere bravo a rendere visibile il pensiero critico dei suoi allievi. Per questo motivo è interessante evidenziare come l’atteggiamento del do-cente-mentore cambi in modo progressivo durante l’attuazione di questa me-todologia didattica ed è emotivamente coinvolgente accostare la sua figura all’immagine legata al mondo animale in cui la madre pian piano guida i suoi cuccioli e poi in modo graduale li lascia liberi di esplorare il mondo e di fare le proprie scelte. Il docente, infatti, in primo luogo fornisce le strutture concettuali e procedu-rali su cui sviluppare l’argomentazione, mentre in un secondo momento ed in maniera progressiva, riduce il proprio intervento attivo a favore di un in-cremento dell’autonomia del singolo e/o del gruppo nel gestire il confronto collettivo. Il ruolo del docente, quindi, in questo tipo di didattica diventa estremamente delicato e complesso: il docente deve continuamente interrogarsi sul proprio percorso e deve saper riprogettare e ripianificare il proprio intervento ogni volta che si rende conto di non aver raggiunto l’obiettivo prefissato.

5.4 Lo studente ed il Life Long Learning di Emilia Marino L’apprendimento permanente (life long learning) consiste in “qualsiasi atti-vità intrapresa dalle persone in modo formale, non formale, informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le com-petenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale” (legge 92 del 28.06.2012, articolo 4, comma 51). E’ necessario quindi sostenere il diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi e assicurare a tutti le op-portunità di sviluppare le competenze chiave avvalendosi pienamente del quadro di riferimento europeo «Competenze chiave per l’apprendimento per-manente» nonché: sostenere e rafforzare lo sviluppo delle competenze chiave per tutti, durante tutto l’arco della vita; fornire sostegno a tutti i di-scenti, compresi quelli in condizioni svantaggiate o con bisogni specifici. Nell'ottica dell'apprendimento permanente riveste un ruolo importante la ri-soluzione dei problemi in situazioni quotidiane. Proprio dall'esperienza della vita di tutti i giorni possono essere tratte situa-zioni che conducono a problemi significativi per gli alunni e quindi motivanti. I problemi possono essere formulati in modo più o meno generale, posso richiedere scelte preliminari di campo o di riduzione di complessità impor-tante tuttavia che inducano gli allievi a scoprire le schematizzazioni matema-tiche più adeguate ad interpretare osservazioni di dati reali. In tal modo l'introduzione di strumenti matematici acquista un significato

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legato alla necessità di leggere e interpretare la realtà. L'educazione matematica “per problemi” è una precisa indicazione metodo-logica attraverso la quale si richiede allo studente non solo di sfruttare il ba-gaglio posseduto di conoscenze e abilità,ma anche un intervento personale e creativo. In uno studio del 2003,dedicato alla proposta di attività per un significativo curriculum per la scuola secondaria,la Commissione per l’Insegnamento della Matematica dell’ Unione Matematica Italiana osservava esplicitamente che”porsi e risolvere un problema offrirà la possibilità di individuare il signi-ficato di una proposizione,di riconoscere gli approcci e i percorsi risolutivi diversi,di attivare autonomamente processi di verifica del percorso seguito,di scegliere eventualmente ottimizzando fra soluzioni diverse. Veniva così riba-dita l’importanza del lavoro sui problemi, dando delle indicazioni che ne sot-tolineano la valenza metacognitiva. Riporto integralmente una frase di G. Polya, che è una bella risposta alla do-manda “Che cosa significa risolvere un problema?”: «Risolvere problemi significa trovare una strada per uscire da una difficoltà, una strada per aggirare un ostacolo, per raggiungere uno scopo che non sia immediatamente raggiungibile. Risolvere problemi è un‘impresa specifica dell’intelligenza e l’intelligenza è il dono specifico del genere umano: si può considerare il risolvere problemi come l’attività più caratteristica del genere umano» (Polya, 1983). Dunque la sfida posta da un problema è il modo migliore di fare appello all’intelligenza che ogni alunno possiede, per aiutarlo a sviluppare le proprie doti. Purtroppo nel corso della risoluzione dei problemi matematici gli alunni in-contrano molte difficoltà sia “matematiche” che “linguistiche”. Le difficoltà “matematiche” sono spesso dovute alla mancanza di ragionamento causata dalla disabitudine a ragionare e alla difficoltà a trasformare le parole in pen-siero astratto. Comprensione del testo dal punto di vista letterario e lunghezza del testo, sono invece le difficoltà “linguistiche” . Sulla base della mia esperienza come docente, ritengo che la difficoltà mag-giore e più frequente sia la comprensione del testo. Gli alunni non leggono con attenzione i testi dei problemi e sembrano lasciarsi intimorire dalla lun-ghezza di un testo. Spesso non leggono il testo ma vanno direttamente alla ricerca dei dati numerici, senza preoccuparsi di comprendere il contesto. Essi abituati solo ad affrontare esercizi di tipo addestrativo-ripetitivo non amano mettersi in gioco per affrontare un problema. Esplorando il mondo delle dif-ficoltà degli alunni nel risolvere i problemi, ho notato che entrano in gioco anche fattori che conducono in terreni psico-pedagogici (motivazionali, af-fettivi e metacognitivi). Quando si decide di proporre agli alunni la risoluzione di un problema oc-corre tener presente che il tempo necessario è superiore a quello richiesto in

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esercitazioni di tipo addestrativo-ripetitivo e la soluzione deve essere aperta. Inizialmente per abituare gli alunni ad affrontare un problema matematico si possono predisporre alcuni passi. L’attività della risoluzione di un problema fatta in piccoli gruppi di apprendimento, oltre ad abituare gli alunni al ragio-namento, offre la possibilità del confronto sulle modalità di soluzioni possi-bili. In pratica la didattica per problemi vuole sviluppare autonomia e non dipen-denza, vuole fare formazione e non trasmettere istruzioni, intende sollecitare e non proporre correzioni preconfezionate. Il problem solving diviene quindi un palestra per l'abilità di autoregolazione poiché, in modo sempre più puntuale, i ragazzi saranno in grado di monito-rare i processi e di valutare i gradi di utilità e di appropriatezza dei diversi processi risolutivi, nonché di classificare le rappresentazioni personali di pro-cedure, ed attiveranno positivi transfer degli apprendimenti. Creare un am-biente di apprendimento rispondente a canoni di didattica metacognitiva, in-fine, potenzierà lo sviluppo di una generazione di "buoni pensatori", che sa-pranno orientarsi in un panorama di vita in incessante e imprevedibile cam-biamento, che saranno efficaci risolutori di problemi e lifelong learners. Riferimenti Branchetti, L., Viale, M. Tra italiano e matematica: il ruolo della formulazione sintat-tica nella comprensione del testo matematica. Atti della Conferenza Quale didattica dell'italiano? Problemi e prospettive dell'insegnamento dell'italiano. Locarno- CH. Ottobre 2014 Castoldi M. (2011) Progettare per competenze Carocci, Roma, Castoldi, M., (2011) Progettare per competenze, Carocci, Roma. Dewey, J., Democrazia ed educazione, Firenze, La Nuova Italia. Maccario, D., (2006) Insegnare per competenze, SEI. Maccario, D., (2012) A scuola di competenze, Torino, SEI. Mctighe, J. & Wiggins, G. (2004) Fare progettazione. La “pratica” di un percorso didattico per la comprensione significativa. LAS, Roma. Pellerey, M. (2010) Competenze. Conoscenze Abilità Atteggiamenti. Tecnodid Edi-trice, Napoli. Pellerey, M. Unità 8 /DM Matematica. Sviluppo e didattica del pensiero matematico. Pesci, A. (1999) Suggerimenti per la ricerca della didattica in matematica per la pratica scolastica. Ed La Goliardica Pavese Polya, G. (1983) La scoperta matematica. Capire, imparare e insegnare a risolvere i Problemi. Feltrinelli.

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6 CLIL: UN ESEMPIO DI DIDATTICA ATTIVA IN MATEMATICA

6.1 La metodologia CLIL di Carla Circone CLIL è l’acronimo, in inglese, di Content and Language Integrated Learning, “apprendimento integrato di contenuto e linguaggio”. Tale termine, coniato da David Marsh (Finlandia) e Anne Maljers (Olanda) nel 1994, prevede l’ap-prendimento di contenuti di una disciplina non linguistica, in una lingua di-versa dalla propria, attraverso un’ampia, variegata e ricca gamma di efficaci strategie didattiche. Essa contempla un’educazione a duplice focalizzazione, che assegna la priorità all’argomento di studio, mentre la lingua straniera fun-ziona come veicolo di insegnamento e apprendimento sia del contenuto che della lingua (Coyle, Hood, Marsh, 2010). Gli obiettivi che la metodologia CLIL si pone possono essere così sintetizzati: Promuovere il multilinguismo;

­ Sviluppare competenze culturali e interculturali;

­ Attivare processi di innovazione metodologica;

­ Collegare l’apprendimento linguistico ad ambiti professionali speci-

fici;

­ Favorire il passaggio da una scuola delle conoscenze ad una scuola

delle competenze;

­ Rendere lo studente consapevole protagonista del proprio percorso

di apprendimento.

Per poter attuare efficacemente un percorso CLIL è necessario rivedere tutti

gli aspetti dell’ambiente di apprendimento CLIL.

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Esso, infatti, diventa un contesto di attività strutturate, “intenzionalmente”

predisposto dall'insegnante, in cui si organizza l'insegnamento affinché il pro-

cesso di apprendimento che si intende promuovere avvenga secondo le mo-

dalità attese. Ambiente che diventa “spazio d'azione” creato per stimolare e

sostenere la costruzione di conoscenze, abilità, motivazioni, atteggiamenti. In

tale “spazio d'azione” si verificano interazioni e scambi tra allievi, oggetti del

sapere e insegnanti, sulla base di scopi e interessi comuni, e gli allievi hanno

modo di fare esperienze significative sul piano cognitivo, affettivo/emotivo,

interpersonale/sociale, in una dinamica che li vede al centro del processo di

apprendimento. L’ ambiente CLIL permette processi cognitivi complessi con

il conseguente sviluppo delle thinking skills. Nella tassonomia di Bloom

(1956), rivista da Anderson e Krathwoohl (2001), le thinking skills includono

le LOTS (Low Order Thinking Skills) o abilità cognitive inferiori quali: ricor-

dare, ordinare, definire, controllare, manipolare e le HOTS (High Order

Thinking Skills) o abilità cognitive superiori quali: sviluppare, ragionare,

creare, valutare, ipotizzare. Secondo Vygotskij (1992), infatti, la cognizione è

un continuo andare e venire dal pensiero alle parole e viceversa, e, sebbene il

pensiero non possa sempre essere espresso in parole, queste permettono al

pensiero di manifestarsi. La questione linguistica in situazioni CLIL, quindi,

non si limita solo all’uso appropriato del lessico specifico (la microlingua) ma

investe, come già accennato, anche la sfera cognitiva dal momento che lo

studente usa la lingua per apprendere. L’insegnante CLIL dovrà interrogarsi

su quali strategie mettere in atto e quali supporti dovrà fornire nel discente

affinché questo avvenga.

Christiane Dalton-Puffer nel 2007 definisce il CLIL come “la somma aspira-

zione del Com¬municative Language Teaching e del Task-Based Learning

messi insieme”. In tal modo, la studiosa riconosce sia il ruolo cru¬ciale della

comunicazione autentica tra studenti ed insegnante rispetto al processo di

insegnamento/apprendimento linguistico e disciplinare, ma anche l’impor-

tanza del coinvolgimento esperienziale attivo degli studenti.

Il metodo TBL, infatti, si basa sul completamento di un'attività. Gli studenti

devono essere in grado di comunicare correttamente le loro idee e il linguag-

gio diventa uno strumento di comunicazione con cui completare il compito.

Il TBL consente agli studenti di concentrarsi sulla comunicazione reale, ren-

dendoli consapevoli dei loro bisogni e assumendo la responsabilità del pro-

prio apprendimento Invece di una struttura linguistica, in altre parole, agli

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studenti viene presentato un compito che devono svolgere o un problema

che devono risolvere. Ad esempio, dopo aver svolto alcune pre-attività che

comportano domande e l’utilizzo della terminologia specifica, (es. What is

this? This is an exponential function), gli studenti argomentano sulla funzione

in modo da descriverne le proprietà in modo esauriente, e, in una tale attività,

l'obiettivo della lezione è il compito, non la struttura. Solo quando l'attività è

stata completata l'insegnante discute la lingua che è stata usata, apportando

correzioni e aggiustamenti sulle prestazioni dello studente. Il modello meto-

dologico TBL proposto dall’ inglese Jane Willis si articola in tre fasi fonda-

mentali:

­ Pre-compito: introduzione all'argomento e all'attività

­ Compito: svolgimento e report delle attività

­ Approfondimento sull'analisi linguistica

Nella fase 1 (Pre-Task) l'insegnante esplora l'argomento con la classe e forni-sce tutti i supporti per poter svolgere il compito in modo proficuo; per esem-pio evidenziando parole e frasi utili. Il docente, in questa fase, controlla a distanza l’operato degli studenti. Nella fase 2 (Task Cycle) gli studenti svolgono il compito in piccoli gruppi. Dopo aver svolto il compito pianificano la modalità (scritto, orale, o ambe-due) con cui riferiranno alla classe gli esiti del compito, infine condividono con i propri compagni l’attività svolta, nella modalità precedentemente con-cordata. Nella fase 3 (Language Focus) gli studenti e l’insegnante esaminano e discu-tono gli aspetti linguistici e contenutistici del lavoro svolto. Il docente ha l’op-portunità per fornire un feedback sulla correttezza e appropriatezza dei con-tenuti e, con il contributo del docente L2, operare un focusing on form per lo sviluppo delle competenze linguistiche. La fase può anche rappresentare un momento in cui lo studente si auto-valuta e segna sul proprio diario le difficoltà linguistiche incontrate durante l’attività. L’insegnante della L2 usa questi appunti per formulare interventi atti a colmare gli aspetti carenti e quelli che registrano particolari difficoltà. Per quanto concerne la difficoltà del task, essa può essere calibrata tenendo conto delle caratteristiche del gruppo classe, il che faciliterebbe lo sviluppo tanto della fluency quanto della consapevolezza della forma linguistica. Anche se l’utilizzo di tale metodo è ritenuto da alcuni non sempre ottimale, perché alla ricerca di scioltezza può seguire la perdita di accuratezza gramma-ticale, abbassando il livello di apprendimento, esso rimane tuttavia una stra-tegia di successo in varie tipologie di corsi linguistici. La sua efficacia è po-tenziata se all’interno del gruppo classe ci sono condizioni positive per un

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apprendimento di successo come una giusta atmosfera, che include un basso livello di “filtro affettivo” (Krashen, 1982). Per conseguire il triplice obiettivo dell’apprendimento di contenuti, della lin-gua L2, e di sviluppare life skills, il docente CLIL deve utilizzare un partico-lare approccio integrato. Deve dedicare attenzione speciale non solo all’inse-gnamento linguistico, ma anche al processo educativo e agli strumenti con cui costruire competenze nella generazione dei nativi digitali. La didattica del docente CLIL è basata sulle teorie socio-costruttiviste, secondo le quali l’ap-prendimento avviene in un contesto sociale, si fonda sull’interazione con gli altri, è significativo in un ambiente di apprendimento autentico e prevede al centro del processo lo studente. Se il discente è soggetto attivo nel processo di apprendimento, il docente agisce da catalizzatore di idee, da guida per creare strutture logiche e affinare le abilità cognitive e da modello per co-struire un personale metodo di studio e di apprendimento. Nel progettare e nel realizzare la lezione CLIL si inseriscono attività indivi-duali e di gruppo che coinvolgono attivamente gli alunni in “compiti” più o meno complessi; si struttura la lezione in modo da ridurre il tempo della le-zione frontale, o in genere il tempo in cui “agisce” il docente, per dare spazio agli alunni, ad esempio più tempo per parlare e porre domande, per svolgere attività di tipo cooperativo. Si privilegia il metodo scientifico induttivo, per cui il discente, partendo da un caso reale, osserva, riflette e propone ipotesi esplicative, per poi giungere alla generalizzazione e formalizzazione dei concetti; si finalizza l’apprendi-mento all’acquisizione di una o più competenze, affidando ai ragazzi un pro-getto da realizzare a fine modulo. Momento cruciale nella progettazione della lezione CLIL è il reperimento, la scelta e la preparazione del materiale CLIL, che sia adatto non solo alle abilità cognitive ma anche e soprattutto alle reali competenze linguistiche dello stu-dente, ricordando che la lingua veicolare non deve essere mai un ostacolo per la comprensione dei contenuti. Fondamentale, inoltre, è il coinvolgimento degli studenti nell'apprendimento attivo, corresponsabili del proprio apprendimento. Compito dell'insegnante è quello di favorire il cooperative learning, organizzando e adattando i mate-riali per lavori di coppia e di gruppo. . Considerato che la finalità di un efficace processo formativo è l’autonomia dell’apprendimento di conoscenze e contenuti da convertire in competenze e da applicare a problemi complessi, una possibile metodologia è rappresen-tata dalle Scaffolding Strategies, ovvero strategie che accompagnano lo stu-dente, progressivamente, verso una padronanza della competenza linguistico-disciplinare, attraverso la costruzione via via sempre più autonoma del pro-prio sapere, saper essere, saper fare. I discenti, se opportunamente assistiti, possono raggiungere obiettivi con

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maggiore sicurezza e in minor tempo, finché non sono in grado di effettuare le stesse attività senza aiuto e con maggiore consapevolezza “What the lear-ners can do today with support, they can do alone tomorrow” (Vygotsky, 1978). Tra le attività di “scaffolding” rientrano le ICT (Information communication technologies), come strategie di comunicazione non verbale, quali video in lingua originale, animazioni, presentazioni in power point che permettono un ampio utilizzo di immagini, animazioni, “visual organisers”, che integrano e sostengono la lezione frontale, attivando la memoria visiva e l’apprendimento attraverso le immagini, canali di comunicazione privilegiati dalle nuove gene-razioni. La sovrapposizione di più canali comunicativi permette anche la ri-formulazione di concetti, descrizioni, sequenze, creando un effetto sinergico che stimola le abilità cognitive e l’efficacia del processo di apprendimento e rendendo gli alunni maggiormente protagonisti dei processi di insegna-mento/ apprendimento. L’utilizzo quindi delle ICT in un contesto in cui l’insegnante CLIL già pro-pone attività stimolanti, giocose e operative in cui si ricostruiscono ambienti interattivi idonei a favorire la comunicazione, non fa altro che migliorare le competenze linguistiche del singolo, divertendosi allo stesso tempo. L’apporto della lezione frontale rimane fondamentale in più momenti: nella fase introduttiva, per fornire le informazioni di base e i contenuti essenziali e per dare le “consegne” agli alunni sul compito da svolgere. In un momento successivo, gli alunni dovranno essere orientati sulla scelta e l’attendibilità dei siti, cercando di far sviluppare loro un senso critico. Infine, per assicurarsi che il prodotto digitale abbia realmente una valenza formativa, è importante prevenire le “trappole” del web, come la tentazione di copiare e riciclare altri lavori, assegnando compiti specifici e monitorando il lavoro svolto. La valutazione tradizionale, in cui le prestazioni sono semplicemente misu-rate attraverso un punteggio, non è appropriata alla metodologia CLIL, dove sia il contenuto che il linguaggio devono essere misurati e le attività da svi-luppare sono per lo più attività in uno specifico campo. La valutazione di compiti specifici può essere collegata a ciò che viene chiamato valutazione autentica. Dal momento che si tratta di una didattica per competenze, la valutazione riguarderà non tanto la pura acquisizione dei contenuti, quanto il processo che ha portato ad apprendere tali contenuti e le relative competenze come lo sviluppo e l’utilizzo delle abilità cognitive, l’atteggiamento sia individuale che all’interno del gruppo, l’interesse e l’impegno. Per quanto riguarda le compe-tenze linguistiche, si valuta principalmente l’uso della lingua come funzionale alla comunicazione del contenuto accademico, quindi specialmente l’uso del vocabolario specifico, delle funzioni comunicative e la fluency nell’intera-zione con gli altri, mentre un minor peso verrà dato all’aspetto formale del linguaggio, onde evitare che ciò possa penalizzare la valutazione integrata

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delle altre competenze (Quartapelle, 2012). Gli strumenti più appropriati per valutare le competenze integrate in modo autentico i compiti disciplinari sono le rubriche di valutazione. I vantaggi nell'utilizzare le rubriche per valutare studenti e insegnanti sono:

­ fornire feedback a insegnanti e studenti; ­ rappresentare una guida per studenti e insegnanti, molto più esplicita

di un solo punteggio numerico; ­ rendere la valutazione più obiettiva e coerente; ­ ridurre il tempo impiegato dagli insegnanti per valutare gli studenti.

Tutto ciò è particolarmente utile nell’ambito della metodologia CLIL, dove l'apprendimento deve essere supportato nelle sue componenti e gli studenti guidati verso la consapevolezza delle loro acquisizioni. Inoltre in ambiente CLIL il concetto di valutazione si estende con l’autova-lutazione e la valutazione tra pari. Lo studente/attore del processo di inse-gnamento/ apprendimento, e responsabile della personale acquisizione delle proprie conoscenze e competenze, sarà anche coinvolto nel momento della valutazione, che diventa così autovalutazione o valutazione tra pari. Ciò implica un’ulteriore abilità da sviluppare, una sorta di “educazione” alla valutazione, che ha inizio rendendo gli studenti consapevoli degli obiettivi che sono chiamati a raggiungere, chiarendo i compiti che devono portare a termine e le competenze che devono sviluppare. L’ambiente CLIL potrebbe quindi aiutare a superare lo stereotipo della “va-lutazione” come valutazione sommativa, effettuata da un docente/giudice, presentandola non come un ostacolo da evitare, ma piuttosto come una pos-sibilità per sviluppare autonomia nel giudizio critico, sottolineando i propri punti di forza e di debolezza. I benefici della valutazione tra pari consistono nell’incoraggiare l'autonomia degli studenti, nello sviluppare un giudizio critico giudicando il lavoro degli altri, nell’acquisizione di un senso di appartenenza al processo di valutazione, migliorando così la motivazione, nell’imparare a valutare realisticamente i loro successi personali e quelli dei loro coetanei (lifelong learning) e nel mi-gliorare lo sviluppo delle competenze chiave (pensiero critico, comunica-zione, auto-motivazione, gestione del tempo). Si incontrano, tuttavia, anche alcuni problemi, come la riluttanza di uno o più studenti a partecipare al pro-cesso, l’avversione generale nel valutare / giudicare gli amici, i conflitti di carattere, la mancanza di capacità valutative e di accuratezza della valutazione dei pari. Chiaramente, i benefici sono più degli svantaggi, perché la valuta-zione tra pari fornisce una panoramica dei risultati di apprendimento indivi-duali, informazioni per la valutazione del programma di insegnamento, una strategia di insegnamento arricchente che coinvolge gli studenti nel loro ap-prendimento, nonché ulteriori informazioni al fine di pianificare l'insegna-mento e l'apprendimento per incontrare i singoli bisogni dello studente. Il beneficio principale è consentire agli studenti di diventare consapevoli dei

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loro punti di forza e delle aree che necessitano miglioramento.

6.2 Dal progetto alla pratica di Aurora Marciano Il modulo presentato “Exponential function”, è stato realizzato in una terza classe di Liceo Scientifico della provincia di Napoli. Il gruppo classe risulta possedere, mediamente, competenze di tipo B1 del Quadro Comune di Rife-rimento Europeo, ed è al primo anno di sperimentazione CLIL. Le aule dell’istituto risultano dotate di Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) e col-legate ad un dispositivo integrato all-in-one (computer e touch-screen), do-tato di altoparlanti e collegamento ad Internet. La pianificazione di un modulo CLIL è il cuore pulsante dell’attività didattica CLIL. Essa deve promuovere 4 fondamentali capisaldi educativi, riassunti con la sigla “le 4C”, che secondo il modello di Do Coyle, risultano essere:

­ Content – scelta del contenuto; ­ Cognition- sviluppare le capacità cognitive (thinking skills); ­ Communication - agevolare la comunicazione in lingua, in tutte le

sue forme; ­ Culture - promuovere la conoscenza e lo scambio tra culture diverse.

La pianificazione di un modulo CLIL ne delinea le fasi in maniera puntuale e sequenziale, precisando quali dovranno essere i risultati di apprendimento, cosa gli studenti dovranno conoscere e cosa dovranno saper fare, quali com-petenze padroneggeranno singolarmente e nei lavori di gruppo, con quali modalità saranno valutati. A tal fine, prima di formulare il nostro percorso di progettazione, ci siamo chieste:

­ quali materiali possono contenere l’input necessario ed essere coin-volgenti ed avvincenti?

­ attraverso quali attività, lingua e contenuto potranno integrarsi? ­ come verificheremo che gli obiettivi sono stati raggiunti? Attraverso

quali strumenti? Dalla condivisione di idee, perplessità e ipotesi di soluzione sono scaturite le nostre scelte di contenuto, obiettivi, metodologia operativa, strumenti e mo-dalità di verifica. Le competenze che si intendevano sviluppare erano le seguenti:

­ Competenze chiave per l’apprendimento permanente ­ Comunicazione nelle lingue straniere (inglese) ­ Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnolo-

gia ­ Competenza digitale ­ Imparare a imparare ­ Competenze di cittadinanza ­ Comunicare ­ Risolvere problemi

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­ Individuare collegamenti e relazioni ­ Acquisire e interpretare l’informazione ­ Competenze disciplinari ­ Rappresentare graficamente fenomeni e interpretare grafici ­ Esplorare situazioni problematiche, porsi e risolvere problemi e co-

struire modelli di situazioni reali ­ Utilizzare strumenti informatici di rappresentazione geometrica e fo-

gli di calcolo. L’approccio CLIL ha il duplice obiettivo di far acquisire competenze in una disciplina e nella lingua non materna attraverso la quale è veicolata. Conse-guire questo duplice obiettivo richiede lo sviluppo di un approccio integrato di insegnamento e apprendimento con un’attenzione speciale al processo educativo più generale. Il CLIL è una metodologia di apprendimento dove l’incremento di competenza linguistica in L2 avviene attraverso l’insegna-mento di una o più discipline con modalità didattiche innovative. Queste me-todologie prevedono che lo studente sia attore protagonista della costruzione del proprio sapere: l’apprendimento del contenuto (inter) disciplinare diventa l’obiettivo principale e l’acquisizione di maggiori competenze comunicative in L2 una conseguenza. Inoltre viene sottolineata l’importanza del digitale: “lo studente utilizza le nuove tecnologie per fare ricerche, approfondire ar-gomenti di natura non linguistica, esprimersi creativamente e comunicare con interlocutori stranieri.” Il modulo si basa su un approccio prevalentemente di tipo flipped classroom: vengono proposte attività stimolo e linee guida di lavoro da cui lo studente può partire per costruire i concetti in modo perso-nale e consapevole (da designed-knowledge a redesigned -knowledge). Sono privilegiati l’apprendimento per scoperta e il learning by doing. L’attenzione degli studenti è stata focalizzata sulla crescita esponenziale. Come prima attività è stato proposto un brainstorming sul concetto di cre-scita esponenziale. Le varie risposte sono state raccolte su un Padlet. Successivamente è stato proiettato un filmato che poneva la seguente do-manda: quante volte bisogna piegare un foglio di carta per raggiungere la Luna?. How many times can you fold a piece of paper to get to the Moon? La risposta (solo 45 volte) di solito lascia gli studenti stupefatti. Anche qui si richiede di utilizzare il foglio di calcolo per determinare quante piegature oc-corrono per raggiungere il Sole. Le domande poste hanno lo scopo di far riflettere su come si possano descrivere situazioni differenti utilizzando lo stesso modello. Successivamente è stato proposto un lavoro di gruppo sulla crescita esponenziale sui seguenti temi:

­ epidemics, ­ legend about the birth of chess games, ­ quotes, proverbs, literary works, etc., ­ populations and demographic growth.

Gli studenti al termine della ricerca, dovevano produrre un artefatto da

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esporre poi in classe. Successivamente è stato introdotto anche il concetto di decadimento esponenziale. A conclusione del modulo, il gruppo classe ha realizzato un prodotto power point, di cui si riportano qui di seguito alcune slides.

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6.3 Riflessione sull’esperienza CLIL di Antonietta Sorrentino

L'insegnante CLIL introduce approcci innovativi di insegnamento e ap-prendimento, incoraggia l'apprendimento cooperativo e l'autovalutazione. Il progetto CLIL, dunque, dà a noi docenti e ai nostri studenti la grande oppor-tunità di prendere parte al rinnovamento e al miglioramento della didattica. La classe CLIL diventa un laboratorio per sperimentare nuove idee e strate-gie, visto che il denominatore comune del CLIL è integrare, creare sinergie, stimolare attraverso diversi canali il coinvolgimento e l’apprendimento dell’alunno.

Lavorando per piccoli segmenti di competenze, le difficoltà emergono immediatamente e forniscono informazioni per modulare l’attività didattica

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e modificare o, eventualmente, cambiare strategia. Questo non significa che l’ambiente CLIL sia un luogo dove procedere a

tentoni o improvvisare, anzi, le lezioni prevedono un’accurata progettazione, vista la necessità di integrare più strategie e portare avanti più obiettivi.

Proprio l’esigenza della pianificazione rende indispensabile valutare in modo obiettivo i punti di forza e i punti di criticità dell’esperienza sul campo appena conclusa. Solo così potrà diventare una “buona pratica”, riproponi-bile nello stesso o in altri contesti, influendo positivamente sugli obiettivi, sul programma e persino sui libri di testo.

Le nostre considerazioni convergono sul punto di forza innegabile rap-presentato dall’integrazione di competenze linguistiche, disciplinari, cognitive e tecnologiche.

Riguardo i fattori limitanti, il primo da considerare è il fattore tempo, dal quale non si può sfuggire, all’interno dell’organizzazione didattica, così come strutturata in Italia. In un orario settimanale non flessibile, durante il quale si deve provvedere all’insegnamento dei contenuti disciplinari, il docente non può esimersi dalla responsabilità di svolgere i contenuti specifici (il cosiddetto programma), di raggiungere realmente gli obiettivi didattici e di far fronte ai momenti “istituzionali” della verifica e della valutazione. Per arginare questo problema, l’organizzazione del lavoro didattico da parte del docente è essen-ziale, per ottimizzare i tempi e rendere il tempo di lezione efficace e produt-tivo.

Tutto questo va in contrasto con quanto previsto dalla progettazione del modulo CLIL, nella quale bisogna fornire i giusti tempi richiesti sia dall’uso della seconda lingua, che dal maggior coinvolgimento degli studenti, ad ognuno dei quali bisogna dare i “tempi” per svolgere le attività.

Un serio punto critico, che riflette uno scenario tipicamente italiano, è il livello estremamente eterogeneo di competenze linguistiche che si rileva tra gli studenti, per cui nella classe CLIL di una scuola secondaria di secondo grado ci possono essere anche elementi con livello A2. D’altra parte è noto che l’intento del CLIL non è quello di essere riservato ad un élite di studenti, ma proprio di appianare le differenze linguistiche e superare la barriera della lingua. Ma è anche vero che, se la lingua rappresenta una barriera troppo elevata, anche gli altri obiettivi in termini di competenze disciplinari e abilità cognitive e trasversali, finiscono per essere penalizzati e non raggiunti.

Una possibile soluzione potrebbe essere l’introduzione di corsi discipli-nari in metodologia CLIL, abbinati ad attività di consolidamento e migliora-mento dei livelli linguistici, tra le attività di potenziamento previste dalla legge 107/15.

Nella nostra azione didattica abbiamo potuto sperimentare che non solo il discente è protagonista attivo e responsabile del proprio apprendimento, come prevede la logica CLIL (modalità Lerner-centred), ma anche il docente, più di quanto possa fare nella sua pratica ordinaria, è attivatore consapevole

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delle diverse strategie che sollecitano le abilità degli alunni. La necessità di pianificare in maniera minuziosa e puntuale ogni singola attività di tutte le tipologie, la non facile ricerca di materiale ad hoc o il suo adattamento, la verifica con la relativa calibrata valutazione comportano uno sguardo attento sul percorso di crescita dei discenti, sia dal punto di vista dei contenuti che della lingua che in termini di capacità di interazione e collaborazione. A que-sto proposito abbiamo constatato l’efficacia dell’apprendimento collabora-tivo: abbiamo visto i nostri studenti negoziare i significati e interagire in ma-niera critica e personale, li abbiamo visti crescere nel confronto e nel dialogo con l’altro.

A conclusione possiamo affermare che l’esperienza fatta porta a riflettere su alcuni aspetti fondamentali. Necessità di programmare attentamente il percorso, bilanciando attività di cooperative learning con momenti di lezione trasmissiva per fissare i concetti su cui costruire le successive attività. Importanza di usare strutture morfo-sintattiche lineari, senza articolazioni lo-giche complesse ed eccessive ridondanze, proprio per non creare un carico cognitivo eccessivo: cercare cioè di comprendere concetti matematici mentre si cerca, nello stesso tempo, di districarsi con la lingua veicolare utilizzata. Proposta di compiti di realtà, cioè problemi da risolvere che possano far com-prendere meglio agli studenti la valenza della matematica nella vita quoti-diana, spogliandola di quell’astrattezza, pur necessaria in fase di sintesi, che allontana lo studente dalla disciplina. Utilizzo di risorse accattivanti come video, giochi didattici, quiz interattivi… Progettazione di attività che promuovano l’attivismo pedagogico, dove allo studente venga richiesto di mettersi in gioco in prima persona, sia per ap-prendere, sia per produrre artefatti. Last but not least è necessario prestare attenzione all’organizzazione della fase espositiva: lo studente deve a priori conoscere le modalità di come effettuare la sua performance e le competenze per le quali sarà valutato: livello cognitivo (matematica), competenza lingui-stica (fluency, accuracy…), competenza digitale (se produce un artefatto di-gitale). Promozione dell’uso del digitale per costruire lezioni, attività e artefatti mul-timediali, non solo perché media graditi agli studenti, ormai grandi utilizzatori di tecnologie, ma soprattutto in una logica di tesaurizzazione delle risorse, condivisione, possibile loro riutilizzo, adattamento e miglioramento per con-testi diversificati, sia di nuove proposte formative per corsi di recupero e/o approfondimento. CLIL è per noi una sfida, ma anche desiderio di mettersi in gioco, opportunità per crescere professionalmente e umanamente, in una dinamica duttile che si rinnova in maniera consapevole. Riferimenti

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CAPITOLO 7 STRATEGIE E MECCANISMI PER TENERE ALTA

LA PARTECIPAZIONE DELLO STUDENTE ALL’AT-TIVITÀ DIDATTICA

7.1 L’allievo al centro del proprio percorso formativo di Luisa Sca-rano Nel processo di insegnamento/apprendimento della matematica non è pro-blematico stabilire cosa e come insegnare ma come creare le condizioni af-finché l’alunno sia messo in condizione di costruire il proprio bagaglio di competenze, utilizzabili in ogni situazione anche esterne alla matematica, e non di “futili” conoscenze. L’insegnante cerca di tenere desta l’attenzione dei propri alunni attraverso una metodologia adeguata, sa coniugare attività di progettazione, programmazione, valutazione con attività di motivazione, ani-mazione, gratificazione degli alunni e di gestione della classe. Tiene conto della specificità di ogni alunno che è il vero protagonista del sistema insegna-mento-apprendimento, non ha modelli fissi a cui ispirarsi ma possiede un metodo duttile da adattare alle esigenze formative dei singoli studenti e alle particolari capacità. Guidare lo studente verso un apprendimento autonomo è lo scopo principale dell’attività di insegnamento perciò una metodologia didattica corretta deve partire sempre dall’alunno, cioè dalla sua situazione di partenza, quindi dai prerequisiti in relazione ad alcuni contenuti disciplinari da apprendere e infine dalle conoscenze pregresse sulle quali innestare le nuove. In tal modo si renderà l’apprendimento significativo per l’alunno poi-ché si partirà dai suoi interessi, dai bisogni formativi, dalla realtà socio-cultu-rale in cui vive, mantenendo così alto il livello motivazionale e l’interesse.

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Interagendo con l’alunno, l’insegnante analizza il suo modo di pensare e quali strategie risolutive sta usando per risolvere il compito propostogli, si accorge di cosa l’allievo è in grado di fare da solo o di cosa e quanto potrebbe fare se aiutato da lui nella ricerca della soluzione. Prima di proporre un’attività, un problema da far svolgere ai propri alunni, l’insegnante si chiede quali siano gli strumenti a disposizione degli allievi per risolverlo, con quali difficoltà lo affronta e come organizzare il lavoro in classe. Si preoccupa soprattutto di prestare attenzione ai comportamenti che gli allievi mettono in atto, di discu-tere su cosa loro si aspettano di dover fare nelle diverse circostanze e di dare chiarimenti sulla varietà di comportamenti utili per affrontare i compiti pro-posti (ricordare, riflettere, progettare, esplorare ecc…). Questa analisi dà all’insegnante la possibilità di operare scelte relativamente alle competenze da sviluppare o rinforzare, consentendo di individuare quelle attività che, nel rispetto dei diversi stili cognitivi, sono alla base del pensiero matematico degli allievi. Tutto ciò che l’insegnante deve comunicare deve essere contestualiz-zato, il suo compito cioè è quello di adattare il sapere alla realtà del proprio gruppo classe. Un buon insegnante stimola nell’allievo la volontà di farsi ca-rico del processo di costruzione della propria conoscenza affinché arrivi ad implicarsi nell’attività che gli viene proposta. L’ intervento del docente si ma-nifesta con la presentazione all’allievo di situazioni e compiti scelti con cura, in modo che lui possa capire e avviare tentativi di risoluzione utilizzando co-noscenze che già possiede. E’ necessario che il docente ponga l’attenzione sul lavoro dello studente con un focus sui modi di pensare dello studente piut-tosto che sulla valutazione del risultato finale, non solo l’insegnante deve es-sere visibile agli studenti ma anche l’imparare deve essere visibile all’inse-gnante. Più lo studente diventa il docente e più il docente diventa lo studente maggiore è la possibilità di successo dell’apprendimento. Creando un clima aperto e di collaborazione, il docente può invitare gli studenti a porsi do-mande su ciò che si sta studiando e a cercare risposte, da soli e anche con-frontandosi con i compagni, senza sanzionare risposte sbagliate, ma piuttosto aiutandoli a capire perché hanno risposto in quel modo e fornendo loro in-dicazioni per arrivare a quella corretta. Ispiriamo dubbi, sollecitiamo le con-getture, le dimostrazioni: la realtà attraverso la lente della matematica diventa un caleidoscopio di proposte. In questo modo favoriamo anche una lettura razionale della realtà stessa, in cui i concetti affrontati si trasformano man mano in possibilità di interpretazione, diventano strumenti nelle mani dei no-stri studenti. Insegnare a pensare con la propria testa e a non accontentarsi della risposta più semplice è uno degli obiettivi forse il più importante che ci dobbiamo prefiggere. Quando l’allievo affronta il compito è giusto che l’in-segnante non intervenga, non dia indicazioni su come risolvere il problema in modo che l’allievo arrivi a costruire una conoscenza in maniera “auto-noma” e “personale” diventando così protagonista nella costruzione del

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“proprio sapere”. Credo fermamente che per conquistare l’attenzione e l’in-teresse degli studenti bisogna presentare la matematica con approcci accatti-vanti, pratici, interattivi, che li attirino e li affascino. L’allievo deve avere con-tinuamente occasione di pensare, di parlare, di operare, di fare, di evolvere spontaneamente, con le sue reazioni positive o negative che siano, verso un potenziale nuovo “sapere”.

7.2 L’elemento ludico e la motivazione: quando il problema ma-tematico può diventare gioco di Silvana Molaro

Come per il problem-solving anche il gioco si configura come un potente strumento didattico capace di trasformare gli studenti da annoiati ripetitori di definizioni e teorie e meccanici esecutori di algoritmi, in menti capaci di pa-droneggiare in modo creativo gli strumenti matematici. Permette di impre-ziosire ed arricchire il bagaglio formativo degli allievi e di perseguire obiettivi difficilmente coniugabili con la normale prassi didattica. Uno fra i tanti aspetti che rende ostico l’apprendimento della matematica è il linguaggio: la difficoltà risiede nel fatto che esso non ammette ambiguità, è lontano da quello comune e dalla realtà che ci circonda e non coinvolge emotivamente. Attraverso il gioco si supera questo “gap” tra matematica e realtà perché si predilige un linguaggio extramatematico: il gioco estende il vocabolario della matematica, popolandola accanto a numeri e lettere, triangoli anche di oggetti, di figure, di aneddoti, di paradossi, gettando un ponte tra gli aspetti rigorosamente teo-rici e formali e gli ambiti concreti di applicazione. Questi oggetti extramate-matici colpiscono la fantasia, favoriscono un coinvolgimento della sfera emo-tiva del soggetto, e questo ha un esito positivo sul piano dell’apprendimento e della motivazione. Cimentandosi su un problema o un gioco l’allievo di-venta il protagonista di un processo mentale, lo scopritore, l’inventore della soluzione; questo influisce notevolmente sulla sua motivazione, oltre che sul livello di attenzione e sulla qualità dell’apprendimento. Affidando un pro-blema o un gioco agli allievi, l’insegnante cede loro la responsabilità di una situazione, permette cioè la devoluzione della situazione (situazione a-didat-tica): quello che si cerca, quindi, non è tanto la soluzione in sé ma il modo per arrivare ad essa, il procedimento risolutivo. Ciò che, infatti, caratterizza il problem-solving e il gioco rispetto ai tradizionali esercizi è l’assenza di un algoritmo definito o di uno schema di comportamento; quello che si cerca, quindi, non è tanto la soluzione in sé ma il modo per arrivare ad essa, il pro-cedimento risolutivo. Generalmente, invece, facendo uso di formule o algo-ritmi predefiniti la responsabilità dell’allievo si riduce all’esecuzione accurata e pedissequa. L’alunno, però, talvolta è disorientato da questa libertà e inde-terminazione; per lui è più comoda la classica lezione frontale, la dimostra-zione da imparare, l’esercizio con algoritmo risolutivo predefinito. Tutto ciò dipende molto dallo stile cognitivo di ciascun allievo: c’è chi preferisce creare,

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autoregolarsi, stupirsi, scoprire e chi invece cerca una ricetta pronta da ese-guire diligentemente e con maggiore garanzia di successo. Da parte del do-cente è importante da un lato rispettare e valorizzare gli stili individuali, dall’altro impedire che essi si radicalizzino, facendo sì che gli allievi sappiano affrontare le diverse situazioni; si possono creare di volta in volta situazioni problematiche, anche sotto forma di gioco, da cui far scaturire le idee mate-matiche. Il problema e il gioco possono essere utilizzati come sorgente da cui far nascere idee per introdurre concetti teorici; non si tratta della applicazione del problema, ma di porre una questione a partire dalla quale possa nascere una congettura. I problemi e i giochi possono essere impiegati per far emer-gere i modelli spontanei e gli errori degli allievi; essi possono cioè essere strut-turati in modo da evidenziare e nello stesso tempo mettere in crisi i vari mi-sconcetti per poter così intervenire su di essi. Esistono diversi giochi celebri relativi ad aspetti del pensiero matematico rilevanti dal punto di vista didat-tico (ad esempio la torre di Hanoi). Il gioco contribuisce a suscitare interesse nei riguardi del pensiero matematico proprio perché rende visibili i tentativi, gli errori, che conducono alla formalizzazione dei concetti e delle relazioni fra essi. Alla luce di quanto espresso ho pensato ad un intervento che avesse come fine lo svolgimento dell’unità didattica sulle equazioni lineari e che avesse come mezzo il gioco proprio per mostrare agli alunni un lato concreto e anche un po’ giocoso delle equazioni. Il mio intervento si colloca in una classe terza che ho conosciuto quest’anno composta da alunni poco motivati. La prima lezione è iniziata dunque con la presentazione di un gioco tratto da una rivista di giochi enigmistici, logici e matematici (BrainTrainer): la “som-miramide” consistente in un piramide con una base di sei caselle sormontata da una fila di cinque e così via fino alla cima composta da un’unica casella. Nelle caselle sono inseriti dei numeri e l’unica regola è che il valore presente in ognuna sia la somma dei due numeri sottostanti. Lo scopo del gioco è completare la piramide inserendo i numeri mancanti. In alcune caselle ab-biamo inserito delle lettere, A,B,C con il solo scopo di indicarle più facilmente durante la spiegazione della soluzione.

Ho distribuito agli alunni un foglietto a testa contenente il gioco ed ho

lasciato loro 10 minuti per risolverlo procedendo con tentativi spontanei. Questa prima fase è stata molto interessante in quanto mi ha permesso di capire quali strategie mettono in atto i ragazzi davanti ad un problema total-mente nuovo. Passati i dieci minuti ho chiesto agli alunni quale fosse la solu-zione e come avevano fatto a trovare tale risultato, ho speso i successivi 10 minuti nell’ascoltare i vari metodi risolutivi dei ragazzi. Quasi tutti hanno ri-solto il problema ma per lo più andando a tentativi o al contrario usando calcoli molto complessi ed inutili. Hanno cominciato col cercare il numero da inserire nella casella A. Qualcuno comunque si è avvicinato all’idea della soluzione ottimale ma ha commesso degli errori; altri ragazzi hanno proposto

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a questo punto di mettere delle lettere nelle caselle vuote, discutendo e fa-cendo un po’ di prove gli alunni stessi hanno concluso che l’idea migliore era quella di posizionare delle lettere nella linea di caselle alla base e poi “portarle su” tramite la somma. Hanno scelto n, in B hanno inserito 4+n e in C 3+n, dopodiché, sommando il contenuto della casella B e della casella C si ottiene 4+n+3+n= 11da cui si ricava facilmente che n=2 (e di conseguenza che in B avremo 6 e in C avremo 5). Complessivamente questa lezione può pensarsi suddivisa in due parti: nella prima la metodologia è quella del lavoro di gruppo, ho visto i ragazzi lavorare bene, con grande entusiasmo forse dovuto alla competizione o alla forma giocosa con cui è stato presentato l’argomento. Nella seconda parte invece il metodo utilizzato è stato quello della lezione dialogata, ho cercato di far partire il tutto dai ragazzi stessi, dalle loro proposte e dalle loro domande creando una lezione interattiva e per niente imposta dall’alto.

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8 IMPARARE LA MATEMATICA IN UN CONTESTO LABORATORIALE

8.1 L'alunno al centro dell’attività di insegnamento - apprendi-mento di Teresa Boccia L’insegnamento tradizionale – improntato sulla trasmissione di contenuti di-

sciplinari attraverso la cosiddetta lezione frontale e ridotto per lo più a una

sorta di “consegna” di risultati preconfezionati – non fornisce stimoli ade-

guati alla costruzione consapevole delle conoscenze e conduce perciò ad una

comprensione concettuale non sempre radicata. E’ interessante quanto la-

mentava Bruno de Finetti nel 1965: «Posso credere una cosa senza capirla: è

tutta questione di addestramento! Questa frase (…) mi torna sempre in

mente, come una sensazione paurosa di sconforto, perché mi sembra esprima

integralmente la fondamentale e chissà quanto eliminabile stortura che sta

effettivamente, anche se non dichiaratamente, alla base di tutta l’imperver-

sante concezione della didattica tradizionale: abituare a imparare e credere

senza capire».

Gli esiti scolastici generalmente insoddisfacenti in matematica non possono

non farci interrogare sulla necessità di cambiamento nella didattica di questa

disciplina. La ricerca didattica evidenzia da tempo che il suo insegnamento

deve avvenire in modo attivo, cioè con la partecipazione diretta e costruttiva

dell’alunno. L’esperienza dell’apprendere – fondamento dell’esperienza sco-

lastica – risulta, infatti, significativa solo quando le nuove informazioni en-

trano in relazione con i concetti preesistenti in modo da essere integrate nella

rete di conoscenze.

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Va rilevato che all’apprendimento concorrono non solo aspetti intellettivi ma

anche sociali ed emotivi. Anzitutto la percezione di sé e dei compiti di ap-

prendimento, il proprio giudizio in relazione alle possibilità di successo o di

fallimento, può favorire o limitare il pensiero e l’elaborazione delle informa-

zioni. D’altra parte l’apprendimento non avviene nel vuoto di relazioni con

altri: le influenze dell’interazione sociale possono giocare un ruolo importante

su alcune variabili quali la motivazione, l’orientamento al compito da svol-

gere, i modi di pensare. Lo stesso termine apprendimento, da ad-prendere,

implica un “venire” per giungere alla conoscenza e, quindi, suggerisce una

sorta di movimento, una partecipazione in prima persona. Il vero apprendi-

mento deriva, dunque, da un coinvolgimento, da esperienze che spingano ad

“esserci”, generatrici di riflessione personale fino ad una presa di posizione

ed alla costruzione di un proprio punto di vista.

Negli anni Ꜥ60, il matematico e psicologo Z. P. Dienes intitolò una sua opera

Building up Mathematics (Costruiamo la matematica), scrivendo nell’intro-

duzione: “… vorremmo che per quel che riguarda la matematica l’accento

battesse non tanto su “l’insegnamento” quanto su “l’apprendimento”, non

tanto sulle nostre esperienze quanto su quelle dei ragazzi, in pratica che ci si

spostasse dal nostro mondo al loro mondo…”. E’ l’esperienza diretta degli

studenti ad assumere, dunque, un ruolo chiave: il compito del docente avrà

inizio col tracciare adeguati percorsi di apprendimento attraverso la scelta di

situazioni problematiche che richiedano una attiva manipolazione – fisica o

intellettuale – partendo proprio dal loro “agire”, sviluppando le capacità di

mettere in stretto rapporto il “pensare” e il “fare”. E’ il metodo della ricerca-

azione: l’aula si trasforma in un laboratorio di ricerca, luogo di consapevo-

lezza nella direzione della competenza chiave imparare ad imparare. Natural-

mente sarà una gestione dell’attività in classe ben strutturata a permettere di

sviluppare in modo efficace il percorso.

In un documento della Association of teachers of mathematics, pubblicato

in Italia nel 1973 sulla rivista L’insegnamento della matematica si legge: “Sic-

come la matematica è fatta dagli uomini ed esiste solo nelle loro menti, essa

deve essere fatta o rifatta nella mente di ogni persona che l’apprende. In que-

sto senso la matematica può esser appresa solo creandola”. E’ la matematica

come reinvenzione guidata di Hans Freudenthal, per il quale “Il valore che si

attribuisce ai discenti come esseri umani determina il modo in cui ci si aspetta

che essi imparino la loro matematica: con libertà oppure da schiavi, guidati

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oppure imbrigliati”. Un ruolo di primo piano spetta, senza alcun dubbio, alla

comunicazione per costruire la conoscenza attraverso la verbalizzazione

(orale e scritta) – quale processo strettamente connesso al pensare, al com-

prendere, al condividere e al rivedere significati – nell’ambito dell’interazione

sociale e della collaborazione tra compagni. Nel seguire un consapevole filo

conduttore, la guida del docente implicherà la ricerca di un equilibrio con la

libertà degli alunni al fine di offrire loro opportunità adeguate. Egli si limiterà

dapprima ad osservare ed ascoltare, distogliendo solo in un secondo mo-

mento da una via poco significativa e orientando su vie aperte. Tale dinamica

laboratoriale consente di fare uscire allo scoperto, e quindi di valorizzare, an-

che abilità sottovalutate o persino non riconosciute, facendo crescere auto-

stima e motivazione fino allo sviluppo delle personali potenzialità.

Vale la pena di rilevare che, nell’affrontare questo lavoro di esplorazione, gli

studenti avviano un processo aperto e generativo, cioè con un orizzonte am-

pio fino a poter andare oltre la disciplina, superando l’inadeguatezza tra le

nostre conoscenze frazionate nelle differenti discipline e realtà o problemi

sempre più trasversali e multidimensionali.

Relativamente al problema del rigore, va tenuto presente che nel laboratorio

la fase informale è necessaria e utile. Rigore significherà qui chiarezza nella

giustificazione dei singoli passi ed esplicitazione dei concetti man mano che

si procede. Per quanto riguarda la questione dell’errore, si avrà cura di sotto-

lineare agli studenti che la paura di sbagliare è uno dei nemici più forti dell’ap-

prendimento e che l’errore rappresenta uno strumento di conoscenza da

sfruttare, analizzando i passi del ragionamento fatto e discutendo con i com-

pagni.

L’utilizzo di ambienti di apprendimento digitali ed interattivi, infine, potrà

essere un supporto davvero prezioso. In particolare ritengo che, usati in

modo opportuno, siano molto stimolanti ed efficaci i software di geometria

dinamica come Geogebra, per l’esplorazione di “fatti” geometrici grazie alla

semplice gestione delle figure, ed i software di simulazioni interattive come

Phet, un applicativo dell’Università del Colorado di Boulder per simulazioni

di Matematica e Fisica – basate su ricerche didattiche – in un ambiente intui-

tivo. L’obiettivo è quello di operare e nel contempo mettere in relazione la

“manualità” con l’aspetto concettuale, motore e senso della parte operativa,

armonizzando e rafforzando efficacemente i differenti registri, giungendo

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allo sviluppo di importanti abilità quali intuire, congetturare, argomentare,

dedurre.

8.2 Un'esperienza di attività laboratoriale: la battaglia navale di

Domenico Grasso

La classe viene suddivisa in due gruppi. Ogni gruppo rappresenta su un foglio di carta millimetrata una circonferenza di raggio r uguale per entrambi. Si fa considerare loro un sistema di riferimento cartesiano con origine nel centro della circonferenza e ogni gruppo viene dotato di un goniometro e di un righello. Gli studenti sono invitati a disegnare sulla circonferenza “le navi” schematizzandole con punti. La partita può cominciare!

Ciascun gruppo, per individuare le navi da affondare, può fornire le loro coordinate o utilizzando i valori di ascissa ed ordinata (coordinate cartesiane) o l’angolo, formato dal raggio con il semiasse positivo delle ascisse, orientato in senso antiorario a partire dal punto di coordinate (r,0), e il raggio della circonferenza (coordinate polari). Di contro gli avversari utilizzano rispetti-vamente righello o goniometro per controllare se la loro nave è stata “affon-data”.

La relazione che lega coordinate cartesiane e coordinate polari è la se-guente:

{𝑦 = 𝑟 𝑠𝑖𝑛𝛼𝑥 = 𝑟 𝑐𝑜𝑠𝛼

Sostituendo in queste formule ad y e x i valori delle coordinate cartesiane

misurate (x1, y1), si individua l’espressione delle funzioni seno e coseno tri-gonometrico:

Nel caso particolare in cui r = 1 la circonferenza si definisce “goniome-

trica o trigonometrica” e i valori delle funzioni seno e coseno coincidono rispettivamente con ordinata ed ascissa del punto sulla circonferenza.

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Si desume subito che è:

Si considera ora un punto P che si muove sulla circonferenza a partire da

A (1, 0). Esso potrà muoversi in due versi, l’uno opposto dell’altro: da A verso P, verso antiorario o da A verso Q, verso orario.

Si può convenire di chiamare positivo uno dei due versi e di conseguenza negativo l’altro. In matematica si sceglie come positivo quello antiorario.

Gli assi cartesiani dividono la circonferenza goniometrica in quattro parti detti quadranti.

Su detta circonferenza si considera, d’ora in poi, gli archi aventi origine sempre nel punto A, che perciò viene detto origine degli archi e l’estremo nel punto P, che varia su tutta la circonferenza a seconda dell’ampiezza dell’arco AP. Ossia: al crescere dell’arco AP da 0° a 90° si immagina l’estremo P che si muove con continuità da A a B sul primo quadrante secondo il verso positivo di rotazione. Al crescere ancora dell’arco AP da 90° a 180°, P si muoverà sul secondo quadrante da B ad A’, e così via da A’ a B’ per gli archi che da 180° aumentano a 270° (terzo quadrante) ed infine il punto P da B’ torna ad A, sul quarto quadrante, quando l’arco da 270° cresce fino a 360°.

L’arco così concepito dicesi orientato. Non è detto che l’ampiezza dell’arco debba limitarsi fra 0° e 360° (estremi

inclusi) ma può benissimo essere maggiore di 360°, in tal caso il punto P torna ad assumere tutte le stesse posizioni del primo giro e l’arco assumerà tutti i valori fra 360° e 720°; analogamente per i giri successivi.

È molto importante notare che l’estremo P dell’arco AP, per tornare al punto di partenza A, ha percorso l’intera circonferenza.

Il moto di P in questo caso dicesi periodico, e l’ampiezza della circonfe-renza (360° o 2π) dicesi periodo.

Si considera l’arco AP=α della circonferenza goniometrica, dalle (2) si può

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definire il seno dell’arco AP=α, come l’ordinata dell’estremo P dell’arco e per le (1) si scrive:

Si può osservare che se l’arco è nullo, ossia se α=0°, il punto P coincide

con A, il segmento HP si riduce a un punto e quindi: sen 0° = 0 Man mano che P si allontana da A verso B, l’arco AP varia da 0° a 90°, il

segmento HP cresce fino a sovrapporsi ad OB, l’ordinata di P varia da 0 a 1 e quindi:

sen 90° = 1 Nel 1° quadrante, la funzione seno è crescente ed assume valori positivi

da 0 a 1. Se il punto P si allontana da B per avvicinarsi ad A’, il valore dell’arco AP

cresce da 90° a 180°, il segmento HP diminuisce fino a ridursi al punto A’, e quindi:

sen 180° = 0 Nel 2° quadrante, la funzione seno è decrescente ed assume valori positivi

da 1 a 0. Se il punto P si allontana da A’ verso B’, il valore dell’arco AP varia da

180° a 270°, il segmento HP cresce in valore assoluto, fino a sovrapporsi ad OB’, ma l’ordinata di P è negativa e decresce da 0 a –1, onde:

sen 270° = –1 Nel 3° quadrante, la funzione seno è decrescente ed assume valori negativi

da 0 a –1. Se P si allontana da B’ verso A, il valore dell’arco AP varia da 270° a 360°,

il segmento HP decresce in valore assoluto fino a ridursi ad un punto quando P coinciderà con A, ma l’ordinata di P è negativa e cresce da –1 a 0; onde:

sen 360° = 0 Nel 4° quadrante, la funzione seno è crescente ed assume valori negativi

da –1 a 0. Da quanto appena visto il seno di un arco non può assumere valori mag-

giori di 1, nè minori di –1; si può scrivere quindi: Così come il moto di P sulla circonferenza trigonometrica è periodico,

anche il seno dell’arco AP=α è periodico ed ha lo stesso periodo 360° (o 2π in radianti). Infatti, così come P, dopo aver percorso un’intera circonferenza, torna in A e, continuando il suo moto, riprende tutte le posizioni di prima, anche l’ordinata di P (sen α) torna ad assumere tutti gli stessi valori dopo lo stesso periodo.

Ciò si indica scrivendo:

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sen (α + kּ360°) = sen α dove k è un numero intero relativo qualsiasi (anche nullo). Dalle relazioni (2) si può definire il coseno dell’arco AP=α, come l’ascissa

dell’estremo P dell’arco e per le (1) si scrive: Se l’arco è nullo P coincide con A, OH coincide con OA e quindi cos 0° = 1 Se P si allontana da A avvicinandosi a B, l’arco varia da 0° a 90° (nel primo

quadrante), l’ascissa di P diminuisce da 1 a 0, donde: cos 90° = 0 Nel secondo quadrante mentre l’arco varia da 90° a 180°, il punto P si

allontana da B e si avvicina ad A’, il coseno dell’arco è negativo e varia (de-cresce) da 0 a –1, donde:

cos 180° = –1 Nel terzo quadrante l’arco AP=α varia da 180° a 270°, il coseno è negativo

e cresce da –1 a 0; ed è. cos 270° = 0 Nel quarto quadrante l’arco AP=α varia da 270° a 360°, il coseno è posi-

tivo e varia (cresce) da 0 a 1; donde: cos 360° = 1 Si deduce, come per il seno, che il coseno di un arco non può assumere

valori maggiori di 1 né minori di –1; e si scrive: Come per il seno, anche il coseno torna ad assumere tutti gli stessi valori

dopo ogni giro completo del punto P. Il periodo è ancora 360° (2π in ra-dianti). Si ha quindi:

cos (α + kּ360°) = cos α dove, come al solito, k è un numero intero relativo qualsiasi (anche nullo). Si possono ora rappresentare graficamente le funzioni: y = sen x ; y = cos x Presi due assi cartesiani ortogonali e fissata su di essi come unità di misura

un segmento eguale al raggio del cerchio trigonometrico, a partire da O sull’asse x si riporti la lunghezza 2π (in radianti) dell’intera circonferenza ret-tificata e si segnino, sempre sull’asse x, punti di ascisse π, , , , , ecc. Sull’asse y si segnino i punti di ordinata 1 e –1; indi pendendo per ogni arco i corri-spondenti valori del seno si hanno i punti ; ; ; ; ecc. Unendo tutti questi punti con un tratto continuo si ha una curva che è detta sinusoide.

Analogamente prendendo per ogni arco i corrispondenti valori del coseno si hanno i punti ; ; ; ; ecc. Unendo tutti questi punti si ha una curva che è

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detta cosinusoide, analoga alla sinusoide, solo spostata rispetto a questa di un quarto di periodo nel verso positivo dell’asse x.

Sinusoide (tratto continuo) – Cosinusoide (tratteggiato).

8.3 Un’attività di modellizzazione: dal modello al processo di Lu-crezia Vivenzio All’origine della trigonometria vi è la grande difficoltà sperimentale incontrata nella misura delle distanze. Come è noto la misura delle distanze dell’ordine del metro si effettua mediante regoli di misura, eventualmente con mire otti-che, quelle di distanze dal centesimo di millimetro a pochi centimetri, con comparatori centesimali o con calibri. Le vere difficoltà si presentano nella misura di grandi distanze geografiche o astronomiche o in quei casi in cui gli estremi del segmento da misurare non siano accessibili a chi effettua la mi-sura. In questi casi la trigonometria riconduce la misura di lunghezze a quelle molto più semplici di angoli e applica i metodi derivanti dalla similitudine dei triangoli. Per misurare gli angoli si usa il goniometro il quale essenzialmente è costituito da un cerchio sulla cui periferia sono incise delle tacche equidistanziate. Sul cerchio sono presenti due indici, uno fisso e l’altro mobile dotato di una mira (ad esempio un cannocchiale con crocicchio). Il teodolite, inventato da Gauss e usato da geometri ed ingegneri, altro non è che un raffinato goniometro.

Ecco come procedere. Incollare un goniometro al centro della tavoletta di legno. Fare un foro al

centro del goniometro in modo da fissare l’asta di metallo (quella non cava).

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Legare la striscetta di plastica ad un’estremità del tubo di metallo in modo da ottenere una struttura a forma di L. Infilare la prima asta nella seconda in modo che la striscetta di plastica sia posizionata in basso. Fare un foro sotto ed uno laterale al pezzetto di legno in modo che il primo serva ad incastrarlo sul tubo, mentre il secondo serve per fissare il centro dell’altro goniometro con una vite ed un bullone (non avvitare troppo, il goniometro deve poter ruotare attorno all’asse della vite). Legare un filo di cotone alla vite ed all’altra estremità legare un bullone in modo che non tocchi sulla base di legno. In-collare il tubicino della biro sul diametro del goniometro mobile, come mo-strato in figura.

Calcolo dell’altezza dell’edificio scolastico Si vuole calcolare l’altezza dell’edificio scolastico supponendo di trovarsi

nel punto P da cui si possono vedere il punto più alto H e quello più basso L.

Il nostro scopo è quello di verificare che l’altezza calcolata e quella misu-rata coincidano.

Un gruppo di allievi, accompagnato dal docente sale sul terrazzo di co-pertura dell’edificio, cala un cavo fino a toccare il suolo e successivamente misura la sua lunghezza.

Un altro gruppo si pone con il teodolite nel punto P, misura la distanza di questo dalla base dell’edificio (punto L) e quindi misura l’angolo α tra la linea del suolo (orizzontale) e la sommità dell’edificio (punto H).

Effettuate tali misure, si riporta in scala il triangolo rettangolo avente per base la lunghezza misurata e per angolo alla base α.

Quest’operazione consente di determinare il valore dell’altezza h, tramite un righello, nella scala in cui è rappresentato il triangolo rettangolo e quindi anche dell’edificio oppure ricorrendo alle formule trigonometriche sui trian-goli rettangoli, sapendo che:

; da cui:

H

L P α

b

h

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Misura distanza tra due punti accessibili ma non visibili l’uno dall’altro Ad Atene vi era necessità di acqua che poteva ricavarsi da una sorgente

qualora si fosse traforata una collina che separava la sorgente dalla città. Per abbreviare i tempi, sarebbe stato opportuno forare la collina da entrambi i lati ma ciò richiedeva che le due squadre operassero nella giusta direzione per ricongiungersi al centro dello scavo. Si scelsero i punti A, B e C e si misura-rono l’angolo ACB=γ con un goniometro e le lunghezze AC=a e BC=b.

Quindi queste misure vennero riportate in scala su un disegno per deter-

minare gli angoli in A e B e anche la loro distanza AB=c. Noti questi angoli, erano determinate le direzioni in cui le due squadre dovevano scavare par-tendo da A e B rispettivamente.

Si può ricavare la distanza AB=c anche attraverso le formule trigonome-triche, infatti si traccia da B la perpendicolare ad AC si individua il punto H, considerando il triangolo BHC rettangolo in H si può determinare la distanza BH=h:

sen

bh ;

cos

bCH

a questo punto è possibile determinare AH: AH = AC – CH = a – CH Quindi considerando il triangolo AHB, rettangolo in H, essendo note le

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misure dei due cateti, è possibile determinare, applicando il teorema di Pita-gora la distanza AB=c:

2222 hAHBHAHABc

Riferimenti

Badano, G. La centralità dello studente. C.I.D.I. http://www.cidi.it/cms/doc/open/item/filename/328/la-centralita-dello-studente.pdf (visitato il 12/03/2020) Baldi L. et al, (2017) Scheda didattica personalizzabile su Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics), n.27 Suppl. n.1 G.R.I.M. D’Amore B., Epistemologia, didattica della matematica e pratiche d’insegna-mento. La matematica e la sua didattica. Vol. 21, n° 3. 347-369, 2007 Demartini S., Sbaragli S., La porta di entrata per la comprensione di un pro-blema: la lettura di un testo su Rivista digitale Didattica della matematica. Dalla ricerca alle pratiche d’aula. SUPSI, Vol.5, 2019 Freudenthal, H. (1994) Ripensando l’educazione matematica, La Scuola, Brescia. Gentile M. (2001) Apprendimento centrato sull’alunno e successo formativo, Provve-ditorato agli Studi di Trieste Morin E. (2001) I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Pesci A., I suggerimenti della ricerca in didattica della matematica per la pra-tica scolastica Appunti per il corso di Didattica della matematica, A.a. 2013-2014 Resta L., Gaudenzi S., Alberghi S. (2011) Modellizzazioni e applicazioni nell'insegnamento della Matematica. In Matebilandia. Convergenze vol 0 Sprin-ger Milano. Vergnaud, G. (1992) Schemi teorici e fatti empirici nella psicologia dell’edu-cazione matematica in E. Fischbein, G. Vergnaud, Matematica a scuola: teoria ed esperienza, Pitagora, Bologna.

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NOTE SUGLI AUTORI

Maria Guida è ricercatrice presso INDIRE. Si occupa di innova-zione didattica e organizzativa con un focus sull’insegnamento della matematica e delle STEM. E’ coordinatore per l’Italia del progetto Scientix e ha una vasta esperienza nella formazione dei docenti.

Lia Terraciano è docente di Scienze Motorie presso l’ISIS “Eu-ropa” di Pomigliano d’Arco dove ricopre funzioni di FS IN-VALSI, membro del NIV d’Istituto, docente specializzato di DE-BATE, referente di disciplina. Lia ha al suo attivo anche 20 anni di esperienza come insegnante nella scuola primaria.

Teresa Boccia è docente di Matematica e Fisica presso l’I.S.I.S. “A. Rosmini” di Palma Campania (Na). Nell’ambito della do-cenza presso la SSIS dell’Università degli Studi del Molise si è occupata della Storia della Matematica con applicazioni alla didat-

tica. E’ interessata alla didattica innovativa con l’uso del digitale.

Carla Circone è docente di Matematica e Fisica press il Li-ceo Scientifico “Salvatore Cantone” di Pomigliano D’Arco (Na).

Anna Copia

Claudia De Sarno ha collaborato alla docenza in Biochimica e in Scienze dell’Alimentazione presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” dal 2000 al 2004. Dal 2009 al 2015 è docente di matematica e scienze presso la SSIG “Rocco” di Afragola e dal 2015 ad oggi presso la SSIG “G. Caporale di Acerra, dove è referente per il Cineforum e per il progetto Legambiente.

Aurelio Di Napoli

Rosa Anna Esposito

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Adele Febbraro

Elvira Fratini è stata consulente di Sistemi di Gestione per la Qualita, Ambiente e Sicurezza dal 1995 al 2007. Dal 2007 è docente di Matematica presso la SSIG "Caporale" di Acerra dove svolge la funzione di Animatore Digitale, refe-rente Giochi Matematici e progetto Scacchi.

Cecilia Fuschillo è docente di scienze matematiche, fisiche, chimiche e naturali presso I.C.” Falcone - Catullo” (Pomi-gliano d’Arco) ove, da anni, svolge anche attività di FFSS, è membro di commissione RAV, PDM e coordina inizia-tive atte a valorizzare le eccellenze ed avvicinare i giovani allo studio della matematica.

Domenico Grasso insegna Matematica e Fisica presso l’Istituto: I.S.I.S. “A. Rosmini” di Palma Campania (NA).

Annamaria Lippiello

Antonella Lo Sapio è docente di Matematica Scuola Secon-daria di II grado presso l’I.S.I.S.” Europa” di Pomigliano d’Arco.

Aurora Marciano è docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Scientifico “Salvatore Cantone” di Pomigliano D’Arco (Na).

Emilia Marino è docente di Matematica Scuola Secondaria di II grado presso l’I.S.I.S.” Europa” di Pomigliano d’Arco.

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Silvana Molaro è docente di Matematica Scuola Secondaria di II grado presso l’I.S.I.S.” Europa” di Pomigliano d’Arco.

Maria Rosaria Napoli è docente di Matematica Scuola Se-condaria di II grado presso l’I.S.I.S.” Europa” di Pomi-gliano d’Arco.

Maria Consiglia Petroli è docente di Matematica Scuola Se-condaria di II grado presso l’I.S.I.S.” Europa” di Pomigliano d’Arco.

Consiglia Russo

Luisa Scarano

Antonietta Sorrentino è docente di Matematica e Fisica press il Liceo Scientifico “Salvatore Cantone” di Pomi-gliano D’Arco (Na).

Carlo Stromboli, docente di Matematica presso l’ITI “Eu-genio Barsanti” di Pomigliano d’Arco. Si occupa dell’ap-prendimento, oltre che in qualità docente, anche nell’am-bito della sua attività di istruttore di scacchi.

Rosa Tafuro

Lucrezia Vivenzio è docente di Matematica e Fisica presso l’istituto “A. Rosmini” di Palma Campania (NA).


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