commissione speciale pubblico impiego; parere 13 luglio 1998, n. 413; Min. finanzeSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 497/498-501/502Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194954 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
zione) costituisce un comportamento di per sé equivoco, in quan to non consente al destinatario della notifica di avere elementi
attendibili sull'avvenuta nuova elezione di domicilio o sul tra
sferimento dello studio del medesimo procuratore domiciliatario.
Anche se per l'art. 121 c.p.c. sussiste il principio della libertà delle forme per gli atti del processo per i quali la legge non
richiede forme determinate, vi sono specifiche regole riguardan ti la determinazione del luogo ove va effettuata la notifica del
l'impugnazione. Il secondo periodo del 1° comma dell'art. 330 c.p.c. dispone
che l'impugnazione «si notifica presso il procuratore costituito
nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio»,
qualora nell'atto di notificazione della sentenza la parte non
abbia dichiarato la sua residenza o eletto domicilio.
Il soccombente in primo grado deve dunque notificare il gra vame al procuratore domiciliatario della controparte, vincitrice
in primo grado, nel luogo previsto dall'art. 330 c.p.c. e formal
mente indicato nel corso del giudizio, ovvero nel luogo dichia
rato nell'atto di notificazione della sentenza.
L'apposizione di un timbro sulla copia della sentenza notifica
ta, da cui risulti un diverso recapito del difensore domiciliatario
in assenza della relativa sottoscrizione, oltre a non dare la dovuta
sicurezza della riferibilità al notificante di quanto risulti dal tim
bro, non manifesta un'univoca volontà di modificare l'elezione
di domicilio già formalmente effettuata, non fa sorgere oneri in
base all'art. 330 c.p.c. e potrebbe anche essere interpretata nel senso
che il medesimo difensore abbia un proprio ulteriore recapito, di
verso da quello formalmente dichiarato nell'elezione di domicilio
nel corso del giudizio e riportato nella sentenza poi gravata. Non può invece ammettersi, come hanno sostenuto gli appella
ti, che la parte soccombente in primo grado abbia l'onere di ef
fettuare accertamenti sul reale domicilio del procuratore domici
liatario della controparte cui intenda notificare il gravame. In primo luogo, ai sensi dell'art. 330 c.p.c. non rileva di per
sé la variazione dello studio del difensore, in quanto se manca la
sua rituale comunicazione alla controparte continua ad avere ri
lievo processuale la formale elezione di domicilio effettuata nel
corso del giudizio e disciplinata dall'art. 330 c.p.c., salva l'appli cazione dell'art. 141 c.p.c. (cfr. sez. VI 24 settembre 1996, n. 1259,
id., Rep. 1996, voce Giustizia amministrativa, n. 512; 16 febbraio
1995, n. 198, id., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, n. 79; 7
settembre 1994, n. 1337, ibid., voce Giustizia amministrativa, n. 570). In secondo luogo, sorgerebbero serissimi dubbi di costituzio
nalità (in relazione all'art. 24 Cost.), qualora l'art. 330 c.p.c. dovesse essere interpretato nel senso che la parte, che intenda
appellare la sentenza nel relativo termine di decadenza, abbia
l'onere di effettuare specifiche indagini per individuare quale sia l'effettivo recapito del difensore domiciliatario della contro
parte, che abbia già formalmente eletto domicilio nel corso del
giudizio, senza modificarlo.
2.2. - Quanto precede comporta che: — il difensore domiciliatario dei ricorrenti vittoriosi in pri
mo grado non ha ritualmente modificato la precedente elezione
di domicilio, in quanto l'apposizione del timbro sulla copia del
la sentenza notificata alle amministrazioni non ha evidenziato
una univoca volontà in tal senso; — il sessantesimo giorno successivo alla notifica della sen
tenza l'ufficiale giudiziario, in data 29 luglio 1996, ha tentato
di notificare il gravame al difensore domiciliatario degli appel
lati, nel luogo correttamente individuato dalle amministrazioni
appellanti e corrispondente al domicilio già eletto ritualmente.
Poiché l'ufficiale giudiziario nel sessantesimo giorno si è limi
tato a dare atto del mutamento del recapito del procuratore destinatario della notifica, non si può ritenere perfezionata in
quella data la notifica.
Tuttavia, il giorno successivo l'ufficiale giudiziario ha poi no
tificato la copia dell'atto di appello al procuratore domiciliata
rio dei ricorrenti vittoriosi in primo grado, recandosi nel luogo indicato nel timbro apposto sulla copia della sentenza in prece denza notificata e risultato il nuovo effettivo recapito del mede
simo procuratore. Tali circostanze inducono l'adunanza plenaria a ravvisare la
sussistenza dei presupposti per la rimessione in termini, sia in
base al principio per il quale «la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa» (art. 157 c.p.c.), sia in appli cazione dell'istituto di carattere generale, previsto dall'art. 34, 2° comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 (applicabile anche nel
giudizio d'appello: ad. plen. 23 marzo 1979, n. 9, id., 1979,
III, 310). (Omissis)
Il Foro Italiano — 1999.
CONSIGLIO DI STATO; commissione speciale pubblico im piego; parere 13 luglio 1998, n. 413; Min. finanze.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Condanna in se
guito a patteggiamento — Sospensione cautelare obbligatoria — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 444, 445; 1. 19 marzo 1990 n. 55, nuove disposizioni per la prevenzione della delin
quenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazio
ne di pericolosità sociale, art. 15; 1. 18 gennaio 1992 n. 16, norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, art. 1).
La sospensione obbligatoria dal servizio prevista dall'art. 15, commi 1, lett. b), e 4 septies, /. 19 marzo 1990 n. 55, come
modificato dall'art. 1 l. 18 gennaio 1992 n. 16, non opera nelle ipotesi di applicazione della pena su richiesta, prevista
dagli art. 444 ss. c.p.p. (1)
Diritto. — 1. - La commissione osserva, in linea preliminare, che la soluzione del quesito prospettato dal ministero delle fi
nanze presuppone un'attenta lettura sistematica dell'ordinamento
processuale penale, diretta ad individuare la natura, la discipli na e l'inquadramento concettuale dell'istituto della sentenza di
«patteggiamento».
(1) Il parere del consiglio si inserisce nell'indirizzo che esclude ogni automatismo nell'irrogazione delle sanzioni disciplinari (e relativi prov vedimenti cautelari) ai pubblici dipendenti e richiede un accertamento
specifico dei presupposti della violazione, in contraddittorio con l'inte
ressato; resta sempre ferma, come ricordato in motivazione, la possibi lità di disporre la sospensione cautelare facoltativa prevista dai contrat ti collettivi e che presuppone un'autonoma valutazione dei fatti e delle
esigenze di tutela dell'interesse pubblico in ponderazione con quello del
dipendente. La necessità di verifica puntuale delle condizioni di operati vità delle disposizioni irrogative di sanzioni o misure disciplinari a cari co dei pubblici dipendenti costituisce affermazione pressoché unanime nella giurisprudenza amministrativa dopo le pronunzie della Corte co stituzionale richiamate in motivazione, tanto che il diverso peso attri buito dalle varie decisioni alla sentenza di condanna penale in seguito a patteggiamento non vale a configurare veri e propri indirizzi giuris prudenziali contrapposti, come sembra ipotizzare il parere in epigrafe: anche le decisioni che attribuiscono «piena rilevanza» alla sentenza di condanna non escludono «l'obbligo dell'amministrazione di verificare motivatamente la gravità dei fatti addebitati» (Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 188, Cons. Stato, 1999, I, 277; 16 ottobre 1995, n. 1149, Foro it., Rep. 1996, voce Impiegato dello Stato, n. 879; Cons,
giust. amm. sic. 12 marzo 1996, n. 8/96, ibid., n. 880), non in sostan ziale contrasto con le altre che ritengono «fuorviarne ed illegittimo» il riferimento del provvedimento disciplinare a quel tipo di sentenza
«quale causa concorrente, se non assorbente» (Cons. Stato, sez. I, 2 marzo 1994, n. 199/94, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1024; Tar Friuli Venezia Giulia 22 gennaio 1996, n. 13, id., Rep. 1996, voce cit., n.
881), pur riconoscendone un certo valore istruttorio da apprezzare da
parte dell'autorità procedente (Tar Lazio, sez. II, 6 novembre 1996, n. 1994, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1060; Tar Campania, sez. III, 11 novembre 1996, n. 673, ibid., n. 1061; Tar Lazio, sez. II, 3 novem bre 1995, n. 1674, id., Rep. 1996, voce cit., n. 878; Tar Abruzzo, sez.
Pescara, 23 giugno 1995, n. 252, id., Rep. 1995, voce cit., n. 987), fino a comportare (Tar Basilicata 28 marzo 1995, n. 119, ibid., n. 989) una sorta di inversione dell'onere della prova a carico dell'incolpato nel procedimento disciplinare; secondo Tar Lazio, sez. Ili, 19 febbraio
1997, n. 374, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1106, la sentenza di patteggia mento legittima la permanenza della sospensione cautelare dal servizio
già irrogata nei confronti del dipendente, mentre secondo Tar Piemon
te, sez. II, 18 luglio 1995, n. 410, id., Rep. 1996, voce cit., n. 940, giustifica (ma non da sola) l'immediata sospensione dalla funzione o dall'ufficio. La questione relativa al rapporto intercorrente fra la sen tenza penale pronunciata a seguito di patteggiamento ed il procedimen to disciplinare a carico del pubblico dipendente è stata rimessa all'adu nanza plenaria da Cons. Stato, sez. VI, ord. 18 febbraio 1997, n. 295, e sez. V, ord. 13 maggio 1997, n. 500, id., Rep. 1997, voce cit., nn. 1059 e 979.
Per riferimenti sulla problematica del rapporto fra patteggiamento e disciplina sanzionatoria del rapporto di lavoro, v. Cass. 2 aprile 1996, n. 3038 (per il privato), id., 1996, I, 2415, e Cons. Stato, sez. VI, 16
maggio 1996, n. 681 (per il pubblico), ibid., Ili, 371, con note di richia
mi; in generale, sulla rilevanza dei fatti oggetto di indagine penale, Cons.
Stato, sez. IV, 7 maggio 1998, n. 780, id., 1998, III, 496 (sul procedi mento disciplinare); Trib. Torino 15 maggio 1995, id., 1996, I, 1868, con nota di C. Arcangeli (sul sistema probatorio del processo civile); Trib. Monza 2 marzo 1996, id., 1997, I, 967 (sul regime delle elezioni e nomine presso gli enti locali); sull'istituto della sospensione cautelare dal servizio, Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 419, Tar Sicilia, sez. Catania, 3 maggio 1995, n. 1267, e Tar Toscana, sez. II, 1° dicem bre 1994, n. 379, id., 1995, III, 591.
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PARTE TERZA
In questa cornice, il collegio deve tenere conto degli orienta
menti affermati dalla Corte costituzionale e dell'indirizzo espresso dal «giudice naturale» del processo penale, valorizzando, in par
ticolare, i numerosi interventi nomofilattici della Cassazione, la quale, nel corso del primo decennio di vita del nuovo proce dimento disciplinato dagli art. 444 ss. c.p.p., è pervenuta a ri
sultati interpretativi ormai sufficientemente consolidati, ben sin
tetizzati da due recenti sentenze delle sezioni unite (8 maggio
1996, De Leo, Foro it., 1997, II, 28, e 26 febbraio 1997, Bah
rouni, ibid., 457). Superando altri diversi orientamenti, secondo cui la pronun
cia di patteggiamento presuppone un accertamento di responsa bilità dell'imputato (Cass. 14 maggio 1991, Criscuolo, id., Rep.
1992, voce Pena (applicazione su richiesta), n. 30; 20 gennaio 1992 n. 472; 24 febbraio 1995, n. 1909; 18 luglio 1996, n. 7206); oppure va considerata come una decisione giurisprudenziale sui
generis (Cass. 6 settembre 1990, Torregrossa, id., Rep. 1991, voce cit., n. 163; 8 luglio 1991, Berselli, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 131), la tesi ora affermata dalla Cassazione tende a qua lificare la pronuncia come una sentenza di proscioglimento, sep
pure caratterizzata da alcune peculiarità. Il primo indirizzo era espresso, in particolare, da alcune deci
sioni della Corte costituzionale, secondo la quale, nel rito del
patteggiamento «è preponderante l'iniziativa delle parti nel set
tore probatorio. Ma ciò non immuta affatto i principi, nemme
no nello speciale procedimento in esame, dove anzi il giudice è tenuto in primo luogo ad esaminare ex officio se sia già ac
quisita agli atti la prova che il fatto non sussiste o che l'imputa to non l'ha commesso» (2 luglio 1990, n. 313, id., 1990, I,
2385; 12 ottobre 1990, n. 443, id., 1992, I, 1009). Più di recente, la corte (20 maggio 1996, n. 155, id., 1996,
I, 1898), nel dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 34, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice
per le indagini preliminari, il quale abbia disposto una misura
cautelare personale, non può disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti, ha affermato il seguente principio: la
pronuncia patteggiata integra un vero e proprio giudizio, in quan to il giudice svolge comunque «valutazioni fondate direttamen
te sulle risultanze in atti aventi natura di giudizio non di mera
legittimità, ma anche di merito, concernenti tanto la prospetta zione del caso contenuta nella richiesta di parte, quanto la re
sponsabilità dell'imputato, quanto, infine, la pena». Ma va evidenziato che la stessa Corte costituzionale, in nu
merose altre circostanze, ha escluso che la sentenza ex art. 444
c.p.p. abbia le caratteristiche proprie di una sentenza di con
danna, «stante il profilo negoziale che la caratterizza e la conse
guente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituiscono nel giudizio ordinario la premessa necessaria
per l'applicazione della pena» (6 giugno 1991, n. 251, id., Rep. 1991, voce cit., n. 148, e 11 dicembre 1995, n. 499, id., 1996,
I, 1152). Questa linea ermeneutica è ulteriormente precisata e svilup
pata dalle citate decisioni delle sezioni unite della Cassazione.
2. - Il giudice penale è pervenuto alla conclusione che la sen
tenza emessa all'esito della procedura di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevista dagli art. 444 ss. c.p.p. non
ha natura di sentenza di condanna, attraverso un articolato iter
argomentativo, scandito nei seguenti passaggi logici. Secondo la previsione dell'art. 445 c.p.p. «salve diverse di
sposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna». La formula linguistica prescelta dal legislatore evidenzia, quindi, che la pronuncia di patteggiamento è logica mente distinta da quella di condanna, alla quale è soltanto equi
parata, a determinati scopi.
Pertanto, l'interprete ha l'onere di individuare i limiti entro i quali il rapporto di affinità può sussistere e spiegare i suoi
effetti.
Infatti, la sentenza di patteggiamento e quella di condanna
presentano differenze formali, strutturali, genetiche e funziona
li, basate sulla circostanza che nella prima viene applicata la
pena così come tra le parti concordata e dal giudice ritenuta
congrua rispetto alla qualificazione giuridica del fatto ed alle
circostanze, pur esse dalle parti indicate, mentre nella seconda la pena è sempre autonomamente disposta dal giudice, nell'e
sercizio del suo potere discrezionale, e non già sulla base della
sola contestazione del fatto reato, bensì dopo che si è accertata e quindi dichiarata, la colpevolezza dell'imputato.
Il Foro Italiano — 1999.
Queste peculiarità del modello processuale del rito del patteg
giamento sono state poste a base dell'affermazione secondo cui
la sentenza ex art. 444 c.p.p. non comporta la decadenza del
beneficio della sospensione condizionale della pena, perché l'art.
168 c.p., riferendosi alla «condanna», senza ulteriori specifica
zioni, «postula sempre un accertamento dotato di quelle carat
teristiche di completezza in ordine alla commissione del reato
e, quindi, alla colpevolezza dell'imputato, accertamento che è
conseguibile solo mediante una sentenza pronunciata in esito
ad un giudizio con piena cognitio del reato e della pena». Detta conclusione è pienamente confermata dalla sentenza n.
313 del 1990 della Corte costituzionale, cit., la quale ha com
portato l'ampliamento del controllo giurisdizionale in relazione
alla congruità della pena indicata dalle parti, senza smentire
il principio in forza del quale le parti restano le protagoniste esclusive della commisurazione pattizia.
E va sottolineato che la sentenza può essere pronunciata an
che quando le risultanze disponibili all'atto della decisione si
identificano nella mera notitia criminis, senza assurgere al ran
go di riscontri probatori idonei a fondare un giudizio di colpe volezza.
Il riconoscere di non possedere elementi utili, allo stato degli atti, per dimostrare l'insussistenza del reato contestato, o co
munque, la propria innocenza, non può considerarsi equivalen te ad un riconoscimento della propria colpevolezza.
E, nello stesso senso, si è giustamente sottolineato che l'ac
certamento negativo concernente l'insussistenza delle cause di
proscioglimento di cui all'art. 129 c.p.p. «non equivale, di per sé, simmetricamente, ad una pronuncia positiva di responsabili tà» (Corte cost. 20 maggio 1996, n. 155, cit.).
In questa corretta prospettiva, il dato letterale dell'art. 445, 1° comma, va inteso nell'ambito sistematico della norma e del
la sua portata. Quindi, la disposizione, al di là della sua formu
lazione generale, che non consentirebbe di escludere effetti pe nali della sentenza di patteggiamento, diversi da quelli indicati
e sottoposti ad una diversa disciplina, va riferita ai soli effetti
penali caratterizzati da un rapporto qualificato di affinità con la pronuncia di condanna.
3. - Le conclusioni cui perviene la Cassazione sono sostan
zialmente condivise dalla Corte costituzionale, secondo la quale il profilo prevalentemente «negoziale» della sentenza di patteg
giamento e la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove impedisce di attribuire alla pronuncia la
natura di decisione di condanna (Corte cost. n. 251 del 1991, e n. 499 del 1995, cit.; 20 maggio 1996, n. 155, cit.).
Dopo gli interventi delle sezioni unite, la Corte costituzionale
ha pronunciato altre decisioni chiaramente orientate ad affer mare che nell'attuale contesto normativo, la sentenza di patteg
giamento non presuppone un accertamento della responsabilità
dell'imputato (n. 399 del 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 52, e 13 maggio 1998, n. 172). Secondo la corte, «una sentenza
additiva, volta a stabilire che il giudice, nel pronunciare senten za di applicazione della pena, debba accertare la colpevolezza dell'imputato, comporterebbe una completa revisione dell'isti tuto in esame».
Va ancora osservato che in data 19 maggio 1998 la camera dei deputati ha approvato un testo di legge (derivante dall'uni ficazione di due disegni di iniziativa parlamentare e di uno pre disposto dal governo) recante «norme sul rapporto tra procedi mento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudica to penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche». Tale normativa, nel ridisegnare in modo completo gli effetti
del procedimento penale sul rapporto di pubblico impiego, af ferma con nettezza la diversità delle conseguenze derivanti, ri
spettivamente, dalla sentenza di condanna e da quella di appli cazione della pena su richiesta delle parti.
4. - Gli argomenti sviluppati dalla Cassazione e dalla Corte
costituzionale, per la loro portata generale e comprensiva, de vono essere utilizzati per affrontare il problema specifico degli effetti della sentenza di patteggiamento, in relazione alla so
spensione obbligatoria dei pubblici dipendenti. La disciplina contenuta nell'art. 15, commi 1, lett. b), e
4 septies 1. 19 marzo 1990 n. 55, come modificato dall'art. 1 1. 18 gennaio 1992 n. 16, intende collegare a determinate vicen de processuali penali, l'effetto cautelare della sospensione dal
servizio, fino alla conclusione di apposito procedimento disci
plinare. La commissione non condivide, al riguardo, le conclusioni
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
raggiunte da sez. I parere 27 maggio 1992, n. 1467, secondo
cui le cause di incandidabilità degli amministratori locali previ ste dall'art. 1 1. 18 gennaio 1992 n. 16, riferite espressamente alle sole ipotesi di sentenze di condanna penale, comprendono anche le ipotesi di applicazione della pena su richiesta dell'im
putato. Tale parere si basava, infatti, sull'affermazione secondo cui
tanto la Cassazione penale quanto la Corte costituzionale rite
nevano la sostanziale equiparazione tra la pronuncia di patteg
giamento e la sentenza di condanna. Si tratta di una premessa
argomentativa ora smentita dal diverso indirizzo della Cassazio
ne, condiviso, in larga misura, anche dalla Corte costituzionale, diretto ad inquadrare la decisione di patteggiamento nell'ambi
to delle pronunce di proscioglimento. Il mutato contesto sistematico del diritto vivente in cui si in
quadra l'istituto del patteggiamento induce a riesaminare la por tata degli effetti della pronuncia nell'ambito del trattamento san
zionatorio e cautelare applicabile al pubblico dipendente desti
natario della pronuncia. Gli stessi argomenti inducono a discostarsi dall'indirizzo tal
volta seguito dalle sezioni giurisdizionali (sez. VI 16 ottobre 1995, n. 1149, id., Rep. 1996, voce Impiegato dello Stato, n. 879), secondo cui «la sentenza penale pronunciata in seguito a pat
teggiamento, qualora non sussistano disposizioni di legge con
trarie, è equiparata a una pronuncia di condanna».
5. - Il legislatore del 1992 muove dalla premessa che, pur essendo state espunte dall'ordinamento le ipotesi di destituzione
di diritto dei pubblici dipendenti, per effetto di condanne penali passate in giudicato, resta ferma l'esigenza di interrompere im
mediatamente e cautelarmente lo svolgimento del servizio quan
do, in relazione a determinati reati commessi nell'esercizio delle
pubbliche funzioni, risulta acquisito un sufficiente grado di pro babilità sugli esiti degli accertamenti penali, racchiusi in apposi ta sentenza, ancorché non passata in giudicato.
Se questa è la ratio della disciplina del 1992, anche alla luce
di un indirizzo che tende a limitare le misure sanzionatone o
cautelari incidenti in modo automatico sulla posizione del pub blico dipendente, ben si comprende come la sospensione dal
servizio non può essere collegata ad una pronuncia di patteggia
mento, ma presuppone un accertamento basato su una dialetti
ca ricostruzione processuale degli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio.
Non si deve ritenere che tale conclusione interpretativa inde
bolisca eccessivamente il livello della tutela dell'amministrazio
ne nei confronti dei propri dipendenti inquisiti per reati di par ticolare gravità ed allarme sociale, posto che resta comunque
aperta la possibilità di adottare la misura cautelare della so
spensione facoltativa, prevista dai vigenti contratti collettivi dei
comparti pubblici e, per il personale non privatizzato (compre so quello militare e della guardia di finanza), da specifici ordi
namenti di settore.
In tal modo, l'amministrazione resta titolare del potere di
disporre la sospensione, attraverso un atto adeguatamente mo
tivato in relazione alla necessità di impedire la prosecuzione, anche solo temporanea, del rapporto, in tutti i casi in cui si
manifestano esigenze di concreta tutela della funzione pubblica. Va aggiunto, poi, che, in sede di contrattazione collettiva,
potrebbero essere individuate ulteriori ipotesi di sospensione ob
bligatoria dal servizio, le quali potrebbero comprendere, se rite
nuto opportuno, anche i casi di applicazione della pena patteg
giata per determinati titoli di reati.
Non si può trascurare, infine, che la soluzione interpretativa intesa ad escludere la sospensione automatica nel caso di pat
teggiamento della pena svolge, obiettivamente, una funzione in
centivante ad un istituto congegnato dal legislatore del 1988,
quale strumento alternativo ai normali modelli processuali ed
idoneo ad alleggerire il complessivo carico del dibattimento or
dinario. 6. - In conclusione, quindi, la commissione è dell'avviso che
la sospensione obbligatoria prevista dall'art. 15, commi 1, lett.
b), e 4 septies 1. 19 marzo 1990 n. 55, come modificato dall'art.
11. 18 gennaio 1992 n. 16, non opera nelle ipotesi di applicazio ne della pena su richiesta, prevista dagli art. 444 ss. c.p.p.
Il Foro Italiano — 1999.
I
CORTE DEI CONTI; sezione controllo enti; deliberazione 29
marzo 1999, n. 17; Pres. ed est. Schiavello.
CORTE DEI CONTI;
Corte dei conti — Sezione controllo enti — Programma di
attività per il 1999 (L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 3).
La Corte dei conti, sezione di controllo sugli enti, ha deliberato
il programma di attività per l'anno 1999. (1)
II
CORTE DEI CONTI; sezione controllo Stato; deliberazione 8
marzo 1999, n. 11; Pres. Sernia, Est. Lazzaro, Caj aniello.
Corte dei conti — Controllo successivo sulla gestione delle pub bliche amministrazioni per il 1999 — Programma generale e
criteri di riferimento del controllo — Competenze dei collegi e criteri per la composizione (L. 14 gennaio 1994 n. 20, art. 3).
La Corte dei conti, sezione di controllo sulle amministrazioni dello Stato, ha deliberato in ordine ai programmi e ai criteri
di riferimento del controllo successivo sulla gestione per l'an
no 1999, nonché sulle competenze dei collegi e sui criteri per la loro composizione. (2)
III
CORTE DEI CONTI; sezione enti locali; deliberazione 18 feb braio 1999, n. 2; Pres. Gallo, Est. Goletti.
Corte dei conti — Sezione enti locali — Controllo successivo
sulla gestione degli enti locali per il 1999 — Modalità, criteri
e termini (L. 14 gennaio 1994 n. 20, art. 3).
La Corte dei conti, sezione enti locali, ha deliberato il program ma e i criteri di riferimento del controllo successivo sulla ge stione delle province, dei comuni e delle comunità montane, da valere per l'anno 1999. (3)
IV
CORTE DEI CONTI; sezioni riunite; deliberazione 3 febbraio 1999, n. 3; Pres. Sernia, Est. Carabba.
Corte dei conti — Sezioni riunite — Rendiconto generale dello
Stato per il 1998 — Esame — Programma di lavoro (L. 14
gennaio 1994 n. 20, art. 3).
La Corte dei conti, sezioni riunite in sede referente, ha delibera
to il programma di lavoro per l'esame del rendiconto genera le dello Stato relativo all'esercizio finanziario 1998. (4)
V
CORTE DEI CONTI; sezione controllo affari comunitari e in ternazionali; deliberazione 10 novembre 1998, n. 1; Pres. Lu
cente, Est. Manna, De Musso.
Corte dei conti — Sezione controllo affari comunitari e interna
zionali — Fondi comunitari — Programma di controllo per il 1999 (L. 14 gennaio 1994 n. 20, art. 3).
La Corte dei conti, sezione di controllo per gli affari comunita
ri ed internazionali, ha deliberato il programma di controllo
sui fondi di provenienza comunitaria, da valere per l'anno
1999. (5)
(1-5) Le sezioni riunite della Corte dei conti avevano approvato (del. 12 gennaio 1999, n. 2, Foro it., 1999, III, 252, con nota di richiami), i criteri generali e gli indirizzi di coordinamento per lo svolgimento, nel 1999, del controllo successivo sulla gestione delle pubbliche ammini
strazioni ad opera delle diverse sezioni di controllo. In coerenza con tali criteri ed indirizzi, le sezioni di controllo hanno,
ora, predisposto i programmi di controllo relativi alle attività da svolge re nel 1999. Con riferimento ai contenuti delle deliberazioni qui riporta te, si segnalano, in particolare, i seguenti aspetti.
Quanto alla deliberazione sub IV, concernente la «relazione sul ren diconto generale dello Stato per l'anno 1998» (da presentare al parla
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