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Date post: 23-Mar-2016
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Compartir (condividere) è il notiziario dell'associazione InBolivia2004 del Patronato S. Vincenzo di Bergamo. In queste pagine vogliamo provare a riflettere sul senso di quanto succede in Bolivia e, con uno sguardo più ampio, nel mondo.
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#16 COMPARTIR MAGGIO 2011 C OMPARTIR Notiziario del gruppo “In Bolivia 2004” Patronato San Vincenzo In questo numero BOLIVIA Ciudad de los niños, di Fulvio Diploma DOSSIER Un modo d’essere dell’uomo, di Don Alessandro Sesana ATTUALITÀ La paura dell’altro, di Lara Granelli CULTURA Libro La cura del mondo · Film L’uomo che verrà VOLONTARIATO Intervista all’associazione EOS, di Lara Granelli
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#16COMPARTIR

MAGGIO

2011

COMPARTIRNotiziario de l g r uppo “In Bol ivia 2004”

Patronato San Vincenzo

In ques to numeroBOLIVIA Ciudad de los niños, di Fulvio Diploma

DOSSIER Un modo d’essere dell’uomo, di Don Alessandro Sesana

ATTUALITÀ La paura dell’altro, di Lara Granelli

CULTURA Libro La cura del mondo · Film L’uomo che verrà

VOLONTARIATO Intervista all’associazione EOS, di Lara Granelli

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n molti paesi del Medio Oriente, dell'Africa del Nord e dell'Asia, i cristiani sono piccole minoranze.

Sebbene garantite nei loro diritti dalle Costituzioni della maggioranza di questi paesi, devono spesso fare i conti con leggi e pratiche che ne limitano la libertà religiosa. Secondo il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, pubblicato dal Dipartimento di Stato americano il 18 novembre scorso, i paesi in cui con più frequenza si verificano episodi di violazione di questo diritto umano fondamentale sono la Corea del Nord, l'Iran, il Myanmar, la Cina, il Sudan, l'Eritrea, l'Arabia Saudita, l'Uzbekistan. Ma sotto osservazione sono anche il Pakistan e l'Iraq, teatri di recenti gravi attacchi ai cristiani, che si configurano ormai come violenza e intimidazione contro le minoranze. In gioco è lo stesso diritto di essere minoranza, in uno Stato sempre più prigioniero di logiche e propagande fondamentaliste, dove l'attacco ai cristiani è la strategia comune per mandare messaggi ai propri avversari politici, su scala nazionale e internazionale.Ne è una tragica conferma l'attentato alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad, del 31 ottobre scorso, durante il quale sono morti 44 fedeli e due sacerdoti. Un attacco del tutto gratuito, rivendicato da Al Qaeda, contro una minoranza che ha il solo "peccato" di evocare simbolicamente lo spettro della propaganda estremista, cioè i crociati, gli occidentali, i colonialisti, gli imperialisti.La tragedia che si sta consumando in Iraq, dove oltre un milione di persone hanno dovuto lasciare il paese perché cristiane, sta d i s e g n a n d o u n o s c e n a r i o p o l i t i c o impossibile per la convivenza civile in quel paese e per la sopravvivenza della comunità cristiana. Se se ne andassero tutti i cristiani, verrebbe meno un ricco e antichissimo patrimonio di cui il paese ha bisogno per

costruire il proprio futuro. Come guarire la febbre fondamentalista, che ha sconvolto il paese, nello scontro tra sunniti, sciiti e curdi, trasformando i cristiani nel bersaglio preferito di coloro che sfruttano l'islam per scopi terroristici? Non sono soluzioni praticabili né il via libera del governo alla concessione del porto d'armi a tutti i cristiani della provincia di Ninive, né la proposta del presidente Jalal Talabani, sostenuta dall'influente diaspora cristiana irachena negli Usa, di mettere in sicurezza i cristiani concentrandoli nella piana della medesima città.Le armi e i ghetti non sono mai stati una soluzione, ma la giustificazione della violenza, della discriminazione, della persecuzione e del razzismo. I cristiani non sono un'etnia a parte, ma persone che vogliono vivere la loro fede tra gli altri, come sale e lievito in mezzo a tutta la pasta d e l l ' u m a n i t à , n e l l a l o r o t e r r a , i n collaborazione con tutti per la costruzione di una società migliore, basata sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali sanciti dalla Costituzione nazionale e dal diritto internazionale. Va in questa direzione la coraggiosa proposta di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, che, a nome dei vescovi caldei dell'Iraq, ha rivolto un appello alle autorità religiose musulmane chiedendo una fatwa (parere giuridico) "per aiutare a chiarire che le violenze contro i cristiani sono illegittime e contrarie ai p r i n c i p i d e l l a r e l i g i o n e i s l a m i c a " . Un'occasione opportuna per prendere le distanze insieme, cristiani e musulmani, da qualsivoglia complicità col fanatismo religioso e rispondere alle attese di Dio, per ridare agli iracheni il loro futuro. Senza il rispetto del diritto delle minoranze il futuro dell'Iraq, come di qualsiasi altro paese, non sarà mai garantito.

◆ Don Sandro e la redazione

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Il diritto di essere minoranzaVi presentiamo un editoriale di “Missione oggi” a cura di Mario Menin, in cui viene elaborata una riflessione sul tema delle minoranze.

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Ciudad de los niños

Ci eravamo lasciati raccontandovi delle celebrazioni delle prime Comunioni e delle Cresime dei nostri ragazzi nel mese di ottobre-novembre. Nel mese di dicembre l’attenzione naturalmente è stata per il cammino di Avvento e la preparazione al Santo Natale. Era abitudine trovarsi tutte le settimane con i ragazzi della Ciudad del Niño per un mo-mento di preghiera e condivisione, questa volta guidati dalle due suore brasiliane Augusta eDelisenir che da pochi mesi vivono con noi e ci accompagnano nella formazione dei ragazzi.L’arrivo del Natale è stato una grande festa per tutti, con la presenza in carne ed ossa del nostro personalissimo Babbo Natale, del quale per ovvi motivi non possiamo svelare il nome. Per i bambini, soprattutto per i più piccoli, è sempre una sorpresa vedere questo personaggio tutto rosso, con la barba lunga, entrare in casa e la-sciare un dono. Dicembre è tempo anche di vacanze, finisce la scuola e tutti si riposano, iniziano i gio-chi e le attività ricreative. Quest’anno a darci una mano con i giochi è il nostro amico Gigi, responsa-bile dell’animazione dei ragazzi. Naturalmente non è mancata la tradizionale festa di fine anno, con tanto di Koa (un antico rituale andino) per propiziare l’arrivo del nuovo anno.

Il 2011 è cominciato sotto il segno della pioggia, qui molto apprezzata perché ce n’è davvero bisogno. I paesaggi si trasformano: la terra che per nove mesi all’anno è arida e priva di vegetazione si colora di verde e rinascono le piante.Approfittando del tempo delle vacanze si sono organizzate alcune settimane di puro svago con i ragaz-zi. Divisi per età c’è chi si è recato in Chapare, chi a La Paz e chi a Corani Pampa. Le ragazze tra i 14 e i 18 anni hanno visitato per una settimana la capitale della Bolivia, La Paz. Una bellissima espe-rienza per 17 ragazze, che hanno avuto la possibilità di conoscere una città che non avevano mai visto. Abbiamo visitato il lago Titicaca e le rovine della cultura Tiwanaku, una tra le prime civilità ad inse-diarsi sulle Ande. E poi parchi, giochi, visita allo stadio di calcio (a quota 3800 mt.) e molto ancora. Insomma, un’esperienza che non si può dimenticare.

Adesso ci stiamo preparando un’altra volta per riprendere con le normali attività dell’anno scolastico che inizierà il primo giorno di febbraio. Uno dei nostri ragazzi è partito per servire la patria per un anno, mentre altri due ragazzi, finiti gli studi superiori, sono andati a vivere fuori dalla Missione.E per tre ragazzi che finiscono e diventano grandi, ce ne saranno altri piccoli piccoli che saranno ac-colti nella nostra casa. Infatti tra poche settimane riceveremo nelle nostre casette sette o otto bambini tra i 2 e 3 anni ai quali il Signore ha riservato un futuro particolare: crescere e imparare a vivere tra le braccia di questa grande famiglia che è la Ciudad del niño.

Vi salutiamo con affetto,Fulvio e tutti quanti vivono nella Ciudad del niño

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Voglio servire Gesù da uomo comune.Così inizia una testimonianza di Bhatti, ministro cristiano del governo Pakistano assassinato nel marzo scorso, che andrebbe riletta per intero per cogliere in essa tutta la straordinaria quotidianità di un cristiano semplice e proprio per questo così eccezionale per il nostro mondo.

Tutto quello che sta succedendo in questi mesi e che sta cambiando radicalmente il mondo pone a tutti noi una serie di domande a cui diventa estremamente difficile dare delle risposte chiare. Pensiamo al Giappone, alla tragedia del terremoto e dello tsunami; ma più ancora al-l'evento (o meglio dire disastro?) atomico, con tutte le conseguenze che ne seguiranno negli anni. Pensiamo a quanto sta succedendo nel mondo arabo (Tunisia, Egitto, Libia, Siria, ...): quando tutto si sarà calmato avremo sicuramente un mondo diverso, e anche l'Italia sarà di-versa. Stiamo forse andando verso una civiltà del caos e della confusione, dove ancora una volta tutto quanto ha il sapore della pace, del dialogo, della comunione verrà calpestato in nome di interessi “più grandi”?

Di fatto ancora una volta gli ultimi avveni-menti del mondo ci dicono che il progetto di una crescita economica infinita, che nasce dal-lo sfruttamento della Terra, sembra non stia procurando benessere per tutti (teorema ipo-tizzato da molti: più si produce, più si consu-ma, più tutti possono accedere alla ricchezza e di conseguenza al benessere). Al contrario si assiste all'aumento della povertà e al rischio di raggiungere il punto di “non ritorno” della so-stenibilità ambientale del pianeta.

Se non vogliamo andare verso il caos dobbia-mo avere il coraggio di cambiare questa ten-denza, per sperare nella costruzione di un mondo nuovo. Si tratta di fatto di un lungo cammino di conversione, di purificazione, di cambiamento dei nostri stili di vita: ma quale può essere la direzione da intraprendere?Per avviare questo cammino di conversione mi sembra importante mettere in evidenza due indicazioni:- cercare un rapporto nuovo e più benevolo verso la Terra-creare le condizioni per una nuova forma di alleanza tra i popoli della terraIn sostanza il tratto fondamentale da coltivare

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Dossier

Un modo d’essere dell’uomo

Papa Giovanni XXIII in visita a un malato

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tut t i ins ieme è la capac i tà d i prenderc i cura de l la terra e de l creato .Se non riusciremo, partendo dal basso, a creare le condizioni perché queste due indicazioni si possano concretizzare, il futuro non sarà sicuramente facile da costruire.Oggi l'incapacità del “prendersi cura” dell'altro sta producendo malessere di fronte a questa civiltà, soprattutto a causa dell’insicurezza nelle relazioni tra le persone. Inoltre è sempre più evidente la mancanza di attenzione alla persona in tutti i campi della vita sociale, dovuta al fatto che il più delle volte si è come costretti a guardare al profitto e al bilancio, e la crescente indifferenza di fronte ad ogni vissuto spirituale, salvo la ricerca di percorsi ancora una volta troppo personali che fanno fatica ad essere condivisi con altri.

In sintesi il grande progresso di questo secolo non ha prodotto benessere per tutti, ma ha con-tribuito ad aumentare le ingiustizie. Anche le soluzioni che sono state proposte hanno dato risposte sempre parziali, che non riescono a costruire percorsi di giustizia e di felicità per tutti gli uomini. Le forme della ribellione violenta hanno generato altra violenza e rancore; la ten-tazione di pensare che l'uomo possa risolvere tutti i problemi attraverso la sua intelligenza e la scienza ha generato nell'uomo forme di delirio di onnipotenza; ogni forma di fondamentali-smo politico e religioso ha avuto come esito l'incapacità al dialogo, creando muri e barriere che dividono gli uomini e i popoli.

Se vogliamo guardare il problema da un altro punto di vista dobbiamo porci la domanda: que-sta società che idea di uomo ha un in mente? che cosa si ritiene indispensabile per la vita di un uomo?Pensare a criteri di giustizia e di felicità per l'uomo vuol dire recuperare la dimensione del prendersi cura dell'altro e del mondo, e di conseguenza recuperare una profonda dimensione di rinascita spirituale. È questa la grande sfida del domani: immettere nella Storia un princi-pio spirituale nuovo ma insieme antico che Dio chiama “la cura dell'altro”. Questo cammino spirituale come passione per la terra e per l'uomo può permetterci di dare finalmente risposte globali alla vicenda degli uomini di questo tempo.

Cerchiamo di delineare alcuni tratti di questo atteggiamento fondamentale del “prendersi cu-ra” che può essere all'origine di un nuovo mondo, di città nuove. Esso è un modo di essere, una responsabilità, uno stile di vita. Più ancora, è una forma di zelo, un atteggiamento, una virtù, un abito che ogni uomo porta abitualmente. Il prendersi cura è la scelta fondamentale dell'esistenza di ogni uomo che ha a cuore la sorte di questo mondo.“L'espressione cura sta ad indicare un fenomeno esistenziale fondamentale” dice in un suo scritto L. Boff; la capacità di prendersi cura della creazione e dell'Altro sta alla radice di ogni comportamento umanamente giusto, bello, vero.L'uomo che pone al centro la cura è colui che dichiara che la propria vita è relazione con l'al-tro, che la sopravvivenza dell'altro dipende anche dal proprio prendersi cura dell'altro. L'esse-re umano esiste perché “entra in relazione con”, esiste in una dimensione che conosce la feli-cità solo quando questa relazione vive del prendersi cura vicendevolmente.

I due testi che seguono sono illuminanti riguardo la volontà dell'uomo di cambiare questo mondo partendo da semplici gesti che prevedono la cura verso l'altro.

Giovanni XXIII, Humanae salutisDocumento di indizione del Concilio ecumenico Vaticano II, 25 dicembre 1961

Queste dolorose cause di ansietà si configurano alla nostra considerazione come un motivo per richiamare la necessità di vigilare e rendere ognuno cosciente dei suoi doveri. Sappiamo che la visione di questi mali deprime talmente gli animi di alcuni al punto che non scorgono

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altro che tenebre, dalle quali pensano che il mondo sia interamente avvolto. Noi invece amiamo riaffermare la Nostra incrollabile fiducia nel divin Salvatore del genere umano, che non ha affatto abbandonato i mortali da lui redenti. Anzi, seguendo gli ammonimenti di Cri-sto Signore che ci esorta ad interpretare "i segni dei tempi" (Mt 16,3), fra tanta tenebrosa cali-gine scorgiamo indizi non pochi che sembrano offrire auspici di un'epoca migliore per la Chiesa e per l'umanità.

Riflessioni di frate Christian de Chergé, priore di Tibhirine

“Dobbiamo essere testimoni dell’Emmanuele, cioè del ‘Dio-con’. C’è una presenza del Dio tra gli uomini che proprio noi dobbiamo assumere. È in questa prospettiva che cogliamo la nostra vocazione a essere una presenza fraterna di uomini e di donne che condividono la vita di mu-sulmani, nella preghiera, nel silenzio e nell’amicizia. Le relazioni chiesa-islam balbettano per-ché non abbiamo ancora vissuto abbastanza accanto a loro”. Così si esprimeva fr. Christian de Chergé, priore di Tibhirine, l’8 marzo 1996, una dozzina di giorni prima di essere rapito as-sieme a sei suoi confratelli e sparire nella tempesta che in quegli anni imperversava sulla so-cietà algerina e sulla minuscola pre-senza cristiana.

“In questi ultimi tempi – scriveva fr. Christian già nel 1977 – mi sono convinto che l’episodio della Visita-zione è il vero luogo teologico-scrit-turistico della missione nel rispetto dell’altro che lo Spirito ha già inve-stito” e, una dozzina d’anni dopo, continuava: “Questo mistero è pro-prio quello dell’ospitalità reciproca più completa: lo Spirito santo è sempre con chi prende Maria con sé: è bene che la Chiesa metta que-sto mistero della Visitazione sempre più al cuore della ‘fretta’ che porta verso l’altro, cioè verso ogni essere umano”.

◆ Don Alessandro Sesana

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La comunità di Tibhirine

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“La paura è la passione primordiale e più antica; è la risposta emotiva universale e originaria che, pur appartenendo anche all’animale, caratterizza in modo peculiare la vita e l’esperienza umane. Non solo perché l’uomo è l’unico essere che possiede l’idea della morte, ma anche perché egli è il solo essere vivente caratterizzato dall’illimitata apertura al mondo, sia quello esterno sia quello interno pulsionale, sempre in eccesso, caratterizzato da una costitutiva mobilità e plasticità”

Elena Pulcini, “La cura del mondo”

ià il filosofo Hobbes aveva trattato a fondo in una delle sue opere mag-

giori (il Leviatano) questa passione: la sua concezione riguardo a questo argomento ci serve a comprendere meglio le cause della odierna e così diffusa paura dell’altro, so-prattutto in quanto straniero.

Hobbes lega strettamente la passione della paura che gli uomini provano gli uni nei con-fronti degli altri con la costituzione di uno Stato: infatti, senza tale istituzione gli uomi-ni si trovano in uno stato di natura, per cui tutti sono uguali e possono accedere ugual-mente a qualsiasi cosa. In tale situazione la

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Attualità

La paura dell’altro

“G

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proprietà coincide con ciò che si riesce ad ot-tenere con la forza, scontrandosi e sopraffa-cendosi l’un l’altro. L’istituzione dello Stato permette di ovviare a questa condizione di guerra di tutti contro tutti, poichè impone norme e sanzioni che contengano e orientino l’agire dei cittadini in modo tale da evitare tali conflitti.

Oggi la situazione non è più così semplice, poiché assistiamo all’intensificarsi di un fe-nomeno che, con l’accelerazione dei tempi e la contrazione degli spazi, corrode i netti confini che nella prima modernità separava-no gli Stati fra di loro garantendo una rigo-rosa contrapposizione dentro/fuori: tale fe-nomeno è la globalizzazione, che sta privan-do lo Stato di quella funzione fondamentale conferitagli da Hobbes. Così che oggi, lo straniero, non può essere più espulso dai confini territoriali, poiché viene a mancare quella netta contrapposizione fra dentro e fuori, rendendo gli uomini “cittadini di un’unica grande nazione”. Lo straniero dun-que si fa interno, è ineliminabile.

Vi sono quindi una paura diffusa che tenta inefficacemente di celarsi sotto infondate presunzioni di possesso di un territorio (da cui tenere lontani gli “estranei”) che in realtà non appartiene a nessuno e la rinascita di molteplici fenomeni di xenofobia e di razzi-smo oltre che di nuovi secessionismi (Lega Nord in Italia e repubbliche postsovietiche) alimentati dalla crisi di legittimità dello Sta-to, incapace di produrre sicurezza e integra-zione sociale.

Di fronte a tali problematiche è forse bene ripensare a quanto l’altro (l’altra persona, lo straniero) sia indispensabile nella formazio-ne dell’identità di ognuno di noi. Infatti, ap-profondendo l’esperienza del pensare si sco-pre che l’altro abita il pensiero di ogni uomo: il pensiero è sempre pensiero dell’altro (di me come altro e dell’altro come altro), è transito verso l’altro, non coincide mai con se stesso; allo stesso modo la coscienza è sempre coscienza dell’altro e solo quando in-contro l’altro (che è vincolo che definisce i poteri della mia coscienza) io divento consa-pevole dei confini della mia coscienza e della mia identità e dunque divento consapevole di me stesso. Quindi io sono insieme io/al-tro/altri e la centralità dell’io è messa in di-scussione: ciò fa paura. L’altro ci mette in di-scussione, ci chiama a sé, ci destabilizza, di-segna il profilo della nostra finitudine; ma solo attraverso l’altro io colgo la mia identi-tà; la nozione di altro risulta perciò una cate-goria inventata per legittimare l’esclusione, un modo sofisticato per disconoscere la con-creta realtà degli altri. Io sono per l’altro, l’altro esiste per me, in una ineluttabile reci-procità che ci lega in quanto esseri umani.

◆ Lara Grane"i

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Se il mondo è u n i n s i e m e plurale di es-seri singolari – come scandi-sce una nota formula filoso-fica –, un’etica all’altezza del fenomeno che c h i a m i a m o « g l o b a l i z z a-zione» non po-trà che far va-lere sino in fondo le buone ragioni di que-

sta coappartenenza, intervenendo sugli svi-luppi disturbati, tipici della modernità e dei suoi esiti ultimi, e caratterizzati dalla cattiva polarità tra ossessione dell’io e ossessione del noi: individualismo illimitato nella sua versione tarda, narcisistica, e comunitarismo immunitario, che trova difensivamente ali-mento nel bisogno di un legame sociale ormai eroso. Entrambi configurano una pa-tologia del sentire, l’uno per assenza, il se-condo per eccesso di pathos.

Secondo Elena Pulcini è appunto dalle pas-sioni, dalla loro funzione cognitiva e comu-nicativa, che occorre ripartire. Si rivelerà de-cisivo riuscire a governare la paura, fonda-mentale passione della vita associata da riat-tivare attraverso una metamorfosi virtuosa, che al tempo stesso ne costituisca il risveglio emotivo e la ponga come precondizione del-l’agire morale.

Essere consapevoli della propria vulnerabili-tà di soggetti non sovrani e prendere atto della realtà della contaminazione sono i pre-supposti che insegnano, al di là di un astrat-to doverismo e di malinteso altruismo, ad avere paura per, invece che ad avere paura

di. E paura per il mondo significa cura del mondo. Con l’idea di cura, intesa nell’acce-zione classica di preoccupazione e sollecitu-dine, si affaccia una nuova nozione, emanci-pativa, di responsabilità, dove l’accento è spostato sul rispondere a, sul venir meno della rigidità identitaria.

L’autrice

Elena Pulcini insegna Filosofia sociale al-l’Università di Firenze. A partire da Amour-passion e amore coniugale. Rousseau e l’origine di un conflitto moderno (Marsilio, 1990), i suoi numerosi saggi riflettono, all’in-terno di una teoria della modernità, su indi-vidualismo, passioni, soggettività femminile e legame sociale. Ha curato con Dimitri D’Andrea Filosofie della globalizzazione (ETS, 2001) e con Mariapaola Fimiani Uma-no post-umano. Potere, sapere, etica nell’età globale (Editori Riuniti, 2004). Per Bollati Boringhieri ha pubblicato: L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale (2001) e Il potere di uni-re. Femminile, desiderio, cura (2003).

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Cultura

La cura del mondo

L’autrice Elena Pulcini

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Inverno, 1943. Martina, unica figlia di una povera famiglia di contadini che abita alle pendici di Monte Sole, ha 8 anni. Alcuni anni prima ha perso un fratellino di pochi giorni, e da allora ha smesso di parlare.Sua mamma rimane nuovamente incinta e Martina vive nell'attesa del bambino che na-scerà, mentre la guerra man mano si avvici-na e la vita diventa sempre più difficile, stretti fra le brigate partigiane del coman-dante Lupo e l'avanzare dei nazisti. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il bam-bino viene finalmente alla luce; quasi con-temporaneamente le SS scatenano nella zona un rastrellamento senza precedenti, che pas-serà alla storia come la strage di Marzabotto.

Il "filo rosso" della storia, inconsapevole te-stimone di quanto accade e sta per accadere, è la piccola Martina. La bimba non parla ma i suoi occhi e i suoi scritti spiegano più di mille parole. Il suo sguardo attento si posa sulla quotidianità, ma Martina riflette con occhio attento e innocente anche su avveni-menti più grandi di lei e che non riesce a comprendere: l'arrivo di una spaurita fami-gliola di città, i continui approvvigionamenti forzosi della soldataglia tedesca, costituita principalmente da giovani poco più che ado-lescenti induriti dalla guerra.

Drammatiche e agghiaccianti le scene relati-ve all’eccidio: i bambini fucilati in prima fila e la popolazione inerme e innocente sono i simboli della Storia, perché i veri eroi non sono i partigiani o i soldati ma chi, giorno per giorno, continuando a vivere faticosa-mente, si è trovato ad affrontare una situa-zione ignota e incomprensibile, nascendo, vivendo, morendo, testimoniando.

Il silenzio di Martina e quello dell'intero film si popolano, prima, di un dialetto ruvido e vitale, per trasformarsi poi nel latino a mez-zelabbra delle preghiere di terrore, giungen-

do infine all'abisso del vuoto che precede il fragore della mitraglia.

Secondo film a sfondo "antropologico" del regista Giorgio Diritti, già autore del premia-to e bellissimo "Il vento fa il suo giro", "L'uomo che verrà" è ambientato sui colli appenninici vicino Bologna, tra la fine del 1943 e la metà del 1944, all'epoca del famige-rato eccidio di Marzabotto.

Il regista non vuole fare cronaca ma cerca di entrare, di condividere i singoli momenti: scene di gruppo lente, addirittura statiche, e a seguire le inquadrature sui corpi agoniz-zanti, non solo corpi esanimi ma persone, e su tutti Martina presente e miracolata, riu-scita a fuggire ed a prendendosi in carico il fratellino neonato venuto alla luce poche ore prima dell'inizio della strage.

10 Compartir · Maggio 2011

Cultura

L’uomo che verrà

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• Come nasce questa Associazione e quale è la sua finalità?

Il gruppo “Eos, la stella del mattino” na-sce da un gruppo di giovani dell’oratorio di Mozzo che volevano raccogliere dei fondi a favore di un bambino di cinque anni di nome Leonardo, che ha una gra-ve malattia (non ben conosciuta e non curabile fino a questo momento) che lo costringe a risiedere negli Stati Uniti, dove è tuttora ricoverato. Originaria-mente, per raccogliere questi fondi vole-vamo riproporre un musical realizzato un paio d’anni prima, ma per motivi or-ganizzativi abbiamo abbandonato l’idea e abbiamo deciso di creare quest’asso-ciazione.

Eos vuole aiutare bambini affetti da ma-lattie croniche, sottoposti a lunghe ospe-dalizzazioni e dare un supporto econo-mico alle loro famiglie, aiutandole anche a trovare un aggancio con le strutture ospedaliere.

• È facile lavorare in gruppo?

No, perché in qualsiasi gruppo nascono dissensi, è difficile concordare le volontà di tutti in un progetto unico; ma le diffi-coltà si superano con entusiasmo… e qui ce n’è tanto!

• Che significato ha per voi il concetto di vo-lontariato?

Praticare il volontariato è un modo per met-terci al servizio dei bambini meno fortunati di noi, per capirli e andargli incontro; inoltre è un’occasione importante per condividere con altre persone i nostri progetti, metten-dosi gratuitamente al servizio di chi ha biso-

gno di aiuto e per vivere un’esperienza di gruppo, quindi di condivisione.

• Quali sono le fatiche di un’associazione di questo tipo?

E’ difficile mettersi d’accordo per giungere ad un obiettivo comune, trovare canali origi-nali per raccogliere fondi, farsi conoscere, conferire serietà alle attività che organizzia-mo e proponiamo, dare fiducia a chi incon-

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Volontariato

Associazione onlus EOS

Il comico Fabrizio Fontana alla prima iniziativa di EOS

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triamo, donare parte del nostro tempo da investire in un impegnativo progetto che ci unisce tutti quanti.

• Si è ben radicata sul territorio questa as-sociazione?

Finora soltanto nel nostro paese e nei din-torni, ma sul territorio nazionale non ancora. Nonostante ciò stiamo lavorando per farci conoscere sempre di più: abbiamo realizzato un sito (www.eoslastelladelmattino.it) , ab-biamo organizzato e organizzeremo diversi eventi, vendiamo dei gadget e ci siamo fatti pubblicità anche su una rete televisiva locale.

• Quali sono le maggiori soddisfazioni?

Le soddisfazioni sono tante: essere in grado di aiutare chi ha bisogno semplicemente con la buona volontà e l’entusiasmo, osservare la solidarietà e la partecipazione di chi decide

di sostenerci, oltre che la gioia delle persone che aiutiamo; ma anche lavorare in gruppo, confrontarsi e coordinarsi in un unico obiet-tivo, ottenere grandi risultati da un progetto riuscito e a lungo organizzato. D’altronde, è già una grande soddisfazione ritrovarci tutti insieme e imparare a volerci bene!

• Se il volontariato dovesse essere descritto da tre parole, quali scegliereste?

Tre parole non basterebbero per descrivere un’esperienza così ricca di sfumature… cer-tamente, però, in un’attività di questo tipo non possono mancare disponibilità, altrui-smo e solidarietà; ma alla base di tutto c’è la voglia di stare insieme e di realizzare qualco-sa di importante.

◆ Lara Grane"i

12 Compartir · Maggio 2011

Un momento de “La corrida junior”, svoltasi all’oratorio di Mozzo

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· Campo di lavoro al PatronatoIl 9 e 10 aprile scorsi si è svolto un campo di lavoro al Patronato, durante il quale con il nostro impegno abbiamo raccolto fondi a favore della Bolivia e dei progetti del Patronato, oltre a esporre una mostra su quanto in questi anni si sta facendo nella Ciudad.

· CaracolI ragazzi del gruppo inBolivia 2004 quest’anno adotteranno una casetta della Ciudad de los niños, per contribuire in prima persona al progetto Caracol. Chiunque fosse interessato al nostro progetto di adozione a distanza può rivolgersi a: Emiliano 346.3942256 · [email protected]

· Festa multietnica di Zanica e festa missionaria di SforzaticaSaremo presenti in occasione di queste feste, che si svolgeranno rispettivamente a fine maggio e a giugno, per presentare il nostro gruppo e le nostre attività. Inoltre venderemo alcuni prodotti del commercio equo in favore del progetto di Riccardo Giavarini a La Paz, e per vendere i manufatti realizzati dai ragazzi del laboratorio di falegnameria del Patronato.

Compartir · Maggio 2011 13

I nostri progetti

Un momento del campo di lavoro

Contatt iDon Alessandro Sesana

[email protected]

340.8926053

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