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Consigli, Sindacato e Stato

Date post: 30-May-2018
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    CONSIGLI, SINDACATI E STATO*

    Piu volte, nel corso degli anni Settanta, le direzioni sindacali sono sta-te attaccate per la loro "tolleranza" nei confronti delle lotte "incon-trollate" e "corporative", per la loro" complicit" con l'estremismodiffuso nei principali Consigli diFabbrica. Dalle stesse file del Partitocomunista un analogo rimprovero stato mosso da Giorgio Amendo-lat (a cui ha risposto acutamente Giorgio Bocca, ricordandogli chenon a caso lo stesso Amendola non aveva fatto le stesse denunce neglianni precedenti, nei quali la politica sindacale non era stata elaborataa tavolino, ma in condizioni di particolare emergenza sotto la minac-cia di perdere il controllo di settori non trascurabili di classe operaiaj.L'equivoco non pu essere chilrito se non si mette in luce la naturaambivalente dei Consigli dei Delegati, che costituiscono la struttura dibase degli attuali sindacati, pur essendo nati in parte al di fuori di es-si, sotto l'influenza di concezioni a volte assai diverse da quelle sinda-cali ufficiali, rispondendo a bisogni e spinte che erano largamenteignorati dalle organizzazioni tradizionali 2.Occorre, a tal fine, superare l'impasse provocata dalla schematicacontrapposizione tra la ricostruzione "spontanea" delle lotte del 1969a lungo in auge nella "nuova sinistra" (che vi ha visto esclusivamenteun'iniziativa spontanea della "base", completamente contrapposta alsindacato tradizionale e senza altro ruolo di questo che non fosseesclusivamente frenante o "repressivo"). e la versione apologetica ri-portata da quasi tutte le fonti sindacali (che presentano, invece, con-tenuti, forme di lotta e ripercussioni organizzative delle lotte dell'au-. Questo saggio era sta to ini zi alment e concepi to { in una stesura pi ampia} come int roduzione a un'anto-logia di scrit ti sul rapporto Consigl i-sindaca ti-part it i operai (dicembre 1980) .I G . Amendol a, I nt errogati vi sul " caso" FIAT, in "Rinascita", n. 43, 9 novembre 1979.2 Si veda a questo proposito la documentazione r accolta nel "Quader no di Rassegna sindacale" n.2 4, d icemb re 1969 , l delegati direparto.

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    tunno caldo come il frutto di una serena e meditata decisione del V(Jtice sindacale).In realt, basta prendere in esame gli Atti del VII Congresso dl,lIlICGIL, che sisvolse a Livorno dal 16alZI giugno 1969 (cio poche !i! '1timane prima della definiz ione delle piattaforme su cui esplosero Ilgrandi lotte contrattuali) per rendersi conto che le scadenze conlrnltuali e rano state concepite con contenuti ben piu modesti le quindiassai meno mobilitanti) e che, della questione dei delegati, si parlavI!- in modo del tutto 'accademico - come di una forma interessante dIarticolazione organizzativa che avrebbe dovuto affiancare del tuttotransitoriamente e su temi ben circoscritti le fantomatiche sez ionisindacali, delle quali si decideva il rafforzamento le che sparirono invece definitivamente nel nulla nei mesi successivij3.Naturalmente, se i testi de l VII Congresso de lla CGIL (come quellidei Congressi, piu o meno contemporanei, del le altre confederazioni Inon forniscono la minima pezza d'appoggio a chi presenta losviluppodei delega ti e la straordinaria dinamica delle lotte contra ttuali del-l'autunno come la na turale conseguenza di una lenta e graduale ela-borazione di una nuova politica sindacale, tutto l'andamento dellalotta ha ridicolizzato comple tamente quei settori della "nuova sini-stra" che, in nome degli schemi ideologici dell ' estremismo operaistae spontaneista, cercarono allora di negare l'evidenza, per l'incapacitdi fornire una spiegazione convincente (al di l della consueta distri-buzione di epiteti infamanti) della svolta compiuta nel mese di luglio1969 dalle direzioni sindacali4.La rea lt sempre un po' piu complessa di come la si vede attraversoschemi maniche i o comunque adialettici: indubbiamente, furono gliobiettivi nuovi, quantitativamente e - ancor piu - qualitativamente(gliobiettivi egualitari...) che diedero alle lotte del 1969 quell'eccezio-nale forza di mobilitazione che fini per coinvolgere per la prima voltamilioni di operai, mai raggiunti dal sindacato anche nel corso dei rin-novi contrattuali del 196Z e del 1966 (che avevano visto i primi sinto-3 l Congressidella COlL, voi VIII, Editrice Sindacale Italiana, Roma, 1970, t. I, pp. 66.67, 454 e pososim.4 La sopravvivenza, e anzi il rafforzamento di gruppi politici che avevano compiuto nell'autunno1969 error i cosi macroscopici avvenne per, negli anni successivi, prevalentemente in ambientigiovanili, anche operai, ma sull' onda di una radicalizzazione che aveva al centro questioni esisten.ziali e contraddizioni esterne alla fabbrica. Lastessa Lotta Continua, che si presenter come ilpro-dotto delle lotte di Miraf iori , per molto tempo lanche dopo aver perduto gran par te del suo seguitoin quella e in altre grandi fabbriche). vi rientrer in seguito affinando le sue tematiche ed elaboran-do - s ia pure in una forma contraddittor ia, non sempre sis tematizzata agliocchi dei suois tessi mili-tanti - una tattica che terr conto dell' esistenza e delle contraddizioni delle organizzazioni tradizio.nali della classe.116

    mi della ripresa di iniziativa operaia dopo le sconfitte degli anni Cin-quantal. Indubbiamente, quei contenuti (le 40 ore subito, gli aumentiugua li per tutti) e rano stati portati avanti inizialmente solo da unapiccola minoranza nel sindaca to, da tutta l'area di "studenti" da cuivenivano decantandosi le prime organizzazioni della nuova sinistra ,ed erano stati ritenuti invece inopportuni, utopistic i o addiritturadannosi e controproducenti (nel caso degli aumenti uguali per tutti)dal gruppo dirigente delle tre Confederazioni.AlVII Congresso della CGIL, la relazione del segretario generale No-vella ribadiva ancora l 'osti li t "ad ogni forma astratta di egualitari-smo salariale" e prospettava una battaglia per le 40 ore che "dovrarticolarsi secondo le situazioni specifiche, e potr anche prendere inalcuni casi forme diverse, strutture diverse"5.Anche Vittorio Foa polemizzava fortemente in quella sede con il "tra-dunionismo" con cui "gruppi politici di sinistra e persino frazioni delmovimento studentesco" concentravano l 'attenzione su obiettivi sa-lariali, e non si pronunciava per niente sulla questione - decisiva inquel momento - degli aumenti uguali per tutti6. Su questo tema, in-vece, le Note sulla contrattazione sindacale presentate all'appositaCommissione congressuale dall'Ufficio sindacale confederale eranoinequivocabili:"La richiesta di rivendicare aumenti incifra uguali per tutti una tendenza che ve.nuta fuori , soprattutto negli ult imi tempi, che risponde da una parte aibassi salari ead una spinta egualitaristica delle categorie piu basse dei lavoratori; dall'altra ad uncerto tipo dipressione che in questo senso possono avere esercitato leforze esterneal movimento sindacale durante lastagione delle grandi lotte aziendali; certamen-te un discorso non privo di fascino. Tuttavia esso presenta t roppi la ti negativi peressere assunto oggi quale indirizzo da seguire"7.

    Anche sulla questione della riduzione d'orario - in polemica implici-ta con le molte voci che, persino in quel Congresso i cui partecipantierano stati selezionati con tanta cura, proponevano di chiedere l'ap-plicazione immediata delle 40 ore, ed anzi gi ilpassaggio a 36ore peri settori piu nocivi, in particolare per la siderurgia e per la chimica -i l documento. della Commissione sindacale (che appunto quella cheprepara le piattaforme rivendicative) diceva molto chiaramente:

    "Il problema si presenta con caratteri diversi da settore a settore, stanti i differentitraguardi raggiunti con ivecchi contratti. Resta per valido per tutti l'obiettivo indi-5 l Congressicit ., voi VII I, t .I , pp. 35.36.6 Ivi, pp. 125-126.7 Iv i, t . II, pp . 91 .92.

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    cato dalla CGIL nei Temi congresslIilli del raggiungimento delle 40 ore settimanalida realizzare anche gradualmente (.. .)"8.Il livellamento veniva proposto quindi al le condizioni meno favore-voli , ,escludendo rivendicazioni piu avanzate del le 40 ore e prospet-tando, anzi, che la loro realizzazione potesse avvenire "anche gra-ualmente" .Come noto, questa impostazione risul t vincitr ice in un Congresso icui partecipanti erano in larghissima maggioranza funzionari sinda-cali, ed anzi , in gran parte, di quella particolare specie di funzionariche passano indistintamente da una categoria al l'al tra, da un Ufficiostudi a una Camera del Lavoro, o magari dal part ito al sindacato, sen-za aver mai conosciuto qualsiasi forma di lavoro produttivo e, quindi,senza mai essere stat i iscri tti al s indacato (a meno che non esista, po-co noto ancorch non poco consistente, un sindacato dei burocrati...). al trettanto noto che quest' impostazione ridut tiva del le rivendica-zioni che "realisticamente" potevano essere presentate in occasionedei rinnovi contrattuali dovette essere accantonata clamorosamenteappena un mese dopo.Quello, per, su cui da una parte e dall'altra si sorvol il contesto incui questa svolta sindacale si realizz. importante ricordarlo, per-ch un dato essenziale della situazione e contribuisce a chiarire lanatura contraddittoria delle stesse strutture di delegati sorte sull'on-da di quelle lotte.Le direzioni sindacali, che avevano appena respinto gli aumentiuguali per tutti e avevano deciso di chiedere un'applicazione gradua-le delle 40 ore (cio, una riduzione non molto dissimile da quelle con-cordate nei precedenti contratt i, la cui appl icazione graduale avevapermesso al padronato di non avere ripercussioni occupazional i)9,non modif icarono certo la loro posizione in un mese per una improv-visa conversione intellet tuale a idee che erano tut t'alt ro che nuove, eneppure tanto "esterne al movimento sindacale".Tuttavia, non sarebbe neppure esat to parlare di un cambiamento ef-fettuato in un vero e proprio stato di costr izione, di un inseguimentodi un movimento ormai irresis tibi lmente lanciato verso l'autunno

    caldo, e che solo con questa tardiva e repent ina svolta la burocraziasindacale poteva mantenere ancora sotto la propria influenza. L'ege-monia delle direzioni riformiste sulla grande maggioranza della clas-se operaia (nonostante le molte illusioni dei gruppi maoisti ed operai-sti) non era in quel momento coscientemente contestata se non dafrange operaie ancora minoritarie nel sindacato e nella classe.L'ipotesi che, senza la svolta di fine luglio 1969, le direzioni sindacaliavrebbero perso completamente il controllo delle lotte contrattuali, oche si sarebbe avuto lo stesso autunno caldo sugli stessi contenuti omagari su contenuti anche piu avanzati e mobilitanti, non ha moltofondamento. La scelta di operare una svolta radicale, accogliendoquei contenuti che erano appena stat i respint i in solenni assembleenominalmente dotate del massimo di sovranita come i Congressi con-federal i, stata presa in una cerchia ristret tiss ima, sulla base di unavalutazione lungimirante dei sintomi di una dinamica preoccupante.Il pericolo che si delineava a breve scadenza non era tuttavia quellodi una direzione alternativa capace di raccogliere le spinte verso unaradicalizzazione dello scontro: era piuttosto quello di un logoramentocomplessivo della forza sindacale per effetto concomitante di fattoriassai diversi.Negli ultimi mesi erano emerse effett ivamente delle opposizioni in-terne al sindacato, abbastanza limitate ma che gi incidevano sullescelte di alcune grandi fabbriche milanesi, che si erano espresse ine-quivocabilmente per una svolta a sinist ra nei contenuti e nelle formedi lotta. Al tempo stesso, prevalentemente esterne al sindacato, siesprimevano le spinte confuse di strati operai fino a quel momentomarginalizzati, poco o male organizzati, spesso spoliticizzati o, a vol-te, rudimentalmente politicizzati sotto l 'influsso di gruppi estremisti(che sostenevano indiscriminatamente - con molto entusiasmo escarsa lungimiranza - ogni manifestazione della rivolta anticapitali-stica e antiburocratica, senza preoccuparsi troppo degli sbocchi).Il sintomo piu inquietante per le direzioni sindacali era rappresentatodalla grande assemblea dei lavoratori della Borletti, al Cinema Nazio-nale di Milano, che avevano respinto la piat taforma contrat tuale pro-posta da FIOM-FIM-UILM, approvando invece una proposta partitadal Comitato Unitario di Base, CUB, (aumenti ugual i per tutti, 40 oresubito e parit completa operai-impiegati). Al tempo stesso, violentis-sime lotte di reparto dilagavano alla Mirafior i, coinvolgendo operaimai toccati da qualsiasi forma di organizzazione, acutizzando lo scon-tro senza che si trovasse alcun terreno di mediazione, per l 'estremadebolezza del sindacato, ancora segnato in quella fabbrica dalle scon-

    8 Ivi , p. 93 .9 Il contratto nazionale di lavoro per gli addetti all 'industria metalmeccanica privata firmato il 15di cembre 1966 prevedeva per ci ascun sett or e una r iduzione d i un 'o ra in t re anni ( in due fas i:mezz'ora dal novembre 1968 e un'altra mezz'ora dal maggio 1969), portando cosi i siderurgici a 42ore, idipendenti del settore auto a 43, i lavoratori dei cantieri a 45. Cfr. FIM-FIOM-UlLM, Contrat-to nazionale di lavoro, 15dicembre 1966, Roma, 1970, p . 198 fediz ione fuori commerc io , per gliscritti al sindacato).118

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    IO Sipensi , ad esempio, alla sor te r iservata ai pochi , operai o no, che osavano accennare a un simi-le problema nelle tumultuose "assemblee operai-studenti" che riunivano quotidianamente all 'Uni-versi t di Tor ino centinaia e migliaia di operai nel giugno- lugl io 1969. Lastessa accoglienza a basedi f ischi e sberlef fi fur i servata a chi tent di r icordare alla grande assemblea r iuni ta al Palasport diTorino negli ultimi giorni del luglio 1969 lapossibilit che l 'Assemblea dei sindacati metalmeccani-ci riunita negli stessi giorni a Milano effettuasse una correzione tattica. L'assemblea del Palasport,da cui nacquero, t ra l 'a lt ro, come organizzazior ii dis tinte, Lot ta Continua e Potere Operaio, ebbeampia eco sulla stampa; ildibattito fu anche registrato integralmente e potrebbe essere interessanteoggi riesaminarne le tematiche con una prospettiva pili distaccata.

    sindacato, l 'egemonia di queste ultime era ugualmente messa in peri-colo, da un alt ro punto di vista, proprio l dove l'opposizione era piuconfusa e caotica. Infatti , proprio alla FIAT Mirafiori (e, in genere, intutte le altre situazioni analoghe, in cui la forza sindacale organizzataera molto debole ed era stata incapace di raccogliere al suo interno lenuove fo'rme di radicalizzazione operaia), i primi successi delle lotte"selvagge" di reparto avevano ulteriormente indebolito il sindacato(non mancarono neoconvertiti a ll 'estremismo spontaneis ta , prove-nienti dai partiti riformisti e dal quadro sindacale intermedio).Anche senza queste fughe verso l 'estremismo, il s indacato era inde-boli to dalla scarsa coesione dei suoi quadri di base che, quando re-spingevano gli attacchi antisindacali di s tudenti e "operai-massa",non erano affatto convinti di non essere a loro volta in errore. Unodegli argomenti preferiti per anni dalle direzioni riformiste per giusti-ficre la moderazione e il contenimento delle rivendicazioni, era statal'immaturit di parte notevole della classe operaia, il suo conservato-r ismo, la sua passivit. Ora, una parte non marginale della classe siera mossa fuori controllo, si era dimostrata disposta a lottare dura-mente, attaccava il s indacato accusandolo di tradimento. Il fatto chesi muovesse male, disordinatamente, senza una prospettiva, con unforte settorialismo ed economicismo, impediva ai quadri sindacalipiu sperimentat i di considerare un modello e una guida la rivolta de-gli operai-massa esplosa nelle lotte selvagge di reparto, ma al tempostesso screditava completamente chi si era trincerato per anni dietrola "passivit" della classe.Cosi , intanto, le lotte si inasprivano senza uno sbocco unificatore.Senza una direzione, era molto diff ici le evitare che il conflit to si fa-cesse sempre piu duro e fosse portato in un vicolo cieco, scontrandosicon la capacit di risposta politica che il padronato manteneva difronte a un attacco operaio frammentato in mille lotte di reparto, lacui unificazione era pressoch impossibile finch restava al basso li-vel lo poli tico che molte delle nuove leve avevano eredi tato dal loropassato di estraneit al sindacato e a qualsiasi forma di organizzazio-ne polit ica, e che non era cer to facile elevare att raverso i l contat tocon "gli studenti": la prassi della maggioranza delle cosiddette"avanguardie esterne" era infatti intrecciata di adorazione spontanei-sta del livello di coscienza esis tente (anche quando questo era rozza-mente economicista) e di manipolazione ideologica grossolanamentesovrapposta, tale da aggravare anzichmigliorare la situazioneIl.

    fitte degli anni precedenti, e con divis ioni aggravate rispetto alla si-tuazione nazionale dall 'es istenza di un sindacato autonomo aperta-mente padronale (il SIDA), a cui la UILM era assai piu vicina che allaFIOM e alla FIM (bollata, quest'ultima, di estremismo dal momentoin cui aveva rotto con la sua ala "gialla", da cui era nato il SIDAI.La possibilit che da quei primi punti di radica mento operaio della si-nistra rivoluzionaria (come la Borletti) nascesse un'opposizione orga-nizzata, con l'obiettivo di contestare a media e a lunga scadenza ladi-rezione tradizionale del movimento operaio, contrapponendo ad essaun'altra ipotesi strategica, non era immediata (una simile eventualitera poi del tutto al di fuori delle preoccupazioni di molti dei nuoviprotagonisti delle lotte "selvagge" di reparto e dei loro stessi collabo-ratori esterniJ1.La posta in gioco erano i militanti s indacali oscillanti, insoddisfattidella poli tica delle loro direzioni e, al tempo stesso, preoccupatidell 'es iguit dei primi raggruppamenti della sinis tra rivoluzionaria odal carattere dis truttivo della protesta spontanea degli operai menopoliticizzati. La scelta "dentro o fuori dal s indacato" li disorientava,per la preoccupazione di abbandonare uno strumento certo insuffi -ciente, ma pure sempre esistente, mentre i "r ivoluzionari" sembra-vano offri re solo idee (spesso neppure tanto meditate o articolate) ,sottovalutando i compiti piu modesti e quotidiani di difesa della con-dizione operaia nella fabbrica.La maggiore preoccupazione delle direzioni sindacali era, ovviamen-te, che si realizzasse un superamento delle barriere (di prudenza ediffidenza degli operai, da un lato; di ingenuo estremismo, dall'altro!che impedivano ancora una saldatura tra questi strati operai e stu-denteschi, ancora lontani tra loro ma mossi dalle stesse inquietudini;la saldatura non avrebbe portato solo una fusione di forze diverse, masoprat tutto un superamento dei limiti reciproci att raverso un con-fronto e uno scambio delle problematiche e delle esperienze.Ma, anche se era lontana la possibilit di un'organizzazione unica del-le molte spinte che si contrapponevano alle direzioni tradizionali del

    Il Un bel libro-inchiesta, uscito "a caldo" alla fine del 1969 (Edgardo Pellegrini, L'ondata operaiareclama ilpotere, Samon e Savelli, Roma, 1969). documenta ampiamente con interviste e trascri/io-

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    Nella piu grande fabbrica italiana, dunque, e in moltissime altre incui la situazione era tanto diversa, i l r ischio principale era che la radi-calizzazione operaia portasse non a una crescita di forze organizzatae, quindi, a conquiste durature, ma a un rapido precipitare verso unoscontro prematuro, in cui sarebbero probabilmente stat i spazzati vianon solo i protagonisti della prima fase di lotte' 'nuove" (insieme, for-se, ai non trascurabil i risultati di esse), ma anche le gi modeste forzedel sindacato tradizionale, i cui quadri di base erano sottoposti a mol-teplici pressioni e finivano per oscil lare tra una sterile difesa della li-nea ufficiale e un adattamento all'ondata della spontaneit operaia.I precedenti del padronato italiano, e della FIAT in particolare, lascia-vano presagire che alla prima occasione sarebbero scattati ancora unavolta dei licenziamenti selettiv i tendenti, da un lato, a intimidire lenuove avanguardie (approfittando soprattutto della loro inesperienzae spoliticizzazione), dall'altro a regolare ulteriormente i conti conquella parte dei vecchi quadri sindacali di fabbrica che non avevanodisarmato ed erano stati riattivizzati dai primi sintomi del mutamentonello stato d'animo della classe.La svolta nei vertici sindacali delle principali categorie dell'industriaavviene come reazione a questo pericolo che minaccia la stessa forzacontrattuale del sindacato, cresciuta nel corso dell'ondata di lotteaziendali che ha preceduto il contratto, ma ancora abbastanzalimitata 12.E che non si trattasse di un pericolo tanto lontano, o solo di un timoredi una possibile ripet izione di comportamenti precedenti del padro-nato, fu confermato d'altra parte dai primi l icenziamenti che colpiva-no nell' estate del 1969 gli operai della FIAT che erano stati alla testadelle lot te di reparto piu avanzate (e,quindi , relat ivamente piu isola-te) e, alla ripresa dopo le ferie, dal le sospensioni in massa di decine dimigliaia di operai, per imporre una prova di forza a tempi accelerat i.La reazione del gruppo dirigente dei sindacati metalmeccanici (maanche di quell i confederali , che bene o male accettarono la "svolta")non fu, dunque, esclusivamente una manovra tat tica di corto respiro,ni di nastr i registrat i nel corso di assemblee opera ie questa procedura .12 Antonio Moscato, L'ondata operaia, nel fascicolo '68-'69: Rileggiamo quegli anni, supplemento alnn. 9 .10 di "Bandiera Rossa", 22 maggio 1978, p . I l. Cfr anche Lacontrattazione aziendale e diIlruP-po nel 1968, a cura dell'Ufficio sindacale della CGIL, pubblicato nell'anno successivo a cura dellaCommissione stampa del la CGIL, che affermava che gi nel 1968le lot te aziendali avevano "per-messo, nei fatti, il superamento dei vincoli procedurali previsti dai contratti": cio, in altre parole.avevano fatto saltare tutto ilquadro predeterminato tra vertici sindacali e Confindustria per ridurrela conflittualit) (ivi, p. 31.Di grande interesse l'analogo volumetto pubblicato nel 1970 su La con-trattazione integrativa e di gruppo nel 1969. Editrice Sindacale Italiana, Roma, 1970.122

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    per recuperare con la demagogia il terreno perduto per il ritardo nelcomprendere l'ampiezza e la profondit della nuova ascesa dellacombattivit operaia. Certo, per gran parte della burocrazia - soprat-tutto al livello confederale - i l momento tatt ico poteva essere preva-lente; ma, inevitabilmente, una correzione di linea, comunque opera-ta, doveva rafforzare quelle componenti sindacali di sinistra che datempo ne avevano sostenuto la necessit e che finirono per apparirecredibilmente come portavoce della nuova linea.La correzione, com' noto, avviene contemporaneamente sui conte-nuti rivendicativi e sulle forme organizzative. Nel corso delle lottedell'autunno il movimento dei delegati si esteso a un centinaio difabbriche importanti e, dopo essere stato argomento marginalissimonei Congressi di pochi mesi prima, diventa i l tema centrale del dibat-ti to sindacale (come test imonia, indiret tamente, l 'enorme successodel numero speciale dei "Quaderni di Rassegna sindacale" del di-cembre 1969, dedicato aidelegati di reparto, subito esaurito e piu vol-te ristampato).Ancora una volta, va ribadito che il movimento dei delegati, sorto"spontaneamente" nel corso del 1968-1969 (cio per iniziativa di sin-goli quadri operai e, in minima parte, per iniziativa di gruppi poli ticidi modeste dimensioni come la sinistra del PSIUP torinese!, era benlungi dall'assumere l'ampiezza che avr i l fenomeno su scala nazio-nale a partire dal 1970 e che difficilmente avrebbe avuto un analogosviluppo senza l'intervento unificatore di cui furono capaci le direzio-ni sindacali , una volta decise ad appoggiare e integrare al proprio in-terno il movimento. Carnit i, verso la fine del 1970, parlava di non piudi 100 Consigli nati spontaneamente, su oltre 1.500 gi organizzatiper iniziativa sindacalel3.La cifra abbastanza verosimile, anche se va "interpretata": in molticasi , i l movimento dei delegati si svi lupp in condizioni di tale isola-mento politico (per assenza di una forza politica nazionale impegnataa promuoverli e svilupparli) da assumere nomi e contenuti particolarimolto diversi, che moltiplicavano la frammentazione e comunquerendevano ancor piu difficile l 'unificazione delle prime esperienze inun movimento organizzato capace di farsi promotore di una genera-lizzazione ed estensione nazionale dei consigli 14.13 A. Moscato, Les luttes ouvri~resen Europe, in "Quatrime Internationale", a. XIX, n. 49, maggio1971.14 Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia 11943-1969), Laterza, Bari, 1975, pp. 488-492. Suicoordinamenti operai tentati in quella fase da settori dell'estrema sinistra, cfr. E. Pellegrini, op. cit..pp. 102 sgg.

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    La caratterizzazione come Consigli dei Delegati, fu, per giunta, resadifficile dalla resistenza delle strutture sindacali locali, finch perdu-r la reticenza o l'aperta ostilit dei vertici sindacali nei confronti didelegati i cui compit i non fossero rigorosamente delimitati a mansio-ni tecniche particolari (cott imo, nocivitl e inequivocabilmente su-bordinati alle Commissioni Interne e soprattutto alle Sezioni Sindaca-li, che ci si ostinava a proporre come struttura di base del sindacato(durante i contratt i, data la spinta unitaria, vennero lanciati effimericomitati intersindacali che dovevano unificare le sezioni sindacali).Cosi , molte strutture che erano sorte in alcune fabbriche con vari no-mi e funzioni non ben determinate, ma che si inserivano oggettiva-mente in una logica "consiliare", ripiegarono verso una soluzioneunivoca della loro contradditoriet e ambivalenza iniziali, rinuncian-do al tentativo di dare espressione alla volont di tutti gli operai e an-che - ben presto - ai compiti di natura sindacale. Molti di questi or-ganismi si trasformarono, nel corso del 1969, in comitat i poli tici solotemporaneamente unitari e poi piu o meno rigidamente subordinati aquesto o quel gruppo jcome fu la sorte di molti CUB, collett ivi poli ti -ci, ecc.) e quindi rapidamente insteriliti e marginalizzati.Osservatori stranieri come il Couffignal si sono stupiti di trovare inItalia pochi legami con l~tradizione dei Consigli del primo dopoguer-ra; indubbiamente, sottovalutano l'azione di sistematica cancellazio-ne della tradizione storica del movimento operaio praticata anche inItalia dallo stalinismo, che riget t costantemente le tematiche consi-liari; anche nella versione togliattiana i Consigli del 1920 sono appiat-t iti come sfondo opaco su cui emerge la costruzione del partito. Cosi,la riapparizione delle stesse spinte che avevano trovato nell' ''OrdineNuovo" gramsciano uno strumento di sistematizzazione e di genera-l izzazione polit ica, avvenne in un movimento operaio in cui era statafatta tabula rasa e in cui operavano piu o meno coscientemente i mo-delli "leninisti" forniti per decenni dallo stal inismo. In part icolare, laconcezione a senso unico della "cinghia di trasmissione" doveva es-sere fatale a gran parte dei nuovi organismi sperimentati empirica-mente nel corso della nuova ondata di radicalizzazione operaia e stu-dentesca, facendone rifluire e disperdere una parte considerevole,senza farla neppure pesare direttamente nel dibatt ito e nella dialett i-ca politica ed organizzativa dei sindacati esistenti.Va detto per che il puro rapporto numerico tra i cento Consigli natiper iniziativa dal basso e i mille e cinquecento Consigli creat i nei me-si successivi per iniziativa dei vertici perde molto del suo significatose si considerano le dimensioni e le caratteristiche delle prime fabbri-124

    che in cui i delegati si svilupparono autonomamente: quasi tuttegrandi aziende e di notevole incidenza politica, a partire da Mirafiori,dove la stessa struttura dei delegati di linea che doveva rendere "piucontrol labile" i l consigl io vedeva nell 'autunno del 1970, su 199 dele-gati elet ti, solo 70 iscri tti ai sindacati (di cui 28 alla FIOM-CGILI15.Comunque, nella sostanza, l'affermazione di Carnit i corretta: i lmo-vimento dei delegati, nato al di fuori e in parte in polemica aperta conle strutture sindacali tradizionali e con i partiti della sinistra (il cuiprolungato silenzio al r iguardo fu assai eloquente), ebbe realmenteuna dimensione nazionale solo dopo essere stato fatto proprio dal sin-dacato (e la ebbe, quindi, in larga misura condizionata dall 'imposta-zione fortemente ridutt iva che le direzioni sindacali diedero ai nuoviConsigli promossi dall 'alto, spesso ad opera e sotto la stretta direzio-ne delle vecchie Commissioni Interne).L'assunzione dei delegati all 'interno dell'ipotesi politica e organizza-t iva dei sindacati (avvenuta con estrema lentezza per le categorie chenon "rano state toccate affatto - o che lo erano state solo marginal-mente - dal movimento dei delegati del 1968-1969: la CGIL comeConfederazione si pronuncer apertamente a favore dei Consigli diFabbrica solo alla fine del 1970, cio un anno dopo la svolta effettuatadalla FIOM-FIM-UILM per il settore metalmeccanico) non fu, dun-que, solo un adattamento a una situazione irreversibile, ma la sceltadi un rischio intelligentemente calcolato. A determinare la svolta nonfu tanto una forza polit ica emersa alla sinistra delle organizzazionitradizionali, consapevolmente organizzata e quindi capace di imporrele sue soluzioni o di condizionare efficacemente le altre decisioni,quanto l 'accentuata debolezza delle forze realmente disponibil i persostenere la linea ufficiale.Per capire come fosse necessario per i settori piu lungimiranti deivert ici sindacali tentare di inserire nel proprio "organigramma" an-che quei settori operai che rifiutavano in quel momento la linea uffi-ciale e persino la tessera dei tre sindacati, basta riflettere su un dato- di fonte sindacale - sulla sindacalizzazione ufficiale: nelle grandifabbriche metalmeccaniche (superiori ai 1.000 dipendenti), nel 1968 itre sindacati non riescono a tesserare complessivamente piu del 30per cento degli organizzabili (contro i l40 per cento nel complesso del-le aziende superiori ai 10dipendenti)l6. Quando poi, dal le 118 azien-16 Danilo Soffientini, La sindacalizzazione nellegrandi fabbriche metallurgiche, in "Quaderni diRas-segna Sindaca le", n . 20, ottobre 1968, p . 54. Cfr . anche Salva tore Sechi , Strutture aziendali e poteresindacale, in Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, a. XVI, 1974-1975, Problemi del movi-mento sindacale in Italia, 1943-1973, p. 830.

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    de superiori ai 1.000 dipendenti (su un totale di 174)su cui erano ba-sati i dati precedenti, l/inchiesta passava a esaminare piu dettagliata-mente le 29 aziende in cui la situazione sindacale era peggiore, i risul-tat i erano ancora piu sconvolgenti. In queste 29 fabbriche (tra lequa-li: FIAT, Lancia, RIV, Carello, Pinin Farina, di Torino; Telettra e OMdi Milano; Ignis di Varese; Itals ider di Genova, Bagnoli e Taranto;Piaggio di Pontedera; Cantieri navali di Palermo; con un numerocomplessivo di dipendenti pari a quasi la met dei 118grandi stabi li-menti presi in esame dall/inchiesta) il numero di iscritti alla FIOM(che, pure, per numero di voti, di iscritti e di sezioni sindacali esisten-ti il primo dei tre sindacati) corrisponde a un misero 2,32% del tota-le dei dipendentj17.Il compito che si prefiggevano le direzioni sindacali (dapprima deitessi li e dei metalmeccanici e, successivamente anche confederali ,dopo la prima verifica "a caldo" delle possibi lit di assorbire senzaeccessivi traumi le nuove leve operaie! era, dunque, in primo luogoquello di allargare decisamente la propria forza organizzata, trovandoi canali che permettessero il recupero graduale al progetto sindacaledi tutt i i nuovi quadri emersi nel le lotte aziendali e poi durante i con-trat ti/ anche se questi ri fiutavano l 'adesione a uno dei tre sindacatiesistenti.Per passare dal rapporto di 70 iscr itt i ai t re sindacat i su 199 delegatidi linea di cui parlava Garavini all/attuale riduzione ai minimi termi-ni dei delegati non iscritti al sindacato stato necessario un processolungo e complesso: stato necessario, prima di tutto/ proclamare l/as-surdit statutaria di definire struttura di base dei sindacati un organi-smo come il CdF, costi tui to (e a volte - come si visto - in maggio-ranza) da chi al sindacato non e non vuole essere iscrit to; stato poinecessario sormontare la resistenza di molti delegati a riconoscersi inuno dei tre sindacati esistenti, istituendo la singolare figura giuridicadell/iscritto con "delega unitaria" / cio iscritto a un sindacato unita-rio che ancora non c' realmente. stato necessario perpetuare que-ste misure, eccezionali e statutar iamente bizzarre, piu volte procla-mate transitor ie ma che, anche se spesso sot toposte a un duro attaccopolitico, hanno finito per resistere e, in molte fabbriche, per allargar-si (le deleghe unitarie sono cresciute nel corso degli anni, nonostantela forte ost ili t dei tre sindacati e l/evidente scomodit dell /esserequadro di base o intemedio del sindacato senza poter votare in nes-sun Congresso, dato che non esistono Congressi unitari ma solo per17 D. Soffientini, art. cit ., pp. 53-54.126

    rConfederazioni). stato necessario, soprattutto, accogliere nelle te-matiche sindacali molte delle aspirazioni poli tiche che erano stateall/origine dell/ascesa operaia del 1968-1969 e che si erano espresseradicalmente nei primi Consigli.La "polit icizzazione" del sindacato, lamentata da tut ti i commenta n-tori di orientamento conservatore, avviene quindi in larga misura perpoter assorbire e integrare nel sindacato la spinta poli tica che si eraespressa in molte delle manifestazioni della nuova ondata operaia, eche non poteva essere raccolta altrimenti che caricando di valenzepolitiche l/azione sindacale unitaria (dato che gran parte dei protago-nisti delle lotte e delle nuove forme di organizzazione non si ricono-scevano in nessuna delle componenti sindacal i e, ancor meno nel leprincipali formazioni politiche tradizionali).Il movimento dei Consigl i, nel la sua prima fase "autonoma" (circo-scritta, ma importante per la dimensione e ilpeso politico delle azien-de in cui sorto!, ha visto emergere nuove leve operaie completa-mente vergini politicamente, o influenzate dalla radicalizzazione gio-vanile e studentesca, o anche, in piccola parte, provenienti da fru-stranti esperienze nei part iti tradizional i del la sinistra; le loro diffi-denze verso le proposte politiche della sinistra riformi sta (per nonparlare dei part iti conservatori ... ) sono aggravate dalla resistenza avolte aperta dei vecchi quadri comunisti di fabbrica nostalgici della"cinghia di trasmissione" e ostilissimi all 'avventura dei delegati uni-tari, che hanno scelto di dedicarsi esclusivamente al lavoro di partito,alimentando una sot terranea fronda contro "il sindacato". L'inseri-mento delle nuove leve non poteva essere indolore; ed passato, in-fatti/ per parecchi terremoti che hanno scosso la tranquilla routine deivecchi sindacati: in primo luogo, l 'allontanamento simultaneo di unafascia larghissima di dirigenti intermedi e nazionali (molte migliaia diquadri scelgono il PCI/ il PSI o la DC, nel momento in cui viene for-malmente decisa l /incompatibi lit . Ma ancor piu scolvolgente, so-prattutto per i quadri sindacali della CISL o della UlL legati tradizio-nalmente al la DC o al PRI, il l inguaggio "estremista" che predomi-na nel 1969-1970 tra i dirigenti metalmeccanici (compresi, e anzi inprima linea, quelli della FIM e del UILM! e che fa saltare tutta l'im-postazione del compromesso su cui erano avvenuti i pr imi avvicina-menti tra le Confederazioni dopo gli anni della rottura totale (com-promesso che, ovviamente, accantonava come antiunitaria ogni ca-ratterizzazione politica).Chi guarda a quel processo con eccessivo distacco (e basandosi solosulle fonti ufficial i) pu faci lmente sottovalutare la complessit e, a

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    volte, la drammaticit delle trasformazioni indot te in tutto il movi-mento sindacale e negli stessi partiti della sinistra dall'inserimentodelle nuove leve operaie emerse nel 1968-1969. accaduto, peresempio, a Georges Couffignal nel suo I sindacati in Italia, basato suuna documentazione ampia ma unilaterale e quindi, nonostante la se-riet delle intenzioni, approdato a un appiattimento quasi agiograficodi una realt tormentata e contraddittoria.Quello che finisce per sfuggire completamente a simili osservatori l 'altra faccia del processo di assorbimento dei delegati nel sindacato,con il ridimensionamento prima e poi con la perdita del la forte valen-za poli tica che alloro sorgere era strettamente legata alla spinta piupropriamente sindacale.Su questo terreno, gli stessi leader della sinistra sindacale sono stati,d 'al tra parte, sempre molto ret icent i: anche quando non si sono sem-plicis ticamente annessi un movimento nato al di fuori del la loro in-f luenza, essi hanno pressoch unanime mente rif iutato di scorgerviquei bisogni pol itici radical i che lo accomunavano ai Consigl i degl ianni Venti Inon solo italiani) ben piu che a qualsiasi al tra esperienzadi sindacalismo combattivo degli ultimi decenni. I l loro argomentoprincipale - a parte il s ilenzio sulla contraddi toriet e ambiguit checaratterizzavano il fenomeno dei delegati della prima fase, preceden-te all 'integrazione nel piu vasto fenomeno promosso direttamente da-gli stess i vert ici sindacal i - naturalmente il dato (inoppugnabile)dell' attuale inesistenza di una specifica sensibilizzazione politica deiconsigli e del la loro totale subalternit, su questo terreno, al le orga-nizzazioni tradizionali (dalle Confederazioni sindacali ai grandi parti-ti , cui viene indubbiamente "delegata" ogni funzione di rappresen-tanza sul terreno isti tuzionale). un argomento ancora suggestivo,ma che presenta un"grave inconveniente: appiattisce la realt di unperiodo di ol tre un decennio, proiettando retrospet tivamente le con-dizioni di oggi, presentandole come uno sbocco obbligato e inevitabi-le delle lotte del 1969 o, peggio ancora, ri fiutando di cogliere l 'ecce-zionalit di quel l'ondata di mobilitazioni, come se si fosse trat tatosemplicemente di un contingente incremento quantitativo delle oredi sciopero. possibile considerare la situazione attuale della classe operaia, delsuo stato d'animo, del la sua combattivi t come non diversa, sostan-zialmente, da quella del 1968-1969?E quella situazione, a sua volta,non rappresentava una rottura netta con i due decenni precednti,dal punto di vista dell 'ampiezza delle forze disposte a mobilitarsi , ascegliere la via della lotta, dell'azione diretta pur di "cambiare" radi-128

    calmente, a tutt i i livelli , la societ esistente? La spinta a creare piu omeno confusamente la strada per spezzare ilmeccanismo conservato-re che aveva fatto ritenere fatalmente cristallizzata la realt italiana,non si era forse manifestata nel 1968-1969 e negli anni immediata-mente successivi ben oltre i confini tradizionali del la sinistra, inve-stendo in profondit, a livello politico, non pochi settori del movi-mento cattolico e raggiungendo soprattutto, per la prima volta, nonsolo ampi settor i sociali "intermedi" (che sembravano tradizional-mente impenetrabili alle tematiche del movimento operaio), ma an-che frange non insignif icanti - pur se minoritarie - degli stessi ap-parati statali preposti alla conservazione dell'ordine costituito? in questo quadro che sorto il movimento dei delegati, e di questocontesto pol itico ha riprodotto le contraddizioni profonde. E questoquadro - piaccia o no il termine - corrisponde a quella che il marxi-smo classico ha chiamato una "crisi prerivoluzionaria o rivoluziona-ria" (senza che, naturalmente, tale termine implichi uno sbocco auto-matico e fatale verso una soluzione rivoluzionaria).Poich, per respingere qualsiasi caratterizzazione della crisi italianadel 1968-1969 come rivoluzionaria, si fatto ricorso assai spesso adargomenti banali e al buon senso comune basato sulla certezza chetutto quel che accaduto doveva fatalmente e inevi tabilmente acca-dere e che ogni tendenza contingentemente battuta era inevitabil-mente predestinata a soccombere e anzi segnata dalla sconfitta comestoricamente perdente, credo utile ricordare qual'era invece la carat-terizzazione di una situazione rivoluzionaria di cui si serviva un mar-xista dal quale si pu dissentire su molto o su tutto, ma a cui non sipu certo negare una qualche competenza in proposi to: Lenin.In un suo scritto del 1915 - dunque, si badi, non basato sul "sennodi poi", ma scrit to in un momento piuttosto diff ici le nel movimentooperaio europeo per le tendenze marxiste rivoluzionarie, mai comeallora "controcorrente", - Lenin scriveva in polemica con Cunow eKautsky:"Qual i sono, in generale, i sintomi di una situazione rivoluzionaria? Certamente nonsbagliamo indicando i tre sintomi principali seguenti; l) l 'impossibilit per le classidominanti di conservare i l loro dominio senza modificarne la forma; una qualchecrisi negli "strati superiori", una crisi nella politica della classe dominante che apreuna fessura nel la quale si incuneano i lmalcontento e l 'indignazione del le classi op-presse. Per lo scoppio del la rivoluzione non basta ordinariamente che "gl i strat i in-feriori non vogliano", ma occorre anche che "gl i strat i superiori non possano" vi-vere come per il passa to; 21un aggravamento maggiore del solit o dell 'angustia edel la miseria del le classi oppresse; 31in forza del le cause suddette, un rilevante au.mento dell' attivit delle masse, le quali, in un periodo "pacifico", silasciano depre-

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    dare t ranqui ll amen te , ma in tempi burrascosi sono sp in te , s ia da tu tto l' ins iemedella crisi, che dagli stessi "strati superiori", ad un'azione storica indipendente" 18.

    Evidentemente abituato a scontrarsi con chi dal mancato esito dellarivoluzione ricavava la conclusione che fosse stato in partenza impos-sibile, Lenin aggiungeva questa significativa precisazione:"Senza questi cambiamenti obiettivi, indipendenti dalla volont, non soltanto di sin-goli gr uppi e partiti, ma anche di singole clas si, la rivoluzione - di regola _ im-possibile. L'insieme di tutti questi cambiamenti obiettivi si chiama situazione rivo-luzionaria. Una tale situazione sipresent in Russia nel 1905 e intutte leepoche ri-vo luzionarie in occidente ; ma essa si present anche nel 1860 in Germania e nel1859-1861, 1879-1880 in Russia, sebbene in quest i casi non vi sia stata una rivolu-zione. Perch? Perch la rivoluzione non nasce da tutte le situazioni rivoluzionarie,ma solo da quelle situazioni nelle quali, alle trasformazioni obiettive sopra indicate,si aggiunse una trasformazione soggettiva, cio la capacit della classe rivoluziona-ria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti per poter spez-zare (oalmeno incriminare) i lvecchio governo, i lquale, in un periodo di crisi , non"cadr" mai se non lo "si far cadere"19 .

    La situazione ital iana del 1968-1969 poi cosi lontana da quelle elen-cate dal leader bolscevico? Non c'erano forse sintomi di una crisi po-litica acutissima degli strati superiori, profondamente divisi sulle so-luzioni da adottare per conservare il loro dominio modificandone laforma? Non c'era stato un aggravamento, maggiore del solito, dellecondizioni di vita e di lavoro degli strati inferiori provocate, a livellooperaio, dal peggioramento dei carichi di lavoro, dall'intensificazioneincessante dei tassi di sfrut tamento negli anni di r if lusso sindacale epolitico - gli anni, cio, del boom italiano... -, dall'aumento deiprezzi, dalla stagnazione economica in molte regioni, dal mancatosbocco occupazionale che cominciava a preoccupare non solo le gio-vani generazioni? E non c'era stato tutto questo all'origine di quellastraordinaria ascesa delle mobilitazioni delle masse che, a livello ope-raio, si era tradotta nell 'incremento nett issimo delle ore di sciopero,dai 6 milioni di ore del 1967 (cifra di per s non trascurabile) all'im-pressionante livello di 33milioni e 500 mila ore di sciopero raggiuntenel 1968?La caratterizzazione proposta da Lenin alla vigil ia della rivoluzioneappare oggi troppo rigida, schematica, non util izzabile per i l r iferi-mento a una pauperizzazione che non si riscontrerebbe piu - almenocome dato prevalente - nel tardo-capitalismo?Una caratterizzazione analoga, ma piu ricca di sfumature, piu precisae attenta alle complesse stratificazioni sociali intermedie (anch~ se18 Lenin. Opere, voi XXI, Edi tori Riuni ti , Roma, 1966, p . 161.19 Ivi, pp. 191-192.130

    ugualmente lontana dalle banalit con cui abitualmente siconfonde ildato oggettivo di una crisi rivoluzionaria che scuote la societ con lecondizioni soggettive che consentono o meno uno sbocco posit ivo Ifuformulata a piu riprese da Trotskij, a partire da una riflessione nonsolo sull'esperienza del 1905 e del 1917 russi - di cui era stato unodei protagonisti -, ma su un arco estremamente vasto di crisi rivolu-zionarie abort ite nei due decenni intercorsi tra le guerre mondiali . Ri-port iamo, per verificarne l 'applicabili t alla si tuazione italiana del1968-1969, la formulazione che Trotskij, riprendendo i criteri cheaveva sviluppato nel capitolo L'arte dell'insurrezione nella Storia dellaRivoluzione russa e che piu volte aveva applicato alla situazione tede-sca, francese e spagnola, espose nel maggio 1940 in uno dei suoi ulti-mi scritti:"Le condizioni fondamentali della vittoria di una rivoluzione proletaria sono state in-dicate dal l'esperienza storica e chiarite dal la teoria: 11l'impasse della borghesia e laconfusione che ne deriva per la classe dirigente; 2) l 'acuto malcontento e l 'aspira-zione a un cambiamento decisivo nelle file della piccola borghesia, senza l'appoggiodel la quale la grande borghesia non pu reggersi; 3)la coscienza di una situazioneintollerabile e la disposizione all 'azione rivoluzionaria nelle file del proletariato; 4)un programma chiaro e una direzione ferma dell'avanguardia proletaria: queste lequattro condizioni necessarie per la vit toria di una rivoluzione proletaria. La ragio-ne principale del le sconfit te di molte rivoluzioni ris iede nel fat to che raramentequeste condizioni raggiungono il grado di maturit necessaria nello stessomomento"ZO

    L'elemento di approfondimento introdotto da Trotskij r ispet to ai cri-teri usati da Lenin riguarda il ruolo della piccola borghesia, termome-tro sensibile e ago della bilancia nei momenti di crisi, per la sua estre-ma mutevolezza e instabilit, riflesso dell'ambigua posizione occupa-ta nello scontro fra le classi principaliz1.Ebbene, come dimenticare che la crisi del 1968-1969 si manifest,prima ancora che a livello operaio, con mobilitazioni studentesche dieccezionale ampiezza, che ebbero ripercussioni notevoli su ampi stra-t i del la popolazione e, in modo part icolare, sulle organizzazioni dellasinistra, che furono colte di sorpresa da un movimento di massa che20 Lev Trotskij, Guerra e rivoluzione, a cura di L. Maitan, Mondadori , Milano, 1973, p . 191.21 Alleascillazioni della piccola borghesia in Germania e in Francia Trotskij ha dedicato centinaiadi pagine dense di asservazioni lucide e penetranti, che hanno. cantribuito a rendere i suoi scritti co.si attuali da trasformar liin bestsellerspersino. in Italia, nanastante decenni di astracismo della vec.chia sinistra e un'astilit vivissima di quella "nuova", prevalentemente alimentata (dietro.il sattilevelo maaista) dalla safisticata versiane italiana dello stalinisma propasta daTogliatti. Cfr. LevTrat-skij, Scritti 1919-1936, Einaudi, Torino., 1962 (riedita negli Oscar Mandadari, Milano, 1968)esapra.tutto Lev Tratskij, I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali, 1924.1940, Einaudi, Tarina, 1970 (entrambi curati da L. Maitan).

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    contraddiceva le loro analisi tradizionali con le forme di lotta, le te-matiche, le ideologie che accoglieva al suo interno? Per anni, la "mo-derazione" era stata giustificata con la necessit di "non spaventare iceti medi" , e di colpo un settore non insignificante di essi si mettevain movimento, contestando violentemente (anche se confusamente)proprio quella moderazione...22In realt, la crisi del 1968-1969, con l'eccezionale instabilit di formu-le politiche che ha lasciato in eredit al decennio successivo, non puessere compresa senza cogliere la contraddizione di fondo tra una si-tuazione oggettiva che era rivoluzionaria e le soluzioni politiche pro-poste dalle organizzazioni politiche e sindacali del movimento ope-raio, tutte esclusivamente tendenti a una soluzione riformista, in quelmomento impraticabile. Il fatto che il linguaggio delle organizzazionisindacali (ma anche quello del PCI e, a maggior ragione del PSI,assaipiu disinvolto nell'utilizzazione di un massimalismo verbale) sia statomodificato in quegli anni, accantonando o relegando in secondo pia-no la tradizionale preoccupazione di coprirsi a destra e operando unrecupero di quanto emerso improvvisamente alla loro sinistra, hatratto in inganno chi abituato a osservare i processi storici attraver-so lo specchio deformante della falsa coscienza o - peggio ancora _della deliberata mistificazione operata dai gruppi dirigenti. Cosi, puaccadere a un Gilles Martinet di interpretare l'impasse italiana dopo il1969 come il frutto di ben altra contraddizione, scambiando quel cheproponeva "l 'ala marciante del sindacalismo italiano" per "nul la dimeno di una rivoluzione", e lamentando l 'impraticabili t di similiproposte "fuori di una situazione rivoluzionaria o, per essere piu pre-cisi, fuori di circostanze eccezionali, sia sul piano sociale che sul pia-no politico, sul piano della societ civile come su quello delloStato" 23.Ben piu realisticamente, Luciano Lama, in un'intervista al "Corrieredella sera", non nasconde affatto che le direzioni sindacali, ben lungidall'elaborare a tavolino una loro strategia "rivoluzionaria", hannodovuto fare i conti con un movimento nato al di fuori della loro in-fluenza e con una dinamica sostanzialmente incompatibile con il nor-22 I l movimento studentesco, naturalmente, non pu essere col locato tout-court all'interno dellapiccola borghesia; tuttavia, gran parte dei partecipanti ad esso, almeno nel 1968,provengono dallapiccola borghesia o hanno come sbocco al termine degli s tudi una col locazione alsuo interno. D'al-t ra par te , le r ipercussioni del movimento studentesco ledella repress ione con cui fu inizialmenteaff rontato dal le autor itl all 'interno di larghi set tori di piccola borghesia sono state ampie e var ia-mente documentate, per la Francia, l 'Italia e altri paesi. Cfr., ad esempio, AA.VV.Marxismo e movi.mento studentesco, La nuova,sinistra Samon e Savelli, Roma, 1970.23 GilIes Martinet, Sette sindacati persette paesi, Laterza, Bar i 1980, p. 137.132

    male funzionamento del sistema. AlI'intervistatore, Walter Tobagi,che aveva caratterizzato il 1968italiano come "una rivoluzione stri-sciante", Lama, senza entrare nel merito della definizione, rispondeosservando che la scelta di non ripetere l'errore francese di uno scon-tro frontale delsindacato conlo spontaneismo ha permesso di non fardisperdere la spinta del '68 in tre mesi:

    "Noi abbiamo cercato di introdurre nelsindacato strutture nuove come i delegatioi consigli.E questo ha avuto grandiconseguenzenell'aprire un periodo lenon unafase di tre mesi come in Francialche ha cambiato qualcosadi profondo nellastoriad'Italia."

    Ma Lama non pu fare a meno di aggiungere che"per un periodo troppo lungo non abbiamo passa to al vaglio c ri tico del la rag ionecer te spinte che erano trasfe ri te al l' in te rno del s indaca to da forze che e rano natespontaneamente" .

    Noi, che non crediamo alla "generazione spontanea" degli insetti , eneppure delle avanguardie operaie, pensiamo che anche in questo ca-so la "spontaneit" della loro nascita nasconda semplicemente larealt di un processo di formazione avvenuto al di fuori della volonte dell'intervento delle direzioni sindacali, per l'effetto concomitantedi condizioni oggettive e di una riflessione politica piu o meno orga-nizzata o influenzata da correnti poli tiche rivoluzionarie. Ma non questo l'essenziale. Lama, cercando di eludere una domanda abba-stanza brutale ("La dirigenza del sindacato ha perso il controllo dellasituazione?"), finisce per precisare in che cosa consistevano le "spin-te estranee" alla strategia sindacale:"le strutture di base hanno conquistato un potere crescente in fabbrica: potere dicontrollo, di veto sugli straordinari, sul modo di lavorare, sugliautomatismi nellepromozioni.Questo statoutilizzatoper lungotempocomeunpotererigido..."

    E, dopo aver osservato che "non si avvertito" che questo potere in-taccava e rendeva difficile ilnormale funzionamento del sistema, La-ma precisa che l 'a tteggiamento del padronato (che, dopo i primi ten-tativi di arginare, ha ripiegato piuttosto sull'assistenzialismo dei fi-nanziamenti pubblici) si spiega con l'impossibilit di una reazione di-versa, di un tentativo di scontro frontale, dato che ' 'non poteva farce-la contro una forza del movimento che era preponderante"24.Dalle ammissioni di Lama emerge chiaramente come la contraddizio-ne discenda non dalla velleitaria pretesa dei s indacati di "fare la rivo-luzione" senza una situazione rivoluzionaria di cui fantastica Marti-24 "Corr ie re del la Se ra", 9 mar zo 1980.

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    net, ma dal prezzo pagato (in massimalismi verbali e tolleranza pro-lungata nei confronti di comportamenti incompatibili con ilfunziona-mento del sistema e quindi con la strategia riformista, che quel siste-ma vuole ri toccare ma non certo bloccare o distruggere), per control-lare, contenere, arginare {maanche conquistare e non far disperdereIle nuove leve operaie.Laspiegazione di Lama lascia per in sordina un elemento essenziale:come mai una spinta cosi radicalmente anticapitalistica, cosi carica diaspirazioni politiche (nella rivendicazione e occupazione di "spazi dipotere") si richiusa nella dimensione, importante ma insufficiente,della fabbrica, senza riversarsi che in minima parte (e per giunta at-traverso mediazioni devianti) sul terreno della lotta per il potere nellasociet e nello Stato?Serisaliamo alle origini del fenomeno, quando esso esplose in tutta lasua pienezza e originalit, troviamo che le aspirazioni a radicali muta-menti - anche se non ben precisati'- su tutti i terreni (da quello del-la prassi sindacale a quello polit ico e a quello dei rapporti social i com-plessivi) sono intrecciate tra loro e sono pressoch indist inguibili .Non c' alcun settorialismo "corporativo" in quella che stata defini-ta l '' 'ondata operaia" del 1968-1969 e neppure nelle ondate paralleleche si svi luppano tra glistudenti , i senza casa che Occupano interi ca-seggiati, i malati che occupano i sanatori, i giornalisti che contestanoil direttore scelto dal proprietario della testata, ripercuotendosi in on-de concentriche che via via raggiungono persino settori ritenuti tradi-zionalmente impermeabili alle tematiche rivoluzionarie (magistratu-ra, ufficiali e sottufficiali dell'esercito, della finanza, della polizia) eche sono quindi particolarmente sconvolti dall'apparizione alloro in-terno di minoranze radicalizzate, che riprendono tematiche della sini-stra rivoluzionaria applicandole, dall'interno, alle realt in cui opera-o.L'intreccio tra le "contestazioni" a specifici aspetti del rapporto di la-voro, della posizione sociale, della legislazione esistente, e un'ansia dirinnovamento generale, di giustizia, di moralit quasi sempre cla-moroso. Sitratta di aspirazioni quasi sempre confusissime per inespe-rienza, ma non certo superficiali ed effimere. Molti protagonisti dellemobilitazioni studentesche, operaie o di altri strati sociali sono giova-ni, la cui radicalizzazione politica avvenuta anche sotto l'influenzadi vicende internazionali che hanno indirettamente messo in forse ilfatalistico immobilismo della sinistra storica e intorno alle quali si so-no sviluppate contemporaneamente, negli anni Sessanta, mobilitazio-ni internazionaliste di per s modeste, ma spesso capaci di effet ti di-

    rompenti sulle sclerotizzate organizzazioni giovanili dei partiti rifor-misti.Non era automatico e inevitabile che la spinta anticapitalistica del1968-1969 finisse per sfuggire quel terreno dello scontro poli tico ge-nerale su cui, sia pur confusamente, si era collocata nelle sue primemanifestazioni. Gli strati che nel corso delle mobili tazioni operaie estudentesche di quel biennio cruciale hanno fatto le prime esperienzedi lotta e hanno avuto una prima relativa maturazione politica, sonostati anzi quasi letteralmente spinti a rinchiudersi nel terreno partico-lare e settoriale della propria fabbrica (inizialmente anche della pro-pria scuola, o casa occupata, o quartiere; ma gli spazi per questo tipodi settorializzazione si sono ristretti molto piu rapidamente). A pre-cludere un impegno che proiet tasse sui terreni decisivi dello scontropoli tico le loro confuse ansie di rinnovamento radicale sono stati t refattori concomitanti;- in primo luogo, la scarsa attrazione esercitata dai partiti tradiziona-li della sinistra, osti li o t iepidi verso le lotte in cui quest i nuovi stratioperai e studenteschi si erano radicalizzati25;- il secondo fattore che ha risospinto verso ilsettorialismo e il "parti-colare" le nuove avanguardie operaie stata la scarsa credibili t del-le soluzioni politiche e soprattutto organizzative proposte dalla "nuo-va sinistra", i l cui settarismo nei rapport i tra le sue componenti, e an-cor piu in quell i con il movimento operaio tradizionale, l'ha resa inca-pace di concepire qualsiasi forma di unit d'azione duratura nell'areaemersa a sinistra del PCI e, a maggior ragione, di finalizzarequest'unit d'azione a un'iniziativa polit ica permanente verso le con-traddizioni del maggior partito operaio italian026;- il terzo fattore - che discende dai primi due - stata quindi l 'as-senza di unificazione nazionale dei nuovi organismi creati sui luoghidi lavoro o di studio dalla nuova ondata di radicalizzazione: abbiamo25 Altra cosa sar i l recupero che i lPCI, e in misura minore i lPSI, r iusc iranno a fare, apart ire dal1971-1972, di molti militanti della "nuova sinistra" delusi dalle loro esperienze e pronti a buttar viacon la molta acqua sporca del le ben povere ideologie maoista e spontaneista, anche lastessa ideadella necessit di uno sbocco rivoluzionario alla crisi della societ capitalistica.26 I rarissimi momenti di uni t d 'azione tra le formazioni del la "nuova sinistra" sono sta ti ingene-re di breve durata e sempre finalizzati abbastanza scopertamente contro qualcuno, piu che per qual-che cosa; lapreoccupazione di evitare l'emergere di una formazione egemone stata, come lelottenei principati quattrocenteschi, una delle motivazioni fondamentali nelle coalizioni; le iniziativeper proporre un fronte unico alle organizzazioni riformiste sulla base di interessi comuni sono staterarissime e quasi sempre inficiate dall'ultimatismo o dalla scoperta preoccupazione di "smaschera-re" ledirezioni opportuniste, con singolari lequasi sempre inconsapevoli) analogie con latattica del"Fronte unico dal basso" praticata verso la socialdemocrazia dal Comintern stalinizzato, poco pri-ma di passare direttamente alla teorizzazione del "socialfascismo".

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    gi ricordato come i primi CdF troveranno un momento unificantesolo quando le direzioni sindacali decideranno di assumere loro l 'ini-ziativa di estendere i Consigli a l ivello nazionale (inserendo cosi i pri-mi Consigli di Fabbrica carichi di potenzialit anticapitalistiche, sortiindipendentemente e anzi contro le decisioni del vertice sindacale, inun "movimento" promosso e organizzato da gran parte del vecchioquadro sindacale di fabbrica). Il fenomeno stato ancor piU graveal livello del movimento studentesco, che raggiunger in certi mo-menti una grande ampiezza, ma che non avr mai una sua struttura-zione nazionale, o conoscer solo delle strutture effimere perch su-bordinate a questo o quel "gruppo" o cartello di gruppi, attraverso"cinghie di trasmissione" tanto piu meschinamente burocratichequanto piu contrastanti con le ideologie spontaneiste professate. (Maigruppo fu di fat to piu burocratico, ad esempio, di Lotta Continua nel-la sua fase iniziale, in cui l'assenza o la fluidit di strutture dirigentivisibil i e controllabili lasciava spazio per una struttura di fatto gerar-chica discendente dai capi carismatici e consistente in un massicciocorpo di funzionari spediti in giro per l 'I talia ad assimilare l 'area rac-colta intorno a poco piu che al nome e al mito dell 'organizzazione).A livello studentesco - come abbiamo gi ricordato -l'incapacit diunificare in un movimento poli tico di massa la spinta confusa emersanel 1968 ha portato alla rapidissima dispersione di intere generazionidi giovani rivoluzionari (dispersione che sfuggiva ad osservatori su-perficiali, per la rapida riproduzione, a partire dalle stesse contraddi-zioni irrisolte, di nuove ondate di studenti radicalizzati). Al livellooperaio - dove le contraddizioni sono piu stridenti, i pericoli per unalinea avventurista e isolazionista assai piu gravi e concreti, e dovel 'influenza delle organizzazioni della "nuova sinistra", pur avendoconosciuto momenti di crescita assai rapida, non mai stata tale daimporre i suoi ritmi e le sue scelte a settori consistenti della classe _i l set tarismo e lo schematismo dei gruppi d~lla nuova sinistra ha fattosi che, agli occhi dei nuovi quadri operai, il discredito dei vecchi par-titi e la meschinit dei nuovi siintrecciassero provocando un atteggia-mento dirigetto generalizzato dell' idea stessa dipart ito (e, quindi, deiterreni di scontro su cui difficile intervenire senza una struttura or-ganizzata nazionalmente)27. Al tempo stesso, l 'apertura di spazi nuovinel sindacato - come conseguenza della svolta verso l'estensione dei27 Sipensi , adesempio, a lle guerre tra CUB rival i, in cui l 'egemonia piu o meno meccanicamenteimposta da questo o quel gruppo su quei primi raggruppamenti unitari fece sperperare l'esperienzadella Pirelli, che pure aveva avuto durante le lotte dei primi mesi del 1968alcuni successi significa-tivi, mettendo in difficolt le vecchie direzioni sindacali, divise e immobiliste.136

    Consigli e della crescita del prest igio e della l ibert d'azione della si-nistra sindacale rispetto ai settori piu conservatori della burocrazia -ha determinato una spinta di massa a ricercare nel CdF, nel sindacatodi fabbrica, quel terreno "concreto" di lotta che parti ti vecchi e grup-pi nuovi sembravano ignorare, rinchiusi com'erano nel loro conser-vatorismo parlamentaristico gli uni, nella loro sottovalutazione dellanecessit di ricomporre su nuovi contenuti e a nuovi livelli l'unit diclasse, gli altri.Tuttavia, quel terreno che la svolta sindacale offriva ai nuovi quadrioperai emersi nelle lotte era si piu "concreto" delle diatribe ideologi-che o della routine municipale, che sembravano l 'unica alternativaproposta rispettivamente da nuova e vecchia sinistra, ma era ancheun terreno circoscrit to a una dimensione settoriale, in cui si potevanoforse "conquistare degli spazi", senza che ci potesse neppure lonta-namente avviare a soluzione i problemi di fondo.Gli spazi concessi al radicalismo delle nuove leve dalle direzioni sin-dacali tutto interno alla fabbrica (e, nelle grandi fabbriche come laFIAT o l'Alfa Romeo, ben presto interno a singoli reparti, perch an-che le decisioni fondamentali di poli tica aziendale sono avocate dalledirezioni sindacali), mentre rimangono sostanzialmente sottratte aogni discussione le scelte di politica contrattuale e, ancor piu, le te-matiche delle grandi "vertenze generali" in cui periodicamente vieneincanalata l'aspirazione operaia ad affrontare i grandi problemi co-muni all 'insieme della classe.Cosi , a partire dal misero bilancio della "lotta per le riforme" del 1970,la "grande poli tica" delle direzioni sindacali appare ai quadri di basealtret tanto poco interessante di quella dei parti ti t radizionali e vienesostanzialmente delegata ai vertici, per concentrare le energie nellebattaglie interne al CdF, nel quale spesso possibile far passare lapropria volont rispetto a quella del funzionario "esterno"; gli "spa-zi" aperti per le lotte di fabbrica o addirittura di reparto risultano,dunque, in primo luogo dalla minore capacit (e, per parecchio tem-po, anche volont) di frenarle che manifesteranno le direzioni sinda-cali. Contemporaneamente, una tatt ica dutti le del grande Capitale la-scer sopravvivere per tutto un periodo le il lusioni sulle possibil it diuna crescita pressoch ill imitata del "potere sindacale" in fabbrica;quando comincer l'irrigidimento padronale sulla micro conflittuali-t, per molti delegati sar traumatizzante scoprire la fragilit delleconquiste parziali rimaste circoscri tte al terreno delle consuetudini odelle acquisizioni di fatto degli ultimi anni. Poche voci, quasi inascol-tate, avevano ammonito, dall'interno di alcuni CdF, che non si pote-

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    va scegliere una linea solo perch trovava meno resistenza nel sinda-cato, ignorando che, a lungo andare, appena mutato ilquadro politicogenerale, avrebbe trovato una resistenza ben piu forte ed efficace nel-la controparte aziendale...Quando, a partire dal 1976, risulter che la delega totale alle direzionisindacali sul terreno del le "ver tenze generali" non si t raduce piu so-lo in lotte sterili come nel 1970, o anche solo riduttive rispetto alle at-tese iniziali (come nella vertenza sulla parificazione del punto di con-tingenza), ma d luogo a una contrattazione generalizzata degli arre-tramenti chiesti dal padronato alla classe operaia (con l'allungamentodell'orario di lavoro attraverso la soppressione delle sette festivit in-frasettimanali o la cessione a titolo gratuito di un diritto acquisito co-me il computo della contingenza al momento della liquidazione dellaquiescenza), le condizioni per imporre una svolta nella politica sinda-cale si saranno ridotte oggettivamente: la dispersione di una grandequantit di energie operaie in lotte parziali, settoriali, che da tempo"non pagano piu", ha ridotto ilre troterra naturale dei quadri operai esindacali critici di sinistra eha spinto le direzioni sindacali a tentarequell'irrigidimento dello stesso regime interno che ha accompagnatola cosiddetta "svol ta dell'EUR". Il terreno "concreto" della lotta direparto o di fabbrica si rivelato - a media e lunga scadenza _tutt'altro che solido. Rinchiudendosi in esso, seguendo la linea di mi-nor resistenza della burocrazia sindacale e proiettando all' infinitol 'esperienza di lotte articolate che era stata preziosa per rompere unalunga fase di immobilismo ma non poteva incidere sui rapporti politi-c i generali , la generazione dei quadri operai emersi nel 1968 credevadi garantirsi una roccaforte e ha trovato un ghetto.Come si pu rimproverare l 'inesperienza di chi scivolato su questopiano inclinato, che ha portato a prolungare lo scontro dove dava piufastidio all'avversario senza poterlo per piegare, dimenticando la re-sponsabilit di tutti coloro (da Lama alla "sinistra sindacale") che suquel piano inclinato hanno sospinto coscientemente le nuove inesper-te leve operaie, propr io per avere le mani libere per una gestione tra-dizionale del sindacato?Eppure, non mancavano esperienze storiche che potevano ammonirecontro questo rischio. Ne ricordiamo due sole, abbastanza lontane neltempo, ma non tanto da non essere piu volte evocate in questi anni(non sempre a proposito) anche da molti autorevoli s indacalis ti : laGermania di Weimar e l'esperienza austromarxista.In entrambi i casi, le direzioni tradizionali del movimento operaio riu-scirono a mantenere il controllo sulle decisioni politiche essenziali, al138

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    prezzo di lasciare temporaneamente via libera alle nuove leve rivolu-zionarie su terreni circoscritti e sostanzialmente marginali. Il movi-mento dei consigli fu formalmente accettato, ma impedendo che aves-se una sua centralizzazione nazionale e assicurandone la direzione at-traverso organismi non eletti ma designati dalle vecchie direzioni.L 'Austria il caso forse piu interessante, anche perch fu l 'unico pae-se europeo con un forte movimento operaio che, nella crisi del primodopoguerra , rimase pressoch interamente sotto la direzione di un so-lo partito, saldamente radicato nella tradizione e, al tempo stesso, ri-generato nel suo prestigio da una sinistra che, pur se non aveva sapu-to opporsi coerentemente alla guerra, era stata in qualche modo ri -scattata di fronte alle masse dal gesto di Fritz Adler28.Per mantenere un'egemonia incontrastata sul movimento operaio au-striaco, la socialdemocrazia pag un prezzo assai alto: se il giovanePartito Comunista era stato subito messo fuori gioco dalla sua esigui-t e dagli errori dovuti al la sua inesperienza e al la guida non semprei lluminata dai rappresentanti del piu robusto - ma non meno estre-mista - Part ito Comunista Ungherese, le nuove leve operaie emersedalla radicalizzazione provocata dalla guerra e dalla catastrofe econo-mica del vecchio Impero, pur ricollegandosi al grande solido PartitoSocialdemocratico e ai suoi sindacati e accettandone le scelte (tra cuiquella di escludere la centralizzazione dei Consigli di Fabbrica e deiSoldati), avevano continuato a riversare la loro combattivit e la loroansia di cambiare la vecchia societ sui terreni che apparivano prati-cabili. Cosi, la socialdemocrazia austriaca, mentre consentiva di rior-ganizzarsi all'apparato statale uscito a pezzi dalla guerra e dall'esplo-sione dell' Impero multinazionale, era incapace di impedire che i suoimil itant i si impegnassero in innumerevoli conf lit ti marginal i, chenon intaccavano il potere delle classi dominanti, ma le molestavanoulteriormente, irritando per giunta anche settori che non avrebberodovuto necessariamente contrapporsi alla classe operaia e che, anzi,28 Com' noto, ilfiglio del vecchio leader della socialdemocrazia austriaca, nell 'ottobre 1916 ucci-se a revolverate i l presidente del Consigl io von Sti irgkh, piu che alt ro per una protesta disperata ,che nasceva esattamente dall' impotenza di una sinistra costantemente paralizzata dalmito dell'uni-t del par ti to, e che quindi non aveva mai dato bat tagl ia fuori dei r is tret ti organismi dir igenti in cuiera ben rappresentata. Quel gesto (che Lenin rispett, pur giudicandolo assai meno efficace e corag-gioso del comizio contro la guerra tenuto da Liebneckt alla Potsdamerplatz i lprimo maggio 19141servi , a guerra f inita, a dare una grande credibi li t personale a Fri tz Adler (e, a tt raverso di lui , a tut .ta la socialdemocrazia austriaca) di fronte alle giovani leve operaie impazienti (cfr. EnzoCollotti, in-troduzione a Friedrich Adler, Lague"a e lacrisidella socialdemocrazia, Editori Riuniti , Roma, 1972,pp. 19sgg.; Antonio Moscato, introduzione a Roman Rosdolsky, Socialdemocrazia e tattica rivoluzio-naria. La terza via dell"'austromarxismo", Celuc Libri , Milano, 1979, pp. 31-40; Lenin, Opere, voI.XXIII, Editori Riuniti , Roma, 1965, pp. 120-121).

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    potevano divenirne alleati . Alcuni Consigli Operai o Consigli dei Sol-dati risolvevano a modo loro la questione degli approvvigionamenti,spedendo una delegazione - piu o meno armata - a requisire ali-menti nelle campagne. Altri si dedicavano alla caccia agli speculatorie ai "borsari neri", perquisendo nelle stazioni di Vienna i viaggiatoriin arrivo con bagagli molto ingombranti (supplendo efficacemente auna tradizionale passivit della polizia, ma urtando anche la suscetti-bilit di cittadini non necessariamente dediti all 'imboscamento di sa-lumi o di cereali.. .' . Altri Consigli Operai intervenivano bloccando glisfratti di inquilini morosi, organizzando presenze in massa che sbar-ravano l'accesso agli ufficiali giudiziari, e imponevano ai proprietaribenestanti di accogliere nei loro appartamenti le famiglie senzacasa29.Analoghe manifestazioni, e per un periodo ancor piu prolungato, siebbero in Germania, dove ad esempio - ancora nel 1922 - venivaimposto a vecchi intellettuali conservatori com,e il Wilamowitz diospitare forzatamente inquilini proletari (il sistema di Weimar - os-server a questo proposito Canfora - non era stato capace di impa-dronirsi dello Stato, ma solo di disturbare, senza sconfiggerli, i vecchigruppi dirigenti'3o.Rispetto all 'I talia, in quelle due esperienze lontane c' una diversitdi fondo: la combattivit operaia si riversava allora soprattutto fuoridelle fabbriche, piu che in un inasprimento della conflit tualit inter-na. Ma (aparte i non pochi casi che anche in Italia hanno visto sortitesignificative dalla fabbrica contro sfratti, provocazioni fasciste, o per-sino la partecipazione di qualche CdF a iniziative di "autoriduzione"di affitti, di tariffe o di prezzi', se in Austria e in Germania nel primodopoguerra la proiezione fuori della fabbrica era indubbiamente pre-valente rispetto ad un irrigidimento dello scontro interno, ci era do-vuto in primo luogo alla maggiore acutezza e urgenza dei problemi so-ciali esterni in una fase di disfacimento economico postbellico. Ledif-ferenze sono piu esteriori che sostanziali: la sostanza che allora co-me in questa recente crisi i taliana le forze che non trovavano sbocchipolitici generali per risolvere i loro problemi si incanalavano nei vuo-ti lasciati dai meccanismi di repressione statale (allora, senza dubbio,piu gravemente in crisi ' e dallo stesso sistema di controllo esercitatodalle burocrazie dei sindacati e dei partiti operai. Loscontro sisposta-va da dove era piu necessario a dove appariva piu facile (per qualche29 F. L .Carsten, La rivoluzione nell'Europa centrale, FeltrinelIi , Milano, 1978, pp. 124-126.30 Luciano Canfora, Intellettuali in Germania tra reazione e rivoluzione, De Donato, Bar i, 1979, p.145.140

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    lempo, anzi, lo era effettivamente, in base ai rapporti di forza locali),senza che questo impedisse che il deterioramento dei rapporti di for-za complessivi preparasse catastrofiche rivincite da parte della rea-zione, ferita a volte gravemente, ma non certo in modo mortale.L'analogia non vuoI certo insinuare che anche il protrarsi in modostrisciante e deviato delle tensioni sociali italiane - come giquelletedesche e austriache nel primo dopoguerra - debba fatalmente sfo-ciare nello stesso esito catastrofico. Neppure la tragedia del 1933inGermania o del 1934in Austria erano inevitabili e, tanto meno, eranoiscritte automaticamente nel corso degli eventi fin dal momento incui le direzioni tradizionali vollero e seppero evitare il "pericolo" diripetere ilmodello bolscevico (ciola sceltadi unificare e contrappor-re i consiglial vecchio Stato,anzich subordinarli ad esso per consen-tirgli di riorganizzarsi'. Tuttavia, non vediamo come possa essere evi-tata una riflessione sui diversi esiti che ebbero le sceltedivergenti delmovimento operaio rusSOe di quelloaustriaco e tedesco31.Il motto diScheidemann, di Bauer (ma anche dell'italiano D'Aragona di fronteall'occupazione delle fabbriche del 1920...' era: "tutto ma non il bol-scevismo" . Come non riflettere su che cosaha finito per comprende-re quel "tutto", che sembrava solo un'innocua formula retorica?E come ignorare, viceversa, come in quel primo dopoguerra, tra tuttii paesi che la guerra imperialista aveva dissanguato e trascinato nelbaratro di una crisi acutissima, solo laRussiariuscl a sfuggireallasor-te di una soluzione di tipo fascista (antelitteram)allesue contraddizio-ni, sconfiggendo il tentativo di dittatura di un Kornilov, appoggiatosulla barbarie dei cento-neri?Chi cerca di sfuggire a questobilancio delle diverse soluzioniadottatein Europa durante la crisi del primo dopoguerra non si limita soloaeludere la riflessione sul nesso esistente tra le scelte riformiste delbiennio rosso e l'impassein cuineglianni successivi si ritrov ilmovi-mento operaio tedesco e austriaco, la cui paralisi apri la strada al na-zismo, ma si trincera viceversa dietro il tragico bilancio dell'involu-zione stalinista dell'Unione Sovietica per giustificare l'impegno dellasocialdemocrazia tedesca o austriaca a evitare di I' fare come la Rus-sia". stato illeitmotiv del Convegnoorganizzato dall'Istituto sociali-sta di Studi storici nell'aprile 1978a Perugia32,ed il tema ricorrente31 Dall'esperienza austromarxista, in particolare, sicontinuano a trarre invece solo spunti per cl. .cubrazioni ideologicheche conciliano - solo sulla carta - contraddizioni insolubili nella rl'nhA.Cfr. in proposito il saggio di Livio Maitan, Il ritorno dell'austromarxismo, in "Critico Comunlstn", 1\,7, a . I l, pp. 121.137.32 Rivoluzione e reazione in Europa. Convegno storico internazionale, "Mondo opcrnio" g,1I1,loIII

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    nelle riscoperte apologetiche dell'austromarxismo da parte di variesponenti dell'eurocomunismo. , per, un argomento doppiamentescorre tto, perch usa due pesi e due misure per valutare le due espe-rienze, sorvolando per quella socialdemocratica su un bilancio larga-mente possibile, data la continuit di strategia e di uomini tra le sceltedel 1918-1919 e i risultati del 1933-1934, e pretendendo, viceversa, diaddebitare all'esperienza bolscevica del 1917-1918 gli orrori del 1937o del 1939, come se non ci fosse stata in mezzo quella spaventosa con-trorivoluzione politica che si concretizz nello sterminio di pressochtutto il gruppo dirigente del 191733.Non si tratta solo di uomini (anche se, quando ad essere eliminati so-no otto su nove, la questione evidentemente non pu essere piu pre-sentata come marginale, secondaria, o personale...), ma anche dieventi tremendi, che hanno sconvolto il progetto dei bolscevichi, im-ponendo soluzioni ben diverse da quelle per cui avevano lottato e cheavevano cominciato a mettere in atto. Basta pensare al regime mono-partitico, che l 'ideologia "leninista" costruita da Stalin dopo la mortedi Lenin considera caratteristica essenziale e qualificante del regimesovietico, mentre in realt non apparteneva n alla teoria n alla pras-si dei bolscevichi, che lottarono per il potere dei soviet, presero ilpote-re alla testa dei soviet di Pietrogrado e delle principali citt industrialidella Russia (in cui erano divenuti maggioranza, ma in cui avevanopieno dirit to di cittadinanza tutte le altre correnti del movimento ope-raio e della piccola borghesia rivoluzionaria e in cui esistevano ancheminoranze che si richiamavano a partiti borghesi). Il primo governosovietico, il Consiglio dei Commissari del popolo, aveva a fianco deibolscevichi anche rappresentanti dell'unico altro partito che avevacondiviso la scelta dell'insurrezione, i socialrivoluzionari di sinistra."Avanti!", Roma, 1978,2 voll.33 Basti pensare all 'Ufficio Politico eletto nell'ottobre 1917 dal Comitato centrale del Partito bol.scevico; era composto di sette membri: Lenin, Trotskij, Zinov'ev, Kamenev, Stalin, Sokolnikov eBubnov. Solo Lenin e Stalin morirono di morte naturale, gli altri cinque caddero vittime del terrores taliniano. Fino al 1923, l 'Uff icio Pol it ico fu composto di dieci persone. Dopo la morte di Lenin,Stalin allontan prima dal potere, poi fece uccidere gli altri: Trotskij, Zinov'ev, Kamenev, Bucharin,Serebriakov, Preobrajenskij, Rykov e Tomskij Iquest'ultimo, per laverit, siuccise da solo dopo unviolentissimo alterco con Stalin). In proporzioni quasi analoghe avvenne l 'eliminazione della gran.de maggioranza dei membri del Comitato Centrale del 1917 leanche di quell i e lett i nei congressisuccessivi, persino dopo la sconfitta dell'ultima opposizione). Cfr. Roy Medvedev, Lo stalinismo,Mondadori, Milano, 1972, passim. I nomi dei membri del "Comitato Centrale leninis ta", che nel lamit ol og ia sovie tic a pos ts tal in iana s arebbe s ta to l a gui da l uc ida e coe rente d i t ut te le s ce lt edel l'URSS dal 1917 a oggi, non a caso non vengono mai forni ti in opere sovietiche uff iciali . Her .mann Weber ha regis trato los tesso fenomeno per i lPart ito Comunis ta Tedesco, per i lquale las to-riografia ufficiale della RDT evita difornire liste complete con inomi dei membri del Politbiiro, pernon fare risaltare che il terrore staliniano ne uccise pili della stessa spietata dittatura hitleriana (cfr.H. Weber, La trasformazione del comunismo tedesco, Feltrinelli , Milano, 1979, p, 3741.142

    Sedopo la crisi provocata dal trattato di pace di Brest Litovsk i social-rivoluzionari di sinistra passarono all 'opposizione e furono colpiti damisure repressive, non fu certo perch allora improvvisamente "si ri-velava l 'anima totalitaria del bolscevismo", ma perch il loro rifiutodi quella pace iniqua imposta dalla Germania si accompagn, come noto, con un ritorno al terrorismo (che era stato tradizionalmente l 'ar-ma preferita dai socialrivoluzionari contro lo zarismo), con attentatiche feri rono lo stesso Lenin e uccisero var i esponenti bolscevichi. Ilgesto che provoc la prima repressione contro i socialrivoluzionari disinistra fu, d'altra parte, di un'irresponsabilit inequivocabile: l'ucci-sione dell'ambasciatore tedesco, ilconte Mirbach, la cui morte avreb-be dovuto innescare quella "guerra rivoluzionaria" che era auspicatadai socialrivoluzionari di sinistra e dalla "sinistra comunista" di Bu-charin e che corrispondeva forse a un astratto modello di sviluppodella rivoluzione ricalcato sulla Francia del 1793, ma non era certopraticabile nel 1918, in una Russia percorsa da contadini-soldati cheabbandonavano i loro reggimenti per tornare ai loro villaggi a pren-dersi finalmente la terra tanto attesa.Cosi, mentre la guerra civile - largamente sostenuta da interventi dicontingenti stranieri - cominciava ad estendersi e imponeva di acce-lerare la costruzione di un nuovo strumento militare (inevitabilmenteaccentrato) per la difesa della rivoluzione, i bolscevichi si trovaronosoli al potere, isolati internazionalmente, costretti a misure drasticheper evitare di soccombere. In quel fatale 1918 viene reintrodotta lapena di morte, l 'approvvigionamento di viveri alle citt comincia adessere assicurato con requisizioni sommarie che spingono i contadiniall'opposizione (lo stesso Lenin cit il detto contadino che contrappo-neva i bolscevichi buoni ai cattivi comunisti, ricollegando ovviamen-te i primi al decreto sulla terra , i secondi alle spedizioni che tentava-no di garantire con qualsiasi mezzo alla popolazione del le citt queiprodotti agricol i che l'improvviso aumento dei consumi dei piccolicontadini neoproprietari aveva sottratto al mercato). da quel fatale1918 che comincia quel "comunismo di guerra" che, setrov in qual-che bolscevico come Bucharin (ancora leader della "sinistra") un teo-rizzatore ardito e disinvolto nel fare di necessit virtu, non corrispon-deva affatto al programma per cui ilpartito aveva rivendicato il pote-re. Dal "comunismo di guerra" si uscir solo nel 1921, dopo iltragicoscossone di Kronstadt con la "ritirata" della NEP (ma anche con legravi misure restrit tive della democrazia interna di partito adottate"temporaneamente" in quello stesso X Congresso che dovette esseresospeso per consentire ai delegati - molti dei quali caddero nell' as-

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  • 8/14/2019 Consigli, Sindacato e Stato

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    salto - di partecipare alla battaglia in cui venne espugnata la fortezzadel Baltico). Come ignorare che i due maggiori esponenti dell'Ottobrerusso (Lenin per primo, gi alla fine de l 1922, quando ancora la dia-gnosi di Trotskij era approssimativa ed esitante) registrarono con sgo-mento le deformazioni burocratiche che in quegli anni cruciali aveva-no gi alterato profondamente la fisionomia del primo Stato sorto dauna rivoluzione proletaria34?E, d'altra parte, come dimenticare che non gli sforzi soggettivi diqualche demone maligno, ma la dispersione (ela decimazione) nellaguerra civile di quell 'avanguardia operaia che aveva portato i bolsce-vichi al potere fu la causa prima de lla crisi dei soviet? Un milione diquadri operai morirono nella guerra civile: quanti a ltri, una voltastaccati dalla loro fabbrica, dal tessuto sociale in cui avevano saputoimmettere le indicazioni bolsceviche (ma da cui avevano anche sapu-to raccogliere indicazioni, aspirazioni, stati d'animo che avevano poiritrasmesso al partito permettendongli di essere l'interprete primache la guida della classe), si trasformarono gradatamente, quasi ine-sorabilmente, in cinghie di trasmissione a senso unico di un verticesempre piu staccato dalla sua base naturale?I quadri migliori si erano proiettati nella guerra civile, perendo in es-sa o trasformandosi in ufficiali, in funzionari statali, in segretari dipartito in citt lontanissime, che la rivoluzione aveva raggiunto, cala-ta dall'alto, con anni di ritardo rispetto a lle grandi citt della Russiaeuropea. E alloro posto (come al posto de i marinai rivoluzionari diKronstadt, braccio armato del soviet di Pietrogrado nel 1917 e poi nu-cleo essenziale della prima Armata Rossa,erano subentrati ignari con-tadini ucraini senza alcuna tradizione politica35), quando le fabbricheerano state faticosamente rimesse in funzione dopo mesi e anni di pa-ralisi dovuta alla fuga dei tecnici, alla mancanza di materie prime, al-la guerra civile endemica, erano entrate nuove generazioni operaie diorigine rurale, disorganizzate, senza esperienza rivoluzionaria, a unlivello culturale bassissimo. Suqueste nuove generazioni, senza tradi-zioni e senza organizzazione si era appoggiata la "rivoluzione cultura-le" con cui Stalin aveva incominciato a liquidare l 'opposizione di si-nistra , per eliminare poi ogni residuo di spirito critico e di creativit34 Gi inun intervento del gennaio 1921, inpolemica con Bucharin, Lenin aveva det to : "uno Sta toopera io un'astraz ione . In rea lt, noi abbiamo, in primo luogo, uno Sta to opera io che ha questeparticolarit: nel paese predomina la popolazione contadina e non quella operaia; e in secondo luo-go, uno Stato operaio con una deformazione burocratica" (Lenin, Opere, voI. XXXII, Editori Riuni.t i, Roma, 1967, p . 36).35 SuKronstadt. c fr . Paul Avrich, Kronstadt 1921, Mondadori, Milano, 1971e Pierre Frank, Intro-duzione a Trotsky-Lenine, Sur Cronstadt, Edition de la Taupe , Paris, 1976.144

    in un partito che con quello della Rivoluz ione d'Ottobre aveva in co-mune quasi soltanto il nome36.Quelle tremende condizioni ambientali pesarono oggettivamente,spezzarono la continuit del processo rivoluzionario, imposero pesan-ti arretramenti, ma non erano ineluttabili.L'involuzione burocratica conosciuta dalla societ sovietica e dallostesso Partito Comunista nella seconda met degli anni Venti fu facili-tata da due fattori soggettivi, che finirono per pesare piu delle stessecondizioni oggettive gi tanto sfavorevoli. Da un lato, l 'isolamentodella sua rivoluzione, che per i dirigenti bolscevichi doveva essere so-lo il primo anello di una catena che avrebbe dovuto ben presto coin-volgere i paesi piu industrializzati , rinchiuse inesorabilmente la Rus-sia sovietica nella sua secolare arretratezza, da cui sarebbe uscita soloriproducendo in pochi decenni il processo di accumulazione primiti-va attraverso cui si erano formate le ricchezze dei paesi capitalisticipiu avanzati (con sacrifici non minori, ma con tempi meno forzati). Equell 'isolamento, non lo dimentichiamo, fu la conseguenza di scelteben precise ("tutto, ma non il bolscevismo") compiute dai gruppi di-rigenti dei principali partiti socialdemocratici europei.D'altra parte, per porre ordine nel magma confuso di una societ di-laniata dalla guerra civile e soprattutto dalla guerra quotidiana per lasopravvivenza, in una situazione di incredibile penuria di ogni genereindispensabile, era emersa in quegli anni una burocrazia a mano amano piu cosciente della sua specifica identit , piu convinta dell 'in-sostituibilit del suo ruolo, piu attenta a difendere i suoi particolariinteressi (e - ben presto - veri e propri privilegi, anche materiali)nei confronti di quelli della collettivit di cui si assumeva la rappI:e-sentanza politica.I due fattori concomitanti finirono per facilitare un consenso o unarassegnazione di massa a quel "socialismo in un paese solo" che do-veva rive la rsi ben presto la piu stridente negazione di que l che ilmo-vimento operaio aveva sempre concepito come socialismo.Cosl, anche l'involuzione del "socialismo reale", lungi dal giustifica-36 Sulla leva Lenin , che immise centina ia dimigl ia ia dioperai inesperti nel parti to , avolte ammet.tendo in blocco tutti gli operai di un intero reparto, indipendentemente dalla loro coscienza


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