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CONTRIBUTO ALLA FORTUNA DI HELVÉTIUS NEL VENETO DEL SECONDO SETTECENTO

Date post: 21-Jan-2017
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CONTRIBUTO ALLA FORTUNA DI HELVÉTIUS NEL VENETO DEL SECONDO SETTECENTO Author(s): FRANCO PIVA Source: Aevum, Anno 45, Fasc. 3/4 (MAGGIO-AGOSTO 1971), pp. 234-287 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/25821031 . Accessed: 14/06/2014 06:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Aevum. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.56 on Sat, 14 Jun 2014 06:33:42 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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CONTRIBUTO ALLA FORTUNA DI HELVÉTIUS NEL VENETO DEL SECONDO SETTECENTOAuthor(s): FRANCO PIVASource: Aevum, Anno 45, Fasc. 3/4 (MAGGIO-AGOSTO 1971), pp. 234-287Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/25821031 .

Accessed: 14/06/2014 06:33

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FRANCO PIVA

CONTRIBUTO ALLA FORTUNA DI HELVfiTIUS NEL VENETO

DEL SECONDO SETTECENTO

Dopo aver individuato nelPavvocato-giornalista Giovanni Scola

di Vicenza 1 una delle figure piu rappresentative e mature delPil luminismo veneto, oltreche una personality in se stessa ragguar devole per il fervore e Pincisivita con cui il dibattito innovatore era stato impostato e portato avanti, ci e parso utile ed interessante

allargare la nostra ricerca a tutto il mondo culturale veneto del se

condo Settecento al fine di misurare Pentita e Pimportanza delPin

fluenza su di esso esercitata dalla contemporanea cultura illumi

nistica francese, individuare i limiti e le dimensioni della disponi bilita venet a per le idee provenienti d'Oltralpe, esaminare infine

le caratteristiche e gli eventuali risultati di questo confronto. Non essendo possibile, almeno per ora, estendere la nostra in

dagine a tutte le figure del movimento illuministico francese, ab biamo creduto opportuno iniziarla con PHelvetius che dei philo

sophes oltremontani fu indubbiamente uno dei piu audaci e discussi. La scelta, apparentemente forse strana, non e stata pero del

tutto casuale; nata infatti, come spunto iniziale, proprio dalPanalisi condotta sullo Scola, essa e stata poi convalidata da due altri ordini

di considerazioni. Da una parte, come ha recentemente fatto notare Franco Ven

turi nel suo Settecento riformatore, PHelvetius ha avuto spesso una

notevole influenza sugli uomini piu rappresentativi della cultura illuministica italiana; basti qui ricordare, per citare solo qualche

1 II lavoro che a lui abbiamo dedicato sta per uscire col titolo: llluminismo e cultura

francese a Vicenza nel secondo Settecento: Giovanni Scola, in ? Contributi del Seminario di

Filologia Modern a. Serie francese ? (Pubblicazioni dell'Universita Cattolica del S. Cuore), editi da Vita e Pensiero.

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esempio tra i piu noti, Fimportanza che le idee del filosofo francese

hanno avuto nella formazione di uomini come Pietro Verri o, meglio ancora, di Cesare Beccaria il quale, a questo proposito, cosi si espri meva in una lettera del 1766: ? C'est lui (= Helvetius) qni m'a pousse avec force dans le chemin de la verite et qui a le premier reveille

mon attention sur Faveuglement et sur les malheurs de Fhumanite.

Je dois a la lecture de Uesprit une grande partie de mes idees ?, giungendo piu avanti fino ad attribuire a lui la sua stessa ? conver

sione ? filosofica: ?Ma conversion a la philosophic remonte a il y a

cinq ans. . . ? 2.

D'altro lato, scegliendo uno degli autori piu audaci delFillumi nismo francese, di fronte al quale ogni equivoco di atteggiamento e di interpretazione era praticamente impossibile, abbiamo pensato di poter cogliere, meglio che dal confronto con altri illuministi piu moderati, il sentimento piu sincero e piu genuino della cultura ve

neta di fronte alle idee che in quegli anni venivano dalla Francia; la sua reazione alia provocazione illuminista; e, nello stesso tempo, la sua volonta e capacita di accogliere la nuova filosofia nelle sue

istanze piu estreme e piu profondamente innovatrici.

LA DIFFUSIONE

II primo fatto che ci ha colpiti nel corso della nostra indagine e stata la vasta diffusione che le opere deU'Helvetius conobbero nel

Veneto di allora.

Nonostante Faudacia delle tesi in esse contenute e la rigorosita dei divieti espressi ripetutamente nei loro riguardi dalla censura, le opere del filosofo francese furono infatti lette diffusamente in tutto

il Veneto e per tutta la seconda met a del Settecento. La testimonianza piu ampia e sicura ci e offerta proprio dai cen

sori veneti. I deputati alle dogane, cioe gli impiegati cui i Riformatori

dello Studio di Padova ? organo ufficiale della censura veneta ?

avevano affidato il compito di esaminare le opere straniere che giun gevano a Venezia, ci hanno lasciato un accurato elenco di tutti i

libri che, per motivi vari, furono ?fermati? dal 1769 al 1794. Dai dati fornitici dal registro del Donadoni e del suo successore

2 Cioe al 1761, anno della lettura del De Vesprit; cfr. lettera a Andre Morellet del 26 gen naio 1766, in C. Beccaria, Dei delitti e delle pene. Con una raccolta di lettere e documenti relativi alia nascita delVopera e alia sua fortuna nelVEuropa del Settecento, a cura di F. Ven

turi, Torino 1965, p. 364.

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Morelli 3 risulta che FHelvetius con le sue tre opere, De Vesprit, De Vhomme..., Le bonheur, fu uno degli autori francesi piu ? fer

mati?; piu precisamente appare il piu ?fermato ? dopo Rousseau, Paltro filosofo che nel Veneto ebbe una diffusione larghissima e che, pur sotto aspetti diversi, esercito una influenza assai note vole.

Helvetius negU anni in questione subi il sequestro per ben nove volte: quattro per il De Vesprit, tre per il poemetto Le bonheur, due

per il De Vhomme...

Se un autore, condannatissimo come lo era stato l'Helvetius

fin dalla pubblieazione della sua prima opera, riusci a farsi ?fer mare ? per ben nove volte, significa che era molto richiesto e che i

librai, pur di accontentare i loro committenti, arrivavano fino a

sfidare Patient a, seppur non inflessibile, censura veneta.

Per rendersi meglio conto della reale entita della diffusione che le opere dell'Helvetius conobbero nel Veneto d'allora, occorre tutta

via tener anche presente la straordinaria facilita con cui si potevano introdurre nello Stato della Serenissima opere straniere.

Ce ne da una probante dimostrazione proprio P abate Donadoni

il quale in una sua lunga memoria ai Riformatori dello Studio di Padova si scaglia dapprima contro il persistente ? intollerabile fu

nesto abuso della introduzione furtiva di libri forastieri contro la

Religione, i Principi, e i Buoni costumi, che da alcuni piu ardimentosi

librarj, e da private persone viene nella Dominante e in alcune citta

della Terraferma tuttodi praticato ?; poi, per meglio chiarire la que stione, indica ai suoi superiori i canaLi per i quail i libri proibiti ve nivano introdotti nello Stato veneto: ?Sono quattro le sorgenti principali, da dove scaturiscono questi libri impuri e perniziosi. Per

la via di Terra: dagli Svizzeri e dalla Germania; e per la via di Mare: dalla Francia e dalFOlanda?.

II problema era di evitare la dogana; ma la soluzione era molto

semplice. ? Per quei che vengono dagli Svizzeri e dalla Germania, se sono in grosse balle, le fanno i proprietarj fermare o a Padova, o

a Mestre, dove sciolte e distribuiti i libri in piccioli pacchetti, se gli fanno trasmettere a Venezia o col mezzo della posta, o con barche

private... Se poi vengono a dirittura dagli Svizzeri, come sovente

avviene, in piccioli pacchetti, arrivan questi a Venezia co' cavallari

di Bergamo, che li consegnano a chi sono diretti, senza revisione, e

senza saputa di alcuno ?.

3 Cfr. Registro de9 libri fermati nelle dogane dal revisore deputato Don Antonio Donadoni e dal suo successors Don Giacomo Morelli, codice manoscritto in Biblioteca Querini-Stampalia di Venezia.

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Ne meno ? ardite ? erano le frodi usate da ? qualche capitano ?

pes quelli che venivano per via di mare: ? Si ricorre bene spesso al

temerario ripiego o di estrar dalle balle i libri sospetti, oppure di cambiar anche talvolta le medesime balle sulle barche, cosicche

quando giungono in Dogana, non son piu le stesse balle ch'erano

state spedite, o piu non contengono alcun libro che sia contro le

leggi? 4.

Inutile aggiungere che erano proprio i libri piu eolpiti, tra cui il De Vesprit delFHelvetius, che piu di altri entravano per queste vie illegali e che quindi la cifra riferita sopra deve essere moltiplicata per parecchie volte se si vuole ottenere una piu esatta valutazione

della reale diffusione delle opere del filosofo francese. La riprova di quanto andiamo affermando ci e data dalle testi

monianze, casuali ma non per questo meno significative, di coloro

che delle opere delFHelvetius parlarono per confutarle o per criti carle. Sono per lo piu di autori a lui affatto ostili e quindi ancor piu import anti.

Giovambattista Almici, giureconsulto bresciano che, come ve

dremo, del De Vesprit scrisse una confutazione in piena regola, rico

nosceva che alia lettura delFopera era stato indotto dagli ? applausi che universalmente sentiva dare alia stessa?5.

Piu avanti dava una conferma della sua testimonianza; confu

tando Fopinione delFHelvetius secondo cui ? giudicare sia sentire ?, FAlmici affermava: ? Quello che ha fatto sbagliare Fautore e seco lui molti altri (tra questi un dotto Religioso mio concittadino con

sorpresa io ritrovo) che sono discesi ad accordargli, o in parte, o in

tutto cosi stravagante asserto, e stato che. . . ? 6.

Cio testimonia, oitreche della diffusione del libro, anche della vivacita delle discussioni suscitate e della penetrazione delle idee

delFHelvetius in certi ambienti di cultura, come vedremo piu avanti.

Altrettanto probante e significativa la testimonianza del ge suita bassanese Giovambattista Roberti, altro acerrimo nemico del

filosofo francese. Volendo esaminare i benefici arrecati alle virtu

dei cittadini veneti (e non solo di loro) da qualcuno dei moderni li bri di filosofia, il Roberti cosi si esprimeva: ? II libro pub essere il famoso UEsprit del Signor Elvezio che senza controversia va tra

i primi dei libri moderni ? 7.

4 Cfr. Archivio di Stato di Venezia (A.S.V.), Riformatori dello Studio di Padova, filza 372. 5 G. Almici, Osservazioni sopra il libro del Signor Elvezio, intitolato lo Spirito, Brescia

1766, p. 5. 6

Ibid., p. 18. 7 G. Roberti, Delia probitd naturale, in Opere, Bassano 1797, vol. VII, p. 180.

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II giudizio era confermato qualche anno piu tardi quando, par lando del De Vesprit dell'Helvetius, il gesuita affermava che conti nuava ad andare ? per le mani di molti ? e che il suo autore era ? as

sai famoso ? 8.

Alle stesse conclusioni porta anche la testimonianza del nobile

veneziano, nonche poeta vernacolo, Giorgio Baffo, il quale in un suo

sonetto, databile attorno al 1765, affermava che ? il famoso Esprit?, ? Ubro che la mente snoda/ D'Elvezio parigin filosofon/ Da per tutto ancuo [intendi: oggi] se leze e loda ? 9.

Da questo punto di vista il documento fondamentale ci pare tuttavia la ? riferta ? di un confidente destinato a diventar famoso, anche se per altri motivi, agli Inquisitori di Stato. La confidenza di Giacomo Casanova ?

giacche proprio di lui, per quanto strano cio

possa sembrare, si tratta ? meriterebbe di essere riportata in extenso

perche, pur esulando in parte dal nostro soggetto, ci da un panorama

preciso e straordinariamente ricco della diffusione dei nuovi libri

nonche delle principali categorie di lettori; noi ne trascriveremo qui

qualche brano, tra i piu interessanti e pertinenti:

(( Nel dovere in cui sono ? diceva in essa il Casanova ? di denun ziare alle Eccellenze Vostre dove si trovino libri licenziosi, debbo riveren temente far osservare ehe se non mi viene prescritto i titoli dei medesimi, 0 per lo meno i noti autori, vado a rischio di porre sotto gli occhi delle Eccellenze Vostre troppi libri e troppi possessori dei medesimi, non gia ne' libraj, ma in ogni ceto di persone civili e di patrizj, la maggior parte delle quali li eonserva per la loro partieolare euriosita, eonseij a se stessi di non esserne esposti a contraerne pregiudizio nella loro morale, poiche forniti di lumi e muniti di intelletto non debole.

Ubbidiente pero al venerato Vostro comando, diro in generale che si trovano tra le mani di tutti ed anche tra quelle de' libraj le opere di

Voltaire, tra le quali empie produzioni sono la Pulcella, la Filosofta della

Storia, la Santa Candela, il Dizionario Filosofico, il Dizionario Teologico, 1 Saggi Enciclopedici, YEpistola ad Urania, il Vangelo della Ragione ed

altre; vi e l'orribile Ode a Priapo del Piron. Del Rousseau vi e VEmile, che contiene molte empieta, e c'e la Nuova Eloyse, che stabilisce non esser l'uomo dotato di libero arbitrjo. Vi e YEsprit dell'Elvezio. Vi e il Beli sario di Marmontel... i Gioielli Indiscreti del Diderot...

Quelli che li hanno o li ebbero dai libraj che li vendettero loro clan

destinamente, o li portaron da di la de' monti, e questi dilettanti potranno or a averne con facilita per la via di Trieste, perche in Vienna se ne trovano in gran quantita, dopo che la Maesta dell'Imperatore credette bene di ral lentare i rigori della revisione con clausole troppo dementi.

8 G. Roberti, Del leggere libri di metafisica, in Opere, cit., vol. VII, pp. 284 e 383. 9 G. Torcellan, Giorgio Baffo o della dissoluzione, in Settecento Veneto ed altri scritti

storici, Venezia 1969, p. 436.

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La maggior parte dei libri che mentovai in questa mia umilissima relazione, si trovano nel gabinetto del N. H. Angelo Querini, molti ne ha il N.H. Kavalier Giustiniani; ne ha il N. H. Carlo Grimani ed il N. H. Kavalier Emo, e molti altri al nome de' quali angusto spazio sarebbe

questo breve foglio ? 10.

A quanto abbiamo detto finora, non resta, per avere un quadro

completo della diffusione di cui le opere delPHelvetius godettero nel Veneto della seconda meta del Settecento, che aggiungere e ricor dare la traduzione del poema Le bonheur, pubblicata nel 1796 ad opera delPabate Giulio Perini e Pedizione del De Vhomme. . ., pro curata Panno seguente dal Costantini; la traduzione e Pedizione, pur fatte negli ultimi anni del secolo, in un clima cioe dichiaratamente

rivoluzionario, ci paiono tuttavia anch'esse preziose testimonianze

della fortuna che i libri delPHelvetius avevano goduto e di cui an cora godevano nel Veneto.

Le testimonianze citate permettono anche di farci un'idea delle

persone che piu si accostavano alle opere del filosofo francese.

Tra i piu accesi sostenitori delle piu audaci idee helveziane PA1 mici ci ha fatto vedere un ?religioso ? bresciano che, per motivi

che esamineremo piu avanti, e con ogni probability da ricercare nel

Pambiente giansenistico, in quella citta particolarmente vivace e

battagHero. L'amico del poeta veneziano Giorgio Baffo era ?un filosofo

alia moda ? non megho identificato.

II Roberti ci fa sapere che era abitudine di molti ? onesti uo mini ? avere in casa ?

un'elegante piccola libreria di certi libri fo

restieri, che si nominano in conversazione ? 11; che tra quei ?libri

forestieri ? ci fosse anche il De Vesprit, sembra, dopo quello che ab

biamo detto, cosa almeno assai probabile; quanto poi a quegli ? one

sti uomini ? cui pareva convenienza ? Pavere una raccolta copiosa di libri oltremontani ?, sembra siano da ricercarsi, anche per il luogo di residenza del frate gesuita, tra quei signorotti campagnoli, nobili

la piu parte, che piu di altri apparivano sensibili alle novita francesi

nelle quali trovavano lo spunto per un'azione di rivalsa nei riguardi di quei nobili della Dominante che nel corso dei secoli li avevano destituiti d'ogni effettivo potere, e le idee per contestare la loro au

torita e la loro supremazia.

10 Cfr. A.S.V., Inquisitori di Stato, Confidenti, Giacomo Casanova, B. 565, riferta del 22 dicembre 1781. Non h inutile, ne privo di interesse ricordare che il Casanova era egli pure lettore e ammiratore dei libri di cui si faceva, per necessita contingenti, delatore.

11 G. Roberti, Del leggere libri di metafisica, cit., p. 180.

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D'altra parte, come abbiamo potuto constatare dalla testimo

nianza del Casanova, anche i nobili della Dominante, seppnr per motivi diversi, non si peritavano di accostarsi alle opere delPHel

vetius; nella sua ? riferta ? appaiono alcuni tra i nomi piu. illustri e famosi delParistocrazia veneziana, di quelli che, oltretutto, nel go verno della vecchia repubblica occupavano o avevano occupato

qualcuna delle cariche piu importanti e che per la loro stessa posi zione sarebbero stati piuttosto chiamati a difendere i vecchi ordina

menti e le vecchie idee.

II fatto che proprio essi si accostino, magari piu di altri, alle nuove idee, pur senza trarre da esse la forza e la linfa per un profondo e vitale rinnovamento etico e sociale, e comunque oltremodo sinto

matico di una certa mentalita e di una certa situazione spirituale. DalPesame del registro del Donadoni e del Morelli risulta si

milmente che delle nove opere del filosofo francese che furono ? fer mate ? alle dogane venete dal 1769 al 1794, tre erano direttamente

indirizzate a dei nobili, una ai reverendi padri Domenicani alle Zattere e una a certo Daniele Marini, negoziante.

Compare cosi anche la terza componente della societa veneta, che finora non avevamo sentito, se non in maniera vaga nella rela

zione succitata del Casanova: la borghesia, che doveva in effetti

fornire i lettori piu assidui e piu interessati delPHelvetius. Oltre al droghiere Marini ed alle ?persone civili? piu sopra

ricordate dalPavventuriero veneziano, troviamo, eitati in altre te

stimonianze, il causidico Veronese Luigi Campagnola, il quale, se

faceva soprattutto un gran diffondere delle idee e dei libri del Rous

seau, conosceva anche quelle delPHelvetius; il ricco agricoltore friu lano Giovanni Bottari, ritiratosi ancor giovane dagli affari per stu

diare le teorie degli illuministi francesi e che per certi aspetti asso

miglia al Nostro; Pebreo veneziano Iseppo Vivanti che in un suo

casino a San Moise aveva raccolto ?una splendidissima libraria di libri moderni ? dove, accanto a Rousseau ed a Voltaire, erano ben

rappresentate anche le opere delPHelvetius, ? autore empissimo ? 12, secondo il confidente Lioni.

Per non ricordare, naturalmente, Pavvocato vicentino Giovanni Scola e il gruppo redazionale del ? Giornale Enciclopedico ? che delle opere del filosofo francese si fecero, a piu riprese, aperti sostenitori.

12 Per il Campagnola cfr. R. Fasanari, Gli albori del Risorgimento a Verona (1785-1801), Verona 1950, pp. 34-36; per il Bottari cfr. F. Luzzato, La pericolosa avventura di un agricol tore friulano, estr. da ? Atti deU'Accademia di Udine ?, XI, Serie VI, 1948-1951, pp. 344 ss.; per il Vivanti cfr. A.S.V., Inquisitori di Stato, B. 611, riferta G. Lioni, 5 ottobre 1791 e M. Be rengo, La societd veneta alia fine del Settecento, Firenze 1956, p. 139.

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IL RIFIUTO

Pur essendo, come abbiamo visto, molto diffusa in tutto il Ve neto e in tutti i ceti sociali, Popera delPHelvetius non suscito, tutto

sommato, e contrariamente a quello che si sarebbe potuto pensare, reazioni, almeno scritte, molto interessanti, ne pro, ne contro; e

cio soprattutto nelle persone e negli ambienti piu qualificati. II fatto ci sembra sintomatico della mentalita allora dominante;

e questo d'altra parte uno dei problemi piu importanti per capire i veri rapporti esistenti tra la cultura veneta e quella francese, il

luministica in particolare. Ripromettendoci di esaminarlo piii am

piamente in seguito ci limitiamo qui a constatare che Patteggia mento era tipico di certa cultura veneta per la quale accostarsi alle

opere dei filosofi, leggerle, ammirarle e godere della spigliata varieta delle loro arguzie, non significava ancora accogliere le istanze inno

vatrici implicite in esse o, almeno, prendere una posizione netta

nei loro riguardi; cio che li spingeva spesso ad accostarsi alle opere degli scrittori anche piu moderni ed audaci era, come ha fatto notare

il Berengo, piuttosto una curiosita di ? gusto ? che un desiderio di rivedere, tramite loro, le proprie idee, allargare la propria mentalita, assorbire certe correnti di pensiero o certe istanze etiche; un ? gusto ?

che, d'altra parte, restava il piu delle volte circoscritto nei limiti fug

gevoli delle conversazioni di salotto senza impegnare in meditazioni

approfondite o tradursi in atteggiamenti troppo scoperti. La posizione ufficiale fu, nei riguardi delPHelvetius, sempre di

netta e recisa condanna: tutte le opere vennero immediatamente

condannate e furono sempre ? fermate ? alle dogane, come abbiamo

potuto constatare dal registro del Donadoni e del Morelli, nonche

dalPesame degli elenchi delle opere straniere arrivate nello stesso

periodo di tempo a Venezia 13; il De Vesprit era ai primi posti tra le

opere condannate nelP Or dine degli Illustrissimi ed Eccellentissimi Ri

formatori dello Studio di Padova, del 1772, ?pubblicato sopra le scale di S. Marco e di Rialto ? 14; tutte le opere delPHelvetius figu ravano nei Catalogo dei libri contro la Religione, i Principi e i Buoni costumi che il Donadoni presentava qualche anno piu tardi ai Ri formatori perche ne decretassero pubblicamente la condanna e il

divieto ai librai di introdurli nella Serenissima e di fame smercio 15. Le motivazioni dei ?fermi ?, come appare dalle ?riferte ? al

legate, erano spesso simili e sempre ugualmente decise.

13 A.S.V., Riformatori dello Studio di Padova, filze 355-358.

14 Cfr. il documento in Biblioteca del Museo Correr di Venezia, Manoscritti Cicogna, n. 3175. 15

A.S.V., Riformatori dello Studio di Padova, filza 372.

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II 5 agosto del 1777 il De Vesprit veniva ? fermato ? assieme alle Oeuvres Philosophiques del La Mettrie, alle Lettres Philosophiques del Toland e alle Oeuvres Philosophiques del Freret; la condanna che le accomunava era chiarissima: ? Gli Autori di questi libri, con

una empieta orribile impugnano apertamente Pesistenza di Dio, Pimmortalita delPAnima e la liberta delPuomo, in cui tentano di

distruggere ogni principio di Religione, e di Morale, per stabilire PAteismo e il Materiabsmo ? 16.

II giudizio del deputato alle dogane era dunque formulato in base agli effetti che le idee del libro fermato erano suscettibili di avere sulla morale e sui buoni costumi dei cittadini.

La condanna venne ribadita con termini simili molti anni dopo, nel 1791, quando il De Vesprit fu ? fermato ? assieme al Dictionnaire

historique et critique di Pierre Bayle, al Systeme Social ou Principes de la Morale et de la Politique di d'Holbach e al Dictionnaire Philoso

phique Portatif di Voltaire: ?Questi libri ? affermava infatti il Donadoni nella sua "riferta" ? sono d'un'empieta estrema, perche impugnano espressamente Pesistenza di Dio, e distruggono dai

fondamenti la Religione Rivelata, e li buoni costumi ? 17.

Appena diversi i termini usati per formulare la condanna nei

riguardi del Ubro delPHelvetius da parte del Morelli, successore del Donadoni: ? E opera gia nota per Pempio sistema, che vi e insegnato, con cui lo spirito delPuomo si fa poco differente da quello delle be stie; si tolgono li fondamenti della Religione; e i doveri di esercitare le virtu si fanno derivare soltanto da privati vantaggi, con altre

massime perniciose alia societa ? 18. E da notare semmai nel Morelli una maggiore preoccupazione

di cogliere e di esprimere nella sua ?riferta ? i motivi stessi della

condanna, nonche di mettere in rilievo, pur nella brevita della rela

zione, le molteplici implicazioni del sistema filosofico delPHelvetius. Ne molto dissimih sono i termini impiegati per motivare il se

questro delPaltra opera di cui ci e stato possibile trovare le ? riferte ?; cosi, severamente condannabile era, a giudizio del Donadoni, il poe metto Le bonheur, il cui ? sistema si e quello di un palese e obbro brioso materialismo, ch'esclude ogni Religione rivelata e Pesistenza di Dio medesima, che condanna tutti i presenti governi ? 19.

Piu motivata, ma non meno energica la condanna formulata

16 Ibid., riferta Donadoni del 5 agosto 1777.

17 Ibid., riferta Donadoni del 14 giugno 1791.

18 Ibid., riferta Morelli del 27 aprile 1793.

19 Ibid., filza 358, riferta Donadoni del 31 gennaio 1786 m.v.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 243

dal Morelli dieci anni piu tardi: ? Benche FAutore abbia per oggetto di mostrare che la Felicita consiste nella eoltura delle seienze e delle

arti; pure trattando dei piaceri amorosi, prima di mostrarne la loro

vanita, ne tratta in maniera indecente ed oscena. Dove poi tratta

della podesta e delta autorita di comandare, esagera altamente contro

il despotismo e la superstizione in maniera da rendere odiosa Pau

torita dei Sovrani, e da screditare la Religione ? 20.

Ci pare interessante rilevare come Paccento fosse posto dal Mo

relli maggiormente sulPaspetto sociale e politico delPopera che su

quello piu squisitamente morale; d'altra parte non si deve dimenticare

che si era nel 1796, che gia da parecchi anni era scoppiata la Rivolu

zione francese, le cui motivazioni di liberta, di sovranita popolare e

di democrazia furono subito respinte dal governo della Serenissima con terrore e con estrema decisione, anche se con scarsi risultati.

Spesso, assai simile fu la reazione che le opere delPHelvetius

suscitarono negli uomini di cultura piu ortodossi.

A renderle inaccettabili per Puomo di formazione tradizionali

stica non erano tanto la miscredenza e lo scarso rispetto verso il go verno costituito ed i sovrani (che, a questo riguardo, i motivi di

scandalo erano troppo copiosi in tutto il pensiero illuministico, come

giustamente osserva il Berengo 21) quanto il materialismo e il carat

tere radicale assunto dalle premesse relativistiche proprie del filosofo

francese.

Sara anzi proprio su questo punto che verteranno molte delle

pagine scritte in condanna delPHelvetius. Ed anche il Cesarotti,

pur cosi alieno dal far propri i giudizi consacrati dalle consuetudini, ne apertamente ostile alle idee del filosofo francese, che ammirava anzi e da cui era stato, come vedremo, per un certo periodo sedotto,

reagiva contro quelle ?spiegazioni tiatte dalPamor proprio messe

alia moda dalPHelvetius ?, non ? veramente secondo il [suo] genio ?

parendogli che esse negassero ogni generosita e ogni socievolezza umana.

Nel 1772 scriveva infatti alPamico Angelo Mazza:

? 0 Popinione, che da tutto all'amor proprio e falsa, o quei che la

sostengono fanno un abuso pericoloso di termini comprendendo sotto una denominazione comune sentimenti affatto diver si. Io per me ho sempre creduto che ci sia in noi un principio d'amor socievole ugualmente natu rale che Pamor proprio, indipendente da questo preso nel senso ordinario e precedente al riflesso, che percio parmi non possa attribuirsi fuorche

20 Ibid., filza 372, riferta del 16 settembre 1796.

21 M. Berengo, La societd veneta..., cit., p. 151.

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Page 12: CONTRIBUTO ALLA FORTUNA DI HELVÉTIUS NEL VENETO DEL SECONDO SETTECENTO

244 F. PIVA

all'istinto. Da questo mi sembra che possa dedursi naturalmente la com

passione, e che possano spiegarsi senza sforzo e senza raffinamenti tutti i sentimenti ? 22.

Se il Cesarotti giustificava con cosi pacate obiezioni la repu

gnanza del suo carattere verso gli aspetti piu avanzati del pensiero del filosofo francese, non altrettanto si puo dire di altri, i quali assai spesso opposero invece alFHelvetius ed alle sue opere delle frettolose e sdegnate battute piene di sarcasmo, da cui traspare piuttosto la

dichiarata ostilita della cultura veneta tradizionale per le dottrine

piu avanzate, che il ripensamento critico o il giudizio motivato di esse.

L'esempio forse piu tipico di questa tendenza e dato dal bellu nese Vittorio Barzoni il quale in una sua operetta, intitolata II Soli tario delle Alpi, cosi si esprimeva:

? Elvezio proclamo e credette di provare che tutti gli uomini hanno

un'uguale attitudine a diventare genj, e che se un legnajuolo ricevesse la stessa educazione di Aristotele potrebbe diventare Aristotele, ad onta che si vegga ogni giorno un legnajuolo imparare appena il suo mestiere stu diandolo attentamente tutto il tempo della vita ?23.

Per il reazionario veneto le idee deU'Helvetius, cosi come quelle degli altri illuministi, non erano che ? paradossi ? applauditi dai loro

contemporanei a causa della loro ? credulita ? la quale, sempre se

condo il Barzoni, ? forma il carattere distintivo dei Francesi ?.

II Solitario esclamava infatti all'indirizzo del giovane Lorenzo cui vorrebbe far abbandonare le teorie rivoluzionarie:

(( Che paradossi non pubblicarono in questo secolo i filosofi francesi, e quanto li loro errori non furono applauditi!... BufFon voleva che la terra fosse un pezzo di materia staccata dal sole per Firruzione di una cometa, e volea che quel frammento solare essendosi rotondato a forza di girare attorno al suo asse, ed essendo rimasto caldo all'Equatore, ed essendo col

tempo diventato freddo ai poli si fosse infine ridotto a quel globo terracqueo che noi abitiamo... E Diderot il quale pretendeva che Fumanita consistesse

negli occhi, e che per conseguenza un cieco potesse sen tire questa affatto!... E quel Montesquieu che vuole che il clima faccia la religione, il governo, il costume, il vestito, la lingua, tutto!... E quel Rousseau che vestendo i suoi pensieri d'un frequente cicalamento di virtu, d'umanita, di filosofia sosteneva che tutti gli uomini sono uguali in istato di natura, e che diven tano disuguali in stato di societa per l'imperfezione dei governi; mentre

qualunque discepolo in pubblico diritto vede apertamente che gli uomini

22 M. Cesarotti, Opere, Pisa 1813, vol. XL, pp. 1-3. Lettera da Padova del 17 maggio 1772. 23 V. Barzoni, 11 Solitario delle Alpi, La Rivoluzione della Repubblica Francese, ed / Ro

mani in Grecia, Milano 1815, pp. 40-41.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 245

sono disugualissimi in istato di natura e che semmai acquistano qualche specie di uguaglianza, la acquistano in istato di societa ? 24.

Abbiamo indugiato su questo, peraltro mediocrissimo, autore, anche sconfinando su giudizi non propriamente attinenti alPHelve

tius, proprio per mostrare in maniera piu chiara Pottusita di certa

cultura veneta che, se si accostava alle opere delPilluminismo fran

cese, era pero incapace di penetrare il vero pensiero anche degli au

tori piu facili e di assorbirne neppure quel tanto che sarebbe stato sufficiente a scalfire il suo gretto reazionarismo identificantesi a

volte con un vero e proprio oscurantismo.

Sulla stessa linea ci pare situarsi Panonimo autore dei Riflessi giusti e necessarj sul Giornale Enciclopedico uscito in Vicenza per Vanno 1778, il quale dapprima definiva le idee delPHelvetius ? chi mere ed ingiurie ?; poi confermava la sua opinione dicendo che ? gli errori delPElvezio, oltre la empieta, che risentono, sono cosi grosso lani, e puerili, che fan torto ai lumi del suo secolo, e non possono

riguardarsi senza un sommo disprezzo ? 25.

Neppure Giacomo Casanova, pur cosi aperto, almeno apparen temente, alle nuove idee ed ai nuovi costumi del secolo, si mostro

mai molto sensibile al pensiero delPHelvetius nei riguardi del quale espresse anzi un giorno una condanna piena di orrore, seppur al

quanto artificiale. Come egli stesso confesso piu tardi nei suoi Me

moires, il Casanova lesse il De Vesprit nei dicembre del 1759, durante un viaggio, comodamente seduto in carrozza.

La prima impressione fu di delusione; il sistema delPHelvetius

apparve alPavventuriero veneziano nientemeno che ?pitoyable?, per il quale non valeva certo la pena si scomodasse il Parlamento di

Parigi:

(( Apres Pavoir lu, je fus encore plus surpris du bruit qu'il avait fait

que de la sottise du Parlement qui Pavait condamne; car ce corps de haute magistrature etait soumis a Pinfluence du clerge et de la cour, et,

par Pinstigation de Pune et de Pautre, il avait fait tout ce qu'il fallait pour ruiner Helvetius, homme tres aimable, et qui certes avait plus d'esprit que son livre ? 26.

24 Ibid., p. 40.

25 Cfr. Riflessi giusti e necessarj sul Giornale Enciclopedico uscito in Vicenza per Vanno

1778, Venezia 1779, p. XI. 26 Cfr. Memoires de J. Casanova de Seingalt ecrits par lui-meme, suivis de Fragments des

Memoires du Prince de Ligne, nouvelle ed., Paris s.a., p. 156.

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246 F. PIVA

Per quanto riguarda la sostanza non c'era, a parere del Casanova, assolutamente nulla di nuovo:

(( Je n'ai rien trouve de nouveau ni dans la par tie historique a l'egard des moeurs des nations, ou Helvetius nous debite des balivernes, ni dans la morale dependante du raisonnement. C'est tout choses dites et redites

depuis des siecles, et Blaise Pascal en avait dit infiniment plus, mais il l'avait dit mieux et avec plus de management ?27.

Anche lui, per quanto strano ed inverosimile cio possa sembrare, era soprattutto sensibile alPaspetto morale e alPatteggiamento ?outrancier? del filosofo francese; ed infatti quando PanaHsi si spo sto su quella parte delPopera, il Casanova, libertino ma pur sempre veneziano, reagi con orrore, anche se in una maniera un po' troppo declamatoria perche il suo giudizio non sia accolto con un po' di pre cauzione:

(( Eh quoi! parce que dans tout ce qu'il fait l'homme est toujours l'esclave de son propre interet, il s'ensuivrait que tout sentiment de recon

naissance serait ridicule et qu'aucune action ne peut ni nous honorer ni

nous deshonorer? Un scelerat et un homme de bien pourraient etre passes dans la meme balance?

Si un systeme aussi desesperant n'etait pas absurde, la vertu ne serait

qu'une duperie, et s'il pouvait etre vrai, la societe devrait le proscrire, puisqu'elle ne pourrait se conserver au milieu de la corruption qui en serait l'inevitable consequence; a

plus forte raison doit-elle l'aneantir lorsque tout montre sa hideuse monstruosite ? 28.

II Casanova proseguiva infatti:

? On aurait pu demontrer a Helvetius que il est faux que dans tout ce que nous faisons notre propre interet soit notre premier mobile, et que c'est la chose que nous devrions consulter de preference. II serait singulier

qu'il n'eut pas admis la vertu, lui qui la pratiquait si bien! Serait-il possible qu'il ne se fut jamais reconnu pour honnete homme, lui dont toutes les actions portaient le caractere de l'homme de bien? II serait plaisant qu'il n'eut ete excite a publier son ouvrage que par un sentiment de modestie! Mais cela meme aurait detruit la verite de son systeme. Et si cela est, a-t-il bien fait de se rendre meprisable, pour ne pas meriter le reproche d'etre

orgueilleux? La modestie n'est une vertu que lorsqu'elle est naturelle; si elle est affectee ou mise en action par un simple effet de l'education, elle est hideuse ? 29.

Al di la delle parole, estremamente dure e violente, e facile ritro vare nel Casanova gli stessi motivi che avevano motivato la protesta

27 Ibid. 28

Ibid., pp. 156-157. 29

Ibid., pp. 157-158.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 247

del Cesarotti: ammettere Finteresse come principio delle nostre

azioni era impossibile per lui quanto per F abate padovano; anzi assai piu per lui in quanto, conoscendo di persona F Helvetius, non

poteva non ravvisare la contraddizione stridente tra l'uomo e le idee

espresse nel suo libro. E facile cogliere in queste parole, pur scritte da un uomo che

aveva avuto piu di altri modo di accostarsi alle nuove idee e al nuovo

clima ideologico francese, tutta la distanza che separava, nel fondo, la cultura veneta nei suoi elementi tradizionali dalle nuove esigenze etieo-sociaH messe alia moda dalPilluminismo.

A volte la reazione contro Popera e le idee giungeva fino a col

pire Puomo nel suo comportamento, prendendo spunto dalFautocri tica cui PHelvetius era stato indotto nel tentativo di evitare la con

danna delFopera da parte del Parlamento di Parigi e lo scandalo che ne sarebbe necessariamente seguito.

Gia il Casanova aveva accolto con poco entusiasmo Patteggia mento remissivo del filosofo francese e la sua ? inconcevable retrac

tation ?, preferendo al suo il comportamento coraggioso e deciso della moglie, disposta a seguire il marito in esilio, pur di non obbli

garlo a ripudiare le sue idee. ? Helvetius ? osservava infatti lo scrittore veneziano ? voulant

continuer a resider en France, fut oblige de se retracter. II prefera la vie douce qu'il y menait a son honneur et a celui de son systeme c'est-a-dire a son propre esprit. Sa femme avait Fame plus grande que lui, car elle inclinait a vendre tous les biens qu'ils possedaient et a se refugier en Hollande plutot que de se soumettre a la fletrissure d'une palinodie ? 30.

Helvetius non segui ?la noble inspiration de son epouse ?, forse

perche, pare insinuare a mo' di scusa, in verita poco convincente, il

Casanova, non aveva saputo prevedere che ? son inconcevable re

tractation allait changer son livre en une fourberie; car il parut avouer, en se retractant, qu'il avait ecrit sans conviction, qu'il avait badine et que tous ses raisonnements n'etaient que des sophis

mes?. Tuttavia, concludeva il viaggiatore veneto, bisogna anche

riconoscere che ? bien des bons esprits n'avaient pas attendu sa tri

ste palinodie pour faire justice de son pitoyable systeme ? 31.

Assai piu virulenta la posizione delFanonimo autore del Piano

per dar regolato sistema al moderno spirito jilosofico, il quale della

30 Ibid., p. 156.

31 Ibid., p. 157.

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248 F. PIVA

ritrattazione delPHelvetius si servi espressamente per gettare il

discredito e lo spregio sul filosofo francese e su tutti i suoi colleghi e seguaci ? spiriti forti ?; per ragghmgere meglio lo scopo fece finta di ignorare il vero senso delPautocritica e traviso spesso il signifi cato delle sue parole.

Lo Zaguri ?

pare infatti ormai assodato che fosse proprio Pie tro Marco Zaguri, patrizio veneto e futuro vescovo di Vicenza, a

celarsi dietro Fanonimo autore delFopera in questione ? imma

gino che un ? Hbero pensatore ? desse delle istruzioni ? ad un'assem blea di amanti del buon senso ? onde aiutarli a ben usare delle nuove

idee che venivano d'Oltremonti, dar loro un ?regolato sistema? e non incorrere negli errori in cui erano caduti alcuni ? fratelli ? o

troppo deboli o troppo presuntuosi.

Dopo aver ricordato, con Fironia sottile ma non per questo meno

trasparente che percorre tutta Popera, i ? genj tutelari ? del partito filosofico tra i quali, accanto a ? Voltaire, Rousseau, Freret, Bou

lengero, Bolingbrock, Fautore del Sistema delta Natura, FAutore del Cristianesimo Svelato ? ed altri, c'era, evidentemente ed in bella

posizione, anche PHelvetius, ed aver detto che ?le sue opere sono

considerate fra i testi sacri? della nuova filosofia, lo Zaguri usciva allo scoperto e rovesciava interamente il giudizio circa Fuomo ed il filosofo ricordando, con finto dolore, la sua apostasia.

Esistono, e vero, riconosceva lo Zaguri, coloro che hanno abiu rato e abiurano alle loro idee davanti alia paura della morte; ma que sti sono, se non scusabili, almeno comprensibili. Ci sono pero anche coloro che ? fedeli alle nostre massime in istato di godimento, appena sono oppressi da travagli ricorrono vilmente alle massime antiche, e colle preghiere dei Cristiani invocano il Divino soccorso: come il

Ciclope presso Omero, il quale perduto ch'ebbe Focchio fece preghiere al Dio Nettuno, e stese le mani verso il Cielo implorando soccorso contro Ulisse, mentre prima si spacciava per isprezzator degli uo

mini e degli Dei ? 32.

Peggio ancora, esistono ?infiniti esempi di ritrattazioni fatte dai nostri piu celebri Capi-Scuola ?; anzi, faceva osservare amaramente

il ?Hbero pensatore? alPassemblea degli amanti del buon senso, ? non manca tra i nostri Scrittori chi non termini la sua opera senza

avervi posto qualche correttivo, od aver cantata apertamente la Palinodia ?.

32 [P. M. Zaguri], Piano per dar regolato sistema al moderno spirito filosofico. Istruzioni

anecdote di un libero pensatore ad un'assemblea di amanti del buon senso, Padova 1776, p. 248.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 249

Da questo punto di vista ?PAutor del Libro dello Spirito (lo stesso che per Pinnanzi aveva annoverato tra i ? genj tutelari ? del

partito filosofico) ... si dichiara un obbrobrio dei Filosofi e della Fi losofia ?.

? Egli sul finire delFimmortal suo Libro (stranamente immortale, com mentava con falsa innocenza lo Zaguri, questo libro il cui autore tanto

poco appare degno del suo merito!) si protesta, che se per disgrazia vi hanno

degli errori nell'opera, non li ha ne sospettati ne preveduti; che la ha data al pubblico con fiducia perche la ha composta con semplicita. E fa una confessione di fede cosi ampia ed estesa, che piu non si potrebbe esigersi dal piu osservante seguace del Vangelo ?33.

Nelle edizioni delFopera delFHelvetius che noi abbiamo potuto consultare, non abbiamo trovato traccia di questa confessione per cui non siamo in grado ne di confermare ne di negare Pautenticita,

peraltro un po' sospetta, della versione data dallo scrittore veneto; se non e, almeno in parte, frutto della maligna fantasia dello Zaguri, essa doveva trovarsi nella edizione delPopera fatta appena prima della condanna del Parlamento di Parigi, contenente appunto, alia

fine, la ritrattazione dell'Helvetius dettatagli da un padre gesuita, suo amico. Ad ogni modo appare fin troppo chiaro Fuso che lo scrit

tore veneziano fa di questo testo il quale nel momento e nelle circo

stanze in cui fu composto aveva, e lo Zaguri non poteva non saperlo, un significato completamente di verso.

II supposto ?libero pensatore ? continuava infatti:

cc In essa vi dichiara che professa il Cristianesimo non solo in tutto il rigor della sua morale, ma anche in tutto quello dei suoi dogmi; che si gloria di sottomettervi tutti i suoi pensieri, ed opinioni, e tutte le facolta del suo essere. Io ho reso pubblico (dice egli testualmente) il Libro dello

Spirito, poiche lo ho composto con semplicita, non ne ho gia preveduto Feffetto, ne le conseguenze spaventose che ne derivano. Anzi ne sono rimasto

estremamente sorpreso, e molto piu afflitto. Infatti dolorosa cosa per me

riesce di aver scandolezzate delle Persone pie, illuminate, rispettabili, di cui io ambiva i suffragj, e di aver dato luogo di sospettare della mia Reli

gione. Questo e il mio fallo, io lo riconosco in tutta la sua estensione, e

bramo espiarlo col piu amaro pentimento. Desidero vivamente, e since

ramente, che tutti quelli che avranno avuto la disgrazia di legger la mia

opera, mi facciano il favore di non dar giudizio di me, secondo Fimpressione fatale, che loro rimane. Ch'essi sappiano che dal punto in cui mi e stata

data a conoscere la mia seduzione, e il suo pericolo, io la ho subito abban

donata, proscritta e condannata, e sono stato il primo a desiderarne la

soppressione. Desidero, ch'essi credano in coerenza di cio, e con giustizia,

33 Ibid., p. 249.

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250 F. PIVA

ch'io non ho voluto lanciar colpi ne a danno della natura dell'anima, ne della sua origine, spiritualita ed immortalita; anzi credeva d'aver fatto ben comprendere questa mia intenzione in molti luoghi dell'opera; non ho voluto impugnare alcuna delle verita del Cristianesimo, ch'io professo sinceramente in tutto il rigore dei suoi Dogmi, e della sua morale, ed a cui mi glorio di sottomettere tutti i miei pensieri, le mie opinioni, e le facolta tutte del mio essere. Certo che tutto quello, che non e conforme al suo spirito, non pub essere conforme alia verita. Ecco i veri miei sen

timenti, con essi io sono vissuto e viverb, e con essi pure voglio morire ? 34.

Far dire ad un philosophe, fosse pur egli padre di un libro ?im mortale ?, le parole che abbiamo appena citate, o aimeno nel tono

e nel senso in cui erano fatte dire dallo Zaguri, significava distrug gere l'uomo, annullare qualunque validita al pensatore e, con lui, alle sue idee. D'altra parte la finzione appare troppo grossolana e

troppo scopertamente falsa per poter essere creduta se non dai com

pari stessi dello scrittore veneziano.

II quale, non ancora contento, continuava a lanciar frecce av

velenate contro FHelvetius cercando, sarcasticamente, di giustifi care la sua ? codardia inscusabile ? in questi termini:

? Alcuni dei nostri si affaticano di giustificare questa e simili ritrat tazioni con asserire, che quando si pubblica da noi qualche confessione contraria ai nostri principj, dessa non e se non un giuoco, ed uno scherzo; e come tale si conosce appunto dalle frasi enfatiche ed esagerate, che mostrano la palpabile ironia, e dai termini caricati, che palesano l'aria burlesca. Quantunque questa risposta possa esser con lode prodotta,

e

riuscir di qualche profitto, cib non ostante, resta contr'essa molto di che

dire; perche lo scherzo per verita non pub aver luogo in un affare cosi serio com'e quello della religione. E pub anche venirci opposto, che la finzione smentisce il carattere, che vantiamo, di uomini sinceri, aperti,

e nimici

della frode e della menzogna... ?.

? Calcano forse una strada piu sicura, e si attengono ad un miglior parti to altri in asserire, che queste ritrattazioni sono palliativi della verita,

eseguite per prudenza, e per sottrarsi alle persecuzioni,

e perche si paventa

la Religione dominante, che assistita dalla Politica, pub usar altr'armi che i sillogismi. E cib difatti e tutto conforme ai nostri principij di tolleranza

universale; in coerenza dei quali principij non pub esigersi dai nostri Seguaci, che espongano la liberta, i beni, la vita per sostener la loro credenza ? 35.

La distruzione delPuomo e del filosofo non poteva evidentemente

essere piu completa, anche se tanta acredine nel colpire le idee at

traverso il comportamento dell'uomo non puo non rivelare, oltreche

grettezza d'animo, un'assoluta ottusita e una incapacita totale di

34 Ibid., pp. 250-251.

35 Ibid., pp. 252-253.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 251

entrare nel merito delle idee delPHelvetius e di cogliere, come invece

vedremo fare da altri, almeno quel poco che, in quanto a metodo o

a suggerimenti pratici, poteva essere accolto anche da un uomo di

formazione tradizionale e di ben radicata fede cattolica.

Siamo, come si vede, sempre sul piano di una critica affatto

esterna, che schernisce le dottrine dei moderni cercando di trasci

narle nel ridicolo o nelPassurdo senza mai cercare di affrontare una, sia pur minima, d^scussione sulla loro validita.

LA CRITICA

Un po9 diversa, pur nella comune condanna, appare la posi zione di altri i quali, almeno, mostrano di aver letto Popera delPHel

vetius, di averla meditata e confrontata con le loro intime convin

zioni prima di respingerla piu o meno in blocco.

II gesuita bassanese Giovambattista Roberti, pur essendo uomo

di indiscussa formazione tradizionale, appare tuttavia sufficiente

mente aperto per leggere con attenzione i moderni; e se li confuta il

piu delle volte in maniera energica, si mostra anche sensibile alle

loro teorie e in una sua operetta accoglie molto del pensiero di Rous

seau sulPeducazione dei bambini.

Per quanto concerne PHelvetius Patteggiamento del Roberti e

sempre duro e, spesso, decisamente intransigente. DelPopera del filo

sofo materialista francese, di cui mostra di aver letto attentamente

almeno il De Vesprit, il Roberti non sa tuttavia o non mostra di ca

pire Pesigenza di fondo, apparendo sensibile essenzialmente alle con

seguenze di ordine morale che le teorie delPHelvetius comportano. Assai significativo ci sembra, al proposito, il fatto che quasi in

nessun luogo ricordi, del filosofo francese, la parte attinente alia gno

seologia o alia educazione, che pure dovevano interessare un educa

tore qual era Pabate bassanese.

Cio detto, e d'altra parte facilmente comprensibile che un uomo

di rigida formazione ortodossa non potesse accettare la teoria secondo

cui la moralita o Pimmoralita delle nostre azioni e dettata non tanto

dalla nostra ragione o dalPintrinseca bonta o malvagita delle stesse,

quanto dalPinteresse sociale che le azioni stesse rivestono; in effetti il Roberti ritorno spesso sulla questione, per lui evidentemente es

senziale. In un suo libro, Delia probita naturale, dopo aver polemiz zato con i filosofi che, al pari di Diderot nelParticolo Instinct del

FEncyclopedic, denigrano troppo la ragione umana, il polemista veneto crede di dover precisare che se la forza della ragione e grande, e tuttavia ugualmente condannabile Popinione di ? certi scrittori,

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252 F. PIVA

li quali dicono, che basta per esser probi la propria ragione senza

altri ajuti della Religione?, tanto piu che questi scrittori ?sono

pox quelU che in altri luoghi fanno si poca stima e si poco uso della

ragione umana ?.

Conclude affermando che ?la confidenza nelle forze della ragione deve avere i suoi limiti ?. ? La ragione

? osserva infatti il Roberti ? e

dotata di lume da distinguere Ponesto e il giusto; ma che sarebbe, se sedotta dalPautorita seguisse anzi gli altrui capriccj che i proprj consiglj, e si formasse idee false deiPonesta e del bene? . . . ?, fa

cendo piu avanti not are che ? non e strano questo pericolo in questo secolo in cui si va creando una si varia idea deiPonesta ?. Prose

gue infatti:

? Scegliamo un libro solo, che e moderno e che e per le mani di tutti. Per l'Autor dello Spirito tutte le azioni sono per se stesse indiffe renti, siccome i luoghi; onde egli rimira pure con occhio d'indifferenza un sacrificio, ed un omicidio, un serraglio e una certosa. La onesta, giusta la sua dottrina, consiste nella utilita, onde cio, che sara utile ad un paese, e ad una societa, sara ivi onesto; e se la cosa sara disutile in un altro paese, ed a un'altra societa, disonesto ? 36.

Le teorie del filosofo francese portavano, come si pud anche ve

dere dalle citazioni riportate in nota, ad un hvellamento delle co

scienze e dei valori che il Roberti non poteva assolutamente accettare, cosi come non poteva accogliere Pidea, d'altra parte conseguente, secondo cui la moralita di un'azione dipende dalla legislazione.

? Per l'Elvezio, gli editti de' Principi sono quelli che debbono deter minare le azioni ad essere buone o cattive; perche debbono comandare e

scegliere quelle che sono utili alle lor soggette societa, e quelle, che son dannose, ricusare e

proscrivere. Per cagione d'esempio, alia Cina sara onesto

atto per li genitori strangolare i propri figli, quando l'annata del riso e

scarseggiante; onde non gravare lo stato di soverchia popolazione. Con tanta fermezza si suppone la indifferenza intrinseca di tutte le

azioni, che indi si deduce qual corollario certo, che, siccome non vi puo essere abito di azioni, cosi non vi puo essere probita di azioni, che riguardi tutto il mondo: onde conchiudesi la idea della decantata onesta costante ed universale suggerita dalla ragione essere una chimera ?.

36 G. Roberti, Delia probita naturale, cit., pp. 284-285. ? forse cosa opportuna ricordare a

questo punto alcune definizioni di probita date dall'Helvetius nel corso della sua prima opera: ? C'est done a Thabitude des actions qui lui sont utiles, qu'un particulier donne le nom de

probite... En fait de probite, c'est uniquement l'interet public qu'il faut consulter et croire... Le public... ne donne le nom d'honnetes, de grandes ou d'heroiques, qu'aux actions qui lui sont utiles?. Cfr. C. A. Helvetius, De Vesprit, in Oeuvres Complettes, nouvelle ed., corrigee et

augmentee sur les manuscrits de Fauteur, avec sa vie et son portrait, Londres 1781, vol. I, pp. 31, 49, 73.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 253

Conclude portando, come esempio e prova di quanto ha appena detto, TafFermazione deU'Helvetius secondo cui ?in Francia . . .

Padulterio e male, perche offende le leggi del paese; ma questo sarebbe

minore, se le femmine fossero comuni, e i figli tutti, che nascono, dichiarati figli dello stato ? 37.

Se la questione non fosse di estrema importanza sul piano mo

rale, il gesuita bassanese sarebbe tentato di consider/are simili esempi e simili idee nient'altro che paradossi; ma capisce bene che non e

cosi, che e la vita stessa ad essere ribaltata dalle fondamenta, assieme

alia concezione tradizionale della morale; per cui insiste nella sua condanna, facendo notare, forse con una interpretazione un

tantino abusiva, che il principio secondo cui tutto, nella vita del

Puomo, si riduce alia sensibilita significa in effetti che tutto si riduce al piacere dei sensi.

? L'Elvezio ? osserva egli infatti ? cita spesso simili esempj tolti dai sensi, perche cib maravigliosamente s'adatta all'essenza del suo sistema.

Imperciocche egli pianta bene per primo principio delle azioni l'utilita, ovve rosia l'interesse; ma questa utilita, e questo interesse crede che non possa meglio procurarsi dall'uomo che coi piaceri dei sensi, e perb alia fine riduce tutto alia

" sensibilita fisica "; e cioe al diletto della carne, al quale vuole

che prestino servigio tutti gli altri beni ? 38. ? Se questo sistema avesse verita ? fa notare in conclusione ? la

giustizia, e la ingiustizia sarebbero un perpetuo ondeggiamento giusto il vario spirito dei capricej degli uomini; e cib, che sarebbe giusto stasera al tramontar del sole, sarebbe ingiusto domani al suo levare; e cib, che sarebbe onesto ad un grado determinato di longitudine, e di latitudine, diverrebbe disonesto nel grado a quello prossimo ? 39.

Ne la conclusione di un perfetto relativismo della morale cui

giunge il Roberti interpretando le idee dell'Helvetius deve parere

esagerato in quanto e perfettamente in linea con le teorie del filosofo

francese il quale, a questo proposito, cosi si era espresso:

? L'interet des etats est, comme toutes les choses humaines, sujet a

mille revolutions. Les memes loix et les memes coutumes deviennent suc

cessivement utiles et nuisibles au meme peuple; d'ou je conclus que ces

loix doivent tour a tour etre adaptees et rejettees et que les memes actions doivent porter successivement le nom de vertueuses ou de vicieuses ?40.

Ma cib che era conclusione logica per il filosofo francese non po teva evidentemente essere altrettanto accettabile per il gesuita ve

37 G. Roberti, Delia probita naturale, cit., p. 285. 38

Ibid., p. 286. 39

Ibid., p. 287. 40 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 85.

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254 F. PIVA

neto, fermamente attaccato a certe idee, a certe scale di valori e ben

eonvinto che la moralita di una azione trova la sua spiegazione nella

ragione e nella legge naturale assai piu che nella sua utilita o nella sua convenienza sociaJe. ? Le leggi positive

? fa infatti notare ?

non sono che chiare esposizioni, e che opportune applicazioni delle

leggi naturali alle varie circostanze ? 41.

Sullo stesso argomento il Roberti ritorna piu avanti parlando della virtu e della ? fine ? cui Tuomo e destinato; fa notare che tutti, in passato, anche i filosofi piu audaci ed ai quali i moderni si richia

mano, hanno parlato della virtu ed hanno cercato di darne una defi

nizione precisa: ? Se piglio fra le mani Platone, Tullio, Marco Aurelio, Seneca, non mi presentano che definizioni, e che sentenze della giu stizia, della temperanza, della fine delTuomo, della coscienza, e mi

ricordano spesso Giove, e gTIddij immortali, e i campi elisj, e la pa lude stigia ? 42.

Completamente diverso Tatteggiamento dei cosiddetti filosofi mo derni ? che pure si piccano d'insegnare la vera moralita, e la vera

felicita?; diversissimi i contenuti delle loro discussioni: non piu ? definizioni e sentenze ? sulla giustizia, sulla temperanza e sul fine

delTuomo, bensi ? dissertazioni sopra il piacere, sopra la sensibilita,

sopra il vitto, sopra la popolazione, sopra la generazione, sopra gli avanzamenti delle arti meccaniche, e sopra i comodi della vita ? 43.

Come si vede, il Roberti appare incapace di cogliere il senso della rivoluzione avvenuta in quegli anni negh spiriti e nel modo di porre i problemi delTuomo, visti non piu nella luce iperterrena di un rap

porto uomo-Dio, ma al livello delle sue pure necessita materiali e

sociaK, umane insomma. Ad esempio ? unico, ma assai famoso ? di questo nuovo modo

di concepire la filosofia, il Roberti cita proprio ? il signor Elvezio ?, il quale nel discorso quarto del suo ?libro dello Spirito ? con cui ? pretese d'istruir Tuomo e di insegnarli la vera teoria della felicita ?, cosi si era espresso a proposito della moralita del singolo:

? Che importa al pubblico la buona o la malvagia condotta di un

particolare? Un uomo di vizi e piu stimabile che voi [intendi cioe i reli

giosi e i devoti cristiani] ... Gli esempi di virtu, che dona un parti colare non sono utili che ad un piccolo numero di quelli che compongono la societa. Ma i lumi novelli, che questo particolare spargera sopra le arti, e le scienze sono dei benefizj per l'universo. ? dunque certo che Tuomo

41 G. Roberti, Delia probita naturale, cit., p. 287. 42

Ibid., p. 383. ? Ibid.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 255

di genio (foss'egli pur di una moralita poco esatta) avra piu diritto che voi alia riconoscenza pubblica ?44.

Oecorre dire che Helvetius intendeva colpire piuttosto ?les

esprits justes ?, ovverossia mediocri, senza passioni che, a propria mente parlare, i cristiani e gli uomini di chiesa; anche se, date le idee del filosofo francese sulle religioni e su quella cristiana in parti colare, la interpretazione del gesuita veneto non era poi tanto lon tana dal cogliere il vero significato delle parole del Francese 45.

II Roberti era quindi riuscito a capire con sufficiente chiarezza in che cosa coiisisteva e a che cosa mirava la nuova filosofia di cui

le teorie delPHelvetius erano un esempio tra i piu audaci e parados sali; aveva sentito assai bene che si trattava non di nuove teorie

tendenti a riformare il pensiero e le concezioni antecedenti, sibbene

di una rivoluzione vera e propria nel modo di porre i problemi e, soprattutto, nel modo di concepire la vita, Puomo, la sua realta terrena e le prospettive (del resto negate da molti) della sua sorte futura. Una simile concezione il gesuita bassanese non poteva, evi

dentemente, mai accettarla e la sua opposizione alPHelvetius fu per

questo sempre accanita.

Se infatti arrivo qualche volta fino ad accettare alcune delle idee del filosofo francese, come ad esempio quelle concernenti la

condanna del lusso come fattore di progresso e di uguaglianza 46, il suo giudizio resto fino alPultimo severo e venne espresso in termini

di estrema chiarezza ancora in una delle sue ultime opere. Commentando il seguente passo della Lettera di un bambino di

sedici mesi con annotazioni di un filosofo, ? come potei dimenar le braccia fuor delle fasce tentai le cose toccandole; e seppi presso poco,

44 Ibid., p. 384.

45 Ecco, ad ogni modo, il testo esatto della tirade dell'Helvetius contro ? les esprits justes ?:

cc O esprits justes!... Votre conduite... est souvent plus sage que celle des hommes de genie. Oui, parce que vous n'avez pas en vous ce principe de vie et de passions qui produit egalement les

grands vices, les grandes vertus, et les grands talents. Mais en etes-vous plus recommandables?

Qu'importe au public la bonne ou mauvaise conduite d'un particulier? Un homme de genie, eut-il des vices, est encore plus estimable que vous. En effet on sert sa patrie, ou par rinnocence de ses moeurs et les exemples de vertus qu'on y donne, ou par les lumieres qu'on y repand. De ces deux manieres de servir sa patrie, la derniere, qui, sans contredit, appartient plus directement au genie, est, en meme temps, celle qui procure le plus d'avantages au public. Les exemples de vertu, que donne un particulier, ne sont guere utiles qu'au petit nombre de ceux qui com

posent sa societe; au contraire, les lumieres nouvelles, que ce meme particulier repandra sur les arts et les sciences, sont des bienfaits pour l'univers. II est done certain que Fhomme de genie, fut-il d'une probite peu exacte, aura toujours plus de droits que vous a la reconnoissance

publique ? (cfr. C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 343). Per una piu esatta compren sione del senso in cui h usata l'espressione ? esprits justes ?, ecco poi cosa dice al riguardo rHelvetius: ? Communement on n'entend par esprit juste que la sorte d'esprit propre a tirer des consequences justes et quelquefois neuves des opinions vraies ou fausses qu'on lui presente... L'esprit juste contribue peu a l'avancement de Tesprit humain ? (cfr. ibid., p. 339).

46 C. Roberti, Contro il lusso, in Opere, cit., vol. VI, p. 108.

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256 F. PIVA

se eran lontane o vicine, grandi o piccole, dure o molli ?, il Roberti

polemizza col BufFon il quale nella sua Storia Naturale aveva detto

che ? se la mano avesse piu parti, e le parti piu articolazioni, onde

applicarsi alle diverse superficie, sarebbe di miglior uso. E se fosse divisa in una infinita di parti tutte mobili da adattarsi a tutti i punti della superficie, un tal organo sarebbe una geometria universale, onde si avrebbero idee precise di tutti i corpi, e delle differenze infi nitamente piccole di tali figure ? facendo notare che ?la multiplicity delle parti di minima grandezza produrrebbe confusione delle idee, non la precisione almeno quanto alia figura e alia grandezza totale

dei corpi ? 47.

Tuttavia se non mostra di capire e di accettare il sensismo del

grande naturalista francese, il Roberti riconosce che ? BufFon e sem

pre un grand'uomo degno di ossequio eziandio allorch'e (sic) s'im

pugna ?.

Reputa invece del tutte ? false e inette su tal proposito, del pari che in moltissimi altri, le idee delPAutor dello Spirito ? secondo cui ? se l'uomo non avesse le mani o brancolasse carpon per terra quasi con due zampe, non sarebbe un uomo razionale, e imbestierebbe ? 48.

Respingendo ancora una volta il crudo materialismo del filosofo fran cese il gesuita veneto concludeva definendo, a simbolo e paradigma del suo autore, il De Vesprit ? un libro che sara sempre un monumento

umiliante, ancor per le sue filosofiche assurdita, alForgoglio dei trop po liberi pensatori ? 49.

II padre Alessandro Stagni e ugualmente cosciente che Fazione della nuova filosofia mira a sovvertire tutto Pordine costituito, ad attaccare Pautorita sia delPaltare sia del trono, a rimettere in discus

sione tutte le idee, tutti i dogmi, la realta stessa della vita e del mondo,

quale era stata fino allora concepita. La sua opera di confutazione alia filosofia dei ?liberi pensatori ?

del secolo XVIII trae spunto dalla pubblicazione, avvenuta negli anni della rivoluzione in Italia, di un libello intitolato II Fanati smo Cristiano, vera summa, seppur non originate, del pensiero illu

47 G. Roberti, Letter a di un bambino di sedici mesi con annotazioni di un filosofo, ibid., vol. Ill, p. 127.

48 ? Si la nature ? aveva detto l'Helvetius all'inizio del suo libro conseguentemente alia sua teoria per cui tutto deriva dalla sensazione ? au lieu de mains et de doigts flexibles, eut termine nos poignets par un pied de cheval, qui doute que ces hommes sans arts, sans

habitations, sans defense contre les animaux, tout occupes du soin de pourvoir a leur nourriture et d'eviter les betes feroces, ne fussent encore errants dans les forets comme des troupeaux fugitifs? ? (cfr. C. A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 2). 49 G. Roberti, Lettera di un bambino..., cit., p. 129.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 257

ministico piu audace ed ostentato, in cui, a quanto e dato capire, alFHelvetius era fatta una parte straordinariamente ampia.

A differenza del Roberti, fors'anche a causa del particolare mo

mento politico in cui si trovava a scrivere ? il libro porta la data

del 1799 ? lo Stagni pone maggiormente Faccento sulle conseguenze di natura sociale e politica piuttosto che su quelle morali.

(( Nel secolo decimo ottavo si e voluto capire, se ci sia Dio, se sia

egli distinto da questa macehina mondiale, o pur con essa confuso; si e voluto sapere se siavi un solo principio di chechesia, o v'abbiano due principj sovrani, Funo buono e l'altro malvagio; si e voluto sapere se vi abbia la Provvidenza, che il tutto regga, o pur il tutto addivenga per fatalita, e

per caso; si e voluto sapere, se Fanima sia immortale, o finir debba Fuomo siccome i bruti; se vi sieno leggi immortali di onesta, o la suprema legge sia cio che aggrada; si e voluto sapere se esser debbaci al mondo Altare e

Trono; ora, in risposta a tutti questi interrogativi, "

i celebri Filosofi "

del XVIII secolo, abbandonate le vecchie concezioni, "

hanno proposto nuovi principj, che tolgono ogni difficolta e ci fanno vedere un sistema

perfetto per mantenere il buon ordine di ogni societa " ? 50.

Per far vedere ai suoi lettori quanto una simile affermazione

fosse falsa, lo Stagni analizza brevemente il pensiero dei filosofi da cui Fautore del Fanatismo Cristiano ha tratto le sue aberranti idee; il suo esame appare subito una requisitoria in piena regola contro la

maggior parte del pensiero iUuministico, messo in ridicolo e presen tato come assurdo.

? Dietro gli Epicurei, i Cirenaici, i Pirronici essi [cioe i "

celebri Filosofi

" evocati piu sopra dalFanonimo libellista italiano] hanno insegnato

che internamente non c'e ne virtu, ne giusto;

ne ingiusto,

ne bene, ne

mal morale; che non c'e alcuna regola di morale, che sia innata, e su cui

tutti i popoli sieno d'accordo; che la probita ha per base Finteresse per sonale; che Fuomo non e giusto se non quando gli torna bene d'esserlo 51.

Non c'e, dicon essi, alcun amore disinteressato; Famicizia non fa se non

permute; Famicizia senza bisogno, sarebbe un effetto senza causa; e ugual

mente impossibile amare il bene per il bene, che amare il male per il male 52. Come suppongono, che Fuomo e della stessa natura degli animali,

decidono, che la sensibilita fisica e il principio, e la regola di tutte le nostre azioni, la nostra legge, il nostro istinto53; che la ragione non deve avere la prevalenza sopra Fistinto; che le nostre passioni sono innocenti, e la ragione colpevole; sono le grandi passioni, dicon essi, quelle che innal

50 Cfr. II Fanatismo Cristiano, p. 89, in A. Stagni, Disinganno agli allievi delta Filosofia rivoluzionaria sui delirj aVun sedicente filosofo italiano che ha voluto imporre al pubblico col

libro intitolato II Fanatismo Cristiano filosoficamente atterrato net secolo decimo ottavo da un

libero filosofo aVItalia. Opera delVabate Alessandro Stagni, Venezia 1799, pp. 87-88. 51 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., disc. II, cap. II. 52

Ibid., capp. V e XIV. 53 Ibid., disc. I, cap. I.

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258 F. PIVA

zano Fanima a grandi imprese54; proporsi la distruzione delle passioni e il colmo della follia.

Non e in arbitrio delFuomo darsi neppure un gusto particolare; come

poi giugnerebbe a riformare il proprio carattere? II piacere che Puomo incessantemente desidera, sarebbe forse unicamente un laccio da Dio teso a lui per malignita affine di sorprendere la sua debolezza? La morale sublime del Vangelo non e fatta se non per rendere la Virtu un oggetto di odio 55.

Grazie alia " Moral piu umana

" dei nostri

" celebri Filosofi

" noi pre

sentemente sappiamo il segreto d'esser felici nel delitto. Qualora gli effetti delle nostre passioni ci sono utili, noi non abbiamo verun rimorso; come po tremo infatti mai rimproverarci tali delitti, che non era in nostra liberta d'evitare?... ? 56.

Questi ? nuovi principj ?, fa notare lo Stagni sono ? quelli d'una assoluta Fatalita, d9un pretto Ateismo, che degradano intieramente

Puomo?; ora, si chiede Pabate veneto, ?tali mostruosi principj, che sostituiscono una universale irreligione, e una spaventosa anar

chia ?, potranno veramente ? mantenere il buon ordine in ogni so

cieta ? come assicurava Panonimo libero pensatore sulla scorta dei

? filosofi ? d'Oltralpe? La risposta, facile e chiara, ce la da ?il presente, calamitoso ro

vescio, che opprime tante belle parti d'Europa ?; ? a chi deesi in

fatti, sembra chiedere con amara ironia lo Stagni, se non ai "

prin

cipj ,, di tutti questi Framassoni, che nel secolo appunto decimo ottavo hanno divisato nelle loro loggie pestifere di abbattere, e di

distruggere il Trono e PAltare??57.

54 Ibid., disc. Ill, cap. VI.

55 C.A. Helvetius, De Vhomme..., in Oeuvres Complettes, cit., sez. VI, cap. I. 56 A. Stagni, Disinganno..., cit., t. I, p. 91. 57

Ibid., pp. 91-92. ? interessante notare come sul finire del secolo agli occhi degli italiani, fossero essi di formazione tradizionale, come lo Stagni, o attenti alle nuove massime francesi, come Fanonimo libellista, illuminismo, massoneria e giansenismo coincidessero spesso, concor

rendo tutti ad un'unica azione, temuta od auspicata, che consisteva nel rovesciare Fordine costi tuito e nello spezzare certi legami e certe strutture, etiche o politiche, sentite ormai come troppo vecchie ed oppressive. Questa simbiosi e perfettamente avvertibile nelFautore del Fanatismo Cri stiano e, per reazione, nello Stagni. Dopo aver detto che, a sostegno delle sue idee, Fanonimo libellista aveva avanzato cc Fautorita irrefragabile del Mirabaud nel Sistema della Natura, del

Boulengero nel Cristianesimo disvelato, delle Lettere ad Eugenio, di Bayle, delFElvezio, del

Rousseau, di Voltaire, del marchese d'Argens, del Freret e di altri famosi increduli ?, Fabate veneto ricorda la simpatia con cui lo stesso guardava ai framassoni che cc con ammirevole intre

pidezza ? hanno spezzato i cc chiostri della Natura ?, e dopo lungo e profondo silenzio tenuto e

custodito gelosamente nelle loro Filosofiche loggie, hanno scacciato in bando cc Fidea di un Dio

chimerico, che non ha partorito tra i miseri mortali che cose scellerate ed empie, ed ha resa

la terra un teatro di sanguinose tragedie ?, facendo infine notare che, agli occhi del libero pen satore italiano, i giansenisti sono cc parimenti degni di essere premiati ed onorati, poiche cc con vera repubblicana eloquenza hanno combattuto il Papa, Fidolo di Roma, e con filosofica avve

dutezza hanno cooperato al rovesciamento e degli idolatrati Altari e della tirannia dei despoti avviliti ?. Cfr. ibid., p. X.

La posizione che qui abbiamo brevemente delineato e senza dubbio unilaterale e criticabile,

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 259

Piu avanti, sempre facendosi portavoce delFanonimo autore, lo Stagni prosegue:

? Secondo i nostri "

celebri filosofi gli uomini non sono nati da un medesimo padre; o essi sono usciti dalle viscere della terra o Iddio ne gli fece uscir come gli alberi, e gli ha seminati sul globo, come v'ha

sparse le piante, e gli animali. Quindi non vi e alcuna societa naturale tra loro; lo stato naturale deH'uomo e Tesser selvaggio; la societa e uno stato contro natura... Conforme a questo principio s'insegna, che non v'e

massima alcuna di probita pratica per rapporto all'universo 58; che l'oppo sizione degli interessi dei popoli ve li tiene in uno stato di guerra perpetua gli uni contro gli altri.

II diritto e nato dalle convenzioni tra i particolari. Ora le Nazioni non fecero tra di esse alcuna convenzione simile59. Dal che si deve con

cludere, che cib, che appellasi diritto nelle Genti, e una vana idea, che non ha il menomo fondamento. Nelle medesime societa formate da lungo tempo, i membri non sono tenuti d'ubbidire alle leggi, se non quando vi trovino il loro vantaggio. Ella e una cosa decisa al tribunale di tutti i "

celebri filosofi che una societa, i cui capi, e le cui leggi non procurano verun bene ai membri, che la compongono, perde il diritto di comandare ad essi. La societa, che non ci procura alcun bene, perde i suoi diritti

sopra di noi 60. Che importa al pubblico la probita di un particolare? Essa non gliene

apporta la menoma utilita 61. Massima sacra di tutti i

" celebri filosofi

" e poi che la virtu non pub consistere che nella utilita generale ? 62.

? E questi esecrabili "nuovi principj" d'insociabilita e di ribel lione contro l'autorita, potranno veramente ? si chiede Tabate ve

neto interrompendo il suo esame ? mantenere il "buon ordine di

ogni societa"? 0 non formerebbero per caso essi una societa di can

nibali feroci, che reciprocamente si distruggerebbero?? 63.

A questo punto lo Stagni sposta la sua attenzione sulla morale

e cerca di far vedere ? quali sarebbero i costumi, se la dottrina dei

nostri Cinici moderni fosse seguita?:

ma non per questo ci pare meno interessante, come testimonianza di una certa evoluzione del nuovo pensiero o atteggiamento italiano nei confronti delle massime dell'illuminismo francese, oltreche di una notevole attivita sotterranea che andava organizzandosi e che per agire alia

luce del sole non aspettava che l'occasione piu propizia. Lo Stagni evidentemente non poteva

esprimere un giudizio altrettanto lusinghiero; ma riconosceva anche lui l'unita dell'azione por tata avanti dai tre gruppi sopra ricordati quando, con trasparente ironia, definiva cc i Filosofi, i

Framassoni e i Giansenisti... quelle persone grandi che hanno fatto scoppiare la filosofica rige nerazione, la quale ha prodotto la piu feroce spezie di uomini, che sia esistita nell'universo ?

(ibid., p. XI). 58 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., disc. II, cap. XXV. 59

Ibid., disc. Ill, cap. IV; De Vhomme..., cit., sez. X, cap. II. 60 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., disc. Ill, cap. XXI. 61

Ibid., disc. IV, cap. VI. 62 Ibid., disc. II, cap. XIII. 63 A. Stagni, Disinganno..., cit., t. I, pp. 93-94.

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260 F. PIVA

? Essi insegnano che il pudore e semplicemente una virtu di conve

nienza, che quanto alia castita, ed alia continenza, non si sa, che cosa sia una pretesa virtu, da cui nulla affatto risulta. Se crediamo ad essi, i piaceri sensuali dovrebbero essere il premio degli uomini virtuosi6*; il loro solo godimento puo consolarci della nostra triste esistenza. Dessi formano la felicita dei due sessi. II solo bene son'eglino, che il cielo mesce coi mali, ond'egli ci affligge 65. Essi dicono, che il pudore e un'invenzione della volutta raffinata; che la condotta delle femmine galanti e utilissima al pubblico, ch'esse fanno delle ricchezze loro un uso comunemente piu vantaggioso allo stato di quel che facciano le piu saggie66... ?.

? Come si puo ?

scoppia a questo punto il morigerato abate veneto ?

frenar la bile nel vedere una passione la piu brutale, i disordini anti naturali trattati d'" inezia"? Noi non abbiamo alcuna difficolta di dire che un filosofo, capace d'un delirio si vergognoso, doveva esser chiuso nello spedale dei pazzi fino a tan to ch'egli fosse guarito della sua malattia ? 67.

(( ? vero ? continua un po' piu avanti ?, che ci vien fatto osservare che un si orrido libertinaggio era comunemente ammesso nella Grecia; che i filosofi, e gli uomini di qualita non ne provavano alcun rossore; che

questo cio non di meno fu il paese piu fecondo d'uomini virtuosi, e d'uomini

grandi; che Solone e Platone erano pederasti; che questi fieri Repubbli cani, i quali senza vergogna s'abbandonavano ad ogni sorta di amori, non

s'abassarono mai alia schiavitu ? 68; ma bisogna anche dire che cc e un'affet tazione degli increduli quella di riferir freddamente tutte le infamie prati cate tra i Greci, gli Egizi, i Babilonesi, tra le Nazioni barbare dell'Asia, e

delPAfrica, come usanze quasi indifferenti, che non recavano il menomo

pregiudizio alle virtu sociali, ne alia felicita dei popoli ? 69.

Giunto alia fine della sua lunga e in parte disordinata tirata, lo Stagni si scusa, e noi con lui, di essere stato cosi lungo e di aver

esposto ? sotto gli occhi dei leggitori un cosi odioso dettaglio dei nuovi principij di tutti i celebri filosofi del secolo decimo ottavo ?; ma afferma che non era proprio possibile fame a meno; era infatti

necessario far vedere ? per via di pruove convincenti i pretesi pro

gressi, che la moderna filosofia ha fatto nella scienza dei costumi, e quanto le Nazioni sono state ingannate e tradite ?; era inline ne

cessario vendicare la morale evangelica ? dagli insulti delPincredu

lita ?, ne questo poteva essere meglio fatto che ? col metterle in op

posizione la morale dei suoi nemici ? 70.

Se abbiamo insistito tanto su questa analisi che riguardava un

64 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., disc. II, cap. XV. ?

Ibid., disc. II, cap. XIV. 66

Ibid., disc. II, cap. XV. 67 A. Stagni, Disinganno..., cit., t. I, pp. 95-96. 68 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., disc. II, cap. XIV e De Vhomme..., cit., sez. II, capp. VI,

VII, XVIII. 69 A. Stagni, Disinganno..., cit., t. I, p. 97. 70

Ibid., p. 97.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 261

po' tutta la filosofia iUuministica, almeno nei suoi aspetti piu tipi camente politici e morali, e non soltanto FHelvetius, Pabbiamo fatto, come sara risultato dalle frequenti citazioni, per Pampio spazio ri servato pur senza mai nominarlo, al filosofo francese il quale evidente

mente e preso anche dallo Stagni a paradigma e ad esempio del liber tinismo e del materialismo piu audaci e provocanti.

AlPHelvetius Pabate veneto riservava tuttavia, piu avanti, anche una confutazione del tutto personale; segno, se ancora ce ne

fosse bisogno, del posto che le idee di questo autore avevano nelle

discussioni dei benpensanti circa la nuova filosofia e le sue conse

guenze soprattutto di or dine pratico. Lo fa parlando delta tanto famosa ? Moral Filosofica ? che, a

detta delPanonimo autore del Fanatismo Cristiano, ? seguitando le

bellissime teorie del nostro celebre Elvezio nel suo aureo libro dello

Spirito, ha illuminato con esito felice gli uomini a credere che il pia cere, e il dolore sono i soli motori delPuniverso morale; e che la sen

sibilita fisica, e Pinteresse personale sono stati gli autori d'ogni giu stizia ? 71.

II brano in questione, se a noi e utile per capire Pimportanza che

gli illuministi italiani attribuivano alPHelvetius e Pampiezza delPin flusso che le sue teorie avevano esercitato sulle idee che essi si erano

venuti formando sulla scorta della nuova filosofia d'Oltralpe, allo

Stagni non poteva evidentemente non far ribollire il sangue e provo care una violenta presa di posizione; e infatti lo spunto per una se

vera requisitoria contro tutto il sistema delPHelvetius che nel brano

succitato era in effetti assai bene riassunto se non proprio nella sua

totalita, almeno nelle sue implicazioni di or dine morale. ? II nostro "

celebre Elvezio " ? fa notare lo Stagni

? col suo

libro appunto dello Spirito ha fatto professare altamente PAteismo; ed i seguaci della "

Moral Filosofica ch'erano Atei, dovevano ne

cessariamente seguire in rigor di sistema le di lui "bellissime teorie"; conviene pero fare finalmente giustizia di questo "celebre filosofo" ? 72.

La prima affermazione alia quale s'attacca lo Stagni, per mo

strarne la falsita e la debolezza filosofica, e quella secondo cui pia cere e dolore sono gli unici veri motori delle nostre azioni e che egli non puo assolutamente accettare.

In una pagina famosa del De rhomme... Helvetius aveva detto;

ce Un principe de vie anime Phomme. Ce principe est la sensibilite

physique, principe qui produit en lui un sentiment d'amour pour le plaisir,

71 Cfr. // Fanatismo Cristiano, t. II, p. 11, in A. Stagni, Disinganno..., cit., t. II, p. 13. 72 Ibid., pp. 13-14.

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et de haine pour la douleur. C'est de ces deux mouvements reunis dans

Fhomme, et toujours presents a son esprit, que se forme ce qu'on appelle en lui le sentiment de l'amour de soi. Cet amour de soi engendre le desir du bonheur; le desir du bonheur celui du pouvoir; et c'est ce dernier qui donne naissance... a toutes les passions... ?73.

L'abate veneto fa innanzitutto notare:

? ? stato gia dimostrato colla piu rigorosa evidenza che nell'uomo oltre la porzion sensitiva, a cui conviene il piacere e il dolore sensibile, vi e la ragionevole ancora, con cui egli conosce l'ordine, la verita, e l'onesta; e conosce anche che nell'amar quest'ordine, questa verita, ed onesta, consiste

il bene, che a se come ad uomo s'aspetta. Dunque e falso il primo principio dell'Elvezio, che il piacere e il dolore sieno i soli nostri motori dell'uni verso Morale: qualora per nome

" d'universo Moraleegli con nuova

foggia di dire non intenda il gregge de' Bruti, pe' quali sia composta una si strana Filosofia ? 74.

Con questo, prosegue lo Stagni, non vuole certo negarsi che ? gran parte degli uomini rapir si lascino dalle lusinghe del piacere, e dalle impressioni dei sensi; ma siccome, considerata la natura del

Fuomo, che e il soggetto della Morale, si vede tosto, che questo e "

disordine cosi resta da cio pur confermato, che il piacere e il do

lore sensibile (di cui soltanto parla FElvezio) non sono i soli motori delFUniverso Morale ? 75.

Anche Faltro principio, secondo il quale ?la sensibilita fisica, e Finteresse personale sono gli unici autori d'ogni giustizia ? e giudi cata dalFabate veneto in maniera estremamente severa.

Aveva detto FHelvetius:

ce En tout temps, en tout lieu, tant en matiere de morale, qu'en matiere

de l'esprit, c'est l'interet personnel qui dicte le jugement des particuliers, et l'interet general qui dicte celui des nations ? 76.

Questo principio appare alFabate veneto ? non meno mostruoso

che falso ?. ? La giustizia ? afferma egli infatti come di cosa tal

mente evidente da non esigere la benche minima spiegazione ?

comprende, per cosi dire, tre parti, cioe il diritto divino, il personale,

73 C.A. Helvetius, De Vhomme..., cit., vol. II, p. 197. 74 A. Stagni, Disinganno..., cit., t. II, p. 15. 75 Ibid. 76 Cfr. C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 30. L'idea era stata sviluppata piu

avanti quando il filosofo francese aveva detto: ? Le public, comme les societes particulieres, est, dans ses jugements, uniquement determine par le motif de son interet; il ne donne le nom

d'honnetes, de grandes, et d'heroiques qu'aux actions qui lui sont utiles; et il ne proportionne point son estime pour telle ou telle action sur le degre de force, de courage ou de generosite necessaire pour l'executer; mais sur l'importance meme de cette action et l'avantage qu'il en

retire? (ibid., p. 73).

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 263

e il sociale: questi fondati sono su gli ordini necessari, ed eterni, che

passano per la Creatura e il Creatore, tra la parte sensibile e la ragio nevole, tra Puomo e Puomo ?. Ora, si chiede lo Stagni, ? come mai

la sensibilita fisica, e Pinteresse personale, come PElvezio pretende, possono essere gli autori di codesti diritti, e in conseguenza di ogni

giustizia? ?.

Se la sensibilita fisica e Pinteresse personale non possono essere

le sorgenti di questa giustizia, ? che conviene alia ragionevole crea

tura ?, bisogna allora convenire che ?tal sistema il quale toglie

religione, ragionevolezza, e societa formera bensi la giustizia, e la

morale de' Bruti, che non altro cercano, fuorche il sensibile loro bene, ma non gia delPuomo, che per natura e ragionevole, socievole, e re

ligioso ? 77.

D'altra parte se e vero, come ? e gia stato dimostrato ?, che

?la parte superiore delPuomo a norma dei dettami della Legge dee moderare Puso dei piaceri sicche questi ne turbino la mente, ne oltre

passino gli ordini, o della natura, o della ragione ?, ? non gia la sen

sibilita fisica e fonte della giustizia ? fa osservare lo Stagni

? ma

si e vero la giustizia che nella mente risiede, frena e modera la fisica

sensibilita ?.

In conseguenza di cio risulta chiaramente, almeno per Pabate

veneto, ? non essere gia necessaria la sola fede, e la Religione Cri

stiana (siccome mostra di credere PElvezio), ma bastar la retta ra

gione a rovesciar quegli "

Altari del piacere e a ritirar Puomo da

quelle " adorazioni della volutta e ad ispirargli orrore di tutte

quelle sozzure, che non senza disdegno legger si possono nelle " bel

lissime teorie "

di codesto "

celebre Autore " ? 78.

Altrettanto dicasi per Pinteresse personale. ?Quale b infatti ? chiede lo Stagni

? il filosofo che non sappia, esser dalla natura

ordinato Puomo alia societa coi suoi simili, e percio dalla natura stessa

essergli ingiunto di serbar quei diritti, senza di cui la societa non sus

siste, quali sono dare ad altrui cio che e suo, e non soverchiar chic

chessia? ?.

II problema ? se la fisica sensibilita, e Pinteresse personale sieno

gli autori di ogni giustizia ?, puo, afferma un poco piu avanti il po lemista veneto, essere impostato anche in questi altri termini: ?tutto

cio sara giusto, che reca sensibile piacere, e che torna in vantaggio

personale delPuomo, il quale secondo il 66 nostro celebre Elvezio

solo ai sensibili beni aspira ?; ma se cio avviene, la societa, che si

77 Cfr. A. Stagni, Disinganno..., cit., t. II, p. 15. 78

Ibid., p. 16.

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fonda sulla ragione e sul mutuo soccorso, ? si discioglie e l'uomo si

cangia in bruto: il che e un rovesciar tutti gli ordini della natura, sic come e evidente ?.

Dunque, o la giustizia e contraria alia natura, il che per Pabate veneto e cosa neppure pensabile, o ?la sensibilita fisica, e Pinteresse

personale non sono gli autori d'ogni giustizia?, come pretendeva FHelvetius 79.

Ne puo sostenersi, secondo lo Stagni, la tesi, nata da Hobbes e da Spinoza e raccolta dal filosofo materialista francese, secondo

cui, ? essendo stato spinto Puomo dalPinteresse personale a vivere in societa, allora si sono contratte pel comune bene convenzioni, e

patti, colPosservanza de' quali e le ingiurie si tolgono, e gli eccessi

reprimonsi, e la societade sussiste?80.

Queste teorie non sono che ?abbagli, che facilmente ed evi dentemente si distinguono ?. Osserva infatti Pabate veneto:

? 0 Fuomo ridotto nella descritta guisa in societa si terra egli obbligato ad osservare le convenzioni e i patti, o no. Se no, dunque nulla essi vagliano per il fine bramato. Se si, allora di nuovo io domando: in virtu di qual diritto obbligato si stima quest'uomo ad osservare quei patti? Se si dice, che in virtu d'un naturale diritto antecedente ad ogni legge, fondato sul Fordine di natura, e di ragione, abbiamo vinto la causa, che qui difendiamo; se si dice in virtu dell'interesse personale, da cui Puomo e stato spinto alia societa; dunque, io ripiglio, quando questo interesse personale altro ricerchi ed altro desideri, si frangeranno e convenzioni e patti, e se impunemente si possa, si usurpera tirannia, si bruttera l'altrui delitto, e si sacrifichera

l'altrui innocenza e roba e vita all'interesse personale e alia propria sensi

bilita fisica, che in codesto sistema sono gli autori d'ogni giustizia. Ma, in queste condizioni, cosa sara della societa? Se la giustizia riposta

sta nelFubbidire alle leggi scritte e alle convenzioni de' popoli (ne v'abbia

prima di queste un eterno naturale diritto), e se, come dicono i nostri libertini sulla scorta del

" celebre Elvezio tutto colla utilita si misuri,

trascurera invero le leggi, e violeralle, se lo pub impunemente, colui che stimera essergli per riuscire tal violazione vantaggiosa. Dal che ne segue, non avervi giustizia alcuna, se fondata non sia sul naturale diritto; giacche quella, che sull'utilita si fonda, per altra utilita si distrugge ? 81.

I principi sui quali PHelvetius, e dietro a lui i molti seguaci italiani, in prima fila Panonimo autore del Fanatismo Cristiano, hanno cercato di impostare la nuova moralita e la nuova societa

appaiono dunque, e comunque li si consideri, falsi e filosoficamente inconsistenti.

79 Ibid., p. 17.

80 Ibid., p. 18.

81 Ibid., pp. 18-19.

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Nelle pagine di questo brillante e deciso polemista si trovano raccolte, come si e potuto vedere, molte delle argomentazioni impie gate dalla corrente moderata e tradizionalista: Fimportanza data

alia ragione; il diritto di natura, fondamento della societa e prece dente ad ogni intervento umano; la legge morale, che coincide con la

legge naturale trovando ambedue la loro radice nel cuore delTuomo e nella ragione; l'uomo considerato come naturalmente portato ad

unirsi in societa; le leggi infine che traggono la loro ragione d'essere dalla natura stessa delTuomo che sono chiamate a dirigere.

La testimonianza dell9abate veneto e dunque preziosa perche ci permette di cogliere abbastanza chiaramente il clima in cui ancora

viveva una parte della cultura veneta alia fine del secolo decimot

tavo, e le difficolta che la filosofia dell'Helvetius, pur dopo anni di contatti e di discussioni, ancora trovava a penetrare in certi ambienti

o, piu semplicemente, ad incrinare certe posizioni che, almeno in

apparenza, rimanevano saldissime.

II libro dello Stagni usciva proprio alia fine del secolo, nel 1799; ma gia molti anni prima era apparso un libretto che, pur partendo da presupposti in parte diversi, aveva confutato Topera principale di Helvetius in maniera completa ed altrettanto severa.

Erano le Osservazioni sopra il libro del Signor Elvezio, intitolato lo Spirito, di Giovambattista Almici, apparse a Brescia nel 1766, che in settantadue minuziosi paragrafi ritorcevano punto per punto le asserzioni di quel libro ormai tanto famoso che piu apparivano false e pericolose.

La testimonianza dell9Almici e oltremodo interessante anche per un altro motivo; apparteneva egli infatti non piu a quella corrente

del cattolicesimo piu ortodosso da cui abbiamo visto uscire le rea

zioni piu violente ed indignate, sibbene al partito giansenistico, che

proprio a Brescia aveva uno dei centri piu vivaci, e che . aveva sem

pre mostrato una certa apertura nei riguardi delle nuove idee, spe cie se venivano dalla Francia, e una certa autonomia nei riguardi delle autorita costituite82.

Questo atteggiamento si manifesta nel caso dell9Almici in una certa disponibilita nei riguardi del libro dell9Helvetius e se di esso non arriva, come vedremo, ad accettare le tesi piu audaci, non per

questo resta insensibile al fascino che ne sprigiona.

82 Per il giansenismo bresciano del secolo decimottavo cfr. G. Zadei, Giansenisti bresciani

alia fine del secolo XVIII, Brescia 1927; R. Mazzetti, 11 cardinale AM. Querini, Brescia 1933; G. Mantese, Pietro Tamburini e il giansenismo bresciano, Brescia 1942.

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Confessa infatti FAlmici:

? Quantunque

non possa entrare ne' sentimenti dell'Autore, quanto al suo sistema, che riprovo, e combatto, come mi riserbo a dimostrare in,

appresso, non rest a che per la no vita di certe materie, che tratta, e per la

grazia della maniera, con cui le espone, non m'abbia in leggendolo assai

gustato e divertito; segno evidente che l'Opera ha il suo bello ? 83.

In effetti la prima preoccupazione delPAlmici e quella di indi vidual gli aspetti positivi, quelli che hanno permesso alPopera di avere la calorosa accoglienza di cui ha dato piu sopra testimonianza.

NelPHelvetius, PAlmici ha notato ? una grandissima finezza di

pensare, e analizzare le cose, che si mette davanti, finezza, che in

sinua anche al Leggitore, sicche gPinsegna a meditare, e sviluppare

gli oggetti piu intraleiati, e confusi, lo che ogni intendente sa che e di pochissimi. Una vivezza di materializzare le idee piu astruse, e

Metafisiche, onde con una impercettibile chiarezza rendendole sen

sibili le spiega, ed espone ?. Ha altresi ammirato ? Panatomia che fa

del cuor nostro, delle passioni nostre, talche leggendolo siete obbli

gato sovente di confessare che in voi provate quello, che dice?; riconosce poi che:

? Fa pure bellissimi riflessi per via, e luminosissimi in ogni scienza, ed arte incassati a meraviglia bene. Sparge poi POpera d'una varia, e deli ziosa erudizione, checchesia dell'autenticita sua, da cui qui prescindo, non mai pesante, non mai pedantesca, ma sempre nobile e disaffettata. Condisce talvolta il suo dire d'un saporito, e gentilissimo sale di satira pungente si, ma non trapassante, e ingiurioso. Tiene uno stile gajo per lo piu, florido, e

risvegliato. Inline mantiene nel complesso un metodo esatto, che non da nel secco, stitico, e fastidioso, ma e bensi libero, e non ricercato ? 84.

Per comprendere Pimportanza e la larghezza di questi giudizi, che sono indubbiamente il segno d'una disponibilita ignota agli altri

polemisti finora esaminati, e che ritroveremo solo negli scrittori che

del filosofo francese furono fautori piu o meno aperti, si legga quello che scrisse in proposito il curatore delPedizione delle Oeuvres Com

plettes delPHelvetius, che porta la data di Londres MDCCLXXXI nelPintroduzione al De Vesprit:

? Son livre a encore un avantage qui le met au dessus de bien d'autres: c'est celui du style, qui est par tout clair et noble. Lorsque l'auteur parle d'une verite nouvelle ou abstraite, il n'est que simple et precis. A-t-il ac coutume votre esprit a ces idees neuves? Son style prend de la majeste, de la force et des graces. A-t-il a vous presenter une de ces verites qui interessent plus particulierement les hommes? II la pare des richesses de

83 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 6. 84

Ibid., pp. 6-7.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 267

son imagination; et cette imagination, toujours soumise a la philosophic, Fembellit, sans l'egarer. Elle ne sert qu'a rendre les verites plus sensibles, et pour ainsi dire, plus palpables ? 85.

Ma questi pregi, che costituiscono ?il diritto delFOpera ?, non devono far dimenticare e trascurare ?il suo rovescio ? del quale, essendo ? sempre vestito d'un'aria gustosa, e d'uno stile vivissimo e brillante ?, ci si puo facilmente non accorgere.

Per meglio ?rilevarlo? PAlmici considera Popera dapprima ? rispetto alia materia ? e poi ? alia maniera di disporla ?.

? Quanto alia materia, oggetto piu importante da esaminarsi ?, lo scopo che Pautore si e prefisso appare allo scrittore bresciano

?nulla manco che d'introdurre un pirronismo universale tanto in

Metafisica, quanto in Morale, e Politica, col far vedere, che se delle

credute verita si sono scoperte nelli sistemi battuti fin ora, cotali simili verita risultano anche dai sistemi interamente opposti alii

detti ?.

Questa posizione sembra alPAlmici ? poco savia, e affatto strana e singolare ?.

Per quanto riguarda la ? Metafisica ?, PHelvetius non si acconten

ta infatti di ? dire, e sostenere col Lok (sic), che tutte le nostre idee

semplici provengono dai sensi, lo che in ora da varj filosofi viene accettato, e difeso, ma passa oltre d'assai, volendo che tutte le ope razioni del nostro spirito sieno mere, e sole sensazioni Fisiche, sic

che la comprensione, la retenzione, e il rissovenimento, la combina zione delle idee, e anche la comparazione, e discrezione che si fa

delle medesime col giudizio altro non sia, che pura sensazione di

versamente modificata dai meccanismo delli nostri organi esterni ?.

Ma, afferma PAlmici, ? ognun vede le conseguenze, che derivano

da una tal teoria, senza che io mi fermi altro ad enunziarla qui ?; d'altra parte, avverte egli in nota, se cio fosse vero, non vi sarebbe ? altro principio in noi che il corporeo; e questo e al certo il fine, a cui collima tutto il Metafisico delPOpera ? 86.

Dal fin qui detto, la posizione delPAlmici appare gia abbastanza chiara: pur giungendo, come vedremo, a far proprie le teorie gnoseo

logiche della filosofia moderna, lo scrittore bresciano non arriva pero ad accettare la posizione decisamente materialistica delPHelvetius; ancora meglio ad ogni modo definisce il suo atteggiamento piu avanti

quando esamina la ?morale? del filosofo francese. L'Almici so

stiene infatti:

85 C.A. Helvetius, Oeuvres Complettes, cit., p. 30. 86 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 8, n. 2.

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(( Circa la Morale, o sia la regola delle azioni nostre, egli [cioe PHelve

tius] stabilisce fondamento di questa non la virtu, in quanto ci porta a

procurare il bene nostro, e degli altri, ma la consecuzione del piacere, e del soddisfacimento, e la fuga del dolore, e di quanto pub produrlo in istanti. Onde ne viene, che lo scopo di questa esser deve non il reprimere le passioni e moderarle, come per riuscire virtuoso fin ora si e insegnato,

ma il soddisfarle, e metterle in fermentazione, accib pel piacere che da

queste deriva, a cose grandi si porti, poiche da queste, a suo dire, tutta

l'energia, e la forza dello spirito nostro deriva; lo che e lo stesso di far diventare il vizio virtu, e il veleno un antidoto: volendo che gli sregola menti, e li trasporti delle piu violente passioni servir possano a produrre quel bene, quell'ordine, e quella tranquillita negli uomini, ch'e diame tralmente opposta alle stesse, e che dalla sola moderazione, e

regolamento delle medesime pub pro venire ? 87.

Supposto che PAlmici avrebbe voglia di giudicare ?contrad ditorio e incapibile ? se non fosse chiaro che ? scopo di quanto v'ha

di Morale nelPOpera ? e di ? giustificare tutti li vizj, e insinuar le

passioni ? 88.

Le sue teorie sulla ?Politica? sono una conseguenza logica delle idee finora espresse, in quanto tutto consiste, osserva il giure consulto bresciano, nel ?saper dirigere le passioni dei particolari in maniera che la soddisfazione in essi di queste sia Pappoggio, e il

premio del bene pubblico, che procurano. A questo, secondo PE1

vezio, tender devono le Leggi civili, e politiche. Onde ne viene, che

debbonsi lasciare i disordini degli uomini, e non combatterb, e ca

stigarli, e far che per questi quasi da premio eccitati vengano a cose

grandi e alia societa vantaggiose ?.

La teoria appare alPAlmici assurda e completamente in contrad

dizione col fine vero di ogni societa; infatti, se tale teoria fosse appli cata fino in fondo, dovrebbe ? essere il ladro, Padultero ecc. impu nito perche dalla libera invasione della roba, e della Donna altrui resti impegnato e Puno e Paltro quasi in compenso a intraprendere cose grandi per lo stato, a difenderlo, a tutelarlo ?; ma questi, os serva il giureconsulto bresciano, non sono, come ognuno puo fa cilmente costatare, che paradossi ?insupponibili ?, poiche lo stato ?restera ben distrutto anzi che protetto, e assistito da questi tali uomini sregolati e caparbi ?.

D'altra parte ognuno puo facilmente scorgere le conseguenze di tale ipotesi. ? Se dessa e vera, non vi ha legge naturale, non vi ha

ragione, non vi ha regole di sociabilita tra gli uomini, e non vi ha

87 Ibid., p. 9.

88 Ibid., n. 3.

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religione; il solo piacere particolare di ognuno, lo sregolato istinto

secondato dalle prescrizioni del Sovrano le veci di queste facendo ? 89.

Come possiamo vedere, una volta entrati nel campo della mo

rale e delle leggi che regolano la societa e che ne costituiscono i primi fondamenti, anche rAlmici si allinea sulle posizioni piu ortodosse e rifiuta tutto quello che le teorie delTHelvetius avevano, nel campo della morale come in quello della politica, di sovversivo e di rivolu zionario; troppo profondamente moderato era il fondo anche degli uomini piu aperti per accettare sul piano pratico le conseguenze delle

teorie che, in sede teorica, erano magari disposti a far proprie ed a

seguire. Per quanto concerne ?la maniera di esporre ?, pur riconoscendo,

come ha fatto piu sopra, che Topera e eccellente in fatto di stile e che il metodo con cui e portata avanti e sostanzialmente esatto, PAlmici crede tuttavia di dover formulare delle riserve delle quali alcune sono, in realta, fondamentali per capire il vero atteggiamento del giureconsulto bresciano nei riguardi del filosofo francese.

Tra queste meritano di essere sottolineate la prima nella quale l'Almici accusa THelvetius di ?piantare ben spesso principj falsi, quantunque su questi ragioni poi giusto ?, e la quinta in cui rileva alcune contraddizioni:

((P. E. in proposito del ben pubblico di tutti gli uomini, che in un

capo vuole, che s'abbia in mira, come quello che costituisce il carattere della probita vera, in un altro pretende che questa probita relativa al bene della umanita non si dia, onde impresa inutile sia, e non riuscibile a

prefiggerlo. Cosi neLTultimo cap. delFultimo Discorso dice che li giovani sono piu atti ad approfittare in ogni genere di studio, perche non hanno

passioni che li distraggono, in tempo che per tutta l'opera non ha mai fatto altro che decantare il grande vantaggio, che fanno le passioni piu fervide, e

impetuose all'avanzamento delle scienze, a segno che chi non e animato

da queste, a suo dire, non potra mai riuscire gran genio ? 90.

Infine lo stile, ? quantunque sia vivo, e leggiadro?, in certi

luoghi pare ?troppo fuso, ardito in altri; talora poi a terra troppo cascante ? 91.

Non contento di aver dato sulTopera delPHelvetius un giudi zio globale nel quale, d'altronde, la sua posizione ideologica si era delineata gia con sufficiente chiarezza, il giureconsulto bresciano

passa poi ad analizzarla punto per punto e a fare su di essa quelle

89 Ibid., pp. 9-10.

90 Ibid., p. 11.

9* Ibid., p. 12.

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annotazioni che il suo spirito aperto, ma pur sempre moderato, gli

suggeriva. Per quanto il suo obbiettivo sia, come egli stesso precisa nel

Fintroduzione con le parole di Erasmo, ? admonere. . ., non mordere,

prodesse, non laedere; consulere moribus, scientiisque hominum, non auctoris officere celebritati ?, anzi proprio per questo, FAlmiei non pud passare sotto silenzio Fopinione delFHelvetius secondo cui tutte le nostre attivita mentali si riducono alia sensazione. ?La

sensibilite seule ? aveva detto il filosofo francese ? produit toutes

nos idees ? 92.

L'Almici, se accorda ? alFAutore, che tutte le idee semplici, e prime siano sensazioni in origine ?, nega pero che ?tutte le idee si possano dire tali: poiche

? spiega

? le idee composte da queste

prime idee, benche dipendano dalle sensazioni, non ne sono altri

menti, se non nel senso, che si volesse chiamar una casa pietra, per che pietre s'adoperano a fabbricar la stessa ? 93.

II Nostro e quindi decisamente fermo alia concezione lockiana secondo cui i sensi ci forniscono delle sensazioni, che sono un po' come dei materiali grezzi, da cui la ragione, unendole e combinan

dole variamente, trae le idee propriamente dette; una posizione quindi alquanto avanzata per il Veneto del tempo e rispetto agli scrittori che abbiamo esaminato finora, ma ancora molto lontana

dalla teoria gnoseologica che il filosofo francese aveva formulato nel suo libro De Vesprit.

Sulla scia del Condillac, che aveva gia criticato la distinzione lockiana tra sensation e perception, FHelvetius aveva infatti cercato

di dimostrare come ogni nostra realta psichica non sia che una sem

plice trasformazione o metamorfosi del dato unico che e la sensazione. Come ha ben sottolineato il Cassirer analizzando la filosofia del

materialista francese: ? Tutto per FHelvetius confluisce nella massa

unica ed indifferenziata del sentire. Quelle che noi chiamiamo giudi zio e conoscenza, fantasia e memoria, intelletto e ragione, non sono

affatto forze specifiche, proprie ed originali delFanima ... Si crede di essersi elevati al di sopra della sensazione . . . mentre invece non

la si ha che leggermente modificata; le si e solo buttato addosso un mantello. La critica che toglie questo mantello vede anche ogni atteggiamento teorico nella medesima forma. Tutte le operazioni dello spirito si possono far risalire al giudizio; e questo consiste sol tanto nelFintuire le somiglianze e le diversita (convenances et discon

92 C.A. Helvettus, De Vesprit, cit., vol. I, p. 5. 93 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 14.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 271

venances) tra singole idee. Ma proprio questa conoscenza di somi

glianza e differenza presuppone un originario 44

accorgersi,, che e

perfettamente analogo alia percezione di una qualita sensibile, e

anzi identico con essa. . .

La differenza delle forme, come quella dei valori, scompare; risulta essere una fallace illusione. NelPambito delle cose psichiche non c'e dunque piu il 44 sotto

" e il

44 soprail

44 piu alto

" e il 44

piu basso

Tutto appartiene al medesimo piano, tutto ha acquistato uno

stesso valore e una medesima validita?94.

II risultato finale era quello d'un perfetto livellamento psichico ed etico che distruggeva la coscienza delPindividuo cosi come i valori su cui la societa si era fino allora basata.

L'Almici non poteva evidentemente accettare una posizione cosi

estrema, che infatti anche alcuni philosophes francesi avevano criti

cato; per lui la teoria delPHelvetius e ? un aperto sproposito, e inso

stenibile ? 95. Dire, come fa il filosofo francese, che la sensazione pro duce sola le nostre idee, che si identifica anzi con esse, e, per il giure consulto bresciano, assurdo.

Si prenda ad esempio Fidea di Dio; per quanto, osserva l'Almici, si possa concedere che ? dalle idee, che provengono dai sensi, derivi, essa non si potra mai dire sensazione, non avendo tipo sensibile, che

la rappresenti, ed ecciti ? 96.

La stessa cosa vale, d'altra parte, anche per tutte le idee com

poste e per quelle astratte. A proposito di queste, ? egli e vero, che

si formano dalle semplici idee, ma nella guisa istessa che una pittura si forma dai varj colori, e chi volesse dirla colore non esprimerebbe, che il primo seme, e un attributo della medesima. Cosi dalla combi

nazione varia di queste idee sensibili, facendosi varie altre idee com

poste, e arbitrarie, chi vuol dire queste sensazioni, non ne descrive, che un lontano principio, in nulla Pessenza delle medesime spie

gante ? 97.

Non e poi neppure vero che le idee semplici si possano identifi care con le sensazioni:

? Quantunque le idee semplici dipendano dalle sensazioni, che gli og getti per mezzo degli organi esteriori fanno su la nostra anima, non si

ponno gia dire sensazioni propriamente, mentre esse rimangono, quan

94 E. Cassirer, La filosofia delVIlluminismo, Firenze 1952, pp. 48-49. 95 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 14. 96

Ibid., p. 13. 97

Ibid., pp. 13-14.

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tunque cessate siano, e tolte le sensazioni, che originate le hanno. Io ricevo

l'impressione d'un oggetto presente, questa e la sensazione; sparisce l'og getto, ritengo l'idea del medesimo scolpita nella mia mente, questa non si pub piu dire sensazione, ma idea, che piu

non e da sensazione accompagnata ? 98.

Helvetius aveva invece affermato espressamente che ?se res

souvenir . . . n'est proprement que sentir ? e Taveva spiegato cosi:

cc Lorsque, par une suite de mes idees ou par Febranlement que certains sens causent dans l'organe de mon oreille, je me rappelle l'image d'un chene: alors mes organes interieurs doivent necessairement se trouver a

peu pres dans la meme situation ou ils etoient a la vue de ce chene. Or, cette situation des organes doit incontestablement produire une sensation; il est done evident que se ressouvenir, e'est sentir ? ".

AU'Almici Paffermazione secondo cui ?la facolta di conservar

l'impressione degli oggetti . . . sia una continuata sensazione, se pur

indebolita ? pare insostenibile; prima di tutto perche ? non senten

dola attualmente, non si puo dire sensazione ?; poi perche Tinfinito

numero delle nostre sensazioni non potrebbe essere efficacemente

conservato dalla nostra memoria; come puo, si chiede, ?la memoria

tante sensazioni in una volta ricevere e ritenere??, poiche ? egli e

certo, senz'altra prova, che non si riceve che una sensazione alia volta, a motivo del semplice terminato, come chiaman le Scuole, ch'e

l'anima ? 10?.

Come si vede, nonostante la buona volonta delTAlmici di confu tare PHelvetius ponendosi sullo stesso piano, non sempre i termini sono gli stessi ed a volte, pur mantenendo certe distanze, il Bresciano

ricorre alle argomentazioni della Scolastica, segno di una educazione

tradizionale non ancora interamente superata. L'Helvetius non si era naturalmente fermato la; era anzi giunto

ad identificare alia sensazione anche il giudizio; aveva sentito che e

nella capacita che ? nous avons d'appercevoir les ressemblances ou

les differences, les convenances ou les disconvenances qu'ont entre

eux les objets divers, que consistent toutes les operations de Tesprit ?

ed aveva detto che questa capacita non e che ?la sensibilite phy

sique meme ?, per cui ?tout se reduit a sentir ?.

Cosciente che questo era il momento fondamentale di tutto il suo sistema l'Helvetius lo aveva spiegato ampiamente:

cc Considerons la nature. Elle nous presente des objets; ces objets ont

98 Ibid., p. 14.

99 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 5. 100 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 15.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 273

des rapports avec nous, et des rapports entre eux; la connoissance de ces

rapports forme ce qu'on appelle l'Esprit; il est plus ou moins grand, selon

que nos connoissances en ce genre sont plus ou moins grandes et etendues.

L'esprit humain s'eleve jusqu'a la connoissance de ces rapports, mais ce

sont des bornes qu'il ne franehit jamais. Aussi tous les mots qui composent les diverses langues, et qu'on peut regarder comme la collection des signes de toutes les pensees des hommes, nous rappellent ou des images... ou

designent des idees, c'est-a-dire les divers rapports que les objets ont entre eux... ou ils expriment les rapports divers rapports que les objets ont entre

c'est-a-dire, notre action sur eux... ou leur impression sur nous... La con

clusion... c'est que, si tous les mots... ne designent jamais que des objets ou les rapports de ces objets avec nous ou entre eux, tout l'esprit, par consequent, consiste a comparer et nos sensations et nos idees, c'est-a-dire, a voir les ressemblances et les differences, les convenances et les disconve

nances qu'elles ont entre elles. Or, comme le jugement n'est que cette

appercevance elle-meme, ou du moins que le prononce de cette appercevance, il s'ensuit que toutes les operations de l'esprit se reduisent a juger ?.

Racchiuso il problema in questi termini, PHelvetius era pas sato quindi ad esaminare se ?juger n'est pas sentir ?:

? Quand je juge la grandeur, ou la couleur des objets qu'on me

presente, il est evident que le jugement porte sur les differ en tes impressions que ces objets ont faites sur mes sens, n'est proprement qu'une sensation;

que je puis dire egalement: je juge ou je sens que, de deux objets, l'un, que j'appelle toise, fait sur moi une impression differente de celui que j'appelle pied; que la couleur que je nomme jaune agit sur mes yeux differemment de celle que je nomme rouge; et j'en conclus qu'en pareil cas, juger n'est jamais que sentir ?.

Alle stesse conclusioni si arriva esprimendo il nostro giudizio sulle idee complesse:

? Supposons

? aveva ancora detto il filosofo francese ? qu'on veuille

savoir si la force est preferable a la grandeur des corps...; pour porter un

jugement sur ce sujet, ma memoire doit me tracer successivement les tableaux

des situations differentes ou je puis me trouver le plus communement dans le cours de ma vie. Or, juger, c'est voir dans ces divers tableaux que la force me sera

plus souvent utile que la grandeur du corps... J'en conclus

que tout jugement n'est qu'une sensation ? 101.

Anche PAlmici senti che proprio in questo tentativo di ridurre tutte le operazioni dello spirito, anche le piu complesse, alia sensa

zione stava il nucleo fondamentale del sistema del filosofo francese.

Alle sue dimostrazioni, o pretese tali, egli ribatte che non e as

solutamente possibile identificare giudizio e sensazione, affermando

101 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., t. I, pp. 5-6.

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che si tratta di momenti diversi e successivi. ? II sentire, anche a

senso dell'Autore, altro non e ? fa osservare lo scrittore bresciano ?

che l'impressione d'una idea sola, onde per far cio non abbisogna, che l'attuale presenza d'una istessa idea sola ?; al contrario ? il giu dizio versa circa due, o piu idee che si comparano e rapportano, e poi deducesi o Puguaglianza, o la diversita, la convenienza o incon

venienza, o il risultato loro ?.

Da cio appare chiaro che ?l'oggetto del giudizio e diverso dal

l'oggetto della sensazione ?.

Affatto diverse tra di loro queste due ? modificazioni dello Spi rito ? sono, a giudizio dell'Almici, anche per la loro stessa natura,

poiche ?la sensazione e l'impressione passiva d'un tipo unico esi stente sia semphce, o composto sopra i nostri sensi; l'operazione del

giudizio e invece il risultato non esistente avanti di due tai dati tipi esistenti mediante la comparazione

. . . ?; dal che evidentemente

risulta, che il confondere queste due operazioni dello spirito, e un con

fondere nozioni interamente diverse ed opposte, ?l'operazione prima meramente passiva essendo: l'impressione sempre d'una idea unica, d'un'idea esistente. L'operazione ultima attiva essendo sopra piu idee comparate, il cui risultato non era esistente o conosciuto come

tale avanti il pronunziato ? 102.

Piu avanti il giureconsulto bresciano ribadisce il concetto in un

modo che lascia ancor meglio trasparire la derivazione lockiana del suo pensiero:

? Per mettere in miglior lume una tale importantissima verita, si dice sensazione quella impressione, che fa un oggetto sopra la mia mente qua lunque essa sia, esatta, o inesatta. Si chiama giudizio quella spiegazione dello

Spirito, per mezzo della quale congiungendo insieme varie idee si afferma, che una sia Faltra, o si nega, che una sia l'altra. Come avendo l'idea della terra, e della rotondita, affermo o nego, che la terra sia rotonda. II giu dizio adunque e composto del rapporto di due idee, delle quali se ne fa un tutto ? 103.

Quello che, secondo l'Almici, ha fatto sbagliare l'autore, e ? seco

lui molti altri, che sono discesi ad accordargli, o in parte, o in tutto un cosi stravagante asserto, e che per la vivezza e la velocita dello

Spirito nostro, ordinariamente dalle sensazioni qualche giudizio pro cede, e si istantaneo, e velocemente formato, che non si distingue dalla istessa sensazione, se non risolvendolo o facendone l'analisi ? 104.

102 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 16. 103

Ibid., p. 17. 104

Ibid., p. 18.

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FORTUNA DI HELVETTUS NEL VENETO 275

A sostegno della sua tesi il Bresciano porta anche un passaggio delPEmile di Rousseau in cui e detto che: ? apercevoir, c'est sentir;

comparer, c'est juger; juger et sentir ne sont pas la meme chose. Par la sensation, les objets s'offrent a moi separes, isoles, tels qu'ils sont dans la nature; par la comparaison, je les remue, je les transporte

pour ainsi dire, je les pose Pun sur Pautre pour prononcer sur leur

difference ou sur leur similitude, et generalement sur tous leurs

rapports ? 105, e in cui b ugualmente evidente la derivazione lockiana.

Con altrettanta chiarezza PAlmici vede le conseguenze pratiche di tale teoria; da una parte la materializzazione del nostro principio

pensante e Passoluta identita esistente tra noi e gli esseri bruti; dal

Paltra la negazione piu tot ale della liberta umana.

Per quanto riguarda il primo problema al Nostro pare cosa af

fatto ? ridicola ?, dopo ? aver sostenuto fin qui, che tutte le opera

zioni del nostro Spirito altro non sono, che semplici sensazioni pas sive, e modificazioni degli organi esteriori ?, avanzare la questione, promossa, a suo parere, dalPHelvetius solo ? per gittar polvere agli occhi di chi legge ?, ? utrum lo spirito, ovvero il principio, a cui ter

minano queste sensazioni, sia materiale, o no ?.

? Rapportando infatti tutte le medesime operazioni dello Spi rito alia sola sensazione macchinale, e passiva, e chiaro, che le riduce

ad un principio materiale e corporeo, onde il supponerne un altro

immateriale e incorporeo superflua cosa riuscirebbe, e ipotesi con

traddittoria ? 106.

Dal che, osserva PAlmici, ? un'altra concludentissima prova de

riva della insussistenza, non che della irreligiosita del suo sistema; mentre il concepire il principio nostro pensante per materiale . . . e

un concepire Pimpossibile, Pinsupponibile ? 107.

? Qual meraviglia poi che avendo fatto consistere PAutore tutte

le potenze del nostro spirito nella sola sensazione passiva, altra diffe renza non ponghi tra noi, e gli animali bruti, se non quella che risulta

dalla varia organizzazione degli esteriori sensi? ?. ? Lascio a questo

punto ? conclude il giureconsulto bresciano ? considerare a ogni

discreto Leggitore quali conseguenze Pumanita insultanti una tal

ipotesi porta seco ?; non e neppure necessario indicarle ne discorrerne

diffusamente; ?basta avere occhi per rilevarle ? 108.

A proposito della liberta PHelvetius era arrivato a conclusioni

105 J.-J. Rousseau, EmUe, ou de Veducation, Gamier, Paris 1864, vol. IV, p. 317. 106 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 20. 107

Ibid., p. 21. 108

Ibid., pp. 22-23.

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sostanzialmente negative. Se infatti, aveva detto, abbiamo un'idea abbastanza precisa della parola liberta, intesa come ? exercice libre de puissance ?, non e piu cosi quando applichiamo questa parola alia volonta:

(( Que seroit-ce alors que la liberte? On ne pourroit entendre par ce mot, que le pouvoir libre de vouloir ou de ne pas vouloir une chose; mais ce pouvoir supposeroit qu'il peut y avoir des volontes sans motif, et, par consequent, des effets sans causes. II faudroit done que nous

puissions egalement nous vouloir du bien et du mal; supposition absolu ment impossible. En effet, si le desir du plaisir est le principe de toutes nos pensees et de toutes nos actions, si tous les hommes tendent conti

nuellement vers leur bonheur reel ou apparent, toutes nos volontes ne sont

done que reflet de cette tendance. Or, tout efFet est necessaire. En ce sens, on ne peut done attacher aucune idee nette a ce mot de liberte. Mais,

dira-t-on, si Ton est necessite a poursuivre le bonheur partout ou on

Tappergoit, du moins sommes-nous libres sur le choix des moyens que nous employons pour nous rendre heureux? Oui, repondrai-je; mais libre n'est alors qu'un synonime d'eclaire, et Ton ne fait que confondre ces deux notions... On ne peut done se former aucune idee nette de ce mot

de liberte, applique a la volonte ? 109.

Inutile che, forse per cercare di mascherare la gravita delle

conseguenze, PHelvetius avesse concluso dicendo che ?il faut la

considerer comme un mystere; s'ecrier avec saint Paul: 0 Altitudo!

convenir que la theologie seule peut discourir sur une pareille ma

tiere ?; PAlmici non si lascia ingannare e vede con chiarezza Pob

biettivo del filosofo francese; anche troppo bene infatti lascia egli ?traveder chiaro il suo sistema sopra tal facolta dello spirito, qual e, che dessa vuol dipendente, e originata dalle fisiche sensazioni del

pari alle altre facolta spirituali nostre, lo che e lo stesso che negarla del tutto, essendo queste necessarie e passive ? 110.

Cercando di individuare meglio la sorgente dei nostri giudizi, PHelvetius cosi si era espresso alPinizio del secondo discorso del suo libro De Vesprit:

? En tout temps, en tout lieu, tant en matiere de morale, qu'en matiere

d'esprit e'est l'interet personnel qui dicte le jugement des particuliers, et l'interet general qui dicte celui des nations: ainsi e'est toujours, de la part du public comme des particuliers, Pamour ou la reconnoissance qui loue, la haine ou la vengeance qui meprise ?,

109 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, pp. 24-25. Quasi superfluo ricordare che per FHelvetius se ad una parola non corrisponde una idee nette la cosa significata dalla parola non

esiste. 110 G. Almici, Osservazioni..., cit., pp. 27-28.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 277

ed aveva concluso, in maniera lapidare, che

? l'interet est l'unique juge de la probite et de l'esprit ? 111.

L'Almici rifiuta energicamente tale conclusione; sia perche se ? molti uomini acciecati dalle sue passioni, dal suo interesse, dai suoi

pregiudizi, in tal maniera pensano, e operano ?, non tutti sono cosi; ? alcuni uomini infatti ragionevoli vi hanno, che il merito delle per sone al peso del loro vero carato, vale a dire delle disposizioni interne

di que' tali considerano indipendentemente dal proprio vantaggio ?,

per cui ? voler fare una regola generale della condotta di alcuni uo

mini corrotti, e guasti, altro non e, che un voler rilevare da un corpo incancherito il vero stato della salute delPuomo ? 112; sia, soprattutto,

perche cio equivarrebbe a sconvolgere completamente i concetti di

virtu e di vizio, di bene e di male. Se e l'interesse che guida i giudizi degli uomini, la virtu non e

logicamente che il bene della collettivita; infatti l'Helvetius aveva detto che ?le bien public est Fob jet de la vertu, et les actions qu'elle commande sont les moyens dont elle se sert pour remplir cet

objet? 113. II filosofo francese era ben cosciente dello sconvolgimento che portava nelle idee e nei costumi dei suoi contemporanei e, per

mascherare un po' gli effetti delle sue teorie, si era affrettato a preci sare che la virtu di cui parlava era quella sociale, non quella reli

giosa; salvo poi a far capire al lettore ? averti ? che quest'ultima non Tinteressava affatto e che, anche se fingeva di ammetterla sotto

il nome di ? vertu de prejudice ?, per lui non esisteva.

Parlando delle due corruzioni della virtu, cosi infatti si era

espresso:

cc Je dis qu'en fait de moeurs, Ton donne le nom de corruption reli

gieuse a toute espece de libertinage, et principalement a celui des hommes avec les femmes. Cette espece de corruption, dont je ne suis point l'apo logiste, et qui est sans doute criminelle, puisqu'elle offense Dieu, n'est

cependant point incompatible avec le bonheur d'une nation. Differents

peuples ont cru et croient encore que cette espece de corruption n'est pas

criminelle; elle l'est, sans doute, en France, puisqu'elle blesse les lois du pays; mais elle le seroit moins, si les femmes etoient communes, et les enfants declares enfants de l'etat: ce crime alors n'auroit politiquement rien de dangereux

? 114.

111 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 30. 112 G. Almici, Osservazioni..., cit., pp. 30-31. 113 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 82. 114 Ibid., p. 89.

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Cio vale a dire, al di la delle parole ehe a mala pena masche rano il vero significato del testo, che la morale religiosa e la morale

sociale non solo sono distinte, e cio era gia molto per la societa del

tempo, ed ancor piu per quella veneta, ma che possono anche essere

contrarie; siccome e il bene sociale quello che regola la moralita delle azioni dei cittadini, la morale religiosa non significa nulla, e una

fantasia degli individui, da trascurare finche non ostacola la virtu

politica, da sopprimere quando e in contraddizione con essa.

Evidentemente una tale concezione non poteva esser in alcun

modo accettata dal pur aperto Almici, il quale infatti esprime a piu riprese condanna ed esecrazione.

? L'Autore fa questo raziocinio: la virtu di pregiudizio e quella, che e d'interesse ai particolari, o a una societa particolare; la virtu politica e quella, che e vantaggiosa allo stato. Ma, io dico, la virtu vantaggiosa ai particolari e vantaggiosa quasi sempre anche allo stato, perche lo stato vien forma to dai particolari: dunque, o la virtu politica, e la virtu di pre giudizio andranno per lo piu unite, e saranno una istessa cosa, o TAutore non sa cosa si dica ? 115.

In realta, come abbiamo visto sopra, PHelvetius lo sapeva be

nissimo, e se aveva dato il nome di virtu di pregiudizio alia virtu

religiosa era stato verosimilmente per non incorrere nei fulmini ec

clesiastici o per salvare le apparenze; in concreto, scindeva la morale

politica dalla morale religiosa e giungeva a svuotare quest'ultima di ogni valore pratico.

? Ognuno puo vedere ? osserva piu avanti PAlmici ? qual

pirronismo capriccioso porti seco un tal raziocinio, capace nulla

manco, che di far diventare, e considerare il vizio virtu, e viceversa, tutto facendo dipendere in via di virtu dalla determinazione del go verno, e dalla varia modificazione sua ?, mostrando in tal modo di aver ben capito il fondo del pensiero delPHelvetius e Pobiettivo

principale delle sue teorie: sottomettere la virtu, e quindi la vita mo

rale dei cittadini, alia legge dello stato. Se e vero, come aveva detto il filosofo francese, che la corruzione

religiosa e quella che non si contrappone alia felicita d'uno stato, mentre la corruzione politica e quella che vi si oppone di fronte, al

lora, fa osservare acutamente il polemista bresciano:

? Basta che leggi dello stato non interdichino quella tal corruzione, che dessa non si potra piu dir corruzione, se non rapporto alia religione.

Ma alia religione di quel popolo, che la pratica, non gia, poiche non sarebbe

115 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 42.

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autenticata, e permessa dal pubblico, e in tal caso corruzione politica si dovrebbe dire; ergo, io diro, rispetto a quel tal popolo non sara corruzione, unicamente potendosi dir tale rispetto agli altri popoli, che la proibiscono, e detestano. Al contrario, prescritto, e tollerato dallo stato ogni piu strano

costume, e disordinato, per quello che non contraria alia legge dello stato

medesimo, non si potra dir vera corruzione, qualunque essa sia piu patente, e rilassata. Ecco con tal raziocinio difeso, e giustificato ogni piu indegno sregolamento, il vago commerzio delle donne, il latrocinio, la sodomia, ecc. i quali purche dal pubblico venghino ammessi, o dissimulati, non si puon dire corruzioni, se non in rapporto ad una religione non supponibile, e non ammettibile da quel popolo ? 116.

L'Almici comprende anche chiaramente che in tal modo la reli

gione viene negata nella sua essenza; che, cosi concepita, non puo

piu sussistere. Fa infatti notare come lo stesso Helvetius consideri

?essa religione vaga, e arbitraria, derivante dai pregiudizj degli uomini, e incapace d'indicare e prescrivere una virtu reale, e vera

facendo questa procedere dalla sola legislazione, in tempo che sta

tutto al contrario la cosa ?, dal momento che la religione ? non tanto

dalla rivelazione, quanto dalla ragione si deduce, unendosi essa alia

antidetta rivelazione a dimostrare qual sia la religione vera, e quali siano le sacre, e inoppugnabili massime indipendenti da ogni umana

ordinazione, e politica ? 117

Helvetius, pur non nominando mai apertamente la religione cristiana, aveva condannato, come incapaci di perfezionare la morale, tutti coloro che mantengono il popolo nelFignoranza; tra costoro

particolarmente condannabili erano, per il filosofo francese, i fana

tiques che nel linguaggio delPHelvetius rappresentavano soprattutto i ministri delle religioni, che erano quindi da lui viste come causa di decadenza e di regresso morale, oltre che sociale:

? Qu'on jette les yeux sur le Nord, le Midi; FOrient et l'Occident du monde, par tout Ton voit le couteau sacre de la religion leve sur le sein des femmes, des enfants, des vieillards; et la terre fumante du sang des victimes immolees aux faux dieux ou a l'Etre supreme, n'offrir de toutes

parts que le vaste, le degoutant et l'horrible charnier de Fintolerance ? 118.

Per Tavanzamento della Morale occorre quindi ?d'un main

hardie, briser le talisman de rimbecillite auquel est attache la puis sance de ces genies malfaisants ? 119. Soprattutto, occorre ricorrere

alle leggi:

116 Ibid., p. 43.

u7 Ibid., p. 44.

118 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 147. h9 Ibid., p. 140.

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(( C'est uniquement par de bonnes loix qu'on peut former des hommes vertueux ?

aveva detto FHelvetius; e piu oltre, in maniera ancora piu chiara, aveva affermato che

? la science de la morale n'est autre chose que la science meme de la

legislation ? 120.

All'Almici pare che cio equivalga a sostenere la teoria di Hobbes ed infatti commenta: ? Si puo parlar piu chiaro per istabilire il si stema delPObbes (sic), che fa dipendere ogni virtu dal volere del

Legislatore, che solo al suo arbitrio misura il bene dello stato, e della

rehgione istessa. Mentre nessun'altra norma FAutorita prescrive allo

stesso, su cui regolar la sua condotta? ?.

Una tale posizione, inaspettata ma non irrazionale nel sistema

delPHelvetius 121, non poteva evidentemente essere accettata dal

PAlmici, se non altro in nome di quei principi di ragione, di legge naturale, di istinto alia felicita ed alia societa che costituivano il

fondamento stesso del suo pensiero; infatti reagisce decisamente e

si chiede: ? Che confusione, e rovesciamento di polizia si vedrebbe entrar negli Stati, ammessa una tale teoria? ?.

Togliere di mezzo ?la natura delle cose, la verita, la probita, la giustizia, la rehgione, la legge naturale ?, e ammettere il principio ? Voluntas Principis suprema lex ?, non significa forse ? istabilire il

dispotismo piu assoluto e illimitato ?? si chiedeva il giureconsulto bresciano. ? Poiche come Umitabile il bene dello Stato in tale suppo sto, se non con Tarbitrio del Sovrano, cui Toppressione del popolo, e Pintera soggezione del medesimo ai suoi voleri e d'interesse pri

mario ? ?.

In un tale sistema ? o il popolo in anarchia figurar si deve, e

figurar in tal caso Finteresse particolare per la legge, e la rehgione di ciascuno; o figurarlo in governo; e in tal ipotesi bisogna supporre o che la legge del medesimo sia Finteresse, e il piacere de9 sudditi,

120 Ibid., p. 106.

121 Parlando della ? probite par rapport a l'univers ?, l'Helvetius aveva concluso che ? il n'est... point de probite pratique, par rapport a l'univers ?; cc cette probite ne seroit ? infatti ? que l'habitude des actions utiles a toutes les nations; or, il n'est point d'action qui puisse immediatement influer sur le bonheur ou le malheur de tous les peuples ?. ? A l'egard de la

probite d'intention ? aveva fatto notare piu avanti ? qui se reduiroit au desir constant et habituel du bonheur des hommes, et, par consequent, au voeu simple et vague de la felicite universelle, je dis que cette espece de probite n'est encore qu'une chimere platonicienne ?. La sua conclu sione era stata che ? l'opposition des interets des peuples les tient, les uns a l'egard des autres, dans un etat de guerre perpetuelle ?; che ? les paix conclues entre les nations, ne sont proprement que des treves comparables au temps qu'apres un long combat deux vaisseaux prennent pour se ragreer, et recommencer l'attaque... ?; che infine ? la felicite et l'agrandissement d'un peuple est presque toujours attache au malheur et a l'affoiblissement d'un autre? (ibid., p. 147).

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 281

e pero come fuor di governo, soggetto il principe di nome al voler dei sudditi, e a camminar incerto con leggi, che oggi soddisfano, dimani no: o in vero che la legge del medesimo sia Pinteresse del governante, nel qual supposto di lui converra fare un assoluto despota?.

Ecco, conclude PAlmici, a quah ? anfratti si riduce, tolta di mezzo la ragione, la religione, la legge di natura, la quale sola puo mettere argine al poter del Sovrano, e alPinteresse del suddito, ren

dendolo solido, reale, e durevole ? 122.

SulFimportante argomento PAlmici ritorna qualche pagina piu avanti analizzando il capitolo in cui FHelvetius tratta delle ? cause, che sino in presente hanno ritardato i progress! della Morale, le quali, ei dice, provengono tutte dal non aver osservato Pinteresse dei varj

popoli, mentre a norma di questo volevansi dirigere le leggi ?.

? L'autore non vuol supporre altre leggi che le civili di ciascun stato, e in tal supposto ei ragiona giusto, Pinteresse del medesimo deve unica mente dirigere, e prescrivere le stesse leggi. Ma quale si impudente Filosofo e rilassato e, che le leggi di natura non accordi, ed ammetta? Ogni ente, tutte le cose sono state soggette a certe leggi in conseguenza della natura loro (benche tal nome propriamente soltanto alle nostre diasi): l'attrazione dei corpi, la vegetazione delle piante, Fistinto degli animali fanno una

prova di quanto io dico. L'uomo pure in relazione di un tal piano, quan tunque libero per essenza, e stato soggetto a certi principj, o regole di condotta assegnabili, e dimostrantisi dalla natura sua riguardata non gia in particolare, ma in genere, non in istanti, ma in tutti i varj rapporti concepibili fuor di tempo e di luogo: senza l'adempimento de' quali la sua destinazione naturale di conservarsi, e di perfezionarsi non pub riu scire. Onde seguendo

esso la natura sua non alia cieca, ma con riflesso,

perche dotato di ragione, non pub a meno di non indirizzarsi liberamente a norma di questi principj. Mentre non pub a meno di non volere il bene

suo, o sia la propria conservazione, e perfezione, che da questi soli prin

cipj deriva ? 123.

Questi, fa notare alia fine del suo ragionamento PAlmici, sono:

? ... i principj, da cui tutte le massime del sistema di morale eromper devono, massime, da cui la conservazione di tutti gli uomini tan to in parti colare, che in societa presi dipende; onde ad esse si ha d'adattar poi le

azioni dei particolari, il governo, la polizia, e le leggi civili. Non gia come

figura PAutore con un totale rovesciamento d'idee dal governo regolato da arbitrarie osservazioni desse massime, e principj si hanno a dedurre ? 124.

Decisamente la posizione ideologica che viene qui espressa dal

giureconsulto bresciano e assai diversa da quella delPHelvetius e

122 G. Almici, Osservazioni..., cit., pp. 48-49. 123

Ibid., pp. 58-59. 124

Ibid., p. 59.

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non ha piu nulla in comune con essa. Sebbene si fosse proposto di

confutare le idee del filosofo francese partendo dai suoi stessi presup

posti, ad un certo punto PAlmici, sentendosi forse incapace di soste

nere vaUdamente la discussione a quel livello, si e scrollato di dosso

tutte le remore impostegli dal metodo del suo rivale ed ha espresso liberamente le proprie idee.

Per quanto il suo pensiero mostri notevoli addentellati con le

teorie di certi illuministi, specie della prima meta del secolo, il giu reconsulto bresciano non sa accettare il rovesciamento di metodo

tipico delPilluminismo, e che PHelvetius aveva portato invero a

conseguenze estreme; inoltre ha del mondo una concezione armo

nica; crede fermamente in certi principi, ammessi nella pratica anche

da parecchi illuministi moderati, da cui trarre le norme che regolano la vita del mondo stesso e delle nostre azioni; norme che non sono

quindi, come per PHelvetius, il risultato di osservazioni empiriche e quindi sempre modificabili, sibbene le conseguenze logiche, e in

qualche sorta necessarie, percio eterne, della natura stessa delle cose, create non nel caos ma in un sistema ordinato ed indirizzato ad un

fine ben preciso. Nella terza parte del suo lavoro, PHelvetius aveva cercato di

vedere se lo spirito e un dono della natura o Peffetto delPeducazione, ed era arrivato alia conclusione che la differenza degli spiriti non e

effetto della natura, piu o meno avara, ma della di versa educazione.

? S'il est vrai que Feducation comprend generalement tout ce qui sert

a notre instruction et que par consequent personne ne recoit la meme

education, parce que chacun a, si je Fose dire, pour precepteur, et la forme du gouvernement sous

lequel il vit, et ses amis, et ses maitresses, et les

gens dont il est entoure, et ses lectures, et enfin le hazard, c'est-a-dire une

infinite d'evenements, dont notre ignorance ne nous permet pas d'appercevoir Fenchainement et les causes... qui peut assurer que la difference de Fedu

cation ne produise la difference qu'on remarque entre les esprits?

? 125.

Aveva fatto notare che la diversita degli spiriti non dipende ne dalla diversa ? finesse des sens ? 126, ne dalP? inegale etendue de la

memoire des hommes ?, definita come ?le magasin ou se deposent les sensations, les faits et les idees, dont les diverses combinaisons forment ce qu'on appelle FEsprit? 127, poiche ?les hommes com

munement bien organises, sont tous doues d'une etendue de me

125 C.A. Helvetius, De Uesprit, cit., vol. I, pp. 155 e 157. 126

Ibid., p. 158: ? La perfection plus ou moins grande des sens n'influe en rien sur la

justesse de Tesprit, si les hommes, quelque impression qu'ils recoivent des memes objets, doivent

cependant toujours appercevoir les memes rapports entre ces objets ?. 127

Ibid., p. 160.

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moire suffisante pour s'elever aux plus hautes idees ? 128; ne dal

P? inegale capacite d'attention ?, dal momento che ?tous les hom mes bien organises, etant nes avec Pesprit juste, ont tous en eux

la puissance physique de s'elever aux plus hautes idees ? 129.

Eppure la realta pare mostrarci continuamente il contrario;

cio, aveva affermato PHelvetius, dipende dal fatto che non tutti sono spinti allo studio, cosi come alia virtu, da passioni ugualmente forti.

E invece sono proprio ?les passions fortes qui, nous arrachant a la paresse ? che, secondo Pilluminista francese, e lo stato naturale

delPuomo, ? peuvent seules nous douer de cette continuite d'atten

tion a laquelle est attachee la superiorite de Pesprit ? 130.

II problema si sposta allora a sapere se tutti gli uomini sono

ugualmente suscettibili di passioni forti; PHelvetius era quindi pas sato ad esaminare Porigine delle passioni stesse per coglierne Pes senza. AlPorigine non ci sono, secondo il filosofo francese, che due

sole passioni: piacere e dolore, intese nella loro accezione piu sensi

bile di ricerca istintiva di cio che fa piacere e fuga di cio che ci pro voca dolore:

? II semble qu'il [Dio, ma si tratta in realta di un Dio che assomiglia molto da vicino alia Natura, evocata del resto un po' prima] ait dit a Phomme: Je te doue de la sensibilite; c'est par elle qu'aveugle instrument de mes volontes, incapable de connoitre la profondeur de mes vues, tu dois, sans le savoir, remplir tous mes dessins. Je te mets sous la garde du plaisir et de la douleur; Pun et Pautre veilleront a tes pensees, a tes actions; engendreront tes passions; exciteront tes aversions, tes amities, tes tendresses, tes fureurs; allumeront tes desirs, tes craintes, tes esperances; te devoileront

tes verites; te plongeront dans des erreurs; et, apres t'avoir fait enfanter

mille systemes absurdes et differents de morale et de legislation, te decou vriront un jour les principes simples, au developpement desquels est attache l'ordre et le bonheur du monde moral ? 131.

Per la via delPorigine del nostro sapere, PHelvetius era quindi arrivato ad esprimere in maniera estremamente chiara le conse

guenze piu audaci del suo sistema; che sia stato Dio o la Natura a

infondere nelPuomo primigenio questi due principi di tutte le sue

attivita, e automaticamente in base ad un determinismo, tanto ri

gido quanto freddo, che ogni attivita, ogni idea, ogni azione deriva in ultima analisi da essi, senza che la volonta sia in qualche modo

128 Ibid., p. 165.

129 Ibid., p. 175.

Ibid., p. 192. 131

Ibid., pp. 198-199.

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totalmente presente, come se le passioni nelPuomo agissero per pro

prio conto, ministre d'un disegno imperscrutabile ed inaccessible,

per condurlo, attraverso mille peripezie e mille errori, finalmente

alia meta che, pur a lui ignota, da sempre gli traccia la via.

Stranamente PAlmici non pare aver afferrato con chiarezza il

vero senso delle parole delPHelvetius e pare perdersi un po9 in una

diatriba abbastanza confusa sulla validita della distinzione, operata dalPHelvetius, tra piacere e dolore, sorgenti prime del nostro agire, e le altre passioni che, secondo il filosofo francese, derivano tutte da

esse, essendo quindi non originarie ma frutti della societa costituita.

? Io non posso concedere all'Autore, com'ei suppone qui, che figurati gli uomini nello stato di natura, non siano concepibili come presi dalle

passioni d'avarizia, d'invidia, d'ambizione, d'orgoglio, d'amicizia, mentre si vede, che le nazioni, rispetto Puna all'altra, che in uno stato perfetto di natura si trovano, a tutte queste passioni si trovano sottoposte. Segno evidente, che anco in istato di natura agiscono desse sul cuor degli uomini. Infatti se gli uomini in una total solitudine figurar non si vogliono, la

qual solitudine non e adattabile allo stato di natura delPuomo, che e socia

bile, converra sempre supporli a tali passioni soggetti, che dalla relazione, e vicinanza degli altri uomini s'infiammano oltre il dovere nel cuor loro,

quando non sia da un qualche freno presso, e iscorto. Qual e appunto la

ragione, che fa vedere desse non conducenti il piu delle volte a quel fine, che si prefiggono,

se non moderate e represse... Lo sbaglio dell'Autore consiste in cio, ch'egli considera gli uomini in

stato di natura come quasi puri animali bruti, e macchinali, incapaci di

altro, che di sensazioni passive ? 132.

Si ha Pimpressione che PAlmici sia ancora sotto Pinfluenza del

Paltra polemica sullo stato di guerra, tratta dalPHobbes, e che veda

tutto attraverso quella lente, deformante al punto da non fargli

scorgere uno degli aspetti fondamentali e piu gravi del sistema del

PHelvetius. II filosofo francese aveva concluso affermando che:

? ...les passions sont done en nous PefFet immediat de la sensibilite

physique: or, tous les hommes sont sensibles et susceptibles de passions; tous, par consequent, portent en eux le germe productif de Pesprit ? 133.

Far dipendere lo sviluppo del nostro spirito dalle passioni signi ficava chiamare in causa un'altra volta lo stato che, con premi e,

soprattutto, con le sue leggi, pud, ed ha in effetti lo scopo di rendere le nostre passioni piu vive e quindi la nostra educazione piu bril lante. Aveva infatti affermato PHelvetius:

132 Cfr. G. Almici, Osservazioni..., cit., pp. 84-85. 133 C.A. Helvetius, De Vesprit, cit., vol. I, p. 226.

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? La vivacite des passions depend ou des moyens que le legislateur emploie pour les allumer en nous, ou des positions ou la fortune nous

place. Plus nos passions sont vives, plus les effets qu'elles produisent sont grands

? 134.

Questo, in altri termini, voleva dire che, come per la morale, anche per Peducazione Punico responsabile e il governo; cio pare alPAlmici decisamente troppo. ? Che Peducazione, e la varia situa

zione del governo in cui ci si trova, giova a formare lo spirito d'ac

cordo. . . Ma che tutta la diversita, che si vede negli spiriti, alcuni

dei quali illuminati, vivissimi sono; altri lenti, pesanti, e materiali, provenghi dal solo morale, dal governo, dalla educazione, questo non

se gli concedera mai da nessuno, che non voglia cavarsi gli occhi?135.

Quando si parla di educazione, non bisogna, secondo lo scrittore

bresciano, ne dimenticare, ne trascurare ?il fisico, la disposizione varia delle parti primitive, e di quei primi sensi componenti Pinterno, e esterno loro individuo ? 136.

Meraviglia poi PAlmici che PHelvetius non dia importanza al cuna, per quanto concerne lo ?Spirito pensante, ed agente?, al

clima, ne accetta la spiegazione del filosofo francese il quale negava validita al clima perche ? agirebbe sul fisico ? e renderebbe quindi ?li particolari tra se different! di temperatura, e di disposizioni?, cosa che, come abbiamo visto, egli non accettava.

A parere delPAlmici assai meglio ha pensato e ragionato il ? non

a torto stimato Montesquieu ?; se infatti sembra esagerato nel sotto

porre anche la religione al clima, rendendola cosi ?schiava delle

medesime influenze, e affezioni ?, b innegabile che il clima, sul no

stro fisico e, quindi, sul nostro spirito, la sua parte di influenza la esercita senza dubbio.

? Se non vuol negare, lo che non credo, mentre Pesperienza continua

il pub convincere di cio, afferma infatti il Bresciano all'indirizzo del filosofo

francese, che Patmosfera graviti, e operi sopra il nostro individuo, sara sforzato di accettare, che questo deve differ entemente modificarsi, e render si affetto alle varie modificazioni, e impressioni dell'aria medesima. Se diffe rentemente deve modificarsi alle varie impressioni dell'aria, e chiaro, che in arie e climi diversi, diversamente affetto avra da essere, mentre viene diversamente smosso, punto, e agitato

?.

Ora le nostre azioni e le nostre cognizioni dipendono in gran parte da queste varie ?affezioni e modificazioni? poiche ?tutti

134 Ibid., p. 265.

135 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 115. 136

Ibid., p. 116.

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provano che lo sfibramento, la debolezza, la robustezza, la vivezza, o ottusita minore, o maggiore sua deriva dalle varie passioni, che

dalle diverse componenti Patmosfera a noi vengono. E da queste

disposizioni varie i varj movimenti, le varie impressioni e azioni no

stre produconsi ? 137.

Per convincersi che lo spirito non e tutto riducibile alPazione del governo e delPeducazione, basta infine

? Flstoria letteraria... Pascal senza maestro che gli appiani, fa le dimo strazioni dei primi teoremi d'Euclide, ancora fanciullo. Leibnizio presso che senza precettori se non dei primi rudimenti, diventa il primo filosofo, e matematico dell'eta sua. Milton alia campagna nella sua biblioteca riuscir si vede il piu grande poeta dell'Inghilterra. Quant'altri al contrario che hanno fatto una istessa vita, durata una istessa fatica, locati nella stessa

societa civile, non sono arrivati ne pure al vestibolo del tempio venerabile della scienza e della virtu ?.

Che cosa c'e alia base di questa differenza se non ? Pinterna di

sposizione del loro corporate, o spirituale individuo e del loro genio ?, che entrano quindi necessariamente nella formazione del nostro

spirito 138 ?

L'Almici, pur non riuscendo sempre ad esprimerlo chiaramente, sente che la teoria delPHelvetius e troppo limitativa, che riduce troppo Puomo ad una realta puramente sensibile e maneggiabile a piacimento; che invece c'e in esso anche qualcos'altro, altre forze che lo animano e lo fanno agire, che lo spingono avanti e lo guidano nella strada del sapere e della virtu; accusa percio PHelvetius di co

struire un ? sistema ?, che, se pure e logico, e pero falso nei suoi pre

supposti in quanto non tiene nella sufficiente considerazione Pespe rienza e i fatti incontestabili che essa offre.

? ? un troppo voler contrastare l'esperienza, che abbiamo in altri con

tinuamente sotto gli occhi, e quella insieme, che in noi proviamo, a soste nere, come fa l'Autore, che tutto provenghi dalla educazione, dal governo lo Spirito dell'uomo nelle diverse sue modificazioni, nei suoi progressi. Concludasi adunque, ch'egli in questo discorso ragiona bene, pensa delle cose nuove, e sorprendenti, le dice con impareggiabile grazia, ma sempre su d'un falso supposto s'aggira ? 139.

La stessa idea era stata espressa in maniera anche piu chiara alcune pagine prima, quando, parlando delPartificiosa distinzione che PHelvetius aveva stabilito tra passioni originali e fittizie al solo

137 Ibid., p. 108.

138 Ibid., p. 109.

139 G. Almici, Osservazioni..., cit., p. 117.

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FORTUNA DI HELVETIUS NEL VENETO 287

scopo di ridurre le passioni alia sensibilita fisica, PAlmici aveva concluso:

? Questi riflessi ponno far vedere sempre piu, a quanti sbaglj lo

spirito di sistema assoggetta FAutore, mentre fittosi in testa di voler ridurre le passioni tutte alia sensazione fisica, quelle che non vi si vogliono adat tare sul piede d'un aggiustato raziocinio, le vuole sforzare ad adattarvisi con istiracchiati paralogismi, e falsi supposti ? 14?.

La situazione alia fine appare quindi invertita: PHelvetius, il

quale nella sua opera aveva dato la carica a tutti i sistemi, conside

randoli falsi appunto perche tali, e ora accusato di averne egli stesso

creato uno; peggio ancora, di esserne a tal punto prigioniero che il suo

pensiero ne risulta gravemente storto ed indebolito nella sua va

lidita.

L'osservazione delPAlmici non pare, d'altra parte, sbagUata ne

esagerata perche PHelvetius sembra spesso effettivamente schiavo

delle sue stesse premesse; la logica, anche se rigorosa, del suo ragio namento, non basta infatti a convincere della verita delle sue de

duzioni e delle sue idee.

140 Ibid., p. 92.

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