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COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E POLITICHE...

Date post: 19-May-2018
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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E POLITICHE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE Ciclo XXI TITOLO TESI POLITICA E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN SLOW FOOD Presentata da: ALBERTO GROSSI Coordinatore Dottorato Relatore PROF. ANDREA SEGRE' PROF. ANDREA SEGRE'
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DOTTORATO DI RICERCA IN

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E POLITICHE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Ciclo XXI

TITOLO TESI

POLITICA E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN SLOW FOOD

Presentata da: ALBERTO GROSSI Coordinatore Dottorato Relatore PROF. ANDREA SEGRE' PROF. ANDREA SEGRE'

Esame finale anno 2010

Capitolo primo

IL MOVIMENTO SLOW FOOD: ORIGINI, EVOLUZIONE, ORGANI ZZAZIONE.

“Carlo Petrini e Slow Food hanno cambiato per sempre il nostro approccio nei confronti del

cibo”. Riletta oggi, la motivazione con cui la rivista Time dedicò a Carlo Petrini il Premio Eroe

Europeo 2004, questa assume sfumature quasi profetiche. Oggi Slow Food è un'associazione

internazionale con quasi 100mila soci, presente in 132 paesi al mondo, coordina 9 associazioni

nazionali ed è organizzata sul territorio grazie a circa 1000 gruppi locali. Questi i numeri

principali che la fotografano. In realtà Slow Food International, come si vedrà in seguito, è

qualcosa di più e di diverso rispetto a un’associazione organizzata a livello internazionale: è un

movimento d'opinione radicato e diffuso, con un consenso più vasto rispetto al numero già

ampio di associati e simpatizzanti. Slow Food è anche un movimento che promuove un

pensiero e sprigiona molteplici azioni, tra cui progetti di cooperazione internazionale oggetto

della terza parte del presente lavoro.

1.1. LE ORIGINI DEL MOVIMENTO

Le origini del movimento hanno il classico sapore di una storia di successo della provincia

italiana. I fondatori di Slow Food si costituiscono in una sorta di cenacolo cultural

gastronomico, impegnato politicamente e dal sapore goliardico, e da una piccola cittadina del

basso Piemonte gettano le basi per un movimento mondiale per la promozione e la difesa della

cultura del cibo. Il primo embrione di Slow Food è storicamente ricondotto alla primavera del

1979, quando a Bra la locale sezione dell’Arci Langhe organizza una prima rassegna di canzoni

popolari ispirata alla tradizione del Cantar le uova. Rassegna che, dato il successo, viene

replicata l’anno successivo con cantori da tutta Europa ma che a causa del ritardo nei rimborsi

della Regione Piemonte gli organizzatori di Arci Langhe costringe gli organizzatori a trovare

forme alternative per ripagarsi i debiti, tra cui uno spaccio alimentare affiliato all’Arci: un

primo concreto tentativo di dedicarsi al cibo attraverso la rivendita di prodotti enogastronomici

della zona. Ecco quindi che, mentre Carlo Petrini è rieletto in consigliere comunale a Bra con il

Pdup, il primo maggio 1981 apre a Treiso, sempre in provincia di Cuneo, l’Osteria dell’Unione

con annessa rivendita che garantisce le prime fondamentali entrate economiche per il nucleo

fondativo. Nel 1981 nasce la Libera e Benemerita Associazione Amici del Barolo associazione

culturale che da statuto “rivendica il diritto al piacere conviviale” promuovendo le prime

attività e iniziando un tesseramento soci. Organizzata con scopi culturali e sociali, è collegata al

circolo Arci Langhe e lo slogan scelto recita “il Barolo è democratico, o quanto meno può

diventarlo”. Sempre 1982 nasce a Bra la cooperativa “I Tarocchi”, braccio operativo del

Circolo Cocito, mentre a ottobre dello stesso anno viene pubblicata la rivista culturale La Gola.

Nel 1983 Petrini inizia la sua attività giornalistica sulla rivista Barolo & Co. , preludio alla

nascita, nel dicembre del 1987 a Firenze, della celebre guida Vini d’Italia .

I produttori di vino delle Langhe si rivelano i primi autentici stakeholders del movimento, cui

Petrini e soci sono debitori per il credito sulla fiducia loro concesso, aspetto a nostro avviso

sottovalutato nella storia di Slow Food. Se fino ad allora i vignaioli delle Langhe si muovevano

sul mercato in ordine sparso, divisi tra piccole rivalità e senza una visione strategica comune,

Carlo Petrini si propone loro come trait d'union, come la persona capace di valorizzare il loro

prodotto sia commercialmente sia culturalmente come prodotto di un territorio unico al mondo.

L’imperativo è puntare tutto sulla qualità e sul valore del terroir langarolo. Occorre ricordare

che il 1986 è l’anno in cui l'Italia è funestata dal clamoroso scandalo dei vini sofisticati al

metanolo, uno scandalo che ridimensiona drasticamente il mercato dei vini italiani e che da più

parti è considerato l’anno zero per il vino italiano in termini di credibilità (e mercato)

internazionale. Una parte dei vignaioli delle Langhe acquistano la consapevolezza che grazie a

Petrini e seguaci è possibile trovare una maggiore visibilità e aumentare il proprio giro d'affari

grazie al gioco di sponda con la nuova associazione. Ne è prova la guida enologica Vini d'Italia,

realizzata da Slow Food Editore in collaborazione con Gambero Rosso, che nasce proprio in

quegli anni. Una guida che accredita i vini, il cui endorsment rappresenta un ottimo viatico per

il successo commerciale. Il codice dei tre bicchieri è a tutt'oggi utilizzato nel linguaggio

comune come sinonimo di qualità del vino (a prescindere dalla guida stessa).

1.2 OLTRE IL “PARTITO”: RICERCA E CREAZIONE DI UNO SPAZIO SOCIALE

Arcigola in quanto “lega gastronomica” autonoma nasce ufficialmente nel 1986. Al congresso

fondativo svoltosi in luglio a Barolo e a Fontanafredda Carlo Petrini è eletto presidente

all’unanimità. Il 16 dicembre esce il primo numero del Gambero Rosso, supplemento a Il

Manifesto cui collaborano sia Petrini sia il gruppo di Arcigola. Indipendente da un punto di

vista operativo benché affiliata all’Arci, al cui interno è inquadrato il personale stipendiato,

Arcigola pone accento sul discorso del mangiare sano e del buon bere, senza troppa enfasi

politica ideologica perché, come ebbe a dire Petrini, “le papille gustative non hanno colore

politico”. Va sottolineato il fatto che per la prima volta un settore dell’associazionismo di

sinistra si accosti a temi ritenuti marginali come l’enogastronomia, il turismo rurale ed

enogastronomico, affermando un “diritto al piacere” da cibo che resta a tutt’oggi l'architrave di

pensiero dell’universo Slow Food. Si intravvede, tra le pieghe dei discorsi, un progressivo

affrancarsi da una tradizione culturale di matrice social-comunista che fino a quel momento

aveva privilegiato un discorso egualitario centrato sul diritto al cibo per tutti, discorso che

bollava l’enogastronomia di qualità come appannaggio delle élite o comunque delle classi

borghesi. Al contrario, i fondatori di Arcigola parlano apertamente di riscoperta delle tipicità

locali, di diritto al gusto e al piacere. Pronunciano cioè un logos nuovo, con sfumature

edonistiche, che passa per la rivalutazione della qualità dei prodotti tipici e locali e per una

maggiore consapevolezza e conoscenza dei prodotti stessi. Non è un caso che i primissimi

momenti aggregativi di Slow Food passino attraverso incontri di conoscenza, di degustazione e

di assaggio, ma anche attraverso la vendita per corrispondenza di vino e altri prodotti tipici

delle Langhe. Vino e prodotti tipici sono dunque “strumenti veicolari”, certamente

commerciali, ma che divengono l’anima per nuove forme di aggregazione sociale. Jacinthe

Bessière li definisce “marcatori identitari locali”, cioè prodotti – come appunto il vino, i

formaggi, i salumi, ortofrutta – che rappresentano l'eredità gastronomica ma che sono anche

prodotti veicolari per lo sviluppo delle imprese locali e per il turismo. Prodotti che marcano un

territorio, lo identificano e lo qualificano.

Arcigola nasce – e la congiuntura storica non è casuale - nel periodo in cui l'allora Pci allentava

il controllo sulle attività dell'Arci, storicamente il braccio ricreativo - culturale del partito

stesso. La stessa Arci in quegli anni andava diversificando le proprie attività: risalgono a quel

periodo la nascita di Legambiente, Arcicaccia, Arcigay, Arcigola e altre realtà associative oggi

autonome, forti e affermate. Eppure Arcigola rappresenta qualcosa di profondamente diverso, a

livello di istanze e progettualità. Istanze che dalla cultura comunista più ortodossa non vengono

affatto recepite, se non apertamente osteggiate. Arcigola propone una diversa visione del cibo e

del modus vivendi, che fin da subito appare di rottura, anticipando un immaginario nuovo.

1.3. CULTURA E PRASSI ORGANIZZATIVA DELLE ORIGINI

La letteratura riguardante Slow Food ha finora ricercato poco, e forse anche in modo

superficiale, gli assetti organizzativi e l'evoluzione degli stessi, ritenendoli forse marginali se

paragonati all'evoluzione culturale e politica del movimento o forse addirittura ininfluenti

rispetto all'esito di trent'anni di lavoro. Al contrario, riteniamo che l'evoluzione organizzativa

abbia contribuito profondamente alla vita del movimento. L’organizzazione interna degli esordi

è piuttosto artigianale, senza particolari suddivisioni di ruoli. Il personale non ha specifica

preparazione ed è perlopiù reclutato tra amici e persone di fiducia di Carlo Petrini con cui

hanno già condiviso un percorso associazionistico culturale negli anni precedenti. La

carismatica personalità di Petrini gioca un ruolo particolarmente importante proprio nei

primissimi anni di vita, essendo Arcigola un’organizzazione che va costruendo una sua base

sociale ed è sprovvista sia di una rete di relazioni istituzionali sia di una struttura di controllo di

gestione in grado di governare i primi progetti e l'articolazione territoriale. I progetti hanno

costi economici, pertanto richiedono dei finanziatori o in alternativa devono poter portare

introiti all'associazione. L’obiettivo principale di quella che diventerà Slow Food, oltre alla

diffusione del proprio verbo, cioè una nuova “filosofia del gusto” che coniughi conoscenza e

piacere, resta il proprio legittimo consolidamento. Per fare questo occorre far passare all'esterno

un messaggio chiaro e inequivocabile: cibo uguale cultura, identità, territorio. Idee e

determinazione non mancano ma vanno tradotte in progettualità, in progetti innovativi che

facciano comprendere all’esterno il valore di uno straordinario patrimonio enogastronomico

italiano minacciato da una crescente ondata di omologazione nei consumi alimentari. Non più

mero folclore né élite: occorreva coniare un discorso culturale forte ma al tempo stesso

potenzialmente di massa, disponibile a chiunque intendesse approfondirlo. Ecco dunque il tema

della convivialità, inteso non soltanto come diritto al piacere da cibo ma come tassello decisivo

per la nascita di reti relazionali forti. Una convivialità chiamata a costruire e diffondere nuovi

legami sociali, nuove comunità di appassionati. L’idea, risultata vincente, è che le persone

possono conoscersi attraverso il buon cibo e il buon vino, educarsi o rieducarsi al piacere dato

non soltanto dalle papille gustative ma del sapere e della riscoperta di tutto un patrimonio

storico che ogni cibo porta con sé. Fin dai loro esordi i Convivia sono il gradino primo

dell’organizzazione con cui Arcigola intende promuoversi e diffondere il nuovo modo di

interpretare il cibo e la tradizione. I Convivia sono i gruppi locali, costituiti per omogeneità

gastronomico culturale ma anche per esigenze amministrative, organizzative e territoriali. Il

modello organizzativo dei Convivia non è troppo distante da quello adottato dalle tradizionali

sezioni del Pci: aggregati intorno ad un leader locale, sono un luogo di incontro e dibattito,

servono a diffondere conoscenza e consapevolezza, servono a cementare l'unità attorno agli

obiettivi politici, servono soprattutto per degustare e riscoprire i piaceri del cibo e del vino.

1.4. “DICHIARARE GUERRA AL NEMICO”

Alle prese con una notevole mancanza di risorse economiche interne, lo sforzo profuso da

Arcigola nei primi anni di vita è di trovare una sintesi virtuosa tra diritto al piacere da buon

cibo e un corretto apprendimento alimentare, in altre parole l’educazione al gusto attraverso i

Convivia e gli incontri pubblici, nel tentativo di nobilitare la gastronomia, liberandola

dall’asfissia di nicchie ed élite e provando a darle una dignità scientifica. Un tentativo riuscito,

non senza alcune contraddizioni che, come vedremo, non tarderanno a manifestarsi. In

un’epoca storica fortemente connotata dall’affermarsi dell'agroindustria alimentare, l’idea che

cibo uguale cultura uguale territorio rappresenta un’assoluta novità nel panorama culturale

italiano ed europeo, un’intuizione che renderà straordinaria e unica l’epopea di Petrini e dei

suoi compagni di avventura. Con una singolare combinazione di eventi politici il 1986 conosce

altri due episodi importanti: oltre allo scandalo del vino adulterato al metanolo e al disastro

nucleare di Chernobyl, il 1986 è un anno particolare in quanto segna l’apertura in Italia dei

primi locali “fast food”. Folco Portinari, allora dirigente Rai e tra i fondatori del movimento

Slow, ricorda: “Alcuni locali storici d’Italia, anche a Firenze, si erano trasformati in fast food.

A forza di sentirne parlare, ci venne l’idea di cercare di arginare questa calata dei barbari con

lo Slow Food: la intendemmo come una trincea difensiva. Carlin [Carlo Petrini, n.d.a.] mi

chiese di provare a scrivere un Manifesto con la nostra filosofia. Cercai di spiegare che dietro

al Fast Food c’erano una nuova cultura e una nuova civiltà con un unico valore: il profitto (…)

Volevamo recuperare il valore del corpo e del piacere. Ebbi la ventura di trovare l’espressione

fast life, poiché il tempio in cui se ne celebravano i riti era il fast food. Il sottotitolo che ideai

per quel manifesto era Movimento Internazionale per la Tutela e il Diritto al Piacere. Il

Manifesto di Slow Food aveva come obiettivo non solo rivalutare il cibo ma anche i ritmi lenti

della vita e dei suoi momenti”. Quel manifesto avrà una grande eco in Italia e anche in Europa:

era il segnale di un disagio profondo a livello identitario per un paese che, fino a vent'anni

prima, aveva sofferto la fame e che per fame mandava i suoi figli all'estero in cerca di lavoro. E

quei figli di contadini e di piccoli proprietari agricoli che nel dopoguerra avevano abbandonato

le campagne per ingrossare le fabbriche di città erano diventati i primi frequentatori dei fast

food all’americana. L’Italia, oramai paese industriale a tutti gli effetti, è diventata terra di

conquista per le grandi multinazionali dell'alimentazione. Il Manifesto per lo Slow Food dava

voce a quel disagio, chiamando a raccolta un'Italia profonda, tradizionalista e diffidente alla

modernità ma al tempo stesso individuando nell'Italia delle classi più illuminate e culturalmente

attrezzate il naturale bacino del nascente movimento.

Lo sbarco dei fast food in Italia fu sostenuto non solo da massicci investimenti in termini di

marketing e pubblicità ma anche da una sottocultura editoriale mediatica atta a sostenere stili di

vita di matrice statunitense che vedono in successo e velocità due tra i valori dominanti, e che

trovano nello stile fast food un ingranaggio funzionale. Tuttavia le idee e i valori di Arcigola,

portati avanti con fiera caparbietà e grande determinazione da Petrini, pur operando lontano

dalle luci della scena riescono a trovare consenso e creare quella prima base sociale allargata

che risulterà utilissima all’organizzazione che ha per simbolo la chiocciolina. Tra il 1986 e il

1989 i soci aumentano in modo costante e crescente fino a raggiungere quota 11 mila tesserati

nel 1989, anno in cui l’associazione prende il nome di Slow Food e diventa internazionale

grazie anche a una crescente disponibilità di associati volontari, in Italia come all’estero. Si

assiste all'allargamento e alla diversificazione della base sociale: non più solo appassionati e

produttori degli inizi ma anche stakeholders come cuochi, produttori, artigiani, giornalisti, o

ancora gourmet e semplici curiosi, forse meno coinvolti nella vita associativa e più interessati

agli aspetti conviviali e di divertissement. Il 10 dicembre 1989 all’Opera Comique di Parigi

nasce ufficialmente il Movimento Internazionale Slow Food, il cui protocollo sottoscritto dai

rappresentanti di 15 paesi recepisce le linee filosofiche e politiche del Manifesto del 1987 in

una logica di apertura transnazionale. Dirà Petrini che “occorreva andare oltre e uscire dai

confini dell’associazionismo improntato a logiche municipali e corporative su cui si fondano le

compagnie della buona tavola destinate alla morte per vecchiaia”. La scelta politico-

organizzativa di Slow Food è quella di alzare l’asticella della competizione, di allargare lo

sguardo, poiché arroccarsi su una dimensione nazionale, per quanto essa crescente, ovvero

coltivare l'orto italico, avrebbe potuto rivelarsi una scelta limitante e asfittica nel lungo periodo.

Occorreva essere fin da subito un movimento transnazionale, ovvero multiculturale,

internazionale, politicamente e culturalmente trasversale. Una seconda ragione - strategica

quanto pragmatica - appare chiara ai fondatori: contro la forza economica delle multinazionali

della “omologazione del gusto” un’associazione su base nazionale finirebbe per soccombere.

L'aver fondato un movimento internazionale in una Parigi intenta a festeggiare i 200 anni della

Rivoluzione francese denota la lungimiranza politica di un Petrini che certo prefigura la

possibilità di portare idee e istanze sui tavoli politici europei ma che immagina l'aspetto

rivoluzionario del suo movimento.

1.5. L'EDITORIA COME PRIMA AZIONE ORGANIZZATIVA

Il principale strumento di promozione e divulgazione dell’azione di Slow Food si poggia

sull’editoria: vengono pubblicate le prime guide e nasce la rivista internazionale Slow per

informare e acculturare tutti i soci del movimento. Ma è anche il logo della chiocciolina ad

incuriosire, appassionare e raccogliere nuovi “adepti”. Se è vero che Slow Food appare fin dal

nome in contrasto aperto e dichiarato con la cultura fast food, nel tempo il movimento della

chiocciolina riesce ad affermare una sua identità e riconoscibilità centrata sulla proposta della

lentezza come valore sociale. La contrapposizione fast/slow, sia pure finemente simbolica, si

rivela sostanziale e ontologica: gli uomini di Slow Food sono abilissimi nel far associare al

“fast” tutte le degenerazioni e il grottesco della contemporaneità, dal cibo omologato e insapore

alla frenesia caotica delle relazioni umane fino alle degenerazioni dell’iper capitalismo. Dopo il

battesimo internazionale parigino Slow Food inizia a uscire da una prima fase un po’ carbonara

e compie un deciso salto di qualità, rompendo definitivamente ogni forma di indugio o

timidezza tipica del movimentismo. Sono fondate Slow Food Editore srl, emanazione di Slow

Food Italia, con l’intento di promuovere le proprie attività sul territorio ma anche di proporsi

come nuovo punto di riferimento per un settore, quello dell’editoria gastronomica, che fino ad

allora aveva nella Guida Michelin un modello insuperato e quasi monopolistico. Ha inizio nel

1987 la già citata guida Vini d’Italia, edita Gambero Rosso in collaborazione con Slow Food, e

nel 1990 la guida Osterie d’Italia che recensisce 712 ristoranti italiani secondo i parametri della

qualità a prezzi equi, pubblicata da Slow Food Editore. Quest’ultima guida si rivela un

successo editoriale oltre ogni più rosea aspettativa, con milioni di copie vendute nel corso degli

anni. Più in generale, come verrà approfondito in seguito, all'interno della complessiva strategia

di comunicazione sono i libri, le riviste e le pubblicazioni cartacee la prima forma di

divulgazione. Risale al 1992 la prima Guida ai vini del mondo in cinque lingue, mentre nel

1996 iniziano le pubblicazione della rivista internazionale Slow, prima in tre lingue e dal 1998

in sei lingue. Una scelta che potrebbe apparire scontata in quanto è l’editoria il naturale e

principale strumento di comunicazione, meno scontata si rivela essere la qualità intrinseca dei

prodotti editoriali.

1.6. CARLO PETRINI

La figura di Carlo Petrini è centrale in tutte le fasi di vita del movimento e risulta assolutamente

determinante e imprescindibile per la storia di Slow Food dalle origini ad oggi, una figura

emblematica e degna di analisi. Carlo Petrini è oggi un personaggio pubblico noto a livello

internazionale, pertanto sotto i riflettori per buona parte del suo tempo. Petrini – stando

all'abbondante pubblicistica e ai resoconti informali – è un personaggio esuberante,

appassionato, coinvolgente, al tempo stesso testardo e infiammabile, ama alternare

affermazioni attinte al buon senso contadino con iperboli e paradossi, è spesso “sopra le righe”

nelle situazioni conviviali quanto impeccabile in situazioni formali. Cosmopolita senza aver

mai rinunciato a vivere nel suo Piemonte, Petrini è un distinto signore dell'operosa provincia

italiana capace di adattarsi a molteplici situazioni, uno straordinario comunicatore capace di

farsi intendere dialogando in dialetto piemontese e dotato di una grande capacità di

persuasione. Personalità poliedrica e versatile, umorale benché affabile, Petrini è l'emblema

delle virtù e delle contraddizioni del movimento da lui creato. Un movimento che, pur avendo

dovuto necessariamente strutturarsi e istituzionalizzarsi, come si vedrà in seguito, ha visto

Petrini mantenere e anzi ampliare il potere dettato dal suo carisma originale e dalle sue

lungimiranti intuizioni. Petrini è fin da subito il leader naturale, il conduttore e quasi il profeta

del verbo cultural gastronomico che rivendica il diritto al piacere del cibo per tutti e che lotta

per nuovi assetti tra consumatori e produttori. La personalizzazione del movimento Slow Food

attorno alla figura del suo fondatore non rappresenta una questione ineluttabile e subìta, al

contrario la dipendenza da Petrini è cercata e voluta in una sorta di “paternalismo premiale” che

vede i discepoli confrontarsi direttamente con il padre che ne è ispiratore e guida. Ne è prova il

fatto che proprio a livello organizzativo non è mutata la logica, nata ai tempi di Arcigola, che

porta a premiare e a valorizzare chi dall’interno del gruppo si dimostra più attivo e propositivo,

chi dimostra attraverso il lavoro l'aver meglio recepito il “verbo petroniano”. Significativa a tal

proposito è la carriera di Roberto Burdese, oggi presidente di Slow Food Italia e fedelissimo di

Petrini, entrato nell'organizzazione poco più che ventenne come obiettore di coscienza, che con

crescenti gradi di responsabilità è riuscito a raggiungere i vertici del movimento italiano.

All’interno di Slow Food International la forza e il carisma di Petrini è tale per cui tutte le

scelte più importanti hanno assecondato le sue volontà e le sue indicazioni. Anche le

promozioni dei dirigenti o i nuovi ingressi hanno seguito più una logica di cooptazione che di

merito in quanto tale o competenze. Nonostante Slow Food abbia raggiunto dimensioni

associative e rappresentanza a livello globale, non risultano esserci mai state lotte di potere o

candidature contrapposte a livello congressuale per la conquista della leadership, a

dimostrazione del fatto che esiste una forte e ampia condivisione dei progetti principali e una

legittimazione all’interno di una sorta di selezione naturale. Il meccanismo ascendente verso i

vertici dell'organizzazione avviene dunque non a colpi di mozioni o di tesseramenti bensì sulla

base di un sistema premiale che, per quanto allargato nella platea, vede sempre in Petrini il

riferimento ultimo di approvazione. Paolo di Croce, segretario di Slow Food International,

afferma che talvolta è sufficiente una email inviata dall'indirizzo di posta elettronica di Petrini

per sbloccare alcune situazioni di impasse che si verificano in Italia come all'estero.

Anche l'evoluzione dell'immagine di Carlo Petrini è particolarmente interessante, agli occhi

degli osservatori. Le prime immagini di Petrini anni settanta animatore culturale ritraggono un

trentenne goliardico, appesantito, barbuto e in abiti proletari, ben diverso dall'immagine del

sessantenne signorile e cosmopolita di oggi. Petrini ama diversificare il proprio modo di

vestire, dal tabarro invernale all'abito elegante indossato senza cravatta al look informale delle

riunioni con amici e compagni di avventura. Le stesse fotografie di oggi, gestite con abile

sapienza dell'ufficio comunicazione di Slow Food, lo mostrano sorridente, esternano

un'immagine di persona arguta ma disponibile, con slanci ideali e profetici ma con capacità

pratiche, in grado di conversare con Carlo d'Inghilterra con la stessa facilità con cui conversa

con un contadino africano. Un'immagine studiata, frutto di un'elaborazione sistematica e di

progressivi aggiustamenti, da cui si evince la particolare cura che nel quartier generale di Bra è

da sempre riposta nelle strategie di comunicazione.

1.7. DALL'INFORMALITA' ALLE REGOLE CODIFICATE: IL M ODELLO

ORGANIZZATIVO SLOW FOOD.

Con la fondazione di Arcigola nel 1986 prende avvio un processo organizzativo finalizzato

all'accreditamento e legittimazione del movimento, un processo grazie al quale si giungerà

negli anni ad una definitiva istituzionalizzazione del movimento Slow Food. Basata

inizialmente sull'entusiasmo spontaneistico dei primi dipendenti, la struttura organizzativa è

gradualmente approdata a una suddivisione interna attraverso la distribuzione di compiti, le

prime gerarchie, la nascita di uffici e la codifica di regole interne in grado di accompagnare la

vita e la crescita dell’associazione. Un processo di istituzionalizzazione di fondamentale

importanza per la maturazione del personale e degli organismi dirigenti, al fine di dare

consapevolezza alla struttura e per l’acquisizione di quei saperi necessari alla definitiva

legittimazione esterna. Nel corso degli anni tuttavia, in un crescendo di dimensioni e consensi,

non è mai venuta meno l'influenza anche sul piano organizzativo del nucleo fondativo legato al

carisma di Carlo Petrini e ai suoi primi sodali. Se è vero, come sostengono i più, che senza

Petrini forse Slow Food non esisterebbe, ciò è anche dovuto al fatto che nonostante quasi

trent’anni alla guida del movimento, e nonostante una necessaria strutturazione del movimento

che ha comportato una crescente burocrazia interna, non è mai venuta meno un aspetto

fideistico di appartenenza mutuato da una sorta di “energia contagiosa” irradiata dai suoi

fondatori, e da Petrini in particolare.

In origine competenze e ruoli erano affidati sulla base di rapporti fiduciari alla base dei quali

c'era un rapporto di personale conoscenza coi fondatori e una prossimità fisica e ideale con le

loro idee. Con il crescere dell'organizzazione è divenuta naturale una diversificazione della

rappresentanza territoriale da un lato e dell'organizzazione di compiti e uffici nelle sedi del

movimenti. Alla base della piramide organizzativa c'è il Fiduciario, responsabile della condotta

e leader del gruppo organizzato localmente per promuovere l'azione di Slow Food. Il Fiduciario

è chiamato ad organizzare il lavoro sul territorio: incontri, degustazioni, momenti conviviali e

di approfondimento. Il Fiduciario lavora a titolo volontario e nei primi anni viene designato

direttamente dal Presidente e dal Consiglio dei Governatori. Con la svolta statuaria degli ultimi

anni in Slow Food si è stabilito che il fiduciario sia nominato dal basso tra gli iscritti di una

città, provincia o comunque un'area territoriale definita. Segno quest'ultimo della definitiva

maturazione del movimento, che sceglie dalla base i suoi rappresentanti e non più attende più

una designazione dall'alto dei suoi rappresentanti di prima fascia.

Alle origini il processo decisionale che conduce alla nomina del Fiduciario è quasi

esclusivamente pragmatico: Fiduciario diventa chi dimostra capacità organizzative e culturali

unitamente a disponibilità di tempo. Come in altre organizzazioni no profit simili a Slow Food,

il lavoro su base esclusivamente volontaria, dettato agli inizi anche da un'assoluta mancanza di

risorse economiche provenienti dal centro, riunisce in sé pregi e limiti che il volontariato

esprime: entusiasmo e dedizione a scapito, talvolta, di qualità e competenze. E con derive

personalistiche sempre in agguato, ovvero un processo di sedimentazione e stratificazione che

conduce, alle volte, a considerare una condotta come “cosa propria” da parte del Fiduciario. Se

oggi, a differenza del passato, il Fiduciario è eletto dalla base associativa mentre alla sede

nazionale spetta soltanto la ratifica, per allargare la guida dei gruppi locali ed evitare pericolosi

personalismi dalla sede di Bra sono partite negli anni numerose sollecitazioni e

raccomandazioni affinché ogni condotta non fosse più guidata da un solo Fiduciario ma da un

gruppo allargato di più persone, il cosiddetto comitato di condotta.

Nell'organizzazione associativa il secondo livello è rappresentato dai Governatori, dirigenti

responsabili di aree territoriali predefinite dalla sede nazionale, il cui Consiglio si riunisce 5 o 6

volte all’anno. Il Consiglio dei Governatori ha visto negli anni una più ampia delega di poteri:

deve coordinare i fiduciari, applicare a livello territoriale le decisioni prese nei congressi,

stabilire norme e regole per i congressi nazionali, fissare le quote associative e approvare i

bilanci. Ecco dunque che con la crescita del movimento, alla naturale burocratizzazione degli

organismi si accompagna una crescita della dimensione partecipativa che coinvolge nel

processo decisionale sia gli organi dirigenti nazionali sia quelli territoriali.

1.8. ISTITUZIONALIZZAZIONE E DIVERSIFICAZIONE DEL M OVIMENTO

Il percorso di istituzionalizzazione con il quale Arcigola si dota di una struttura e di regole

interne assolve un secondo importante compito, quello di affrancarsi da una logica di

collateralismo politico con il Pci e organizzativo con l'Arci, al fine di poter crescere in

autonomia senza tuttavia dare l’impressione di rinnegare chi diede ad Arcigola una prima

quanto essenziale legittimazione. Una delle prime esigenze di codifica interna è la definizione

dei ruoli interni di gestione del territorio. La già ricordata assemblea costituente del 26 e 27

luglio 1986 alla Tenuta Fontanafredda a Serralunga d’Alba vede nominato Silvio Barbero al

fianco di Petrini, e dieci governatori provenienti dalle Langhe che appartengono alla

enogastronomia: produttori vinicoli, enologi, giornalisti, ristoratori. La nascita della

Cooperativa I Tarocchi e l’apertura delle osterie del Boccondivino a Bra e dell’Unione a Treiso

segna l’inizio di un lavoro collettivo che coniuga una buona ristorazione e vini di qualità a

prezzi accessibili, nel tentativo, che rimarrà tale anche in seguito, di trovare un punto

d’equilibrio tra qualità alimentare e giusto prezzo. Quattro anni più tardi, al congresso del

Movimento internazionale Slow Food di Venezia, si incontrano i delegati delle 15 nazioni che

avevano sottoscritto l'atto fondativo: viene varato uno Statuto e un Consiglio dei dieci, ma lo

scoglio politico è rappresentato da un movimento che appare ancora troppo italiano o

comunque italico centrico. In particolare agli occhi dei francesi Slow Food appare un

movimento finalizzato a propagandare gusto e stile di vita italiano, e pure il nome in inglese è

visto con sospetto. Difficoltà a parte, il numero di associati raddoppia in un anno segnando un

incremento marginale di 9000 iscritti e raggiungendo quota 20mila, con conseguente estensione

della rete dei Governatori, dei dirigenti regionali, e dei Fiduciari responsabili a livello

territoriali.

Al secondo congresso nazionale di Arcigola a Perugia, nel giugno 1991, per la prima volta

compare il nome Slow Food accanto al nome originario dell'associazione. Petrini lancia la

proposta di creare una scuola di alta formazione, un’università della gastronomia culturale: il

progetto, ratificato nel 1994, vedrà la luce nel 2004 con l’apertura dell’Agenzia di Pollenzo al

cui interno ha sede l'Università di Scienze Gastronomiche. L’idea, già nel 1991, era quella di

accreditarsi come interlocutori istituzionali anche per il mondo accademico, e di formare un

corpus di giovani in grado di interpretare a trecentosessanta gradi il mondo enogastronomico.

La volontà di Petrini e Barbero è dichiaratamente quella di legittimarsi diffondendo il “verbo

slow” e provando ad aprirsi spazi in tutti gli ambiti del dibattito culturale, dall’editoria alle

università.

Anche altre sono le direttrici lungo cui si muove Slow Food alla ricerca di un accreditamento

istituzionale. L'educazione al gusto, mission primaria di Slow Food, è svolta a livello informale

dai Convivia, dai ristoranti e dai farmers' market; a livello formale, cioè accademico, Slow

Food non può che fare ricorso a una rete personale di docenti simpatizzanti in attesa dei laureati

che si sarebbero formati all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Sulla base di

queste volontà e motivazioni, fin dai primi anni novanta la dirigenza Slow Food individua un

doppio binario su cui sviluppare l'educazione al gusto, il livello informale dei Convivia e il

livello formale delle università e delle istituzioni: il primo capace di ampliare il consenso

sociale diffuso e agganciare persone in maniera trasversale rispetto alle rispettive professioni, il

secondo per formare un corpus ad hoc di docenti e divulgatori delle pratiche e dei valori sottesi

alla filosofia Slow Food. Questa creativa modalità di “diversificazione comunicativa”

rappresenta a nostro avviso una delle più felici intuizioni di Petrini e soci, così riassumibile:

parlare a più pubblici, parlare a ogni pubblico con il linguaggio che esso richiede. Una

comunicazione multi livello che consenta a ciascun utente/simpatizzante di poter ritrovare nei

contenuti di Slow Food uno status cognitivo a lui confacente, con la volontà dichiarata di

“democratizzare” il sapere enogastronomico e aprirlo alla comunicazione di massa.

Se Slow Food avverte l'esigenza di formare “cervelli nuovi”, è altrettanto urgente

l'elaborazione di contenuti nuovi. Nella seconda metà degli anni novanta Slow Food si apre a

nuove social issues, a cominciare dalla forte spinta dal basso di tematiche ambientaliste, in

primis il grande tema della tutela di biodiversità. Nel 1996, anno di nascita di Slow Food USA

e Slow Food Messico, viene organizzato a Torino il primo Salone Internazionale del Gusto,

dove sono esposti e venduti centinaia di prodotti provenienti da più paesi. In chiusura

dell'evento Slow Food lancia l'idea di promuovere una sorta di contenitore, simbolico ma

concreto al tempo stesso, che prende il nome di Arca del Gusto, metafora biblica utilizzata per

indicare una “grande scialuppa” con cui salvare centinaia di specie vegetali, varietà e prodotti

del patrimonio enogastronomico dal reale rischio di estinzione. L’anno successivo, è il 1997,

Slow Food pubblica il Manifesto dell’Arca cui è legato un progetto concreto quanto ambizioso:

creare per i prodotti a rischio estinzione le condizioni per una loro commercializzazione presso

fiere, offerte ai soci, osterie e ristoranti. L'idea è quella di indirizzare soci e consumatori

all'acquisto di questi prodotti per reinserirli in un circuito commerciale maturo e consapevole:

ad oggi sono oltre 400 i prodotti agroalimentari che il sistema Slow Food tutela e promuove. La

creazione di una rete commerciale per prodotti di qualità a rischio estinzione è sfruttata anche

come azione di marketing in parallelo alla vita associativa e garantita, al contempo, dalla stessa

Slow Food. La crescita della capacità di influenza, sia culturale sia commerciale, fa leva sulla

filiazione progressiva del brand Slow: nascono Slow Wine, Slow Cheese, Slow Fish e altri

eventi pubblici che danno visibilità e introiti al movimento. Slow Food cresce e sprigiona così

il suo appeal attrattivo. L'azione combinata di gruppi locali, prodotti editoriali, produttori e

ristoranti, valorizza l'intero movimento e garantisce un ritorno economico a quei soggetti e

prodotti locali che entrano nell'orbita Slow Food.

L'aver saputo intercettare e mettere a sistema tematiche sociali emergenti era, ed è, uno dei

grandi punti di forza di Slow Food. Al tempo stesso la riconosciuta capacità di anticipare gusti

e tendenze sociali, non modificando le proprie linee politiche bensì allargando gli orizzonti

della propria azione e dando risposte concrete a bisogni e domande emergenti. Se in origine

Arcigola vendeva vino e prodotti in conto terzi, nel 1997 la situazione si ribalta: sono i

produttori a chiedere di entrare nel circuito Slow Food. La credibilità del movimento è

dimostrata dal valore aggiunto economico dei prodotti e delle iniziative di Slow Food. Forza

economica significa anche creare “cose” che permettono di incassare royalties, provvigioni,

erogazioni liberali, sponsorizzazioni che garantiscono di poter sviluppare nuovi e sempre più

innovativi progetti socio culturali. Questo doppio binario socioculturale e commerciale

rappresenta la vera straordinarietà organizzativa di Slow Food, forse sottovalutata. Su questo

aspetto ritorneremo nel secondo capitolo.

1.9. TRA ISTITUZIONALIZZAZIONE E ISTITUZIONI

Il primo decennio di Slow Food (1989-1999) vive nel segno della sperimentazione e del

consolidamento. Tra le preoccupazioni del gruppo dirigente emerge l'esigenza di garantire al

movimento possibilità e strumenti di crescita internazionale, alleggerendo al contempo il

“peso” del settore italiano all'interno del movimento stesso. Alla crescita associativa in termini

numerici si accompagna una progressiva assimilazione di regole associative che, dalla nascita

di Slow Food International celebrata a Parigi nel 1989, richiederà una decina d'anni per

giungere a una reale normazione e ufficializzazione del movimento internazionale, cosa che

accadde a partire dal Congresso Internazionale di Orvieto dell’ottobre 1997. La normazione

interna non modifica le politiche associative né gli assetti già esistenti nell'associazione, prova

ne sono le modalità di reclutamento del personale selezionato a partire da una forte spinta

motivazionale e politica: da numerose interviste pubblicate sulle riviste Slow e Slowfood si

evince chiaramente come coloro che entrano a far parte dell'organizzazione sanno di

contribuire alla missione sociale, non sono mosso dalla ricerca di alti stipendi né di prospettive

di carriera ma è appagato dall'idea di contribuire alla diffusione delle idee di cui

l'organizzazione stessa è portatrice. Arcigola prima e Slow Food poi rappresentano un caso

riuscito di organizzazione in cui si è passati da una dimensione sostanzialmente culturale volta

alla riscoperta della tradizione enogastronomica, più centrata su aspetti ludico conviviali, a una

dimensione internazionale di movimento-guida per un’alternativa culturale e sociale che pone

al centro dell'azione un nuovo logos alimentare globale. Slow Food si afferma nel corso degli

anni istituzione che si fa interlocutore e partner di progetti per organizzazioni come Coldiretti,

Comuni, Province, Regioni, fino a Governi nazionali e organismi internazionali come la Fao.

Ma Slow Food è anche attore principale di battaglie politiche, come vedremo in seguito. La

capacità di stabilire contatti e aprire dialoghi con istituzioni e organismi pubblici si deve non

tanto alle dimensioni del movimento quanto alla incisiva “pervasività sociale”

dell'organizzazione: Slow Food ha saputo creare e contestualmente occupare un “terreno

culturale” nuovo, dando nuova legittimazione sociale ad un universo semantico costituito da: a)

prodotti (della terra); b) saperi (arte culinaria); c) diritti (al piacere, al cibo buono sano e equo);

d) convivialità (relazioni sociali da condivisione). Non di meno Slow Food ha saputo mettere a

sistema una pluralità di persone, interessi e istanze già presenti nel territorio italiano, dando a

questo universo una codifica normativa, mostrando una grande agilità di movimento e l'abilità

di imporre una propria voce, nitida, a livello di opinione pubblica. Hanno quindi saputo porsi,

in termini di cibo e cultura, al centro della scena, suscitando interesse ed esercitando una

“seduzione attrattiva” nei confronti dei tanti appassionati precedentemente disorganizzati. Ma

quali sono le ragioni del successo di Slow Food in termini politico organizzativi?

1.10. LA FORZA DEL PROVINCIALISMO E L'ORDINE SIMBOL ICO DI SLOW

FOOD

I dirigenti di Slow Food amano ripetere, non senza un pizzico di snobismo, quanto essi siano

provinciali in fatto di atteggiamenti e comportamenti. Dietro a queste affermazioni si celano

due verità. La prima è che effettivamente la collocazione geografica del Piemonte, defilato

rispetto all'asse Milano-Bologna-Firenze-Roma, ha consentito al movimento di mantenere una

linea di condotta meno legata alle dinamiche e alle fibrillazioni socio politico economiche del

paese. Anche dopo il 2000, anno di autentica e definitiva ribalta internazionale del movimento

Slow Food, non è mai stato messo in discussione il fatto di mantenere nella cittadina di Bra il

quartier generale di un movimento internazionale grande e maturo, scartando ipotesi di

trasferimento in città come Roma, Milano o persino la vicina Torino. Una scelta che è stata letta

come continuità e rafforzamento del lavoro svolto in precedenza e non certo rinuncia a un ruolo

di primo piano. Per la stessa Università delle Scienze Gastronomiche, fortemente voluta da

Petrini e che ha richiesto cospicui investimenti sia pubblici sia privati, la scelta non a caso è

ricaduta su Pollenzo, a pochi chilometri da Bra. Il centro di Pollenzo che non si propone

soltanto come centro di formazione e ricerca, ma che intende caratterizzarsi come polo

attrattivo di cultura enogastronomica a tutto tondo, contemplando ricettività alberghiera,

ristorazione e soprattutto l'importante Banca del Vino.

La seconda ragione del successo provinciale del movimento risiede proprio nell'intimo proporsi

di Slow Food come realtà, sia pur diffusa su scala mondiale, che ha il suo centro nella

“provincia” intesa come ordine simbolico del territorio. Una provincia che resiste e che si

riafferma in controtendenza rispetto a un mondo sempre più urbanizzato. In fondo la seduzione

attrattiva del movimento di Petrini nasce anche per una precisa analogia: lo slow food

sottintende uno “slow world”, ovvero il bisogno ma anche l'anelito verso un mondo più lento,

dove l'idea di lentezza racchiude ed esalta tutte le elaborazioni culturali e i valori positivi che il

movimento ha portato avanti negli anni. Rileggendo in filigrana la Dichiarazione di Puebla,

approvata al quinto congresso internazionale svoltosi nella città messicana nel novembre 2007,

si evince chiaramente la volontà politica di estendere il proprio ruolo internazionale attraverso

la valorizzazione e l'inclusione delle petriniane “visioni” e di diversità locali e regionali che

condividono valori fondamentali. Nella dichiarazione di Puebla si leggono parole quali

“saggezza”, “bellezza”, “felicità”, “energia”, “immaginazione”, parole altamente evocative e

utili a disegnare una visione di un mondo, per certi aspetti idealizzato e mitizzato, in cui

l'origine rurale dei processi collettivi rappresenta un collante forte da un punto di vista

psicologico, emotivo e organizzativo. Lo stesso “ritorno alla provincia” non va inteso come

ritorno a luoghi di seconde case o case abitate da persone ritiratesi dalla vita attiva, ma è

qualcosa di più profondo e diverso, è l'idea di creare una “comunità di coscienza”, la

condivisione – come scrive Jacinthe Bessière – di un'idea di Natura che vada oltre gli stereotipi,

un desiderio inconscio di relazioni amicali vere, genuinità, radici. Una tendenza che è già

domanda sociale.

1.11. TRA RADICAMENTO TERRITORIALE E DIVERSIFICAZIO NE.

Nel corso degli anni Slow Food si è organizzato a livello internazionale grazie alla nascita di

piccoli gruppi di appassionati, successivamente associati, che tra una degustazione e un

incontro culturale hanno saputo sviluppare tante piccole comunità del cibo, coinvolgendo

produttori locali, artigiani e agricoltori. Benché il collante delle condotte abbia avuto inizio

assecondando un clima e un linguaggio conviviale, agli incontri tra associati e simpatizzanti di

Slow Food l'equazione cibo-identità-cultura, architrave del pensiero slow, da discorso

enogastronomico “alto” si trasforma in “pop”, nel senso di popular, in una sorta di

rovesciamento semantico delle precedenti forme di accesso al sapere del cibo. Ogni gruppo

locale, pur rispondendo sempre a Bra in termini di direzione e guida, riesce organizzare le

attività sul territorio con margini di ampia libertà e qualche tollerata divagazione. Un'accusa

che spesso è rivolta ai dirigenti Slow Food è di avvallare un “elitarismo sociale” per il fatto

che, essendo i Fiduciari persone di status socio-economico medio alto, e dalla omogenea rete

relazionale, questo abbia precluso di fatto l'apertura a persone di classi sociali inferiori.

Un'accusa rivelatasi spesso fondata: la scelta dei Fiduciari ha, infatti, visto avvantaggiate

persone certo appassionate ai temi enogastronomici e dotate di capacità organizzative ma con

disponibilità di tempo e soprattutto una rete di relazioni sociali tali da attivare iniziative

culturali e di promozione sul territorio. Anche per queste ragioni, oltre che per disinnescare

possibili personalismi, da Bra si è cercato negli anni di sostituire alla figura del fiduciario la

nascita di comitati di condotta, ovvero leadership locali allargate. Eppure è stato lo stesso

elitarismo sociale delle origini a contribuire non poco alla diffusione del movimento a livello

nazionale e internazionale: le istanze di Slow Food hanno fatto breccia in un corpus sociale

composto da giornalisti, docenti, politici locali, produttori enogastronomici, ristoratori,

personaggi della cultura e dello spettacolo. Personalità in grado di creare consenso attorno alle

proposte e conseguentemente ai portatori delle stesse, i quali hanno contribuito in modo

determinante alla creazione di quell'humus fertile grazie al quale Slow Food ha coltivato passo

dopo passo le proprie ambizioni su scala mondiale.

La crescita in termini di dimensione organizzativa è andata di pari passo con una

diversificazione e ramificazione: sono nate strutture di secondo livello e di coordinamento,

rafforzando ulteriormente le funzioni e il potere del gruppo dirigente presso la sede centrale di

Bra. Il Comitato di Presidenza, organo esecutivo dell’Associazione Internazionale, è composto

dal Presidente che nomina di sua iniziativa uno o più vicepresidenti e propone sei consiglieri di

presidenza tra i componenti del Consiglio eletti dal Congresso. All'ultimo Congresso

internazionale in Messico sono stati eletti dodici membri della direzione internazionale, tra cui i

vicepresidenti Alice Waters, di Slow Food Usa, l'indiana Vandana Shiva e il giovane keniota

John Kariuki Mwangi. Una scelta dei vicepresidenti dalla quale emergono chiaramente le

direttrici dell'impegno politico di Slow Food nei prossimi anni: la “conquista” del paese più

ricco al mondo la cui agricoltura risente pesantemente di un uso spesso scriteriato di

fertilizzanti e additivi chimici (Waters), le battaglie per l'ambiente, la biodiversità e la lotta

contro le multinazionali del cibo (Shiva), la nuova centralità del mondo contadino africano

(Mwangi).

Le associazioni nazionali Slow Food sono in questo momento nove. Laddove non esiste

un'associazione nazionale sono i Convivia l'unica forma organizzata di Slow Food. Essi si

richiamano allo Statuto internazionale e la sottoscrizione versata dai soci è ripartita tra

Convivia locali e Associazione internazionale; laddove invece esiste un'associazione nazionale

deve sempre essere prevista una quota di sottoscrizione annuale a favore dei Convivia. La

scelta degli organismi dirigenti internazionali sembra ispirata ad un principio di crescita

ponderata, ossia ratificare la nascita di associazioni nazionali ma soltanto con una base

associativa matura e con una massa critica minima, ragione per cui il Direttivo Internazionale

autorizza l’istituzione di nuove Direzioni Nazionali in presenza di un minimo di 1500 soci e 15

Convivia, indipendentemente dalle dimensioni e dalla popolazione residente. Il Consiglio tiene

inoltre informati i Convivia in quei paesi in cui non è presente una Direzione Nazionale circa

gli obiettivi strategici del Movimento e controlla l’andamento economico e finanziario

dell’Associazione, redigendo il bilancio Slow Food Internazionale e presentandolo poi

annualmente al Consiglio Internazionale.

Governare Slow Food significa governare una “macchina” che conta quasi 100 mila iscritti nel

mondo Slow Food e con una struttura centrale a Bra dove lavorano oltre 150 persone tra

dipendenti e collaboratori, di cui 40 operative negli uffici di Slow Food International. Il

reclutamento del personale, oggi assolto da un responsabile per le risorse umane, è passato dai

meccanismi spontaneistici degli esordi, basati su una generica disponibilità o per conoscenza

personale, a forme più articolate di selezione secondo una divisione di ruoli per specifiche

competenze. Dialogando coi responsabili della sede di Bra emerge chiaramente come sia

tuttora fortemente richiesta, quando non dichiaratamente richiesta, una condivisione dei valori,

ideali e obiettivi di Slow Food tra coloro che intendono stabilire rapporti di lavoro. Detto

altrimenti, a una selezione su base professionale si affianca una su base motivazionale, una

“discriminante interna” che ha permesso la creazione e il consolidamento di un nutrito numero

di quadri e dirigenti in grado di sviluppare i progetti più importanti in virtù di un rapporto

fiduciario con i fondatori. Persone capaci di lavorare in autonomia in un'ottica di crescente

delega di responsabilità. La discriminante interna è un meccanismo di selezione che consente

anche di formare in Bra quel personale straniero in grado poi di ritornare presso le rispettive

sedi nazionali. Slow Food, per chi vi lavora, non è un semplice posto di lavoro: non sono gli

incentivi o i benefit materiali a garantire il livello di soddisfazione del personale bensì gli

ideali, simbolici e di appartenenza identitaria ad un movimento in grado di poter davvero

“cambiare l'esistente”. In definitiva, benché le nuove assunzioni siano selezionate sulla base di

specifiche competenze e professionalità, rimane sempre forte l'aspetto “fideistico” nei confronti

delle attività e della filosofia Slow Food.

1.12. SLOW FOOD COME FORZA SOCIALE

Nel processo di progressiva istituzionalizzazione del movimento un passaggio politico

importante avviene al Congresso di Riva del Garda del 2002, quando Slow Food adotta una

forma organizzativa cosiddetta a matrice. I membri del Consiglio dei Governatori, che

compongono la segreteria nazionale, e che in origine si occupavano delle rispettive aree

territoriali, diventano anche responsabili di aree tematiche di competenza specifica:

dall'educazione alimentare ai rapporti con consorzi di tutela, dai rapporti con partiti e

movimenti alla competenza in vari ambiti della vita associativa. Un passaggio politico che

esplicita la nuova identità di Slow Food, non più solo associazione di cultura gastronomica ma

soggetto sociale e politico a tutti gli effetti.

I nuovi assetti ratificati a Riva del Garda in realtà sanciscono quello che era già nello spirito

delle cose. Almeno dal 2000 Slow Food si colloca sulla scena italiana come forza sociale,

lasciandosi alle spalle l’identità storica di gruppo di pressione dall'azione dal carattere

associativo in senso stretto e dai toni rivendicativi in senso movimentista. Forza sociale intesa

come un gruppo sociale aperto alle richieste della società civile, trasversale alle appartenenze

consolidate e in grado di dialogare con le istituzioni, a partire da quelle istanze dell’opinione

pubblica non ancora recepite dal legislatore e non ancora proposte da soggetti tradizionali

dell’arena politica. Slow Food dimostra di essere una forza sociale che riesce a non farsi

schiacciare da un ruolo e da un “bagaglio ideologico” tipico di un tradizionale gruppo di

pressione, con conseguente rischio di avere un raggio d'azione limitato benché incisivo, per

essere una forza sociale portatrice di esigenze più generali della società, a cominciare da una

nuova idea di agricoltura e alimentazione per le mature economie postindustriali. In grado cioè

di aprirsi a nuovi contenuti e a nuovi significati, senza perdere per strada quelli per cui si è

chiesto e ottenuto il consenso in passato. L'anno di svolta in questo senso è senza dubbio il

2004, in cui si celebra la prima edizione di Terra Madre, il meeting mondiale delle comunità del

cibo. Meeting che verrà ad assumere importanza decisiva per il network di relazioni costruite

nel corso degli anni, ma soprattutto l'organizzazione interna per aree d'interesse e intervento.

Sempre il 2004 vede la nascita operativa di un altro importante tassello del sistema Slow Food,

ovvero la Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Grazie al sostegno della Regione Toscana,

non a caso la sede ufficiale è presso la prestigiosa Accademia dei Georgofili, la Fondazione

Slow Food per la Biodiversità sostiene e finanzia i progetti di Slow Food volti a promuovere la

biodiversità agroalimentare del mondo: il Premio Slow Food, i Presìdi Slow Food e l'Arca del

Gusto. Sviluppare il sistema dei Presìdi, con una particolare attenzione ai paesi in via di

sviluppo, si rivela anche un canale parallelo di penetrazione delle politiche e delle strategie

commerciali di Slow Food su scala internazionale. Un esempio è la quota di 5 euro che ciascun

socio nel mondo attraverso il tesseramento destinava alla Fondazione Slow Food per la

Biodiversità: al congresso internazionale messicano alla fine del 2007 è revocata questa scelta

mediante modifica statutaria, segno che la Fondazione ha forza sufficiente per reperire risorse

atte al proprio sostentamento e allo sviluppo dei progetti.

Terra Madre ha luogo a Torino alla fine dell'ottobre 2004. Convengono al Palazzo del Lavoro di

Torino circa 5 mila tra produttori, agricoltori, allevatori, pescatori, invitati da Slow Food in

rappresentanza di 1200 comunità da 129 paesi. L'idea portante dell'evento è dare visibilità, oltre

che occasione di confronto, ai coltivatori e al grande patrimonio di agroalimentare di cui essi

sono depositari e portatori. La grande novità sta nell'idea alla base dell'evento: accendere i

riflettori su coloro che i riflettori non li hanno mai avuti, in altre parole contadini e lavoratori

della terra, in una scenografica e simbolica apertura delle porte del primo mondo al terzo

mondo. Un evento che è kermesse, una grande festa popolare che celebra la vita contadina

mettendo fianco a fianco produttori e operatori del settore agroalimentare mondiale. Dettando

altresì una nuova agenda politica: rinnovata attenzione per l'ambiente, per gli equilibri

planetari, per la qualità dei prodotti della terra, per la dignità dei lavoratori e per la salute dei

consumatori. L'impatto simbolico e mediatico è grande, e se non una svolta epocale certamente

Terra Madre rappresenta per il movimento Slow Food un grande allargamento di orizzonti e di

“mission sociale”. Dopo Terra Madre, Slow Food diventa il soggetto “non politico” capace di

imporre il tema, tutto politico, della difesa delle culture nazionali attraverso il riconoscimento

identitario dei patrimoni e dei saperi di cui ogni prodotto alimentare è portatore. La svolta etica

compiuta con Terra Madre ha ovviamente ripercussioni interne al movimento, da un lato per

scongiurare il rischio che una dimensione edonistica potesse riprendere il sopravvento,

dall’altro per cavalcare un sentimento per lo sviluppo sostenibile già maturo a livello mondiale

pur marcando le distanze da posizioni estremistiche o comunque minoritarie. Peraltro nella

storia di Slow Food hanno sempre prevalso atteggiamenti pragmatici, tali per cui venivano

preferite alleanze strategiche rispetto a posizioni più intransigenti e meno disponibili al dialogo.

Riuscendo a imporre le proprie idee all’interno di numerose agende politiche, Slow Food ha di

fatto anticipato non tanto nuovi programmi politici quanto un nuovo modo di fare politica e di

intervenire sui gravi problemi che affliggono il pianeta, dalla lotta alla fame al problema acqua,

dai diritti civili alle più urgenti questioni ambientali come la perdita di biodiversità o

l'inquinamento dei suoli. Un modo di fare politica che è frutto combinato di passione e

pragmatismo, di agilità di movimento e capacità tattica di stringere alleanze in tempi rapidi, che

fa del protagonismo carismatico dei leader un elemento di forza, che impone il proprio brand

come garanzia per operazioni di commercializzazione dei prodotti, che non rinuncia alle

battaglie politiche pur nella consapevolezza che le buone proposte non possono fare a meno di

ragionevolezza, concretezza e sostenibilità nel corso del tempo. Terra Madre avrà luogo, con

crescente successo di partecipanti e critica, anche nel 2006 e nel 2008.

1.13. CONCLUSIONI

Vi sono altri importanti progetti che Slow Food ha attuato recentemente. Il primo riguarda i

mercati dei contadini, o farmers' market, che nel sistema Slow Food prendono il nome di

Mercati della Terra. Slow Food Italia, in occasione del Congresso nazionale di Sanremo nel

2006, ha deliberato la creazione di un sistema nazionale di mercati contadini, luoghi di

presentazione e vendita di prodotti alimentari da parte di contadini e artigiani locali. Filiera

corta, economia locale, stagionalità sono le parole d’ordine dei Mercati della Terra, dove l'idea

è promuovere la conoscenza tra produttori e consumatori, questi ultimi invitati a farsi

raccontare la storia loro e dei loro prodotti, come nel caso del Mercato della Terra di Bologna.

Questi mercati sono idealmente collegati per condividere competenze e contributi.

Tra i progetti più nuovi targati Slow Food vi è la ristorazione collettiva: mense scolastiche e

ospedali. A seguito di un’indagine su 50 campioni sul territorio nazionale per rilevare

informazioni sulla realtà delle mense scolastiche italiane, nel 2009 è stato stilato un

Vademecum sulla ristorazione collettiva vista da Slow Food, con tanto di manifesto a fumetti

per i bambini che illustra la mensa secondo Slow Food. Analogamente Slow Food Italia è

impegnata sul fronte della ristorazione ospedaliera, una delle criticità più forti nelle strutture

sanitarie, con l'intento di favorire consumi freschi e locali ai pazienti ricoverati.

Infine, sempre a livello progettuale - organizzativo, in occasione del quinto congresso

internazionale di Puebla è nato lo Youth Food Movement, movimento giovanile per il futuro del

cibo. L’obiettivo è costruire una rete internazionale di giovani, siano essi studenti, contadini,

produttori, cuochi o attivisti, per promuovere un sistema del cibo “buono pulito e giusto”

capitalizzando l’internazionalità e la rapidità degli odierni mezzi di comunicazione. Il Youth

Food Movement si propone come lobby in grado influenzare le economie locali attraverso

eventi, creatività, condotte universitarie, programmi di interscambio e soprattutto

documentando culture e saperi tradizionali non rintracciabili sui libri o sui siti e mettere questi

saperi a disposizione di tutti. Naturalmente Slow Food International, che ha sostenuto la nascita

del movimento giovanile, vede di buon grado questa iniziativa non soltanto per la

disseminazione delle proprie idee ma anche come bacino potenziale di futuri collaboratori e

sostenitori.

Senza dubbio Slow Food rappresenta una case history di organizzazione aziendale altamente

riuscita e di successo. Non lo dicono soltanto i numeri e i fatturati, benché importanti, né

soltanto i risultati conseguiti né la diffusione internazionale né la grande diversificazione delle

attività poste in essere. Sicuramente ha giovato a Slow Food l'aver goduto sino ad ora di una

leadership illuminata e carismatica unita a una sostanziale assenza di contrasti e lotte al vertice

dell'organizzazione. Il successo di Slow Food va sicuramente letto come il successo del

movimento che meglio di tanti altri ha saputo intercettare un sentimento, una domanda latente,

un bisogno inappagato di riscoprire un nuovo modo di vivere il cibo e, in senso lato, di vivere

la vita. Eppure non è solo per i contenuti, è anche stato il successo di modalità organizzative

che determinano anche schemi di comunicazione. Organizzazione è comunicazione, e

viceversa, la continua e incessante osmosi tra impresa e ambiente, tra prassi interne e

sollecitazioni esterne. Slow Food rappresenta l'impresa non più orientata al decision making

bensì l'impresa che opera attraverso il sensemaking, inteso come l'insieme dei processi

cognitivi attraverso i quali gli individui attribuiscono un senso alle proprie esperienze.

Esperienze che vengono poi rielaborate con l'ausilio di “mappe cognitivo - normative”. Il

sensemaking crea le condizioni per una condivisione di valori comuni a prescindere da chi

veramente condivide o dal processo di origine della condivisione all’interno di

un’organizzazione. Il sensemaking fa leva sulla plausibilità, sulla pragmatica, sulla coerenza,

sulla ragionevolezza, sulla creazione. È l’invenzione di un mondo tanto ideale quanto possibile.

È questa la grandezza di Slow Food, nell'aver creato, proposto e venduto una visione del

mondo ricca di senso, attraente, seducente, possibile. Scrive Petrini nel suo ultimo libro:

“abbiamo definitivamente sposato una dimensione, una concezione olistica per il mondo del

cibo. La vita delle comunità rurali e del cibo è fortemente interconnessa con i modi di

distribuire, di comunicare, di trasmettere la memoria, il vestire, l'abitare e il costruire [...] va

salvaguardato, conservato, tenuto vivo l'insieme, l'intero sistema locale e non soltanto una parte

di esso. Un tutto che, naturalmente, gravita attorno a un unico grande sole: il cibo”.

Capitolo secondo

L'AZIONE POLITICA DI SLOW FOOD

2.1. LA COMUNICAZIONE

“Il cibo è politica, il rispetto della diversità è politica, i modi in cui ci prende cura della natura è

politica: Terra Madre è politica. E non è sminuente se questa politica si colora di tinte che

sanno fare anche poesia, se il bello e il nobile si mescolano al serio e al tangibile: è tempo che

etica ed estetica non siano più separate, che poetica e politica di Terra Madre insegnino al

mondo a non abbruttirsi ancora di più, a non continuare in un processo di omologazione

globale che svilisce le genti e toglie loro ogni potere decisionale. Terra Madre è intrisa di valori

rivoluzionari, perché sono valori in grado di cambiare le nostre sorti, di far cambiare ognuno di

noi nel profondo: l'unico modo per iniziare ad arginare i malanni di questa Terra”.

Questo scrive oggi Carlo Petrini. Vent'anni fa, con toni sicuramente meno enfatici e meno

apocalittici, Slow Food dava il via a un'azione politica di lungo termine che, come vedremo,

combatterà senza esitazione. Forti dell'investitura parigina, all'inizio degli anni '90 al quartier

generale di Bra la preoccupazione è quella di creare un radicamento territoriale forte, che

diffonda valori e idee del movimento superando, pur preservandoli, la filosofia edonistico

conviviale delle origini e indiscutibilmente legata ai temi del piacere da cibo e del contrasto

all'omologazione dei fast food. Ecco quindi che per costruire una nuova filosofia slow in grado

di spaziare dall'ecogastronomia ai problemi etico ambientali su scala globale era necessario “ri-

raccontare il mondo” parlando di gusto e di enogastronomia, di tradizioni culinarie intese come

depositarie di saperi e cultura a rischio estinzione, e molto altro ancora. Proprio nel 1990 nasce

Slow Food Editore srl, società che pubblica Osterie d'Italia, una guida al mangiare e bere

nazionale che si contraddistingue per segnalare ristoranti che coniugano la tradizione di qualità

con un giusto equilibrio di prezzi, e che da allora ad oggi ha all'attivo 70 titoli tra libri, guide e

compendi. Qualche anno più tardi, nel 1996, ha inizio la pubblicazione della rivista Slow,

pubblicata inizialmente in tre lingue, che diviene l'organo ufficiale del movimento e di fatto la

“bibbia” del mondo Slow Food. Una rivista chiamata a divulgare il modo nuovo di intendere il

rapporto tra cibo, cultura, produzione e consumo, facendosi interprete da un lato di promozione

di pratiche e prodotti, dall’altra puntando il dito contro le distorsioni del mercato globale a

detrimento dei saperi e dei proventi del mondo contadino. Il nucleo dirigente di Slow Food

comprese infatti l'importanza che rivestiva un'intensa attività di promozione e comunicazione,

attività sulla quale vengono dirottate energie e risorse. Una comunicazione Slow Food

decisamente connotata: il simbolo della chiocciolina sintetizza l'idea di lentezza, e comunica

altresì simpatia e un ancoraggio saldo a una società agreste e agricola cui si fa riferimento

diretto. Le pubblicazioni sono accattivanti sotto un profilo grafico estetico, ricche nei contenuti

senza mai apparire inaccessibili, innovative a livello semantico e, come un Giano bifronte,

guardano sia a un passato fatto di costumi alimentari, sia a un futuro fatto di relazioni fra

persone e aumento di saperi.

A Bra si rivelano molto abili a capire una domanda crescente di informazione su tematiche e

prodotti enogastronomici in un'Italia che allora, agli appassionati, offriva di fatto due sole e

celebri guide: la Michelin per la ristorazione e la Veronelli per i vini. C'era dunque un mercato

da conquistare, un vasto territorio vergine in cui consolidare la propria presenza in materia di

editoria enogastronomica. Come ha notato lo storico Massimo Montanari, dagli anni ‘80 si è

assistito ad un vero e proprio boom dell’editoria gastronomica che ha visto nascere ben 64

testate, per un mercato che complessivamente, in Italia, ha oggi un valore tra i 55 e i 60 milioni

di euro annui. La comunicazione Slow Food degli esordi, oltre alle già citate Guida ai vini e

Osterie d'Italia, passa attraverso canali più tradizionali del mondo editoriale: ricettari regionali,

saggi su personaggi storici, testi di gastronomia storica, guide per viaggi slow, manuali di

educazione al gusto e alle coltivazioni, studi e ricerche su agricoltura, ambiente, alimentazione.

Lo stile comunicativo è riconoscibile per una codifica particolare: unisce elementi propositivi

con elementi oppositivi o di contrasto, debitori di una radice politica definita e atti a respingere

l'avanzata della cultura fast food. Si coniuga insomma un linguaggio nuovo che reinterpreta

tutto quanto fa riferimento al cibo, alla produzione e alle tradizione culinaria in chiave

culturale. Il messaggio sotteso, benché esplicito, è che la perdita di saperi possa condurre a

breve alla perdita della cultura in senso lato e della propria identità. Non è un semplice andare

controcorrente, è casomai un reinterpretare il saldo ancoraggio alla cultura agricola non in

modo nostalgico e retrò quanto piuttosto sotto una luce di modernità. I fast food rappresentano,

dal punto di vista commerciale e simbolico, il punto d'arrivo e al tempo stesso un'avanguardia

di una omologazione globalizzata iniziata con l'industrializzazione del cibo e l'agroindustria,

omologazione che i simpatizzanti di Petrini intendono contrastare materialmente e

culturalmente.

Nella trentennale storia di Slow Food le attività di comunicazione manterranno sempre un ruolo

centrale e determinante in quanto rappresentano il tassello fondamentale grazie al quale

imbastire e sostenere l'intensa attività di promozione e di pubbliche relazioni, e in un'ultima

analisi la politica dell'Associazione. Il consolidamento del legame con la base associativa è

senza dubbio un obiettivo primario, spesso la rivista o le pubblicazioni sono lo spunto per gli

incontri dei Convivia locali. Dalla più semplice delle newsletter alla rivista Slow, dai siti web e

agli almanacchi, una costante nella comunicazione di Slow Food è rappresentata dalla grande

attenzione e dalla cura quasi maniacale dei dettagli con cui sono approntati i vari prodotti. I

contenuti della rivista sono un sapiente mix di reportage, inchieste, approfondimenti, proposte

innovative e filosofia slow; pubblicazioni che si contraddistinguono per un ottimo uso delle

immagini, affidate quasi sempre a professionisti, per titoli efficaci e centrati, per una grafica

sobria ma elegante, stilemi grafici di tendenza pur senza apparire alla moda. Anche la carta

delle pubblicazioni è sempre stata di buona fattura, ovviamente carta riciclata del tipo “uso

mano”: un modo per comunicare la forte attenzione per la qualità.

Alle pubblicazioni di Slow Food Editore si affiancano le collaborazioni con quotidiani e

periodici, dallo storico legame col Manifesto alla torinese La Stampa fino a Repubblica negli

ultimi anni, assecondando un'idea di trasversalità sia politica che di pubblici. Nel 2001 sono

pubblicati i siti internet www.slowfood.it (in italiano) e www.slowfood.com (in inglese), anch'essi

caratterizzati da un’uniformità grafica e di contenuti, con proposte finalizzate alla promozione

del sistema Slow Food: oltre al racconto delle origini e dell'evoluzione del movimento, ampio

spazio è dato alle tematiche d'attualità, oltre naturalmente a recensioni, anticipazioni e resoconti

delle manifestazioni di Slow Food e la proposta di itinerari, degustazioni, incontri, etc. Non

mancano naturalmente gli spazi di riflessioni, inchieste, pagine aperte ai contributi di soci e

simpatizzanti sui temi dell'ecogastronomia.

Ed è la forza crescente del web, nonché la sua rapidità ed economicità, che fa sì che al

congresso messicano di Puebla del novembre 2007 l'assemblea deliberi di chiudere la storica

Slow, la rivista internazionale del movimento che nel corso degli anni era passata da 3 a 6

lingue di pubblicazione. Le ragioni vanno ricercate nel fatto che la gestione di una rivista che

usciva con 4 numeri all'anno risultava alquanto macchinosa e costosa, essendo gestita da Bra e

spedita in tutto il mondo. A Puebla si stabilisce di veicolare la comunicazione agli associati

attraverso due canali principali: il Web e l'Almanacco annuale ricevuto da ogni singolo

associato. Questa incessante e coordinata attività di comunicazione di Slow Food si è rivelata

una potente arma politica nella misura in cui ha portato l'associazione a trovare interlocutori

pubblici e privati in grado non solo di legittimarla ma anche di sostenere le sue attività: da un

lato soggetti pubblici, in Italia prevalentemente enti locali e Camere di Commercio, dall’altro

imprese private e grandi produttori enologici. Senza il sostegno della Regione Emilia Romagna

e della Regione Piemonte, ad esempio, difficilmente Slow Food avrebbe trovato le risorse e la

forza istituzionale per aprire, nel 1998, l'Agenzia di Pollenzo spa, una società pubblico privata

che gestisce la tenuta reale carloalbertina in cui hanno l'Università degli Studi di Scienze

Gastronomiche e altre realtà del sistema Slow Food. Senza la capacità pervasiva della

comunicazione Slow Food non avrebbe avuto la forza di dialogare e sottoscrivere accordi con

alcune importanti istituzioni internazionali, come vedremo nel terzo capitolo.

Inoltre, decisivo per la comunicazione di Slow Food si rivela essere il carisma sempre più forte

e indiscusso di Carlo Petrini. Se Slow Food riesce ad affascinare migliaia di persone, a

sprigionare seduzione e arruolare nuovi “adepti”, molto si deve alla figura di Petrini che incanta

e seduce, e che fa sì che il movimento cresca e si consolidi: parlantina vivace, battuta sempre

pronta e salace, idee innovative mitigate da sapienza contadina e concretezza di provincia,

Carlo Petrini è a tutti gli effetti l'incarnazione di Slow Food. Una personalità forte e poliedrica,

provinciale ma cosmopolita, in grado di sintetizzare convivialità e impegno, passione

quotidiana e visione del futuro. Angelo Gaja, piemontese, uno dei più importanti produttori

vitivinicoli italiani, avvia con Petrini un rapporto di stima e di amicizia, e dice di lui: “è un

infiammatore, uno che fa nascere passioni che ognuno di noi ha dentro, e aiuta a farle

emergere. Ai suoi collaboratori fa capire che possono lavorare con stipendi bassi perché c’è una

missione da portare avanti, mentre a tanti contadini e viticoltori ha restituito la dignità del loro

lavoro (..) Un ragionamento che ha ancora più forza perché viene da un uomo che non si è

messo nulla nelle tasche e ha saputo coinvolgere le istituzioni pubbliche nel suo progetto. I

produttori hanno riconosciuto quanto Slow Food ha fatto per loro e attraverso l’Università sono

intervenuti per sostenerla(..)”

Ancora due considerazioni sulla funzione politica della comunicazione Slow Food. Nel

linguaggio dei pubblicitari viene chiamato naming, ed è l'attività di dare dei nomi a cose,

prodotti, servizi, beni di consumo, etc. Per Slow Food quest'attività si è rivelata particolarmente

felice: dalle variazioni sul tema come Slow Fish, Slow Cheese, SloWine, Sloweb, Città Slow,

Slow Ark, Slow Food on film, Toscana Slow, alle parafrasi come Orti in condotta, Distinti

Salumi, il Buon Paese, Banca del Vino, Arca del Gusto, Almanacco dei golosi, Tavole fraterne,

Dire fare gustare, fino alle riscoperte di locuzioni perdute come I Comizi Agrari. Un altro

segnale di sapiente duttilità nell'uso della comunicazione, una fluidità e capacità di lasciarsi

contaminarsi per occupare interstizi aperti nel dibattito cultural gastronomico italiano ma anche

statunitense e dei paesi dove più marcata è la presenza dell'associazione. Altrettanto importanti

sono i nomi interni all'organizzazione: basti pensare al nome attribuito ai responsabili

territoriali (Governatori), ai prodotti da tutelare e valorizzare perché in via d'estinzione

(Presìdi), ai responsabili delle condotte locali (Fiduciari). La scelta di questi nomi è la

traduzione di tre concetti forti: governare, presidiare, creare fiducia. La comunicazione Slow

Food si è dunque rivelata “liquida”, non nel senso inteso da Zygmunt Bauman che associa

liquidità a frenesia e esclusione sociale, bensì liquida nel senso di pervasiva e permeabile.

Capace cioè di propagarsi in modo dolce, costante e capillare. La gestione della comunicazione

targata Slow Food è oggi la gestione di un brand potentissimo, internazionale, autonomo,

ricercato da aziende e istituzioni per operazioni di co-marketing.

Ultima considerazione. Un'intensa e costante attività di comunicazione di Slow Food si è resa

necessaria per convincere e per motivare i tanti pubblici con cui l'associazione dialoga: i

consumatori, i produttori, le organizzazioni sociali, le aziende, le istituzioni, i movimenti

politici, i fornitori, etc. Per creare un clima di accettazione e di valorizzazione della propria

identità, della creatività dei progetti, per creare un ambiente aperto al dialogo, alla libera

espressione di sé. La comunicazione non soltanto ha accompagnato la crescita del movimento

ma ha contribuito a rilanciare le ragioni della leadership Slow Food nel campo culturale

alimentare e a irrobustirla nel tempo.

Comunicazione è anche innovazione, è sfida con se stessi, è il rischio di rimettersi in

discussione e non dare nulla di scontato per il proprio avvenire. Consapevoli, come a Bra sono

sempre stati, che la vera innovazione è essenzialmente un processo, è il risultato di meccanismi

sociali e organizzativi che aiutano a condurre il passaggio cognitivo e pragmatico che parte

dalle idee per approdare a risultati concreti e utili, e che in questo processo la comunicazione

gioca un ruolo fondamentale, anzi decisivo. Il primo pubblico di Slow Food sono gli associati e

i consumatori: i quali oggi sono essenzialmente dei prosumer, ovvero dei producer–consumer

per usare la felice crasi del futurologo Alvin Toffler. Persone cioè che co-producono, ovvero

consumatori consapevoli.

2.2. L'EVOLUZIONE POLITICA DI SLOW FOOD, TRA CONGRE SSI E CAMPAGNE

SOCIALI

Dopo il già ricordato momento fondativo di Parigi, il 10 dicembre 1989, e dopo i primi anni

che vedono la nascita di direzioni nazionali come Slow Food Germania (1992) e Slow Food

Svizzera (1993) si arriva al secondo Congresso internazionale, svoltosi nell'ottobre 1997 a

Orvieto, Umbria: sono 650 i delegati da 35 paesi in rappresentanza degli allora 40.000 associati

di tutto il mondo. Viene votato il primo Statuto Internazionale che definisce Slow Food come

Associazione culturale internazionale senza fini di lucro, dall'articolo 1 dello Statuto

Internazionale.

Due anni più tardi, nel 1999, in occasione del Congresso di Slow Food Australia si introduce il

concetto di Slow Food movimento eco-gastronomico. Nel 2003 a Firenze viene redatta la

“Dichiarazione sui diritti globali del cibo”, con annesso convegno organizzato insieme alla

Regione Toscana nella tenuta San Rossore, Pisa. Della commissione internazionale chiamata a

organizzare il meeting fanno parte anche Carlo Petrini e Vandana Shiva. Grazie al sostegno

della Regione Toscana nasce la Fondazione Slow Food per la Biodiversità onlus, che sostiene i

Presidi e l'Arca del Gusto. Ma è il quarto congresso internazionale di Slow Food, tenutosi a

Napoli nel 2003, che segna il cambiamento nella politica di Slow Food. All'assise partenopea

Carlo Petrini e i suoi collaboratori impongono una svolta etica al movimento, che da

gastronomico per il diritto al piacere del cibo Slow Food diventa ufficialmente un movimento

ecogastronomico: “un gastronomo non può dirsi tale senza essere ecologista, come pure un

ecologista che non è gastronomo è triste”, dirà Carlo Petrini. Il Congresso Internazionale di

Napoli riconferma Carlo Petrini alla presidenza internazionale, stabilisce un nuovo assetto

organizzativo e dirigenziale: insieme a Petrini sono eletti vicepresidenti Alice Waters,

celeberrima chef e leader di Slow Food Usa, insieme a Giulio Colombo di Slow Food Italia.

Per la prima volta nella storia di Slow Food si manifesta un dissenso aperto: i delegati tedeschi

rivendicano una maggiore autonomia di Slow Food Germania rispetto alla direzione

internazionale saldamente in mano italiana. I delegati, a congresso oramai sciolto, vengono

richiamati al consesso per una votazione ad alzata di mano sulla mozione “italocentrica” voluta

da Petrini che pone la parola fine al dissenso dei tedeschi.

In realtà l'ampliamento della mission di Slow Food parte dalla presa d'atto che se le idee hanno

fatto breccia nel variegato universo dei consumatori consapevoli o dei ristoratori, lo stesso non

è accaduto nel mondo dei produttori di cibo. Questi ultimi rappresentano la nuova sfida, la

nuova frontiera. Coniugare consumo e produzione, riportare il consumo nei luoghi di

produzione, accorciare la filiera distributiva, garantire introiti maggiori ai produttori

calmierando i prezzi per i consumatori finali. Buono, pulito e giusto: ovvero qualità, nel

rispetto dell'ambiente e di una maggiore giustizia sociale. Un giusto guadagno per i produttori,

un giusto prezzo per i consumatori.

Il nuovo paradigma ecogastronomico sancito a Napoli impone agli iscritti di affiancare, al tema

storico del gusto e del piacere, il tema nuovo della tutela della biodiversità. I delegati

internazionali vengono persuasi dell'urgenza di operare lungo una direttrice di contrasto agli

effetti deleteri della globalizzazione in materia di agricoltura e alimentazione. Realizzano che è

in atto un processo di trasformazione del capitalismo agroalimentare che tende a concentrare

nelle mani di pochi grandi colossi multinazionali non soltanto la fornitura di mezzi e prodotti

per l'agricoltura ma anche la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli,

ovvero il controllo dell'intera filiera mondiale, a detrimento della qualità, della tipicità e

dell'ecosistema, togliendo agli agricoltori, specie dei paesi più poveri, qualsiasi forma di

controllo sul loro lavoro. Un lavoro agricolo che, sostiene il gruppo dirigente di Slow Food, di

anno in anno diventa a sempre minor valore aggiunto. Il congresso di Napoli rappresenta quindi

un punto di non ritorno, senza il quale il primo grande incontro di Terra Madre a Torino del

2004 non sarebbe probabilmente potuto succedere.

L'associazione guidata da Carlo Petrini ha saputo nel corso degli anni interpretare e calibrare la

propria azione politica in funzione degli interlocutori e dei momenti storici. Sul versante

istituzioni locali Slow Food sperimenta positive sinergie, complice anche il nuovo

protagonismo degli enti locali seguito alla riforma legislativa per l'elezione diretta di sindaci e

presidenti di provincia, nonché al rinvigorito ruolo istituzionale delle regioni. Già si è detto

della Regione Toscana, ma anche la Regione Piemonte è già dai primi anni novanta un

interlocutore privilegiato: con questa si organizza il primo Salone del Gusto di Torino (1996) il

cui successo porterà a successive edizioni fino ai giorni nostri. Occorre anche ricordare che a

partire dal 1999 alcuni amministratori locali italiani avevano chiesto all'associazione un'idea

per “traslare” la filosofia di Slow Food e dell’ecogastronomia a livello di comunità locali. Tra

questi: Paolo Saturnini, allora sindaco di Greve in Chianti, ma l'idea fu fatta propria dai sindaci

di Bra Francesco Guida, di Orvieto Stefano Cimicchi e di Positano Domenico Marrone. L'idea,

raccolta da Petrini, aveva fatto nascere il movimento Città Slow, che da statuto promuove la

qualità della vita e i prodotti agricoli degni di tutela, professando anche una sostenibilità urbana

e uno sviluppo urbano in chiave “slow”. Sono banditi fast food e sexy shop, le nuove

tecnologie vengono declinate a favore ad esempio del sostegno delle tradizioni agricole locali e

della salvaguardia paesaggistica. I sindaci delle Città Slow s’impegnano mantenere le

caratteristiche del territorio, a incentivare un'agricoltura tradizionale senza l’uso dei metodi

transgenici e che dia occasioni di incontro diretto tra produttori e consumatori. L’idea è in

definitiva coniugare ecogastronomia al vivere quotidiano, celebrare la lentezza come valore,

tutelare la salute dei cittadini, valorizzare le tradizioni, riscoprire la genuinità dei prodotti e

della buona cucina, tornare alla vita delle piazze, dei teatri, delle botteghe e dei caffè. Le

sincere intenzioni degli amministratori hanno altresì un risvolto pragmatico, quello di

rivitalizzare la vita economica delle rispettive cittadine stringendo un legame forte e costante

con la rete Slow Food, e utilizzando questa come leva di attrazione - turistica e non solo - per le

proprie città. Il movimento Città Slow, che nel frattempo ha aggiornato lo statuto, ha anche

insediato un comitato scientifico e soprattutto è presente anche all'estero, si definisce oggi “rete

internazionale delle città del buon vivere” e conta oggi circa 125 municipalità tra italiane ed

europee.

Nel corso degli anni Slow Food ha saputo coltivare con abilità la “trasversalità politica” dei

propri interlocutori. Alle già citate Regioni Toscana e Piemonte, come pure ai rapporti con la

Regione Veneto di cui si parlerà in seguito, ai già citati rapporti editoriali con alcune, la

costante della politica Slow Food è stata quella di contaminare e permeare ambiti sociali e

livelli politico istituzionali fra loro differenti. La svolta ecologista maturata tra la fine degli anni

'90 e i primi anni del ventunesimo secolo ha fatto di Slow Food una delle forze sociali più

attive sul fronte ambientale, a partire proprio dall'agricoltura. La questione agricola passa per la

riscoperta di un'agricoltura biologica che ha nell'assenza di additivi chimici e nel rispetto del

ritmo delle stagioni la ragione prima e intima del suo essere. Anche in questo caso l'azione di

Slow Food, resa possibile operativamente dalla Fondazione per la Biodiversità, parte dalla

consapevolezza che la scienza e la ricerca in agricoltura, cui l'associazione non è

pregiudizialmente contraria, essendo prevalentemente finanziate da grandi aziende e

multinazionali sono di fatto al loro servizio. Pertanto secondo Slow Food è indispensabile una

di presa di coscienza e informazione nei confronti di agricoltori e allevatori, affinché il loro

lavoro sia rispettato, tutelato e maggiormente valorizzato, anche da un punto di vista di valore

economico e di prezzi. Un'agricoltura sana e tipica, il “pulito” della triade petriniana, va nella

direzione della tutela di quelle identità del cibo che sono valore simbolico ma anche equilibrio

socioeconomico per un paese o per una comunità. In questo senso va letta la battaglia che nel

1999 Slow Food ingaggiò contro i divieti introdotti dalle normative europee HACCP. Slow

Food raccolse circa 300 mila firme in difesa del patrimonio enogastronomico italiano,

chiedendo appunto la revisione del regolamento europeo HACCP, sostenendo che lo scopo di

quel regolamento non era la tutela della qualità ma l'omologazione di regole e divieti. In quel

caso Slow Food si comportò come sindacato delle pratiche agricole tradizionali, portando in

sede di Unione Europea la necessità di un marchio comunitario in grado di tutelare, senza costi

esosi e fuori dalla portata dei piccoli artigiani, le piccole produzioni tradizionali a rischio di

estinzione.

Ancora, nel 2001 Slow Food ha lanciato la campagna “No Gm Wines” contro la

commercializzazione in Europa di viti transgeniche, mentre nel 2007 ha aderito alla coalizione

ItaliaEuropa – Liberi da ogm attraverso un referendum popolare con più di 3 milioni di firme

raccolte. Ma a differenza dei movimenti anti-globalizzazione, siano questi più o meno radicali,

pur mostrando visioni non troppo distanti su alcuni temi (ad esempio sugli Ogm) Slow Food ha

sempre preferito la via del dialogo e le partnership attive con le istituzioni interlocutrici. Slow

Food ha cioè saputo capitalizzare il sentimento anti globalizzazione pur mantenendo le distanze

da estremismi ed estremisti, sperimentando e diffondendo buone pratiche, ponendosi sempre

come interpreti di una domanda socio cultural gastronomica legata alla riscoperta del gusto e

dei prodotti tipici.

Parafrasando un celebre slogan ambientalista si può affermare che Slow Food abbia seguito una

filosofia del “pensare politicamente, agire socialmente”. L'associazione ha sempre apertamente

condannato una globalizzazione intesa come dominio sull'uomo da parte dei mercati, della

finanza e dell'omologazione dei gusti e dei saperi. Alla globalizzazione, che per definizione è

un fenomeno subìto e vessatorio, Slow Food ha contrapposto il “globale” inteso come alleanza

transnazionale di persone e comunità. Slow Food e Terra Madre si propongono come rete

internazionale di persone che “pensano globale” ma agiscono a livello locale. Oggi Slow Food

International associa quasi 100 mila persone che vivono in 132 paesi del mondo. Cibo, cultura,

qualità e piacere sono idee condivise ma che possono avere un'infinita gamma di percezioni,

interessi e sfumature diverse tra gli stessi associati. Una diversità e una consapevolezza che

testimoniano la ricchezza del movimento ma anche la difficoltà di trovare una sintesi comune e

unificante ai vari processi in atto per un'organizzazione internazionale che porta un nome

inglese, che ha sede centrale e cuore pulsante in un paese industrializzato come l'Italia dove

attinge la sua forza sociale ed economica. Un’organizzazione peraltro orientata ad esportare

sempre più idee, pratiche e sostenitori in paesi del sud del mondo.

2.3. LA COSTRUZIONE DELLA RETE COMMERCIALE

Analizzandone la storia dell'azione politica, Slow Food si rivela essere un'organizzazione

modulare e multitasking. Primo: ha condotto battaglie politiche (già citate) alla stregua di

grandi organizzazioni sociali quali Coldiretti o Legambiente, insieme con le quali ha messo in

atto azioni di lobby; secondo: ha promosso una strategia di comunicazione paragonabile a

quella delle più grandi e strutturate organizzazioni non governative americane o inglesi, in

termini di continuità, professionalità, semantica e investimenti; terzo: si è organizzata sul

territorio sul modello di un partito politico, con circoli territoriali di base, secondo e terzo

livello di rappresentanza, responsabili di settori e dipartimenti, con un continuo impegno nel

reclutamento di simpatizzanti e sostenitori; quarto: ha lavorato come una fondazione culturale

in fatto di educazione al gusto; quinto: ha contribuito alla costruzione di una rete di soggetti

commerciali per i quali si è posto come advisor; sesto: ha agito e continua ad agire, in

particolar modo attraverso la Fondazione per la Biodiversità e Terra Madre, come sindacato dei

contadini, dei produttori e dei consumatori.

Già si è detto delle battaglie politiche e della comunicazione. Nel primo capitolo si è parlato

dell'organizzazione territoriale italiana e della nascita delle prime associazioni nazionali

all'estero, cresciute ulteriormente negli ultimi anni. Affronteremo ora una questione cruciale per

Slow Food, la creazione di un articolato sistema di relazioni istituzionali e sponsorizzazioni

che, pur avendo giovato non poco alla crescita del sistema Slow Food, non possono non destare

alcuni interrogativi di fondo. Slow Food Italia è una onlus senza fini di lucro che controlla due

società a responsabilità limitata: Slow Food Editore srl e Slow Food Promozione srl. Mentre

Slow Food Editore edita guide e pubblicazioni di carattere prevalentemente di educazione al

gusto e di informazione al consumatore, Slow Food Promozione è il vero e proprio braccio

economico operativo di Slow Food. A questa srl spetta il compito di organizzare i grandi eventi,

in primis il Salone del Gusto ma anche Slow Cheese, Slow Fish e altri, ma soprattutto la

vendita di spazi pubblicitari nelle pubblicazioni editoriali e la raccolta fondi da

sponsorizzazioni. Provvedere alle sponsorizzazioni necessarie a sostenere attività ordinarie e

straordinarie, iniziative, eventi e pubblicazioni rappresenta, per il sistema Slow Food e per le

sue caratteristiche, molto di più di una normale attività commerciale o di raccolta fondi: le

sponsorizzazioni sono l'autentico capitale sociale del sistema Slow Food, il punto di contatto tra

organizzazione e sistema delle imprese. In ultima analisi, Slow Food Promozione srl opera

parallelamente all'attività di pubbliche relazioni dei vertici di Slow Food, ovvero raccoglie

(fondi) dove i vertici seminano (idee, relazioni).

Come descritto nel primo capitolo del presente lavoro, alla base della piramide ci sono i

Convivia, ovvero i gruppi locali, e i loro leader che lavorano su base volontaria e peraltro

motivo di vanto da sempre per i vertici di Slow Food. In realtà, benché non stipendiati, i

Convivium leader hanno diverse possibilità per ottenere dei rimborsi spese per il loro lavoro.

Per partecipare agli eventi di degustazione sia i soci sia i non soci pagano una quota, che varia

dai pochi euro per gli incontri più semplici (in termini di prodotti o di complessità

organizzativa) agli oltre cento euro per degustazioni verticali di vini pregiati: ecco dunque che

il responsabile della condotta locale è legittimato a trattenere rimborsi spesa per il lavoro

organizzativo svolto. Al tempo stesso le aziende produttrici locali hanno interesse ad

accreditarsi presso Slow Food, per cui forniscono gratuitamente o a prezzi di costo i loro

prodotti. Si crea quindi un circuito di valore, sociale e ovviamente commerciale, che soddisfa

tutti, dai soci ai produttori passando per i responsabili locali di Slow Food. Analogamente, i

Convivium leader sono anche gli estensori di recensioni per le guide Slow Food, in particolare

per quella delle osterie e quella dei vini, che sono anche le più diffuse. È facile intuire che il

comparire su una guida Slow Food rappresenti un endorsment formidabile per una piccola

azienda alimentare o per una trattoria, e che queste abbiano tutto il legittimo interesse ad essere

recensite poiché vedono aumentare notevolmente il proprio giro d'affari. Le guide sono infatti

vendute in decine di migliaia di copie, in particolare Osterie d'Italia e quella Guida ai vini

scritta per oltre vent'anni insieme al Gambero Rosso Editore, da cui un recente “divorzio” che

prelude ad un nuovo accordo con Giunti Editore. Se dunque una “raccomandazione” targata

Slow Food è in grado di ampliare notevolmente il mercato e i margini di profitto, ogni

recensione è riconosciuta economicamente al suo estensore, di solito il Convivium leader, il

quale diventa nel tempo sulla piazza locale un “food opinion leader”. Con la crescita del

movimento e delle sue relazioni, questo rappresenta un fattore di oggettiva competitività:

organizzare un evento insieme a Slow Food comporta, per chi ne è promotore, ad esempio un

Comune o una Camera di Commercio, dei costi fissi d'ingresso dovuti all'utilizzo del marchio

della chiocciolina. Perché questo? Perché il brand Slow Food è sempre più conosciuto e sempre

più associato dai consumatori a cibi locali di qualità. In questo caso, Slow Food Promozione

capitalizza la capacità di comunicare l'evento a una platea potenziale di decine di migliaia di

associati. Il meccanismo divulgativo promozionale sopra descritto risulta proporzionale o alla

disponibilità economica dell'azienda, del ristorante o del Comune oppure alla sua capacità di

entrare in relazione con il mondo Slow Food. La guida alle osterie adotta dei criteri di selezione

- il prezzo finale sotto i 35-40 euro, unito naturalmente alla qualità del cibo e al rispetto di altri

valori Slow Food – che lasciano intendere margini di discrezionalità nella scelta di recensire un

ristorante.

Slow Food International pubblica sul proprio sito web un vademecum per la raccolta fondi, le

Fundraising guidelines. Il documento esordisce dicendo che le linee guida per la raccolta fondi

si applicano all'associazione ma hanno valore anche per le istituzioni ad essa collegate;

prosegue dicendo che nessuno membro dell'associazione, eletto o incaricato, può trarre benefici

economici o richiedere percentuali sui fondi raccolti; quindi afferma che tra gli obiettivi del

fundraising c'è la creazione di legami forti e duraturi, e che l'aspetto commerciale non deve

“predominare”. Ricordando che è preferibile che nessuna attività di Slow Food sia finanziata

per un importo annuo superiore al 20% da un singolo finanziatore, vengono esposte le due

principali linee guida: la prima, che nessun sostenitore di Slow Food può condizionarne attività,

impegno, filosofia e politiche; la seconda, che nessuna azienda può essere sostenitrice di Slow

Food se in contrasto con la filosofia e le azioni dell'associazione. Interessanti alcune delle 14

linee guida che seguono le due portanti. Alla numero 2 si afferma che nella valutazione di un

potenziale sostenitore non è necessaria un'aderenza totale alla filosofia Slow Food, perché

questo vorrebbe dire quasi non avere sostenitori, bensì il sostegno alla maggioranza o ad una

parte rilevante delle attività associative. Alla numero 3 è menzionato il rispetto all'impatto

sociale e ambientale, nella numero 5 si considerano “non sostenitori” quelle aziende che

diffondono “false affermazioni” su cibo, Ogm, costi di produzione, latte crudo, ecc. Alla

numero 6 si impone grande cautela alle cosiddette multinazionali, per le quali, “se possibile”

dovrebbero non essere accettate come sostenitori. Alla numero 7 si richiede alle aziende del

food & beverage standard di prodotto non bassi o medio-bassi, nella numero 8 è richiesto come

preferibile, per le aziende alimentari, l'utilizzo di ingredienti sostenibili e il non utilizzo di

conservanti, olii idrogenati, coloranti, ecc. e che in ogni caso nessuna sponsorizzazione

(numero 11) stabilisce esclusività per il settore tra l'associazione e il sostenitore, tranne nel caso

di singoli eventi.

Un disciplinare così dettagliato in materia di raccolta fondi evidenzia due aspetti: l'importanza

dei fondi per la vita dell'organizzazione e la necessità di normare nel modo più preciso

possibile, forse memori di errori o sottovalutazioni del passato, una materia così delicata e

vitale. In effetti, scorrendo la lista delle aziende sostenitrici di Slow Food o sue emanazioni, ad

esempio l'Agenzia di Pollenzo ove ha sede l'Università di Scienze Gastronomiche, qualche

problema di gestione di finanziatori e sostenitori pare esserci stato: l'Agenzia di Pollenzo è

infatti una società per azioni a capitale misto pubblico e privato con 375 azionisti, di cui 356

privati, ed essendo una buona parte di questi soci privati delle piccole o medie aziende nel

settore alimentare o enologico, non è difficile immaginare che possano insorgere contrasti o

controversie. Per quanto già sopra affermato, essere nell'orbita Slow Food è un fatto

commercialmente rilevante per un'azienda agroalimentare, e non solo, prova ne è che i prodotti

segnalati e valorizzati da Slow Food vedono incrementare il loro valore di circa il 30%.

La pluriennale strategia di costruzione di una rete di interlocutori commerciali da parte di Slow

Food, poiché una gestione diretta del marchio sarebbe stata azione non compatibile con la

natura no profit dell'associazione, passa anche attraverso accordi con la cosiddetta Gdo, la

grande distribuzione organizzata. Coop Italia è oggi il primo player della grande distribuzione.

I primi contatti tra Coop Italia e Slow Food sono datati 1999. In quegli anni Coop stava

studiando un nuovo format per i suoi 4200 supermercati, i negozi della spesa quotidiana che

hanno una filosofia diversa rispetto agli ipermercati della spesa periodica e quantitativamente

superiore. L'esigenza di Coop era anche quella di individuare prodotti nuovi, possibilmente di

qualità più alta e più vicini al territorio. Ecco dunque che nell'aprile 2001 Coop Italia e Slow

Food siglano un accordo per la salvaguardia delle produzioni dei Presidi (all'epoca erano

ancora chiamati i Prodotti dell'Arca) con l’obiettivo di offrire a questi prodotti una seria

opportunità commerciale, dando così ai piccoli produttori l’opportunità di proseguire l’attività e

contribuire alla salvaguardia di quella piccola, ma importante parte del patrimonio

agroalimentare italiano, altrimenti destinato all'estinzione. Coop Italia sottoscrive inoltre un

contributo in favore della Fondazione per la Biodiversità creata da Slow Food e pubblica in

proprio L'Italia dei Presìdi, con prefazione del presidente Vincenzo Tassinari, una guida che

suggella la sinergia con Slow Food. In concreto alcuni supermercati ospitano promozioni

commerciali di breve durata (alcuni giorni) con un numero limitato di produzioni da assaggiare

ed acquistare. La risposta del mercato è buona per i formaggi e per i salumi, meno buona per i

prodotti ortofrutticoli: la ragione è da ricercare in una più accessibile divulgazione, o

dimensione del racconto, per formaggi e salumi rispetto ai prodotti della terra. Coop Italia e

Slow Food collaboreranno anche nella già citata campagna contro gli Ogm in cui verranno

raccolte tre milioni di firme, per un rapporto che dura tutt'ora. Un rapporto importante per

entrambe le realtà, segnato da una leale collaborazione e non senza punte di disaccordo: quando

Coop Italia propone a Slow Food l'istituzione di un tavolo permanente di confronto sui prodotti

da Bra arriva un garbato rifiuto. Anche il tema del controllo di qualità dei prodotti, che vide un

dibattito interno a Slow Food, ha portato a esiti negativi. Slow Food non ha mai ritenuto di

divenire ente certificatore dei prodotti dei Presidi, né direttamente né attraverso una propria

consociata. Inoltre Slow Food ha sempre dichiarato, pur evitando accuratamente ogni rigidità

ideologica o preconcetta, un'avversione al sistema delle grandi aziende agroalimentari e della

stessa grande distribuzione, assecondando apertamente l'idea che “piccolo è buono” e della

valorizzazione delle imprese artigianali o comunque di dimensione medio piccole, richiedendo

correttezza nei passaggi di filiera e grande intransigenza sulla qualità. È del tutto evidente il

grande valore sociale che il sostegno alle piccole produzioni locali comporta in termini di tutela

della biodiversità, ma altro discorso è la qualità nutrizionale organolettica: Slow Food non si è

mai spinta oltre la consulenza dei propri esperti, lasciando a terzi il ruolo di ente certificatore

dei prodotti sotto un profilo igienico sanitario necessario per la loro commercializzazione. A

questo si aggiunge il problema che alcuni dei Presidi, oggi 177 in Italia, sono anche prodotti

Dop o Igp, tutelati da appositi consorzi e con i quali Slow Food ha dovuto relazionarsi onde

evitare pericolosi fraintendimenti: basti pensare al Culatello di Zibello dop, alla Mortadella

classica dop o al Pane di Altamura dop.

Se dunque Slow Food ha dimostrato una notevole capacità di porsi come garante fiduciario tra

produttori, commercianti e consumatori, essa ha sempre lavorato sulla dimensione

comunicativa, emotiva e narrativa dei prodotti. Non si è mai “sporcata le mani” con operazioni

commerciali direttamente gestite, pur avendo queste operazioni rappresentato un'indubbia fonte

di ricavi per l'intera organizzazione. Slow Food si è scelta un ruolo di divulgazione e

suggerimento, e nonostante un lungo dibattito interno in materia di certificazione dei prodotti,

ha sempre ritenuto di non scendere sul terreno della gestione diretta delle iniziative da lei

promossa.

2.4 LA COSTRUZIONE DELLA RETE ISTITUZIONALE

Fin dalle origini del movimento, l'attività editoriale di Slow Food Editore ha ricercato nuovi

contenuti da divulgare, in un'opera costante di arricchimento e diversificazione dei settori, delle

tipologie di pubblico. Degno di interesse è anche la Banca del Vino, una cooperativa nata con

lo scopo di “costruire la memoria storica del vino italiano”. Ha sede presso l’Agenzia di

Pollenzo, ed è una “suggestiva vetrina enologica” ove è possibile conoscere l’Italia dei grandi

vini: in pratica un museo visitabile del vino che – con l'intento di promuovere l’immagine e la

cultura enologica – raccoglie un patrimonio di oltre 100 mila bottiglie appartenenti a 300 delle

migliori aziende vitivinicole nazionali. Se dunque l'idea di racchiudere l'intera Italia del vino in

un'unica immensa cantina è senza dubbio molto affascinante, la Banca del Vino è anche un

grande punto vendita, è un negozio on line, è una cooperativa che raccoglie soci e sostenitori,

pertanto uno strumento di pubbliche relazioni, ed è anche un centro di documentazione e

divulgazione per le attività editoriali. Ecco quindi che un solo luogo fisico, e una sola società

cooperativa, possono assolvere più funzioni.

Tuttavia è Eataly il più grande e riuscito “spin off” commerciale del mondo Slow Food. Il

progetto Eataly ha preso il via nel 2004 e l'apertura del primo centro Eataly - 11mila metri

quadrati nel cuore di Torino - è avvenuta il 30 gennaio 2007. In soli tre anni Eataly si è

imposto, in Italia e nel mondo, come format commerciale vincente e imprescindibile

benchmark per l'enogastronomia di qualità. Eataly è una collezione completa di prodotti di alta

e altissima qualità in un unico spazio: qui i prodotti possono essere degustati, consumati e

acquistati. Uno spazio che coniuga vendita e cultura attraverso le eccellenze enogastronomiche

italiane, comunicando le storie e i marchi del meglio dell’enogastronomia italiana. Eataly è

anche corsi di educazione alimentare, corsi di cucina, spazi per meeting aziendali, il tutto

articolato in più aree tematiche e ristorazione, suggellato da un grande successo di pubblico e

consenso trasversale della critica nazionale.

Sul sito di Eataly si legge che “Slow Food svolge nei confronti di Eataly il ruolo di consulente

strategico, con il compito di controllare e verificare che la qualità dei prodotti proposti sia

sempre all'altezza delle promesse e che i produttori, entrati a far parte del novero di Eataly,

non compromettano la qualità della loro produzione per soddisfare una domanda crescente dei

loro prodotti”. Ecco dunque che la filosofia di Slow Food del cibo di qualità trova in Eataly la

sua concreta e esteticamente grandiosa realizzazione. Ma tra i capisaldi di Slow Food c'è anche

il mangiare locale, che è anche il claim del Terra Madre Day del 10 dicembre 2009, e questo

stona decisamente con l'idea di un grande contenitore in grado di raccogliere il meglio del

meglio del cibo e del vino italiano, in quanto esso va nella direzione esattamente contraria alla

filosofia della filiera corta e dei cibi a chilometri zero predicata a Bra. In altre parole, se un

consumatore deve raggiungere un punto vendita Eataly per poter degustare il meglio delle

produzioni locali, dove i cibi hanno viaggiato centinaia di chilometri (contribuendo ad

inquinare) per essere esposti sugli scaffali di Eataly, non si può non notare una discrasia tra

questi due mondi, Eataly e Slow Food, che pure collaborano così intensamente. Sul sito

istituzionale di Eataly, si legge che “la connaturata limitatezza delle materie prime a

disposizione, perché esse non possono essere trasportate troppo lontano, ma soprattutto perché

incrementare in maniera significativa l'attività dei piccoli produttori significherebbe al

contempo comprometterne la perfetta integrazione con ambiente e umanità locali. Si tratta di

un'annosa questione davanti alla quale si trova chi, come Eataly, intende promuovere la

democratizzazione della qualità alimentare e che rende tanto ambizioso quanto difficile un

progetto di questo tipo”. Quindi, prosegue il sito, “per affrontare con successo queste

problematiche Eataly tiene costantemente presenti questi rischi, ponendosi in un atteggiamento

esattamente opposto a quello adottato dalle economie di scala e dal business in generale: in

sostanza la ricerca verte sempre sullo sviluppo e non sulla crescita, facendo della qualità il

concetto alla base di ogni attività gastronomica dalla produzione, alla distribuzione, al

consumo. Ed è proprio in questo senso che il ruolo di Slow Food, quale garante della coerenza

di strategia, si palesa in tutta la sua importanza. E' necessario saper gestire e governare i

limiti della qualità - figli di una complessità che rispecchia tanto il mondo globalizzato in cui

viviamo, quanto la profonda multidisciplinarità della gastronomia stessa - e non cercare a tutti

i costi di superarli o aggirarli, facendo attenzione a non crearne di nuovi”. Slow Food fornisce

quindi consulenza a Eataly affinché il sistema della grande distribuzione organizzata non

“strangoli” l'idea petriniana del cibo buono, pulito e giusto.

In realtà il rapporto tra Slow Food e Eataly ha radici profonde e vive su tre grandi punti di

forza: primo, l'ideatore e presidente di questo centro commerciale, Oscar Natale Farinetti, oltre

ad essere un imprenditore di successo, è anche amico di lunga data con Carlo Petrini, è

conterraneo e persona fidata; secondo, questo grande negozio dedicato ai prodotti

enogastronomici di qualità in abbinamento a ristoranti tematici è figlio, per dichiarata

emulazione, del modello organizzativo del Salone del Gusto; terzo, Eataly concede spazi,

visibilità e commercio ai prodotti dei Presidi Slow Food, dalla cui vendita se ne ricavano

percentuali a finanziare l'attività della Fondazione per la Biodiversità onlus. Se dunque Eataly

nasce con alle spalle vent'anni di Slow Food, è proprio grazie al know-how maturato negli anni

che Eataly ha potuto diventare il principale sbocco commerciale per i prodotti dei Presidi.

Un'operazione vincente a livello di pubblico e di critica in cui Slow Food e Eataly si sono

sostenute vicendevolmente, legittimandosi reciprocamente, un'operazione che ha saputo unire

la duplice dimensione del cibo, quella del consumo a quella del racconto, che è poi la più

grande utopia concreta immaginata da Carlo Petrini per il suo movimento. Slow Food ha inoltre

fornito a Eataly numerose consulenze e attività di lobbying. Solo grazie a Slow Food fu

possibile arrivare ad avere lo storico stabilimento Carpano di via Nizza a Torino, a pochi passi

dal Lingotto, oggi ristrutturato e divenuto sede di Eataly Torino. In secondo luogo Slow Food

ha garantito prodotti e know how ma soprattutto ha fornito a Eataly personale qualificato.

Slow Food riconosce nei fatti un'esclusiva di vendita a Eataly per quanto concerne i prodotti

dei Presìdi italiani, come già sperimentato con Coop Italia e analogamente a quanto accade in

Svizzera, dove la potente Coop Svizzera commercializza i prodotti dei Presìdi svizzeri con

tanto di chiocciolina originale di Slow Food, in aperto contrasto con la Carta di Utilizzo dei

Marchi Slow Food che vieta ogni utilizzo commerciale del logo istituzionale del movimento.

Peraltro i Presìdi italiani dispongono dal 2009 di un marchio appositamente registrato per la

loro commercializzazione, marchio di cui Slow Food è proprietaria del marchio e concesso ai

Presidi previo il rispetto delle regole (il cui mancato rispetto porta alla revoca dell'uso).

Uno dei motivi principali che suggellano l'alleanza tra Carlo Petrini e Oscar Farinetti risiede

nell'Agenzia di Pollenzo, dove trovano oggi sede l'Università delle Scienze Gastronomiche, la

Banca del Vino, l'Albergo dell'Agenzia e dove si è trasferito da alcuni anni il ristorante Guido,

uno dei più noti in tutto il Piemonte, presente oggi anche all'interno di Eataly Torino. L'Agenzia

di Pollenzo è una società per azioni creata nel 1998 da Slow Food per gestire il patrimonio

immobiliare e per farne la sede di molteplici iniziative. Finanziata con 6 miliardi di lire dalla

Regione Piemonte grazie una legge regionale ad hoc l'Agenzia ha avviato la ristrutturazione del

grande patrimonio immobiliare, trovandosi ben presto nella necessità di ricapitalizzare. Il 28

maggio 2004 Oscar Farinetti diventa su proposta di Carlo Petrini Presidente del CdA

dell'Agenzia di Pollenzo spa, società a capitale misto pubblico-privato, attraverso cui Slow

Food gestisce l’Università di Scienze Gastronomiche, la Banca del Vino, l’Albergo

dell’Agenzia e altre attività ad essa collegate. Quella stessa Agenzia che era nata sotto un forte

impulso delle istituzioni (Regione Piemonte e Comuni piemontesi in primis) diventa a

maggioranza privata nel 2004 con l'ingresso dei capitali di Oscar Farinetti, che ne assume

appunto la presidenza. L'Agenzia di Pollenzo che era stata inaugurata solo un mese prima, il 30

aprile 2004, alla presenza dello stato maggiore Slow Food e di autorità politiche, esponenti

politici di primo piano e esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo.

2.5. L'UNIVERSITA' DI SCIENZE GASTRONOMICHE

L'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche nasce ufficialmente nel 2004, benché come

si è visto nel primo capitolo del presente lavoro, l'idea risale a circa una decina di anni prima.

Voluta da Slow Food con il sostegno economico di Regione Piemonte e Regione Emilia-

Romagna, che ne sono soci fondatori, l'Università si propone di diventare “un centro

internazionale di formazione e di ricerca, al servizio di chi opera per un'agricoltura rinnovata,

per il mantenimento della biodiversità, per un rapporto organico tra gastronomia e scienze

agrarie”.

Sotto il profilo didattico e della ricerca l'Università di Pollenzo, con sede secondaria a Colorno,

intende creare la nuova figura professionale del gastronomo, una figura capace di lavorare in

modo trasversale tra produzione, distribuzione, promozione e comunicazione

dell'agroalimentare. L'Università prepara “i futuri esperti di comunicazione, divulgatori e

redattori multimediali in campo enogastronomico, addetti al marketing di prodotti

d'eccellenza, manager di consorzi di tutela o di aziende del settore agroalimentare o di enti

turistici” grazie alla complementarietà tra formazione umanistica e formazione scientifica e

all'esperienza diretta dei processi artigianali e industriali di produzione del cibo. Da un punto di

vista organizzativo l'Università ha una forte impostazione di matrice anglosassone. Oltre

all'esame di ammissione crea una barriera indiretta d'accesso in virtù di elevate rette di

frequenza, circa 13mila euro annui cui vanno aggiunti potenziali 6mila euro per vitto e

alloggio. L'offerta complessiva riguarda una laurea triennale, una laurea magistrale (biennale) e

due master, di durata annuale e in lingua inglese, entrambi presso la sede di Colorno in

provincia di Parma: il Master in Food Culture and Communications e il Master in Italian

Gastronomy and Tourism. Molta importanza è data alla dimensione comunicativo semantica del

cibo, una dimensione narrativa che si esplicita ad esempio con la collaborazione con la Scuola

Holden di Torino per un laboratorio di scrittura rivolto agli studenti del triennio. L'università

offre agli studenti un servizio di tutor, offre un servizio di counseling per studenti che

manifestano eventuali forme di disagio e un servizio di job placement per l'inserimento dei neo

laureati nel mondo del lavoro. A tutto questo si uniscono molteplici collaborazioni

internazionali con Università e aziende, stage, e un'associazione Amici dell'Università che

raccoglie un vastissimo numero di aziende in prevalenza dell'agroalimentare che sostengono

direttamente il giovane ateneo.

Sotto il profilo giuridico è un'università non statale legalmente riconosciuta dallo stato italiano,

e l'iter che ha condotto a questo riconoscimento non è stato lineare e ha richiesto diversi anni

di lavoro. Dopo la già citata legge regionale con cui la Regione Piemonte entra nell'Agenzia di

Pollenzo segue, due anni più tardi, una delibera regionale che eroga a Slow Food circa 60mila

euro per uno studio di fattibilità di una università di scienze gastronomiche all'interno

dell'Agenzia di Pollenzo. Nel 2002 Piemonte ed Emilia Romagna firmano un protocollo

d'intesa con cui “individuano nell’Associazione Slow Food, il partner idoneo sul territorio

nazionale a concorrere con le Regioni stesse alla realizzazione dell’Università di Scienze

Gastronomiche”. Nel 2003 la Regione Emilia-Romagna aderisce alla nascente associazione

degli Amici dell'Università, altrettanto fa la Regione Piemonte. L'opposizione principale al

riconoscimento della nascente Università viene proprio dal mondo accademico: quattro

importanti atenei emiliani - Bologna, Ferrara, Modena/Reggio Emilia e Parma - riunitisi il 20

febbraio 2004 per discutere della nuova Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e

Colorno, deliberano in modo unanime il parere negativo all’iniziativa. I quattro Atenei

deliberano l’attivazione in comune di un corso di laurea interateneo in “Scienze

gastronomiche” (classe 20 di Scienze Agrarie) e collocato presso la Facoltà di Agraria

dell’Università di Parma. Gli atenei ricordano inoltre che “la Scuola Internazionale di Cucina

Italiana, A.L.M.A., alla quale partecipa l’Università di Parma, operante presso la Reggia di

Colorno, svolge un’apprezzata attività di alta formazione professionale ed è cosa ben diversa

e indipendente da quanto prospettato nella suddetta richiesta di istituzione dell’Università di

Scienze Gastronomiche”. Seguono anche interrogazioni parlamentari ai Ministri Moratti

(Università) e Alemanno (Politiche agricole) per fermare la nascita dell'Università di Slow

Food. Al contrario a Torino, a marzo 2004, il Comitato Regionale per il Coordinamento

Universitario della Regione Piemonte presieduto da Rinaldo Bertolino rettore dell’Università

di Torino, esprime parere positivo alla richiesta di Università non Statale legalmente

riconosciuta per l’Università di Scienze Gastronomiche. Il Ministro dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca, Letizia Moratti si presenta a Pollenzo il 5 luglio 2004: “Sono

lieta di annunciare che il Comitato nazionale di Valutazione del MIUR ha dato parere positivo

al riconoscimento ufficiale dell’Università di Scienze Gastronomiche come università privata

non statale.” Il Ministro ha inoltre affermato: “ Ho visto in questa proposta elementi che

dovrebbero essere distintivi per tutto il sistema universitario italiano: il raccordo con il

territorio, come motore sociale ed economico; la multidisciplinarietà, che garantisce la

riduzione ad unicum di saperi oggi troppo parcellizzati; l’internazionalità, che garantisce

mobilità agli studenti e capacità per l’ateneo di farsi elemento catalizzatore di talenti.”

Ringraziando il Ministro, le Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, le istituzioni e i

finanziatori, raccolti nell’Associazione Amici dell’Università, per aver creduto in un progetto

fino a pochi anni prima impensabile, Carlo Petrini ha rivendicato con orgoglio il primato

dell’Università di Scienze Gastronomiche: “Apriremo la strada per l’Italia e il mondo intero, e

costruiremo un’Università che sarà un elemento di eccellenza per il sistema Italia e per la sua

immagine nel mondo. Siamo pronti a partire in ottobre con il Corso di Laurea in Gastronomia

ed è già in cantiere il Corso di Laurea in Agro-ecologia, che avrà l’obiettivo di dare centralità

all’economia primaria, quella degli agricoltori”.

Pur contribuendo all'arricchimento dell'offerta universitaria nazionale con un ateneo innovativo

nella didattica e fortemente connotato dai valori di Slow Food, resta che un “gastronomo”

laureato a Pollenzo o Colorno abbia un titolo che sul mercato del lavoro non è equiparato al

titolo di cuoco o di tecnologo dell'alimentazione, e non esistendo oggi in Italia un Albo dei

gastronomi, i laureati possono sostenere l'esame di stato per agrotecnico. I principali sbocchi

professionali per i laureati sono o all'interno del mondo Slow Food e delle società collegate

oppure nel campo della comunicazione, del marketing e della divulgazione di prodotto.

2.6. SLOW FOOD, LA POLITICA E GLI INTERROGATIVI APE RTI

In un'intervista rilasciata al quotidiano “Il Sole 24 Ore” nel giugno 2009 Carlo Petrini

anticipava una sua uscita dal movimento da lui fondato, dichiarandosi “al capolinea” e

affermando che il movimento è forte e radicato e che dove non è arrivato lui altri suoi

successori potranno arrivare. La forza del mondo Slow Food è stata anche questa, la capacità di

sapere veicolare la forza dei leader facendola apparire tranquilla, condivisa, collettiva. In realtà,

analizzando Slow Food da un punto di vista squisitamente organizzativo, si notano alcuni punti

che danno adito a dubbi. Slow Food è nata e resta un'organizzazione italiana e italo centrica. A

fine 2008 il “peso” italiano in seno a Slow Food Internazionale è superiore al 40% in termini di

soci iscritti, ma ancora più forte è la leadership italiana tra le attività redditizie, dall'editoria ai

prodotti. Gli headquarters di tutte le principali attività del sistema Slow Food hanno tuttora

sede in Italia, come pure italiane sono le istituzioni che finanziano molte delle attività

internazionali di Slow Food. L'immagine idilliaca del movimento internazionale che cresce in

modo armonico e coeso non corrisponde alla realtà. Già si è detto della determinata richiesta di

maggiore autonomia pronunciata dai delegati tedeschi al Congresso di Napoli del 2003 e

respinta con il voto dei delegati che, data la stragrande maggioranza di non-tedeschi, non

avrebbe potuto avere esito diverso. In Francia, paese orgoglioso di una fortissima tradizione

culinaria e enologica, Slow Food non è mai decollata veramente, sia per la diffidenza rispetto al

nome inglese sia perché da sempre associata a un tentativo mascherato di esportare una “italian

way of life” non digeribile dai francesi, che pure sul loro sito web rivendicano la paternità

fondativa del movimento a Parigi nel 1989. Problema analogo è sorto negli Stati Uniti e in

Gran Bretagna, dove il movimento trova consensi in ristrette nicchie di gourmet e appassionati

di cibo straniero di qualità (nel Regno Unito conta oggi circa 2000 soci) ma difficilmente vince

la diffidenza della classe media che trova i nomi e le proposte distanti ed esotiche, come

riconosce il nuovo segretario generale di Slow Food Uk Catherine Gazzoli in un'intervista a

The Ecologist, affermando che per calarsi nell'ambiente inglese Slow Food dovrà abbandonare

le parole italiane sulla scorta di quanto avvenuto negli Stati Uniti.

Connesso all'italo centrismo c'è l'oggettiva rigidità localistica ai vertici dell'organizzazione, che

da quasi trent'anni è governata da un ristretto gruppo di persone nate a Bra: Carlo Petrini, Silvio

Barbero, Piero Sardo e Gigi Piumatti. Braidese è anche la seconda generazione dei dirigenti,

dal presidente di Slow Food Italia Roberto Burdese a Cinzia Scaffidi che dirige il Centro studi,

da Paolo Di Croce segretario internazionale fino a Carlo Bogliotti, ghostwriter di Petrini. Altra

caratteristica comune al gruppo dirigente è l'essere accomunati da studi universitari in materie

storico filosofiche, sociologiche e comunicative, in parallelo a una sostanziale assenza di

dirigenti con formazione scientifico alimentare. Un aspetto tutt'altro che secondario, segno

evidente del prevalere della dimensione narrativo-comunicativo-divulgativa in seno

all'organizzazione tale per cui l'editoria ha avuto un peso così forte a scapito della certificazione

di prodotto, che Slow Food ha sempre rifiutato di divenire. Laureato in filosofia era anche

Giacomo Mojoli, tra i fondatori di Slow Food e per otto anni vicepresidente internazionale e

per tre anni portavoce del movimento, carismatico e possibile successore “migliorista”

all'attuale presidente (per il quale forse l'essere di Lecco e non di Bra ha pesato sulla sua uscita

da Slow Food). Più in generale sorprende il fatto che un'organizzazione internazionale così

diversificata e ramificata, con quasi 100mila iscritti in 132 paesi, abbia un vertice composto da

poche persone provenienti da uno stesso paese del Piemonte.

Dall'analisi sull'universo Slow emerge un terzo interrogativo, e riguarda il valore economico

delle attività promosse dall'organizzazione conosciuta per il simbolo della chiocciolina. Uno

degli issue più forti promossi da Slow Food negli ultimi anni è la questione del prezzo versus

valore (del cibo). L'assunto di partenza è che sempre più persone a livello mondiale sono

costrette ad alimentarsi con cibi economici e di bassissima qualità, ciò ingenera una spirale di

non sostenibilità che conduce milioni di persone a malattie, fame, indigenza sociale e

ovviamente alimenta gravi problemi socioeconomici, politici e ambientali. Anche per questo

Slow Food punta il dito contro i costi nascosti del cibo, i costi ambientali in primo luogo, i costi

sociali in termini di salute e altri gravissimi problemi quali moderne forme di schiavitù e

sfruttamento. La soluzione che Slow Food propone è una rete di mercati locali con dimensioni

più piccole, un'agricoltura sociale e sostenibile, più potere ai consumatori e meno agli

intermediari, maggiori costi per il cibo e maggiori guadagni per i contadini e i produttori.

L’idea sostenuta di Slow Food è quella di un riequilibrio tra chi produce e chi consuma il cibo,

ma questo significa introdurre un controllo sociale maggiore e una nuova politica del valore per

il cibo, una politica molto più democratica relativa al valore del cibo dove i termini dello

scambio sono negoziati su una base molto più egualitaria. Solo in questo modo, per Slow Food,

si possono affrontare le disuguaglianze profonde del commercio internazionale. In ultima

analisi, per Slow Food non può essere lasciato al libero mercato lo stabilire i prezzi del cibo,

stante il “risultato della politica del prezzo basso: il cibo mangia i contadini” e ancora “quando

il prezzo è basso il valore è sminuito, diventa naturale che un prodotto si possa sprecare con

leggerezza”.

Le analisi e le predizioni di Petrini, per quanto spesso semplificate e non adeguatamente

supportate da studi scientifici, ci conducono alla domanda cardine dell'azione politica di Slow

Food: gli obiettivi di Slow Food sono sempre realmente quelli enunciati? Petrini ha parlato più

volte di “discesa in campo”, di un'associazione che è “politica e non politica”, ovvero che cerca

di raggiungere degli obiettivi mediante azioni concrete e molteplici alleanze (con i buoni

produttori, con i buoni commercianti, con gli “imprenditori intelligenti”, con le istituzioni, ecc),

cioè radicandosi nel mondo reale. Perché agli occhi di molti che vi si sono avvicinati, Slow

Food cattura l’immaginario della gente e dell’opinione pubblica con una grande narrazione del

cibo, in un mondo però virtuale e non reale. Slow Food, perlomeno nelle ricche democrazie

occidentali ove la sua presenza è storicamente più matura, è percepita con una grande

associazione di appassionati e cultori di cibo gustoso e di qualità. Slow Food rappresenta al

meglio un'idea straordinaria se non si tenesse in considerazione che solo una piccola porzione

dell'umanità avrebbe oggi risorse economiche e culturali per aderire al modello

socioeconomico prefigurato da Slow Food. Perché quanto Slow Food lascia intendere, e che ha

fatto sì che molti soci o simpatizzanti della prima ora si siano allontanati, è proprio lo squilibrio

percepito tra enunciazione e comportamento. Slow Food è un mondo “no profit” al cui interno

albergano diverse attività “for profit”, è un mondo dove tutto ha un prezzo, dalla più semplice

delle degustazioni in un Convivium locale alle più grandi kermesse come il celebre Salone del

Gusto o la tre giorni di San Francisco 2008 chiamata Slow Food Nation, dalle pubblicazioni al

merchandising. In Slow Food tutti i marchi, principali e secondari, sono depositati e tutelati,

perfino i farmers' market settimanali vanno sotto il marchio registrato di Mercati della Terra e

riconoscono royalties all'associazione, e che conseguentemente ne sostengono l'esistenza e le

attività. L'impressione che Slow Food sia qualcosa per happy few è testimoniata anche da Eric

Schlosser, già autore di Fast food Nation e acerrimo nemico del modello McDonald's, il quale

descrivendo l'atmosfera di Slow Food Nation ha parlato di “un misto di attivismo sociale e di

edonismo” ma - osserva Schlosser - “la maggioranza degli americani – i comuni lavoratori, i

poveri, le persone di colore – non hanno un posto a tavola in Slow Food. Il movimento per

l'agricoltura sostenibile deve fare i conti con il semplice fatto che non sarà mai sostenibile

senza queste persone. A dire il vero, corre il rischio di degenerare in un narcisismo edonistico

per pochi”. Un'immagine può fotografare meglio di altre la forza ma anche i limiti di Slow

Food, ed è quella che riguarda l'idea del principe Carlo d'Inghilterra di inviare suini inglesi a

Polesine Parmense per farne dei Culatelli di Zibello dop grazie alle sapienti arti di Massimo

Spigaroli e con la mediazione di Carlo Petrini. Una collaborazione culinaria che ha visto

riconosciuta la fama planetaria di Petrini, ma che non ha risparmiato critiche e ironie, come

quella di Lodovico Actis Perinetto, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori di

Torino, il quale ha scritto: “siamo strafelici del fatto che il principe Carlo apprezzi la difficile

arte della norcineria emiliana: è tutta pubblicità per l'agroalimentare italiano. Non ci indigna

più di tanto che le mezzene di maiale vengano spostate di qua e di là, perché il cibo a

chilometri zero è solamente uno spot pubblicitario e siamo abituati alla gente che predica bene

e razzola male”, e ha proseguito dicendo che i protagonisti sono “i soliti noti che non molto

tempo fa hanno riunito a Torino le comunità del cibo provenienti da tutto il mondo per

promuovere la produzione alimentare locale e sostenibile e che ci hanno spronato ad essere

parte attiva nel superamento della vergogna planetaria della malnutrizione e della fame. Non

sapevamo che si potesse condurre la lotta contro la fame anche a colpi di strolghino e

cicciolata”.

Tuttavia la gran parte delle entrate per Slow Food è rappresentata dalle sponsorizzazioni di

aziende private e istituzioni pubbliche. Come già approfondito in questo capitolo, essenziale è

stato ed è tuttora, per il movimento nato a Bra, la possibilità di garantire alle aziende la

possibilità di associare il proprio nome a quello del movimento della chiocciolina, proprio in

virtù di una sorta di legittimità buono, pulito e giusto che essa conferisce. Gli interrogativi

nascono quando a sovvenzionare le attività Slow ci sono grandi aziende i cui obiettivi non sono

di carattere sociale o ambientale o di sostenibilità, quanto meno per gli obiettivi primari. Non si

è distinta storicamente per impegno ambientale la Fiat, che a più riprese e utilizzando anche

marchi propri come New Holland, ha sponsorizzato varie edizioni del Salone del Gusto

(ospitato presso il celebre Lingotto) e le attività della Fondazione Slow Food per la Biodiversità

onlus. Un rapporto solido e che sfocia anche nell'educational, come si legge nei comunicati

stampa che “Slow Food e Fiat Auto hanno organizzato un appuntamento esclusivo dedicato alle

scuole: Scuole in Pista, passeggiata gastronomica sulla Pista del Lingotto e una visita guidata al

Salone del Gusto”. Analoghi dubbi sulla sostenibilità ambientale emergono dalle pratiche della

compagnia aerea Lufthansa, che propone l’iniziativa Discover Slow Food nella Business Class

su alcune rotte più lunghe all’interno dell’Europa: in pratica prodotti selezionati da Slow Food

sono serviti ai clienti. Dubbi di carattere sociale, nonostante il grande impegno profuso negli

ultimi anni in termini di responsabilità sociale d'impresa, vengono dall'azienda Lavazza, che

vanta con Slow Food un rapporto storico e saldo. Sul sito della Lavazza si legge che “la

collaborazione tra Lavazza e il movimento Slow Food, fondato dal guru della gastronomia

Carlo Petrini, ha ormai radici quasi storiche. Comunione d'intenti e principi etici-gastronomici

fanno del rapporto tra le due realtà piemontesi un sodalizio ben riuscito. Dalla prima

partecipazione di Lavazza, in qualità di sponsor ufficiale, alla prima edizione del Salone del

Gusto, fino alla collaborazione legata al convegno etico "Terra Madre", Lavazza e Slow Food

si sono sempre trovate in sintonia” e che ha condotto Lavazza nel cuore del sistema Slow Food

in quanto “il rapporto Lavazza – Slow Food ha anche fatto sì che l'azienda torinese diventasse

uno dei soci sostenitori della prima realtà universitaria a livello mondiale di Scienze

Gastronomiche, partecipando agli stage di una struttura davvero unica, sia per l'eccellenza dei

servizi che dei docenti di fama internazionale che vi insegnano”.

In conclusione, l'intreccio tra commerciale ed etico che caratterizza l'universo Slow Food ha

sicuramente garantito all'associazione risorse per crescere, ampliare le proprie attività e la

propria sfera di influenza politica fino a diventare, oggi, un importante interlocutore per

istituzioni e privati sui temi dell'alimentazione e dell'agricoltura. Da un punto di vista

strettamente organizzativo - aziendale, il sistema Slow Food ha saputo conseguire negli anni

una serie di risultati e riconoscimenti davvero importanti, tali da consentire il passaggio da un

periodo degli esordi in cui la preoccupazione principale era il sostentamento del nucleo di

Arcigola a un presente in cui, come ha scritto il giornalista Antonio Tomacelli, “il marchio

Slow Food continua a valere oro e Petrini deve solo scegliere a chi vendere le sue visioni”.

Riconoscendo loro il merito di quanto realizzato in trent'anni di lavoro, va parimenti richiesto a

Slow Food una maggiore chiarezza riguardo i presupposti e le eventuali compromissioni di

talune sponsorizzazioni nonché sulla natura no profit di alcune attività interne. Oltre

naturalmente a una migliore definizione di proposte su produzione, commercio internazionale e

sovranità alimentare.

Capitolo terzo

LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN SLOW FOOD

3.1. TERRA MADRE

“Al Forum di Terra Madre ho riconosciuto i contadini come li ricordavo nelle nostre

campagne, al tempo della mia infanzia. I volti dei contadini si somigliano in ogni angolo del

mondo. Sono volti su cui si riconoscono le medesime tracce di vita, così come le fisionomie dei

paesaggi con i campi arati, le colture, i pascoli. Oggi quel mondo dei contadini è assediato

dalle grandi imprese il cui scopo è nel profitto. Anche il contadino vuole guadagnare, ma il suo

attaccamento alla terra è anche un atto d’amore ed è in questo sentimento solidale che si

genera il rispetto della Natura”. Con queste parole si è espresso Ermanno Olmi, il celebre

regista dell'Albero degli Zoccoli e autore, nel 2008, del film Terra Madre. Ideato nel 2006 da

Carlo Petrini e Ermanno Olmi, la cui conoscenza fu favorita dalla comune amica Luciana

Castellina, l'idea del film è quella di osservare i partecipanti al Forum, pedinando alcuni di essi

nei loro Paesi d’origine, intrecciando storie e suggestioni per essere, come dichiarato dagli

autori, “un film politico e preveggente”. Le riprese iniziarono durante il secondo meeting di

Terra Madre, nel 2006, per concludersi al terzo meeting dell'autunno 2008.

La prima edizione di Terra Madre ha luogo a Torino nell'autunno del 2004. E' un anno

particolarmente importante per Slow Food il 2004, è l'anno che registra la nascita di Slow Food

Giappone con sede a Sendai, e il riconoscimento ufficiale da parte della FAO, che riconosce

nella Fondazione Slow Food un organismo no profit partner di iniziative comuni in paesi del

sud del mondo. Come già ricordato nel capitolo precedente, nell'aprile di quell'anno viene

inaugurata l’Agenzia di Pollenzo, e a luglio giunge il riconoscimento ministeriale per

l’Università di Scienze Gastronomiche.

Terra Madre è organizzato con il supporto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e

Forestali, del Ministero Affari Esteri - Cooperazione italiana allo Sviluppo, della Regione

Piemonte e della Città di Torino. Il Sindaco di Torino Sergio Chiamparino disse che si trattava

del “primo evento globale e locale insieme che si sia mai svolto, grazie alla passione, alla

determinazione e alla sana pazzia di Carlo Petrini”. Regista interno del primo evento è Paolo Di

Croce, presidente del comitato organizzatore di Terra Madre, che insieme alla direttrice del

Centro Studi di Slow Food Cinzia Scaffidi coordina uno staff di 30 persone: i due hanno

trascorso i 12 mesi precedenti a contattare ospiti da tutto il mondo. Il problema principale -

secondo Paolo Di Croce – fu individuare contadini e produttori, prendere contatti con loro,

vincere la più che ovvia diffidenza di persone che non solo non sapevano di Slow Food ma

vagamente immaginavano cosa fosse l'Italia, per questo a Bra si affidano a giornalisti, contatti

locali, reti di amici, Ong locali. Le persone che arrivano in Italia, sono ospitate presso famiglie

torinesi e piemontesi, trascorrono insieme alcuni giorni per poi fare ritorno al proprio paese.

Per questi contadini Torino è un impatto fortissimo: sono invitati, ospitati, accolti e chiamati a

raccontare il proprio lavoro. Contadini che, una volta rientrati nei loro paesi, possono

testimoniare direttamente che vi sono nel mondo ricco e industrializzato persone che

condividono un'idea diversa di agricoltura e di rapporti sociali, che l'Occidente non è solo

sinonimo di profitti e agribusiness. La sola idea che alcune migliaia di contadini, che

verosimilmente hanno trascorso la loro esistenza nel raggio di poche decine di chilometri e

senza mai lasciare la propria regione, convergano in una Torino dove tra centinaia di lingue e

dialetti diversi partecipano a incontri e discussioni a fianco di altri lavoratori della terra,

rappresenta senza dubbio un evento unico e spettacolare ma anche una suggestione forte e

carica di molteplici significati.

Le tre edizioni che si sono susseguite tra il 2004 e il 2008, dagli esiti crescenti in termini di

consenso e risonanza mediatica nazionale e internazionale, stanno a significare che la prima

Terra Madre non fu un evento isolato, bensì l'emersione di un movimento contadino vasto di

cui Slow Food ha saputo toccare le corde giuste a livello di sentimenti, capacità attrattiva e

proposte politiche. Il meeting Terra Madre è già un programma politico: che nei paesi

occidentali si richiama ai temi di difesa della biodiversità, rispetto dell’ambiente, dignità ed

equità del cibo, mentre nei paesi in via di sviluppo accentua connotazioni differenti: pace,

lavoro, riforme agrarie, resistenza allo strapotere delle multinazionali dell'agribusiness, identità

contadina, sovranità alimentare.

Grazie al successo di Terra Madre 2004 Slow Food acquista una nuova consapevolezza, sa di

poter osare, di poter abbandonare ogni residua “timidezza istituzionale”: si può, anzi si deve

alzare l'asticella dei propri obiettivi. Dopo Terra Madre il buono, pulito, giusto non è più

soltanto una tensione ideale o un auspicio: è un programma politico. Certo non viene meno

l'elemento edonistico del “buono”, quel diritto al piacere da cibo che tutt'oggi è il primo

articolo dello statuto internazionale. “Pulito” diventa la rivendicazione di un movimento che,

agganciando l'idea di cibo al territorio, riesce a proporsi come forza sociale in grado condurre

battaglie per una de-industrializzazione dell'agricoltura. Ovvero agricoltura biologica e

coprodotta da consumatori e produttori, istanza perseguita con il lavoro della Fondazione Slow

Food per la Biodiversità. Infine il “giusto”, l'elemento etico che trova maturazione e

compimento con i nuovi orizzonti tratteggiati da Terra Madre.

Terra Madre 2004 segna una svolta e un punto di non ritorno per l'intera organizzazione Slow

Food. Terra Madre è il tentativo – vasto, generoso e al tempo stesso ambizioso – di Petrini e dei

suoi collaboratori per fare di Slow Food una cosa nuova: un soggetto politico-sindacale su scala

mondiale. Con coraggio, ma anche con ragionevole compiacimento, oggi Petrini può affermare

che “Terra Madre è un nuovo soggetto che, dal 2004, si è affacciato nel panorama politico ed

economico globale. Nasce come un grande meeting di persone da ogni parte del mondo e si

trasforma presto in una rete permanente o, se si preferisce, un insieme di reti in cui coloro che

la compongono nei diversi territori del mondo lavorano giorno per giorno per un nuovo

modello economico, agricolo, alimentare e culturale”. Nel recentissimo libro che porta il nome

del progetto, Petrini elenca i valori che accomunano le comunità del cibo, lo fa con toni enfatici

parlando di comunità di destino, di condivisione di una storia e di un destino collettivo.

Afferma che Slow Food è “enzima che ha fatto partire la fermentazione” e non il proprietario

della rete Terra Madre, cosa simbolicamente vera, essendo Terra Madre un progetto più ampio

rispetto a Slow Food, ma anche cosa non vera nella misura in cui Slow Food è socio fondatore

della Fondazione Terra Madre insieme al Ministero delle Politiche Agricole, del Ministero degli

Esteri, della Regione Piemonte e del Comune di Torino, considerando anche che senza la forza

organizzativa di Slow Food i meeting Terra Madre sarebbero rimasti una mera utopia.

Va riconosciuta a Petrini l'audacia e la sana spregiudicatezza di aver creato Terra Madre senza

prevedere gli esiti e sviluppi a venire, quasi fosse una sorta di scommessa o un rischio

d'impresa in termini aziendali, la sfida di scommettere su persone estranee al sistema Slow

Food ma potenziali “stakeholders” per la stessa organizzazione in una sorta di osmosi

movimentista in grado di traghettare definitivamente Slow Food verso una dimensione

mondiale. Le comunità del cibo sono state definite da Slow Food come la più grande

multinazionale del cibo esistente, e a nostro parere l'elemento metaforico esiste al pari di un

dato reale: i collettivi contadini del sud del mondo, organizzati o destrutturati, quelle che Slow

Food chiama “le comunità del cibo” rappresentano davvero forse l'unica vera opportunità per il

cambiamento in termini di agricoltura e alimentazione. Questo è il pensiero non soltanto di

Slow Food ma anche di importanti organizzazioni come Via Campesina, Movimento per la

Sovranità alimentare, molteplici Ong e della stessa Fao, sia pure quest'ultima con sfumature

differenti. Quando Petrini enfatizza il “valore etico e morale” di Terra Madre in quanto “rete

planetaria fatta di uomini, pensieri, lavoro e culture presente in 153 Paesi del mondo, che va

seminando e coltivando le giuste idee”, egli afferma una sostanziale verità. Il cambiamento, se

sarà, sarà dal basso. Una tesi sostenuta oggi anche dai vertici della italiana Coldiretti, che

ribadiscono la centralità dei contadini dei paesi in via di sviluppo per politiche concrete di aiuto

e sostegno.

3.2. AGRICOLTURA, SOVRANITA' ALIMENTARE E NUOVO UMA NESIMO

SECONDO SLOW FOOD

Come si è detto, Slow Food nacque con spirito di contrasto alla cultura fast food, non senza

quella venatura oppositiva e anticonformista tipica dei movimenti nelle fasi originarie.

Contestualmente Slow Food intuì l'importanza e la necessità di lavorare sul recupero di ciò che

andava perdendosi, su quel patrimonio materiale e immateriale di saperi oltre che di sapori che

la società italiana andava smarrendo. Per fare questo era necessario rimettere al centro le

persone portatrici di quel patrimonio, proporre stili di vita alternativi a quelli dominanti di una

società sempre veloce e vorace consumatrice di prodotti, occorreva quindi un ribaltamento

concettuale e semantico che evidenziasse nella tradizione non l'arretratezza bensì la cultura e

l'identità. Lo stesso simbolo della chiocciola, l'elogio della lentezza, l'idea di coniugare i saperi

e i gusti della tradizione alle relazioni sociali più innovative testimoniano la volontà del

movimento di scommettere su una platea di consumatori consapevoli e maturi, nonché su

migliaia di comunità contadine. In questo senso Terra Madre 2004 segna un punto di arrivo e di

ripartenza per il movimento Slow Food, l'irrompere della questione agricola e alimentare

all'interno di un movimento nato sul recupero identitario del cibo. Non vi è dubbio che i

mutamenti accaduti in agricoltura su scala mondiale negli ultimi cinquant'anni siano stati la

causa di una perdita, probabilmente irreversibile, di diversità della vita sul pianeta. Gli studi

prodotti in questi anni dal polo alimentare delle Nazioni Unite (FAO, IFAD e PAM) mostrano

le grandi contraddizioni di un sistema agricolo mondiale capace sì di migliorare in efficienza e

produttività quantitativa ma a scapito delle colture tradizionali, delle civiltà contadine

tradizionali, della biodiversità, e soprattutto dagli spaventosi costi sociali. Questo spinge oggi

Carlo Petrini ad accusare a più riprese quel “genocidio culturale” che, soprattutto in occidente,

ha decretato la scomparsa di una millenaria tradizione contadina. Contro un'agroindustria

massiva, estensiva, uniformata e transgenica Slow Food contro propone un'agricoltura dolce, su

piccola scala, tesa alla salvaguardia di quelle piccole produzioni a più alto valore simbolico

identitario, oltre che buone e nutrienti, tesa altresì alla tutela di quelle conoscenze a rischio di

estinzione insieme ad artigiani e contadini ma soprattutto a restituire potere economico al

mondo dei produttori. Ragione per cui Slow Food si spinge ben oltre il lavoro di informazione

e sensibilizzazione proponendosi attraverso Terra Madre come collettore, facilitatore ma

soprattutto guida di un movimento più ampio fatto da contadini, piccoli proprietari,

cooperative, associazioni, Ong e istituzioni locali, talvolta anche partiti politici, sui grandi temi

della sovranità e della sicurezza alimentare. Sovranità alimentare e sicurezza del cibo sono temi

strettamente correlati, se si considera la duplice accezione di sicurezza alimentare: food

security, la capacità di auto-approvvigionamento di un paese; food safety, la capacità di

rispettare standard minimi garantiti su scala globale che consentano di mangiare ciò che non fa

male.

La definitiva affermazione del concetto di “sovranità alimentare” risale al 2002, anno in cui a

Roma si tiene il “Forum delle Ong per la sovranità alimentare” parallelo al Vertice mondiale

sulla Sicurezza Alimentare della FAO. Sovranità alimentare è definita come “il diritto delle

persone, delle comunità e dei Paesi a definire le proprie politiche in materia di agricoltura,

pesca, terra, alimenti, lavoro, in modo ecologicamente, socialmente e culturalmente appropriato

alle specifiche situazioni”. In sostanza, è il diritto rivendicato da produttori agricoli, contadini,

pescatori, popolazioni indigene, pastori, ad autodeterminare il proprio sistema agricolo. È Via

Campesina a introdurre questo concetto nel 1993. Via Campesina si configura come

organizzazione internazionale composta da contadini, piccoli e medi produttori, senza terra,

donne rurali, popoli indigeni, giovani rurali e lavoratori agricoli. Come movimento politico

intende dare rappresentanza agricola a livello internazionale a quelle popolazioni contadine - in

particolare del Sud America, Asia e Africa, dove queste popolazioni versano in condizioni più

drammatiche. Via Campesina si batte oggi per riforme agrarie, per l’accesso ai mezzi di

produzione (dal credito ai semi e all’acqua), per la valorizzazione del ruolo delle donne,

mettendo al centro la centralità dell’impresa familiare contadina. La forza, ma anche il suo

limite intrinseco, è la sua natura di organismo di secondo livello, rappresentante cioè altre

realtà già costituite, nella fattispecie 148 organizzazioni presenti in 69 paesi. Terra Madre e Via

Campesina perseguono sostanzialmente gli stessi macro obiettivi, riassumibili in: agricoltura

locale di piccole dimensioni, sovranità alimentare, mercati equi su base regionale accessibili a

tutti i piccoli produttori, attenzione particolare alle colture in via di estinzione e alle produzioni

tipiche minacciate dalla globalizzazione. Per Via Campesina è più marcato l'aspetto politico

rivendicativo su riforma agraria e accesso al credito e ai mezzi di produzione, per Terra Madre

sono più evidenti gli aspetti legati alla qualità e bontà del cibo, alla creazione di sbocchi

commerciali per i prodotti, alla creazione di una rete di comunità del cibo impegnate a

salvaguardare le produzioni agroalimentari a rischio estinzione. Pertanto è possibile affermare

che, essendo il punto debole di Via Campesina in quanto organizzazione di secondo livello la

mancanza di una propria base sociale e di progetti specifici portati individuabili con il suo

nome, Slow Food attraverso Terra Madre appare concretamente più attrezzata per assumere un

peso politico internazionale di organizzazione in cui istanze e progetti marciano in parallelo.

Volendo dare voce e rappresentanza al mondo agricolo minacciato dall'agroindustria globale

Slow Food dispiega in Terra Madre la forza delle sue armi migliori: la capacità organizzativa e

la dimensione comunicativo/narrativa. La capacità organizzativa si concretizza nella gestione

anche spettacolare dei tre meeting a cadenza biennale, nella grande capacità di recepire

sponsorizzazioni, nell'organizzare eventi collaterali come il Salone del Gusto, nella eccezionale

capacità di intercettare personalità di primo piano, dal principe Carlo di Galles al Presidente

della Repubblica Napolitano intervenuto all'inaugurazione dell'edizione 2008. La forza

comunicativa si evidenzia nell'alto numero di giornalisti convenuti, nella gran mole di articoli

che l'ufficio stampa di Slow Food riesce a far pubblicare su giornali e riviste di tutto il mondo,

a Ermanno Olmi cui viene chiesto di girare un film. La forza narrativa sta anche nell'avere

invitato ai meeting dei poeti, cantastorie, narratori capaci di tradurre in sentimento poetico le

idee del raduno, sta nell'aver fatto circolare quelle nuove concettualizzazioni che si ritrovano

nell'ultimo libro di Petrini: dimensione olistica, sacralità del cibo, eroismo delle comunità,

agricoltura di prossimità, comunità di destino, democrazia partecipativa e altre nuove “parole

d'ordine” fortemente evocative. Sicuramente a Bra sono consapevoli dei limiti e delle accuse

più ricorrenti che vengono loro mosse, da quella di elitarismo a quella di snobismo a quella di

proporre un modello “arcadia” impossibile da realizzare, accuse che Slow Food contrasta

ribadendo che “è necessario abbandonare ogni visione bucolica e anacronistica del contadino,

del produttore di cibo: bisogna invece riconferirgli tutta la sua dignità e toglierlo dalla nicchia

di arretratezza e marginalità economica in cui è stato relegato”. Un'affermazione netta, che

introduce un tratto di modernità per un'associazione che negli anni è stata spesso accusata di

voler proporre modelli socioeconomici superati dagli eventi. Il modello proposto da Slow Food

attraverso Terra Madre chiama a una nuova alleanza tra produttori e consumatori, un “accordo

tra chi lo coltiva e chi poi lo mette in pancia”. Che tradotto in pratica significa sostenere la

costruzione di reti locali rurali di prossimità, contribuire al rafforzamento dei legami sociali,

sviluppare sistemi virtuosi di conoscenza reciproca tra consumatori che diventano al contempo

dei co-produttori. L'idea proposta è “nuovo umanesimo, dove etica ed estetica tornano a

fondersi” che per quanto fortemente suggestiva deve fare i conti con un sistema di produzione e

lavoro totalmente diverso, perlomeno nelle economie occidentali. Un nuovo umanesimo che a

nostro avviso rasenta l'utopismo pragmatico. È difficile pensare che milioni di europei che

lavorano ogni giorno dalle otto di mattina alle sei di pomeriggio possano trovare il tempo per

fare la spesa direttamente dai produttori, e al contempo auto prodursi pane e altri alimenti,

rivedere il consumo di carne, ripensare i propri consumi energetici e in generale il proprio stile

di vita. Un siffatto modus vivendi è appannaggio di un’esigua minoranza di persone, con

sufficiente disponibilità economica e di tempo per abbracciare questo stile di vita.

Terra Madre è altresì un brand la cui forza e appeal potrebbe anche assorbire e superare Slow

Food, che sembra consapevole di questa possibilità: lo scorso 10 dicembre 2009 la celebrazione

dei vent'anni dalla nascita di Slow Food ha visto svolgersi nel mondo oltre 1000 eventi, riuniti

sotto le insegne di Terra Madre Day (e non Slow Food Day) e con lo slogan-invito a “mangiare

locale”.

Quella che Petrini, con efficacissima metafora, ha chiamato la più “grande multinazionale del

cibo esistente”, ha oggi il problema di andare oltre se stessa, di “consolidare la sua

autorevolezza politica”. Il problema organizzativo emerso dopo l'edizione 2008 è un problema

di selezione dei partecipanti su criteri di qualità e non di quantità, la necessità cioè di intuire

quali siano le comunità o gruppi in grado di portare avanti processi e politiche, e sui quali

naturalmente investire. A Bra sono consapevoli dell'oggettiva impossibilità di gestire da loro

quartier generale i rapporti post-meeting con migliaia di persone, ma se il fine è creare un

blocco sociale su scala mondiale in grado di contrastare le politiche delle multinazionali

occorre necessariamente imboccare la difficile strada che conduce le comunità del cibo a

divenire domani un soggetto politico collettivo. Contadini consapevoli del proprio ruolo, in

grado di vestire i panni dei portatori di interesse collettivi al pari del coltivare la terra. Così

pure per allevatori, pescatori e produttori artigianali di agroalimentare, che devono saper

cavalcare la globalizzazione senza subirla, mantenendo e anzi promuovendo tutte le proprie

specificità territoriali e facendo squadra, creando una rete vera, sociale e commerciale.

L'ambizione è fare di Slow Food nel mondo il principale referente della cultura alimentare nel

nome di un’agricoltura sostenibile. E pur stringendo alleanze a livello nazionale con altre

associazioni, aziende o partiti politici a tutela degli interessi legittimi dei coltivatori, come

avvenuto in Italia tra Slow Food e Coldiretti.

Petrini è convinto che le comunità del cibo saranno protagoniste di una terza rivoluzione

industriale, la rivoluzione della produzione pulita, e che Terra Madre sia la soluzione perché

dovrà lavorare su un modello di rete. Al di là delle idealità, oggi chi lavora in Terra Madre non

può pensarsi senza una Slow Food che garantisce e sostiene tutte le attività. L'immagine

corretta che fotografa la situazione odierna non è quindi la rete, se non idealmente, ma una

sorta di “sistema planetario” dove pianeti e satelliti orbitano intorno a una stella chiamata Slow

Food Italia in tutte le sue articolazioni, a cominciare dalla Fondazione Slow Food per la

Biodiversità, nata a sostegno dei progetti agroalimentari e dei Presìdi Slow Food e con una

particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo.

3.4. LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE DI SLOW FOOD

Thierry Pech e Marc-Olivier Padis sono due studiosi francesi facenti parte della rivista Esprit e

della fondazione Terra Nova, di ispirazione progressista con radici socialiste ed ecologiste. Nel

2004 hanno pubblicato, Le multinazionali del cuore. Le organizzazioni non governative tra

politica e mercato, interessante e ben argomentata analisi dell'umanitarismo e delle Ong, con il

chiaro intento di “smitizzare” le organizzazioni non governative e condurre il lettore a una

riflessione disincanta e critica sull'umanitarismo. Riguardo le Ong la questione aperta è “perché

queste organizzazioni seguitano a sostener un'immagine di sé sempre più sfalsata rispetto alla

loro effettiva attività”, non essendo più né altre né indipendenti rispetto ai governi o agli stati,

nonostante l'opinione pubblica continui a considerare che le Ong agiscano in modo

indipendente o senza l'aiuto degli stati. Gli autori sostengono che la “storica” opposizione tra

Ong e stato non solo non esista più, ma che dall'antagonismo ideologico degli anni sessanta e

settanta si sia passati a una “complementarietà operativa”, cifra dominante dell'umanitarismo

contemporaneo. Con varie tipologie di partenariato o di collaborazione, le grandi Ong

internazionali non possono più esser considerate organizzazioni apolitiche, né tanto meno

contro la politica quanto piuttosto “aspirano ad un allargamento del campo della politica invece

che ad una forma di antipolitica”, ragione per cui le grandi Ong sono contemporaneamente

presenti sia ai vertici e ai controvertici. Gli autori definiscono Ong di “terza generazione”

quelle operanti in rapporto con gli stati e istituzioni internazionali, in un reciproco accordo di

legittimazione. Negli anni novanta, sostengono gli autori, sono avvenute due cose: le Ong

hanno “scoperto” le logiche di mercato, e in secondo luogo, è emersa una critica nuova al

capitalismo, non più contestato in quanto tale ma poiché insostenibile a livello ambientale e

sociale. Ecco quindi che il nuovo sistema d'interazione tra Ong e mercato si manifesta in due

grandi tipologie di interventi: in molti casi le Ong tendono ad affermare la “precedenza dei

diritti dell'uomo sui diritti del business” grazie ad un uso sapiente dei mass media,

guadagnandosi così il rispetto delle multinazionali; in altri casi, ed è la vera novità, si

sperimentano strategie più integrate con il mercato grazie a quelli che gli autori definiscono i

“mercati della virtù”, ovvero accordi bilaterali stipulati con le imprese. Poiché “le grandi Ong

si inseriscono sempre più in una dinamica di regolazione negoziata” il tentativo delle Ong, in

ultima analisi, è quello di trasformare il capitalismo dall'interno. Se agli occhi delle

organizzazioni più radicali questa evoluzione è sinonimo quasi di corruzione morale, o quanto

meno di baratto tra virtù e principi da un lato e pragmatismo da sopravvivenza dall'altro, gli

autori del libro salutano con moderato entusiasmo i miglioramenti nati dall'evoluzione dei

rapporti tra Ong da un lato, sfera politica e sfera commerciale dall'altro. Gli autori riconoscono

quindi alle Ong il merito di aver saputo ridefinire la loro “azione morale con un'aggiunta di

pragmatismo che ha aperto loro la strada della cultura dell'efficienza, della contrattazione e del

compromesso”, salutando come positiva la maturazione di organizzazioni che, benché nate

sull'onda di idealità e principi ideologici, hanno saputo evolvere e cambiare pelle, non senza

contraddizioni, in nome di una lotta per il cambiamento (dall'interno) di un mondo fatto di

contraddizioni più stridenti e inaccettabili.

Due sono i presupposti grazie ai quali il sistema Slow Food ha potuto dare avvio alle attività di

cooperazione allo sviluppo: in primo luogo il poter contare su una organizzazione interna

solida, articolata e ricca di relazioni istituzionali; in secondo luogo la rete di Terra Madre.

Come vedremo nelle pagine seguenti, pur non essendo Slow Food una Organizzazione non

governativa, né avendo mai espresso l'intenzione di diventare tale, Slow Food è a nostro avviso

assimilabile ad una Ong di terza generazione secondo la definizione coniata da Thierry Pech e

Marc-Olivier Padis. Slow Food pone al centro della proprio agire non tanto la volontà di

cambiare il capitalismo dall'interno in senso astratto, quanto piuttosto la volontà di dare un

volto nuovo al sistema capitalistico, mettendo al centro dell'azione i prodotti e i produttori del

sud del mondo, consentendo ai loro prodotti di approdare sui mercati più maturi e consapevoli

del nord del mondo, il tutto in alleanza con le istituzioni locali e sotto l'egida degli organismi

internazionali. Né mercantilismo tout court né vetero ruralismo e nemmeno “elemosina

sociale”: i progetti di cooperazione targati Slow Food, peraltro istituiti solo negli ultimi 5-6

anni e pertanto senza la necessaria storicità, sono volti a promuovere le comunità contadine

ponendo al centro i prodotti. Prodotti intesi e valorizzati sotto un profilo alimentare, culturale,

economico e sociale.

All'interno di Slow Food la data scelta convenzionalmente come inizio della cooperazione allo

sviluppo è il 2003, anno di nascita della Fondazione Slow Food per la Biodiversità la cui

mission primaria è lo sviluppo e la tutela dei Presìdi Slow Food. L'Africa è il continente in cui

la presenza Slow Food, benché recente, è oggi maggiormente consolidata. Questo per tre ordini

di motivi. Il primo è di carattere economico: l'Africa è il continente in cui le produzioni

agricole locali sono più violentemente minacciate da logiche di mercato globale “drogate” a

causa dei sussidi elargiti dai paesi ricchi alle proprie derrate agricole, un fenomeno più noto

dumping o concorrenza sleale, che consente ai prodotti importati di arrivare sui mercati locali a

prezzi notevolmente inferiori rispetto ai prodotti locali. Questo fenomeno ha accresciuto, nei

decenni, la dipendenza dei paesi poveri in termini di importazioni alimentari. Il secondo motivo

è di carattere sociale: l'abbandono di produzioni locali per lasciare spazio a monocolture

destinate ai mercati occidentali causa la perdita di biodiversità locale, e questo si traduce in

impoverimento di quelle comunità rurali poi costrette ad abbandonare le proprie terre per

trasferirsi nelle periferie delle grandi città, compromettendo gravemente la propria sicurezza

alimentare. Le produzioni sono destinate interamente all'esportazione e quasi nulla rimane sul

mercato locale: si pensi che milioni di ettari in Etiopia, Ghana, Mali, Sudan e Madagascar sono

stati ceduti per 20, 30 e addirittura 90 anni alla Cina, all'India, alla Corea, in cambio di

promesse di investimenti e posti di lavoro. Seul possiede già 2,3 milioni di ettari, Pechino ne ha

comprati 2,1, l’Arabia Saudita 1,6, gli Emirati Arabi 1,3. Per contribuire ad arrestare questa

“crescita immiserente”, Slow Food lavora per rivitalizzare le filiere locali, riscoprire e

catalogare i saperi tradizionali, promuovere il cibo locale come strumento per garantire la

sicurezza alimentare, valorizzare le specie e le razze autoctone, aiutare contadini, pastori e

pescatori ad uscire dall'isolamento sociale e commerciale, ridare consapevolezza e autostima

alle comunità dei produttori, o comunità del cibo (secondo il vocabolario Slow Food).

La Fondazione Slow Food per la Biodiversità, presieduta da Piero Sardo fondatore del

movimento e fedelissimo di Petrini, opera in Africa principalmente attraverso la creazione di

nuovi Presìdi Slow Food. Un Presìdio è un progetto Slow Food che intende tutelare una

comunità di produttori e salvare il loro prodotto artigianale. Per fare questo vengono

organizzati i produttori, si incentivano sbocchi di mercato, si valorizzano un territorio e

un’agricoltura sostenibile, rispettosa dell’ambiente, delle tradizioni e dell’identità culturale dei

popoli. Partendo dal presupposto che ogni prodotto sia intimamente legato all'identità locale,

con specifiche caratteristiche geografiche, climatiche, ambientali e culturali, Slow Food assiste

direttamente un gruppo di esperti che affiancano i produttori e li sostengono nella

rivitalizzazione dei propri prodotti. Poiché ciascun prodotto deve rispondere a criteri di qualità

ambientale, sociale e organolettica, viene stilato un disciplinare di produzione. Il disciplinare

identifica l’area di produzione, documenta le fasi di coltivazione (o allevamento) e lavorazione,

garantisce l’artigianalità, la tradizionalità e la qualità del prodotto, dando consapevolezza ai

produttori sulle possibilità concrete del loro prodotto. Storicamente Slow Food - in Italia e nei

paesi europei – ha insistito su alcuni criteri per la selezione di un nuovo Presìdio: a) la difesa

del latte crudo (i formaggi dei Presidi non possono essere prodotti con latte pastorizzato); b) la

difesa delle malghe e dei pascoli in genere; c) il divieto degli Ogm; d) la promozione di

un’agricoltura sostenibile e di tipo estensivo; e) la promozione di un tipo di allevamento non

intensivo, attento al benessere animale; f) la tutela di forme di pesca sostenibili, che non

danneggino l’ecosistema; g) la salvaguardia delle tecniche tradizionali di lavorazione e

affinamento.

Diversamente da quanto accade nei paesi europei, nei progetti di cooperazione allo sviluppo in

Africa è essenziale la calibratura dell'impegno sulla base dei referenti locali, siano essi

produttori che rappresentanti delle istituzioni locali. L'individuazione del leader locale,

responsabile del progetto, quindi coordinatore degli attori locali e interlocutore di Slow Food e

dei partner europei, rappresenta un passaggio fondamentale e determinante. Analogamente

l'analisi del contesto ambientale, sociopolitico e culturale diventa essenziale ai fini

dell'attivazione di un Presìdio, che è un progetto non solo a sostegno di quelle piccole

produzioni di alta qualità che rischiano di scomparire ma anche di valorizzazione di un

territorio e di recupero di tecniche di lavorazione tradizionali, altrettanto importante è l'analisi

del contesto in cui il Presìdio dovrà operare, in relazione: a) alla capacità di divulgazione

sociale nella comunità allargata e di disseminazione dei principi Slow Food; b) allo sviluppo di

una economia locale; c) alla facilità o difficoltà di creazione di sbocchi di mercato a livello

nazionale. Nel primo caso si tratta di sviluppare tutte quelle attività di corredo alla produttività

e tuttavia vitali per la tenuta del Presidìo, ovvero la nascita di un Convivia, unità locale che

diffonde temi e idee Slow Food, i progetti di educazione al gusto, le campagne di promozione

del consumo locale, la mappatura di altre produzioni locali tradizionali, la raccolta e diffusione

di ricettari a base di materie prime locali, la creazione e rafforzamento di reti di

produttori/consumatori. In altre parole, la creazione del consenso locale attorno al Presidìo. Nel

secondo caso, la scelta di prodotti che possano in prospettiva essere consorziati, o consorziabili,

come vedremo più avanti nel caso etiope. Alla data del giugno 2009 la Fondazione Slow Food

risulta essere presente in 19 paesi: Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia,

Gabon, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Kenya, Libia, Madagascar, Mali, Marocco,

Mauritania, Senegal, Sierra Leone, Sud Africa, Tanzania, Uganda. Durante l'ultimo meeting

Terra Madre a Torino del ottobre 2008 l’Africa era rappresentata con 11 stand per altrettanti

Presìdi, stand gestiti dagli stessi produttori.

I numeri della presenza Slow Food in Africa (giugno 2009):

12 Presìdi, che coinvolgono 1233 produttori;

194 comunità del cibo;

3 progetti di educazione del gusto (Costa d'Avorio, Senegal, Uganda);

2 ricettari (Marocco e Mali);

1 lavoro di mappatura (Kenya) e altri 4 in programma (Mali, Senegal, Sierra Leone e Guinea

Bissau);

2 reti di produttori (miele-Etiopia, in fase di creazione couscous-Marocco);

1 evento Terra Madre locale (Tanzania);

1170 soci classici;

629 soci a progetto;

54 Convivia.

3.5. CASE HISTORIES DELLA COOPERAZIONE SLOW FOOD IN AFRICA E

AMERICA LATINA

In Etiopia, nei pressi del vulcano Wenchi, nella regione Oromia, un paio d’ore direzione

sudovest da Addis Abeba, esiste un Presidio che riunisce 36 apicoltori che producono un

particolarissimo miele di erica, dal colore rossastro, consistenza morbida e un sapore intenso

lievemente amarognolo. Il Presidio, nato per rafforzare l’organizzazione dei produttori, dotarli

di attrezzature moderne e aiutarli a confezionare e vendere il miele sul mercato locale e

nazionale, fa capo all’associazione eco-turistica Weta (Wenchi Eco-Tourism Association), nata

grazie a un progetto della Cooperazione Tedesca (Gtz) per promuovere attività di eco-turismo.

Il Presidio ha aiutato gli apicoltori a razionalizzare la produzione di miele al fine di ottenere un

prodotto puro, riconoscibile e di ottima qualità, adatto per la vendita. Sono state messe a

disposizione degli apicoltori le attrezzature necessarie per un'apicoltura moderna, con corsi di

formazione e ha migliorato la presentazione del prodotto finale, ora commercializzato in vasetti

di vetro etichettati. I tecnici di Conapi stanno inoltre collaborando alla redazione del

disciplinare, a garanzia di un miele buono e con i requisiti adatti ad entrare in un mercato non

confinato alla sola zona di produzione. Il Presidio è sostenuto da Regione Piemonte e Conapi,

ha nella Saint-Gobain Vetri il technical partner.

Sempre in Etiopia, nella regione del Tigrai, si produce il miele di Wukro. Si tratta di un miele

dal colore bianco brillante e sapore delicato, conosciuto e apprezzato in tutto il Paese e

tradizionalmente servito durante le feste con un pane di grano cotto al vapore. Conosciuto in

tutto il paese, il miele bianco di Wukro, prima della nascita del Presidio era venduto perlopiù

sfuso (in bidoni di plastica) a intermediari che pagano ai produttori un prezzo irrisorio e lo

ridistribuiscono in città (a Macallè o ad Addis Abeba) spesso dopo averlo sofisticato con

sostanze zuccherine o mescolato ad altri mieli di qualità inferiore. A Wukro gli apicoltori non

avevano né una forma organizzativa, né una riconoscibilità sul mercato: si limitavano a

raccogliere il miele e a venderlo sfuso. Il Presidio Slow Food coinvolge 17 apicoltori, riuniti

nell’associazione Selam, e valorizza una produzione finita di circa 100 quintali l'anno. Nel

2010 verrà realizzato un laboratorio di smielatura che permetterà agli apicoltori di migliorare la

qualità del prodotto e verrà aperto un negozio a Wukro. Grazie a una fornitura di vasetti in

vetro, l’associazione potrà confezionare ed etichettare il miele, spuntando così un prezzo

migliore e riducendo il rischio di contraffazioni. Infine, continueranno le attività di formazione

degli apicoltori etiopi e il Presidio metterà a punto un disciplinare di produzione a garanzia

della qualità e autenticità del prodotto.

Particolarmente interessante è la nascita e l'evoluzione del progetto che ha portato alla nascita

del Presidio. Nel 2006 un tecnico di Conapi incontra per la prima volta i produttori di Wukro,

segnalando poi a Slow Food le potenzialità di questo prodotto e l’estrema povertà del territorio.

La partecipazione della comunità del miele di Wukro all’edizione 2006 di Terra Madre

rappresenta una tappa importante verso la creazione del Presidio. Un apicoltore etiope, rientrato

in Etiopia, decide di fondare l’associazione Selam - coinvolgendo undici apicoltori – e il

sindaco di Wukro decide di fornire all’associazione assistenza tecnica e attrezzature. Nel 2007

un rappresentante di Slow Food e uno di Conapi incontrano i produttori. Notano il buon grado

di organizzazione e l’elevato livello di professionalità degli apicoltori. Nel frattempo il Comune

di Wukro decide di continuare a sostenere il progetto offrendo in concessione all’associazione

Selam un terreno per realizzare un laboratorio di smielatura e un negozio per la vendita diretta

del miele, e da qui ha inizio il lavoro di promozione e comunicazione da parte della Fondazione

Slow Food. Nel 2008 per risolvere il problema del miele nei contenitori di plastica, la

Fondazione Slow Food coinvolge – come partner tecnico del progetto - l’azienda Saint-Gobain

Vetri, che dona 5000 vasetti di vetro il cui confezionamento, grazie alla grafica e alla stampa

etichette di Slow Food, accompagneranno il prodotto al Salone del Gusto di Torino in

concomitanza al meeting Terra Madre. Sempre nel 2008 due importanti iniziative coinvolgono

il Presidio: la visita di Carlo Petrini ad Addis Abeba in occasione di Terra Madre Etiopia, che

riunisce 130 persone tra produttori, rappresentanti di Ong italiane e tedesche, giornalisti,

docenti e studenti; la partecipazione degli apicoltori di Wukro, insieme ad altri produttori di

miele, a un seminario di formazione organizzato dalla Fondazione Slow Food nel mese di

dicembre il cui scopo ultimo è la creazione di una rete di comunità del miele in Etiopia. Infine

nel 2009 si conclude una parte dei lavori per il laboratorio di smielatura e per il negozio per la

vendita diretta del miele. Gli apicoltori del Presidio salgono da 11 a 17, benché una grave

siccità compromette drasticamente la raccolta di miele bianco. Nel mese di novembre il

Presidio partecipa ad un secondo seminario di formazione, che si svolge a Wolisso,

coinvolgendo 40 apicoltori in rappresentanza di 14 comunità. La Fondazione Slow Food

pubblica e distribuisce un manuale di apicoltura a fumetti, in amarico, e alcuni poster che

illustrano le buone pratiche di apicoltura. Il seminario sancisce la nascita ufficiale di una rete di

comunità del miele di tutta l’Etiopia.

Secondo Francesco Impallomeni, responsabile per i progetti in Etiopia, nonostante i problemi

ambientali dei due Presidi – il miele del vulcano Wenchi si coltiva a oltre 3000 metri che

comporta difficoltà logistiche per il Presidio, mentre il miele di Wukro è più sensibile ad

avversità meteo – la Fondazione Slow Food sta riuscendo nell'intento di lavorare con gli

apicoltori sulla qualità ma anche sull'aumento della quantità dei prodotti, che non pregiudichi la

qualità e al tempo stesso garantisca ai due mieli sbocchi commerciali anzitutto nazionali. Lo

step successivo sarà creare un marchio di qualità dei mieli etiopi per arrivare poi alla

costituzione di un consorzio dei produttori di miele etiope.

Dall'Africa all'America Latina, significativi sono i progetti di cooperazione della Fondazione

Slow Food in Brasile: attualmente sono 9 i Presìdi attivi, nati grazie al sostegno del Ministero

dello Sviluppo Agricolo del Brasile e dalla Regione Veneto, quest'ultima legata al Brasile da

antica emigrazione. L'umbù (o imbù) è un frutto nativo del Nord-est che cresce nella macchia

tipica della regione semiarida brasiliana, il Sertão. La storia di questo Presidio Slow Food ha

inizio quando Gabrio Marinozzi, funzionario del Ministero dello Sviluppo Rurale e Fiduciario

Slow Food di Brasilia, intuisce che l’umbù, frutto dal sapore molto gradevole, possa

rappresentare una grande opportunità per la gente dello stato di Bahia e segnala a Slow Food

questo prodotto sconosciuto fuori dalle zone d'origine. Nel 2003 nasce Coopercuc, la

cooperativa che produce trasformati di umbù artigianali senza aromi, né conservanti, con il

sostegno della Fondazione Slow Food e della Ong austriaca Horizon 3000. La cooperativa

consente rapidamente di migliorare la produzione e le capacità di conservazione di un frutto

che si presta molto bene ad essere trasformato in marmellate, succhi e gelatine. Presentato al

Salone del Gusto nell’ottobre 2004, l’umbù risulta essere molto apprezzato e viene scelto da

Alter Ego, importante società francese che commercializza in Europa i prodotti dell’equo e

solidale. Nei primi mesi del 2006, tre municipalità dello Stato di Bahia nel nord est brasiliano

vedono aprirsi dieci piccoli laboratori per una prima lavorazione dei frutti poi conferiti alla

cooperativa. Il Presidio ha stilato un disciplinare di produzione per garantire l'artigianalità e

l'alta qualità dei trasformati. Oltre ai soggetti e alle istituzioni già citate, importante è stato il

contributo della Commissione Europea, della Diocesi di Lins e del governo austriaco tramite

l'Ong Horizon 3000 e della Regione Veneto. Grazie al Presìdio si sono potuti avviare una serie

di progetti i cui risultati appaiono oggi migliori delle aspettative. Un impegno iniziale tutto

sommato contenuto con il quale si è riusciti a valorizzare un prodotto di ottimo gusto, e non

dolciastro come altri frutti tropicali, con ottimi risultati anche sociali, essendo il nord est

brasiliano attanagliato da problemi cronici di siccità, spopolamento, persistenza del latifondo e

sperequazione delle risorse. Il confezionamento dell'umbù è da considerarsi oggi un’attività

sostenibile, ha richiesto investimenti contenuti, non ha stravolto colture tradizionali né ha

richiesto particolari infrastrutture.

3.6. IL MODELLO SOCIALE ED ECONOMICO DELLA COOPERAZ IONE SLOW

FOOD

Scrive Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità,

nell'introduzione al Bilancio sociale 2008: “Quando la Fondazione Slow Food per la

Biodiversità ha avviato progetti in Paesi svantaggiati, il primo sentimento è stata la percezione

della nostra inadeguatezza [...] Noi siamo una piccola realtà a confronto con le grandi Ong, o

con le istituzioni transnazionali, o ancora con alcune fondazioni private [...] Ma proprio questo

senso del limite ha generato una strategia di intervento che ha saputo trovare applicazioni

efficaci e per certi versi originali. La nostra Fondazione si occupa solo di agricoltura locale e di

educazione alimentare: dunque non si dà obiettivi strutturali che vanno al di là delle nostre

possibilità. [...] Noi possiamo trasferire alle comunità locali piccoli interventi di supporto

formativo, di valorizzazione, di sostegno agronomico, in grado di sostenere filiere locali a

rischio di estinzione. Vogliamo favorire forme di coltura tradizionali, capaci di ricucire i legami

sempre più fragili tra contadini, pescatori, allevatori e territori di origine [...] Per questo siamo

convinti della bontà e dell’utilità della nostra strategia e dei nostri progetti: perché camminano

esattamente sulla misura delle nostre gambe, ma hanno la capacità di guardare molto lontano”.

Dando una scorsa ad alcuni progetti finanziati nel 2009 si scopre che il progetto “Africa”

realizzato in Etiopia, Mali, Mauritania, Senegal, è stato finanziato dalla Regione Piemonte per

un totale di 128mila euro. Sempre la Regione Piemonte ha finanziato, per 30 mila euro, il

progetto “Olio d’Argan” in Marocco. La statunitense Fondazione Gund ha finanziato il

progetto di educazione alimentare e di promozione del consumo locale chiamato

“Consommons ivoirien dans nos cantines scolaires”, in Costa d’Avorio, per 17 mila euro. Dalla

stessa Fondazione Gund sono arrivati 13 mila euro per il progetto “Mangeons local” in

Senegal, un progetto ideato dal giornalista senegalese Madieng Seck e dalla ristoratrice Bineta

Diallo Dioh per la promozione del consumo locale. Il progetto denominato “Protection of the

Agri-Food Biodiversity and Development of the Local and Export Market in four West African

Countries: Mali, Senegal, Guinea Bissau and Sierra Leone” finanziato dalla Fao, è in attesa di

attivazione ed ha un budget pari a 267 mila euro.

Degli attuali 156 Presìdi internazionali Slow Food sono circa una cinquantina quelli

riconducibili a progetti di cooperazione allo sviluppo, tra Africa, America Latina, Asia e paesi

est europei: progetti che, come nelle case histories sopra descritte, hanno più di una fonte di

finanziamento. Da alcuni anni, infatti, la Fondazione Slow Food partecipa a bandi di

finanziamento pubblici per progetti di cooperazione, in particolare quelli che hanno come

finalità la tutela della biodiversità, la sicurezza alimentare, il rafforzamento delle economie

locali, la promozione di un’agricoltura sostenibile, la sensibilizzazione dei consumatori. I fondi

ottenuti si sommano alle risorse reperite tramite donatori pubblici e privati, o tramite attività di

fundraising o attraverso il sostegno dei Conviva Slow Food. La Fondazione partecipa a questi

bandi “come partner o, più raramente, come capofila, apportando la propria esperienza tecnica

e organizzativa e, soprattutto, la capacità di comunicazione e amplificazione della rete Slow

Food e di Terra Madre”.

Pur ricordando che la Fondazione opera grazie a un “bagaglio di conoscenze e di contatti” che

difficilmente è quantificabile e riconducibile ai numeri del bilancio stesso, analizzando i dati

del 2008 si evidenzia come il 61% dei proventi (pari a euro 782.609) sia giunto da enti pubblici

e progetti di cooperazione, il 19% (per 249.222 euro) dall'associazione Slow Food e il restante

20% (258.759 euro) da donatori privati. Nel 2008 la Fondazione ha investito circa il 90% dei

proventi – pari a 1.320.598 euro - a sostegno dei vari progetti della Fondazione stessa, tra cui i

progetti di cooperazione, che nel 2008 hanno rappresentato la seconda voce nel budget proventi

per un totale di 459.859 euro.

Ecco in sintesi i principali finanziamenti ottenuti dalla Fondazione Slow Food da istituzioni

italiane:

a) Il caffè delle terre alte di Huehuetenango è uno dei Presìdi più importanti della Fondazione

Slow Food per attività svolte e risultati raggiunti. Il progetto, nato nel 2002, a partire dal 2007 è

stato incluso, insieme a quello del caffè della Sierra Cafetalera della Repubblica Dominicana,

in un progetto di più ampio respiro finanziato dal Governo italiano attraverso la Direzione

Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri, che nel 2008 lo ha

finanziato per 131mila euro.

b) Sempre il Ministero degli Esteri ha finanziato per 2472 euro un Mercato della Terra in

Libano.

c) A partire dal 2006, la Regione Piemonte sostiene il Presidio dell’olio di argan in Marocco.

Grazie al suo contributo, la Fondazione Slow Food lavora con alcune cooperative di produttrici

di olio di argan (alimentare e cosmetico) per migliorare la qualità del prodotto e del processo

produttivo e per accrescere la propria capacità gestionale e commerciale. Lo stanziamento del

2008 è stato di circa 25 mila euro.

d) La Regione Piemonte ha intrapreso nel 2008 un progetto con la Fondazione Slow Food per

avviare nuovi Presìdi e promuovere attività a sostegno delle economie locali in Senegal,

Mauritania, Mali, Etiopia, per un totale di circa 50mila euro finanziati.

e) La Regione Toscana, che contribuisce a progetti nei Balcani e in Medio Oriente, sostiene i

Presìdi dello slatko di prugne pozegaca (Bosnia Erzegovina) e dell’aglio šarac di Ljubitovica

(Croazia) sin dal loro avvio. Nel 2008 ha stanziato circa 77mila euro.

f) Per il sostegno ai Presìdi in Brasile la Regione Veneto ha stanziato nel 2008 circa 32mila

euro.

g) Per l'avvio di Presìdi in Nuova Caledonia la Regione Veneto ha stanziato circa 39mila euro.

Tutti i progetti realizzati nel Sud del mondo devono prevedere un esplicito impegno sociale. Il

disciplinare di produzione, condiviso da tutti i caficoltori del Presidio del caffè Terre alte di

Huehuetenango in Guatemala, stabilisce non solo la qualità organolettica del prodotto e una

produzione rispettosa dell’ambiente, ma prevede anche precise norme sociali: uomini e donne

devono avere le stesse possibilità di accesso al Presidio e le stesse opportunità all’interno

dell’organizzazione. I figli dei produttori hanno l’obbligo di terminare il ciclo di studi e di fare i

vaccini previsti dalla legge. Il disciplinare stabilisce anche il prezzo minimo di vendita del caffè

e prevede che una percentuale del 5% degli utili sia reinvestita in progetti a forte valenza

sociale. I produttori guatemaltechi, soci della cooperativa, vendono il loro caffè direttamente

alla torrefazione a un prezzo equo e remunerativo e, alla fine dell’anno, ricevono il 50% degli

utili.

Altrettanto importante, per Slow Food, è il rapporto tra Presìdio e tutela dell’ambiente. In

America Latina, ad esempio, tutti i Presìdi nati in aree tropicali hanno tra gli obiettivi primari la

tutela della foresta e degli alberi autoctoni: prodotti come il caffè, il cacao, la vaniglia o il

waranà devono la loro eccellenza anche alla coltivazione all’ombra di alberi ad alto fusto.

Motivo per cui i Presìdi, una volta istituiti, svolgono un’importante funzione di tutela per quelle

varietà che devono essere coltivate in simbiosi con gli alberi autoctoni: un mezzo per

salvaguardare la flora e la fauna autoctona, i paesaggi tradizionali in contrapposizione alle

monocolture, migliorando la situazione economica delle comunità rurali di aree socialmente

povere.

La Fondazione Slow Food può anche contare su una ricca rete di tecnici, esperti, docenti

universitari e Ong partner di progetti, persone con le quali la Fondazione organizza attività di

formazione e missioni di tecnici in loco in sostegno ai produttori dei Presìdi. Le visite, gli

scambi, i workshop, gli eventi formativi, oltre a divulgare informazioni e tecniche per

migliorare la qualità dei prodotti, sono particolarmente utili a rafforzare le relazioni tra

produttori dei Presìdi, comunità di riferimento e sistema Slow Food. Così facendo si rafforza

l’idea complessiva di appartenenza ad un network mondiale di operatori del cibo. Leggendo gli

articoli pubblicati sulla rivista Slow viene riportata, e talvolta enfatizzata, la sensazione che

dagli scambi siano nate delle amicizie tra produttori locali e personale italiano.

Come sempre nel sistema Slow Food sono decisive le attività di comunicazione,

sensibilizzazione e divulgazione. La spesa totale della comunicazione e sensibilizzazione è

stata pari a 111.214 euro, l’8% del “valore aggiunto” della Fondazione, ovvero il 90% del totale

dei proventi. La comunicazione dei Presìdi tende a mostrare la qualità dei prodotti, utilizzando

il racconto dei territori, della storia e cultura dei produttori e dell’evoluzione del progetto, allo

scopo di sostenere il fundraising e la commercializzazione dei prodotti. Non a caso numerosi

prodotti dei Presìdi sono regolarmente commercializzati in catene commerciali quali Eataly

(Torino, Milano e Bologna), Coop Svizzera e Coop Italia. In sinergia con la comunicazione c’è

ovviamente l’accesso alla promozione da parte del mondo Slow Food, attraverso la

partecipazione a eventi quali il Salone del Gusto, Slow Fish, Slow Cheese. Uno dei principali

obiettivi dei Presìdi è infatti trovare nuovi sbocchi di mercato ai prodotti dei Presìdi, per i quali

l’ingresso nel sistema Slow Food è garanzia di valorizzazione economica. Nel 2002 il

quotidiano economico-finanziario Il Sole 24 Ore, con la collaborazione scientifica

dell'Università Bocconi di Milano, ha realizzato una ricerca specifica, per verificare i risultati

economici del progetto. Prendendo in esame un campione di 54 Presìdi italiani, appartenenti a

sei aree produttive (pesce, prodotti da forno, formaggi, razze da carne, salumi, ortofrutta), lo

studio della Bocconi ha rilevato aumenti nelle quantità vendute, nel prezzo di vendita e nella

qualità finale. La seguente tabella, per quanto un po' datata e riferita a prodotti soltanto italiani,

testimonia eloquentemente quanto il sistema Slow Food garantisca valore aggiunto ai prodotti.

Categorie di prodotto Quantità venduta Prezzo

Pesce +11% +39.3%

Salumi +53% +20%

Prodotti da forno +36% +21.5%

Formaggi +46% +28%

Razze da carne +161% +19%

Frutta, ortaggi, legumi +74% +68%

Crescita media +63.5% +32.6%

3.7. L'ACCORDO TRA FAO E SLOW FOOD PER PROGETTI IN AFRICA

OCCIDENTALE

A Torino, durante l'ultima edizione del meeting di Terra Madre (23-27 ottobre 2008) Slow Food

e Fao annunciano la firma di una partnership per programma di sicurezza alimentare in quattro

paesi dell'Africa occidentale: Mali, Senegal, Guinea Bissau e Sierra Leone. Valorizzando le

produzioni locali in questi paesi si potrà contribuire a promuovere il mercato interno e

d'esportazione, dando così un contributo importante al raggiungimento della sicurezza

alimentare per milioni di persone che dipendono dall'agricoltura per la propria sopravvivenza.

Alexander Muller, vice direttore generale della Fao, ha dichiarato che "il rilancio del settore

agricolo potrà diventare realtà solo se saranno le comunità produttive locali a trarne beneficio.

Slow Food sta operando in questo senso e siamo lieti di poter lavorare insieme in Africa

Occidentale oggi, e altrove domani". Il programma Fao in Africa occidentale per la sicurezza

alimentare, di cui l'accordo con Slow Food è una componente, è finanziato dalla Cooperazione

italiana per circa 20 milioni di euro, si qualifica per la capacità di aiutare ai produttori a trovare

sbocchi di mercato, ad esempio avviando un piccolo commercio oppure a conservare e

trasformare i prodotti per evitare che si debbano vendere soltanto al momento del raccolto. Il

programma Fao – Slow Food in Africa occidentale è stato formalmente avviato nel mese di

luglio del 2008, è stato presentato al meeting Terra Madre 2008, ha di fatto preso avvio nel

2009 e ha durata triennale con conclusione fissata per il 2011. Lo stanziamento in capo a Slow

Food è pari a 267 mila euro complessivi per tre anni. Una parte dei risultati sarà presentata dei

risultati al meeting di Terra Madre che si terrà nell'ottobre 2010 e l’avvio di almeno un Presidio

in ognuno dei quattro Paesi. Il progetto non ha potuto rispettare il crono programma iniziale: la

Letter of Agreement (LOA) necessaria per l'avvio reale delle azioni del progetto è stata firmata

nell'agosto 2009. A novembre 2009 è stata organizzata una formazione per 14 collaboratori di

Slow Food in Africa all'interno di un progetto finanziato dalla Regione Piemonte. Durante

questa formazione i collaboratori Slow Food si sono suddivisi il lavoro di mappatura,

l'organizzazione della missione, di cui fanno parte un tecnico e due persone della Fondazione,

la scelta del Presìdio e il coordinamento delle attività del Presidio. In Mali e Senegal, dove

Slow Food può contare su una presenza più radicata, i referenti hanno iniziato da poco tempo il

lavoro di mappatura e costruzione della rete dei contatti locali, formata perlopiù da agronomi e

rappresentanti di Ong locali. L'intero progetto Slow Food sarà ripartito in 6/7 sottoprogetti con

l'obiettivo di lavorare sul versante sicurezza alimentare e di verificare la possibilità di far

nascere nuovi Presìdi.

3.8. DEFINIZIONE DEL MODELLO DI COOPERAZIONE ALLO S VILUPPO DI

SLOW FOOD

Dall’analisi comparativa con progetti di cooperazione in paesi in via sviluppo di impianto più

tradizionale emergono due specifici tratti distintivi della cooperazione targata Slow Food. La

prima considerazione riguarda l'entità e la sostenibilità economica. Si è analizzato come il

budget annuo della Fondazione non superi ad oggi il milione e mezzo di euro, cifra che

comprende l'intero lavoro sui 300 e oltre Presìdi Slow Food e non solamente quelli da

ascriversi ai paesi in via di sviluppo. Se si considera che il comitato Direzionale della direzione

generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Ministero degli Affari Esteri ha

approvato, il 16 dicembre 2009, la concessione per il 2010 di contributi volontari ad alcuni

organismi internazionali per un totale di 41,5 milioni di euro e che il volume di euro mobilitati

all’anno dalle Ong italiane è di circa 350 milioni appare evidente che, rispetto ai volumi della

cooperazione allo sviluppo di provenienza italiana, la Fondazione Slow rappresenta una

percentuale oggettivamente trascurabile. Si pensi, a mo' d'esempio, che per le attività del 2010

del già citato Presidio del miele bianco di Wukro in Etiopia la Fondazione Slow Food prevede

costi per 32.750 euro. È dunque inequivocabile la scelta di fondo compiuta da Slow Food in

fatto di cooperazione internazionale: a) operare con gradualità, per piccoli passi e in una logica

di sostenibilità; b) operare con il sostegno di enti locali italiani ed enti locali dei paesi

beneficiari, possibilmente con l'avvallo di un organismo sovranazionale; c) operare su prodotti

che possano avere un mercato sia interno che internazionale; d) operare con il sostegno di

partner tecnici italiani e/o europei in grado di fornire commodities e formazione professionale

ai produttori. Escludendo il programma Slow Food in collaborazione con la Fao, avente una

diversa entità economica proprio per l'intrinseca differenza del programma stessa (sicurezza

alimentare, quattro stati coinvolti, ecc) tutti i restanti progetti hanno budget annui nell'ordine di

alcune decine di migliaia di euro, mirano a sostenere dei Presìdi e le comunità del cibo che li

producono, ovvero sono progetti di educazione al gusto e a tutela della biodiversità.

La seconda considerazione riguarda il modus operandi stesso della Fondazione Slow Food in

materia di cooperazione. La letteratura definisce “cooperazione decentrata” quella particolare

modalità di intervento in cui Ong o soggetto attuatore lavora a un progetto di sviluppo o di

scambio in stretto raccordo con un ente locale co-finanziatore (Comune, Provincia e Regione),

ovvero con un'impresa o altra realtà privata. È una modalità tra le più efficaci, che si è andata

affermando molto in Italia negli anni '90 del secolo scorso anche in concomitanza con la crisi

nella ex Jugoslavia, ed ha come scopo quello di unire e moltiplicare competenze, risorse e

conoscenze ai fini dell'efficacia del progetto. La cooperazione decentrata è altresì sostenuta da

una legislazione italiana che riconosce agli Enti Locali la possibilità di azioni di cooperazione

allo sviluppo e garantisce a quesi la partecipazione ai processi di internazionalizzazione, agli

scambi commerciali ed economici, ai processi migratori, alle relazioni culturali e ai flussi

turistici, consolidando valori come partecipazione, solidarietà e democrazia. Per quanto

affermato fino ad ora, è possibile sostenere che il modello di cooperazione posto in essere da

Slow Food sia un modello di “cooperazione decentrata a sussidiarietà economica allargata”.

Slow Food ha dimostrato dal 2003 ad oggi di riconoscere e sostenere il diritto di partecipazione

nella determinazione delle funzioni nonché l'autonomia sociale delle comunità del cibo, predica

il diritto-dovere di intervenire con un'azione sussidiaria che colmi quelle necessità, materiali e

non solo, e rimuova gli ostacoli al pieno sviluppo delle comunità. Presupposto di questo

ragionamento è la storia trentennale di un'organizzazione che celebra la sacralità del cibo, il suo

alto valore simbolico quale forma rappresentativa dell'identità delle popolazioni. Ecco il

riconoscimento dei gruppi intermedi, cioè le comunità del cibo, ovvero gruppi sociali titolari di

diritti e portatori di interessi legittimi aventi come obiettivo primario – in molti paesi del sud

del mondo - la sopravvivenza, l'auto determinazione alimentare, il benessere sociale. La

sussidiarietà orizzontale può anche essere intesa come una legittima ingerenza nella vita

economica della comunità del cibo, ingerenza che attualizza quelle condizioni che, dal contesto

sociopolitico di partenza, consentono ai gruppi sociali di dispiegare pienamente la propria

capacità di agire.

In secondo luogo Slow Food intende favorire un sentimento di solidarietà tra i gruppi sociali

organizzati del nord e del sud del mondo, una solidarietà fondata non su astratti valori etico

morali bensì su una cooperazione concreta, tangibile, che sia garanzia nei confronti dell’azione

pubblica per il raggiungimento di obiettivi più grandi e dalla maggiore rilevanza sociale.

Sussidiarietà economica è infine la proposta che consente di riconsiderare il ruolo e i compiti

dello Stato: nei paesi in via di sviluppo Slow Food opera facendo ciò che dovrebbe fare lo

Stato: creare condizioni e presupposti, tutelare legittimi interessi e consentire ai singoli

organizzati in forma associata di poter dispiegare, in libertà, il proprio essere e la volontà di

agire senza che questi debbano rinunciare alla propria cultura, identità e tradizione o, come

capita a milioni di contadini africani, abbandonare il villaggio per ingrossare le bidonville delle

grandi città.

La sussidiarietà economica è ovviamente allargata nella misura in cui Slow Food, alle comunità

del cibo con cui entra in contatto, “mette a disposizione” un movimento forte maturo e

ramificato, dotato di forza economica, di rete commerciale, di capacità di azione politica

culturale e sociale.

3. 9. CONCLUSIONI

La cooperazione internazionale in Slow Food è sufficientemente recente da non consentire un

giudizio storico su questi specifici programmi. Programmi di cooperazione che tuttavia

appartengono di diritto alla più vasta galassia del sistema Slow Food, che pur nella sua

complessità mostra una generale continuità con gli ideali e i principi su cui si è costituita. In

altre parole, in trent'anni di vita Slow Food non è diventata altro rispetto alle istanze delle

origini, pur essendo cresciuta e avendo allargato fortemente i propri orizzonti. La cooperazione

allo sviluppo di Slow Food, e dei Presìdi in quanto antenne, baluardi e centri di produzione, si

dispiega lungo tre direttici. Sicuramente il dato economico è il principale e il prevalente,

essendo i prodotti dei Presìdi in via d'estinzione in quanto senza mercato e non più

remunerativi per i produttori. Produttori locali che possono invece proseguire la loro attività,

contare sul sostegno di Slow Food, aprirsi a nuovi mercati nazionali e internazionali,

rivitalizzare o creare ex novo un'economia locale. Il dato economico dei progetti garantisce un

reddito minimo o incrementa il reddito dei produttori, crea un indotto locale ed è leva sul

livello occupazionale. Connessi agli aspetti economici vi sono le motivazioni sociopolitiche, a

cominciare dal rafforzamento della capacità organizzativa dei produttori, della capacità di

azione politica e sociale, di rilancio del proprio agire, di miglioramento delle relazioni con

istituzioni pubbliche e private, di acquisto di notorietà e peso mediatico: ciò che oggi va

comunemente sotto il nome di empowerment. In questo senso possono anche essere lette gli

spin-off dei Presìdi, a cominciare dagli itinerari culturali e turistici, come pure il recupero di

edifici storici o la creazione di musei didattici. Infine, gli obiettivi ambientali che Slow Food

promuove assumono un valore universale nella misura in cui promuovono la salvaguardia della

biodiversità, l'eliminazione o riduzione di trattamenti chimici, la pratica di un'agricoltura

estensiva e tesa alla tutela delle razze locali e delle varietà autoctone, lo stimolo a fare uso di

energie rinnovabili. L'obiettivo interno a Slow Food è ovviamente l'ampliamento e il

consolidamento della base sociale e della propria presenza nel mondo.

Un processo di corretta acculturazione è insito in questo modello di cooperazione: ad esempio

una chiara e accurata etichettatura del cibo, oltre a garantire l’accesso a informazioni su

contenuti dei prodotti usati, è soprattutto la testimonianza visiva di una codifica scritta per un

processo millenario e sedimentato qual è la preparazione di un cibo. Questa codifica

rappresenta per i produttori una concreta apertura di credito rispetto a un mercato, certamente

più potenziale che reale, al di fuori del consumo locale, ma è anche la consapevolezza di

produrre un cibo che il cui gusto è apprezzato anche in paesi molto lontani.

Siamo convinti che, in tanti paesi africani e latino americani, il vero valore aggiunto della

presenza di Slow Food sia la class awareness che viene comunicata alle comunità del cibo.

Trasmettere cioè la consapevolezza di uno avere status sociale, di poter tornare ad essere

padroni delle proprie vite e del proprio destino, sia come persone che come lavoratori. In

questo Slow Food assume un duplice ruolo, non più soltanto “enzima” in grado di riattivare

circuiti virtuosi di produzioni locali ma anche partner di una più grande e impegnativa battaglia

politica, che oggi si combatte con armi commerciali, contro l'appropriazione dell'Africa e

dell'America Latina da parte dei nuovi paesi forti, in primis Cina India Russia Corea e paesi

mediorientali. In tal senso si possono interpretare le opzioni politiche in favore di

regolamentazioni vincolanti per tutte le grandi compagnie transnazionali, ovvero leggi anti-

trust per prevenire lo sviluppo di monopoli industriali nell’alimentazione e nel settore agricolo,

con annessa la possibilità di ritenere le compagnie transnazionali, e i loro legali rappresentanti,

delle violazioni delle leggi ambientali e sociali o di accordi internazionali e nazionali.

Oltre a questi benefici alle popolazioni locali di ordine simbolico identitario, Slow Food in

Africa potrà apportare benefici concreti in termini sociopolitici, contribuendo ad arrestare o

perlomeno ad arginare lo spopolamento delle campagne da parte di milioni di contadini in

cerca di migliore fortuna nelle grandi città, tentativi che sappiamo il più delle volte spalancare

le porte della miseria e dell'esclusione sociale. Infine, un terzo aspetto se vogliamo più tecnico

alimentare su cui Slow Food, al pari di tante altre Ong lavora, ovvero l'accrescimento di quelle

conoscenze tecnico scientifiche che possano alzare i livelli di food safety tra le popolazioni

rurali. Questo richiede investimenti di lungo termine in progetti educativi e formativi.

L'obiettivo ultimo di Slow Food, attraverso le Fondazioni Terra Madre e per la Biodiversità, è

quello di porsi come una grande forza sindacale dei contadini del mondo. Una forza sindacale

attenta ai loro bisogni, capace di interpretare i mutamenti in atto nelle società del nord come del

sud del mondo, in grado di porsi come interlocutore politico credibile rispetto a Governi e

Organizzazioni internazionali.

Bibliografia

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Interviste:

Paolo Di Croce, segretario Slow Food International

Francesco Impallomeni, responsabile progetti Slow Food in Etiopia, Madagascar, Uganda e

Tanzania

Michela Lenta, responsabile progetti Slow Food in Marocco, Libia, Egitto, Mauritania, Guinea

Bissau, Sierra Leone.

Marco Epifani, già Fiduciario Convivium di Parma

Roberto Ferranti, Fiduciario Convivium di Bologna

Giorgio Pirazzoli, Direttore Mercato della Terra di Bologna

Siti internet consultati:

www.slowfood.it

www.slowfood.com

www.fondazioneslowfood.it

www.mcdonald.it

www.politicheagricole.it

www.e-coop.it

www.coop.ch

www.terramadre.info

www.eataly.it

www.ilsole24ore.it

www.repubblica.it

www.fao.org

www.volontariperlosviluppo.it


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