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DOTTORATO DI RICERCA IN
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E POLITICHE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Ciclo XXI
TITOLO TESI
POLITICA E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN SLOW FOOD
Presentata da: ALBERTO GROSSI Coordinatore Dottorato Relatore PROF. ANDREA SEGRE' PROF. ANDREA SEGRE'
Esame finale anno 2010
Capitolo primo
IL MOVIMENTO SLOW FOOD: ORIGINI, EVOLUZIONE, ORGANI ZZAZIONE.
“Carlo Petrini e Slow Food hanno cambiato per sempre il nostro approccio nei confronti del
cibo”. Riletta oggi, la motivazione con cui la rivista Time dedicò a Carlo Petrini il Premio Eroe
Europeo 2004, questa assume sfumature quasi profetiche. Oggi Slow Food è un'associazione
internazionale con quasi 100mila soci, presente in 132 paesi al mondo, coordina 9 associazioni
nazionali ed è organizzata sul territorio grazie a circa 1000 gruppi locali. Questi i numeri
principali che la fotografano. In realtà Slow Food International, come si vedrà in seguito, è
qualcosa di più e di diverso rispetto a un’associazione organizzata a livello internazionale: è un
movimento d'opinione radicato e diffuso, con un consenso più vasto rispetto al numero già
ampio di associati e simpatizzanti. Slow Food è anche un movimento che promuove un
pensiero e sprigiona molteplici azioni, tra cui progetti di cooperazione internazionale oggetto
della terza parte del presente lavoro.
1.1. LE ORIGINI DEL MOVIMENTO
Le origini del movimento hanno il classico sapore di una storia di successo della provincia
italiana. I fondatori di Slow Food si costituiscono in una sorta di cenacolo cultural
gastronomico, impegnato politicamente e dal sapore goliardico, e da una piccola cittadina del
basso Piemonte gettano le basi per un movimento mondiale per la promozione e la difesa della
cultura del cibo. Il primo embrione di Slow Food è storicamente ricondotto alla primavera del
1979, quando a Bra la locale sezione dell’Arci Langhe organizza una prima rassegna di canzoni
popolari ispirata alla tradizione del Cantar le uova. Rassegna che, dato il successo, viene
replicata l’anno successivo con cantori da tutta Europa ma che a causa del ritardo nei rimborsi
della Regione Piemonte gli organizzatori di Arci Langhe costringe gli organizzatori a trovare
forme alternative per ripagarsi i debiti, tra cui uno spaccio alimentare affiliato all’Arci: un
primo concreto tentativo di dedicarsi al cibo attraverso la rivendita di prodotti enogastronomici
della zona. Ecco quindi che, mentre Carlo Petrini è rieletto in consigliere comunale a Bra con il
Pdup, il primo maggio 1981 apre a Treiso, sempre in provincia di Cuneo, l’Osteria dell’Unione
con annessa rivendita che garantisce le prime fondamentali entrate economiche per il nucleo
fondativo. Nel 1981 nasce la Libera e Benemerita Associazione Amici del Barolo associazione
culturale che da statuto “rivendica il diritto al piacere conviviale” promuovendo le prime
attività e iniziando un tesseramento soci. Organizzata con scopi culturali e sociali, è collegata al
circolo Arci Langhe e lo slogan scelto recita “il Barolo è democratico, o quanto meno può
diventarlo”. Sempre 1982 nasce a Bra la cooperativa “I Tarocchi”, braccio operativo del
Circolo Cocito, mentre a ottobre dello stesso anno viene pubblicata la rivista culturale La Gola.
Nel 1983 Petrini inizia la sua attività giornalistica sulla rivista Barolo & Co. , preludio alla
nascita, nel dicembre del 1987 a Firenze, della celebre guida Vini d’Italia .
I produttori di vino delle Langhe si rivelano i primi autentici stakeholders del movimento, cui
Petrini e soci sono debitori per il credito sulla fiducia loro concesso, aspetto a nostro avviso
sottovalutato nella storia di Slow Food. Se fino ad allora i vignaioli delle Langhe si muovevano
sul mercato in ordine sparso, divisi tra piccole rivalità e senza una visione strategica comune,
Carlo Petrini si propone loro come trait d'union, come la persona capace di valorizzare il loro
prodotto sia commercialmente sia culturalmente come prodotto di un territorio unico al mondo.
L’imperativo è puntare tutto sulla qualità e sul valore del terroir langarolo. Occorre ricordare
che il 1986 è l’anno in cui l'Italia è funestata dal clamoroso scandalo dei vini sofisticati al
metanolo, uno scandalo che ridimensiona drasticamente il mercato dei vini italiani e che da più
parti è considerato l’anno zero per il vino italiano in termini di credibilità (e mercato)
internazionale. Una parte dei vignaioli delle Langhe acquistano la consapevolezza che grazie a
Petrini e seguaci è possibile trovare una maggiore visibilità e aumentare il proprio giro d'affari
grazie al gioco di sponda con la nuova associazione. Ne è prova la guida enologica Vini d'Italia,
realizzata da Slow Food Editore in collaborazione con Gambero Rosso, che nasce proprio in
quegli anni. Una guida che accredita i vini, il cui endorsment rappresenta un ottimo viatico per
il successo commerciale. Il codice dei tre bicchieri è a tutt'oggi utilizzato nel linguaggio
comune come sinonimo di qualità del vino (a prescindere dalla guida stessa).
1.2 OLTRE IL “PARTITO”: RICERCA E CREAZIONE DI UNO SPAZIO SOCIALE
Arcigola in quanto “lega gastronomica” autonoma nasce ufficialmente nel 1986. Al congresso
fondativo svoltosi in luglio a Barolo e a Fontanafredda Carlo Petrini è eletto presidente
all’unanimità. Il 16 dicembre esce il primo numero del Gambero Rosso, supplemento a Il
Manifesto cui collaborano sia Petrini sia il gruppo di Arcigola. Indipendente da un punto di
vista operativo benché affiliata all’Arci, al cui interno è inquadrato il personale stipendiato,
Arcigola pone accento sul discorso del mangiare sano e del buon bere, senza troppa enfasi
politica ideologica perché, come ebbe a dire Petrini, “le papille gustative non hanno colore
politico”. Va sottolineato il fatto che per la prima volta un settore dell’associazionismo di
sinistra si accosti a temi ritenuti marginali come l’enogastronomia, il turismo rurale ed
enogastronomico, affermando un “diritto al piacere” da cibo che resta a tutt’oggi l'architrave di
pensiero dell’universo Slow Food. Si intravvede, tra le pieghe dei discorsi, un progressivo
affrancarsi da una tradizione culturale di matrice social-comunista che fino a quel momento
aveva privilegiato un discorso egualitario centrato sul diritto al cibo per tutti, discorso che
bollava l’enogastronomia di qualità come appannaggio delle élite o comunque delle classi
borghesi. Al contrario, i fondatori di Arcigola parlano apertamente di riscoperta delle tipicità
locali, di diritto al gusto e al piacere. Pronunciano cioè un logos nuovo, con sfumature
edonistiche, che passa per la rivalutazione della qualità dei prodotti tipici e locali e per una
maggiore consapevolezza e conoscenza dei prodotti stessi. Non è un caso che i primissimi
momenti aggregativi di Slow Food passino attraverso incontri di conoscenza, di degustazione e
di assaggio, ma anche attraverso la vendita per corrispondenza di vino e altri prodotti tipici
delle Langhe. Vino e prodotti tipici sono dunque “strumenti veicolari”, certamente
commerciali, ma che divengono l’anima per nuove forme di aggregazione sociale. Jacinthe
Bessière li definisce “marcatori identitari locali”, cioè prodotti – come appunto il vino, i
formaggi, i salumi, ortofrutta – che rappresentano l'eredità gastronomica ma che sono anche
prodotti veicolari per lo sviluppo delle imprese locali e per il turismo. Prodotti che marcano un
territorio, lo identificano e lo qualificano.
Arcigola nasce – e la congiuntura storica non è casuale - nel periodo in cui l'allora Pci allentava
il controllo sulle attività dell'Arci, storicamente il braccio ricreativo - culturale del partito
stesso. La stessa Arci in quegli anni andava diversificando le proprie attività: risalgono a quel
periodo la nascita di Legambiente, Arcicaccia, Arcigay, Arcigola e altre realtà associative oggi
autonome, forti e affermate. Eppure Arcigola rappresenta qualcosa di profondamente diverso, a
livello di istanze e progettualità. Istanze che dalla cultura comunista più ortodossa non vengono
affatto recepite, se non apertamente osteggiate. Arcigola propone una diversa visione del cibo e
del modus vivendi, che fin da subito appare di rottura, anticipando un immaginario nuovo.
1.3. CULTURA E PRASSI ORGANIZZATIVA DELLE ORIGINI
La letteratura riguardante Slow Food ha finora ricercato poco, e forse anche in modo
superficiale, gli assetti organizzativi e l'evoluzione degli stessi, ritenendoli forse marginali se
paragonati all'evoluzione culturale e politica del movimento o forse addirittura ininfluenti
rispetto all'esito di trent'anni di lavoro. Al contrario, riteniamo che l'evoluzione organizzativa
abbia contribuito profondamente alla vita del movimento. L’organizzazione interna degli esordi
è piuttosto artigianale, senza particolari suddivisioni di ruoli. Il personale non ha specifica
preparazione ed è perlopiù reclutato tra amici e persone di fiducia di Carlo Petrini con cui
hanno già condiviso un percorso associazionistico culturale negli anni precedenti. La
carismatica personalità di Petrini gioca un ruolo particolarmente importante proprio nei
primissimi anni di vita, essendo Arcigola un’organizzazione che va costruendo una sua base
sociale ed è sprovvista sia di una rete di relazioni istituzionali sia di una struttura di controllo di
gestione in grado di governare i primi progetti e l'articolazione territoriale. I progetti hanno
costi economici, pertanto richiedono dei finanziatori o in alternativa devono poter portare
introiti all'associazione. L’obiettivo principale di quella che diventerà Slow Food, oltre alla
diffusione del proprio verbo, cioè una nuova “filosofia del gusto” che coniughi conoscenza e
piacere, resta il proprio legittimo consolidamento. Per fare questo occorre far passare all'esterno
un messaggio chiaro e inequivocabile: cibo uguale cultura, identità, territorio. Idee e
determinazione non mancano ma vanno tradotte in progettualità, in progetti innovativi che
facciano comprendere all’esterno il valore di uno straordinario patrimonio enogastronomico
italiano minacciato da una crescente ondata di omologazione nei consumi alimentari. Non più
mero folclore né élite: occorreva coniare un discorso culturale forte ma al tempo stesso
potenzialmente di massa, disponibile a chiunque intendesse approfondirlo. Ecco dunque il tema
della convivialità, inteso non soltanto come diritto al piacere da cibo ma come tassello decisivo
per la nascita di reti relazionali forti. Una convivialità chiamata a costruire e diffondere nuovi
legami sociali, nuove comunità di appassionati. L’idea, risultata vincente, è che le persone
possono conoscersi attraverso il buon cibo e il buon vino, educarsi o rieducarsi al piacere dato
non soltanto dalle papille gustative ma del sapere e della riscoperta di tutto un patrimonio
storico che ogni cibo porta con sé. Fin dai loro esordi i Convivia sono il gradino primo
dell’organizzazione con cui Arcigola intende promuoversi e diffondere il nuovo modo di
interpretare il cibo e la tradizione. I Convivia sono i gruppi locali, costituiti per omogeneità
gastronomico culturale ma anche per esigenze amministrative, organizzative e territoriali. Il
modello organizzativo dei Convivia non è troppo distante da quello adottato dalle tradizionali
sezioni del Pci: aggregati intorno ad un leader locale, sono un luogo di incontro e dibattito,
servono a diffondere conoscenza e consapevolezza, servono a cementare l'unità attorno agli
obiettivi politici, servono soprattutto per degustare e riscoprire i piaceri del cibo e del vino.
1.4. “DICHIARARE GUERRA AL NEMICO”
Alle prese con una notevole mancanza di risorse economiche interne, lo sforzo profuso da
Arcigola nei primi anni di vita è di trovare una sintesi virtuosa tra diritto al piacere da buon
cibo e un corretto apprendimento alimentare, in altre parole l’educazione al gusto attraverso i
Convivia e gli incontri pubblici, nel tentativo di nobilitare la gastronomia, liberandola
dall’asfissia di nicchie ed élite e provando a darle una dignità scientifica. Un tentativo riuscito,
non senza alcune contraddizioni che, come vedremo, non tarderanno a manifestarsi. In
un’epoca storica fortemente connotata dall’affermarsi dell'agroindustria alimentare, l’idea che
cibo uguale cultura uguale territorio rappresenta un’assoluta novità nel panorama culturale
italiano ed europeo, un’intuizione che renderà straordinaria e unica l’epopea di Petrini e dei
suoi compagni di avventura. Con una singolare combinazione di eventi politici il 1986 conosce
altri due episodi importanti: oltre allo scandalo del vino adulterato al metanolo e al disastro
nucleare di Chernobyl, il 1986 è un anno particolare in quanto segna l’apertura in Italia dei
primi locali “fast food”. Folco Portinari, allora dirigente Rai e tra i fondatori del movimento
Slow, ricorda: “Alcuni locali storici d’Italia, anche a Firenze, si erano trasformati in fast food.
A forza di sentirne parlare, ci venne l’idea di cercare di arginare questa calata dei barbari con
lo Slow Food: la intendemmo come una trincea difensiva. Carlin [Carlo Petrini, n.d.a.] mi
chiese di provare a scrivere un Manifesto con la nostra filosofia. Cercai di spiegare che dietro
al Fast Food c’erano una nuova cultura e una nuova civiltà con un unico valore: il profitto (…)
Volevamo recuperare il valore del corpo e del piacere. Ebbi la ventura di trovare l’espressione
fast life, poiché il tempio in cui se ne celebravano i riti era il fast food. Il sottotitolo che ideai
per quel manifesto era Movimento Internazionale per la Tutela e il Diritto al Piacere. Il
Manifesto di Slow Food aveva come obiettivo non solo rivalutare il cibo ma anche i ritmi lenti
della vita e dei suoi momenti”. Quel manifesto avrà una grande eco in Italia e anche in Europa:
era il segnale di un disagio profondo a livello identitario per un paese che, fino a vent'anni
prima, aveva sofferto la fame e che per fame mandava i suoi figli all'estero in cerca di lavoro. E
quei figli di contadini e di piccoli proprietari agricoli che nel dopoguerra avevano abbandonato
le campagne per ingrossare le fabbriche di città erano diventati i primi frequentatori dei fast
food all’americana. L’Italia, oramai paese industriale a tutti gli effetti, è diventata terra di
conquista per le grandi multinazionali dell'alimentazione. Il Manifesto per lo Slow Food dava
voce a quel disagio, chiamando a raccolta un'Italia profonda, tradizionalista e diffidente alla
modernità ma al tempo stesso individuando nell'Italia delle classi più illuminate e culturalmente
attrezzate il naturale bacino del nascente movimento.
Lo sbarco dei fast food in Italia fu sostenuto non solo da massicci investimenti in termini di
marketing e pubblicità ma anche da una sottocultura editoriale mediatica atta a sostenere stili di
vita di matrice statunitense che vedono in successo e velocità due tra i valori dominanti, e che
trovano nello stile fast food un ingranaggio funzionale. Tuttavia le idee e i valori di Arcigola,
portati avanti con fiera caparbietà e grande determinazione da Petrini, pur operando lontano
dalle luci della scena riescono a trovare consenso e creare quella prima base sociale allargata
che risulterà utilissima all’organizzazione che ha per simbolo la chiocciolina. Tra il 1986 e il
1989 i soci aumentano in modo costante e crescente fino a raggiungere quota 11 mila tesserati
nel 1989, anno in cui l’associazione prende il nome di Slow Food e diventa internazionale
grazie anche a una crescente disponibilità di associati volontari, in Italia come all’estero. Si
assiste all'allargamento e alla diversificazione della base sociale: non più solo appassionati e
produttori degli inizi ma anche stakeholders come cuochi, produttori, artigiani, giornalisti, o
ancora gourmet e semplici curiosi, forse meno coinvolti nella vita associativa e più interessati
agli aspetti conviviali e di divertissement. Il 10 dicembre 1989 all’Opera Comique di Parigi
nasce ufficialmente il Movimento Internazionale Slow Food, il cui protocollo sottoscritto dai
rappresentanti di 15 paesi recepisce le linee filosofiche e politiche del Manifesto del 1987 in
una logica di apertura transnazionale. Dirà Petrini che “occorreva andare oltre e uscire dai
confini dell’associazionismo improntato a logiche municipali e corporative su cui si fondano le
compagnie della buona tavola destinate alla morte per vecchiaia”. La scelta politico-
organizzativa di Slow Food è quella di alzare l’asticella della competizione, di allargare lo
sguardo, poiché arroccarsi su una dimensione nazionale, per quanto essa crescente, ovvero
coltivare l'orto italico, avrebbe potuto rivelarsi una scelta limitante e asfittica nel lungo periodo.
Occorreva essere fin da subito un movimento transnazionale, ovvero multiculturale,
internazionale, politicamente e culturalmente trasversale. Una seconda ragione - strategica
quanto pragmatica - appare chiara ai fondatori: contro la forza economica delle multinazionali
della “omologazione del gusto” un’associazione su base nazionale finirebbe per soccombere.
L'aver fondato un movimento internazionale in una Parigi intenta a festeggiare i 200 anni della
Rivoluzione francese denota la lungimiranza politica di un Petrini che certo prefigura la
possibilità di portare idee e istanze sui tavoli politici europei ma che immagina l'aspetto
rivoluzionario del suo movimento.
1.5. L'EDITORIA COME PRIMA AZIONE ORGANIZZATIVA
Il principale strumento di promozione e divulgazione dell’azione di Slow Food si poggia
sull’editoria: vengono pubblicate le prime guide e nasce la rivista internazionale Slow per
informare e acculturare tutti i soci del movimento. Ma è anche il logo della chiocciolina ad
incuriosire, appassionare e raccogliere nuovi “adepti”. Se è vero che Slow Food appare fin dal
nome in contrasto aperto e dichiarato con la cultura fast food, nel tempo il movimento della
chiocciolina riesce ad affermare una sua identità e riconoscibilità centrata sulla proposta della
lentezza come valore sociale. La contrapposizione fast/slow, sia pure finemente simbolica, si
rivela sostanziale e ontologica: gli uomini di Slow Food sono abilissimi nel far associare al
“fast” tutte le degenerazioni e il grottesco della contemporaneità, dal cibo omologato e insapore
alla frenesia caotica delle relazioni umane fino alle degenerazioni dell’iper capitalismo. Dopo il
battesimo internazionale parigino Slow Food inizia a uscire da una prima fase un po’ carbonara
e compie un deciso salto di qualità, rompendo definitivamente ogni forma di indugio o
timidezza tipica del movimentismo. Sono fondate Slow Food Editore srl, emanazione di Slow
Food Italia, con l’intento di promuovere le proprie attività sul territorio ma anche di proporsi
come nuovo punto di riferimento per un settore, quello dell’editoria gastronomica, che fino ad
allora aveva nella Guida Michelin un modello insuperato e quasi monopolistico. Ha inizio nel
1987 la già citata guida Vini d’Italia, edita Gambero Rosso in collaborazione con Slow Food, e
nel 1990 la guida Osterie d’Italia che recensisce 712 ristoranti italiani secondo i parametri della
qualità a prezzi equi, pubblicata da Slow Food Editore. Quest’ultima guida si rivela un
successo editoriale oltre ogni più rosea aspettativa, con milioni di copie vendute nel corso degli
anni. Più in generale, come verrà approfondito in seguito, all'interno della complessiva strategia
di comunicazione sono i libri, le riviste e le pubblicazioni cartacee la prima forma di
divulgazione. Risale al 1992 la prima Guida ai vini del mondo in cinque lingue, mentre nel
1996 iniziano le pubblicazione della rivista internazionale Slow, prima in tre lingue e dal 1998
in sei lingue. Una scelta che potrebbe apparire scontata in quanto è l’editoria il naturale e
principale strumento di comunicazione, meno scontata si rivela essere la qualità intrinseca dei
prodotti editoriali.
1.6. CARLO PETRINI
La figura di Carlo Petrini è centrale in tutte le fasi di vita del movimento e risulta assolutamente
determinante e imprescindibile per la storia di Slow Food dalle origini ad oggi, una figura
emblematica e degna di analisi. Carlo Petrini è oggi un personaggio pubblico noto a livello
internazionale, pertanto sotto i riflettori per buona parte del suo tempo. Petrini – stando
all'abbondante pubblicistica e ai resoconti informali – è un personaggio esuberante,
appassionato, coinvolgente, al tempo stesso testardo e infiammabile, ama alternare
affermazioni attinte al buon senso contadino con iperboli e paradossi, è spesso “sopra le righe”
nelle situazioni conviviali quanto impeccabile in situazioni formali. Cosmopolita senza aver
mai rinunciato a vivere nel suo Piemonte, Petrini è un distinto signore dell'operosa provincia
italiana capace di adattarsi a molteplici situazioni, uno straordinario comunicatore capace di
farsi intendere dialogando in dialetto piemontese e dotato di una grande capacità di
persuasione. Personalità poliedrica e versatile, umorale benché affabile, Petrini è l'emblema
delle virtù e delle contraddizioni del movimento da lui creato. Un movimento che, pur avendo
dovuto necessariamente strutturarsi e istituzionalizzarsi, come si vedrà in seguito, ha visto
Petrini mantenere e anzi ampliare il potere dettato dal suo carisma originale e dalle sue
lungimiranti intuizioni. Petrini è fin da subito il leader naturale, il conduttore e quasi il profeta
del verbo cultural gastronomico che rivendica il diritto al piacere del cibo per tutti e che lotta
per nuovi assetti tra consumatori e produttori. La personalizzazione del movimento Slow Food
attorno alla figura del suo fondatore non rappresenta una questione ineluttabile e subìta, al
contrario la dipendenza da Petrini è cercata e voluta in una sorta di “paternalismo premiale” che
vede i discepoli confrontarsi direttamente con il padre che ne è ispiratore e guida. Ne è prova il
fatto che proprio a livello organizzativo non è mutata la logica, nata ai tempi di Arcigola, che
porta a premiare e a valorizzare chi dall’interno del gruppo si dimostra più attivo e propositivo,
chi dimostra attraverso il lavoro l'aver meglio recepito il “verbo petroniano”. Significativa a tal
proposito è la carriera di Roberto Burdese, oggi presidente di Slow Food Italia e fedelissimo di
Petrini, entrato nell'organizzazione poco più che ventenne come obiettore di coscienza, che con
crescenti gradi di responsabilità è riuscito a raggiungere i vertici del movimento italiano.
All’interno di Slow Food International la forza e il carisma di Petrini è tale per cui tutte le
scelte più importanti hanno assecondato le sue volontà e le sue indicazioni. Anche le
promozioni dei dirigenti o i nuovi ingressi hanno seguito più una logica di cooptazione che di
merito in quanto tale o competenze. Nonostante Slow Food abbia raggiunto dimensioni
associative e rappresentanza a livello globale, non risultano esserci mai state lotte di potere o
candidature contrapposte a livello congressuale per la conquista della leadership, a
dimostrazione del fatto che esiste una forte e ampia condivisione dei progetti principali e una
legittimazione all’interno di una sorta di selezione naturale. Il meccanismo ascendente verso i
vertici dell'organizzazione avviene dunque non a colpi di mozioni o di tesseramenti bensì sulla
base di un sistema premiale che, per quanto allargato nella platea, vede sempre in Petrini il
riferimento ultimo di approvazione. Paolo di Croce, segretario di Slow Food International,
afferma che talvolta è sufficiente una email inviata dall'indirizzo di posta elettronica di Petrini
per sbloccare alcune situazioni di impasse che si verificano in Italia come all'estero.
Anche l'evoluzione dell'immagine di Carlo Petrini è particolarmente interessante, agli occhi
degli osservatori. Le prime immagini di Petrini anni settanta animatore culturale ritraggono un
trentenne goliardico, appesantito, barbuto e in abiti proletari, ben diverso dall'immagine del
sessantenne signorile e cosmopolita di oggi. Petrini ama diversificare il proprio modo di
vestire, dal tabarro invernale all'abito elegante indossato senza cravatta al look informale delle
riunioni con amici e compagni di avventura. Le stesse fotografie di oggi, gestite con abile
sapienza dell'ufficio comunicazione di Slow Food, lo mostrano sorridente, esternano
un'immagine di persona arguta ma disponibile, con slanci ideali e profetici ma con capacità
pratiche, in grado di conversare con Carlo d'Inghilterra con la stessa facilità con cui conversa
con un contadino africano. Un'immagine studiata, frutto di un'elaborazione sistematica e di
progressivi aggiustamenti, da cui si evince la particolare cura che nel quartier generale di Bra è
da sempre riposta nelle strategie di comunicazione.
1.7. DALL'INFORMALITA' ALLE REGOLE CODIFICATE: IL M ODELLO
ORGANIZZATIVO SLOW FOOD.
Con la fondazione di Arcigola nel 1986 prende avvio un processo organizzativo finalizzato
all'accreditamento e legittimazione del movimento, un processo grazie al quale si giungerà
negli anni ad una definitiva istituzionalizzazione del movimento Slow Food. Basata
inizialmente sull'entusiasmo spontaneistico dei primi dipendenti, la struttura organizzativa è
gradualmente approdata a una suddivisione interna attraverso la distribuzione di compiti, le
prime gerarchie, la nascita di uffici e la codifica di regole interne in grado di accompagnare la
vita e la crescita dell’associazione. Un processo di istituzionalizzazione di fondamentale
importanza per la maturazione del personale e degli organismi dirigenti, al fine di dare
consapevolezza alla struttura e per l’acquisizione di quei saperi necessari alla definitiva
legittimazione esterna. Nel corso degli anni tuttavia, in un crescendo di dimensioni e consensi,
non è mai venuta meno l'influenza anche sul piano organizzativo del nucleo fondativo legato al
carisma di Carlo Petrini e ai suoi primi sodali. Se è vero, come sostengono i più, che senza
Petrini forse Slow Food non esisterebbe, ciò è anche dovuto al fatto che nonostante quasi
trent’anni alla guida del movimento, e nonostante una necessaria strutturazione del movimento
che ha comportato una crescente burocrazia interna, non è mai venuta meno un aspetto
fideistico di appartenenza mutuato da una sorta di “energia contagiosa” irradiata dai suoi
fondatori, e da Petrini in particolare.
In origine competenze e ruoli erano affidati sulla base di rapporti fiduciari alla base dei quali
c'era un rapporto di personale conoscenza coi fondatori e una prossimità fisica e ideale con le
loro idee. Con il crescere dell'organizzazione è divenuta naturale una diversificazione della
rappresentanza territoriale da un lato e dell'organizzazione di compiti e uffici nelle sedi del
movimenti. Alla base della piramide organizzativa c'è il Fiduciario, responsabile della condotta
e leader del gruppo organizzato localmente per promuovere l'azione di Slow Food. Il Fiduciario
è chiamato ad organizzare il lavoro sul territorio: incontri, degustazioni, momenti conviviali e
di approfondimento. Il Fiduciario lavora a titolo volontario e nei primi anni viene designato
direttamente dal Presidente e dal Consiglio dei Governatori. Con la svolta statuaria degli ultimi
anni in Slow Food si è stabilito che il fiduciario sia nominato dal basso tra gli iscritti di una
città, provincia o comunque un'area territoriale definita. Segno quest'ultimo della definitiva
maturazione del movimento, che sceglie dalla base i suoi rappresentanti e non più attende più
una designazione dall'alto dei suoi rappresentanti di prima fascia.
Alle origini il processo decisionale che conduce alla nomina del Fiduciario è quasi
esclusivamente pragmatico: Fiduciario diventa chi dimostra capacità organizzative e culturali
unitamente a disponibilità di tempo. Come in altre organizzazioni no profit simili a Slow Food,
il lavoro su base esclusivamente volontaria, dettato agli inizi anche da un'assoluta mancanza di
risorse economiche provenienti dal centro, riunisce in sé pregi e limiti che il volontariato
esprime: entusiasmo e dedizione a scapito, talvolta, di qualità e competenze. E con derive
personalistiche sempre in agguato, ovvero un processo di sedimentazione e stratificazione che
conduce, alle volte, a considerare una condotta come “cosa propria” da parte del Fiduciario. Se
oggi, a differenza del passato, il Fiduciario è eletto dalla base associativa mentre alla sede
nazionale spetta soltanto la ratifica, per allargare la guida dei gruppi locali ed evitare pericolosi
personalismi dalla sede di Bra sono partite negli anni numerose sollecitazioni e
raccomandazioni affinché ogni condotta non fosse più guidata da un solo Fiduciario ma da un
gruppo allargato di più persone, il cosiddetto comitato di condotta.
Nell'organizzazione associativa il secondo livello è rappresentato dai Governatori, dirigenti
responsabili di aree territoriali predefinite dalla sede nazionale, il cui Consiglio si riunisce 5 o 6
volte all’anno. Il Consiglio dei Governatori ha visto negli anni una più ampia delega di poteri:
deve coordinare i fiduciari, applicare a livello territoriale le decisioni prese nei congressi,
stabilire norme e regole per i congressi nazionali, fissare le quote associative e approvare i
bilanci. Ecco dunque che con la crescita del movimento, alla naturale burocratizzazione degli
organismi si accompagna una crescita della dimensione partecipativa che coinvolge nel
processo decisionale sia gli organi dirigenti nazionali sia quelli territoriali.
1.8. ISTITUZIONALIZZAZIONE E DIVERSIFICAZIONE DEL M OVIMENTO
Il percorso di istituzionalizzazione con il quale Arcigola si dota di una struttura e di regole
interne assolve un secondo importante compito, quello di affrancarsi da una logica di
collateralismo politico con il Pci e organizzativo con l'Arci, al fine di poter crescere in
autonomia senza tuttavia dare l’impressione di rinnegare chi diede ad Arcigola una prima
quanto essenziale legittimazione. Una delle prime esigenze di codifica interna è la definizione
dei ruoli interni di gestione del territorio. La già ricordata assemblea costituente del 26 e 27
luglio 1986 alla Tenuta Fontanafredda a Serralunga d’Alba vede nominato Silvio Barbero al
fianco di Petrini, e dieci governatori provenienti dalle Langhe che appartengono alla
enogastronomia: produttori vinicoli, enologi, giornalisti, ristoratori. La nascita della
Cooperativa I Tarocchi e l’apertura delle osterie del Boccondivino a Bra e dell’Unione a Treiso
segna l’inizio di un lavoro collettivo che coniuga una buona ristorazione e vini di qualità a
prezzi accessibili, nel tentativo, che rimarrà tale anche in seguito, di trovare un punto
d’equilibrio tra qualità alimentare e giusto prezzo. Quattro anni più tardi, al congresso del
Movimento internazionale Slow Food di Venezia, si incontrano i delegati delle 15 nazioni che
avevano sottoscritto l'atto fondativo: viene varato uno Statuto e un Consiglio dei dieci, ma lo
scoglio politico è rappresentato da un movimento che appare ancora troppo italiano o
comunque italico centrico. In particolare agli occhi dei francesi Slow Food appare un
movimento finalizzato a propagandare gusto e stile di vita italiano, e pure il nome in inglese è
visto con sospetto. Difficoltà a parte, il numero di associati raddoppia in un anno segnando un
incremento marginale di 9000 iscritti e raggiungendo quota 20mila, con conseguente estensione
della rete dei Governatori, dei dirigenti regionali, e dei Fiduciari responsabili a livello
territoriali.
Al secondo congresso nazionale di Arcigola a Perugia, nel giugno 1991, per la prima volta
compare il nome Slow Food accanto al nome originario dell'associazione. Petrini lancia la
proposta di creare una scuola di alta formazione, un’università della gastronomia culturale: il
progetto, ratificato nel 1994, vedrà la luce nel 2004 con l’apertura dell’Agenzia di Pollenzo al
cui interno ha sede l'Università di Scienze Gastronomiche. L’idea, già nel 1991, era quella di
accreditarsi come interlocutori istituzionali anche per il mondo accademico, e di formare un
corpus di giovani in grado di interpretare a trecentosessanta gradi il mondo enogastronomico.
La volontà di Petrini e Barbero è dichiaratamente quella di legittimarsi diffondendo il “verbo
slow” e provando ad aprirsi spazi in tutti gli ambiti del dibattito culturale, dall’editoria alle
università.
Anche altre sono le direttrici lungo cui si muove Slow Food alla ricerca di un accreditamento
istituzionale. L'educazione al gusto, mission primaria di Slow Food, è svolta a livello informale
dai Convivia, dai ristoranti e dai farmers' market; a livello formale, cioè accademico, Slow
Food non può che fare ricorso a una rete personale di docenti simpatizzanti in attesa dei laureati
che si sarebbero formati all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Sulla base di
queste volontà e motivazioni, fin dai primi anni novanta la dirigenza Slow Food individua un
doppio binario su cui sviluppare l'educazione al gusto, il livello informale dei Convivia e il
livello formale delle università e delle istituzioni: il primo capace di ampliare il consenso
sociale diffuso e agganciare persone in maniera trasversale rispetto alle rispettive professioni, il
secondo per formare un corpus ad hoc di docenti e divulgatori delle pratiche e dei valori sottesi
alla filosofia Slow Food. Questa creativa modalità di “diversificazione comunicativa”
rappresenta a nostro avviso una delle più felici intuizioni di Petrini e soci, così riassumibile:
parlare a più pubblici, parlare a ogni pubblico con il linguaggio che esso richiede. Una
comunicazione multi livello che consenta a ciascun utente/simpatizzante di poter ritrovare nei
contenuti di Slow Food uno status cognitivo a lui confacente, con la volontà dichiarata di
“democratizzare” il sapere enogastronomico e aprirlo alla comunicazione di massa.
Se Slow Food avverte l'esigenza di formare “cervelli nuovi”, è altrettanto urgente
l'elaborazione di contenuti nuovi. Nella seconda metà degli anni novanta Slow Food si apre a
nuove social issues, a cominciare dalla forte spinta dal basso di tematiche ambientaliste, in
primis il grande tema della tutela di biodiversità. Nel 1996, anno di nascita di Slow Food USA
e Slow Food Messico, viene organizzato a Torino il primo Salone Internazionale del Gusto,
dove sono esposti e venduti centinaia di prodotti provenienti da più paesi. In chiusura
dell'evento Slow Food lancia l'idea di promuovere una sorta di contenitore, simbolico ma
concreto al tempo stesso, che prende il nome di Arca del Gusto, metafora biblica utilizzata per
indicare una “grande scialuppa” con cui salvare centinaia di specie vegetali, varietà e prodotti
del patrimonio enogastronomico dal reale rischio di estinzione. L’anno successivo, è il 1997,
Slow Food pubblica il Manifesto dell’Arca cui è legato un progetto concreto quanto ambizioso:
creare per i prodotti a rischio estinzione le condizioni per una loro commercializzazione presso
fiere, offerte ai soci, osterie e ristoranti. L'idea è quella di indirizzare soci e consumatori
all'acquisto di questi prodotti per reinserirli in un circuito commerciale maturo e consapevole:
ad oggi sono oltre 400 i prodotti agroalimentari che il sistema Slow Food tutela e promuove. La
creazione di una rete commerciale per prodotti di qualità a rischio estinzione è sfruttata anche
come azione di marketing in parallelo alla vita associativa e garantita, al contempo, dalla stessa
Slow Food. La crescita della capacità di influenza, sia culturale sia commerciale, fa leva sulla
filiazione progressiva del brand Slow: nascono Slow Wine, Slow Cheese, Slow Fish e altri
eventi pubblici che danno visibilità e introiti al movimento. Slow Food cresce e sprigiona così
il suo appeal attrattivo. L'azione combinata di gruppi locali, prodotti editoriali, produttori e
ristoranti, valorizza l'intero movimento e garantisce un ritorno economico a quei soggetti e
prodotti locali che entrano nell'orbita Slow Food.
L'aver saputo intercettare e mettere a sistema tematiche sociali emergenti era, ed è, uno dei
grandi punti di forza di Slow Food. Al tempo stesso la riconosciuta capacità di anticipare gusti
e tendenze sociali, non modificando le proprie linee politiche bensì allargando gli orizzonti
della propria azione e dando risposte concrete a bisogni e domande emergenti. Se in origine
Arcigola vendeva vino e prodotti in conto terzi, nel 1997 la situazione si ribalta: sono i
produttori a chiedere di entrare nel circuito Slow Food. La credibilità del movimento è
dimostrata dal valore aggiunto economico dei prodotti e delle iniziative di Slow Food. Forza
economica significa anche creare “cose” che permettono di incassare royalties, provvigioni,
erogazioni liberali, sponsorizzazioni che garantiscono di poter sviluppare nuovi e sempre più
innovativi progetti socio culturali. Questo doppio binario socioculturale e commerciale
rappresenta la vera straordinarietà organizzativa di Slow Food, forse sottovalutata. Su questo
aspetto ritorneremo nel secondo capitolo.
1.9. TRA ISTITUZIONALIZZAZIONE E ISTITUZIONI
Il primo decennio di Slow Food (1989-1999) vive nel segno della sperimentazione e del
consolidamento. Tra le preoccupazioni del gruppo dirigente emerge l'esigenza di garantire al
movimento possibilità e strumenti di crescita internazionale, alleggerendo al contempo il
“peso” del settore italiano all'interno del movimento stesso. Alla crescita associativa in termini
numerici si accompagna una progressiva assimilazione di regole associative che, dalla nascita
di Slow Food International celebrata a Parigi nel 1989, richiederà una decina d'anni per
giungere a una reale normazione e ufficializzazione del movimento internazionale, cosa che
accadde a partire dal Congresso Internazionale di Orvieto dell’ottobre 1997. La normazione
interna non modifica le politiche associative né gli assetti già esistenti nell'associazione, prova
ne sono le modalità di reclutamento del personale selezionato a partire da una forte spinta
motivazionale e politica: da numerose interviste pubblicate sulle riviste Slow e Slowfood si
evince chiaramente come coloro che entrano a far parte dell'organizzazione sanno di
contribuire alla missione sociale, non sono mosso dalla ricerca di alti stipendi né di prospettive
di carriera ma è appagato dall'idea di contribuire alla diffusione delle idee di cui
l'organizzazione stessa è portatrice. Arcigola prima e Slow Food poi rappresentano un caso
riuscito di organizzazione in cui si è passati da una dimensione sostanzialmente culturale volta
alla riscoperta della tradizione enogastronomica, più centrata su aspetti ludico conviviali, a una
dimensione internazionale di movimento-guida per un’alternativa culturale e sociale che pone
al centro dell'azione un nuovo logos alimentare globale. Slow Food si afferma nel corso degli
anni istituzione che si fa interlocutore e partner di progetti per organizzazioni come Coldiretti,
Comuni, Province, Regioni, fino a Governi nazionali e organismi internazionali come la Fao.
Ma Slow Food è anche attore principale di battaglie politiche, come vedremo in seguito. La
capacità di stabilire contatti e aprire dialoghi con istituzioni e organismi pubblici si deve non
tanto alle dimensioni del movimento quanto alla incisiva “pervasività sociale”
dell'organizzazione: Slow Food ha saputo creare e contestualmente occupare un “terreno
culturale” nuovo, dando nuova legittimazione sociale ad un universo semantico costituito da: a)
prodotti (della terra); b) saperi (arte culinaria); c) diritti (al piacere, al cibo buono sano e equo);
d) convivialità (relazioni sociali da condivisione). Non di meno Slow Food ha saputo mettere a
sistema una pluralità di persone, interessi e istanze già presenti nel territorio italiano, dando a
questo universo una codifica normativa, mostrando una grande agilità di movimento e l'abilità
di imporre una propria voce, nitida, a livello di opinione pubblica. Hanno quindi saputo porsi,
in termini di cibo e cultura, al centro della scena, suscitando interesse ed esercitando una
“seduzione attrattiva” nei confronti dei tanti appassionati precedentemente disorganizzati. Ma
quali sono le ragioni del successo di Slow Food in termini politico organizzativi?
1.10. LA FORZA DEL PROVINCIALISMO E L'ORDINE SIMBOL ICO DI SLOW
FOOD
I dirigenti di Slow Food amano ripetere, non senza un pizzico di snobismo, quanto essi siano
provinciali in fatto di atteggiamenti e comportamenti. Dietro a queste affermazioni si celano
due verità. La prima è che effettivamente la collocazione geografica del Piemonte, defilato
rispetto all'asse Milano-Bologna-Firenze-Roma, ha consentito al movimento di mantenere una
linea di condotta meno legata alle dinamiche e alle fibrillazioni socio politico economiche del
paese. Anche dopo il 2000, anno di autentica e definitiva ribalta internazionale del movimento
Slow Food, non è mai stato messo in discussione il fatto di mantenere nella cittadina di Bra il
quartier generale di un movimento internazionale grande e maturo, scartando ipotesi di
trasferimento in città come Roma, Milano o persino la vicina Torino. Una scelta che è stata letta
come continuità e rafforzamento del lavoro svolto in precedenza e non certo rinuncia a un ruolo
di primo piano. Per la stessa Università delle Scienze Gastronomiche, fortemente voluta da
Petrini e che ha richiesto cospicui investimenti sia pubblici sia privati, la scelta non a caso è
ricaduta su Pollenzo, a pochi chilometri da Bra. Il centro di Pollenzo che non si propone
soltanto come centro di formazione e ricerca, ma che intende caratterizzarsi come polo
attrattivo di cultura enogastronomica a tutto tondo, contemplando ricettività alberghiera,
ristorazione e soprattutto l'importante Banca del Vino.
La seconda ragione del successo provinciale del movimento risiede proprio nell'intimo proporsi
di Slow Food come realtà, sia pur diffusa su scala mondiale, che ha il suo centro nella
“provincia” intesa come ordine simbolico del territorio. Una provincia che resiste e che si
riafferma in controtendenza rispetto a un mondo sempre più urbanizzato. In fondo la seduzione
attrattiva del movimento di Petrini nasce anche per una precisa analogia: lo slow food
sottintende uno “slow world”, ovvero il bisogno ma anche l'anelito verso un mondo più lento,
dove l'idea di lentezza racchiude ed esalta tutte le elaborazioni culturali e i valori positivi che il
movimento ha portato avanti negli anni. Rileggendo in filigrana la Dichiarazione di Puebla,
approvata al quinto congresso internazionale svoltosi nella città messicana nel novembre 2007,
si evince chiaramente la volontà politica di estendere il proprio ruolo internazionale attraverso
la valorizzazione e l'inclusione delle petriniane “visioni” e di diversità locali e regionali che
condividono valori fondamentali. Nella dichiarazione di Puebla si leggono parole quali
“saggezza”, “bellezza”, “felicità”, “energia”, “immaginazione”, parole altamente evocative e
utili a disegnare una visione di un mondo, per certi aspetti idealizzato e mitizzato, in cui
l'origine rurale dei processi collettivi rappresenta un collante forte da un punto di vista
psicologico, emotivo e organizzativo. Lo stesso “ritorno alla provincia” non va inteso come
ritorno a luoghi di seconde case o case abitate da persone ritiratesi dalla vita attiva, ma è
qualcosa di più profondo e diverso, è l'idea di creare una “comunità di coscienza”, la
condivisione – come scrive Jacinthe Bessière – di un'idea di Natura che vada oltre gli stereotipi,
un desiderio inconscio di relazioni amicali vere, genuinità, radici. Una tendenza che è già
domanda sociale.
1.11. TRA RADICAMENTO TERRITORIALE E DIVERSIFICAZIO NE.
Nel corso degli anni Slow Food si è organizzato a livello internazionale grazie alla nascita di
piccoli gruppi di appassionati, successivamente associati, che tra una degustazione e un
incontro culturale hanno saputo sviluppare tante piccole comunità del cibo, coinvolgendo
produttori locali, artigiani e agricoltori. Benché il collante delle condotte abbia avuto inizio
assecondando un clima e un linguaggio conviviale, agli incontri tra associati e simpatizzanti di
Slow Food l'equazione cibo-identità-cultura, architrave del pensiero slow, da discorso
enogastronomico “alto” si trasforma in “pop”, nel senso di popular, in una sorta di
rovesciamento semantico delle precedenti forme di accesso al sapere del cibo. Ogni gruppo
locale, pur rispondendo sempre a Bra in termini di direzione e guida, riesce organizzare le
attività sul territorio con margini di ampia libertà e qualche tollerata divagazione. Un'accusa
che spesso è rivolta ai dirigenti Slow Food è di avvallare un “elitarismo sociale” per il fatto
che, essendo i Fiduciari persone di status socio-economico medio alto, e dalla omogenea rete
relazionale, questo abbia precluso di fatto l'apertura a persone di classi sociali inferiori.
Un'accusa rivelatasi spesso fondata: la scelta dei Fiduciari ha, infatti, visto avvantaggiate
persone certo appassionate ai temi enogastronomici e dotate di capacità organizzative ma con
disponibilità di tempo e soprattutto una rete di relazioni sociali tali da attivare iniziative
culturali e di promozione sul territorio. Anche per queste ragioni, oltre che per disinnescare
possibili personalismi, da Bra si è cercato negli anni di sostituire alla figura del fiduciario la
nascita di comitati di condotta, ovvero leadership locali allargate. Eppure è stato lo stesso
elitarismo sociale delle origini a contribuire non poco alla diffusione del movimento a livello
nazionale e internazionale: le istanze di Slow Food hanno fatto breccia in un corpus sociale
composto da giornalisti, docenti, politici locali, produttori enogastronomici, ristoratori,
personaggi della cultura e dello spettacolo. Personalità in grado di creare consenso attorno alle
proposte e conseguentemente ai portatori delle stesse, i quali hanno contribuito in modo
determinante alla creazione di quell'humus fertile grazie al quale Slow Food ha coltivato passo
dopo passo le proprie ambizioni su scala mondiale.
La crescita in termini di dimensione organizzativa è andata di pari passo con una
diversificazione e ramificazione: sono nate strutture di secondo livello e di coordinamento,
rafforzando ulteriormente le funzioni e il potere del gruppo dirigente presso la sede centrale di
Bra. Il Comitato di Presidenza, organo esecutivo dell’Associazione Internazionale, è composto
dal Presidente che nomina di sua iniziativa uno o più vicepresidenti e propone sei consiglieri di
presidenza tra i componenti del Consiglio eletti dal Congresso. All'ultimo Congresso
internazionale in Messico sono stati eletti dodici membri della direzione internazionale, tra cui i
vicepresidenti Alice Waters, di Slow Food Usa, l'indiana Vandana Shiva e il giovane keniota
John Kariuki Mwangi. Una scelta dei vicepresidenti dalla quale emergono chiaramente le
direttrici dell'impegno politico di Slow Food nei prossimi anni: la “conquista” del paese più
ricco al mondo la cui agricoltura risente pesantemente di un uso spesso scriteriato di
fertilizzanti e additivi chimici (Waters), le battaglie per l'ambiente, la biodiversità e la lotta
contro le multinazionali del cibo (Shiva), la nuova centralità del mondo contadino africano
(Mwangi).
Le associazioni nazionali Slow Food sono in questo momento nove. Laddove non esiste
un'associazione nazionale sono i Convivia l'unica forma organizzata di Slow Food. Essi si
richiamano allo Statuto internazionale e la sottoscrizione versata dai soci è ripartita tra
Convivia locali e Associazione internazionale; laddove invece esiste un'associazione nazionale
deve sempre essere prevista una quota di sottoscrizione annuale a favore dei Convivia. La
scelta degli organismi dirigenti internazionali sembra ispirata ad un principio di crescita
ponderata, ossia ratificare la nascita di associazioni nazionali ma soltanto con una base
associativa matura e con una massa critica minima, ragione per cui il Direttivo Internazionale
autorizza l’istituzione di nuove Direzioni Nazionali in presenza di un minimo di 1500 soci e 15
Convivia, indipendentemente dalle dimensioni e dalla popolazione residente. Il Consiglio tiene
inoltre informati i Convivia in quei paesi in cui non è presente una Direzione Nazionale circa
gli obiettivi strategici del Movimento e controlla l’andamento economico e finanziario
dell’Associazione, redigendo il bilancio Slow Food Internazionale e presentandolo poi
annualmente al Consiglio Internazionale.
Governare Slow Food significa governare una “macchina” che conta quasi 100 mila iscritti nel
mondo Slow Food e con una struttura centrale a Bra dove lavorano oltre 150 persone tra
dipendenti e collaboratori, di cui 40 operative negli uffici di Slow Food International. Il
reclutamento del personale, oggi assolto da un responsabile per le risorse umane, è passato dai
meccanismi spontaneistici degli esordi, basati su una generica disponibilità o per conoscenza
personale, a forme più articolate di selezione secondo una divisione di ruoli per specifiche
competenze. Dialogando coi responsabili della sede di Bra emerge chiaramente come sia
tuttora fortemente richiesta, quando non dichiaratamente richiesta, una condivisione dei valori,
ideali e obiettivi di Slow Food tra coloro che intendono stabilire rapporti di lavoro. Detto
altrimenti, a una selezione su base professionale si affianca una su base motivazionale, una
“discriminante interna” che ha permesso la creazione e il consolidamento di un nutrito numero
di quadri e dirigenti in grado di sviluppare i progetti più importanti in virtù di un rapporto
fiduciario con i fondatori. Persone capaci di lavorare in autonomia in un'ottica di crescente
delega di responsabilità. La discriminante interna è un meccanismo di selezione che consente
anche di formare in Bra quel personale straniero in grado poi di ritornare presso le rispettive
sedi nazionali. Slow Food, per chi vi lavora, non è un semplice posto di lavoro: non sono gli
incentivi o i benefit materiali a garantire il livello di soddisfazione del personale bensì gli
ideali, simbolici e di appartenenza identitaria ad un movimento in grado di poter davvero
“cambiare l'esistente”. In definitiva, benché le nuove assunzioni siano selezionate sulla base di
specifiche competenze e professionalità, rimane sempre forte l'aspetto “fideistico” nei confronti
delle attività e della filosofia Slow Food.
1.12. SLOW FOOD COME FORZA SOCIALE
Nel processo di progressiva istituzionalizzazione del movimento un passaggio politico
importante avviene al Congresso di Riva del Garda del 2002, quando Slow Food adotta una
forma organizzativa cosiddetta a matrice. I membri del Consiglio dei Governatori, che
compongono la segreteria nazionale, e che in origine si occupavano delle rispettive aree
territoriali, diventano anche responsabili di aree tematiche di competenza specifica:
dall'educazione alimentare ai rapporti con consorzi di tutela, dai rapporti con partiti e
movimenti alla competenza in vari ambiti della vita associativa. Un passaggio politico che
esplicita la nuova identità di Slow Food, non più solo associazione di cultura gastronomica ma
soggetto sociale e politico a tutti gli effetti.
I nuovi assetti ratificati a Riva del Garda in realtà sanciscono quello che era già nello spirito
delle cose. Almeno dal 2000 Slow Food si colloca sulla scena italiana come forza sociale,
lasciandosi alle spalle l’identità storica di gruppo di pressione dall'azione dal carattere
associativo in senso stretto e dai toni rivendicativi in senso movimentista. Forza sociale intesa
come un gruppo sociale aperto alle richieste della società civile, trasversale alle appartenenze
consolidate e in grado di dialogare con le istituzioni, a partire da quelle istanze dell’opinione
pubblica non ancora recepite dal legislatore e non ancora proposte da soggetti tradizionali
dell’arena politica. Slow Food dimostra di essere una forza sociale che riesce a non farsi
schiacciare da un ruolo e da un “bagaglio ideologico” tipico di un tradizionale gruppo di
pressione, con conseguente rischio di avere un raggio d'azione limitato benché incisivo, per
essere una forza sociale portatrice di esigenze più generali della società, a cominciare da una
nuova idea di agricoltura e alimentazione per le mature economie postindustriali. In grado cioè
di aprirsi a nuovi contenuti e a nuovi significati, senza perdere per strada quelli per cui si è
chiesto e ottenuto il consenso in passato. L'anno di svolta in questo senso è senza dubbio il
2004, in cui si celebra la prima edizione di Terra Madre, il meeting mondiale delle comunità del
cibo. Meeting che verrà ad assumere importanza decisiva per il network di relazioni costruite
nel corso degli anni, ma soprattutto l'organizzazione interna per aree d'interesse e intervento.
Sempre il 2004 vede la nascita operativa di un altro importante tassello del sistema Slow Food,
ovvero la Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Grazie al sostegno della Regione Toscana,
non a caso la sede ufficiale è presso la prestigiosa Accademia dei Georgofili, la Fondazione
Slow Food per la Biodiversità sostiene e finanzia i progetti di Slow Food volti a promuovere la
biodiversità agroalimentare del mondo: il Premio Slow Food, i Presìdi Slow Food e l'Arca del
Gusto. Sviluppare il sistema dei Presìdi, con una particolare attenzione ai paesi in via di
sviluppo, si rivela anche un canale parallelo di penetrazione delle politiche e delle strategie
commerciali di Slow Food su scala internazionale. Un esempio è la quota di 5 euro che ciascun
socio nel mondo attraverso il tesseramento destinava alla Fondazione Slow Food per la
Biodiversità: al congresso internazionale messicano alla fine del 2007 è revocata questa scelta
mediante modifica statutaria, segno che la Fondazione ha forza sufficiente per reperire risorse
atte al proprio sostentamento e allo sviluppo dei progetti.
Terra Madre ha luogo a Torino alla fine dell'ottobre 2004. Convengono al Palazzo del Lavoro di
Torino circa 5 mila tra produttori, agricoltori, allevatori, pescatori, invitati da Slow Food in
rappresentanza di 1200 comunità da 129 paesi. L'idea portante dell'evento è dare visibilità, oltre
che occasione di confronto, ai coltivatori e al grande patrimonio di agroalimentare di cui essi
sono depositari e portatori. La grande novità sta nell'idea alla base dell'evento: accendere i
riflettori su coloro che i riflettori non li hanno mai avuti, in altre parole contadini e lavoratori
della terra, in una scenografica e simbolica apertura delle porte del primo mondo al terzo
mondo. Un evento che è kermesse, una grande festa popolare che celebra la vita contadina
mettendo fianco a fianco produttori e operatori del settore agroalimentare mondiale. Dettando
altresì una nuova agenda politica: rinnovata attenzione per l'ambiente, per gli equilibri
planetari, per la qualità dei prodotti della terra, per la dignità dei lavoratori e per la salute dei
consumatori. L'impatto simbolico e mediatico è grande, e se non una svolta epocale certamente
Terra Madre rappresenta per il movimento Slow Food un grande allargamento di orizzonti e di
“mission sociale”. Dopo Terra Madre, Slow Food diventa il soggetto “non politico” capace di
imporre il tema, tutto politico, della difesa delle culture nazionali attraverso il riconoscimento
identitario dei patrimoni e dei saperi di cui ogni prodotto alimentare è portatore. La svolta etica
compiuta con Terra Madre ha ovviamente ripercussioni interne al movimento, da un lato per
scongiurare il rischio che una dimensione edonistica potesse riprendere il sopravvento,
dall’altro per cavalcare un sentimento per lo sviluppo sostenibile già maturo a livello mondiale
pur marcando le distanze da posizioni estremistiche o comunque minoritarie. Peraltro nella
storia di Slow Food hanno sempre prevalso atteggiamenti pragmatici, tali per cui venivano
preferite alleanze strategiche rispetto a posizioni più intransigenti e meno disponibili al dialogo.
Riuscendo a imporre le proprie idee all’interno di numerose agende politiche, Slow Food ha di
fatto anticipato non tanto nuovi programmi politici quanto un nuovo modo di fare politica e di
intervenire sui gravi problemi che affliggono il pianeta, dalla lotta alla fame al problema acqua,
dai diritti civili alle più urgenti questioni ambientali come la perdita di biodiversità o
l'inquinamento dei suoli. Un modo di fare politica che è frutto combinato di passione e
pragmatismo, di agilità di movimento e capacità tattica di stringere alleanze in tempi rapidi, che
fa del protagonismo carismatico dei leader un elemento di forza, che impone il proprio brand
come garanzia per operazioni di commercializzazione dei prodotti, che non rinuncia alle
battaglie politiche pur nella consapevolezza che le buone proposte non possono fare a meno di
ragionevolezza, concretezza e sostenibilità nel corso del tempo. Terra Madre avrà luogo, con
crescente successo di partecipanti e critica, anche nel 2006 e nel 2008.
1.13. CONCLUSIONI
Vi sono altri importanti progetti che Slow Food ha attuato recentemente. Il primo riguarda i
mercati dei contadini, o farmers' market, che nel sistema Slow Food prendono il nome di
Mercati della Terra. Slow Food Italia, in occasione del Congresso nazionale di Sanremo nel
2006, ha deliberato la creazione di un sistema nazionale di mercati contadini, luoghi di
presentazione e vendita di prodotti alimentari da parte di contadini e artigiani locali. Filiera
corta, economia locale, stagionalità sono le parole d’ordine dei Mercati della Terra, dove l'idea
è promuovere la conoscenza tra produttori e consumatori, questi ultimi invitati a farsi
raccontare la storia loro e dei loro prodotti, come nel caso del Mercato della Terra di Bologna.
Questi mercati sono idealmente collegati per condividere competenze e contributi.
Tra i progetti più nuovi targati Slow Food vi è la ristorazione collettiva: mense scolastiche e
ospedali. A seguito di un’indagine su 50 campioni sul territorio nazionale per rilevare
informazioni sulla realtà delle mense scolastiche italiane, nel 2009 è stato stilato un
Vademecum sulla ristorazione collettiva vista da Slow Food, con tanto di manifesto a fumetti
per i bambini che illustra la mensa secondo Slow Food. Analogamente Slow Food Italia è
impegnata sul fronte della ristorazione ospedaliera, una delle criticità più forti nelle strutture
sanitarie, con l'intento di favorire consumi freschi e locali ai pazienti ricoverati.
Infine, sempre a livello progettuale - organizzativo, in occasione del quinto congresso
internazionale di Puebla è nato lo Youth Food Movement, movimento giovanile per il futuro del
cibo. L’obiettivo è costruire una rete internazionale di giovani, siano essi studenti, contadini,
produttori, cuochi o attivisti, per promuovere un sistema del cibo “buono pulito e giusto”
capitalizzando l’internazionalità e la rapidità degli odierni mezzi di comunicazione. Il Youth
Food Movement si propone come lobby in grado influenzare le economie locali attraverso
eventi, creatività, condotte universitarie, programmi di interscambio e soprattutto
documentando culture e saperi tradizionali non rintracciabili sui libri o sui siti e mettere questi
saperi a disposizione di tutti. Naturalmente Slow Food International, che ha sostenuto la nascita
del movimento giovanile, vede di buon grado questa iniziativa non soltanto per la
disseminazione delle proprie idee ma anche come bacino potenziale di futuri collaboratori e
sostenitori.
Senza dubbio Slow Food rappresenta una case history di organizzazione aziendale altamente
riuscita e di successo. Non lo dicono soltanto i numeri e i fatturati, benché importanti, né
soltanto i risultati conseguiti né la diffusione internazionale né la grande diversificazione delle
attività poste in essere. Sicuramente ha giovato a Slow Food l'aver goduto sino ad ora di una
leadership illuminata e carismatica unita a una sostanziale assenza di contrasti e lotte al vertice
dell'organizzazione. Il successo di Slow Food va sicuramente letto come il successo del
movimento che meglio di tanti altri ha saputo intercettare un sentimento, una domanda latente,
un bisogno inappagato di riscoprire un nuovo modo di vivere il cibo e, in senso lato, di vivere
la vita. Eppure non è solo per i contenuti, è anche stato il successo di modalità organizzative
che determinano anche schemi di comunicazione. Organizzazione è comunicazione, e
viceversa, la continua e incessante osmosi tra impresa e ambiente, tra prassi interne e
sollecitazioni esterne. Slow Food rappresenta l'impresa non più orientata al decision making
bensì l'impresa che opera attraverso il sensemaking, inteso come l'insieme dei processi
cognitivi attraverso i quali gli individui attribuiscono un senso alle proprie esperienze.
Esperienze che vengono poi rielaborate con l'ausilio di “mappe cognitivo - normative”. Il
sensemaking crea le condizioni per una condivisione di valori comuni a prescindere da chi
veramente condivide o dal processo di origine della condivisione all’interno di
un’organizzazione. Il sensemaking fa leva sulla plausibilità, sulla pragmatica, sulla coerenza,
sulla ragionevolezza, sulla creazione. È l’invenzione di un mondo tanto ideale quanto possibile.
È questa la grandezza di Slow Food, nell'aver creato, proposto e venduto una visione del
mondo ricca di senso, attraente, seducente, possibile. Scrive Petrini nel suo ultimo libro:
“abbiamo definitivamente sposato una dimensione, una concezione olistica per il mondo del
cibo. La vita delle comunità rurali e del cibo è fortemente interconnessa con i modi di
distribuire, di comunicare, di trasmettere la memoria, il vestire, l'abitare e il costruire [...] va
salvaguardato, conservato, tenuto vivo l'insieme, l'intero sistema locale e non soltanto una parte
di esso. Un tutto che, naturalmente, gravita attorno a un unico grande sole: il cibo”.
Capitolo secondo
L'AZIONE POLITICA DI SLOW FOOD
2.1. LA COMUNICAZIONE
“Il cibo è politica, il rispetto della diversità è politica, i modi in cui ci prende cura della natura è
politica: Terra Madre è politica. E non è sminuente se questa politica si colora di tinte che
sanno fare anche poesia, se il bello e il nobile si mescolano al serio e al tangibile: è tempo che
etica ed estetica non siano più separate, che poetica e politica di Terra Madre insegnino al
mondo a non abbruttirsi ancora di più, a non continuare in un processo di omologazione
globale che svilisce le genti e toglie loro ogni potere decisionale. Terra Madre è intrisa di valori
rivoluzionari, perché sono valori in grado di cambiare le nostre sorti, di far cambiare ognuno di
noi nel profondo: l'unico modo per iniziare ad arginare i malanni di questa Terra”.
Questo scrive oggi Carlo Petrini. Vent'anni fa, con toni sicuramente meno enfatici e meno
apocalittici, Slow Food dava il via a un'azione politica di lungo termine che, come vedremo,
combatterà senza esitazione. Forti dell'investitura parigina, all'inizio degli anni '90 al quartier
generale di Bra la preoccupazione è quella di creare un radicamento territoriale forte, che
diffonda valori e idee del movimento superando, pur preservandoli, la filosofia edonistico
conviviale delle origini e indiscutibilmente legata ai temi del piacere da cibo e del contrasto
all'omologazione dei fast food. Ecco quindi che per costruire una nuova filosofia slow in grado
di spaziare dall'ecogastronomia ai problemi etico ambientali su scala globale era necessario “ri-
raccontare il mondo” parlando di gusto e di enogastronomia, di tradizioni culinarie intese come
depositarie di saperi e cultura a rischio estinzione, e molto altro ancora. Proprio nel 1990 nasce
Slow Food Editore srl, società che pubblica Osterie d'Italia, una guida al mangiare e bere
nazionale che si contraddistingue per segnalare ristoranti che coniugano la tradizione di qualità
con un giusto equilibrio di prezzi, e che da allora ad oggi ha all'attivo 70 titoli tra libri, guide e
compendi. Qualche anno più tardi, nel 1996, ha inizio la pubblicazione della rivista Slow,
pubblicata inizialmente in tre lingue, che diviene l'organo ufficiale del movimento e di fatto la
“bibbia” del mondo Slow Food. Una rivista chiamata a divulgare il modo nuovo di intendere il
rapporto tra cibo, cultura, produzione e consumo, facendosi interprete da un lato di promozione
di pratiche e prodotti, dall’altra puntando il dito contro le distorsioni del mercato globale a
detrimento dei saperi e dei proventi del mondo contadino. Il nucleo dirigente di Slow Food
comprese infatti l'importanza che rivestiva un'intensa attività di promozione e comunicazione,
attività sulla quale vengono dirottate energie e risorse. Una comunicazione Slow Food
decisamente connotata: il simbolo della chiocciolina sintetizza l'idea di lentezza, e comunica
altresì simpatia e un ancoraggio saldo a una società agreste e agricola cui si fa riferimento
diretto. Le pubblicazioni sono accattivanti sotto un profilo grafico estetico, ricche nei contenuti
senza mai apparire inaccessibili, innovative a livello semantico e, come un Giano bifronte,
guardano sia a un passato fatto di costumi alimentari, sia a un futuro fatto di relazioni fra
persone e aumento di saperi.
A Bra si rivelano molto abili a capire una domanda crescente di informazione su tematiche e
prodotti enogastronomici in un'Italia che allora, agli appassionati, offriva di fatto due sole e
celebri guide: la Michelin per la ristorazione e la Veronelli per i vini. C'era dunque un mercato
da conquistare, un vasto territorio vergine in cui consolidare la propria presenza in materia di
editoria enogastronomica. Come ha notato lo storico Massimo Montanari, dagli anni ‘80 si è
assistito ad un vero e proprio boom dell’editoria gastronomica che ha visto nascere ben 64
testate, per un mercato che complessivamente, in Italia, ha oggi un valore tra i 55 e i 60 milioni
di euro annui. La comunicazione Slow Food degli esordi, oltre alle già citate Guida ai vini e
Osterie d'Italia, passa attraverso canali più tradizionali del mondo editoriale: ricettari regionali,
saggi su personaggi storici, testi di gastronomia storica, guide per viaggi slow, manuali di
educazione al gusto e alle coltivazioni, studi e ricerche su agricoltura, ambiente, alimentazione.
Lo stile comunicativo è riconoscibile per una codifica particolare: unisce elementi propositivi
con elementi oppositivi o di contrasto, debitori di una radice politica definita e atti a respingere
l'avanzata della cultura fast food. Si coniuga insomma un linguaggio nuovo che reinterpreta
tutto quanto fa riferimento al cibo, alla produzione e alle tradizione culinaria in chiave
culturale. Il messaggio sotteso, benché esplicito, è che la perdita di saperi possa condurre a
breve alla perdita della cultura in senso lato e della propria identità. Non è un semplice andare
controcorrente, è casomai un reinterpretare il saldo ancoraggio alla cultura agricola non in
modo nostalgico e retrò quanto piuttosto sotto una luce di modernità. I fast food rappresentano,
dal punto di vista commerciale e simbolico, il punto d'arrivo e al tempo stesso un'avanguardia
di una omologazione globalizzata iniziata con l'industrializzazione del cibo e l'agroindustria,
omologazione che i simpatizzanti di Petrini intendono contrastare materialmente e
culturalmente.
Nella trentennale storia di Slow Food le attività di comunicazione manterranno sempre un ruolo
centrale e determinante in quanto rappresentano il tassello fondamentale grazie al quale
imbastire e sostenere l'intensa attività di promozione e di pubbliche relazioni, e in un'ultima
analisi la politica dell'Associazione. Il consolidamento del legame con la base associativa è
senza dubbio un obiettivo primario, spesso la rivista o le pubblicazioni sono lo spunto per gli
incontri dei Convivia locali. Dalla più semplice delle newsletter alla rivista Slow, dai siti web e
agli almanacchi, una costante nella comunicazione di Slow Food è rappresentata dalla grande
attenzione e dalla cura quasi maniacale dei dettagli con cui sono approntati i vari prodotti. I
contenuti della rivista sono un sapiente mix di reportage, inchieste, approfondimenti, proposte
innovative e filosofia slow; pubblicazioni che si contraddistinguono per un ottimo uso delle
immagini, affidate quasi sempre a professionisti, per titoli efficaci e centrati, per una grafica
sobria ma elegante, stilemi grafici di tendenza pur senza apparire alla moda. Anche la carta
delle pubblicazioni è sempre stata di buona fattura, ovviamente carta riciclata del tipo “uso
mano”: un modo per comunicare la forte attenzione per la qualità.
Alle pubblicazioni di Slow Food Editore si affiancano le collaborazioni con quotidiani e
periodici, dallo storico legame col Manifesto alla torinese La Stampa fino a Repubblica negli
ultimi anni, assecondando un'idea di trasversalità sia politica che di pubblici. Nel 2001 sono
pubblicati i siti internet www.slowfood.it (in italiano) e www.slowfood.com (in inglese), anch'essi
caratterizzati da un’uniformità grafica e di contenuti, con proposte finalizzate alla promozione
del sistema Slow Food: oltre al racconto delle origini e dell'evoluzione del movimento, ampio
spazio è dato alle tematiche d'attualità, oltre naturalmente a recensioni, anticipazioni e resoconti
delle manifestazioni di Slow Food e la proposta di itinerari, degustazioni, incontri, etc. Non
mancano naturalmente gli spazi di riflessioni, inchieste, pagine aperte ai contributi di soci e
simpatizzanti sui temi dell'ecogastronomia.
Ed è la forza crescente del web, nonché la sua rapidità ed economicità, che fa sì che al
congresso messicano di Puebla del novembre 2007 l'assemblea deliberi di chiudere la storica
Slow, la rivista internazionale del movimento che nel corso degli anni era passata da 3 a 6
lingue di pubblicazione. Le ragioni vanno ricercate nel fatto che la gestione di una rivista che
usciva con 4 numeri all'anno risultava alquanto macchinosa e costosa, essendo gestita da Bra e
spedita in tutto il mondo. A Puebla si stabilisce di veicolare la comunicazione agli associati
attraverso due canali principali: il Web e l'Almanacco annuale ricevuto da ogni singolo
associato. Questa incessante e coordinata attività di comunicazione di Slow Food si è rivelata
una potente arma politica nella misura in cui ha portato l'associazione a trovare interlocutori
pubblici e privati in grado non solo di legittimarla ma anche di sostenere le sue attività: da un
lato soggetti pubblici, in Italia prevalentemente enti locali e Camere di Commercio, dall’altro
imprese private e grandi produttori enologici. Senza il sostegno della Regione Emilia Romagna
e della Regione Piemonte, ad esempio, difficilmente Slow Food avrebbe trovato le risorse e la
forza istituzionale per aprire, nel 1998, l'Agenzia di Pollenzo spa, una società pubblico privata
che gestisce la tenuta reale carloalbertina in cui hanno l'Università degli Studi di Scienze
Gastronomiche e altre realtà del sistema Slow Food. Senza la capacità pervasiva della
comunicazione Slow Food non avrebbe avuto la forza di dialogare e sottoscrivere accordi con
alcune importanti istituzioni internazionali, come vedremo nel terzo capitolo.
Inoltre, decisivo per la comunicazione di Slow Food si rivela essere il carisma sempre più forte
e indiscusso di Carlo Petrini. Se Slow Food riesce ad affascinare migliaia di persone, a
sprigionare seduzione e arruolare nuovi “adepti”, molto si deve alla figura di Petrini che incanta
e seduce, e che fa sì che il movimento cresca e si consolidi: parlantina vivace, battuta sempre
pronta e salace, idee innovative mitigate da sapienza contadina e concretezza di provincia,
Carlo Petrini è a tutti gli effetti l'incarnazione di Slow Food. Una personalità forte e poliedrica,
provinciale ma cosmopolita, in grado di sintetizzare convivialità e impegno, passione
quotidiana e visione del futuro. Angelo Gaja, piemontese, uno dei più importanti produttori
vitivinicoli italiani, avvia con Petrini un rapporto di stima e di amicizia, e dice di lui: “è un
infiammatore, uno che fa nascere passioni che ognuno di noi ha dentro, e aiuta a farle
emergere. Ai suoi collaboratori fa capire che possono lavorare con stipendi bassi perché c’è una
missione da portare avanti, mentre a tanti contadini e viticoltori ha restituito la dignità del loro
lavoro (..) Un ragionamento che ha ancora più forza perché viene da un uomo che non si è
messo nulla nelle tasche e ha saputo coinvolgere le istituzioni pubbliche nel suo progetto. I
produttori hanno riconosciuto quanto Slow Food ha fatto per loro e attraverso l’Università sono
intervenuti per sostenerla(..)”
Ancora due considerazioni sulla funzione politica della comunicazione Slow Food. Nel
linguaggio dei pubblicitari viene chiamato naming, ed è l'attività di dare dei nomi a cose,
prodotti, servizi, beni di consumo, etc. Per Slow Food quest'attività si è rivelata particolarmente
felice: dalle variazioni sul tema come Slow Fish, Slow Cheese, SloWine, Sloweb, Città Slow,
Slow Ark, Slow Food on film, Toscana Slow, alle parafrasi come Orti in condotta, Distinti
Salumi, il Buon Paese, Banca del Vino, Arca del Gusto, Almanacco dei golosi, Tavole fraterne,
Dire fare gustare, fino alle riscoperte di locuzioni perdute come I Comizi Agrari. Un altro
segnale di sapiente duttilità nell'uso della comunicazione, una fluidità e capacità di lasciarsi
contaminarsi per occupare interstizi aperti nel dibattito cultural gastronomico italiano ma anche
statunitense e dei paesi dove più marcata è la presenza dell'associazione. Altrettanto importanti
sono i nomi interni all'organizzazione: basti pensare al nome attribuito ai responsabili
territoriali (Governatori), ai prodotti da tutelare e valorizzare perché in via d'estinzione
(Presìdi), ai responsabili delle condotte locali (Fiduciari). La scelta di questi nomi è la
traduzione di tre concetti forti: governare, presidiare, creare fiducia. La comunicazione Slow
Food si è dunque rivelata “liquida”, non nel senso inteso da Zygmunt Bauman che associa
liquidità a frenesia e esclusione sociale, bensì liquida nel senso di pervasiva e permeabile.
Capace cioè di propagarsi in modo dolce, costante e capillare. La gestione della comunicazione
targata Slow Food è oggi la gestione di un brand potentissimo, internazionale, autonomo,
ricercato da aziende e istituzioni per operazioni di co-marketing.
Ultima considerazione. Un'intensa e costante attività di comunicazione di Slow Food si è resa
necessaria per convincere e per motivare i tanti pubblici con cui l'associazione dialoga: i
consumatori, i produttori, le organizzazioni sociali, le aziende, le istituzioni, i movimenti
politici, i fornitori, etc. Per creare un clima di accettazione e di valorizzazione della propria
identità, della creatività dei progetti, per creare un ambiente aperto al dialogo, alla libera
espressione di sé. La comunicazione non soltanto ha accompagnato la crescita del movimento
ma ha contribuito a rilanciare le ragioni della leadership Slow Food nel campo culturale
alimentare e a irrobustirla nel tempo.
Comunicazione è anche innovazione, è sfida con se stessi, è il rischio di rimettersi in
discussione e non dare nulla di scontato per il proprio avvenire. Consapevoli, come a Bra sono
sempre stati, che la vera innovazione è essenzialmente un processo, è il risultato di meccanismi
sociali e organizzativi che aiutano a condurre il passaggio cognitivo e pragmatico che parte
dalle idee per approdare a risultati concreti e utili, e che in questo processo la comunicazione
gioca un ruolo fondamentale, anzi decisivo. Il primo pubblico di Slow Food sono gli associati e
i consumatori: i quali oggi sono essenzialmente dei prosumer, ovvero dei producer–consumer
per usare la felice crasi del futurologo Alvin Toffler. Persone cioè che co-producono, ovvero
consumatori consapevoli.
2.2. L'EVOLUZIONE POLITICA DI SLOW FOOD, TRA CONGRE SSI E CAMPAGNE
SOCIALI
Dopo il già ricordato momento fondativo di Parigi, il 10 dicembre 1989, e dopo i primi anni
che vedono la nascita di direzioni nazionali come Slow Food Germania (1992) e Slow Food
Svizzera (1993) si arriva al secondo Congresso internazionale, svoltosi nell'ottobre 1997 a
Orvieto, Umbria: sono 650 i delegati da 35 paesi in rappresentanza degli allora 40.000 associati
di tutto il mondo. Viene votato il primo Statuto Internazionale che definisce Slow Food come
Associazione culturale internazionale senza fini di lucro, dall'articolo 1 dello Statuto
Internazionale.
Due anni più tardi, nel 1999, in occasione del Congresso di Slow Food Australia si introduce il
concetto di Slow Food movimento eco-gastronomico. Nel 2003 a Firenze viene redatta la
“Dichiarazione sui diritti globali del cibo”, con annesso convegno organizzato insieme alla
Regione Toscana nella tenuta San Rossore, Pisa. Della commissione internazionale chiamata a
organizzare il meeting fanno parte anche Carlo Petrini e Vandana Shiva. Grazie al sostegno
della Regione Toscana nasce la Fondazione Slow Food per la Biodiversità onlus, che sostiene i
Presidi e l'Arca del Gusto. Ma è il quarto congresso internazionale di Slow Food, tenutosi a
Napoli nel 2003, che segna il cambiamento nella politica di Slow Food. All'assise partenopea
Carlo Petrini e i suoi collaboratori impongono una svolta etica al movimento, che da
gastronomico per il diritto al piacere del cibo Slow Food diventa ufficialmente un movimento
ecogastronomico: “un gastronomo non può dirsi tale senza essere ecologista, come pure un
ecologista che non è gastronomo è triste”, dirà Carlo Petrini. Il Congresso Internazionale di
Napoli riconferma Carlo Petrini alla presidenza internazionale, stabilisce un nuovo assetto
organizzativo e dirigenziale: insieme a Petrini sono eletti vicepresidenti Alice Waters,
celeberrima chef e leader di Slow Food Usa, insieme a Giulio Colombo di Slow Food Italia.
Per la prima volta nella storia di Slow Food si manifesta un dissenso aperto: i delegati tedeschi
rivendicano una maggiore autonomia di Slow Food Germania rispetto alla direzione
internazionale saldamente in mano italiana. I delegati, a congresso oramai sciolto, vengono
richiamati al consesso per una votazione ad alzata di mano sulla mozione “italocentrica” voluta
da Petrini che pone la parola fine al dissenso dei tedeschi.
In realtà l'ampliamento della mission di Slow Food parte dalla presa d'atto che se le idee hanno
fatto breccia nel variegato universo dei consumatori consapevoli o dei ristoratori, lo stesso non
è accaduto nel mondo dei produttori di cibo. Questi ultimi rappresentano la nuova sfida, la
nuova frontiera. Coniugare consumo e produzione, riportare il consumo nei luoghi di
produzione, accorciare la filiera distributiva, garantire introiti maggiori ai produttori
calmierando i prezzi per i consumatori finali. Buono, pulito e giusto: ovvero qualità, nel
rispetto dell'ambiente e di una maggiore giustizia sociale. Un giusto guadagno per i produttori,
un giusto prezzo per i consumatori.
Il nuovo paradigma ecogastronomico sancito a Napoli impone agli iscritti di affiancare, al tema
storico del gusto e del piacere, il tema nuovo della tutela della biodiversità. I delegati
internazionali vengono persuasi dell'urgenza di operare lungo una direttrice di contrasto agli
effetti deleteri della globalizzazione in materia di agricoltura e alimentazione. Realizzano che è
in atto un processo di trasformazione del capitalismo agroalimentare che tende a concentrare
nelle mani di pochi grandi colossi multinazionali non soltanto la fornitura di mezzi e prodotti
per l'agricoltura ma anche la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli,
ovvero il controllo dell'intera filiera mondiale, a detrimento della qualità, della tipicità e
dell'ecosistema, togliendo agli agricoltori, specie dei paesi più poveri, qualsiasi forma di
controllo sul loro lavoro. Un lavoro agricolo che, sostiene il gruppo dirigente di Slow Food, di
anno in anno diventa a sempre minor valore aggiunto. Il congresso di Napoli rappresenta quindi
un punto di non ritorno, senza il quale il primo grande incontro di Terra Madre a Torino del
2004 non sarebbe probabilmente potuto succedere.
L'associazione guidata da Carlo Petrini ha saputo nel corso degli anni interpretare e calibrare la
propria azione politica in funzione degli interlocutori e dei momenti storici. Sul versante
istituzioni locali Slow Food sperimenta positive sinergie, complice anche il nuovo
protagonismo degli enti locali seguito alla riforma legislativa per l'elezione diretta di sindaci e
presidenti di provincia, nonché al rinvigorito ruolo istituzionale delle regioni. Già si è detto
della Regione Toscana, ma anche la Regione Piemonte è già dai primi anni novanta un
interlocutore privilegiato: con questa si organizza il primo Salone del Gusto di Torino (1996) il
cui successo porterà a successive edizioni fino ai giorni nostri. Occorre anche ricordare che a
partire dal 1999 alcuni amministratori locali italiani avevano chiesto all'associazione un'idea
per “traslare” la filosofia di Slow Food e dell’ecogastronomia a livello di comunità locali. Tra
questi: Paolo Saturnini, allora sindaco di Greve in Chianti, ma l'idea fu fatta propria dai sindaci
di Bra Francesco Guida, di Orvieto Stefano Cimicchi e di Positano Domenico Marrone. L'idea,
raccolta da Petrini, aveva fatto nascere il movimento Città Slow, che da statuto promuove la
qualità della vita e i prodotti agricoli degni di tutela, professando anche una sostenibilità urbana
e uno sviluppo urbano in chiave “slow”. Sono banditi fast food e sexy shop, le nuove
tecnologie vengono declinate a favore ad esempio del sostegno delle tradizioni agricole locali e
della salvaguardia paesaggistica. I sindaci delle Città Slow s’impegnano mantenere le
caratteristiche del territorio, a incentivare un'agricoltura tradizionale senza l’uso dei metodi
transgenici e che dia occasioni di incontro diretto tra produttori e consumatori. L’idea è in
definitiva coniugare ecogastronomia al vivere quotidiano, celebrare la lentezza come valore,
tutelare la salute dei cittadini, valorizzare le tradizioni, riscoprire la genuinità dei prodotti e
della buona cucina, tornare alla vita delle piazze, dei teatri, delle botteghe e dei caffè. Le
sincere intenzioni degli amministratori hanno altresì un risvolto pragmatico, quello di
rivitalizzare la vita economica delle rispettive cittadine stringendo un legame forte e costante
con la rete Slow Food, e utilizzando questa come leva di attrazione - turistica e non solo - per le
proprie città. Il movimento Città Slow, che nel frattempo ha aggiornato lo statuto, ha anche
insediato un comitato scientifico e soprattutto è presente anche all'estero, si definisce oggi “rete
internazionale delle città del buon vivere” e conta oggi circa 125 municipalità tra italiane ed
europee.
Nel corso degli anni Slow Food ha saputo coltivare con abilità la “trasversalità politica” dei
propri interlocutori. Alle già citate Regioni Toscana e Piemonte, come pure ai rapporti con la
Regione Veneto di cui si parlerà in seguito, ai già citati rapporti editoriali con alcune, la
costante della politica Slow Food è stata quella di contaminare e permeare ambiti sociali e
livelli politico istituzionali fra loro differenti. La svolta ecologista maturata tra la fine degli anni
'90 e i primi anni del ventunesimo secolo ha fatto di Slow Food una delle forze sociali più
attive sul fronte ambientale, a partire proprio dall'agricoltura. La questione agricola passa per la
riscoperta di un'agricoltura biologica che ha nell'assenza di additivi chimici e nel rispetto del
ritmo delle stagioni la ragione prima e intima del suo essere. Anche in questo caso l'azione di
Slow Food, resa possibile operativamente dalla Fondazione per la Biodiversità, parte dalla
consapevolezza che la scienza e la ricerca in agricoltura, cui l'associazione non è
pregiudizialmente contraria, essendo prevalentemente finanziate da grandi aziende e
multinazionali sono di fatto al loro servizio. Pertanto secondo Slow Food è indispensabile una
di presa di coscienza e informazione nei confronti di agricoltori e allevatori, affinché il loro
lavoro sia rispettato, tutelato e maggiormente valorizzato, anche da un punto di vista di valore
economico e di prezzi. Un'agricoltura sana e tipica, il “pulito” della triade petriniana, va nella
direzione della tutela di quelle identità del cibo che sono valore simbolico ma anche equilibrio
socioeconomico per un paese o per una comunità. In questo senso va letta la battaglia che nel
1999 Slow Food ingaggiò contro i divieti introdotti dalle normative europee HACCP. Slow
Food raccolse circa 300 mila firme in difesa del patrimonio enogastronomico italiano,
chiedendo appunto la revisione del regolamento europeo HACCP, sostenendo che lo scopo di
quel regolamento non era la tutela della qualità ma l'omologazione di regole e divieti. In quel
caso Slow Food si comportò come sindacato delle pratiche agricole tradizionali, portando in
sede di Unione Europea la necessità di un marchio comunitario in grado di tutelare, senza costi
esosi e fuori dalla portata dei piccoli artigiani, le piccole produzioni tradizionali a rischio di
estinzione.
Ancora, nel 2001 Slow Food ha lanciato la campagna “No Gm Wines” contro la
commercializzazione in Europa di viti transgeniche, mentre nel 2007 ha aderito alla coalizione
ItaliaEuropa – Liberi da ogm attraverso un referendum popolare con più di 3 milioni di firme
raccolte. Ma a differenza dei movimenti anti-globalizzazione, siano questi più o meno radicali,
pur mostrando visioni non troppo distanti su alcuni temi (ad esempio sugli Ogm) Slow Food ha
sempre preferito la via del dialogo e le partnership attive con le istituzioni interlocutrici. Slow
Food ha cioè saputo capitalizzare il sentimento anti globalizzazione pur mantenendo le distanze
da estremismi ed estremisti, sperimentando e diffondendo buone pratiche, ponendosi sempre
come interpreti di una domanda socio cultural gastronomica legata alla riscoperta del gusto e
dei prodotti tipici.
Parafrasando un celebre slogan ambientalista si può affermare che Slow Food abbia seguito una
filosofia del “pensare politicamente, agire socialmente”. L'associazione ha sempre apertamente
condannato una globalizzazione intesa come dominio sull'uomo da parte dei mercati, della
finanza e dell'omologazione dei gusti e dei saperi. Alla globalizzazione, che per definizione è
un fenomeno subìto e vessatorio, Slow Food ha contrapposto il “globale” inteso come alleanza
transnazionale di persone e comunità. Slow Food e Terra Madre si propongono come rete
internazionale di persone che “pensano globale” ma agiscono a livello locale. Oggi Slow Food
International associa quasi 100 mila persone che vivono in 132 paesi del mondo. Cibo, cultura,
qualità e piacere sono idee condivise ma che possono avere un'infinita gamma di percezioni,
interessi e sfumature diverse tra gli stessi associati. Una diversità e una consapevolezza che
testimoniano la ricchezza del movimento ma anche la difficoltà di trovare una sintesi comune e
unificante ai vari processi in atto per un'organizzazione internazionale che porta un nome
inglese, che ha sede centrale e cuore pulsante in un paese industrializzato come l'Italia dove
attinge la sua forza sociale ed economica. Un’organizzazione peraltro orientata ad esportare
sempre più idee, pratiche e sostenitori in paesi del sud del mondo.
2.3. LA COSTRUZIONE DELLA RETE COMMERCIALE
Analizzandone la storia dell'azione politica, Slow Food si rivela essere un'organizzazione
modulare e multitasking. Primo: ha condotto battaglie politiche (già citate) alla stregua di
grandi organizzazioni sociali quali Coldiretti o Legambiente, insieme con le quali ha messo in
atto azioni di lobby; secondo: ha promosso una strategia di comunicazione paragonabile a
quella delle più grandi e strutturate organizzazioni non governative americane o inglesi, in
termini di continuità, professionalità, semantica e investimenti; terzo: si è organizzata sul
territorio sul modello di un partito politico, con circoli territoriali di base, secondo e terzo
livello di rappresentanza, responsabili di settori e dipartimenti, con un continuo impegno nel
reclutamento di simpatizzanti e sostenitori; quarto: ha lavorato come una fondazione culturale
in fatto di educazione al gusto; quinto: ha contribuito alla costruzione di una rete di soggetti
commerciali per i quali si è posto come advisor; sesto: ha agito e continua ad agire, in
particolar modo attraverso la Fondazione per la Biodiversità e Terra Madre, come sindacato dei
contadini, dei produttori e dei consumatori.
Già si è detto delle battaglie politiche e della comunicazione. Nel primo capitolo si è parlato
dell'organizzazione territoriale italiana e della nascita delle prime associazioni nazionali
all'estero, cresciute ulteriormente negli ultimi anni. Affronteremo ora una questione cruciale per
Slow Food, la creazione di un articolato sistema di relazioni istituzionali e sponsorizzazioni
che, pur avendo giovato non poco alla crescita del sistema Slow Food, non possono non destare
alcuni interrogativi di fondo. Slow Food Italia è una onlus senza fini di lucro che controlla due
società a responsabilità limitata: Slow Food Editore srl e Slow Food Promozione srl. Mentre
Slow Food Editore edita guide e pubblicazioni di carattere prevalentemente di educazione al
gusto e di informazione al consumatore, Slow Food Promozione è il vero e proprio braccio
economico operativo di Slow Food. A questa srl spetta il compito di organizzare i grandi eventi,
in primis il Salone del Gusto ma anche Slow Cheese, Slow Fish e altri, ma soprattutto la
vendita di spazi pubblicitari nelle pubblicazioni editoriali e la raccolta fondi da
sponsorizzazioni. Provvedere alle sponsorizzazioni necessarie a sostenere attività ordinarie e
straordinarie, iniziative, eventi e pubblicazioni rappresenta, per il sistema Slow Food e per le
sue caratteristiche, molto di più di una normale attività commerciale o di raccolta fondi: le
sponsorizzazioni sono l'autentico capitale sociale del sistema Slow Food, il punto di contatto tra
organizzazione e sistema delle imprese. In ultima analisi, Slow Food Promozione srl opera
parallelamente all'attività di pubbliche relazioni dei vertici di Slow Food, ovvero raccoglie
(fondi) dove i vertici seminano (idee, relazioni).
Come descritto nel primo capitolo del presente lavoro, alla base della piramide ci sono i
Convivia, ovvero i gruppi locali, e i loro leader che lavorano su base volontaria e peraltro
motivo di vanto da sempre per i vertici di Slow Food. In realtà, benché non stipendiati, i
Convivium leader hanno diverse possibilità per ottenere dei rimborsi spese per il loro lavoro.
Per partecipare agli eventi di degustazione sia i soci sia i non soci pagano una quota, che varia
dai pochi euro per gli incontri più semplici (in termini di prodotti o di complessità
organizzativa) agli oltre cento euro per degustazioni verticali di vini pregiati: ecco dunque che
il responsabile della condotta locale è legittimato a trattenere rimborsi spesa per il lavoro
organizzativo svolto. Al tempo stesso le aziende produttrici locali hanno interesse ad
accreditarsi presso Slow Food, per cui forniscono gratuitamente o a prezzi di costo i loro
prodotti. Si crea quindi un circuito di valore, sociale e ovviamente commerciale, che soddisfa
tutti, dai soci ai produttori passando per i responsabili locali di Slow Food. Analogamente, i
Convivium leader sono anche gli estensori di recensioni per le guide Slow Food, in particolare
per quella delle osterie e quella dei vini, che sono anche le più diffuse. È facile intuire che il
comparire su una guida Slow Food rappresenti un endorsment formidabile per una piccola
azienda alimentare o per una trattoria, e che queste abbiano tutto il legittimo interesse ad essere
recensite poiché vedono aumentare notevolmente il proprio giro d'affari. Le guide sono infatti
vendute in decine di migliaia di copie, in particolare Osterie d'Italia e quella Guida ai vini
scritta per oltre vent'anni insieme al Gambero Rosso Editore, da cui un recente “divorzio” che
prelude ad un nuovo accordo con Giunti Editore. Se dunque una “raccomandazione” targata
Slow Food è in grado di ampliare notevolmente il mercato e i margini di profitto, ogni
recensione è riconosciuta economicamente al suo estensore, di solito il Convivium leader, il
quale diventa nel tempo sulla piazza locale un “food opinion leader”. Con la crescita del
movimento e delle sue relazioni, questo rappresenta un fattore di oggettiva competitività:
organizzare un evento insieme a Slow Food comporta, per chi ne è promotore, ad esempio un
Comune o una Camera di Commercio, dei costi fissi d'ingresso dovuti all'utilizzo del marchio
della chiocciolina. Perché questo? Perché il brand Slow Food è sempre più conosciuto e sempre
più associato dai consumatori a cibi locali di qualità. In questo caso, Slow Food Promozione
capitalizza la capacità di comunicare l'evento a una platea potenziale di decine di migliaia di
associati. Il meccanismo divulgativo promozionale sopra descritto risulta proporzionale o alla
disponibilità economica dell'azienda, del ristorante o del Comune oppure alla sua capacità di
entrare in relazione con il mondo Slow Food. La guida alle osterie adotta dei criteri di selezione
- il prezzo finale sotto i 35-40 euro, unito naturalmente alla qualità del cibo e al rispetto di altri
valori Slow Food – che lasciano intendere margini di discrezionalità nella scelta di recensire un
ristorante.
Slow Food International pubblica sul proprio sito web un vademecum per la raccolta fondi, le
Fundraising guidelines. Il documento esordisce dicendo che le linee guida per la raccolta fondi
si applicano all'associazione ma hanno valore anche per le istituzioni ad essa collegate;
prosegue dicendo che nessuno membro dell'associazione, eletto o incaricato, può trarre benefici
economici o richiedere percentuali sui fondi raccolti; quindi afferma che tra gli obiettivi del
fundraising c'è la creazione di legami forti e duraturi, e che l'aspetto commerciale non deve
“predominare”. Ricordando che è preferibile che nessuna attività di Slow Food sia finanziata
per un importo annuo superiore al 20% da un singolo finanziatore, vengono esposte le due
principali linee guida: la prima, che nessun sostenitore di Slow Food può condizionarne attività,
impegno, filosofia e politiche; la seconda, che nessuna azienda può essere sostenitrice di Slow
Food se in contrasto con la filosofia e le azioni dell'associazione. Interessanti alcune delle 14
linee guida che seguono le due portanti. Alla numero 2 si afferma che nella valutazione di un
potenziale sostenitore non è necessaria un'aderenza totale alla filosofia Slow Food, perché
questo vorrebbe dire quasi non avere sostenitori, bensì il sostegno alla maggioranza o ad una
parte rilevante delle attività associative. Alla numero 3 è menzionato il rispetto all'impatto
sociale e ambientale, nella numero 5 si considerano “non sostenitori” quelle aziende che
diffondono “false affermazioni” su cibo, Ogm, costi di produzione, latte crudo, ecc. Alla
numero 6 si impone grande cautela alle cosiddette multinazionali, per le quali, “se possibile”
dovrebbero non essere accettate come sostenitori. Alla numero 7 si richiede alle aziende del
food & beverage standard di prodotto non bassi o medio-bassi, nella numero 8 è richiesto come
preferibile, per le aziende alimentari, l'utilizzo di ingredienti sostenibili e il non utilizzo di
conservanti, olii idrogenati, coloranti, ecc. e che in ogni caso nessuna sponsorizzazione
(numero 11) stabilisce esclusività per il settore tra l'associazione e il sostenitore, tranne nel caso
di singoli eventi.
Un disciplinare così dettagliato in materia di raccolta fondi evidenzia due aspetti: l'importanza
dei fondi per la vita dell'organizzazione e la necessità di normare nel modo più preciso
possibile, forse memori di errori o sottovalutazioni del passato, una materia così delicata e
vitale. In effetti, scorrendo la lista delle aziende sostenitrici di Slow Food o sue emanazioni, ad
esempio l'Agenzia di Pollenzo ove ha sede l'Università di Scienze Gastronomiche, qualche
problema di gestione di finanziatori e sostenitori pare esserci stato: l'Agenzia di Pollenzo è
infatti una società per azioni a capitale misto pubblico e privato con 375 azionisti, di cui 356
privati, ed essendo una buona parte di questi soci privati delle piccole o medie aziende nel
settore alimentare o enologico, non è difficile immaginare che possano insorgere contrasti o
controversie. Per quanto già sopra affermato, essere nell'orbita Slow Food è un fatto
commercialmente rilevante per un'azienda agroalimentare, e non solo, prova ne è che i prodotti
segnalati e valorizzati da Slow Food vedono incrementare il loro valore di circa il 30%.
La pluriennale strategia di costruzione di una rete di interlocutori commerciali da parte di Slow
Food, poiché una gestione diretta del marchio sarebbe stata azione non compatibile con la
natura no profit dell'associazione, passa anche attraverso accordi con la cosiddetta Gdo, la
grande distribuzione organizzata. Coop Italia è oggi il primo player della grande distribuzione.
I primi contatti tra Coop Italia e Slow Food sono datati 1999. In quegli anni Coop stava
studiando un nuovo format per i suoi 4200 supermercati, i negozi della spesa quotidiana che
hanno una filosofia diversa rispetto agli ipermercati della spesa periodica e quantitativamente
superiore. L'esigenza di Coop era anche quella di individuare prodotti nuovi, possibilmente di
qualità più alta e più vicini al territorio. Ecco dunque che nell'aprile 2001 Coop Italia e Slow
Food siglano un accordo per la salvaguardia delle produzioni dei Presidi (all'epoca erano
ancora chiamati i Prodotti dell'Arca) con l’obiettivo di offrire a questi prodotti una seria
opportunità commerciale, dando così ai piccoli produttori l’opportunità di proseguire l’attività e
contribuire alla salvaguardia di quella piccola, ma importante parte del patrimonio
agroalimentare italiano, altrimenti destinato all'estinzione. Coop Italia sottoscrive inoltre un
contributo in favore della Fondazione per la Biodiversità creata da Slow Food e pubblica in
proprio L'Italia dei Presìdi, con prefazione del presidente Vincenzo Tassinari, una guida che
suggella la sinergia con Slow Food. In concreto alcuni supermercati ospitano promozioni
commerciali di breve durata (alcuni giorni) con un numero limitato di produzioni da assaggiare
ed acquistare. La risposta del mercato è buona per i formaggi e per i salumi, meno buona per i
prodotti ortofrutticoli: la ragione è da ricercare in una più accessibile divulgazione, o
dimensione del racconto, per formaggi e salumi rispetto ai prodotti della terra. Coop Italia e
Slow Food collaboreranno anche nella già citata campagna contro gli Ogm in cui verranno
raccolte tre milioni di firme, per un rapporto che dura tutt'ora. Un rapporto importante per
entrambe le realtà, segnato da una leale collaborazione e non senza punte di disaccordo: quando
Coop Italia propone a Slow Food l'istituzione di un tavolo permanente di confronto sui prodotti
da Bra arriva un garbato rifiuto. Anche il tema del controllo di qualità dei prodotti, che vide un
dibattito interno a Slow Food, ha portato a esiti negativi. Slow Food non ha mai ritenuto di
divenire ente certificatore dei prodotti dei Presidi, né direttamente né attraverso una propria
consociata. Inoltre Slow Food ha sempre dichiarato, pur evitando accuratamente ogni rigidità
ideologica o preconcetta, un'avversione al sistema delle grandi aziende agroalimentari e della
stessa grande distribuzione, assecondando apertamente l'idea che “piccolo è buono” e della
valorizzazione delle imprese artigianali o comunque di dimensione medio piccole, richiedendo
correttezza nei passaggi di filiera e grande intransigenza sulla qualità. È del tutto evidente il
grande valore sociale che il sostegno alle piccole produzioni locali comporta in termini di tutela
della biodiversità, ma altro discorso è la qualità nutrizionale organolettica: Slow Food non si è
mai spinta oltre la consulenza dei propri esperti, lasciando a terzi il ruolo di ente certificatore
dei prodotti sotto un profilo igienico sanitario necessario per la loro commercializzazione. A
questo si aggiunge il problema che alcuni dei Presidi, oggi 177 in Italia, sono anche prodotti
Dop o Igp, tutelati da appositi consorzi e con i quali Slow Food ha dovuto relazionarsi onde
evitare pericolosi fraintendimenti: basti pensare al Culatello di Zibello dop, alla Mortadella
classica dop o al Pane di Altamura dop.
Se dunque Slow Food ha dimostrato una notevole capacità di porsi come garante fiduciario tra
produttori, commercianti e consumatori, essa ha sempre lavorato sulla dimensione
comunicativa, emotiva e narrativa dei prodotti. Non si è mai “sporcata le mani” con operazioni
commerciali direttamente gestite, pur avendo queste operazioni rappresentato un'indubbia fonte
di ricavi per l'intera organizzazione. Slow Food si è scelta un ruolo di divulgazione e
suggerimento, e nonostante un lungo dibattito interno in materia di certificazione dei prodotti,
ha sempre ritenuto di non scendere sul terreno della gestione diretta delle iniziative da lei
promossa.
2.4 LA COSTRUZIONE DELLA RETE ISTITUZIONALE
Fin dalle origini del movimento, l'attività editoriale di Slow Food Editore ha ricercato nuovi
contenuti da divulgare, in un'opera costante di arricchimento e diversificazione dei settori, delle
tipologie di pubblico. Degno di interesse è anche la Banca del Vino, una cooperativa nata con
lo scopo di “costruire la memoria storica del vino italiano”. Ha sede presso l’Agenzia di
Pollenzo, ed è una “suggestiva vetrina enologica” ove è possibile conoscere l’Italia dei grandi
vini: in pratica un museo visitabile del vino che – con l'intento di promuovere l’immagine e la
cultura enologica – raccoglie un patrimonio di oltre 100 mila bottiglie appartenenti a 300 delle
migliori aziende vitivinicole nazionali. Se dunque l'idea di racchiudere l'intera Italia del vino in
un'unica immensa cantina è senza dubbio molto affascinante, la Banca del Vino è anche un
grande punto vendita, è un negozio on line, è una cooperativa che raccoglie soci e sostenitori,
pertanto uno strumento di pubbliche relazioni, ed è anche un centro di documentazione e
divulgazione per le attività editoriali. Ecco quindi che un solo luogo fisico, e una sola società
cooperativa, possono assolvere più funzioni.
Tuttavia è Eataly il più grande e riuscito “spin off” commerciale del mondo Slow Food. Il
progetto Eataly ha preso il via nel 2004 e l'apertura del primo centro Eataly - 11mila metri
quadrati nel cuore di Torino - è avvenuta il 30 gennaio 2007. In soli tre anni Eataly si è
imposto, in Italia e nel mondo, come format commerciale vincente e imprescindibile
benchmark per l'enogastronomia di qualità. Eataly è una collezione completa di prodotti di alta
e altissima qualità in un unico spazio: qui i prodotti possono essere degustati, consumati e
acquistati. Uno spazio che coniuga vendita e cultura attraverso le eccellenze enogastronomiche
italiane, comunicando le storie e i marchi del meglio dell’enogastronomia italiana. Eataly è
anche corsi di educazione alimentare, corsi di cucina, spazi per meeting aziendali, il tutto
articolato in più aree tematiche e ristorazione, suggellato da un grande successo di pubblico e
consenso trasversale della critica nazionale.
Sul sito di Eataly si legge che “Slow Food svolge nei confronti di Eataly il ruolo di consulente
strategico, con il compito di controllare e verificare che la qualità dei prodotti proposti sia
sempre all'altezza delle promesse e che i produttori, entrati a far parte del novero di Eataly,
non compromettano la qualità della loro produzione per soddisfare una domanda crescente dei
loro prodotti”. Ecco dunque che la filosofia di Slow Food del cibo di qualità trova in Eataly la
sua concreta e esteticamente grandiosa realizzazione. Ma tra i capisaldi di Slow Food c'è anche
il mangiare locale, che è anche il claim del Terra Madre Day del 10 dicembre 2009, e questo
stona decisamente con l'idea di un grande contenitore in grado di raccogliere il meglio del
meglio del cibo e del vino italiano, in quanto esso va nella direzione esattamente contraria alla
filosofia della filiera corta e dei cibi a chilometri zero predicata a Bra. In altre parole, se un
consumatore deve raggiungere un punto vendita Eataly per poter degustare il meglio delle
produzioni locali, dove i cibi hanno viaggiato centinaia di chilometri (contribuendo ad
inquinare) per essere esposti sugli scaffali di Eataly, non si può non notare una discrasia tra
questi due mondi, Eataly e Slow Food, che pure collaborano così intensamente. Sul sito
istituzionale di Eataly, si legge che “la connaturata limitatezza delle materie prime a
disposizione, perché esse non possono essere trasportate troppo lontano, ma soprattutto perché
incrementare in maniera significativa l'attività dei piccoli produttori significherebbe al
contempo comprometterne la perfetta integrazione con ambiente e umanità locali. Si tratta di
un'annosa questione davanti alla quale si trova chi, come Eataly, intende promuovere la
democratizzazione della qualità alimentare e che rende tanto ambizioso quanto difficile un
progetto di questo tipo”. Quindi, prosegue il sito, “per affrontare con successo queste
problematiche Eataly tiene costantemente presenti questi rischi, ponendosi in un atteggiamento
esattamente opposto a quello adottato dalle economie di scala e dal business in generale: in
sostanza la ricerca verte sempre sullo sviluppo e non sulla crescita, facendo della qualità il
concetto alla base di ogni attività gastronomica dalla produzione, alla distribuzione, al
consumo. Ed è proprio in questo senso che il ruolo di Slow Food, quale garante della coerenza
di strategia, si palesa in tutta la sua importanza. E' necessario saper gestire e governare i
limiti della qualità - figli di una complessità che rispecchia tanto il mondo globalizzato in cui
viviamo, quanto la profonda multidisciplinarità della gastronomia stessa - e non cercare a tutti
i costi di superarli o aggirarli, facendo attenzione a non crearne di nuovi”. Slow Food fornisce
quindi consulenza a Eataly affinché il sistema della grande distribuzione organizzata non
“strangoli” l'idea petriniana del cibo buono, pulito e giusto.
In realtà il rapporto tra Slow Food e Eataly ha radici profonde e vive su tre grandi punti di
forza: primo, l'ideatore e presidente di questo centro commerciale, Oscar Natale Farinetti, oltre
ad essere un imprenditore di successo, è anche amico di lunga data con Carlo Petrini, è
conterraneo e persona fidata; secondo, questo grande negozio dedicato ai prodotti
enogastronomici di qualità in abbinamento a ristoranti tematici è figlio, per dichiarata
emulazione, del modello organizzativo del Salone del Gusto; terzo, Eataly concede spazi,
visibilità e commercio ai prodotti dei Presidi Slow Food, dalla cui vendita se ne ricavano
percentuali a finanziare l'attività della Fondazione per la Biodiversità onlus. Se dunque Eataly
nasce con alle spalle vent'anni di Slow Food, è proprio grazie al know-how maturato negli anni
che Eataly ha potuto diventare il principale sbocco commerciale per i prodotti dei Presidi.
Un'operazione vincente a livello di pubblico e di critica in cui Slow Food e Eataly si sono
sostenute vicendevolmente, legittimandosi reciprocamente, un'operazione che ha saputo unire
la duplice dimensione del cibo, quella del consumo a quella del racconto, che è poi la più
grande utopia concreta immaginata da Carlo Petrini per il suo movimento. Slow Food ha inoltre
fornito a Eataly numerose consulenze e attività di lobbying. Solo grazie a Slow Food fu
possibile arrivare ad avere lo storico stabilimento Carpano di via Nizza a Torino, a pochi passi
dal Lingotto, oggi ristrutturato e divenuto sede di Eataly Torino. In secondo luogo Slow Food
ha garantito prodotti e know how ma soprattutto ha fornito a Eataly personale qualificato.
Slow Food riconosce nei fatti un'esclusiva di vendita a Eataly per quanto concerne i prodotti
dei Presìdi italiani, come già sperimentato con Coop Italia e analogamente a quanto accade in
Svizzera, dove la potente Coop Svizzera commercializza i prodotti dei Presìdi svizzeri con
tanto di chiocciolina originale di Slow Food, in aperto contrasto con la Carta di Utilizzo dei
Marchi Slow Food che vieta ogni utilizzo commerciale del logo istituzionale del movimento.
Peraltro i Presìdi italiani dispongono dal 2009 di un marchio appositamente registrato per la
loro commercializzazione, marchio di cui Slow Food è proprietaria del marchio e concesso ai
Presidi previo il rispetto delle regole (il cui mancato rispetto porta alla revoca dell'uso).
Uno dei motivi principali che suggellano l'alleanza tra Carlo Petrini e Oscar Farinetti risiede
nell'Agenzia di Pollenzo, dove trovano oggi sede l'Università delle Scienze Gastronomiche, la
Banca del Vino, l'Albergo dell'Agenzia e dove si è trasferito da alcuni anni il ristorante Guido,
uno dei più noti in tutto il Piemonte, presente oggi anche all'interno di Eataly Torino. L'Agenzia
di Pollenzo è una società per azioni creata nel 1998 da Slow Food per gestire il patrimonio
immobiliare e per farne la sede di molteplici iniziative. Finanziata con 6 miliardi di lire dalla
Regione Piemonte grazie una legge regionale ad hoc l'Agenzia ha avviato la ristrutturazione del
grande patrimonio immobiliare, trovandosi ben presto nella necessità di ricapitalizzare. Il 28
maggio 2004 Oscar Farinetti diventa su proposta di Carlo Petrini Presidente del CdA
dell'Agenzia di Pollenzo spa, società a capitale misto pubblico-privato, attraverso cui Slow
Food gestisce l’Università di Scienze Gastronomiche, la Banca del Vino, l’Albergo
dell’Agenzia e altre attività ad essa collegate. Quella stessa Agenzia che era nata sotto un forte
impulso delle istituzioni (Regione Piemonte e Comuni piemontesi in primis) diventa a
maggioranza privata nel 2004 con l'ingresso dei capitali di Oscar Farinetti, che ne assume
appunto la presidenza. L'Agenzia di Pollenzo che era stata inaugurata solo un mese prima, il 30
aprile 2004, alla presenza dello stato maggiore Slow Food e di autorità politiche, esponenti
politici di primo piano e esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo.
2.5. L'UNIVERSITA' DI SCIENZE GASTRONOMICHE
L'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche nasce ufficialmente nel 2004, benché come
si è visto nel primo capitolo del presente lavoro, l'idea risale a circa una decina di anni prima.
Voluta da Slow Food con il sostegno economico di Regione Piemonte e Regione Emilia-
Romagna, che ne sono soci fondatori, l'Università si propone di diventare “un centro
internazionale di formazione e di ricerca, al servizio di chi opera per un'agricoltura rinnovata,
per il mantenimento della biodiversità, per un rapporto organico tra gastronomia e scienze
agrarie”.
Sotto il profilo didattico e della ricerca l'Università di Pollenzo, con sede secondaria a Colorno,
intende creare la nuova figura professionale del gastronomo, una figura capace di lavorare in
modo trasversale tra produzione, distribuzione, promozione e comunicazione
dell'agroalimentare. L'Università prepara “i futuri esperti di comunicazione, divulgatori e
redattori multimediali in campo enogastronomico, addetti al marketing di prodotti
d'eccellenza, manager di consorzi di tutela o di aziende del settore agroalimentare o di enti
turistici” grazie alla complementarietà tra formazione umanistica e formazione scientifica e
all'esperienza diretta dei processi artigianali e industriali di produzione del cibo. Da un punto di
vista organizzativo l'Università ha una forte impostazione di matrice anglosassone. Oltre
all'esame di ammissione crea una barriera indiretta d'accesso in virtù di elevate rette di
frequenza, circa 13mila euro annui cui vanno aggiunti potenziali 6mila euro per vitto e
alloggio. L'offerta complessiva riguarda una laurea triennale, una laurea magistrale (biennale) e
due master, di durata annuale e in lingua inglese, entrambi presso la sede di Colorno in
provincia di Parma: il Master in Food Culture and Communications e il Master in Italian
Gastronomy and Tourism. Molta importanza è data alla dimensione comunicativo semantica del
cibo, una dimensione narrativa che si esplicita ad esempio con la collaborazione con la Scuola
Holden di Torino per un laboratorio di scrittura rivolto agli studenti del triennio. L'università
offre agli studenti un servizio di tutor, offre un servizio di counseling per studenti che
manifestano eventuali forme di disagio e un servizio di job placement per l'inserimento dei neo
laureati nel mondo del lavoro. A tutto questo si uniscono molteplici collaborazioni
internazionali con Università e aziende, stage, e un'associazione Amici dell'Università che
raccoglie un vastissimo numero di aziende in prevalenza dell'agroalimentare che sostengono
direttamente il giovane ateneo.
Sotto il profilo giuridico è un'università non statale legalmente riconosciuta dallo stato italiano,
e l'iter che ha condotto a questo riconoscimento non è stato lineare e ha richiesto diversi anni
di lavoro. Dopo la già citata legge regionale con cui la Regione Piemonte entra nell'Agenzia di
Pollenzo segue, due anni più tardi, una delibera regionale che eroga a Slow Food circa 60mila
euro per uno studio di fattibilità di una università di scienze gastronomiche all'interno
dell'Agenzia di Pollenzo. Nel 2002 Piemonte ed Emilia Romagna firmano un protocollo
d'intesa con cui “individuano nell’Associazione Slow Food, il partner idoneo sul territorio
nazionale a concorrere con le Regioni stesse alla realizzazione dell’Università di Scienze
Gastronomiche”. Nel 2003 la Regione Emilia-Romagna aderisce alla nascente associazione
degli Amici dell'Università, altrettanto fa la Regione Piemonte. L'opposizione principale al
riconoscimento della nascente Università viene proprio dal mondo accademico: quattro
importanti atenei emiliani - Bologna, Ferrara, Modena/Reggio Emilia e Parma - riunitisi il 20
febbraio 2004 per discutere della nuova Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e
Colorno, deliberano in modo unanime il parere negativo all’iniziativa. I quattro Atenei
deliberano l’attivazione in comune di un corso di laurea interateneo in “Scienze
gastronomiche” (classe 20 di Scienze Agrarie) e collocato presso la Facoltà di Agraria
dell’Università di Parma. Gli atenei ricordano inoltre che “la Scuola Internazionale di Cucina
Italiana, A.L.M.A., alla quale partecipa l’Università di Parma, operante presso la Reggia di
Colorno, svolge un’apprezzata attività di alta formazione professionale ed è cosa ben diversa
e indipendente da quanto prospettato nella suddetta richiesta di istituzione dell’Università di
Scienze Gastronomiche”. Seguono anche interrogazioni parlamentari ai Ministri Moratti
(Università) e Alemanno (Politiche agricole) per fermare la nascita dell'Università di Slow
Food. Al contrario a Torino, a marzo 2004, il Comitato Regionale per il Coordinamento
Universitario della Regione Piemonte presieduto da Rinaldo Bertolino rettore dell’Università
di Torino, esprime parere positivo alla richiesta di Università non Statale legalmente
riconosciuta per l’Università di Scienze Gastronomiche. Il Ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, Letizia Moratti si presenta a Pollenzo il 5 luglio 2004: “Sono
lieta di annunciare che il Comitato nazionale di Valutazione del MIUR ha dato parere positivo
al riconoscimento ufficiale dell’Università di Scienze Gastronomiche come università privata
non statale.” Il Ministro ha inoltre affermato: “ Ho visto in questa proposta elementi che
dovrebbero essere distintivi per tutto il sistema universitario italiano: il raccordo con il
territorio, come motore sociale ed economico; la multidisciplinarietà, che garantisce la
riduzione ad unicum di saperi oggi troppo parcellizzati; l’internazionalità, che garantisce
mobilità agli studenti e capacità per l’ateneo di farsi elemento catalizzatore di talenti.”
Ringraziando il Ministro, le Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, le istituzioni e i
finanziatori, raccolti nell’Associazione Amici dell’Università, per aver creduto in un progetto
fino a pochi anni prima impensabile, Carlo Petrini ha rivendicato con orgoglio il primato
dell’Università di Scienze Gastronomiche: “Apriremo la strada per l’Italia e il mondo intero, e
costruiremo un’Università che sarà un elemento di eccellenza per il sistema Italia e per la sua
immagine nel mondo. Siamo pronti a partire in ottobre con il Corso di Laurea in Gastronomia
ed è già in cantiere il Corso di Laurea in Agro-ecologia, che avrà l’obiettivo di dare centralità
all’economia primaria, quella degli agricoltori”.
Pur contribuendo all'arricchimento dell'offerta universitaria nazionale con un ateneo innovativo
nella didattica e fortemente connotato dai valori di Slow Food, resta che un “gastronomo”
laureato a Pollenzo o Colorno abbia un titolo che sul mercato del lavoro non è equiparato al
titolo di cuoco o di tecnologo dell'alimentazione, e non esistendo oggi in Italia un Albo dei
gastronomi, i laureati possono sostenere l'esame di stato per agrotecnico. I principali sbocchi
professionali per i laureati sono o all'interno del mondo Slow Food e delle società collegate
oppure nel campo della comunicazione, del marketing e della divulgazione di prodotto.
2.6. SLOW FOOD, LA POLITICA E GLI INTERROGATIVI APE RTI
In un'intervista rilasciata al quotidiano “Il Sole 24 Ore” nel giugno 2009 Carlo Petrini
anticipava una sua uscita dal movimento da lui fondato, dichiarandosi “al capolinea” e
affermando che il movimento è forte e radicato e che dove non è arrivato lui altri suoi
successori potranno arrivare. La forza del mondo Slow Food è stata anche questa, la capacità di
sapere veicolare la forza dei leader facendola apparire tranquilla, condivisa, collettiva. In realtà,
analizzando Slow Food da un punto di vista squisitamente organizzativo, si notano alcuni punti
che danno adito a dubbi. Slow Food è nata e resta un'organizzazione italiana e italo centrica. A
fine 2008 il “peso” italiano in seno a Slow Food Internazionale è superiore al 40% in termini di
soci iscritti, ma ancora più forte è la leadership italiana tra le attività redditizie, dall'editoria ai
prodotti. Gli headquarters di tutte le principali attività del sistema Slow Food hanno tuttora
sede in Italia, come pure italiane sono le istituzioni che finanziano molte delle attività
internazionali di Slow Food. L'immagine idilliaca del movimento internazionale che cresce in
modo armonico e coeso non corrisponde alla realtà. Già si è detto della determinata richiesta di
maggiore autonomia pronunciata dai delegati tedeschi al Congresso di Napoli del 2003 e
respinta con il voto dei delegati che, data la stragrande maggioranza di non-tedeschi, non
avrebbe potuto avere esito diverso. In Francia, paese orgoglioso di una fortissima tradizione
culinaria e enologica, Slow Food non è mai decollata veramente, sia per la diffidenza rispetto al
nome inglese sia perché da sempre associata a un tentativo mascherato di esportare una “italian
way of life” non digeribile dai francesi, che pure sul loro sito web rivendicano la paternità
fondativa del movimento a Parigi nel 1989. Problema analogo è sorto negli Stati Uniti e in
Gran Bretagna, dove il movimento trova consensi in ristrette nicchie di gourmet e appassionati
di cibo straniero di qualità (nel Regno Unito conta oggi circa 2000 soci) ma difficilmente vince
la diffidenza della classe media che trova i nomi e le proposte distanti ed esotiche, come
riconosce il nuovo segretario generale di Slow Food Uk Catherine Gazzoli in un'intervista a
The Ecologist, affermando che per calarsi nell'ambiente inglese Slow Food dovrà abbandonare
le parole italiane sulla scorta di quanto avvenuto negli Stati Uniti.
Connesso all'italo centrismo c'è l'oggettiva rigidità localistica ai vertici dell'organizzazione, che
da quasi trent'anni è governata da un ristretto gruppo di persone nate a Bra: Carlo Petrini, Silvio
Barbero, Piero Sardo e Gigi Piumatti. Braidese è anche la seconda generazione dei dirigenti,
dal presidente di Slow Food Italia Roberto Burdese a Cinzia Scaffidi che dirige il Centro studi,
da Paolo Di Croce segretario internazionale fino a Carlo Bogliotti, ghostwriter di Petrini. Altra
caratteristica comune al gruppo dirigente è l'essere accomunati da studi universitari in materie
storico filosofiche, sociologiche e comunicative, in parallelo a una sostanziale assenza di
dirigenti con formazione scientifico alimentare. Un aspetto tutt'altro che secondario, segno
evidente del prevalere della dimensione narrativo-comunicativo-divulgativa in seno
all'organizzazione tale per cui l'editoria ha avuto un peso così forte a scapito della certificazione
di prodotto, che Slow Food ha sempre rifiutato di divenire. Laureato in filosofia era anche
Giacomo Mojoli, tra i fondatori di Slow Food e per otto anni vicepresidente internazionale e
per tre anni portavoce del movimento, carismatico e possibile successore “migliorista”
all'attuale presidente (per il quale forse l'essere di Lecco e non di Bra ha pesato sulla sua uscita
da Slow Food). Più in generale sorprende il fatto che un'organizzazione internazionale così
diversificata e ramificata, con quasi 100mila iscritti in 132 paesi, abbia un vertice composto da
poche persone provenienti da uno stesso paese del Piemonte.
Dall'analisi sull'universo Slow emerge un terzo interrogativo, e riguarda il valore economico
delle attività promosse dall'organizzazione conosciuta per il simbolo della chiocciolina. Uno
degli issue più forti promossi da Slow Food negli ultimi anni è la questione del prezzo versus
valore (del cibo). L'assunto di partenza è che sempre più persone a livello mondiale sono
costrette ad alimentarsi con cibi economici e di bassissima qualità, ciò ingenera una spirale di
non sostenibilità che conduce milioni di persone a malattie, fame, indigenza sociale e
ovviamente alimenta gravi problemi socioeconomici, politici e ambientali. Anche per questo
Slow Food punta il dito contro i costi nascosti del cibo, i costi ambientali in primo luogo, i costi
sociali in termini di salute e altri gravissimi problemi quali moderne forme di schiavitù e
sfruttamento. La soluzione che Slow Food propone è una rete di mercati locali con dimensioni
più piccole, un'agricoltura sociale e sostenibile, più potere ai consumatori e meno agli
intermediari, maggiori costi per il cibo e maggiori guadagni per i contadini e i produttori.
L’idea sostenuta di Slow Food è quella di un riequilibrio tra chi produce e chi consuma il cibo,
ma questo significa introdurre un controllo sociale maggiore e una nuova politica del valore per
il cibo, una politica molto più democratica relativa al valore del cibo dove i termini dello
scambio sono negoziati su una base molto più egualitaria. Solo in questo modo, per Slow Food,
si possono affrontare le disuguaglianze profonde del commercio internazionale. In ultima
analisi, per Slow Food non può essere lasciato al libero mercato lo stabilire i prezzi del cibo,
stante il “risultato della politica del prezzo basso: il cibo mangia i contadini” e ancora “quando
il prezzo è basso il valore è sminuito, diventa naturale che un prodotto si possa sprecare con
leggerezza”.
Le analisi e le predizioni di Petrini, per quanto spesso semplificate e non adeguatamente
supportate da studi scientifici, ci conducono alla domanda cardine dell'azione politica di Slow
Food: gli obiettivi di Slow Food sono sempre realmente quelli enunciati? Petrini ha parlato più
volte di “discesa in campo”, di un'associazione che è “politica e non politica”, ovvero che cerca
di raggiungere degli obiettivi mediante azioni concrete e molteplici alleanze (con i buoni
produttori, con i buoni commercianti, con gli “imprenditori intelligenti”, con le istituzioni, ecc),
cioè radicandosi nel mondo reale. Perché agli occhi di molti che vi si sono avvicinati, Slow
Food cattura l’immaginario della gente e dell’opinione pubblica con una grande narrazione del
cibo, in un mondo però virtuale e non reale. Slow Food, perlomeno nelle ricche democrazie
occidentali ove la sua presenza è storicamente più matura, è percepita con una grande
associazione di appassionati e cultori di cibo gustoso e di qualità. Slow Food rappresenta al
meglio un'idea straordinaria se non si tenesse in considerazione che solo una piccola porzione
dell'umanità avrebbe oggi risorse economiche e culturali per aderire al modello
socioeconomico prefigurato da Slow Food. Perché quanto Slow Food lascia intendere, e che ha
fatto sì che molti soci o simpatizzanti della prima ora si siano allontanati, è proprio lo squilibrio
percepito tra enunciazione e comportamento. Slow Food è un mondo “no profit” al cui interno
albergano diverse attività “for profit”, è un mondo dove tutto ha un prezzo, dalla più semplice
delle degustazioni in un Convivium locale alle più grandi kermesse come il celebre Salone del
Gusto o la tre giorni di San Francisco 2008 chiamata Slow Food Nation, dalle pubblicazioni al
merchandising. In Slow Food tutti i marchi, principali e secondari, sono depositati e tutelati,
perfino i farmers' market settimanali vanno sotto il marchio registrato di Mercati della Terra e
riconoscono royalties all'associazione, e che conseguentemente ne sostengono l'esistenza e le
attività. L'impressione che Slow Food sia qualcosa per happy few è testimoniata anche da Eric
Schlosser, già autore di Fast food Nation e acerrimo nemico del modello McDonald's, il quale
descrivendo l'atmosfera di Slow Food Nation ha parlato di “un misto di attivismo sociale e di
edonismo” ma - osserva Schlosser - “la maggioranza degli americani – i comuni lavoratori, i
poveri, le persone di colore – non hanno un posto a tavola in Slow Food. Il movimento per
l'agricoltura sostenibile deve fare i conti con il semplice fatto che non sarà mai sostenibile
senza queste persone. A dire il vero, corre il rischio di degenerare in un narcisismo edonistico
per pochi”. Un'immagine può fotografare meglio di altre la forza ma anche i limiti di Slow
Food, ed è quella che riguarda l'idea del principe Carlo d'Inghilterra di inviare suini inglesi a
Polesine Parmense per farne dei Culatelli di Zibello dop grazie alle sapienti arti di Massimo
Spigaroli e con la mediazione di Carlo Petrini. Una collaborazione culinaria che ha visto
riconosciuta la fama planetaria di Petrini, ma che non ha risparmiato critiche e ironie, come
quella di Lodovico Actis Perinetto, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori di
Torino, il quale ha scritto: “siamo strafelici del fatto che il principe Carlo apprezzi la difficile
arte della norcineria emiliana: è tutta pubblicità per l'agroalimentare italiano. Non ci indigna
più di tanto che le mezzene di maiale vengano spostate di qua e di là, perché il cibo a
chilometri zero è solamente uno spot pubblicitario e siamo abituati alla gente che predica bene
e razzola male”, e ha proseguito dicendo che i protagonisti sono “i soliti noti che non molto
tempo fa hanno riunito a Torino le comunità del cibo provenienti da tutto il mondo per
promuovere la produzione alimentare locale e sostenibile e che ci hanno spronato ad essere
parte attiva nel superamento della vergogna planetaria della malnutrizione e della fame. Non
sapevamo che si potesse condurre la lotta contro la fame anche a colpi di strolghino e
cicciolata”.
Tuttavia la gran parte delle entrate per Slow Food è rappresentata dalle sponsorizzazioni di
aziende private e istituzioni pubbliche. Come già approfondito in questo capitolo, essenziale è
stato ed è tuttora, per il movimento nato a Bra, la possibilità di garantire alle aziende la
possibilità di associare il proprio nome a quello del movimento della chiocciolina, proprio in
virtù di una sorta di legittimità buono, pulito e giusto che essa conferisce. Gli interrogativi
nascono quando a sovvenzionare le attività Slow ci sono grandi aziende i cui obiettivi non sono
di carattere sociale o ambientale o di sostenibilità, quanto meno per gli obiettivi primari. Non si
è distinta storicamente per impegno ambientale la Fiat, che a più riprese e utilizzando anche
marchi propri come New Holland, ha sponsorizzato varie edizioni del Salone del Gusto
(ospitato presso il celebre Lingotto) e le attività della Fondazione Slow Food per la Biodiversità
onlus. Un rapporto solido e che sfocia anche nell'educational, come si legge nei comunicati
stampa che “Slow Food e Fiat Auto hanno organizzato un appuntamento esclusivo dedicato alle
scuole: Scuole in Pista, passeggiata gastronomica sulla Pista del Lingotto e una visita guidata al
Salone del Gusto”. Analoghi dubbi sulla sostenibilità ambientale emergono dalle pratiche della
compagnia aerea Lufthansa, che propone l’iniziativa Discover Slow Food nella Business Class
su alcune rotte più lunghe all’interno dell’Europa: in pratica prodotti selezionati da Slow Food
sono serviti ai clienti. Dubbi di carattere sociale, nonostante il grande impegno profuso negli
ultimi anni in termini di responsabilità sociale d'impresa, vengono dall'azienda Lavazza, che
vanta con Slow Food un rapporto storico e saldo. Sul sito della Lavazza si legge che “la
collaborazione tra Lavazza e il movimento Slow Food, fondato dal guru della gastronomia
Carlo Petrini, ha ormai radici quasi storiche. Comunione d'intenti e principi etici-gastronomici
fanno del rapporto tra le due realtà piemontesi un sodalizio ben riuscito. Dalla prima
partecipazione di Lavazza, in qualità di sponsor ufficiale, alla prima edizione del Salone del
Gusto, fino alla collaborazione legata al convegno etico "Terra Madre", Lavazza e Slow Food
si sono sempre trovate in sintonia” e che ha condotto Lavazza nel cuore del sistema Slow Food
in quanto “il rapporto Lavazza – Slow Food ha anche fatto sì che l'azienda torinese diventasse
uno dei soci sostenitori della prima realtà universitaria a livello mondiale di Scienze
Gastronomiche, partecipando agli stage di una struttura davvero unica, sia per l'eccellenza dei
servizi che dei docenti di fama internazionale che vi insegnano”.
In conclusione, l'intreccio tra commerciale ed etico che caratterizza l'universo Slow Food ha
sicuramente garantito all'associazione risorse per crescere, ampliare le proprie attività e la
propria sfera di influenza politica fino a diventare, oggi, un importante interlocutore per
istituzioni e privati sui temi dell'alimentazione e dell'agricoltura. Da un punto di vista
strettamente organizzativo - aziendale, il sistema Slow Food ha saputo conseguire negli anni
una serie di risultati e riconoscimenti davvero importanti, tali da consentire il passaggio da un
periodo degli esordi in cui la preoccupazione principale era il sostentamento del nucleo di
Arcigola a un presente in cui, come ha scritto il giornalista Antonio Tomacelli, “il marchio
Slow Food continua a valere oro e Petrini deve solo scegliere a chi vendere le sue visioni”.
Riconoscendo loro il merito di quanto realizzato in trent'anni di lavoro, va parimenti richiesto a
Slow Food una maggiore chiarezza riguardo i presupposti e le eventuali compromissioni di
talune sponsorizzazioni nonché sulla natura no profit di alcune attività interne. Oltre
naturalmente a una migliore definizione di proposte su produzione, commercio internazionale e
sovranità alimentare.
Capitolo terzo
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN SLOW FOOD
3.1. TERRA MADRE
“Al Forum di Terra Madre ho riconosciuto i contadini come li ricordavo nelle nostre
campagne, al tempo della mia infanzia. I volti dei contadini si somigliano in ogni angolo del
mondo. Sono volti su cui si riconoscono le medesime tracce di vita, così come le fisionomie dei
paesaggi con i campi arati, le colture, i pascoli. Oggi quel mondo dei contadini è assediato
dalle grandi imprese il cui scopo è nel profitto. Anche il contadino vuole guadagnare, ma il suo
attaccamento alla terra è anche un atto d’amore ed è in questo sentimento solidale che si
genera il rispetto della Natura”. Con queste parole si è espresso Ermanno Olmi, il celebre
regista dell'Albero degli Zoccoli e autore, nel 2008, del film Terra Madre. Ideato nel 2006 da
Carlo Petrini e Ermanno Olmi, la cui conoscenza fu favorita dalla comune amica Luciana
Castellina, l'idea del film è quella di osservare i partecipanti al Forum, pedinando alcuni di essi
nei loro Paesi d’origine, intrecciando storie e suggestioni per essere, come dichiarato dagli
autori, “un film politico e preveggente”. Le riprese iniziarono durante il secondo meeting di
Terra Madre, nel 2006, per concludersi al terzo meeting dell'autunno 2008.
La prima edizione di Terra Madre ha luogo a Torino nell'autunno del 2004. E' un anno
particolarmente importante per Slow Food il 2004, è l'anno che registra la nascita di Slow Food
Giappone con sede a Sendai, e il riconoscimento ufficiale da parte della FAO, che riconosce
nella Fondazione Slow Food un organismo no profit partner di iniziative comuni in paesi del
sud del mondo. Come già ricordato nel capitolo precedente, nell'aprile di quell'anno viene
inaugurata l’Agenzia di Pollenzo, e a luglio giunge il riconoscimento ministeriale per
l’Università di Scienze Gastronomiche.
Terra Madre è organizzato con il supporto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e
Forestali, del Ministero Affari Esteri - Cooperazione italiana allo Sviluppo, della Regione
Piemonte e della Città di Torino. Il Sindaco di Torino Sergio Chiamparino disse che si trattava
del “primo evento globale e locale insieme che si sia mai svolto, grazie alla passione, alla
determinazione e alla sana pazzia di Carlo Petrini”. Regista interno del primo evento è Paolo Di
Croce, presidente del comitato organizzatore di Terra Madre, che insieme alla direttrice del
Centro Studi di Slow Food Cinzia Scaffidi coordina uno staff di 30 persone: i due hanno
trascorso i 12 mesi precedenti a contattare ospiti da tutto il mondo. Il problema principale -
secondo Paolo Di Croce – fu individuare contadini e produttori, prendere contatti con loro,
vincere la più che ovvia diffidenza di persone che non solo non sapevano di Slow Food ma
vagamente immaginavano cosa fosse l'Italia, per questo a Bra si affidano a giornalisti, contatti
locali, reti di amici, Ong locali. Le persone che arrivano in Italia, sono ospitate presso famiglie
torinesi e piemontesi, trascorrono insieme alcuni giorni per poi fare ritorno al proprio paese.
Per questi contadini Torino è un impatto fortissimo: sono invitati, ospitati, accolti e chiamati a
raccontare il proprio lavoro. Contadini che, una volta rientrati nei loro paesi, possono
testimoniare direttamente che vi sono nel mondo ricco e industrializzato persone che
condividono un'idea diversa di agricoltura e di rapporti sociali, che l'Occidente non è solo
sinonimo di profitti e agribusiness. La sola idea che alcune migliaia di contadini, che
verosimilmente hanno trascorso la loro esistenza nel raggio di poche decine di chilometri e
senza mai lasciare la propria regione, convergano in una Torino dove tra centinaia di lingue e
dialetti diversi partecipano a incontri e discussioni a fianco di altri lavoratori della terra,
rappresenta senza dubbio un evento unico e spettacolare ma anche una suggestione forte e
carica di molteplici significati.
Le tre edizioni che si sono susseguite tra il 2004 e il 2008, dagli esiti crescenti in termini di
consenso e risonanza mediatica nazionale e internazionale, stanno a significare che la prima
Terra Madre non fu un evento isolato, bensì l'emersione di un movimento contadino vasto di
cui Slow Food ha saputo toccare le corde giuste a livello di sentimenti, capacità attrattiva e
proposte politiche. Il meeting Terra Madre è già un programma politico: che nei paesi
occidentali si richiama ai temi di difesa della biodiversità, rispetto dell’ambiente, dignità ed
equità del cibo, mentre nei paesi in via di sviluppo accentua connotazioni differenti: pace,
lavoro, riforme agrarie, resistenza allo strapotere delle multinazionali dell'agribusiness, identità
contadina, sovranità alimentare.
Grazie al successo di Terra Madre 2004 Slow Food acquista una nuova consapevolezza, sa di
poter osare, di poter abbandonare ogni residua “timidezza istituzionale”: si può, anzi si deve
alzare l'asticella dei propri obiettivi. Dopo Terra Madre il buono, pulito, giusto non è più
soltanto una tensione ideale o un auspicio: è un programma politico. Certo non viene meno
l'elemento edonistico del “buono”, quel diritto al piacere da cibo che tutt'oggi è il primo
articolo dello statuto internazionale. “Pulito” diventa la rivendicazione di un movimento che,
agganciando l'idea di cibo al territorio, riesce a proporsi come forza sociale in grado condurre
battaglie per una de-industrializzazione dell'agricoltura. Ovvero agricoltura biologica e
coprodotta da consumatori e produttori, istanza perseguita con il lavoro della Fondazione Slow
Food per la Biodiversità. Infine il “giusto”, l'elemento etico che trova maturazione e
compimento con i nuovi orizzonti tratteggiati da Terra Madre.
Terra Madre 2004 segna una svolta e un punto di non ritorno per l'intera organizzazione Slow
Food. Terra Madre è il tentativo – vasto, generoso e al tempo stesso ambizioso – di Petrini e dei
suoi collaboratori per fare di Slow Food una cosa nuova: un soggetto politico-sindacale su scala
mondiale. Con coraggio, ma anche con ragionevole compiacimento, oggi Petrini può affermare
che “Terra Madre è un nuovo soggetto che, dal 2004, si è affacciato nel panorama politico ed
economico globale. Nasce come un grande meeting di persone da ogni parte del mondo e si
trasforma presto in una rete permanente o, se si preferisce, un insieme di reti in cui coloro che
la compongono nei diversi territori del mondo lavorano giorno per giorno per un nuovo
modello economico, agricolo, alimentare e culturale”. Nel recentissimo libro che porta il nome
del progetto, Petrini elenca i valori che accomunano le comunità del cibo, lo fa con toni enfatici
parlando di comunità di destino, di condivisione di una storia e di un destino collettivo.
Afferma che Slow Food è “enzima che ha fatto partire la fermentazione” e non il proprietario
della rete Terra Madre, cosa simbolicamente vera, essendo Terra Madre un progetto più ampio
rispetto a Slow Food, ma anche cosa non vera nella misura in cui Slow Food è socio fondatore
della Fondazione Terra Madre insieme al Ministero delle Politiche Agricole, del Ministero degli
Esteri, della Regione Piemonte e del Comune di Torino, considerando anche che senza la forza
organizzativa di Slow Food i meeting Terra Madre sarebbero rimasti una mera utopia.
Va riconosciuta a Petrini l'audacia e la sana spregiudicatezza di aver creato Terra Madre senza
prevedere gli esiti e sviluppi a venire, quasi fosse una sorta di scommessa o un rischio
d'impresa in termini aziendali, la sfida di scommettere su persone estranee al sistema Slow
Food ma potenziali “stakeholders” per la stessa organizzazione in una sorta di osmosi
movimentista in grado di traghettare definitivamente Slow Food verso una dimensione
mondiale. Le comunità del cibo sono state definite da Slow Food come la più grande
multinazionale del cibo esistente, e a nostro parere l'elemento metaforico esiste al pari di un
dato reale: i collettivi contadini del sud del mondo, organizzati o destrutturati, quelle che Slow
Food chiama “le comunità del cibo” rappresentano davvero forse l'unica vera opportunità per il
cambiamento in termini di agricoltura e alimentazione. Questo è il pensiero non soltanto di
Slow Food ma anche di importanti organizzazioni come Via Campesina, Movimento per la
Sovranità alimentare, molteplici Ong e della stessa Fao, sia pure quest'ultima con sfumature
differenti. Quando Petrini enfatizza il “valore etico e morale” di Terra Madre in quanto “rete
planetaria fatta di uomini, pensieri, lavoro e culture presente in 153 Paesi del mondo, che va
seminando e coltivando le giuste idee”, egli afferma una sostanziale verità. Il cambiamento, se
sarà, sarà dal basso. Una tesi sostenuta oggi anche dai vertici della italiana Coldiretti, che
ribadiscono la centralità dei contadini dei paesi in via di sviluppo per politiche concrete di aiuto
e sostegno.
3.2. AGRICOLTURA, SOVRANITA' ALIMENTARE E NUOVO UMA NESIMO
SECONDO SLOW FOOD
Come si è detto, Slow Food nacque con spirito di contrasto alla cultura fast food, non senza
quella venatura oppositiva e anticonformista tipica dei movimenti nelle fasi originarie.
Contestualmente Slow Food intuì l'importanza e la necessità di lavorare sul recupero di ciò che
andava perdendosi, su quel patrimonio materiale e immateriale di saperi oltre che di sapori che
la società italiana andava smarrendo. Per fare questo era necessario rimettere al centro le
persone portatrici di quel patrimonio, proporre stili di vita alternativi a quelli dominanti di una
società sempre veloce e vorace consumatrice di prodotti, occorreva quindi un ribaltamento
concettuale e semantico che evidenziasse nella tradizione non l'arretratezza bensì la cultura e
l'identità. Lo stesso simbolo della chiocciola, l'elogio della lentezza, l'idea di coniugare i saperi
e i gusti della tradizione alle relazioni sociali più innovative testimoniano la volontà del
movimento di scommettere su una platea di consumatori consapevoli e maturi, nonché su
migliaia di comunità contadine. In questo senso Terra Madre 2004 segna un punto di arrivo e di
ripartenza per il movimento Slow Food, l'irrompere della questione agricola e alimentare
all'interno di un movimento nato sul recupero identitario del cibo. Non vi è dubbio che i
mutamenti accaduti in agricoltura su scala mondiale negli ultimi cinquant'anni siano stati la
causa di una perdita, probabilmente irreversibile, di diversità della vita sul pianeta. Gli studi
prodotti in questi anni dal polo alimentare delle Nazioni Unite (FAO, IFAD e PAM) mostrano
le grandi contraddizioni di un sistema agricolo mondiale capace sì di migliorare in efficienza e
produttività quantitativa ma a scapito delle colture tradizionali, delle civiltà contadine
tradizionali, della biodiversità, e soprattutto dagli spaventosi costi sociali. Questo spinge oggi
Carlo Petrini ad accusare a più riprese quel “genocidio culturale” che, soprattutto in occidente,
ha decretato la scomparsa di una millenaria tradizione contadina. Contro un'agroindustria
massiva, estensiva, uniformata e transgenica Slow Food contro propone un'agricoltura dolce, su
piccola scala, tesa alla salvaguardia di quelle piccole produzioni a più alto valore simbolico
identitario, oltre che buone e nutrienti, tesa altresì alla tutela di quelle conoscenze a rischio di
estinzione insieme ad artigiani e contadini ma soprattutto a restituire potere economico al
mondo dei produttori. Ragione per cui Slow Food si spinge ben oltre il lavoro di informazione
e sensibilizzazione proponendosi attraverso Terra Madre come collettore, facilitatore ma
soprattutto guida di un movimento più ampio fatto da contadini, piccoli proprietari,
cooperative, associazioni, Ong e istituzioni locali, talvolta anche partiti politici, sui grandi temi
della sovranità e della sicurezza alimentare. Sovranità alimentare e sicurezza del cibo sono temi
strettamente correlati, se si considera la duplice accezione di sicurezza alimentare: food
security, la capacità di auto-approvvigionamento di un paese; food safety, la capacità di
rispettare standard minimi garantiti su scala globale che consentano di mangiare ciò che non fa
male.
La definitiva affermazione del concetto di “sovranità alimentare” risale al 2002, anno in cui a
Roma si tiene il “Forum delle Ong per la sovranità alimentare” parallelo al Vertice mondiale
sulla Sicurezza Alimentare della FAO. Sovranità alimentare è definita come “il diritto delle
persone, delle comunità e dei Paesi a definire le proprie politiche in materia di agricoltura,
pesca, terra, alimenti, lavoro, in modo ecologicamente, socialmente e culturalmente appropriato
alle specifiche situazioni”. In sostanza, è il diritto rivendicato da produttori agricoli, contadini,
pescatori, popolazioni indigene, pastori, ad autodeterminare il proprio sistema agricolo. È Via
Campesina a introdurre questo concetto nel 1993. Via Campesina si configura come
organizzazione internazionale composta da contadini, piccoli e medi produttori, senza terra,
donne rurali, popoli indigeni, giovani rurali e lavoratori agricoli. Come movimento politico
intende dare rappresentanza agricola a livello internazionale a quelle popolazioni contadine - in
particolare del Sud America, Asia e Africa, dove queste popolazioni versano in condizioni più
drammatiche. Via Campesina si batte oggi per riforme agrarie, per l’accesso ai mezzi di
produzione (dal credito ai semi e all’acqua), per la valorizzazione del ruolo delle donne,
mettendo al centro la centralità dell’impresa familiare contadina. La forza, ma anche il suo
limite intrinseco, è la sua natura di organismo di secondo livello, rappresentante cioè altre
realtà già costituite, nella fattispecie 148 organizzazioni presenti in 69 paesi. Terra Madre e Via
Campesina perseguono sostanzialmente gli stessi macro obiettivi, riassumibili in: agricoltura
locale di piccole dimensioni, sovranità alimentare, mercati equi su base regionale accessibili a
tutti i piccoli produttori, attenzione particolare alle colture in via di estinzione e alle produzioni
tipiche minacciate dalla globalizzazione. Per Via Campesina è più marcato l'aspetto politico
rivendicativo su riforma agraria e accesso al credito e ai mezzi di produzione, per Terra Madre
sono più evidenti gli aspetti legati alla qualità e bontà del cibo, alla creazione di sbocchi
commerciali per i prodotti, alla creazione di una rete di comunità del cibo impegnate a
salvaguardare le produzioni agroalimentari a rischio estinzione. Pertanto è possibile affermare
che, essendo il punto debole di Via Campesina in quanto organizzazione di secondo livello la
mancanza di una propria base sociale e di progetti specifici portati individuabili con il suo
nome, Slow Food attraverso Terra Madre appare concretamente più attrezzata per assumere un
peso politico internazionale di organizzazione in cui istanze e progetti marciano in parallelo.
Volendo dare voce e rappresentanza al mondo agricolo minacciato dall'agroindustria globale
Slow Food dispiega in Terra Madre la forza delle sue armi migliori: la capacità organizzativa e
la dimensione comunicativo/narrativa. La capacità organizzativa si concretizza nella gestione
anche spettacolare dei tre meeting a cadenza biennale, nella grande capacità di recepire
sponsorizzazioni, nell'organizzare eventi collaterali come il Salone del Gusto, nella eccezionale
capacità di intercettare personalità di primo piano, dal principe Carlo di Galles al Presidente
della Repubblica Napolitano intervenuto all'inaugurazione dell'edizione 2008. La forza
comunicativa si evidenzia nell'alto numero di giornalisti convenuti, nella gran mole di articoli
che l'ufficio stampa di Slow Food riesce a far pubblicare su giornali e riviste di tutto il mondo,
a Ermanno Olmi cui viene chiesto di girare un film. La forza narrativa sta anche nell'avere
invitato ai meeting dei poeti, cantastorie, narratori capaci di tradurre in sentimento poetico le
idee del raduno, sta nell'aver fatto circolare quelle nuove concettualizzazioni che si ritrovano
nell'ultimo libro di Petrini: dimensione olistica, sacralità del cibo, eroismo delle comunità,
agricoltura di prossimità, comunità di destino, democrazia partecipativa e altre nuove “parole
d'ordine” fortemente evocative. Sicuramente a Bra sono consapevoli dei limiti e delle accuse
più ricorrenti che vengono loro mosse, da quella di elitarismo a quella di snobismo a quella di
proporre un modello “arcadia” impossibile da realizzare, accuse che Slow Food contrasta
ribadendo che “è necessario abbandonare ogni visione bucolica e anacronistica del contadino,
del produttore di cibo: bisogna invece riconferirgli tutta la sua dignità e toglierlo dalla nicchia
di arretratezza e marginalità economica in cui è stato relegato”. Un'affermazione netta, che
introduce un tratto di modernità per un'associazione che negli anni è stata spesso accusata di
voler proporre modelli socioeconomici superati dagli eventi. Il modello proposto da Slow Food
attraverso Terra Madre chiama a una nuova alleanza tra produttori e consumatori, un “accordo
tra chi lo coltiva e chi poi lo mette in pancia”. Che tradotto in pratica significa sostenere la
costruzione di reti locali rurali di prossimità, contribuire al rafforzamento dei legami sociali,
sviluppare sistemi virtuosi di conoscenza reciproca tra consumatori che diventano al contempo
dei co-produttori. L'idea proposta è “nuovo umanesimo, dove etica ed estetica tornano a
fondersi” che per quanto fortemente suggestiva deve fare i conti con un sistema di produzione e
lavoro totalmente diverso, perlomeno nelle economie occidentali. Un nuovo umanesimo che a
nostro avviso rasenta l'utopismo pragmatico. È difficile pensare che milioni di europei che
lavorano ogni giorno dalle otto di mattina alle sei di pomeriggio possano trovare il tempo per
fare la spesa direttamente dai produttori, e al contempo auto prodursi pane e altri alimenti,
rivedere il consumo di carne, ripensare i propri consumi energetici e in generale il proprio stile
di vita. Un siffatto modus vivendi è appannaggio di un’esigua minoranza di persone, con
sufficiente disponibilità economica e di tempo per abbracciare questo stile di vita.
Terra Madre è altresì un brand la cui forza e appeal potrebbe anche assorbire e superare Slow
Food, che sembra consapevole di questa possibilità: lo scorso 10 dicembre 2009 la celebrazione
dei vent'anni dalla nascita di Slow Food ha visto svolgersi nel mondo oltre 1000 eventi, riuniti
sotto le insegne di Terra Madre Day (e non Slow Food Day) e con lo slogan-invito a “mangiare
locale”.
Quella che Petrini, con efficacissima metafora, ha chiamato la più “grande multinazionale del
cibo esistente”, ha oggi il problema di andare oltre se stessa, di “consolidare la sua
autorevolezza politica”. Il problema organizzativo emerso dopo l'edizione 2008 è un problema
di selezione dei partecipanti su criteri di qualità e non di quantità, la necessità cioè di intuire
quali siano le comunità o gruppi in grado di portare avanti processi e politiche, e sui quali
naturalmente investire. A Bra sono consapevoli dell'oggettiva impossibilità di gestire da loro
quartier generale i rapporti post-meeting con migliaia di persone, ma se il fine è creare un
blocco sociale su scala mondiale in grado di contrastare le politiche delle multinazionali
occorre necessariamente imboccare la difficile strada che conduce le comunità del cibo a
divenire domani un soggetto politico collettivo. Contadini consapevoli del proprio ruolo, in
grado di vestire i panni dei portatori di interesse collettivi al pari del coltivare la terra. Così
pure per allevatori, pescatori e produttori artigianali di agroalimentare, che devono saper
cavalcare la globalizzazione senza subirla, mantenendo e anzi promuovendo tutte le proprie
specificità territoriali e facendo squadra, creando una rete vera, sociale e commerciale.
L'ambizione è fare di Slow Food nel mondo il principale referente della cultura alimentare nel
nome di un’agricoltura sostenibile. E pur stringendo alleanze a livello nazionale con altre
associazioni, aziende o partiti politici a tutela degli interessi legittimi dei coltivatori, come
avvenuto in Italia tra Slow Food e Coldiretti.
Petrini è convinto che le comunità del cibo saranno protagoniste di una terza rivoluzione
industriale, la rivoluzione della produzione pulita, e che Terra Madre sia la soluzione perché
dovrà lavorare su un modello di rete. Al di là delle idealità, oggi chi lavora in Terra Madre non
può pensarsi senza una Slow Food che garantisce e sostiene tutte le attività. L'immagine
corretta che fotografa la situazione odierna non è quindi la rete, se non idealmente, ma una
sorta di “sistema planetario” dove pianeti e satelliti orbitano intorno a una stella chiamata Slow
Food Italia in tutte le sue articolazioni, a cominciare dalla Fondazione Slow Food per la
Biodiversità, nata a sostegno dei progetti agroalimentari e dei Presìdi Slow Food e con una
particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo.
3.4. LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE DI SLOW FOOD
Thierry Pech e Marc-Olivier Padis sono due studiosi francesi facenti parte della rivista Esprit e
della fondazione Terra Nova, di ispirazione progressista con radici socialiste ed ecologiste. Nel
2004 hanno pubblicato, Le multinazionali del cuore. Le organizzazioni non governative tra
politica e mercato, interessante e ben argomentata analisi dell'umanitarismo e delle Ong, con il
chiaro intento di “smitizzare” le organizzazioni non governative e condurre il lettore a una
riflessione disincanta e critica sull'umanitarismo. Riguardo le Ong la questione aperta è “perché
queste organizzazioni seguitano a sostener un'immagine di sé sempre più sfalsata rispetto alla
loro effettiva attività”, non essendo più né altre né indipendenti rispetto ai governi o agli stati,
nonostante l'opinione pubblica continui a considerare che le Ong agiscano in modo
indipendente o senza l'aiuto degli stati. Gli autori sostengono che la “storica” opposizione tra
Ong e stato non solo non esista più, ma che dall'antagonismo ideologico degli anni sessanta e
settanta si sia passati a una “complementarietà operativa”, cifra dominante dell'umanitarismo
contemporaneo. Con varie tipologie di partenariato o di collaborazione, le grandi Ong
internazionali non possono più esser considerate organizzazioni apolitiche, né tanto meno
contro la politica quanto piuttosto “aspirano ad un allargamento del campo della politica invece
che ad una forma di antipolitica”, ragione per cui le grandi Ong sono contemporaneamente
presenti sia ai vertici e ai controvertici. Gli autori definiscono Ong di “terza generazione”
quelle operanti in rapporto con gli stati e istituzioni internazionali, in un reciproco accordo di
legittimazione. Negli anni novanta, sostengono gli autori, sono avvenute due cose: le Ong
hanno “scoperto” le logiche di mercato, e in secondo luogo, è emersa una critica nuova al
capitalismo, non più contestato in quanto tale ma poiché insostenibile a livello ambientale e
sociale. Ecco quindi che il nuovo sistema d'interazione tra Ong e mercato si manifesta in due
grandi tipologie di interventi: in molti casi le Ong tendono ad affermare la “precedenza dei
diritti dell'uomo sui diritti del business” grazie ad un uso sapiente dei mass media,
guadagnandosi così il rispetto delle multinazionali; in altri casi, ed è la vera novità, si
sperimentano strategie più integrate con il mercato grazie a quelli che gli autori definiscono i
“mercati della virtù”, ovvero accordi bilaterali stipulati con le imprese. Poiché “le grandi Ong
si inseriscono sempre più in una dinamica di regolazione negoziata” il tentativo delle Ong, in
ultima analisi, è quello di trasformare il capitalismo dall'interno. Se agli occhi delle
organizzazioni più radicali questa evoluzione è sinonimo quasi di corruzione morale, o quanto
meno di baratto tra virtù e principi da un lato e pragmatismo da sopravvivenza dall'altro, gli
autori del libro salutano con moderato entusiasmo i miglioramenti nati dall'evoluzione dei
rapporti tra Ong da un lato, sfera politica e sfera commerciale dall'altro. Gli autori riconoscono
quindi alle Ong il merito di aver saputo ridefinire la loro “azione morale con un'aggiunta di
pragmatismo che ha aperto loro la strada della cultura dell'efficienza, della contrattazione e del
compromesso”, salutando come positiva la maturazione di organizzazioni che, benché nate
sull'onda di idealità e principi ideologici, hanno saputo evolvere e cambiare pelle, non senza
contraddizioni, in nome di una lotta per il cambiamento (dall'interno) di un mondo fatto di
contraddizioni più stridenti e inaccettabili.
Due sono i presupposti grazie ai quali il sistema Slow Food ha potuto dare avvio alle attività di
cooperazione allo sviluppo: in primo luogo il poter contare su una organizzazione interna
solida, articolata e ricca di relazioni istituzionali; in secondo luogo la rete di Terra Madre.
Come vedremo nelle pagine seguenti, pur non essendo Slow Food una Organizzazione non
governativa, né avendo mai espresso l'intenzione di diventare tale, Slow Food è a nostro avviso
assimilabile ad una Ong di terza generazione secondo la definizione coniata da Thierry Pech e
Marc-Olivier Padis. Slow Food pone al centro della proprio agire non tanto la volontà di
cambiare il capitalismo dall'interno in senso astratto, quanto piuttosto la volontà di dare un
volto nuovo al sistema capitalistico, mettendo al centro dell'azione i prodotti e i produttori del
sud del mondo, consentendo ai loro prodotti di approdare sui mercati più maturi e consapevoli
del nord del mondo, il tutto in alleanza con le istituzioni locali e sotto l'egida degli organismi
internazionali. Né mercantilismo tout court né vetero ruralismo e nemmeno “elemosina
sociale”: i progetti di cooperazione targati Slow Food, peraltro istituiti solo negli ultimi 5-6
anni e pertanto senza la necessaria storicità, sono volti a promuovere le comunità contadine
ponendo al centro i prodotti. Prodotti intesi e valorizzati sotto un profilo alimentare, culturale,
economico e sociale.
All'interno di Slow Food la data scelta convenzionalmente come inizio della cooperazione allo
sviluppo è il 2003, anno di nascita della Fondazione Slow Food per la Biodiversità la cui
mission primaria è lo sviluppo e la tutela dei Presìdi Slow Food. L'Africa è il continente in cui
la presenza Slow Food, benché recente, è oggi maggiormente consolidata. Questo per tre ordini
di motivi. Il primo è di carattere economico: l'Africa è il continente in cui le produzioni
agricole locali sono più violentemente minacciate da logiche di mercato globale “drogate” a
causa dei sussidi elargiti dai paesi ricchi alle proprie derrate agricole, un fenomeno più noto
dumping o concorrenza sleale, che consente ai prodotti importati di arrivare sui mercati locali a
prezzi notevolmente inferiori rispetto ai prodotti locali. Questo fenomeno ha accresciuto, nei
decenni, la dipendenza dei paesi poveri in termini di importazioni alimentari. Il secondo motivo
è di carattere sociale: l'abbandono di produzioni locali per lasciare spazio a monocolture
destinate ai mercati occidentali causa la perdita di biodiversità locale, e questo si traduce in
impoverimento di quelle comunità rurali poi costrette ad abbandonare le proprie terre per
trasferirsi nelle periferie delle grandi città, compromettendo gravemente la propria sicurezza
alimentare. Le produzioni sono destinate interamente all'esportazione e quasi nulla rimane sul
mercato locale: si pensi che milioni di ettari in Etiopia, Ghana, Mali, Sudan e Madagascar sono
stati ceduti per 20, 30 e addirittura 90 anni alla Cina, all'India, alla Corea, in cambio di
promesse di investimenti e posti di lavoro. Seul possiede già 2,3 milioni di ettari, Pechino ne ha
comprati 2,1, l’Arabia Saudita 1,6, gli Emirati Arabi 1,3. Per contribuire ad arrestare questa
“crescita immiserente”, Slow Food lavora per rivitalizzare le filiere locali, riscoprire e
catalogare i saperi tradizionali, promuovere il cibo locale come strumento per garantire la
sicurezza alimentare, valorizzare le specie e le razze autoctone, aiutare contadini, pastori e
pescatori ad uscire dall'isolamento sociale e commerciale, ridare consapevolezza e autostima
alle comunità dei produttori, o comunità del cibo (secondo il vocabolario Slow Food).
La Fondazione Slow Food per la Biodiversità, presieduta da Piero Sardo fondatore del
movimento e fedelissimo di Petrini, opera in Africa principalmente attraverso la creazione di
nuovi Presìdi Slow Food. Un Presìdio è un progetto Slow Food che intende tutelare una
comunità di produttori e salvare il loro prodotto artigianale. Per fare questo vengono
organizzati i produttori, si incentivano sbocchi di mercato, si valorizzano un territorio e
un’agricoltura sostenibile, rispettosa dell’ambiente, delle tradizioni e dell’identità culturale dei
popoli. Partendo dal presupposto che ogni prodotto sia intimamente legato all'identità locale,
con specifiche caratteristiche geografiche, climatiche, ambientali e culturali, Slow Food assiste
direttamente un gruppo di esperti che affiancano i produttori e li sostengono nella
rivitalizzazione dei propri prodotti. Poiché ciascun prodotto deve rispondere a criteri di qualità
ambientale, sociale e organolettica, viene stilato un disciplinare di produzione. Il disciplinare
identifica l’area di produzione, documenta le fasi di coltivazione (o allevamento) e lavorazione,
garantisce l’artigianalità, la tradizionalità e la qualità del prodotto, dando consapevolezza ai
produttori sulle possibilità concrete del loro prodotto. Storicamente Slow Food - in Italia e nei
paesi europei – ha insistito su alcuni criteri per la selezione di un nuovo Presìdio: a) la difesa
del latte crudo (i formaggi dei Presidi non possono essere prodotti con latte pastorizzato); b) la
difesa delle malghe e dei pascoli in genere; c) il divieto degli Ogm; d) la promozione di
un’agricoltura sostenibile e di tipo estensivo; e) la promozione di un tipo di allevamento non
intensivo, attento al benessere animale; f) la tutela di forme di pesca sostenibili, che non
danneggino l’ecosistema; g) la salvaguardia delle tecniche tradizionali di lavorazione e
affinamento.
Diversamente da quanto accade nei paesi europei, nei progetti di cooperazione allo sviluppo in
Africa è essenziale la calibratura dell'impegno sulla base dei referenti locali, siano essi
produttori che rappresentanti delle istituzioni locali. L'individuazione del leader locale,
responsabile del progetto, quindi coordinatore degli attori locali e interlocutore di Slow Food e
dei partner europei, rappresenta un passaggio fondamentale e determinante. Analogamente
l'analisi del contesto ambientale, sociopolitico e culturale diventa essenziale ai fini
dell'attivazione di un Presìdio, che è un progetto non solo a sostegno di quelle piccole
produzioni di alta qualità che rischiano di scomparire ma anche di valorizzazione di un
territorio e di recupero di tecniche di lavorazione tradizionali, altrettanto importante è l'analisi
del contesto in cui il Presìdio dovrà operare, in relazione: a) alla capacità di divulgazione
sociale nella comunità allargata e di disseminazione dei principi Slow Food; b) allo sviluppo di
una economia locale; c) alla facilità o difficoltà di creazione di sbocchi di mercato a livello
nazionale. Nel primo caso si tratta di sviluppare tutte quelle attività di corredo alla produttività
e tuttavia vitali per la tenuta del Presidìo, ovvero la nascita di un Convivia, unità locale che
diffonde temi e idee Slow Food, i progetti di educazione al gusto, le campagne di promozione
del consumo locale, la mappatura di altre produzioni locali tradizionali, la raccolta e diffusione
di ricettari a base di materie prime locali, la creazione e rafforzamento di reti di
produttori/consumatori. In altre parole, la creazione del consenso locale attorno al Presidìo. Nel
secondo caso, la scelta di prodotti che possano in prospettiva essere consorziati, o consorziabili,
come vedremo più avanti nel caso etiope. Alla data del giugno 2009 la Fondazione Slow Food
risulta essere presente in 19 paesi: Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia,
Gabon, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Kenya, Libia, Madagascar, Mali, Marocco,
Mauritania, Senegal, Sierra Leone, Sud Africa, Tanzania, Uganda. Durante l'ultimo meeting
Terra Madre a Torino del ottobre 2008 l’Africa era rappresentata con 11 stand per altrettanti
Presìdi, stand gestiti dagli stessi produttori.
I numeri della presenza Slow Food in Africa (giugno 2009):
12 Presìdi, che coinvolgono 1233 produttori;
194 comunità del cibo;
3 progetti di educazione del gusto (Costa d'Avorio, Senegal, Uganda);
2 ricettari (Marocco e Mali);
1 lavoro di mappatura (Kenya) e altri 4 in programma (Mali, Senegal, Sierra Leone e Guinea
Bissau);
2 reti di produttori (miele-Etiopia, in fase di creazione couscous-Marocco);
1 evento Terra Madre locale (Tanzania);
1170 soci classici;
629 soci a progetto;
54 Convivia.
3.5. CASE HISTORIES DELLA COOPERAZIONE SLOW FOOD IN AFRICA E
AMERICA LATINA
In Etiopia, nei pressi del vulcano Wenchi, nella regione Oromia, un paio d’ore direzione
sudovest da Addis Abeba, esiste un Presidio che riunisce 36 apicoltori che producono un
particolarissimo miele di erica, dal colore rossastro, consistenza morbida e un sapore intenso
lievemente amarognolo. Il Presidio, nato per rafforzare l’organizzazione dei produttori, dotarli
di attrezzature moderne e aiutarli a confezionare e vendere il miele sul mercato locale e
nazionale, fa capo all’associazione eco-turistica Weta (Wenchi Eco-Tourism Association), nata
grazie a un progetto della Cooperazione Tedesca (Gtz) per promuovere attività di eco-turismo.
Il Presidio ha aiutato gli apicoltori a razionalizzare la produzione di miele al fine di ottenere un
prodotto puro, riconoscibile e di ottima qualità, adatto per la vendita. Sono state messe a
disposizione degli apicoltori le attrezzature necessarie per un'apicoltura moderna, con corsi di
formazione e ha migliorato la presentazione del prodotto finale, ora commercializzato in vasetti
di vetro etichettati. I tecnici di Conapi stanno inoltre collaborando alla redazione del
disciplinare, a garanzia di un miele buono e con i requisiti adatti ad entrare in un mercato non
confinato alla sola zona di produzione. Il Presidio è sostenuto da Regione Piemonte e Conapi,
ha nella Saint-Gobain Vetri il technical partner.
Sempre in Etiopia, nella regione del Tigrai, si produce il miele di Wukro. Si tratta di un miele
dal colore bianco brillante e sapore delicato, conosciuto e apprezzato in tutto il Paese e
tradizionalmente servito durante le feste con un pane di grano cotto al vapore. Conosciuto in
tutto il paese, il miele bianco di Wukro, prima della nascita del Presidio era venduto perlopiù
sfuso (in bidoni di plastica) a intermediari che pagano ai produttori un prezzo irrisorio e lo
ridistribuiscono in città (a Macallè o ad Addis Abeba) spesso dopo averlo sofisticato con
sostanze zuccherine o mescolato ad altri mieli di qualità inferiore. A Wukro gli apicoltori non
avevano né una forma organizzativa, né una riconoscibilità sul mercato: si limitavano a
raccogliere il miele e a venderlo sfuso. Il Presidio Slow Food coinvolge 17 apicoltori, riuniti
nell’associazione Selam, e valorizza una produzione finita di circa 100 quintali l'anno. Nel
2010 verrà realizzato un laboratorio di smielatura che permetterà agli apicoltori di migliorare la
qualità del prodotto e verrà aperto un negozio a Wukro. Grazie a una fornitura di vasetti in
vetro, l’associazione potrà confezionare ed etichettare il miele, spuntando così un prezzo
migliore e riducendo il rischio di contraffazioni. Infine, continueranno le attività di formazione
degli apicoltori etiopi e il Presidio metterà a punto un disciplinare di produzione a garanzia
della qualità e autenticità del prodotto.
Particolarmente interessante è la nascita e l'evoluzione del progetto che ha portato alla nascita
del Presidio. Nel 2006 un tecnico di Conapi incontra per la prima volta i produttori di Wukro,
segnalando poi a Slow Food le potenzialità di questo prodotto e l’estrema povertà del territorio.
La partecipazione della comunità del miele di Wukro all’edizione 2006 di Terra Madre
rappresenta una tappa importante verso la creazione del Presidio. Un apicoltore etiope, rientrato
in Etiopia, decide di fondare l’associazione Selam - coinvolgendo undici apicoltori – e il
sindaco di Wukro decide di fornire all’associazione assistenza tecnica e attrezzature. Nel 2007
un rappresentante di Slow Food e uno di Conapi incontrano i produttori. Notano il buon grado
di organizzazione e l’elevato livello di professionalità degli apicoltori. Nel frattempo il Comune
di Wukro decide di continuare a sostenere il progetto offrendo in concessione all’associazione
Selam un terreno per realizzare un laboratorio di smielatura e un negozio per la vendita diretta
del miele, e da qui ha inizio il lavoro di promozione e comunicazione da parte della Fondazione
Slow Food. Nel 2008 per risolvere il problema del miele nei contenitori di plastica, la
Fondazione Slow Food coinvolge – come partner tecnico del progetto - l’azienda Saint-Gobain
Vetri, che dona 5000 vasetti di vetro il cui confezionamento, grazie alla grafica e alla stampa
etichette di Slow Food, accompagneranno il prodotto al Salone del Gusto di Torino in
concomitanza al meeting Terra Madre. Sempre nel 2008 due importanti iniziative coinvolgono
il Presidio: la visita di Carlo Petrini ad Addis Abeba in occasione di Terra Madre Etiopia, che
riunisce 130 persone tra produttori, rappresentanti di Ong italiane e tedesche, giornalisti,
docenti e studenti; la partecipazione degli apicoltori di Wukro, insieme ad altri produttori di
miele, a un seminario di formazione organizzato dalla Fondazione Slow Food nel mese di
dicembre il cui scopo ultimo è la creazione di una rete di comunità del miele in Etiopia. Infine
nel 2009 si conclude una parte dei lavori per il laboratorio di smielatura e per il negozio per la
vendita diretta del miele. Gli apicoltori del Presidio salgono da 11 a 17, benché una grave
siccità compromette drasticamente la raccolta di miele bianco. Nel mese di novembre il
Presidio partecipa ad un secondo seminario di formazione, che si svolge a Wolisso,
coinvolgendo 40 apicoltori in rappresentanza di 14 comunità. La Fondazione Slow Food
pubblica e distribuisce un manuale di apicoltura a fumetti, in amarico, e alcuni poster che
illustrano le buone pratiche di apicoltura. Il seminario sancisce la nascita ufficiale di una rete di
comunità del miele di tutta l’Etiopia.
Secondo Francesco Impallomeni, responsabile per i progetti in Etiopia, nonostante i problemi
ambientali dei due Presidi – il miele del vulcano Wenchi si coltiva a oltre 3000 metri che
comporta difficoltà logistiche per il Presidio, mentre il miele di Wukro è più sensibile ad
avversità meteo – la Fondazione Slow Food sta riuscendo nell'intento di lavorare con gli
apicoltori sulla qualità ma anche sull'aumento della quantità dei prodotti, che non pregiudichi la
qualità e al tempo stesso garantisca ai due mieli sbocchi commerciali anzitutto nazionali. Lo
step successivo sarà creare un marchio di qualità dei mieli etiopi per arrivare poi alla
costituzione di un consorzio dei produttori di miele etiope.
Dall'Africa all'America Latina, significativi sono i progetti di cooperazione della Fondazione
Slow Food in Brasile: attualmente sono 9 i Presìdi attivi, nati grazie al sostegno del Ministero
dello Sviluppo Agricolo del Brasile e dalla Regione Veneto, quest'ultima legata al Brasile da
antica emigrazione. L'umbù (o imbù) è un frutto nativo del Nord-est che cresce nella macchia
tipica della regione semiarida brasiliana, il Sertão. La storia di questo Presidio Slow Food ha
inizio quando Gabrio Marinozzi, funzionario del Ministero dello Sviluppo Rurale e Fiduciario
Slow Food di Brasilia, intuisce che l’umbù, frutto dal sapore molto gradevole, possa
rappresentare una grande opportunità per la gente dello stato di Bahia e segnala a Slow Food
questo prodotto sconosciuto fuori dalle zone d'origine. Nel 2003 nasce Coopercuc, la
cooperativa che produce trasformati di umbù artigianali senza aromi, né conservanti, con il
sostegno della Fondazione Slow Food e della Ong austriaca Horizon 3000. La cooperativa
consente rapidamente di migliorare la produzione e le capacità di conservazione di un frutto
che si presta molto bene ad essere trasformato in marmellate, succhi e gelatine. Presentato al
Salone del Gusto nell’ottobre 2004, l’umbù risulta essere molto apprezzato e viene scelto da
Alter Ego, importante società francese che commercializza in Europa i prodotti dell’equo e
solidale. Nei primi mesi del 2006, tre municipalità dello Stato di Bahia nel nord est brasiliano
vedono aprirsi dieci piccoli laboratori per una prima lavorazione dei frutti poi conferiti alla
cooperativa. Il Presidio ha stilato un disciplinare di produzione per garantire l'artigianalità e
l'alta qualità dei trasformati. Oltre ai soggetti e alle istituzioni già citate, importante è stato il
contributo della Commissione Europea, della Diocesi di Lins e del governo austriaco tramite
l'Ong Horizon 3000 e della Regione Veneto. Grazie al Presìdio si sono potuti avviare una serie
di progetti i cui risultati appaiono oggi migliori delle aspettative. Un impegno iniziale tutto
sommato contenuto con il quale si è riusciti a valorizzare un prodotto di ottimo gusto, e non
dolciastro come altri frutti tropicali, con ottimi risultati anche sociali, essendo il nord est
brasiliano attanagliato da problemi cronici di siccità, spopolamento, persistenza del latifondo e
sperequazione delle risorse. Il confezionamento dell'umbù è da considerarsi oggi un’attività
sostenibile, ha richiesto investimenti contenuti, non ha stravolto colture tradizionali né ha
richiesto particolari infrastrutture.
3.6. IL MODELLO SOCIALE ED ECONOMICO DELLA COOPERAZ IONE SLOW
FOOD
Scrive Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità,
nell'introduzione al Bilancio sociale 2008: “Quando la Fondazione Slow Food per la
Biodiversità ha avviato progetti in Paesi svantaggiati, il primo sentimento è stata la percezione
della nostra inadeguatezza [...] Noi siamo una piccola realtà a confronto con le grandi Ong, o
con le istituzioni transnazionali, o ancora con alcune fondazioni private [...] Ma proprio questo
senso del limite ha generato una strategia di intervento che ha saputo trovare applicazioni
efficaci e per certi versi originali. La nostra Fondazione si occupa solo di agricoltura locale e di
educazione alimentare: dunque non si dà obiettivi strutturali che vanno al di là delle nostre
possibilità. [...] Noi possiamo trasferire alle comunità locali piccoli interventi di supporto
formativo, di valorizzazione, di sostegno agronomico, in grado di sostenere filiere locali a
rischio di estinzione. Vogliamo favorire forme di coltura tradizionali, capaci di ricucire i legami
sempre più fragili tra contadini, pescatori, allevatori e territori di origine [...] Per questo siamo
convinti della bontà e dell’utilità della nostra strategia e dei nostri progetti: perché camminano
esattamente sulla misura delle nostre gambe, ma hanno la capacità di guardare molto lontano”.
Dando una scorsa ad alcuni progetti finanziati nel 2009 si scopre che il progetto “Africa”
realizzato in Etiopia, Mali, Mauritania, Senegal, è stato finanziato dalla Regione Piemonte per
un totale di 128mila euro. Sempre la Regione Piemonte ha finanziato, per 30 mila euro, il
progetto “Olio d’Argan” in Marocco. La statunitense Fondazione Gund ha finanziato il
progetto di educazione alimentare e di promozione del consumo locale chiamato
“Consommons ivoirien dans nos cantines scolaires”, in Costa d’Avorio, per 17 mila euro. Dalla
stessa Fondazione Gund sono arrivati 13 mila euro per il progetto “Mangeons local” in
Senegal, un progetto ideato dal giornalista senegalese Madieng Seck e dalla ristoratrice Bineta
Diallo Dioh per la promozione del consumo locale. Il progetto denominato “Protection of the
Agri-Food Biodiversity and Development of the Local and Export Market in four West African
Countries: Mali, Senegal, Guinea Bissau and Sierra Leone” finanziato dalla Fao, è in attesa di
attivazione ed ha un budget pari a 267 mila euro.
Degli attuali 156 Presìdi internazionali Slow Food sono circa una cinquantina quelli
riconducibili a progetti di cooperazione allo sviluppo, tra Africa, America Latina, Asia e paesi
est europei: progetti che, come nelle case histories sopra descritte, hanno più di una fonte di
finanziamento. Da alcuni anni, infatti, la Fondazione Slow Food partecipa a bandi di
finanziamento pubblici per progetti di cooperazione, in particolare quelli che hanno come
finalità la tutela della biodiversità, la sicurezza alimentare, il rafforzamento delle economie
locali, la promozione di un’agricoltura sostenibile, la sensibilizzazione dei consumatori. I fondi
ottenuti si sommano alle risorse reperite tramite donatori pubblici e privati, o tramite attività di
fundraising o attraverso il sostegno dei Conviva Slow Food. La Fondazione partecipa a questi
bandi “come partner o, più raramente, come capofila, apportando la propria esperienza tecnica
e organizzativa e, soprattutto, la capacità di comunicazione e amplificazione della rete Slow
Food e di Terra Madre”.
Pur ricordando che la Fondazione opera grazie a un “bagaglio di conoscenze e di contatti” che
difficilmente è quantificabile e riconducibile ai numeri del bilancio stesso, analizzando i dati
del 2008 si evidenzia come il 61% dei proventi (pari a euro 782.609) sia giunto da enti pubblici
e progetti di cooperazione, il 19% (per 249.222 euro) dall'associazione Slow Food e il restante
20% (258.759 euro) da donatori privati. Nel 2008 la Fondazione ha investito circa il 90% dei
proventi – pari a 1.320.598 euro - a sostegno dei vari progetti della Fondazione stessa, tra cui i
progetti di cooperazione, che nel 2008 hanno rappresentato la seconda voce nel budget proventi
per un totale di 459.859 euro.
Ecco in sintesi i principali finanziamenti ottenuti dalla Fondazione Slow Food da istituzioni
italiane:
a) Il caffè delle terre alte di Huehuetenango è uno dei Presìdi più importanti della Fondazione
Slow Food per attività svolte e risultati raggiunti. Il progetto, nato nel 2002, a partire dal 2007 è
stato incluso, insieme a quello del caffè della Sierra Cafetalera della Repubblica Dominicana,
in un progetto di più ampio respiro finanziato dal Governo italiano attraverso la Direzione
Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri, che nel 2008 lo ha
finanziato per 131mila euro.
b) Sempre il Ministero degli Esteri ha finanziato per 2472 euro un Mercato della Terra in
Libano.
c) A partire dal 2006, la Regione Piemonte sostiene il Presidio dell’olio di argan in Marocco.
Grazie al suo contributo, la Fondazione Slow Food lavora con alcune cooperative di produttrici
di olio di argan (alimentare e cosmetico) per migliorare la qualità del prodotto e del processo
produttivo e per accrescere la propria capacità gestionale e commerciale. Lo stanziamento del
2008 è stato di circa 25 mila euro.
d) La Regione Piemonte ha intrapreso nel 2008 un progetto con la Fondazione Slow Food per
avviare nuovi Presìdi e promuovere attività a sostegno delle economie locali in Senegal,
Mauritania, Mali, Etiopia, per un totale di circa 50mila euro finanziati.
e) La Regione Toscana, che contribuisce a progetti nei Balcani e in Medio Oriente, sostiene i
Presìdi dello slatko di prugne pozegaca (Bosnia Erzegovina) e dell’aglio šarac di Ljubitovica
(Croazia) sin dal loro avvio. Nel 2008 ha stanziato circa 77mila euro.
f) Per il sostegno ai Presìdi in Brasile la Regione Veneto ha stanziato nel 2008 circa 32mila
euro.
g) Per l'avvio di Presìdi in Nuova Caledonia la Regione Veneto ha stanziato circa 39mila euro.
Tutti i progetti realizzati nel Sud del mondo devono prevedere un esplicito impegno sociale. Il
disciplinare di produzione, condiviso da tutti i caficoltori del Presidio del caffè Terre alte di
Huehuetenango in Guatemala, stabilisce non solo la qualità organolettica del prodotto e una
produzione rispettosa dell’ambiente, ma prevede anche precise norme sociali: uomini e donne
devono avere le stesse possibilità di accesso al Presidio e le stesse opportunità all’interno
dell’organizzazione. I figli dei produttori hanno l’obbligo di terminare il ciclo di studi e di fare i
vaccini previsti dalla legge. Il disciplinare stabilisce anche il prezzo minimo di vendita del caffè
e prevede che una percentuale del 5% degli utili sia reinvestita in progetti a forte valenza
sociale. I produttori guatemaltechi, soci della cooperativa, vendono il loro caffè direttamente
alla torrefazione a un prezzo equo e remunerativo e, alla fine dell’anno, ricevono il 50% degli
utili.
Altrettanto importante, per Slow Food, è il rapporto tra Presìdio e tutela dell’ambiente. In
America Latina, ad esempio, tutti i Presìdi nati in aree tropicali hanno tra gli obiettivi primari la
tutela della foresta e degli alberi autoctoni: prodotti come il caffè, il cacao, la vaniglia o il
waranà devono la loro eccellenza anche alla coltivazione all’ombra di alberi ad alto fusto.
Motivo per cui i Presìdi, una volta istituiti, svolgono un’importante funzione di tutela per quelle
varietà che devono essere coltivate in simbiosi con gli alberi autoctoni: un mezzo per
salvaguardare la flora e la fauna autoctona, i paesaggi tradizionali in contrapposizione alle
monocolture, migliorando la situazione economica delle comunità rurali di aree socialmente
povere.
La Fondazione Slow Food può anche contare su una ricca rete di tecnici, esperti, docenti
universitari e Ong partner di progetti, persone con le quali la Fondazione organizza attività di
formazione e missioni di tecnici in loco in sostegno ai produttori dei Presìdi. Le visite, gli
scambi, i workshop, gli eventi formativi, oltre a divulgare informazioni e tecniche per
migliorare la qualità dei prodotti, sono particolarmente utili a rafforzare le relazioni tra
produttori dei Presìdi, comunità di riferimento e sistema Slow Food. Così facendo si rafforza
l’idea complessiva di appartenenza ad un network mondiale di operatori del cibo. Leggendo gli
articoli pubblicati sulla rivista Slow viene riportata, e talvolta enfatizzata, la sensazione che
dagli scambi siano nate delle amicizie tra produttori locali e personale italiano.
Come sempre nel sistema Slow Food sono decisive le attività di comunicazione,
sensibilizzazione e divulgazione. La spesa totale della comunicazione e sensibilizzazione è
stata pari a 111.214 euro, l’8% del “valore aggiunto” della Fondazione, ovvero il 90% del totale
dei proventi. La comunicazione dei Presìdi tende a mostrare la qualità dei prodotti, utilizzando
il racconto dei territori, della storia e cultura dei produttori e dell’evoluzione del progetto, allo
scopo di sostenere il fundraising e la commercializzazione dei prodotti. Non a caso numerosi
prodotti dei Presìdi sono regolarmente commercializzati in catene commerciali quali Eataly
(Torino, Milano e Bologna), Coop Svizzera e Coop Italia. In sinergia con la comunicazione c’è
ovviamente l’accesso alla promozione da parte del mondo Slow Food, attraverso la
partecipazione a eventi quali il Salone del Gusto, Slow Fish, Slow Cheese. Uno dei principali
obiettivi dei Presìdi è infatti trovare nuovi sbocchi di mercato ai prodotti dei Presìdi, per i quali
l’ingresso nel sistema Slow Food è garanzia di valorizzazione economica. Nel 2002 il
quotidiano economico-finanziario Il Sole 24 Ore, con la collaborazione scientifica
dell'Università Bocconi di Milano, ha realizzato una ricerca specifica, per verificare i risultati
economici del progetto. Prendendo in esame un campione di 54 Presìdi italiani, appartenenti a
sei aree produttive (pesce, prodotti da forno, formaggi, razze da carne, salumi, ortofrutta), lo
studio della Bocconi ha rilevato aumenti nelle quantità vendute, nel prezzo di vendita e nella
qualità finale. La seguente tabella, per quanto un po' datata e riferita a prodotti soltanto italiani,
testimonia eloquentemente quanto il sistema Slow Food garantisca valore aggiunto ai prodotti.
Categorie di prodotto Quantità venduta Prezzo
Pesce +11% +39.3%
Salumi +53% +20%
Prodotti da forno +36% +21.5%
Formaggi +46% +28%
Razze da carne +161% +19%
Frutta, ortaggi, legumi +74% +68%
Crescita media +63.5% +32.6%
3.7. L'ACCORDO TRA FAO E SLOW FOOD PER PROGETTI IN AFRICA
OCCIDENTALE
A Torino, durante l'ultima edizione del meeting di Terra Madre (23-27 ottobre 2008) Slow Food
e Fao annunciano la firma di una partnership per programma di sicurezza alimentare in quattro
paesi dell'Africa occidentale: Mali, Senegal, Guinea Bissau e Sierra Leone. Valorizzando le
produzioni locali in questi paesi si potrà contribuire a promuovere il mercato interno e
d'esportazione, dando così un contributo importante al raggiungimento della sicurezza
alimentare per milioni di persone che dipendono dall'agricoltura per la propria sopravvivenza.
Alexander Muller, vice direttore generale della Fao, ha dichiarato che "il rilancio del settore
agricolo potrà diventare realtà solo se saranno le comunità produttive locali a trarne beneficio.
Slow Food sta operando in questo senso e siamo lieti di poter lavorare insieme in Africa
Occidentale oggi, e altrove domani". Il programma Fao in Africa occidentale per la sicurezza
alimentare, di cui l'accordo con Slow Food è una componente, è finanziato dalla Cooperazione
italiana per circa 20 milioni di euro, si qualifica per la capacità di aiutare ai produttori a trovare
sbocchi di mercato, ad esempio avviando un piccolo commercio oppure a conservare e
trasformare i prodotti per evitare che si debbano vendere soltanto al momento del raccolto. Il
programma Fao – Slow Food in Africa occidentale è stato formalmente avviato nel mese di
luglio del 2008, è stato presentato al meeting Terra Madre 2008, ha di fatto preso avvio nel
2009 e ha durata triennale con conclusione fissata per il 2011. Lo stanziamento in capo a Slow
Food è pari a 267 mila euro complessivi per tre anni. Una parte dei risultati sarà presentata dei
risultati al meeting di Terra Madre che si terrà nell'ottobre 2010 e l’avvio di almeno un Presidio
in ognuno dei quattro Paesi. Il progetto non ha potuto rispettare il crono programma iniziale: la
Letter of Agreement (LOA) necessaria per l'avvio reale delle azioni del progetto è stata firmata
nell'agosto 2009. A novembre 2009 è stata organizzata una formazione per 14 collaboratori di
Slow Food in Africa all'interno di un progetto finanziato dalla Regione Piemonte. Durante
questa formazione i collaboratori Slow Food si sono suddivisi il lavoro di mappatura,
l'organizzazione della missione, di cui fanno parte un tecnico e due persone della Fondazione,
la scelta del Presìdio e il coordinamento delle attività del Presidio. In Mali e Senegal, dove
Slow Food può contare su una presenza più radicata, i referenti hanno iniziato da poco tempo il
lavoro di mappatura e costruzione della rete dei contatti locali, formata perlopiù da agronomi e
rappresentanti di Ong locali. L'intero progetto Slow Food sarà ripartito in 6/7 sottoprogetti con
l'obiettivo di lavorare sul versante sicurezza alimentare e di verificare la possibilità di far
nascere nuovi Presìdi.
3.8. DEFINIZIONE DEL MODELLO DI COOPERAZIONE ALLO S VILUPPO DI
SLOW FOOD
Dall’analisi comparativa con progetti di cooperazione in paesi in via sviluppo di impianto più
tradizionale emergono due specifici tratti distintivi della cooperazione targata Slow Food. La
prima considerazione riguarda l'entità e la sostenibilità economica. Si è analizzato come il
budget annuo della Fondazione non superi ad oggi il milione e mezzo di euro, cifra che
comprende l'intero lavoro sui 300 e oltre Presìdi Slow Food e non solamente quelli da
ascriversi ai paesi in via di sviluppo. Se si considera che il comitato Direzionale della direzione
generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Ministero degli Affari Esteri ha
approvato, il 16 dicembre 2009, la concessione per il 2010 di contributi volontari ad alcuni
organismi internazionali per un totale di 41,5 milioni di euro e che il volume di euro mobilitati
all’anno dalle Ong italiane è di circa 350 milioni appare evidente che, rispetto ai volumi della
cooperazione allo sviluppo di provenienza italiana, la Fondazione Slow rappresenta una
percentuale oggettivamente trascurabile. Si pensi, a mo' d'esempio, che per le attività del 2010
del già citato Presidio del miele bianco di Wukro in Etiopia la Fondazione Slow Food prevede
costi per 32.750 euro. È dunque inequivocabile la scelta di fondo compiuta da Slow Food in
fatto di cooperazione internazionale: a) operare con gradualità, per piccoli passi e in una logica
di sostenibilità; b) operare con il sostegno di enti locali italiani ed enti locali dei paesi
beneficiari, possibilmente con l'avvallo di un organismo sovranazionale; c) operare su prodotti
che possano avere un mercato sia interno che internazionale; d) operare con il sostegno di
partner tecnici italiani e/o europei in grado di fornire commodities e formazione professionale
ai produttori. Escludendo il programma Slow Food in collaborazione con la Fao, avente una
diversa entità economica proprio per l'intrinseca differenza del programma stessa (sicurezza
alimentare, quattro stati coinvolti, ecc) tutti i restanti progetti hanno budget annui nell'ordine di
alcune decine di migliaia di euro, mirano a sostenere dei Presìdi e le comunità del cibo che li
producono, ovvero sono progetti di educazione al gusto e a tutela della biodiversità.
La seconda considerazione riguarda il modus operandi stesso della Fondazione Slow Food in
materia di cooperazione. La letteratura definisce “cooperazione decentrata” quella particolare
modalità di intervento in cui Ong o soggetto attuatore lavora a un progetto di sviluppo o di
scambio in stretto raccordo con un ente locale co-finanziatore (Comune, Provincia e Regione),
ovvero con un'impresa o altra realtà privata. È una modalità tra le più efficaci, che si è andata
affermando molto in Italia negli anni '90 del secolo scorso anche in concomitanza con la crisi
nella ex Jugoslavia, ed ha come scopo quello di unire e moltiplicare competenze, risorse e
conoscenze ai fini dell'efficacia del progetto. La cooperazione decentrata è altresì sostenuta da
una legislazione italiana che riconosce agli Enti Locali la possibilità di azioni di cooperazione
allo sviluppo e garantisce a quesi la partecipazione ai processi di internazionalizzazione, agli
scambi commerciali ed economici, ai processi migratori, alle relazioni culturali e ai flussi
turistici, consolidando valori come partecipazione, solidarietà e democrazia. Per quanto
affermato fino ad ora, è possibile sostenere che il modello di cooperazione posto in essere da
Slow Food sia un modello di “cooperazione decentrata a sussidiarietà economica allargata”.
Slow Food ha dimostrato dal 2003 ad oggi di riconoscere e sostenere il diritto di partecipazione
nella determinazione delle funzioni nonché l'autonomia sociale delle comunità del cibo, predica
il diritto-dovere di intervenire con un'azione sussidiaria che colmi quelle necessità, materiali e
non solo, e rimuova gli ostacoli al pieno sviluppo delle comunità. Presupposto di questo
ragionamento è la storia trentennale di un'organizzazione che celebra la sacralità del cibo, il suo
alto valore simbolico quale forma rappresentativa dell'identità delle popolazioni. Ecco il
riconoscimento dei gruppi intermedi, cioè le comunità del cibo, ovvero gruppi sociali titolari di
diritti e portatori di interessi legittimi aventi come obiettivo primario – in molti paesi del sud
del mondo - la sopravvivenza, l'auto determinazione alimentare, il benessere sociale. La
sussidiarietà orizzontale può anche essere intesa come una legittima ingerenza nella vita
economica della comunità del cibo, ingerenza che attualizza quelle condizioni che, dal contesto
sociopolitico di partenza, consentono ai gruppi sociali di dispiegare pienamente la propria
capacità di agire.
In secondo luogo Slow Food intende favorire un sentimento di solidarietà tra i gruppi sociali
organizzati del nord e del sud del mondo, una solidarietà fondata non su astratti valori etico
morali bensì su una cooperazione concreta, tangibile, che sia garanzia nei confronti dell’azione
pubblica per il raggiungimento di obiettivi più grandi e dalla maggiore rilevanza sociale.
Sussidiarietà economica è infine la proposta che consente di riconsiderare il ruolo e i compiti
dello Stato: nei paesi in via di sviluppo Slow Food opera facendo ciò che dovrebbe fare lo
Stato: creare condizioni e presupposti, tutelare legittimi interessi e consentire ai singoli
organizzati in forma associata di poter dispiegare, in libertà, il proprio essere e la volontà di
agire senza che questi debbano rinunciare alla propria cultura, identità e tradizione o, come
capita a milioni di contadini africani, abbandonare il villaggio per ingrossare le bidonville delle
grandi città.
La sussidiarietà economica è ovviamente allargata nella misura in cui Slow Food, alle comunità
del cibo con cui entra in contatto, “mette a disposizione” un movimento forte maturo e
ramificato, dotato di forza economica, di rete commerciale, di capacità di azione politica
culturale e sociale.
3. 9. CONCLUSIONI
La cooperazione internazionale in Slow Food è sufficientemente recente da non consentire un
giudizio storico su questi specifici programmi. Programmi di cooperazione che tuttavia
appartengono di diritto alla più vasta galassia del sistema Slow Food, che pur nella sua
complessità mostra una generale continuità con gli ideali e i principi su cui si è costituita. In
altre parole, in trent'anni di vita Slow Food non è diventata altro rispetto alle istanze delle
origini, pur essendo cresciuta e avendo allargato fortemente i propri orizzonti. La cooperazione
allo sviluppo di Slow Food, e dei Presìdi in quanto antenne, baluardi e centri di produzione, si
dispiega lungo tre direttici. Sicuramente il dato economico è il principale e il prevalente,
essendo i prodotti dei Presìdi in via d'estinzione in quanto senza mercato e non più
remunerativi per i produttori. Produttori locali che possono invece proseguire la loro attività,
contare sul sostegno di Slow Food, aprirsi a nuovi mercati nazionali e internazionali,
rivitalizzare o creare ex novo un'economia locale. Il dato economico dei progetti garantisce un
reddito minimo o incrementa il reddito dei produttori, crea un indotto locale ed è leva sul
livello occupazionale. Connessi agli aspetti economici vi sono le motivazioni sociopolitiche, a
cominciare dal rafforzamento della capacità organizzativa dei produttori, della capacità di
azione politica e sociale, di rilancio del proprio agire, di miglioramento delle relazioni con
istituzioni pubbliche e private, di acquisto di notorietà e peso mediatico: ciò che oggi va
comunemente sotto il nome di empowerment. In questo senso possono anche essere lette gli
spin-off dei Presìdi, a cominciare dagli itinerari culturali e turistici, come pure il recupero di
edifici storici o la creazione di musei didattici. Infine, gli obiettivi ambientali che Slow Food
promuove assumono un valore universale nella misura in cui promuovono la salvaguardia della
biodiversità, l'eliminazione o riduzione di trattamenti chimici, la pratica di un'agricoltura
estensiva e tesa alla tutela delle razze locali e delle varietà autoctone, lo stimolo a fare uso di
energie rinnovabili. L'obiettivo interno a Slow Food è ovviamente l'ampliamento e il
consolidamento della base sociale e della propria presenza nel mondo.
Un processo di corretta acculturazione è insito in questo modello di cooperazione: ad esempio
una chiara e accurata etichettatura del cibo, oltre a garantire l’accesso a informazioni su
contenuti dei prodotti usati, è soprattutto la testimonianza visiva di una codifica scritta per un
processo millenario e sedimentato qual è la preparazione di un cibo. Questa codifica
rappresenta per i produttori una concreta apertura di credito rispetto a un mercato, certamente
più potenziale che reale, al di fuori del consumo locale, ma è anche la consapevolezza di
produrre un cibo che il cui gusto è apprezzato anche in paesi molto lontani.
Siamo convinti che, in tanti paesi africani e latino americani, il vero valore aggiunto della
presenza di Slow Food sia la class awareness che viene comunicata alle comunità del cibo.
Trasmettere cioè la consapevolezza di uno avere status sociale, di poter tornare ad essere
padroni delle proprie vite e del proprio destino, sia come persone che come lavoratori. In
questo Slow Food assume un duplice ruolo, non più soltanto “enzima” in grado di riattivare
circuiti virtuosi di produzioni locali ma anche partner di una più grande e impegnativa battaglia
politica, che oggi si combatte con armi commerciali, contro l'appropriazione dell'Africa e
dell'America Latina da parte dei nuovi paesi forti, in primis Cina India Russia Corea e paesi
mediorientali. In tal senso si possono interpretare le opzioni politiche in favore di
regolamentazioni vincolanti per tutte le grandi compagnie transnazionali, ovvero leggi anti-
trust per prevenire lo sviluppo di monopoli industriali nell’alimentazione e nel settore agricolo,
con annessa la possibilità di ritenere le compagnie transnazionali, e i loro legali rappresentanti,
delle violazioni delle leggi ambientali e sociali o di accordi internazionali e nazionali.
Oltre a questi benefici alle popolazioni locali di ordine simbolico identitario, Slow Food in
Africa potrà apportare benefici concreti in termini sociopolitici, contribuendo ad arrestare o
perlomeno ad arginare lo spopolamento delle campagne da parte di milioni di contadini in
cerca di migliore fortuna nelle grandi città, tentativi che sappiamo il più delle volte spalancare
le porte della miseria e dell'esclusione sociale. Infine, un terzo aspetto se vogliamo più tecnico
alimentare su cui Slow Food, al pari di tante altre Ong lavora, ovvero l'accrescimento di quelle
conoscenze tecnico scientifiche che possano alzare i livelli di food safety tra le popolazioni
rurali. Questo richiede investimenti di lungo termine in progetti educativi e formativi.
L'obiettivo ultimo di Slow Food, attraverso le Fondazioni Terra Madre e per la Biodiversità, è
quello di porsi come una grande forza sindacale dei contadini del mondo. Una forza sindacale
attenta ai loro bisogni, capace di interpretare i mutamenti in atto nelle società del nord come del
sud del mondo, in grado di porsi come interlocutore politico credibile rispetto a Governi e
Organizzazioni internazionali.
Bibliografia
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Interviste:
Paolo Di Croce, segretario Slow Food International
Francesco Impallomeni, responsabile progetti Slow Food in Etiopia, Madagascar, Uganda e
Tanzania
Michela Lenta, responsabile progetti Slow Food in Marocco, Libia, Egitto, Mauritania, Guinea
Bissau, Sierra Leone.
Marco Epifani, già Fiduciario Convivium di Parma
Roberto Ferranti, Fiduciario Convivium di Bologna
Giorgio Pirazzoli, Direttore Mercato della Terra di Bologna
Siti internet consultati:
www.slowfood.it
www.slowfood.com
www.fondazioneslowfood.it
www.mcdonald.it