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Coordinamento redazionale e progetto - katalogando.com · e intatta perché aveva avuto fede in Dio...

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© 2004 by SEI - Società Editrice Internazionale - Torinowww.seieditrice.com

Prima edizione: marzo 2004

Ristampa1 2 3 4 5 6 7 8 9 102004 2005 2006 2007 2008

Nei casi in cui non è stato possibile comunicare con gli aventi diritto,l’Editore ha notificato all’Ufficio della proprietà letteraria artistica e scientifi-ca che l’importo del compenso è a loro disposizione, contestualmente aldeposito dell’opera previsto dall’art. 105 della legge 22 aprile 1941, n. 633.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione dell’opera o di parti diessa con qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia fotostatica, microfilm ememorizzazione elettronica, se non espressamente autorizzata per iscritto.

La SEI potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzio-ne non superiore al 15% del presente volume. Le richieste di riproduzionevanno inoltrate all’Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delleOpere dell’Ingegno (AIDRO) - via delle Erbe, 2 - 20121 Milano - Tel. e Fax02/80.95.06.

Vincenzo Bona - Torino

Coordinamento redazionale e progetto: Lia Ferrara

Redazione: Paola Cotto

Coordinamento tecnico: Francesco Stacchino

Progetto grafico e impaginazione: Gianni Roasio

Copertina: Gianni Roasio

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Acqua e vitaL’acqua è un simbolo universale di vita e di purezza e, in molti miti della creazione del mondo,costituisce la sorgente di ogni forma di vita. A proposito della creazione nel Genesi si legge: «Lospirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1,2).L’acqua è intimamente mescolata alla vita umana e alla storia del popolo dell’Alleanza.Numerosi passi della Bibbia sottolineano la necessità dell’acqua nella vita quotidiana. Ma essaè rara e bisogna scavare pozzi o cisterne per raccogliere l’acqua piovana e costruire sistemi d’ir-rigazione.Nell’Antico Testamento, il popolo di Dio, torturato dalla sete nel deserto, chiede a Mosè di pro-curargli l’acqua. Allora Dio gli dice: «Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, eva’. Ecco io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e ilpopolo lo berrà» (Es 17,5-6). Tre elementi tipici sono così riuniti: la sollecitudine di Dio; lafede del credente; il dono dell’acqua o della vita.In quanto vita, l’acqua svolge un ruolo importante nella guarigione delle malattie. Il profetaElia, per esempio, manda Naaman, un capo arameo (uno dei gruppi etnici in cui si dividono iSemiti) colpito dalla lebbra, a bagnarsi nelle acque del Giordano. La lebbra è una malattiainfettiva che rovina in modo ripugnante la pelle; il lebbroso, invece, ne uscì con la pelle lisciae intatta perché aveva avuto fede in Dio che parlava per bocca di Eliseo (2Re, 5). Il Cristianesi-mo ha interpretato questo racconto come la prefigurazione del battesimo che «guarisce» dalpeccato.Ogni purificazione è una sorta di guarigione. La Legge di Israele prescriveva l’uso di acquelustrali (cioè usate nelle cerimonie) per purificare gli uomini e gli oggetti impuri (Nm 19), e siosservavano indicazioni precise per lavare coppe, stoviglie, indumenti. Gli Ebrei praticavano ritidi purificazione, sia fisica sia spirituale, immergendosi nelle cisterne d’acqua pura (all’ingressodel Tempio) o nelle piscine rituali (Qumrân). Uno dei riti fondamentali dell’ospitalità consi-steva nel lavare i piedi all’ospite per pulirlo dalla polvere della strada; Gesù, alla vigilia dellasua morte, volle compiere questo rito con gli apostoli, in segno di umiltà e di carità cristiana.Nel Nuovo Testamento, l’evangelista Giovanni riferisce l’incontro che Gesù fece nei pressi dellacittà di Samaria con una donna che si recava ad attingere acqua a un pozzo. Gesù le chiese dabere e, dopo essersi dissetato, le parlò di un’acqua di vita eterna: «Chi beve dell’acqua che io glidarò, non avrà mai più sete» (Gn 4). Qui, la fonte d’acqua è simbolo dello zampillare della vitadivina donata al credente.

L’acqua distruttriceSimbolo ambivalente, l’acqua può anche distruggere e provocare la morte, come le acque delDiluvio universale, acque superiori che passano attraverso le cateratte del cielo che Dio ha aper-to. Nelle scritture dei profeti lo straripamento dei grandi fiumi simboleggia la potenza dei gran-di imperi, come l’Assiria e l’Egitto; questi vorticosi fiumi vengono inviati da Dio per castigareil suo popolo (Is 8,7).Il mare, i laghi, le grandi distese d’acqua atterrivano i Giudei, che non avevano vocazione mari-nara come i Fenici. Temevano le tempeste, i naufragi, i maremoti. Le acque profonde del lagodi Tiberiade inghiottono, sotto forma di porci, gli spiriti impuri che tormentano un indemo-niato liberato da Gesù (Mc 5,12-13).

L’acqua del BattesimoQuest’acqua associa i due valori, vita e morte. S’immerge nell’acqua l’uomo vecchio (l’uomopeccatore), che muore. Dall’acqua risorge l’uomo nuovo, purificato da ogni peccato.

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Il popolo ebraico, in origine, era un popolo di pastori nomadi, che continuò a dedicarsi perlungo tempo alla pastorizia anche dopo l’insediamento in Palestina. Non a caso, nella Bibbial’agnello appare come un simbolo privilegiato.Universalmente riconosciuto come emblema di dolcezza, innocenza e docilità, l’agnello (o lapecorella) rappresenta l’Israelita che appartiene al gregge di Dio (Is 40,11): «come un pastoreegli (il Signore) fa pascolare il gregge…; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano lepecore madri».La stessa immagine si ritrova nei Vangeli di Luca e di Giovanni.L’agnello indica anche l’umiltà e la rassegnazione: il profeta Geremia si paragona a un «agnel-lo che viene condotto al macello» (Ger 11,19).

L’Agnello pasqualeÈ la vittima sacrificale per eccellenza, il cui sacrificio prefigura quello di Cristo. Il suo sangue,sparso sulle porte delle case degli Ebrei, li protesse quando il Signore passò a “percuotere” gliEgiziani (Es 12,21-27). A Pasqua, l’agnello deve essere mangiato in famiglia, all’interno di unastessa casa, senza spezzarne alcun osso (Es 12,46).

Gesù, l’agnello di DioAlla vista di Gesù, Giovanni Battista esclama: «ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il pec-cato del mondo» (Gv 1,29). Scegliendo di morire nel preciso istante in cui si sacrifica l’agnel-lo pasquale, Gesù diventa il nuovo agnello pasquale che sottoscrive con il proprio sangue lanuova Alleanza (cioè il patto) tra Dio e gli uomini. Sulla croce, nessuna delle sue ossa verràspezzata (Gv 19,33-36): «Come una pecora (Gesù) fu condotto al macello e come un agnellosenza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca» (At 8,32; attinto da Is 53,7).L’agnello sacrificato diventerà l’agnello glorioso, vittorioso sulla morte e sulle forze del male,onnipotente, il giudice evocato nell’Apocalisse, l’ultimo libro del Nuovo Testamento.In questo senso l’iconografia cristiana rappresenta spesso Gesù come un agnello celeste cheregge una croce e intercede per gli uomini.

Il tema dell’albero appartiene inizialmente alla rappresentazione del Paradiso, luogo di gioia edi felicità, ricco di alberi dai frutti succosi. Nel Libro del Genesi sono citati in particolare duealberi: l’albero della conoscenza del bene e del male o del frutto proibito (Gn 2,9) e l’alberodella Vita.Dopo aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza, trasgredendo il divieto divino, l’uo-mo scopre la propria nudità, ossia la propria debolezza. La Bibbia latina identifica quest’albe-ro con un melo, probabilmente perché la parola latina malum significa sia “male” sia “mela”:ciò spiega come in molti quadri venga raffigurato come un albero di mele. Quanto all’alberodella Vita, è un tema che ricorre in parecchie mitologie e fu diffuso soprattutto a Babilonia,dove simboleggiava la vita cosmica e l’ascensione del visibile all’invisibile. Nell’oasi paradisia-ca della Bibbia, i suoi frutti offrono all’uomo un ricco nutrimento, la Vita stessa. Privato di que-sto cibo dal peccato, l’uomo ritroverà un giorno, come si legge nell’Apocalisse di Giovanni(22,2), alberi della vita che fruttificano dodici volte all’anno e le cui foglie guariscono i paga-

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ni. Questi alberi cresceranno sul luogo della Città celeste, dove la corruzione e il male nonhanno accesso. Nella tradizione ebraica, l’albero della Vita è la Torah (cioè i primi cinque libridella Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio).L’albero è il simbolo della potenza, della grandezza di un uomo, di un popolo, di una città, delRegno di Dio. Ma senza il rispetto della legge divina, quest’uomo, questo popolo, questa cittàsaranno destinati a essere abbattuti.

Albero della croceAll’albero del frutto proibito, origine del male, il Cristianesimo contrappone l’albero della croceche, grazie al sacrificio di Gesù, ridona all’uomo la sua vera vita: l’amore divino come linfa rin-vigorente. Da qui la raffigurazione della Croce fronzuta nell’iconografia cristiana.

Albero di JesseSi tratta dell’albero genealogico che collega Jesse, padre di Davide, a Gesù (Mt 19): costituisceuno dei temi ricorrenti nelle vetrate delle cattedrali medioevali.

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Il nome angelo traduce la parola ebraica mal’ak (gr. angelós), che significa “messaggero”. Gliangeli sono spiriti destinati a servire da messaggeri di Dio.

Gli angeli nell’Antico TestamentoGli angeli formano attorno al Dio unico «l’esercito del cielo» (1Re 22,19). Sono chiamati figlidi Dio (Sal 29,1) e servitori santi (Gb 5,1).I più antichi racconti biblici parlavano di un “messaggero di Dio” al quale si attribuivano indi-stintamente compiti buoni o cattivi. Nel Genesi, questo messaggero trasmette a più riprese gliordini divini. Simile a Dio stesso, egli parla e agisce in nome e per conto suo: è inviato a pro-teggere il popolo di Israele durante il passaggio del mar Rosso (Es 14,19); veglia sul servitoredi Abramo (Gn 24,7), e su Giacobbe (Gn 48,16). Dio manda invece angeli del male per com-piere missioni di sciagura, fra questi l’angelo sterminatore, che svolge un ruolo decisivo indiversi episodi biblici, come messaggero incaricato delle vendette divine. In Esodo (12,29) silegge che per costringere il faraone a concedere la libertà a tutto il popolo ebraico lo stermina-tore uccise tutti i primogeniti egiziani. Nel secondo libro dei Re (19,35) un angelo stermina-tore entrò nell’accampamento degli Assiri e uccise centottantacinquemila uomini.L’Antico Testamento ricorda due “classi” di angeli: i cherubini e i serafini. I primi erano incari-cati di custodire la via all’Albero della vita nel Paradiso Terrestre ed erano posti a custodiadell’Arca dell’Alleanza: «i cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali ilcoperchio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso ilcoperchio» (Es 25,20).Negli ultimi libri dell’Antico Testamento la funzione attribuita agli angeli continua a esserequella di vegliare sugli uomini, presentare le loro preghiere a Dio, presiedere ai destini dellenazioni. Così, essi vengono a volte indicati con nomi che indicano le rispettive missioni:Raffaele (deriva dall’ebraico e significa “Dio guarisce”) è l’angelo custode dell’umanità e siprende cura di Tobia (Tb 3,17; 12,15); Gabriele (dall’ebraico “prode o uomo di Dio”) rivela isegreti di Dio (Dn 8); Michele (dall’ebraico “chi è come Dio?”), principe degli angeli, proteg-ge Israele (Dn 10,13,21).Questa teologia influenzò anche l’Islam: è infatti Gabriele a trasmettere a Maometto il mes-

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saggio divino; Michele è incaricato dei beni del mondo; Azraele è l’angelo della morte emigliaia di angeli appaiono al Profeta durante la sua ascensione notturna.

Gli angeli nel Nuovo TestamentoAi nomi già conosciuti Paolo, in una delle sue lettere, aggiunge quello di arcangelo, cioè “capo”degli angeli (1Ts 4,16).Gli angeli sono intimamente collegati alla vita terrestre del Cristo: incarnazione (Lc 1,6), nati-vità (Lc 2,9-13), tentazione nel deserto (Mc 1,13), agonia (Lc 22,43), ascensione (At 1,10).Assicurano la protezione degli esseri umani (Mt 18,10; At 12,15), presentano a Dio le loro pre-ghiere e conducono in Paradiso l’anima dei giusti (Lc 16,22). Michele è il guardiano dellaChiesa nascente come era il guardiano di Israele. Riferendosi al destino ultimo degli uominirisuscitati, il Cristo dice che gli eletti saranno come gli angeli di Dio che non prendono mogliené marito e non possono morire (Lc 20,36).

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La parola latina arca, “cassa”, traduce due sostantivi ebraici: il primo (aron) indica l’arcadell’Alleanza, il secondo (tevah) è usato per indicare la culla di Mosè e l’arca di Noè.

L’arca dell’AlleanzaEra una cassa di legno d’acacia che conteneva le tavole della Legge (Es 25,10-22). Era traspor-tata per mezzo di due sbarre dello stesso legno, coperta da una tenda sacra sormontata da unapelle di ariete.La tenda che contiene l’arca è la dimora di Dio e l’arca è il segno visibile della sua presenza frail popolo; in tal modo egli guida il suo popolo nel deserto e nelle guerre. L’arca è sacra e nes-suno deve toccarla (1Sam 5). Davide la portò a Gerusalemme, che aveva appena conquistato,danzando (2Sam 6) e Salomone costruì il Tempio per deporvela. La descrizione che troviamonell’Esodo (Es 37,1-9) corrisponde a quella dell’arca del Tempio di Salomone, posta sotto le alispiegate di due cherubini (vedi voce angelo). Arca e ali erano ricoperti di una lamina di oropuro. L’arca scomparve nel 587 a.C., quando il re babilonese Nabucodonosor conquistò edistrusse Gerusalemme.

L’arca di NoèBarca costruita per ordine di Dio, su cui il pio Noè caricò due esemplari, un maschio e una fem-mina, di ogni specie vivente. In quel modo Dio voleva salvare la creazione dal Diluvio univer-sale scatenato dalla sua stessa collera (Gn 6,19-22).L’arca di Noè è il simbolo della protezione che Dio accorda nella tormenta ai giusti. È la culladi una nuova vita dopo la prova. Si può paragonare questa barca alla culla di foglie di papiroabbandonata nelle acque del Nilo, dove la figlia del Faraone trovò Mosè dopo che il sovranoegiziano aveva ordinato l’uccisione di tutti i neonati maschi degli Ebrei (Es 2).

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Babele è il nome ebraico della città di Babilonia; qui, dopo il Diluvio, gli uomini vollero costrui-re una torre alta sino al cielo: per punire il loro orgoglio, il tentativo di superare i limiti loroimposti, Dio fece crollare la torre e li disperse su tutta la terra, confondendo le loro lingue (Gn11,9).La torre di Babele si ispira alle grandi piramidi a gradini, chiamate ziggurat, edifici sacri caratte-ristici delle antiche civiltà mesopotamiche.Nel linguaggio comune, con il termine “babele” si indica un luogo in cui regna un rumorosodisordine.

Il termine Babilonia deriva dal nome semitico Bab-ilu, che significa “porta del cielo”. La cittàsituata sul fiume Eufrate, a circa 80 chilometri a sud di Baghdad, fu fondata probabilmenteverso il III millennio a.C. dai Sumeri; acquistò importanza in particolare sotto il regno diHammurabi (1728-1686 a.C.). Distrutta e poi ricostruita dai Caldei, sotto il reNabucodonosor, divenne una delle meraviglie del mondo per la bellezza dei suoi edifici.Nabucodonosor conquistò Gerusalemme, la distrusse e deportò la popolazione, come previstodalla profezia di Isaia, che aveva annunciato al re Ezechia che un giorno i tesori del suo palaz-zo sarebbero emigrati a Babilonia. L’esilio durò circa 50 anni (586-538 a.C.). In questo perio-do, il profeta Geremia invitava gli esiliati a non ascoltare i falsi profeti e a non venerare gli dèidei Babilonesi.La caduta di Babilonia, spesso annunciata dai profeti come il castigo di Dio per vendicare il suopopolo oppresso (Ger 50-51), avvenne nel 539, quando Ciro di Persia, vittorioso sull’Imperobabilonese, assediò la città.Il ritorno degli Ebrei in Giudea è come una replica della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, unnuovo esodo verso la libertà.Babilonia, che venne completamente distrutta da Serse nel 485 a.C., è sempre presentatanell’Antico Testamento come potenza malvagia, pagana, luogo del vizio; il suo reNabucodonosor è l’emblema dell’uomo sacrilego e superbo.Proprio per questo la città di Roma verrà chiamata la “grande Babilonia”, luogo dell’idolatriae delle persecuzioni cristiane.

Dall’ebraico Beth-lehem, “casa del pane”. Villaggio della Giudea situato a otto chilometri daGerusalemme, celebre per essere il luogo dove nacque Gesù; sempre qui Davide venne consa-crato re d’Israele.Sulla grotta nella quale si presume nacque Cristo si innalza la navata di una delle più antichebasiliche cristiane, fatta costruire dall’imperatore Giustino nel VI secolo d.C.

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Coppa romana per bere, di forma e materiali diversi e, in seguito, usata per il servizio liturgi-co; ma già nelle usanze orientali, il calice veniva fatto circolare durante i pasti e a esso tuttibevevano, segno di comunione e di condivisione.In metallo prezioso o materiale nobile, esso contiene il vino eucaristico e viene usato per lacelebrazione della messa (culto cattolico) e della Santa Cena (culto protestante).In riferimento alla preghiera di Gesù nel Vangelo di Matteo (26,42): «Padre mio, se questo cali-ce non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà», la parola indica unaprova crudele, un dolore straziante. Gesù, infatti, è nell’orto dei Getsemani e sa che sta per esse-re arrestato. Egli accetta di bere da quel calice per salvare tutti gli uomini, e lo beve rendendograzie al Padre in nome di tutti coloro che salva.

Il territorio di Canaan si stendeva dal sud della Fenicia (Tiro e Sidone) al deserto del Negheb.Il nome significa, secondo molti studiosi, “rosso porpora”, e venne dato a questa parte dellaSiria in cui si praticava, appunto, la colorazione in porpora dei tessuti.Gli antichi abitanti erano raggruppati in tribù, come gli Amorrei, i Gergesei, gli Hittiti, gli Evei,gli Gebusei e i Perizziti (Dt 7,1; Gs 3,10).Il paese di Canaan, verso cui Abramo si mette in cammino (Gn 11,31), dove stabilisce la suafamiglia e dove vivono Isacco e Giacobbe, è la “Terra Promessa”, che bisogna riconoscere e con-quistare con dura lotta. La terra di Canaan venne conquistata da Giosuè, successore di Mosè,dopo aspre battaglie.

Nell’Antico Testamento la parola basar indica spesso il corpo vivente, l’uomo nella sua interez-za; formata da Dio come da un tessitore (Gb 10,11; Sal 139,13ss.) o da un vasaio (Gn 2,7), essaè degna di ammirazione.Il pensiero ebraico non separa il corpo dall’anima, che ha sede nel sangue. Nel NuovoTestamento, “la carne e il sangue” indicano l’essere umano (Gv 1,14).Il Libro della Sapienza (il libro della Bibbia di età più recente, redatto intorno al 50 a.C.) e sanPaolo, invece, considerano la carne come la prigione dell’anima. Per questo essa viene svaluta-ta, in quanto sottomessa alle passioni e schiava del peccato: «Lo spirito è pronto, ma la carneè debole» diceva l’evangelista Matteo (Mt 26,41). Tuttavia, contrariamente ai Greci, per i qualila carne era votata a morte senza ritorno, i cristiani riprendono il concetto del tardo ebraismodi una risurrezione della carne, ossia dell’uomo nella sua globalità.Gesù prendendo un corpo di carne, manifesta compiutamente l’amore di Dio per il suo popo-lo. Prima di morire, fa dono della sua vita agli uomini quando, nel corso della cena pasquale,spezza il pane e dice: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Secondo Paolo(1Cor 6,19), il corpo dell’uomo è il “Tempio dello Spirito Santo”. Una tale concezione con-danna l’immoralità e la vita dissoluta.Con l’espressione «una sola carne» (Mc 10,8) si intende l’unione dei due sessi; quando si parladi parentela secondo la carne si indicano la famiglia e i “legami del sangue”.

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Il firmamentoNella Bibbia, il cielo è il firmamento, volta solida che separa il mondo “di sotto” dalle acquesuperiori, la cui invasione porta il diluvio distruttore. Questa volta solida, illuminata dagli astri,appoggia su colonne collegate ai pilastri della terra, affondati nelle profondità.

Altezza inaccessibile all’uomoIl cielo è il luogo simbolico della trascendenza divina, come ricorda la preghiera insegnata daGesù: «Padre nostro che sei nei cieli». Il Dio biblico è a volte designato con il termine metafo-rico “Altissimo” (appellativo che esprime la potenza di Dio), e il cielo è la sua dimora (Gn14,18). Il re di Babele, per farsi uguale all’Altissimo, sogna di salire sino al cielo (Is 14,13ss.).Nei libri dei Maccabei e nel Vangelo di Matteo in particolare, la parola cielo sostituisce il nomedi Dio che gli Ebrei evitavano di pronunciare per rispetto verso la maestà divina.La Bibbia associa all’immagine del cielo quella della folgore e dei lampi, simboli della poten-za divina (Sal 28 [29]). Ma l’uomo deve guardarsi dal confondere il creatore con ciò che Egliha creato e dunque non deve rivolgere la propria venerazione verso gli astri.

Il regno dei cieliLa dimora degli eletti, il Paradiso. I cristiani usano indifferentemente i termini Paradiso e Cieloper indicare la felicità perfetta di stare con Dio per sempre dopo la morte, mentre il termineParadiso ricorda il giardino meraviglioso di cui parla il Genesi. L’espressione «Salire in cielo»riporta all’Ascensione (cioè all’elevazione in cielo) di Gesù (Lc 24,50; At 1,6).Nel linguaggio popolare, si continua ad associare il cielo alla felicità, come nell’espressione“essere al settimo cielo”.Sotto l’influsso tardivo della Grecia e del pensiero astronomico, il cielo acquistò un altro valo-re nel mondo cristiano, luogo di una meravigliosa armonia, di una perfezione assoluta conce-pita da un’intelligenza divina. La sfera celeste e il corso regolare degli astri offrono all’uomol’immagine di un destino ordinato, luminoso, in contrasto con l’oscurità delle nostre vite ter-rene. Questo è il significato della cupola che troviamo nelle chiese bizantine e romaniche.

Nel testo ebraico della Bibbia la colomba è spesso assimilata alla tortora e al piccione.Veniva offerta in sacrificio quando si era troppo poveri per offrire un agnello (Lv 5,7) e per lapurificazione della donna dopo il parto (Lv 12), come fecero Maria e Giuseppe durante laPresentazione di Gesù al Tempio (Lc 2,22-24). La Legge di Mosè, infatti, prescriveva che il pri-mogenito di ogni uomo o animale domestico venisse consacrato a Dio; il bambino non veni-va sacrificato, ma riscattato con il sacrificio di una coppia di tortore o di giovani colombi.La colomba è anche simbolo di pace e di riconciliazione; questo perché fu proprio una colom-ba, che recava nel becco un ramoscello di ulivo, a tornare verso l’arca di Noè da cui era stataliberata, segno della fine del Diluvio e del placarsi della collera divina.Secondo quanto riferiscono i quattro evangelisti, dopo il Battesimo di Gesù i cieli si aprironoe Giovanni Battista vide lo Spirito di Dio discendere sotto forma di una colomba e posarsi sulcapo di Gesù (Gv 1,32).La colomba appare anche come il simbolo della semplicità e della purezza di cuore contrap-

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posta alla scaltrezza del serpente: «Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come lecolombe», dice Gesù ai suoi apostoli (Mt 10,16).Infine, nella Bibbia, come presso molti poeti, la colomba è simbolo di amore. L’amata è agliocchi dell’innamorato «la mia colomba» (Ct 2,14; 5,2).Nelle immagini medioevali, la colomba rappresenta spesso l’anima umana nell’attimo in cuiesce dal corpo. A volte, circondata da un’aureola, è un simbolo spesso usato per indicare laterza persona della Trinità, lo Spirito Santo.

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Tutti i popoli hanno nella loro tradizione una storia delle origini del mondo (cosmogonia).Per la Bibbia la storia delle origini non è collegata all’origine di una divinità perché Dio è eter-no e non creato.La Genesi offre due racconti della creazione del mondo e dell’uomo dove si rilevano sensibilidifferenze. Solo nel primo (Gn 1-2,4a) è esposto un racconto delle origini del mondo: si descri-ve la comparsa della luce, la separazione delle acque e della terra e l’architettura dell’universo.In questa narrazione è probabile che ci siano delle influenze dei miti mesopotamici, forse cono-sciuti durante l’esilio babilonese.Il racconto di Genesi 1 descrive le tappe che hanno condotto alla nascita dell’uomo, segnandoanche l’inizio della storia:1. creazione della luce e del giorno come unità di tempo;2. creazione dell’architettura generale dell’universo;3. separazione della terra dalle acque;4. creazione delle piante;5. creazione delle stelle e degli astri;6. creazione degli esseri viventi, dell’uomo e della donna a immagine di Dio.

La crocifissione era una punizione molto in uso presso i Romani; crudele e infamante pena dimorte, essa era destinata soprattutto agli assassini, ai ladri, ai ribelli e agli schiavi.La croce, cui il condannato veniva inchiodato per i polsi e per i piedi, era formata da due legnisovrapposti trasversalmente. Spesso, in cima alla croce, veniva posta un’iscrizione (detta anchetitolo) che descriveva il motivo per cui era avvenuta la condanna.Gesù crocifisso sul Golgota è il simbolo più elevato dell’autentica vita cristiana, che deve imita-re le sofferenze e il martirio di Cristo. La croce è dunque segno di redenzione e di salvezza pergli uomini attraverso Gesù.Nel corso dei secoli l’arte cristiana ha rappresentato in diversi modi la croce. Ricordiamo la tau ocroce senza cima: è il simbolo della vittoria sulla morte attraverso il sacrificio. La croce con lacima e un solo braccio trasversale: è la croce del Vangelo e rappresenta l’umanità salvata da Cristo,i quattro bracci sono il simbolo di un uomo in piedi. La croce con la cima e due bracci trasver-sali: la parte superiore più piccola è l’iscrizione della condanna, mentre la parte inferiore è illegno a cui furono inchiodate le braccia di Cristo. La croce con la cima a tre bracci trasversali: èil simbolo della gerarchia ecclesiastica, corrisponde ai copricapi del papa, del cardinale e delvescovo. La croce di risurrezione, che rappresenta la vittoria sulla morte, per questo è ornata diuna bandiera o di una fiamma. La croce monogramma di Cristo composta da due iniziali X e P

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Questi due termini vengono usati spesso con lo stesso significato per indicare una creaturamalefica, maligna, le cui azioni sono rivolte al male.L’origine delle due parole è però diversa: demonio infatti deriva dal greco dáimon che usato alsingolare designa un essere divino, mentre al plurale indica esseri inferiori, spiriti malefici; dia-volo invece viene dal greco diabolos, “il calunniatore”, “colui che divide”, e traduce la parolaebraica Satan.Nell’Antico Testamento sono presenti esseri demoniaci, malvagi, per lo più rappresentati inmodo piuttosto vago, con tratti e caratteristiche simili a quelli utilizzati da altri popolidell’Oriente.Nel Nuovo Testamento il diavolo è il grande nemico di Dio e padrone di questo mondo, ilTentatore (Lc 4,1), il capo dei demoni (Mt 25,41) che deve però retrocedere davanti a Cristo eal suo regno (Mt 12,28 ss.; Gv 12,31). Ed è il demonio che Gesù scaccia in numerosi episodidei Vangeli, come quelli della sinagoga di Cafarnao (Mc 1,23-27) o dell’indemoniato muto (Mt12,22 ss.). Per lo più la possessione diabolica e la malattia sono qui mescolate, per cui si diceche Gesù guarisce gli indemoniati o scaccia i demoni.Gesù, dopo che ebbe ricevuto il battesimo di Giovanni nel Giordano, si ritirò nel deserto dovevenne tentato dal diavolo (Mt 4,1-11; Mc 1,12; Lc 4,1-13).

Nella religione d’Israele il deserto indica sia una realtà geografica sia un simbolo molto impor-tante.Nell’Antico Testamento è rappresentata come una “terra spaventosa” (Dt 1,19), disabitata, ino-spitale, priva d’acqua, frequentata dai demoni e da altre entità malefiche; anche il NuovoTestamento ne parla come di uno spazio dominato dal diavolo (Mt 1,4-8), nel quale avviene latentazione (Lc 4,1ss.).Ma è proprio attraverso il deserto che Dio ha fatto transitare il suo popolo durante i quarant’annidell’Esodo per condurlo nella Terra Promessa, dove «scorrono latte e miele». Questo luogo ter-ribile è dunque anche quello dell’incontro con Dio dopo la rivelazione a Mosè sul monte Sinai,dove egli riceve le Tavole della Legge e si instaura l’Alleanza fra Dio e il popolo eletto; esso diven-ta così il simbolo di un periodo della storia sacra, ideale della purezza e della fedeltà primitiveprima dell’idolatria e delle seduzioni della terra di Canaan.

Con questa parola, che vuol dire “dispersione”, si indica il fenomeno della lontananza dellecomunità ebraiche dalla Terra Promessa, il loro disperdersi fuori di Israele.La prima diaspora ebbe luogo nel 586 a.C., quando Gerusalemme venne distrutta daiBabilonesi e la popolazione condotta schiava a Babilonia. Quando nel 538 a.C. i Persiani, gui-dati da Ciro il Grande, ebbero conquistato Babilonia, parte degli Ebrei ritornarono in patria,parte rimase in terra straniera, determinando così una nuova diaspora. A partire dal V secoloa.C. le comunità della diaspora divennero sempre più numerose e importanti, soprattutto a

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Babilonia e in Egitto. Ai tempi di Gesù gruppi di Ebrei erano presenti in ogni città importantedell’Impero romano e a Roma costituivano una comunità forte e ben organizzata.Fino alla costituzione del moderno Stato di Israele, avvenuta il 15 maggio 1948, la diaspora èstata la condizione normale di vita delle comunità ebraiche disperse per il mondo.

D

È l’astinenza, totale o parziale, da cibi e bevande. Nell’Antico Testamento il digiuno fa parte deiriti di penitenza e di autoumiliazione per dare più forza alla preghiera e perciò viene racco-mandato specialmente durante i momenti di particolare dolore e tribolazione (1Sam 7,6; Gl1,14); talvolta il digiuno viene praticato in caso di lutto (1Sam 31,13) o prima di ricevere unarivelazione (Es 34,28); Davide digiuna prima della morte del figlio di Betsabea per ottenere laguarigione del bambino (2Sam 12,16-23).Dopo il periodo dell’esilio vennero istituiti quattro giorni di digiuno per ricordare le afflizionipatite dal popolo di Israele.Ma non mancano le polemiche contro questa pratica; i profeti denunciarono i digiuni fatti sol-tanto come atto esteriore e ipocrita da chi continua a rimanere insensibile alle ingiustizie, allamiseria e all’oppressione (Is 58,3-12); nel Nuovo Testamento si legge che i farisei digiunavanodue volte la settimana, al lunedì e alla domenica, ma diedero a questa pratica tanto eccessivovalore da provocare la reazione di Gesù (Mt 6,16-18). Egli stesso digiuna per prepararsi alla suamissione e permette ai suoi discepoli di digiunare per la sua morte (Mc 2,18-20), ma si trattadi un digiuno segreto, praticato solo sotto lo sguardo di Dio, senza alcuna ostentazione(Mt 6,16-18).Nella tradizione musulmana, il digiuno principale è quello del Ramadan, il nono mese del-l’anno lunare, in cui è prescritta l’astinenza totale.

La prima versione del mito del Diluvio universale compare nella tradizione babilonese e la suaorigine risale probabilmente alle grandi inondazioni del fiume Eufrate. L’eroe del raccontobabilonese, Gilgamesh, costruisce una nave dopo che una divinità gli ha annunziato l’immi-nenza del diluvio, e vi si rifugia con la sua famiglia e le diverse specie di animali; tuttavia nonsono poche le differenze fra questo mito e la storia biblica di Noè (Gn 6,9), a partire dal nume-ro dei salvati e dalla durata delle piogge.Ma ciò che maggiormente differenzia i due racconti è che al politeismo della narrazione diGilgamesh si contrappone il monoteismo della vicenda di Noè, che rientra nella serie dei testibiblici incentrati attorno all’idea di Alleanza fra Dio e l’uomo. Secondo la Bibbia, Dio nondistruggerà arbitrariamente il mondo; la sua collera, provocata dalla malvagità degli uomini,risparmia l’uomo giusto, Noè, personaggio centrale del racconto, che Dio consiglia e proteggeper la fiducia che egli ripone nella parola divina.L’arcobaleno che si staglia nel cielo, al termine dei quaranta giorni del Diluvio, è il segno dellaNuova Alleanza che si stabilisce fra Dio e tutti gli esseri viventi.

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Nel libro del Genesi indica un luogo senza una precisa collocazione geografica: «Dio piantò ungiardino in Eden, a oriente» (Gn 2,8). L’Eden era il luogo in cui si trovava il Paradiso, la resi-denza felice da cui Adamo ed Eva furono cacciati dopo aver disobbedito a Dio mangiando ilfrutto dell’albero della conoscenza. Il giardino dell’Eden è chiamato anche Giardino delle deli-zie, spazio privo di pericoli nel quale l’uomo poteva vivere in piena armonia con la natura e ilsuo Creatore.

Situato nel corso inferiore del Nilo all’estremità occidentale di quella zona che venne denomi-nata “mezzaluna fertile”, l’Egitto è stato un Impero fin dal III millennio a.C. Nella storia bibli-ca esso compare al tempo dei patriarchi, poiché è la terra nella quale trova rifugio Abramo (Gn12,10; 13,1) e dove il figlio di Isacco, Giacobbe, emigra a causa di una carestia; qui egli ritrovail proprio figlio, Giuseppe, che era stato venduto dai fratelli come schiavo ed era quindi diven-tato ministro del faraone. I discendenti di Giacobbe si stabilirono in Egitto che, dal 1700 a.C.,fu sotto il dominio dei re-pastori, gli Hyksos; gli Ebrei vennero ridotti in schiavitù per circaquattro secoli e mezzo, un periodo che corrispose a un’ampia espansione politica e militaredell’Impero egizio, che ormai si estendeva dal fiume Eufrate, nella Siria settentrionale, sino allaNubia.La Bibbia descrive l’infelice situazione degli Ebrei in terra egiziana, dalla quale furono salvatida Dio tramite Mosè, che mandò segni e prodigi (le cosiddette “dieci piaghe”) per vincere l’o-stinazione del Faraone che voleva trattenere il popolo ebraico (Es 7-12).Durante l’Esodo gli Ebrei rimpiangeranno questa terra di abbondanza e, una volta installati inCanaan, saranno tentati di stringere con l’Egitto un’alleanza politica; ma i profeti ricorderannoloro come l’Egitto costituisca un pericolo per la sua idolatria (Lv 18,3; Esd 9,1).A partire dal IV secolo a.C. una nutrita colonia giudaica si installerà in due importanti centridell’Egitto, Alessandria ed Elefantina; e sarà ancora in Egitto che Giuseppe porterà Maria e ilbambino Gesù per scampare alla crudeltà di Erode.

Questa parola deriva dal greco epistolé e significa “lettera”. Con questo termine si raggruppanotredici lettere indirizzate da San Paolo a differenti destinatari, sia singole persone (Filemone,Tito, Timoteo) sia a intere comunità e chiese (Tessalonicesi, Corinzi, Galati, Romani, Filip-pesi, Colossesi, Efesini).In queste lettere, che fanno parte del Nuovo Testamento, sono contenute ampie riflessioni teo-logiche su Gesù Cristo e sulla Scrittura e vengono trattate tematiche di ordine pratico e di ordi-ne teorico che le prime comunità cristiane si trovavano a dover affrontare nei contatti con ilmondo ebraico e quello pagano.A San Paolo venne anche attribuita una Lettera agli Ebrei, destinata ai Cristiani di origine giu-dea; oggi però tale attribuzione non è più ritenuta esatta.

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E

Questa parola deriva dal greco, e significa “partenza”; nell’Antico Testamento indica appuntola partenza degli Ebrei, liberati da JHWH e guidati da Mosè, dall’Egitto, dove erano rimastischiavi per circa quattro secoli e mezzo.Il libro dell’Esodo, secondo dei cinque che compongono il Pentateuco, racconta la fuga delpopolo d’Israele dall’Egitto, ricorda la sua schiavitù, la nascita e la vocazione di Mosè, le diecipiaghe con cui Dio colpì gli Egiziani per convincere il Faraone a lasciare partire gli Ebrei, ilmiracoloso passaggio del mar Rosso e la marcia nel deserto che essi dovettero attraversare.Vengono quindi raccontati gli episodi che fondano l’Alleanza fra JHWH e il suo popolo: la con-segna a Mosè delle Tavole della Legge, la descrizione delle leggi sulle istituzioni del culto, l’e-pisodio dell’idolatria del vitello d’oro e il rinnovamento dell’Alleanza.

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F

“Avere fede” significa oggi “credere in Dio”: ma il senso che il termine “fede” ha nella Bibbia è unpo’ diverso: tale parola deriva dal latino fides, che vuol dire “parola data”. Ecco allora che essa costi-tuisce l’adesione incrollabile dell’uomo, nonostante le prove e le avversità, alla parola e alla volontàdivina. Avere fede, essere fedele significa conformarsi in tutte le contingenze della vita all’impegnoreciproco sancito dall’Alleanza fra Dio e l’uomo. Pertanto Dio è il primo fedele, perché non vienemai meno alla promessa d’amore fatta al suo popolo.Il primo esempio di uomo credente è Abramo, giustificato dalla propria fede. L’infedele è invececolui che tradisce le sue promesse; empi e infedeli sono gli uomini che si abbandonano a culti diver-si da quelli del Dio di Abramo e non osservano il comandamento del Decalogo.Alla fede si collega la fiducia; quando i discepoli sono inquieti durante una tempesta, Gesù li ammo-nisce dicendo loro: «Uomini di poca fede» (Mt 8,26). Il credente ha fiducia, fede nell’efficacia dellapreghiera, fondata sulla promessa di Gesù: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete» (Mt 7,7).

In ogni religione c’è un tempo particolare che è quello della festa. Anzi, il tempo stesso dellavita si organizza su questa divisione tra tempo della normalità, del quotidiano, e quello dellafesta, dell’eccezione. Nel tempo della festa si vivono cose che non si fanno normalmente, ovve-ro danze, pranzi, incontri… più generalmente si sospendono le attività di lavoro e di routine.Per questo si dice che la festa è il tempo della sospensione della quotidianità, in cui è possibi-le ciò che nella quotidianità non si fa: spesso nella festa ci si concede infatti l’eccesso.Nell’ambito del religioso durante la festa si entra nel tempo di Dio, che non è quello umano.Si recupera, si ricorda, si rivive qualcosa che riguarda Dio. Si entra in un tempo non solo“sospeso”, ma eterno.I fedeli che partecipano a una festa escono dal loro momento storico (costituito dall’insiemedi eventi profani) e abbracciano un tempo sacro. Il tempo divino, in cui si mettono in attoazioni particolari, i riti, porta con sé qualcosa di peculiare e importante che non solo ha sensoper sé ma dà anche senso alla normalità. Dunque tempo sacro e tempo profano, tempo di Dioe tempo dell’uomo, sono strettamente intrecciati tra loro.Le feste e i riti consolidati nel corso della storia hanno costituito il tessuto nel quale coloro cheaderiscono a una religione hanno articolato la loro vita personale e collettiva.L’alternarsi tra tempo profano e tempo della festa è istituzionalizzato dal calendario liturgico.La liturgia cristiana, in particolare, ha inciso sulla strutturazione della vita quotidiana: siamoabituati da molti secoli a organizzare il tempo in settimane, con sei giorni di lavoro e uno diriposo (la domenica, ovvero il dies Domini, il giorno del Signore), o l’anno in due grandiperiodi di festa, quello intorno al Natale e quello intorno alla Pasqua, ovvero intorno a duefeste cristiane, quella dell’incarnazione e quella della morte-Risurrezione di Gesù. Questa abi-tudine dimostra come il mondo europeo sia stato permeato dalla presenza del Cristianesimo,che ha introdotto nella vita quotidiana abitudini proprie della sua liturgia, che tuttora viviamocome scansioni “normali” della vita.

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F

Nella Bibbia questo parola indica tutti i prodotti commestibili degli alberi o degli arbusti, maanche tutti gli alimenti di origine vegetale (Gn 4,3).Ma spesso il termine frutto indica ciò che viene prodotto da un’azione o il risultato di un com-portamento; per questo il profeta Geremia dice che gli atti dell’uomo portano i loro frutti, buonio cattivi (Ger 17,10). Nel Vangelo di Matteo (12,33) si legge: «Dal frutto si conosce l’albero»:questo vuol dire che un’azione, una decisione, un’idea si giudicano dai risultati che producono.

Queste impressionanti scariche di elettricità, che portano sulla terra fuoco e distruzione, sono intutte le civiltà manifestazioni della potenza divina; nella mitologia greca Zeus (che prenderà ilnome di Giove presso i Romani), la massima delle divinità, è tradizionalmente rappresentatocon in mano un fascio di fulmini, proprio a indicare la sua supremazia.Nell’Antico Testamento i fulmini accompagnano la manifestazione della Maestà divina. Quando ilpopolo ebraico arrivò ai piedi delMonte Sinai dopo la partenza dall’Egitto, Dio parlò aMosè emani-festò la propria potenza agli occhi di tutta la popolazione con rombi di tuono e bagliori di lampi sullamontagna (Es 19,16). Tuttavia il lampo non rappresenta un attributo indivisibile da Dio, come capi-ta con Zeus; si tratta soltanto di un modo, visibile e simbolico, della potenza divina. Infatti nessunfenomeno naturale può manifestare compiutamente la presenza soprannaturale di Dio.

Nelle diverse credenze e religioni, il fuoco ha sempre avuto un doppio e diverso valore simbo-lico: esso scalda e illumina e quindi ha caratteristiche positive; ma può anche bruciare edistruggere, portando dolore e distruzione. In alcuni miti (come in quello greco che ha per pro-tagonista Prometeo), il fuoco è descritto come un bene che originariamente era posseduto sol-tanto dalle divinità e che in seguito fu loro rubato a vantaggio degli uomini.Nella Bibbia il fuoco compare come manifestazione di Dio: Egli conclude l’Alleanza conAbramo utilizzando una fiaccola ardente (Gn 15,17) e appare a Mosè attraverso un roveto infiamme (Es 3,2); nel deserto, durante l’Esodo, precede il popolo, nella notte, sotto forma diuna colonna di fuoco (Es 13,21) e si rivela ai profeti Isaia ed Ezechiele in mezzo al fuoco.

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GG

Con questa parola si indica la serie dei componenti di una famiglia o di un gruppo, di unacomunità, dal capostipite sino agli ultimi discendenti. Nel Genesi (10,11) tutti gli uomini ven-gono fatti discendere dai tre figli di Noè – Cam, Sem e Iafet – e si diffondono sulla superficiedel mondo allora conosciuto, dove creano le varie nazioni con le diverse lingue.Nell’Antico Testamento sono contenute parecchie genealogie; in particolare quella del re David(1Cr 2,10), le parentele di Mosè e di suo fratello Aronne (Nm 3,14). Nel Nuovo Testamento l’e-vangelista Matteo inizia il suo libro con una genealogia di Gesù a partire da Abramo (Mt 1,1),mentre Luca risale fino ad Adamo (Lc 3,23-28).

La città più bassa del mondo, situata a 300 metri sotto il livello del mare Mediterraneo, a norddel mar Morto, in un’oasi famosa per la sua fertilità. Abitata sin dal VII millennio a.C., è la piùantica città della Palestina.Secondo la narrazione biblica (Gs 6) Giosuè, successore di Mosè, prese d’assedio Gerico e lacittà, fortificata, vide crollare le proprie mura al suono di trombe a forma di corno d’ariete (loShofar, utilizzato nelle cerimonie liturgiche) e al grido di guerra del popolo d’Israele, mentrel’Arca dell’Alleanza veniva portata in processione attorno alla città assediata. Giosuè lanciòun’anatema contro Gerico e ne massacrò gli abitanti con l’eccezione di una donna, Raab, cheaveva accolto gli emissari di Israele.Gerico venne ricostruita nel IX secolo a.C. sotto il re d’Israele Acab e successivamente fortificata.I racconti evangelici ricordano come Gesù si sia spesso fermato in questa città, dove ha com-piuto guarigioni a ciechi e riconciliato con Dio il pubblicano Zaccheo (Lc 19,1-9). Sulla stradache va da Gerusalemme a Gerico Gesù ambienta l’episodio del buon Samaritano (Lc 10,30).

Nell’Antico Testamento, Dio, giudice supremo, alla fine dei tempi dividerà gli esseri viventi; chia-mato anche il “Giorno di JHWH”, è annunciato dai profeti come un giorno terribile sia per inemici di Israele (Is 13,6 e ss.; Ger 46,10) sia per Israele stesso. Questo Giorno del Giudizio vienespesso rappresentato come distruzione catastrofica e rovina completa, in cui esplode l’ira diJHWH su tutti i popoli a motivo dei loro peccati, del loro orgoglio, del loro disprezzo della legge.Nel Nuovo Testamento sono riprese dagli evangelisti le immagini apocalittiche del ritorno glo-rioso del Figlio dell’uomo per evocare il Giudizio Universale: è l’ultima parte del discorso esca-tologico pronunciato da Gesù sul monte degli Ulivi prima della Passione. Il GiudizioUniversale è rappresentato come un processo in cui tutti gli uomini vengono giudicati in basealle loro opere; la separazione definitiva fra i giusti e i peccatori è posta alla fine del mondo (Mt13,40-43) o al tempo del ritorno del Cristo (Mt 24,31). Ed è Cristo che raccoglie tutti gli empie i malfattori (Mt 13,41) o gli eletti (Mt 24,31), che raduna dinanzi a sé i popoli e remuneraognuno secondo le sue opere (Mt 16,27).Nel libro dell’Apocalisse di Giovanni la risurrezione e la separazione di buoni e malvagi avven-gono nell’ultimo giorno e la norma per il giudizio divino saranno la fede in Cristo e le buoneopere; Dio purificherà i tiepidi e glorificherà coloro che sono fedeli (Fil 2,16).

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GMolti predicatori e molti artisti hanno rappresentato più volte il giorno del Giudizio conimmagini terribili dei tormenti eterni destinati ai dannati: si trattava di uno strumento ritenu-to opportuno per colpire l’immaginazione ai fini del ravvedimento dei peccatori.

Nella Bibbia la giustizia divina non corrisponde all’equa distribuzione dei benefici fra gliuomini. Dio è giusto in quanto è giustiziere, che vendica i torti fatti al suo popolo, difenden-dolo dall’empietà degli avversari: il suo intervento è determinato dalla fedeltà all’Alleanza conIsraele. Nell’Antico Testamento viene proclamata la speranza nella giustizia divina, che opereràla distinzione tra i giusti e i malvagi. Per l’uomo la giustizia è la risposta perfetta all’amore diDio: il giusto rende omaggio a Dio, osserva la sua legge e nutre fiducia nella giustizia di Diononostante le prove a cui è sottoposto: è il caso di Giobbe, giusto per eccellenza che, pur essen-do perseguitato da immani sciagure, non perde mai la fiducia nel Signore.Nel Nuovo Testamento Gesù rappresenta la figura del giusto innocente perseguitato ingiusta-mente. Gesù stesso nella parabola dei vignaioli (Mt 20,1-16), in cui si paragona il Regno dei cielial padrone di una vigna che assume dei lavoratori a giornata e paga coloro che hanno lavoratoun’ora soltanto come coloro che hanno lavorato l’intera giornata, mostra che l’amore di Dio vaal di là della semplice giustizia. Fu san Paolo a teorizzare il tema della giustizia nella Lettera aiRomani: la vera giustizia che caratterizza la vita cristiana non deriva dalle opere, ma discende dalcielo (Rm 1,17; 3,21) e la Risurrezione di Cristo ha come scopo la nostra giustificazione.

Gesù paragona la propria morte a quella del chicco di grano che, sparendo nella terra, produ-ce un’abbondante messe: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; seinvece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in que-sto mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25).

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I

Questa parola deriva dal greco eikón che significa “immagine, ritratto”; sono infatti immaginidipinti di Cristo, della Vergine Maria, degli angeli o dei santi (spesso raffigurati su uno sfondodorato) e nelle chiese orientali sono oggetto di culto sia privato sia liturgico.Con il termine iconoclastia si indica il movimento di distruzione delle immagini religiose chesi sviluppò nell’Impero bizantino nel corso dei secoli VIII e IX d.C.

Nel libro dell’Esodo (20,4-5) è scritto: «Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nelCielo, né di quanto è quaggiù sulla terra… Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai». IlDecalogo vietava ogni rappresentazione figurata, al fine di allontanare Israele dall’idolatria, dal cultodei falsi dèi stranieri e rafforzare l’idea dell’unità, della trascendenza e della spiritualità divine.Gli Israeliti non fabbricarono mai immagini di Dio, anche se fu loro permesso di porre duecherubini sull’Arca dell’Alleanza e, per un certo periodo, un serpente di bronzo.San Paolo spiega come sia Cristo l’immagine del Dio invisibile (Col 1,15) e pertanto Dio può esse-re conosciuto attraverso suo figlio, senza che debba esistere un’immagine materiale di Dio.Nei secoli XV e XVI le immagini religiose – quadri e sculture – erano spesso oggetto di un vero e pro-prio culto, giudicato da alcuni Cristiani come idolatrico; per questo i rappresentanti della Chiesariformata, e in particolare Calvino, arrivarono a farle distruggere e a bandirle dai luoghi di culto.

È un rito con il quale si trasmette una benedizione o si attribuisce un potere; stabilisce un rap-porto speciale fra colui che lo dà e colui che lo riceve. Può essere un gesto di semplice benedi-zione, come quello con cui Giacobbe adotta e benedice il figlio Giuseppe, o il mezzo per ope-rare una guarigione o per comunicare lo Spirito Santo ai battezzati.Con questo gesto si consacra anche una persona a una funzione particolare: così avviene per iLeviti, sacerdoti e servitori di Dio (Nm 8,10) o per Giosuè, che diventa capo della comunità(Nm 27,18) e, nel Nuovo Testamento, per Barnaba e Paolo inviati in missione che ricevonol’imposizione delle mani (At 13,3).La Chiesa cattolica riprende questo gesto per l’ordinazione dei diaconi e dei sacerdoti.

Originariamente l’idolo designava una qualsiasi raffigurazione, materiale o immaginaria. Conil tempo ha finito per indicare un’immagine, raffigurante una divinità, alla quale si presta unculto (sacrificio, libagione, incenso) come se fosse la divinità stessa. In questo atteggiamento èpresente una concezione secondo la quale l’immagine non è solo la rappresentazione di unadivinità ma è anche parte o “sosia” di essa.I testi biblici, anche per voce dei profeti, hanno spesso condannato le immagini sacre degli deipagani, ma anche quella di Dio, come il Vitello d’oro adorato da Israele mentre Mosè era sulSinai a ricevere le Tavole della Legge (Es 32).

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Profumo dall’odore fragrante estratto dalla resina di un arbusto che nell’antichità venne impor-tato dall’Arabia meridionale.L’uso di questa sostanza era assai diffuso: in Egitto come a Babilonia, in Persia e a Creta venneadoperato soprattutto nei riti dedicati al culto dei morti.Sull’altare del Tempio di Gerusalemme si bruciava quotidianamente incenso in segno di ado-razione (Es 30,1-10); poiché esso era riservato unicamente a Dio, i Giudei e i primi Cristiani sirifiutarono di utilizzarlo per rendere omaggio alle statue degli Imperatori romani, come erad’uso a Roma, attirando così il sospetto delle autorità.Dall’Oriente i Re Magi portarono in dono a Gesù Bambino oro, mirra e incenso; nell’Apocalisse(5,8) l’incenso che brucia è il simbolo della preghiera dei santi che sale verso Dio.

Questa parola viene dal latino infernum, che significa “che sta sotto, che è in basso”.L’idea di un luogo ultraterreno, oscuro e terribile, opposto al cielo e nel quale i defunti subi-scono delle pene, è comune a molte religioni.Nel pensiero ebraico, l’Inferno è chiamato Sheol e l’Antico Testamento ne parla come di una«casa in cui si riunisce ogni vivente» (Gb 30,23), cioè di un luogo in cui si ritrovano i defuntie che costituisce il destino comune di tutti gli uomini; questo luogo non appare drammatico ospaventoso ed è caratterizzato da un buio che assomiglia alla notte nel quale i defunti ritrova-no i loro antenati.Questa concezione, con il tempo, si è modificata; lo Sheol diventa luogo di castigo per le animemalvagie e così lo presenta il profeta Isaia al re Babilonia: «Negli inferi è precipitato il tuo fasto,la musica delle tue arpe; sotto di te c’è uno strato di marciume, tua coltre sono i vermi» (Is14,11).L’Inferno è ormai inteso come spazio ultraterreno di orrore, di punizione e atroci supplizi peri peccatori. In particolare, l’idea di un inferno di fuoco deriva in parte dalla valle di Gê-Hinnanpresso Gerusalemme (per cui l’Inferno venne anche chiamato Geenna) in cui un tempo avve-nivano sacrifici sacrileghi e profani, e in parte dall’osservazione dei fenomeni vulcanici, con l’e-splosione di fuoco e lava; ancora il profeta Isaia dice che un fuoco inestinguibile consuma ilcorpo degli uomini che si ribellano a Dio (Is 66,24).Gesù chiama Geenna il luogo in cui i peccatori vengono puniti eternamente nell’aldilà (Lc12,5); ma nel Nuovo Testamento si parla di Inferno come luogo di dannazione dopo l’ultimogiudizio, definitivo, alla fine dei tempi, mentre non viene nominato come luogo di punizioneriservato ai peccatori immediatamente dopo la morte.

Per la tradizione ebraica Dio è invisibile e inaccessibile. Secondo la fede cristiana, questo Diosi è incarnato nella persona di Gesù Cristo, o Messia, o Figlio Unigenito di Dio, che ha assun-to la completa condizione umana, sino alla morte, senza peraltro cessare di essere Dio.I Cristiani parlano dunque di lui come del “Dio fatto uomo” o del “Verbo incarnato”, mentreEbrei e Musulmani non riconoscono la divinità di Gesù Cristo.

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J

Deriva dal greco hymnos che significa, “canto in onore di una divinità o di un eroe”; si tratta diuna composizione poetica religiosa composta di parecchie strofe cantate. I poemi lirici dellaBibbia sono chiamati di preferenza cantici o salmi; molti passi del Corano, che cantano la glo-ria di Allah o della creazione, presentano notevoli somiglianze con gli inni.

Secondo la tradizione ebraica, la parola JHWH (ovvero le quattro consonanti con le quali siscrive il nome di Dio nella lingua ebraica, detta anche tetragramma, cioè composta appunto daquattro lettere) è il nome che Dio stesso si è dato apparendo nel roveto ardente a Mosè ed èinterpretato con il significato di “io sono”. Le parole Jahvé e Geova sono nate dall’aggiunta divocali al tetragramma.Poiché il nome proprio di Dio è santo, non si può pronunciare; esso viene sostituito da Adonai(che significa “Signore”) o Elhoim (che significa “Dio”).

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L

Sono sette lettere, composte tra il 60 e il 100 d.C., attribuite agli apostoli Giacomo, Pietro, Giovannie Giuda; sono chiamate “cattoliche” cioè “universali” in quanto rivolte all’intera cristianità.

Deriva dal greco leitourghia, “opera pubblica”, e indica l’insieme dei riti, delle preghiere, degli attidi culto che sono rivolti a Dio. Nell’Antico Testamento la liturgia viene celebrata da coloro chesvolgevano funzioni sacerdotali, leviti e sacerdoti, e dal sommo sacerdote all’interno del Tempiocostruito da re Salomone (970-931 a.C.) in presenza del popolo: tutto è regolato da un ritualemolto accurato e minuzioso, scandito da un calendario annuale di feste e con le prescrizioni daseguire per santificare il giorno del sabato, consacrato a Dio e al riposo.Dopo l’esilio a Babilonia e soprattutto in seguito alla distruzione del Tempio (70 d.C.), la litur-gia ebraica viene organizzata nelle sinagoghe, cioè negli edifici di culto, in cui si svolgono lettu-re, canti dei salmi, commenti del Testo Sacro, preghiere. Altre liturgie vengono invece celebratein casa: pranzo del sabato, feste di Pasqua e del Sukkot (o delle Capanne).Il Nuovo Testamento presenta Gesù che partecipa alla liturgia ebraica e accetta di leggere e com-mentare le scritture (Lc 4,16-22). Nelle prime comunità cristiane erano presenti numerosiGiudei convertiti, per cui la loro liturgia si ispirava a quella della sinagoga con l’aggiunta dellacondivisione del pane consacrato e di preghiere specifiche. Nell’ambito liturgico le usanze varia-vano molto da regione a regione e per quattro secoli non furono redatti libri che indicassero conprecisione quali atti liturgici svolgere e in che preciso modo; in seguito vennero stabilite delleregole: ordine di successione in cui pronunciare le parole, gesti, azioni, formule consacrate dal-l’uso, in particolare per quanto riguarda le liturgie del battesimo e dell’eucaristia.Tutte le liturgie cristiane (cattolica, protestante, ortodossa) prevedono una lettura dei testi biblici.

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Nella lingua ebraica si usa la stessa parola per indicare mari e laghi; per questo la Bibbia cita quat-tro mari: il Mediterraneo (chiamato “grandemare o “mare dei Filistei”), il mar Rosso (“mare delleCanne” o “mare di Suf”), il mar Morto (“mare del Sale”, nome dovuto all’alto tasso di salinitàdelle sue acque che impedisce ogni forma di vita) e il lago di Tiberiade (detto “mare di Galilea”o “di Kinneret”, dall’acqua limpida e pescosa).Il mare è fonte di vita, ma poiché quando è in tempesta incute paura, molte mitologie hannovisto in esso un dio o un drago, simbolo delle forze devastatrici da vincere per organizzare ilmondo. Anche nella Bibbia si trova un ricordo di queste credenze (Gb 7,12), ma in questo casoil mare non è mai inteso come una divinità ma come un elemento creato che obbedisce a Dio(Gn 1,6).È al momento della creazione che Dio separa le acque dalla terra (Gn 1,10), e i salmi celebranola potenza della divinità che domina «l’orgoglio del mare» (Sal 89) e «spezza la testa dei mostrisulle acque».Nel Nuovo Testamento esso conserva lo stesso simbolismo religioso: Gesù placa la tempesta chemette in pericolo la sua comunità, cioè i discepoli nella barca (Mt 8,23) e cammina sulle acquedel mare. Il libro dell’Apocalisse ricorda il giorno in cui il mare non ci sarà più (Ap 21,1): saràquello il giorno in cui il male e la morte saranno sconfitti.

Passaggio del mar RossoNel libro dell’Esodo si racconta come il popolo ebreo, fuggito dalla schiavitù dell’Egitto sotto laguida di Mosè, abbia attraversato il mare delle Canne o dei Giunchi, che la tradizione identificaappunto con il mar Rosso, golfo che separa l’Asia dall’Africa. Questomare lasciò miracolosamentepassare gli Israeliti mentre l’esercito egiziano, che li inseguiva con carri e cavalli, rimase impanta-nato nelle paludi e travolto dalla marea (Es 14,15).

Deriva dal latino miraculum, da mirari “meravigliarsi, ammirare”; inizialmente, nella Bibbia, ilmiracolo non è inteso come un prodigio, cioè qualcosa che non ha spiegazione secondo leleggi della natura, ma piuttosto come un segno della potenza di Dio, il quale è la causa di tuttociò che avviene, sia esso conforme o meno alle leggi naturali; miracolo è dunque anche un mes-saggio che Dio rivolge agli uomini. L’intervento di Dio nella natura e nella storia di Israele sve-lano la sua gloria e il miracolo più importante è quello dell’Esodo: Dio opera in favore del suopopolo in maniera inattesa, suscitando l’intervento di Mosè, il quale stende la mano sul mareche si apre, lasciando passare gli Ebrei.I Vangeli riferiscono numerosi miracoli compiuti da Gesù; questi racconti risalgono ai primitestimoni e sono in genere molto sobri. Anche in questo caso i miracoli devono essere intesiprima di tutto come “segni”: essi esprimono un messaggio, accompagnano e confermano leparole di Cristo con un linguaggio concreto, comprensibile a tutti, e sono uno dei modi in cuiviene annunciata la Buona Novella e dimostrato l’adempimento della speranza nel Messia (Mt11,2-6). Per chi li accoglie nella fede, i miracoli sono segni della salvezza che viene da Dio.Al contrario, Gesù si rifiuta di compiere quei miracoli che potrebbero apparire soltanto comedei prodigi e non come simboli della sua dottrina e della sua gloria.

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In diverse religioni il mistero indica un rito religioso segreto, al quale possono prendere partesolo gli iniziati e con il quale cercano di ottenere la salvezza.Nell’Antico Testamento tale termine si incontra negli ultimi libri per indicare un culto segreto(Sap 14, 15-23) o una lingua per iniziati, nota a pochi (Tb 12, 7-11; Eccl 22,22). Nel libro dellaSapienza (6,2) la dottrina sulla natura e l’origine della sapienza viene presentata come mani-festazione di un mistero, di un segreto divino; questo segreto però, diversamente da quantoaccadeva nelle religioni pagane, non è riservato solo a poche persone elette, ma è annunciatopubblicamente a tutti, affinché la sapienza si diffonda il più possibile fra gli uomini. La Bibbiachiama misteri i sogni con i quali Dio vuole rendere noti al re babilonese Nabucodonosor, cheaveva distrutto Gerusalemme e deportato gli Ebrei, i suoi piani segreti riguardanti il furto; que-sti sogni sono considerati misteri poiché sono annunci velati di avvenimenti ancora di là davenire e che possono essere svelati solo da Dio stesso o da un uomo ispirato da Dio.Nel Nuovo Testamento l’essenza del “mistero” di Dio è la vita, la croce e la Risurrezione diGesù, che anticipa la salvezza finale del mondo; ecco perché questa parola, nel vocabolario cri-stiano, designa soprattutto la Pasqua di Gesù che rivive nell’eucaristia.

Villaggio dell’Alta Galilea in cui Maria ricevette l’annuncio della nascita di Gesù (Lc 1,26-38) edove Gesù crebbe. I Giudei disprezzavano questo piccolo villaggio, per cui l’appellativo di“nazareno” (Mt 26,71) rivolto a Gesù aveva un significato irrisorio e negativo. Anche i disce-poli di Gesù vennero chiamati “nazareni”.

Deriva dal greco olos, “tutto”, e kausis, “azione di bruciare”; l’olocausto è il sacrificio di un ani-male (toro, agnello, colombo) interamente consumato dal fuoco sull’altare; questo rito, pres-so gli Ebrei, viene descritto nel libro del Levitico (Lv 1), dove vengono indicati gli animali desti-nati al sacrificio e i diversi riti. Si tratta per lo più di un sacrificio in espiazione di una colpa espesso la stessa vittima assume il nome di olocausto.Oggi questa parola identifica generalmente lo sterminio degli Ebrei da parte dei nazisti nelcorso della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), anche se per indicare tale terribile eventosi preferisce utilizzare il termine shoah, che significa catastrofe.

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Le palme da dattero, che fanno parte della vegetazione tropicale, si trovano nelle oasi del deser-to; la città di Gerico è chiamata “città delle palme”. Nella festa ebrea delle Capanne, dettaSukkot, che ricorda il soggiorno per quarant’anni del popolo di Israele nel deserto dopo la fugadall’Egitto e l’ingresso nella Terra Promessa, i rami delle palme vengono utilizzate per costrui-re una specie di capanna in cui i Giudei dimorano per una settimana all’inizio dell’autunno(Lv 23,42).Le palme vengono indicate come segno di trionfo (Gv 12,13; Ap 7,9) e alle palme viene para-gonato l’uomo giusto (Sal 91 [92],13).

Il pane, generalmente fatto con farina d’orzo, era l’alimento principale degli Ebrei come dimolti altri popoli antichi; nell’antico Oriente il pane non veniva tagliato ma spezzato e l’attodello “spezzare il pane” esprimeva in senso figurato il fatto di “mangiare insieme”, di svolgerein comune il pasto.Esso esso veniva offerto a Dio sotto forma di gallette di pane azzimo (cioè impastato senza lie-vito) spalmate d’olio (Lv 2,1-16).Il significato simbolico del pane è molto presente nella Bibbia: nutrimento per il corpo, e dun-que elemento necessario per il sostentamento fisico, è anche l’immagine del cibo spirituale dicui ogni essere umano ha bisogno. Quando Adamo viene cacciato dall’Eden, Dio gli dice: «Conil sudore del tuo volto mangerai il pane, finché tornerai alla terra» (Gn 3,19). Nella preghieradel Padre Nostro si chiede: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano».Quando il Tentatore si avvicina a Gesù, che dopo aver digiunato quaranta giorni nel deserto hafame, e gli propone di trasformare le pietre in pane, Gesù si rifiuta di operare il miracolo e gli

In ebreo questa parola si dice shalom ed esprime un perfetto stato di benessere, di felicità. InIsraele shalom è un saluto augurale che ci si scambia quando ci si incontra (Gdc 6,23) o ci sicongeda. La pace è anzitutto un dono di Dio, che attraverso il profeta Isaia dice: «Anche se imonti si spostassero e i colli vacillassero, non mi allontanerebbe da te il mio affetto, né vacil-lerebbe la mia alleanza di pace» (Is 54,10). E nei Salmi la pace è presentata come una benedi-zione che riassume tutte quelle di cui Dio colma i suoi fedeli: «In pace mi corico e subito miaddormento: tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare» (Sal 4,9); annunciando la venuta delMessia, ancora Isaia lo chiama «principe della pace» (9,5).È infatti anche nel segno della pace che il Nuovo Testamento presenta Gesù, che compie l’atte-sa messianica: «(Egli verrà per) dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,79). Nel Discorsodella montagna, che è anche una raccolta di sentenze e di istruzioni rivolte ai discepoli, Gesùdice: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,8).Messaggio di pace è anche quello che Cristo affida nell’Ultima Cena: «Vi lascio la pace, vi dò lamia pace. Non come la dà il mondo, io la dò a voi» (Gv 14,27); e secondo Giovanni, dopo laRisurrezione, Cristo saluta i discepoli dicendo: «Pace a voi» (Gv 20,19-20).

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Prisponde, citando il libro del Deuteronomio: «L’uomo non vive soltanto di pane, ma […] diquanto esce dalla bocca del Signore» (Mt 4,1-4).Secondo la testimonianza degli evangelisti, Gesù divide cinque pani d’orzo offerti da un bam-bino e li distribuisce alla folla affamata che lo seguiva senza mangiare da tre giorni, avanzan-done ancora due panieri colmi: è il miracolo della moltiplicazione dei pani, che secondoGiovanni è come la promessa del pane celeste che il Padre offrirà alle anime affamate. Questopane sarà Gesù stesso: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame» (Gv 6,34).Il pane è dunque simbolo del nutrimento celeste e “pane della vita” nella celebrazione eucari-stica.Questo valore sacramentale del pane fu difficilmente tradotto dai missionari quando incon-travano popoli con criteri alimentari differenti: nella Cina l’alimento base è il riso, nell’Americaprecolombiana il mais. Nelle prediche fatte agli Innuit o Eschimesi occorreva parlare di “carnedi foca quotidiana”.

Deriva dal vocabolo persiano pairidaeza, “parco” e, in particolare, riserva di caccia destinata aldivertimento dei re; è l’immagine, considerata antichissima, di un giardino destinato all’inno-cente uomo delle origini, da cui è assente ogni pericolo.La Bibbia dei Settanta (cioè la versione greca dell’Antico Testamento, seguita dai cattolici) indi-ca con questa parola il giardino delle delizie, dove Dio aveva posto il primo uomo (Gn 2,7);qui crescevano l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male e vi scorreva-no quattro fiumi, fra cui il Tigri e l’Eufrate (Gn 2,10).Ma il termine Paradiso venne in seguito a indicare la dimora degli eletti, dove si gode la per-fetta felicità di stare con Dio per sempre dopo la morte, in opposizione all’Inferno.Nel Nuovo Testamento il Paradiso è citato tre volte: Gesù crocifisso dice al buon ladrone postoal suo fianco: «oggi sarai con me nel Paradiso» (Lc 23,43); Paolo ricorda un’estasi vissuta per-sonalmente, «Conosco un uomo in Cristo che […] fu rapito in Paradiso e udì parole indicibi-li che non è lecito ad alcuno pronunciare» (2Cor 12,4); infine, nell’Apocalisse (2,7) viene pro-messo «Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio».

Gli antichi Israeliti erano un popolo di pastori e la Bibbia contiene numerose citazioni sullaloro vita; nella forma economica in cui si organizzava la civiltà ebraica, i ricchi proprietari tene-vano alle dipendenze dei salariati per sorvegliare il gregge, combattere contro i ladri e gli ani-mali selvatici, condurre le bestie ai pozzi per abbeverarle e riportarle nei recinti di sera. Il pasto-re è dunque l’immagine simbolica di chi si prende cura di qualcuno, lo accudisce e custodisce.La bontà di Dio verso il suo popolo è spesso paragonata alla cura attenta che il buon pastorerivolge alle proprie pecore: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla; su pascoli erbosimi fa riposare» (Sal 22 [23],1-2). Questa simbologia viene spesso utilizzata dai profeti e, in par-ticolare, da Ezechiele quando rimprovera ai re di Israele di essersi arricchiti senza prendersi curadel gregge: «Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese» si lamenta Dio e annuncia chesi occuperà lui stesso del suo gregge e che farà sparire dal paese le bestie nocive (Ez 34).L’evangelista Matteo non manca di ricordare, al momento della nascita di Gesù, quanto avevaprofetizzato Michea, e cioè la venuta a Betlemme di un pastore che farà pascere il gregge di Dio;

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e Giovanni riprende l’immagine del Buon Pastore che, a differenza del mercenario che fugge difronte al pericolo, rischia la propria vita per salvare il proprio gregge (Gv 10).Gesù dichiara esplicitamente di essere il Buon Pastore che offre la propria vita per la salvezzadelle sue pecorelle (Gv 10, 27-30).

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In molte religioni antiche i pesci sono associati alla divinità dell’amore e della fertilità natura-le ed erano utilizzati in pasti e sacrifici a sfondo sacro.All’epoca delle persecuzioni, i primi cristiani adottarono l’emblema del pesce come segno diriconoscimento segreto per il fatto che le lettere della parola greca che designa il pesce, IKH-TUS, sono le iniziali delle parole Iesús Khristós Theóu Uiós Sotér, cioè Gesù Cristo Figlio di DioSalvatore. Proprio in riferimento a ciò, le persone da poco convertite al Cristianesimo eranochiamate pisciculi (pesciolini) e il pesce stesso veniva considerato, insieme al pane, come il sim-bolo del pasto divino.

Questa parola compare in numerose espressioni dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Pietra d’inciampoÈ un ostacolo, una difficoltà contro cui si può urtare. Nella Bibbia è anche una trappola, un tra-nello in cui si cade; Dio si qualifica come “una pietra d’inciampo”, uno “scoglio che fa cadere”(Is 8,14) e Pietro riprende questa immagine per parlare di Gesù (1Pt 2,8), che è pietra d’in-ciampo, scandalo per i credenti e per gli increduli, occasione di caduta per i discepoli.

Pietra angolareÈ una pietra fondamentale per una costruzione, posta all’angolo esterno. In un oracolo dellibro di Isaia, Dio dice: «Ecco, io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, prezio-sa, saldamente fondata» (Is 28,16). Nel Salmo 117 si legge: «La pietra scartata dai costruttori èdiventata testata d’angolo» e Gesù farà propria questa frase.

Scagliare la pietra addossoa qualcunoSignifica “accusare”, “incriminare”. Secondo la legge giudaica, la morte per lapidazione, cioè l’uc-cisione a colpi di pietra, era inflitta per i reati di idolatria, di stregoneria e di adulterio(Dt 22,22). A coloro che si apprestavano a lapidare una donna adultera secondo questa prescri-zione, Gesù dice: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7).

Cuore di pietraIndica una persona dura ed egoista, inaccessibile all’amore di Dio e degli uomini (Ez 36,26).

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Il Purgatorio è stato concepito come un aldilà intermedio fra l’Inferno e il cielo o Paradiso,dove alcuni morti, rei di peccati non gravi, subiscono la prova del fuoco che può venire abbre-viata con l’aiuto spirituale dei vivi.Il Purgatorio non ha fondamento nelle Sacre Scritture, ma nella predicazione di GiovanniBattista si trovano immagini di purificazione col fuoco: «Egli [Gesù] vi battezzerà in SpiritoSanto e fuoco» (Mt 3,11) e nella Lettera di Paolo: «Il fuoco proverà la qualità dell’opera di cia-scuno» (1Cor 3,13).Sant’Agostino, dopo la morte di sua madre, Santa Monica, rifletté a lungo sui peccati lievi, sullasolidarietà fra i vivi e i morti, sul tempo che separa la morte individuale dal GiudizioUniversale. Questa riflessione, continuata nei secoli seguenti, portò fra il 1150 e il 1250 a cre-dere nel Purgatorio. L’idea venne formandosi in una società che aveva un forte senso della giu-stizia e un sistema di pene molto elaborato, dove ci si preoccupa delle situazioni intermedie fraricchi e poveri, fra clero e laici.La Chiesa conferma il potere dei vivi di fornire un aiuto spirituale alle anime dei defunti, affer-mando in tal modo il suo stesso potere.

Nella Bibbia la preghiera significa rivolgersi direttamente a Dio, come un interlocutore bene-volo e amorevole, che legge sulle labbra e nel cuore. Nell’Antico Testamento si trovano moltiesempi di preghiera: sia richieste di beni materiali o spirituali (a Dio ci si può rivolgere per que-sto scopo in virtù dell’Alleanza, purché lo si faccia con cuore puro), sia lodi e ringraziamenti.Nel mondo ebraico la forma naturale di preghiera era quella collettiva (prima nel Tempio e poinelle sinagoghe). Gesù, che pure frequentava il Tempio e la sinagoga, amava anche appartarsia pregare in luoghi isolati, prediligendo la preghiera come dialogo intimo, fiducioso e umilecon il Padre. Su richiesta dei discepoli propose come modello di preghiera il Padre Nostro, incui si riprendono molti elementi dello Shema Israel, la preghiera fondamentale degli Ebrei, reci-tata al mattino e alla sera.Nella Chiesa primitiva si instaurò l’uso di indirizzare preghiere anche ai martiri e ai santi, deter-minando alcuni eccessi posti sotto accusa dalla Riforma nel XVI secolo.

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Nell’Antico Testamento, fino al II secolo a.C., gli Ebrei ritenevano che dopo la morte gli uomi-ni andassero a stare nello Sheol, un luogo tenebroso e separato da Dio. Essi dunque non con-dividevano l’idea di risurrezione che invece era accolta da alcuni popoli loro vicini (per esem-pio gli Egizi, i Mesopotamici e i Cananei ritenevano che alcune divinità morissero e risuscitas-sero secondo il ciclo delle stagioni) e ritenevano il Dio unico il Vivente e Signore della vita edella morte. L’unica sopravvivenza riconosciuta era quella attraverso i posteri e il popolo.Dal II secolo in poi, in concomitanza con il martirio di molti Ebrei da parte del re di SiriaAntioco Epifane, nacque una nuova speranza nel fatto che Dio avrebbe suscitato un mondoradicalmente nuovo. La risurrezione individuale fu affermata per la prima volta dal profetaDaniele, il cui libro omonimo fu composto durante la persecuzione di Antioco (Dn 12,2) e sene trova una definizione compiuta in un testo sapienziale che risale a cinquant’anni prima diCristo (Sap 3,2-9).All’epoca del Nuovo Testamento la fede nella risurrezione dei morti nel giorno del Giudiziofinale era controversa e in particolare suscitava perplessità la risurrezione della carne.Gesù compì vari miracoli richiamando in vita persone morte e questi eventi vengono chiama-ti “risurrezioni”. In realtà, si tratta di rianimazioni perché queste persone torneranno a morire.Invece la Risurrezione di Cristo si colloca su tutt’altro piano: non un ritorno all’esistenza ter-rena, ma un passaggio a una vita definitivamente sottratta alla morte. La fede nella Risurrezionedi Gesù è il cardine del Cristianesimo che dalla fede in questo avvenimento (come spiega sanPaolo in 1Cor 15,14) trae il suo significato.

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Come altri popoli, gli Ebrei attribuivano al sale un valore di purificazione: «Dovrai salare ognitua offerta di oblazione […]; sopra ogni tua offerta offrirai del sale» (Lv 2,13); il discepolo delprofeta Elia, Eliseo, utilizzerà del sale per purificare la fonte di Gerico.I nomadi utilizzavano il sale nei pranzi di amicizia o per sancire un’alleanza: da qui deriva l’e-spressione “alleanza di sale” per esprimere la stabilità e la saldezza dell’Alleanza fra Dio e il suopopolo (Nm 18,19).Il sale è simbolo di sapienza, purezza, forza morale; Gesù dice ai suoi discepoli: «Voi siete ilsale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A nul-l’altro serve che a essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5,13; Lc 14,34).Al momento del battesimo il nuovo cristiano riceve in bocca alcuni grani di sale accompagna-ti dalle parole: «Ricevi il sale della sapienza; che ti aiuti a ottenere il perdono per giungere allavita eterna».

Il salmo è un poema religioso; la parola “salterio”, che designa la raccolta dei 150 salmi con-tenuti nella Bibbia, deriva dal greco psalterion, che indica uno strumento a corde che accompa-gnava i canti. I salmi biblici sono di epoche e di autori differenti, ma alcuni di essi sono attri-buibili a Davide, che fu re d’Israele dal 1010 al 970 circa a.C.Il salterio raggruppa poemi di vario genere che rispondono a intenzioni e occasioni diverse:inni per celebrare il regno di Dio o la città santa, suppliche individuali o dell’intera nazioned’Israele, canti di rendimento di grazie, lamentazioni o preghiere di lode, di domanda, di peni-tenza. Rappresenta la raccolta di canti religiosi d’Israele dapprima legata alla liturgia che si svol-geva nel tempio, quindi alla preghiera della sinagoga.Ai salmi si ispira la preghiera di Gesù e di Maria (Magnificat, Lc 1,46 ss.) e le ultime parole diGesù morente si ispirano a questa stessa fonte: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandona-to?» (Sal 21[22],2) e «Mi affido alle tue mani» (Sal 30[31],6).I salmi occupano un posto privilegiato nella liturgia della Chiesa cristiana, che li fa propri dan-done lettura.Molti passi del Corano in gloria di Allah hanno una forma e una scansione che si rifà a quellacaratteristica dei salmi.

Dio è il santo per eccellenza cioè il “separato” e in lui è santo il popolo d’Israele, che Dio haseparato dagli altri per farne il suo popolo e realizzare il suo disegno di salvezza.Lo Spirito che scende sopra gli apostoli a Pentecoste è Santo in quanto Spirito di Dio.Nella comunità primitiva erano chiamati santi coloro che venivano battezzati in Gesù, in quan-to santificati attraverso il Cristo. Con il martirio dei fedeli al Cristianesimo si instaurò il cultoverso i martiri, morti per aver testimoniato la morte e la Risurrezione di Gesù. In seguito il cultosi estese a coloro che, pur senza essere martirizzati, proclamarono la loro fede in Gesù Risortoe a coloro che condussero una vita esemplare.Il primo cristiano fu canonizzato nel 993 e da quel momento il culto dei santi assunse note-

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vole estensione, manifestandosi con pellegrinaggi nei luoghi in cui i santi erano vissuti o morti,processioni, culto delle reliquie. Questo culto fu giudicato scandaloso dalla Riforma del XVI

secolo, che lo bandì. La Chiesa cattolica invece continua a beatificare (proclamare beato) e acanonizzare (dichiarare santo) coloro che hanno esercitato le virtù evangeliche con eroismo.

V

È il nome di due città del mar Morto, famose per i molti peccati dei loro abitanti: Dio non trovain esse nemmeno dieci uomini giusti (Gn 18,32) e per punirle le distrugge facendo pioverezolfo e fuoco. L’unico a essere risparmiato è Lot, nipote di Abramo, reputato unico privo dicolpe. Secondo il racconto biblico (Gn 19,26), la moglie di Lot, venendo meno al divieto divi-no, durante la fuga si volta indietro per guardare la distruzione delle città e viene tramutata instatua di sale.I profeti citano le due città come esempio di corruzione ed empietà e, nell’Apocalisse,Gerusalemme sarà chiamata Sodoma.

Il Genesi attribuisce l’invenzione della vinificazione al patriarca Noè (Gn 9,20), in tal modoconfermando l’antichità della coltura della vite, attestata in Oriente e in Egitto già dal III mil-lennio a.C.Il vino era offerto in libagione con l’olocausto quotidiano nel Tempio di Gerusalemme (Es29,40). Nella consumazione privata veniva generalmente allungato con acqua e l’ubriachezza,così come tutti gli eccessi, era formalmente condannata (Prv 20,1; 23,29-35); esso era parteessenziale del banchetto pasquale.A Cana Cristo, invitato a un banchetto di nozze con Maria e i discepoli, tramutò miracolosa-mente l’acqua in vino per ovviare all’impaccio degli sposi, poiché al banchetto nuziale eravenuta meno la presenza della bevanda; Gesù compì il miracolo per l’intercessione di Maria,sottolineando che per lei faceva un’eccezione circa il tempo stabilito dal Padre per la sua primamanifestazione di Messia (Gv 2,4).Durante l’Ultima Cena, Gesù presenta la coppa di vino ai suoi apostoli dicendo: «Questo è ilmio sangue» (Mt 26,27; Mc 14,23); nella liturgia cristiana il vino è dunque il simbolo del san-gue di Cristo sacrificato.

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Il presente fascicolo è parte integrante di:M.R. Poggio, La Radice di Jesse 1e non è vendibile separatamente

Il processo di progettazione, sviluppo editoriale,gestione della stampa e distribuzione di libri scolasti-ci e relativi supporti didattici multimediali è conformealle prescrizioni qualitative delle Norme e avvertenzetecniche per la compilazione dei libri di testo emana-te dal M.P. I. con relativo decreto. Il marchio attestache la SEI è certificata in riferimento alla norma UNIEN ISO 9001 edizione 2000.

Uno strumento agile per entrare nel mondo della Bibbia,per conoscerlo più a fondo e con maggiore precisione,

individuandone i principali luoghi,approfondendone i concetti, interrogandone i simboli.Un patrimonio di fede e di cultura offerto e chiarito

nei suoi elementi essenziali; un contributo per indagarei perenni influssi del mondo biblico sulla civiltà occidentale.

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