[Corso di METODOLOGIA della PROGETTAZIONE] Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate A.A. 2015/2016
Titolare della Cattedra: Prof. Arch. Gaetano CATALDO
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AUSILI DIDATTICI - COMPENDIO DELLE LEZIONI.14
I LABIRINTI DELLA MENTE
“Noi preferiamo le vie tortuose per arrivare alla verità.”
F. Nietzsche, Ecce homo, autobiografia nella quale rivede la sua vita sotto i brucianti chiaroscuri del rapporto
dionisiaco/nichilismo.
La psiche è un termine tradizionalmente usato per individuare l’insieme di quelle funzioni cerebrali, emotive,
affettive e relazionali dell’individuo, che esulano dalla sua dimensione corporea e materiale. Metaforicamente la
psiche fa riferimento a un’astrazione concettuale, che include al suo interno componenti diverse, quali facoltà
conoscitive, intellettive e razionali come la coscienza, ma anche fattori irrazionali come l’inconscio o l’anima.
Omero vede la psiche (anima) come qualcosa che caratterizza ogni singolo individuo e che abbandona il corpo,
fuoriuscendo dalla bocca, oppure da una grave ferita, nel momento della morte. In quanto soffio vitale, cioè
anemos, automatica è stata la sua traduzione con anima nella tradizione filosofica posteriore. Il concetto di anima
è ripreso da Aristotele e meglio definito e teorizzato come causa della vita, cioè “forma” del corpo.
Il concetto viene poi riformulato, nel XVII sec., da Cartesio nella res cogitans intesa come elemento divino
calato nell’uomo contrapponendola al corpo quale res extensa e quindi parte della materia cosmica in generale e
realtà fisica a sua volta estesa, limitata e inconsapevole.
Dal XIX secolo in poi, con la nascita della psicologia, il concetto perde i significati mitici e religiosi, per
assumere quello tecnico di funzione encefalica. Di volta in volta i vari ambiti culturali ed i vari pensatori hanno
definito variamente la psiche, sottolineando uno o più aspetti di essa, per questo oggi il termine non è univoco
ma fa riferimento a tre concetti distinti:
- in ambito religioso: psiche come essenza spirituale;
- in filosofia: psiche come insieme delle facoltà mentali e conoscitive;
- in psicologia: psiche come complesso di funzioni non corporee.
Il termine mente è comunemente utilizzato per descrivere l’insieme delle funzioni superiori del cervello nelle
quali si può avere soggettivamente coscienza: la ragione, la memoria, l’intuizione, la volontà, la sensazione e
l’emozione.
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All’uso del termine in senso neurofisiologico si affianca un utilizzo di tipo metafisico. In tale prospettiva la
Mente diventa qualche cosa di divino (la mente di Dio) e assume qualità pensanti (la mente superiore nel Dio di
Spinoza).
Alcune teorie prescientifiche sono focalizzate sulla relazione tra mente ed anima, presunta essenza
sovrannaturale della divinità in ogni uomo. Le teorie scientifiche più moderne vedono la mente come fenomeno
psicologico utilizzato come sinonimo di coscienza. Le più alte funzioni intellettive costituiscono la mente: la
ragione, l’intuizione, l’intenzionalità e la memoria.
Le emozioni (amore, odio, paura, gioia) hanno una natura più primitiva e soggettiva ben distinta dalla natura
della mente.
Freud non ha mai negato che la mente sia una funzione del cervello, ma essa ha una sua coscienza che non
possiamo controllare; nella sua teoria dell’inconscio i processi mentali di cui gli uomini sono coscienti non
costituiscono che una piccola parte dell’intera attività mentale.
La teoria dell’inconscio di Freud, non dimostrabile empiricamente, è stata assorbita nella cultura occidentale ed
ha influenzato la comune rappresentazione della mente. Nella Teoria della rimozione l’inconscio è un
contenitore all’interno del quale sono riposte le esperienze spiacevoli, drammatiche, conflittuali nel quale
ognuno sposta tutto ciò che ha vissuto in maniera traumatica. L’inconscio è una struttura della personalità
caratterizzata da passioni e istinti spiacevoli che dimentichiamo grazie alla teoria della rimozione; queste
esperienze, però, riaffiorano come energie e forze pulsionali come una sorta di soddisfazione sostitutiva. La
tecnica della rimozione freudiana si fonda sulle libere associazioni indotte da uno stimolo senza limiti (tecnica
delle libere associazioni) come in un viaggio della mente in un labirinto.
I Modelli mentali: la complessità delle funzioni mentali ha indotto antropologi, psicoanalisti, filosofi e
neurofisiologi a cercare di individuare strutture mentali a cui attribuire le categorie funzionali di pensiero, lavoro
dei neuroni e delle sinapsi. I primi modelli mentali noti sono quelli psicoanalitici nelle diverse elaborazioni che
hanno apportato mutamenti importanti. Un modello si presenta come una vera e propria struttura mentale, estesa
tra irrazionalità e razionalità, spostando la psicoanalisi al livello filosofico.
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Carl Gustave Jung elaborò la teoria dell’energia psichica: la libido non è solo una pulsione sessuale, ma una vera
e propria energia psichica che si esprime nell’uomo sotto forma di tendenze e desideri. È lo slancio vitale che
spinge verso la propria realizzazione.
L’inconscio secondo Jung è il luogo di un’attività psicologica diversa, più oggettiva dell’esperienza dell’Io, in
diretta relazione con le radici della specie: l’inconscio collettivo si esprime con il linguaggio archetipico dei
simboli, con immagini e fantasie.
Gli archetipi di cui parla Jung sono rappresentazioni interiori di pre-strutture ereditarie che l’Io costruisce a
partendo dalla realtà esterna. Le immagini archetipiche sono quattro: Persona, Ombra, Anima/Animus e Sé.
Compaiono nei sogni e rivelano al sognatore le alternative alla realtà esterna.
1. La Persona rappresenta il ruolo definitivo che ogni individuo deve avere nella nostra società; in questo senso
essa può essere diversa dalla reale individualità, ma è funzionale a difendere l’individuo da un impatto troppo
diretto tra la realtà esterna e la realtà del proprio mondo interiore.
2. L’Ombra è simile al rimosso freudiano, non è realmente inconscia e inconsapevole, ma soltanto non
consapevole; solo se un individuo vuole realmente essere onesto con sé stesso è in grado di vedere la propria
Ombra.
3. L’Anima rappresenta l’immagine interiorizzata che ogni uomo ha del femminile e l’Animus l’immagine
interiorizzata che ogni donna ha del maschile. Secondo Jung, Animus e Anima orientano la scelta dei nostri
legami affettivi e rappresentano le istanze più profonde della personalità, che noi proiettiamo sugli altri.
4. Il Sé è l’immagine archetipica centrale della psiche: viene rappresentato nei sogni da una persona di carattere
eccezionale o da un animale che rappresenta la natura istintuale del sognatore ed i legami di questa con
l’ambiente esterno in cui vive.
I modelli psicoanalitici non considerano la mente una struttura unitaria ma un insieme articolato, dove le singole
funzioni mentali sono connesse, ma non sempre univoche.
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Lo studio dell’articolazione delle funzioni mentali è presente nelle più avanzate ricerche delle scienze cognitive,
costrette ad ammettere la complessità della mente e l’impossibilità di assimilare il cervello umano ad un
computer.
Il labirinto nell’arte
Di questo archetipo sono state date le interpretazioni più disparate in filosofia, psicologia, psicanalisi, pittura,
architettura e scultura. Questo è dovuto alla potenza creativa di questo simbolo, in grado di risvegliare
nell’inconscio individuale le esperienze collettive, ancestrali, ereditarie comuni a tutta l’umanità.
Come ogni archetipo suscita in noi un mondo di immagini tramandate nella memoria della specie, sotto forma di
rappresentazioni o di ricordi, conseguenza della sollecitazione del deposito mnemonico derivato dalla
condensazione di esperienze similari; esse lasciano nel subconscio tracce profonde che si concretizzano in
predisposizioni latenti, capaci di guidare la nostra Weltanschauung (visione del mondo) o influenzare i nostri
rapporti con il mondo.
Questo significa cercare di individuare in noi le tracce latenti della conoscenza, comuni a tutti gli uomini,
accumulate ed adagiate nel nostro subconscio come residui di un passato ancestrale: riflettono la storia evolutiva
della specie umana e ora si presentano, come nella caverna platonica, simili a tremolanti ombre di uno schema
senza tempo.
Un’etimologia è quella di Labra o Laura, indicanti la cava, la caverna e la miniera e i loro rocciosi cunicoli: è il
luogo dove dimora la dea ctonia Tou Labrous, caverna consacrata a una dea litica. Il Labirinto incarna il motto
alchemico per eccellenza V.I.T.R.I.O.L.: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem
(Visita l’interno della terra, e rettificando troverai la pietra nascosta che è la vera medicina). Secondo gli
Alchimisti il Labirinto è un’immagine del lavoro dell’Opera con le sue difficoltà e della Via da seguire per
raggiungere il Centro dove avviene il combattimento tra le due Nature dell’Uomo, la Divina e la Bestiale, lo
Spirito e la Materia: quella del cammino che l’Artista deve percorrere per uscire e pervenire alla Luce. Il profano
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viene condotto di fronte all’entrata della Caverna della Grande Madre Terra per una selezione magica, basata sul
superamento di prove fisiche, caratteriali e animiche secondo i dettami delle antiche Scuole Iniziatiche.
Il significato simbolico di questo archetipo è il percorso interiore, il viaggio che molti intraprendono verso la
Conoscenza, ma che pochi sanno perseguire e concludere. Come ammonisce un adagio delle Antiche Madri:
Partire non è Arrivare.
Il viaggio di Dante è un percorso liberatorio verso la salvezza. Il labirinto ha il principio della ricerca della
liberazione, della rivelazione, che egli raggiunge con il suo viaggio immaginario. Non importa il modo con cui
noi la cerchiamo o il nome che noi attribuiamo a questo viaggio spirituale nell’anima, l’importante è l’essere
sempre alla ricerca continua: “Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso/ripresi via per la piaggia diserta/sì che 'l
piè fermo sempre era 'l più basso.”
Questo segno iconografico interpreta un’idea archetipa universale e assoluta; evidenzia nella sua stessa forma
quell’itinerario mentale che ha accompagnato l’uomo nella storia e nel suo tortuoso cammino di conoscenza. Il
labirinto è ancora un enigma dal punto di vista strettamente etimologico.
Il '900 ha annunciato la fine della tradizione dei linguaggi materializzando il desiderio di liberarsi da qualsiasi
centro gravitazionale; all'ordine cartesiano si avvicenda un disordine labirintico estremamente stimolante e
fecondo dal punto di vista artistico: esso si palesa come scoperta dell'indicibile, dell'instabile, dell'illogico ed
interpreta un linguaggio disarticolato e asintattico, contribuendo a ridefinire la figura dell'artista e dello stesso
codice pittorico.
Le avanguardie, attraverso un programma generale di dilatazione, “scoprono il valore dell'interferenza e della
discontinuità, dell'irruzione del caso che entra continuamente in gioco in ogni attività, in ogni ambito della vita”
(A. Bonito Oliva), violando, di fatto, le proverbiali barriere che separavano lo spazio virtuale della sfera estetica
da quello reale della sfera fenomenologica.
Bonito Oliva ha dedicato al labirinto contemporaneo un saggio imperniato sull'idea del labirinto come opera
d'arte che l’Artista/Teseo, munito della spada, del gomitolo e del proprio coraggio, crea percorrendo ed
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esplorando i meandri del linguaggio: uccide la bestia, portatrice di una doppia natura come il linguaggio ed
infine riemerge alla luce.
“Il Minotauro è la mostruosità del linguaggio, la sua diversità rispetto alla lingua comune. L'opera d'arte, il
compimento dell'opera, dell'impresa da parte di Teseo richiede l'abbattimento del mostro, la morte del nucleo
del linguaggio. L'impresa dell'eroe parte dunque dall'affermazione della morte e continua a dipanarsi attraverso
il filo d'Arianna”.
L'artista abita di diritto la realtà del linguaggio; è il solo a possedere l'astuzia e la tecnica necessarie per
attraversare e sfidare tutti i suoi percorsi: “non esiste la sicurezza della vittoria ma la necessità di affrontare la
prova che non consente deroghe od inganni, pena la perdizione e la caduta fuori dall'esemplarità dell'opera
d'arte”. In questo luogo, che potremmo definire come silenzio imparziale, Teseo affronta la vertigine della sfida,
sollecitato da una missione da portare a compimento.
Questo impegno è assunto dall'artista al fine di giungere al centro, di accedere all'ambiguità dell'inconscio: “Il
lavoro artistico deve avvenire nella necessità di uno stato catacombale e clandestino, fuori dalla portata di tutti,
fuori dallo sguardo degli altri”. Nel labirinto l'artista non ha bisogno dello sguardo del mondo, l'oscurità non è
più assenza di luce; è una continua sperimentazione, è consapevolezza, svelamento, è la verità irresistibile
dell'arte, l'irrazionale della ragione, lo scarto che mette a nudo la verità delle cose: “è stata la tela del ragno a
suggerire all'architetto dei labirinti lo schema dei corridoi e delle trappole, così che l'artista, che avanza lungo
queste vie, si lascia dietro le spalle la sorpresa che gli riserva, al termine della sua inquieta passeggiata, la
grandiosa festa dell'immaginazione.” «La struttura adottata dal linguaggio per eludere la necessità del
significato e trovare una motivazione alle urgenze dell'immaginario ha spinto l'artista ad adottare la strategia
dell'esitazione, in cui salta il valore del progetto, a favore di un puro errare della fantasia». L'arte vive sotto il
segno del labirinto “portatore di una coscienza metalinguistica del proprio operare”. Più che dare delle risposte
propone delle domande, opera sulla verità, non si abbandona al tempo ma lo precede. Il linguaggio stesso, è
governato da un'erranza assoluta, un nomadismo che l'artista assume come modalità, avendo abbandonato ogni
orientamento che potesse guidarne i passi. L'arte destruttura la sua mentalità tradizionale per accedere al mito,
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fonda un territorio magico, il luogo della totalità, lo strumento che consente di aprire il reale verso relazioni
inedite ed imprevedibili.
L'opera d'arte agisce più che sulla superficie delle cose, sulla “sostanza biologica” che le regge, pronta ad
allargare il proprio influsso sviluppando una tensione al dubbio che diviene, per l'artista, una sorta di
procedimento perpetuo, nel tentativo di formulare una risposta alla domanda primaria.
L'arte con il Futurismo è sconfinamento, accoglie le istanze stabilite dalla trasformazione tecnologica
assumendole come principi nella sua poetica: ragiona in termini globali, totalizzanti, al di là delle comuni
concezioni dello spazio e del tempo, nonché dei confini imposti dalle singole arti. In sintonia con questa
dialettica, Balla sviluppa i suoi labirinti astratti attraverso gli studi sulla luce e il colore. L'immagine sorge e
prolifica dalla scomposizione della luce per schemi geometrici. Il triangolo è l'elemento generatore: questa
soluzione formale, unitamente ai motivi del cerchio e della spirale, cui Balla sovente ricorre, «nelle scienze
occulte hanno funzione di forme simboliche vicine, o equivalenti, a quella del labirinto». La serie delle
Compenetrazioni iridescenti esplora questo profondo vincolo. Gli stessi motivi servono a rappresentare anche la
meccanica dei cieli: in Mercurio passa davanti al sole suggerisce la compenetrazione e il dinamismo delle forme
geometriche. Questa ricerca compositiva preannuncia l'immagine del labirinto: la configurazione dell'archetipo
evolve dalla spirale e dal cerchio. Balla prescinde dal rappresentare il simulacro visivo, per passare alla concreta
possibilità di ampliare l'esperienza sensibile, aspirando a dare sostanza all'invisibile, all'imponderabile,
all'essenza.
Klee reinventa il mondo e rende visibile quanto di occulto e misterioso è racchiuso in esso; è stato il primo
artista che si sia inoltrato nell'inconscio: “l'operazione artistica, per Klee, è simile a quella del ricercatore che,
ricorrendo ai mezzi tecnici, rende visibili i microrganismi che non sarebbero visibili e che popolano le regioni
profonde della memoria inconscia”. L'artista è uno scienziato che rivela celate relazioni e le traduce in immagini
che prendono la forma di architetture, di città immaginarie, labirinti, al cui interno si dipanano elementi organici,
simboli, ideogrammi. Un mondo disseminato e disorientato che dichiara un desiderio imperioso di libertà.
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Nell'opera di Klee c'è una direzione cui è risparmiata la perdita irrimediabile dell'orientamento, è una strada
principale intersecata da strade secondarie che formano un intrico vertiginoso. Per orientarsi occorre possedere il
dono del distacco e del calcolo, l'astuzia di Teseo, il sapere di Arianna, avere coscienza delle proprie capacità ma
anche dei propri limiti, lavorare d'introspezione. “Il labirinto non è propriamente la perdita definitiva della
direzione certa, è piuttosto la privazione della visione prospettica e dell'esatta percezione della profondità”. I
punti di fuga sono molteplici, è una spazialità ambigua che ci attrae e ci respinge in un tempo.
Una componente mistica di derivazione teosofica si affaccia anche nella cultura labirintica di Mondrian,
impegnato nella costante ricerca dell'universale e in quella che lui chiama realtà pura attraverso un processo di
astrazione che contempla un'operazione di riduzione e sintesi degli elementi del reale. Questa evoluzione è
testimoniata dalla serie dedicata all'albero, una figura che dichiara valenze e riferimenti simbolici: è una delle
componenti più importanti tra quelle che concorrono a costituire la sfera del labirinto, cioè il centro. Il labirinto
di Mondrian “è verticale, come il segno dell'albero che si sviluppa verso l'alto, seppure con tensioni laterali”.
L'artista utilizza pochissimi elementi del linguaggio visivo: brevi linee orizzontali e verticali che si incrociano
fino a creare una griglia labirintica. “Mondrian si fa campione dell'analisi linguistica e attraverso questa offre la
sua reale rivoluzione labirintica”.
Mirò dimostra il suo interesse per la leggenda del Minotauro: la spirale è il modello presente in ogni sua opera
che prende vita con fogge e accezioni differenti. La linea vibrante crea tracciati calati in atmosfere sospese e
incantate, di sapore metafisico, e segue quel filo d'Arianna, il pensiero inconscio interiore che trapela e si risolve
nella superficie dell'immagine visiva. Mirò configura i suoi miti in un universo magico con una scrittura
elementare, ludica, libera; scopre la spontaneità dei disegni infantili, il disimpegno del gioco, una delle migliori
definizioni di labirinto. Nelle Costellazioni il labirinto trova la sua più piena e significativa ragion d'essere con
una superficie brulicante di segni spiraliformi, punti e linee arabescate, fino a creare una sorta di struttura
labirintica assimilabile quasi ad una ragnatela.
Magritte gioca con gli spostamenti del senso con lo spaesamento, con accostamenti incongrui, stridenti e
deformazioni, esplicitando visivamente il meccanismo concettuale del linguaggio. Il suo microcosmo labirintico
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è nutrito di simboli ripetuti “il grembo, il vaso, la casa, la grotta, l'uovo, cui si affiancano le immagini archetipe
della terra, del mare e del cielo”. Il labirinto e la caverna sono legati ambedue alla stessa idea di un viaggio
sotterraneo, a cui è sotteso poi un significato iniziatico. Il disegno labirintico è connesso con “la raffigurazione
dei nodi e degli intrecci” e la pittura di Magritte si manifesta nella capacità di far emergere il mistero, l'enigma.
Il mito greco riveste un ruolo principale nell'opera di Fabrizio Clerici: la sua opera si abbandona agli strati più
profondi dell'inconscio, evocato in immagini oniriche e sogni allucinati; alla matrice surreale abbina la
metafisica che gli permette di evocare il “cuore misterioso che le antiche civiltà hanno lasciato sepolto sotto le
rovine; l’archeologia del presente, individuale, coincide con l'archeologia del passato, collettiva”.
Le scenografie teatrali “rivendicano la doppia spazialità dell'illusione e della costruzione” con i miraggi dello
spazio, i trompe-l'oeil, le anamorfosi. La fantasia vi riversa il suo virtuosismo, il fantastico vi trova il suo
alimento. Giocare con lo spazio significa riconoscere, e stimare, la realtà dello spazio e “attestare il diritto per
tutti di costruirvi a piacere la casa della propria immaginazione”. In questo modo “la logica del visibile è al
servizio dell'invisibile: niente è più irreale dell'architettura: il labirinto, la torre di Babele”. è in questa
dimensione di realismo magico egli rievoca il mito del Minotauro come topos tematico ricorrente. La tela del
ragno suggerisce all'architetto dei labirinti lo schema dei corridoi e delle trappole, così che l'artista, che avanza
lungo queste vie si lascia dietro le spalle la sorpresa che gli riserva, al termine della sua inquieta passeggiata, la
grandiosa festa dell'immaginazione. Il mito greco, tuttavia, non riaffiora solo come mera reminiscenza
archeologico/onirica ma diviene metafora visiva delle relazioni tra uomo e cosmo.
Le Strutture primarie che Robert Morris elabora sono prive di elementi connotativi, elementari nella forma e nel
colore si impongono nello spazio contraendo e dilatando l'ambiente in cui sono collocate; la tipologia delle
strutture offre la possibilità per lo spettatore di divenire elemento attivo nella sua percezione spaziale. La
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condizione di movimento, di circolazione costringe lo sguardo alla ricerca di punti fissi, scardinati dal sistema di
relazioni dei materiali installati. Ciò consente di intraprendere un vero e proprio percorso labirintico.
Morris ha realizzato per il parco di Celle (PT) un labirinto a forma di triangolo equilatero rivestito di marmo;
l'opera si colloca in un contesto rivolto alla fruizione pubblica ed è dotata di un varco di 80 centimetri che
introduce il visitatore in un corridoio formato da pareti alte 2 metri; avanzando lungo l’unico cammino
percorribile si avverte il disagio per quelle righe che si deformano lungo il pendio creando forti illusioni ottiche e
una sorta di vertigine. Il risultato è un labirinto che sfida la percezione e l'orientamento.
Le opere di Mario Merz sono strutture di espansione fisica e mentale con un ruolo emblematico per la sua
profonda ricerca sulle leggi del mondo naturale, che lo porta a ribellarsi contro l'ordine costituito che l'uomo ha
cercato di imporre. Il mondo organico è il territorio da cui attingere nuove forme estetiche già costituite, per
ritrovare l'esperienza originale dell'arte e il massimo di libertà. Nel suo lavoro “il labirinto non può essere un sito
concluso” e la spirale è la forma che privilegia e segnala il senso di un accrescimento legato al ritmo biologico
della natura. L'igloo, costruzione archetipa primaria, nasce dallo sviluppo in tre dimensioni di una spirale e
rappresenta il prototipo di un habitat originale e primordiale dotato dell'energia strutturale della natura; è assunto
come simbolo del luogo ideale, rappresentativo dell'anima dell'artista dominato energicamente dalla spirale, che
trova nello spazio curvo un possibile centro. La legge numerica viene assorbita nell'opera di Merz come
rappresentazione dell'evoluzione progressiva del mondo organico: ad esempio lo stelo di un albero che si
ramifica in due e in seguito in tre, in cinque, in otto ramificazioni e così via, fino a descrivere una linea
elicoidale, riconoscibile anche sui dorsi delle chiocciole; l'artista produce una figura concettuale in cui il numero
diventa forma attraverso la spirale.
Il labirinto è uno dei temi che più entusiasmano Jannis Kounellis che ha indagato temi quali lo spazio e il valore
intrinseco delle cose con opere come Atto Unico, un lavoro che non consente repliche: è labirinto di 1000 mq
che invade l'intero piano terra della GNAM - Galleria Nazionale Arte Moderna di Roma. L'entrata nel labirinto
è allo stesso tempo la sua uscita: il viaggio cui è invitato lo spettatore, è un percorso che si snoda in uno spazio
diviso e frammentato, ma che lo porta a un centro. Il percorso prosegue in un ambiente avvolgente, plumbeo,
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enigmatico. Lo spettatore vaga lungo gli spazi della memoria che si restringono, si allargano, lungo corridoi
serrati o improvvisamente sbarrati.
Quest'opera è il paradigma del viaggio; come il sacco e la nave, il labirinto appartiene al territorio “dove ha
regnato la Magna Mater”. Il suo labirinto sembra indagare i meandri della coscienza individuale in un viaggio
tutto mentale, linguistico.
Claudio Parmiggiani mette in atto una fenomenologia della visione in cui vi sono chiari riferimenti alla cultura
ermetica/esoterica. La natura del rapporto tra l'artista e l'alchimia fonda il suo principio sul desiderio, attraverso
l’archetipicità dell'opera, “di trasformare l'individuo per ricreare il mondo a misura dei propri sogni”. Egli
valuta da artista “soprattutto le strutture interne, e nel chiuso di questo protettivo interno, così simile ad un
ideale grembo materno, è conseguente che i valori costanti assurgano a suggestiva immagine di una essenzialità
metastorica, convergendo nel circolo dell'Identità assoluta”. L'opera assurge a itinerario mentale e Parmiggiani
“è tra gli artisti contemporanei uno dei più decisi alle partenze, uno dei più pronti a doppiare la funzione di
costruttore di forme in quella di viaggiatore mentale”. È come se all'ordine disorientante del labirinto fosse “da
poco uscita la perfezione opaca della sfera”, la ricomposizione di una totalità perduta: “immagino che dalla
caverna e dal caos si sia appena formato il cosmo, con un evento che ha sì un'aria tragica, ma è anche un
gioco”.
Nel labirinto si può ravvisare la struttura portante del pensiero moderno, come si evince dal grande progetto
scultoreo edificato in cima ad una collina, nei pressi di Messina, da Italo Lanfredini: è un'opera concepita come
oggetto praticabile, poiché si porge all'uso e all'esplorazione fisica, ma invita anche ad una ricerca interiore.
Nel labirinto si può ravvisare la struttura portante del pensiero moderno, come si evince dal grande progetto
scultoreo edificato in cima ad una collina, nei pressi di Messina, da Italo Lanfredini: è un'opera concepita come
oggetto praticabile, poiché si porge all'uso e all'esplorazione fisica, ma invita anche ad una ricerca interiore.
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La grande ragnatela In orbit di Tomás Saraceno al KXXI
Due labirinti in cristallo di C. Parmiggiani
Il labirinto di I. Lanfredini a Messina