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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1° gennaio - 30 giugno 1994)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 11 (NOVEMBRE 1995), pp. 353/354-371/372Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23273703 .
Accessed: 25/06/2014 08:23
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (*)
(1° gennaio - 30 giugno 1994)
Sommario
1. Assistenza giudiziaria, diritto alla (art. 6, par. 3, lett. c). 2. Composizione stragiudiziale della controversia e cancella
zione della causa dal ruolo (reg. della corte, art. 49, par. 2 e 4).
3. Convenzione, violazione, parti lese, equa soddisfazione (art.
50). 4. Divieto di discriminazione (art. 14). 5. Libertà di circolazione, diritto alla (prot. n. 4, art. 2). 6. Libertà di espressione (art. 10). 7. Previo esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 26). 8. Processo entro un termine ragionevole (art. 6, par. 1). 9. Processo equo, diritto ad un (art. 6, par. 1).
10. Pubblica udienza, diritto ad una (art. 6, par. 1). 11. Rispetto dei propri beni, diritto al (prot. n. 1, art. 1). 12. Rispetto della vita privata e familiare, diritto al (art. 8). 13. Trattamenti inumani e degradanti, divieto di (art. 3). 14. Tribunale, diritto ad un (art. 6, par. 1). 15. Tribunale indipendente ed imparziale, diritto ad un (art.
6, par. 1).
Convenzione
Art. 3: Divieto di torture, di pene e trattamenti inumani
e degradanti: casi Hurtado (sub I); Diaz (sub XV). Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo entro un termine
ragionevole: casi Raimondo (sub III); Silva Pontes (sub XI); De Moor (sub XVIII).
Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo equo: casi Stanford
(sub V); Bendenoun (sub VII); Ravnsborg (sub X); Van de Hurk
(sub XIII); De Moor (sub XVIII).. Art. 6, par. 1: Diritto ad una pubblica udienza: casi Fre
din (sub VI); De Moor (sub XVIII). . Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale: caso Keegan (sub
XVI). Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale indipendente ed
imparziale: casi Van de Hurk (sub XIII); Saraiva de Carvalho
(sub XIV). Art. 6, par. 3, lett. c): Diritto all'assistenza giudiziaria:
caso Tripodi (sub IV). Art. 8: Diritto al rispetto della vita privata e familiare:
casi Burghartz (sub II); Boyle (sub IX); Keegan (sub XVI). Art. 10: Diritto alla libertà di espressione: casi Casado
Coca (sub Vili); Scherer (sub XII); Jacubowski (sub XVII). Art. 14: Divieto di discriminazione: caso Burghartz (sub II). Art. 26: Esaurimento delle vle di ricorso interne: casi
Burghartz (sub II); Keegan (sub XVI). Art. 50: Potere della corte di accordare un'equa soddi
sfazione: casi Raimondo (sub III); Fredin (sub VI); Keegan (sub XVI); De Moor (sub XVIII).
Protocollo n. 1
Art. 1 : Diritto al rispetto dei propri beni: caso Raimondo
(sub III).
(*) La rubrica si propone di fornire periodicamente una rassegna sin
tetica, ma organica e tendenzialmente completa, delle sentenze della Corte
europea dei diritti dell'uomo. A tal fine, e per assicurare la tempestività dell'informazione, ci si avvarrà delle sintesi preparate dal cancelliere
della corte e rese note attraverso gli appositi comunicati stampa del
consiglio d'Europa. Le sentenze sono riportate in ordine cronologico. Ai fini di una più
agevole consultazione, ciascuna rassegna è preceduta da un sommario
delle «voci» rilevanti e da un elenco degli articoli della convenzione
europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli che sono stati og
getto di specifico esame da parte della corte. Il testo di tali articoli
viene comunque riprodotto in appendice. Per ragioni di spazio, si è omessa la sintesi delle sentenze relative
esclusive al risarcimento delle parti lese (art. 50 convenzione). La presente rassegna è stata curata da Susanna Fortunato. [A. Tizzano]
(1) Per ciò che concerne la durata di un procedimento civile (art. 6, par. 1, convenzione), per il periodo considerato dalla presente rasse
gna, v. nel senso della sentenza sunteggiata, Corte europea dir. uomo 23 marzo 1994, Muti c. Italia; 26 aprile 1994, Vallèe c. Francia.
Il Foro Italiano — 1995.
Sommario
1. Assistenza giudiziaria, diritto alla (art. 6, par. 3, lett. c). 2. Composizione stragiudiziale della controversia e cancella
zione della causa dal ruolo (reg. della corte, art. 49, par. 2 e 4).
3. Convenzione, violazione, parti lese, equa soddisfazione (art.
50). 4. Divieto di discriminazione (art. 14). 5. Libertà di circolazione, diritto alla (prot. n. 4, art. 2). 6. Libertà di espressione (art. 10). 7. Previo esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 26). 8. Processo entro un termine ragionevole (art. 6, par. 1). 9. Processo equo, diritto ad un (art. 6, par. 1).
10. Pubblica udienza, diritto ad una (art. 6, par. 1). 11. Rispetto dei propri beni, diritto al (prot. n. 1, art. 1). 12. Rispetto della vita privata e familiare, diritto al (art. 8). 13. Trattamenti inumani e degradanti, divieto di (art. 3). 14. Tribunale, diritto ad un (art. 6, par. 1). 15. Tribunale indipendente ed imparziale, diritto ad un (art.
6, par. 1).
Convenzione
Art. 3: Divieto di torture, di pene e trattamenti inumani
e degradanti: casi Hurtado (sub I); Diaz {sub XV). Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo entro un termine
ragionevole: casi Raimondo (sub III); Silva Pontes (sub XI); De Moor (sub XVIII).
Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo equo: casi Stanford
(sub V); Bendenoun (sub VII); Ravnsborg (sub X); Van de Hurk
(sub XIII); De Moor (sub XVIII).. Art. 6, par. 1: Diritto ad una pubblica udienza: casi Fre
din (sub VI); De Moor (sub XVIII). . Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale: caso Keegan (sub
XVI). Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale indipendente ed
imparziale: casi Van de Hurk (sub XIII); Saraiva de Carvalho
(sub XIV). Art. 6, par. 3, lett. c): Diritto all'assistenza giudiziaria:
caso Tripodi (sub IV). Art. 8: Diritto al rispetto della vita privata e familiare:
casi Burghartz (sub II); Boyle (sub IX); Keegan (sub XVI). Art. 10: Diritto alla libertà di espressione: casi Casado
Coca (sub Vili); Scherer (sub XII); Jacubowski (sub XVII). Art. 14: Divieto di discriminazione: caso Burghartz (sub II). Art. 26: Esaurimento delle vle di ricorso interne: casi
Burghartz (sub II); Keegan (sub XVI). Art. 50: Potere della corte di accordare un'equa soddi
sfazione: casi Raimondo (sub III); Fredin (sub VI); Keegan (sub XVI); De Moor (sub XVIII).
Protocollo n. 1
Art. 1 : Diritto al rispetto dei propri beni: caso Raimondo
(sub III).
(*) La rubrica si propone di fornire periodicamente una rassegna sin
tetica, ma organica e tendenzialmente completa, delle sentenze della Corte
europea dei diritti dell'uomo. A tal fine, e per assicurare la tempestività dell'informazione, ci si avvarrà delle sintesi preparate dal cancelliere
della corte e rese note attraverso gli appositi comunicati stampa del
consiglio d'Europa. Le sentenze sono riportate in ordine cronologico. Ai fini di una più
agevole consultazione, ciascuna rassegna è preceduta da un sommario
delle «voci» rilevanti e da un elenco degli articoli della convenzione
europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli che sono stati og
getto di specifico esame da parte della corte. Il testo di tali articoli
viene comunque riprodotto in appendice. Per ragioni di spazio, si è omessa la sintesi delle sentenze relative
esclusive al risarcimento delle parti lese (art. 50 convenzione). La presente rassegna è stata curata da Susanna Fortunato. [A. Tizzano]
(1) Per ciò che concerne la durata di un procedimento civile (art. 6, par. 1, convenzione), per il periodo considerato dalla presente rasse
gna, v. nel senso della sentenza sunteggiata, Corte europea dir. uomo 23 marzo 1994, Muti c. Italia; 26 aprile 1994, Vallèe c. Francia.
Il Foro Italiano — 1995.
Protocollo n. 4
Art. 2: Diritto alla libertà di circolazione: caso Raimon
do (sub III).
Regolamento della corte
Art. 49: Cancellazione della causa dal ruolo per compo
sizione stragiudiziale della controversia: casi Hurt ado (sub
I); Boyle (sub X); Scherer (sub XII); Diaz (sub XV).
I
Sentenza 28 gennaio 1994\ Pres. Ryssdal; Hurtado c. Svizzera.
In data 5 ottobre 1989, a Yverdon-Les Bains sei agenti facen
ti parte di un nucleo di intervento del cantone di Vaud, dopo aver lanciato una granata esplosiva, penetravano in un apparta mento nel quale arrestavano il ricorrente bloccandolo al suolo e neutralizzandolo con le manette e un cappuccio.
Il ricorrente veniva, quindi, condotto al commissariato di Yver
don e successivamente nei locali della polizia di Losanna, dove
veniva interrogato. Soltanto in data 6 ottobre, al suo arrivo in carcere, il ricor
rente aveva modo di cambiarsi gli indumenti che si erano insu diciati nell'azione di polizia in cui era stato coinvolto il giorno
prima. Il successivo 7 ottobre egli chiedeva di essere sottoposto a
visita medica, effettuata solo sette giorni dopo, nel corso della
quale veniva riscontrata dalle radiografie la frattura anteriore
di una costola. Il Tribunale distrettuale di Yverdon, con provvedimento emesso
in data 24 maggio 1991, dichiarava il ricorrente colpevole di
violazione alle leggi federali sugli stupefacenti e lo condannava
a cinque anni di reclusione oltre al pagamento di una parte del
le spese; a titolo di pena accessoria, infine, il tribunale ordinava
l'espulsione del ricorrente dal territorio svizzero per un periodo di quindici anni.
La Corte di cassazione, con sentenza resa in data 7 ottobre
1991, portava la pena della reclusione a otto anni.
Il sig. Hurtado ha adito la commissione ritenendo di essere
stato sottoposto ad un trattamento inumano e degradante, in
quanto tale contrario all'art. 3 convenzione, e di essere stato
privato di un ricorso effettivo dinanzi ad un'istanza nazionale, cosi come previsto ex art. 13 convenzione.
La commissione, dichiarando ricevibili solo i motivi di ricor so fondati sull'art. 3, ha ritenuto la sussistenza della violazione
denunciata per il fatto che il ricorrente è stato costretto ad in
dossare indumenti sudici e non ha potuto beneficiare di un pronto intervento medico.
È stata raggiunta una composizione amichevole della contro
versia tra governo svizzero e ricorrente, in base alla quale il
primo si obbliga a versare al secondo una somma di denaro
a titolo di risarcimento dei danni subiti e di rimborso spese, mentre il sig. Hurtado si obbliga a rinunziare a far valere in futuro ulteriori pretese legate ai fatti di cui è causa.
La corte, non avendo ravvisato alcun motivo di ordine pub blico che renda necessaria una decisione nel merito, ha ritenuto
di dover cancellare la causa dal ruolo.
II
Sentenza 22 febbraio 1994; Pres. Ryssdal; Burghartz c. Svizzera.
I ricorrenti, di nazionalità svizzera e tedesca, successivamente
al loro matrimonio, secondo quanto previsto dall'ordinamento
tedesco, sceglievano di usare come cognome di famiglia quello della sposa, Burghartz; il marito, peraltro, esercitava il diritto
di far precedere il nuovo cognome dal suo proprio. Lo stato civile svizzero, tuttavia, registrava come cognome
di famiglia quello del marito; i ricorrenti, pertanto, chiedevano
l'autorizzazione a sostituire il predetto cognome con quello da
loro scelto.
Con provvedimento reso in data 6 novembre 1984, il governo del cantone di Bàie-Ville rifiutava il rilascio di siffatta autoriz
zazione.
I ricorrenti, a seguito di una modifica intervenuta nel diritto
di famiglia svizzero, reiteravano la richiesta, ma inutilmente.
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PARTE QUARTA
In data 8 giugno 1989, il tribunale federale accoglieva il loro
ricorso per la parte relativa all'uso del cognome della sposa co
me nome di famiglia, rigettando la richiesta del marito di far
precedere il nome di famiglia dal suo proprio. I ricorrenti hanno adito la commissione denunciando la vio
lazione degli art. 8 e 14 convenzione. La commissione ha ritenuto che vi fosse stata violazione del
l'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8 e che non vi fosse
motivo di esaminare il caso dal solo punto di vista dell'art. 8.
La corte, in via preliminare, ha respinto le eccezioni del go verno svizzero relative alla mancanza della qualità di vittima
nella sig. Burghartz: posto che la controversia trae origine da una richiesta comune dei ricorrenti tendente ad ottenere una
modifica simultanea del cognome di famiglia e di quello del
marito, ben si comprende come la sig. Burghartz possa conside
rarsi «vittima», quantomeno indiretta, delle decisioni in esame.
Anche l'eccezione preliminare di mancato esaurimento di tut
te le vie di ricorso interne è stata rigettata, in quanto i motivi di ricorso addotti dagli interessati nei procedimenti di impugna zione svoltisi di fronte ai giudici nazionali sono gli stessi che sono contenuti nell'atto indirizzato alla commissione.
Né si può eccepire che i sig. Burghartz non abbiano esperito un ricorso amministrativo avverso la decisione, considerato che
siffatto ricorso non costituisce certo un mezzo adeguato ai sensi di quanto disposto ex art. 26, convenzione.
II governo ha eccepito l'inapplicabilità degli art. 8 e 14 con
venzione, in quanto, a seguito dell'entrata in vigore del prot. n. 7, sarebbe l'art. 5 del suddetto protocollo a dover essere ap
plicato in tema di uguaglianza dei coniugi, in cui rientra anche
il profilo della scelta del nome di famiglia. La corte, respingendo tale eccezione, ha precisato che il setti
mo protocollo alla convenzione — il cui art. 5 riguarda espres samente l'uguaglianza tra i coniugi — riveste carattere di mera
clausola aggiuntiva rispetto agli art. 8 e 60, dei quali il suddetto
art. 5 non può in alcun modo ridurre la portata applicativa. In particolare, la corte ha rilevato che l'art. 8, pur non conte
nendo una disposizione espressa sul diritto al nome, tende, in
ogni caso, alla tutela di esso, come parte essenziale della vita
privata e familiare di una persona. Nulla osta, ovviamente, a che lo Stato disciplini l'uso del no
me, soprattutto per i possibili risvolti di interesse pubblico di
quest'ultimo. Nel caso di specie, peraltro, il mantenimento da parte del
ricorrente del nome di famiglia scelto, con il quale è conosciuto
nell'ambito professionale, influisce non poco sulla sua carriera; ciò che rende sicuramente applicabile l'art. 8 convenzione.
La corte, entrando nel merito del ricorso, ha rammentato che
la parità tra i sessi è uno degli obiettivi più importanti persegui ti dal consiglio d'Europa e solo gravi ragioni possono indurre
a ritenere compatibile con la convenzione una diversità di trat
tamento fondata sul sesso, analoga a quella riscontrabile nel
caso odierno.
Sul punto, il governo svizzero sostiene che la disciplina na
zionale in materia di nome di famiglia, non consentendo al ma rito di far precedere tale cognome dal suo proprio — ciò che
invece è consentito alla moglie — mira a garantire l'unità della
famiglia attraverso l'unità del nome.
La corte ha respinto tali argomentazioni che non sono state
ritenute idonee a giustificare la diversità di trattamento previsto in capo alla moglie e al marito.
La corte, ha concluso, pertanto, che vi sia stata violazione
dell'art. 8, in combinato disposto con l'art. 14, concedendo agli interessati una somma a titolo di rimborso spese.
Ili
Sentenza 22 febbraio 1994\ Pres. Ryssdal; Raimondo c. Italia.
Il ricorrente, sospettato di appartenere ad un'associazione per
delinquere di stampo mafioso, veniva sottoposto nel luglio 1984
a procedimento penale, nell'ambito del quale veniva posto in
stato di detenzione provvisoria e poi agli arresti domiciliari. In data 30 gennaio 1986, il Tribunale di Catanzaro assolveva
l'imputato per insufficienza di prove e revocava gli arresti do
miciliari. Su gravame proposto dal pubblico ministero e dal Raimon
do, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 16 gen naio 1987, assolveva quest'ultimo con formula piena («perché il fatto non sussiste»).
Il Foro Italiano — 1995.
Il Tribunale di Catanzaro, con provvedimento del 16 ottobre
1985, aveva nel frattempo disposto il sequestro conservativo dei
beni del ricorrente di cui non era stata accertata la provenienza e aveva ordinato l'adozione di speciali misure di sorveglianza nei confronti dell'imputato, il quale veniva altresì obbligato al
pagamento di una cauzione.
Con decreto emesso in data 4 luglio 1986, la corte di appello revocava tutte le misure provvisorie emesse nei confronti del
ricorrente.
Il 5 dicembre 1986, le autorità competenti di Catanzaro in
formavano della revoca i carabinieri del luogo di residenza del
ricorrente. Il Raimondo ha adito la commissione in data 23 aprile 1987
lamentando:
a) l'illegittimità della durata della sua detenzione (art. 5, par. 1 e 3);
b) l'eccessiva durata del procedimento penale a suo carico
(art. 6, par. 1); c) il mancato rispetto del principio della presunzione di inno
cenza a causa: dell'applicazione di misure provvisorie a suo ca
rico (art. 6, par. 2); dell'imposizione dell'obbligo del versamen
to di una cauzione; del sequestro dei suoi beni (art. 1 prot. n. 1); della privazione del suo diritto di circolare liberamente
(art. 2, prot. n. 4). La commissione ha ritenuto che vi fosse stata violazione:
a) dell'art. 1 prot. n. 1, per ciò che concerne la confisca dei
beni del ricorrente oltre il 31 dicembre 1986;
b) dell'art. 2 prot. n. 4, per ciò che concerne le limitazioni
alla libertà di movimento imposte dal ricorrente dal 4 luglio al 20 dicembre 1986.
La corte, per ciò che concerne il motivo di ricorso vertente
sull'art. 1 prot. n. 1, ha precisato che la disposizione applicabi le al caso di specie è il 2° comma del suddetto art. 1, posto che il provvedimento di sequestro emesso nei confronti del ri
corrente non mirava alla privazione del diritto di proprietà, ma
solo alla limitazione del potere di godimento. Essa, inoltre, ha
rilevato che il sequestro, ordinato dal giudice italiano in forza
di quanto previsto dall'art. 2 ter 1. 575/65, si configura come
una misura provvisoria tendente a garantire l'eventuale succes
siva confisca dei beni frutto di attività illecite.
Il superiore interesse generale giustificava, dunque, l'ingeren za dello Stato nel diritto di godimento dei beni del ricorrente; si tratta, inoltre, senza dubbio di una misura non sproporziona ta rispetto allo scopo perseguito, tenuto conto del pericolosissi mo potere economico mafioso.
La corte, pertanto, ha ritenuto che non vi sia stata violazione
dell'art. 1 prot. n. 1.
Anche la successiva confisca dei beni, fattispecie regolata sem
pre dal 2° comma dell'art. 1 prot. n. 1, è stata considerata
dalla corte misura del tutto proporzionata allo scopo persegui to: impedire al ricorrente o all'organizzazione cui egli è sospet tato di appartenere di trarre vantaggi dai beni in questione a
scapito della collettività.
L'art 1 prot. n. 1 non risulta, dunque, essere stato violato. La corte, inoltre, ha ritenuto che i danni materiali subiti dal
ricorrente a seguito della confisca, per i quali il ricorrente invo
ca la violazione dello stesso art. 1, rientrano nella soglia mini
ma dell'inevitabile.
Il ricorrente afferma, poi, che il mantenimento dell'iscrizione
del sequestro nei registri immobiliari per ben due mesi dopo l'emissione della sentenza di assoluzione costituisce violazione
dei diritti garantiti dall'art. 1 prot. n. 1. La corte, sul punto, pur ritenendo non essere suo compito
stabilire quali siano i soggetti che si sarebbero dovuti attivare, non ha potuto omettere di constatare la sussistenza di una re
sponsabilità in capo allo Stato contraente, soprattutto alla luce del fatto che si trattava di una ingerenza nel diritto di godimen to di un individuo non prevista per legge né necessaria, ai sensi
dell'art. 1 prot. n. 1, che risulta, pertanto, essere stato violato.
In merito alla lamentata violazione dell'art. 2 prot. n. 4, rav
visabile, secondo il ricorrente, nelle limitazioni a lui imposte alla libertà di circolazione, la corte, tenuto conto della minaccia
rappresentata dal fenomeno mafioso, ha ritenuto che si tratti
comunque di una misura del tutto proporzionata allo scopo per
seguito. La corte, al contrario, ha ritenuto privo di qualsiasi giustifi
cazione plausibile il fatto che tra la pronuncia del decreto di
revoca delle misure restrittive provvisorie e l'esecuzione di detto
provvedimento siano passati più di cinque mesi (4 luglio - 20
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
dicembre 1986), ravvisando in esso la violazione dell'art. 2 cit. Essa, inoltre, non ha rilevato alcuna violazione sotto il profi
lo della durata dell'intero procedimento. È stato riconosciuto, infine, al ricorrente il diritto al risarci
mento dei danni morali subiti, oltre il rimborso delle spese so
stenute.
IV
Sentenza 22 febbraio 1994; Pres. Ryssdai; Tripodi c. Italia.
In data 5 novembre 1982, la sig. M.F., un avvocato, querela va la ricorrente a seguito di alcuni diverbi intervenuti tra loro a proposito della vendita di un terreno.
Il 7 febbraio 1983, la Tripodi riceveva la notifica dell'avvio
di un procedimento penale nei suoi confronti e, in data 26 apri le, veniva interrogata dal procuratore della repubblica di Reg
gio Calabria. Il successivo 7 ottobre, veniva citata a comparire in giudizio
per rispondere dei seguenti reati: diffamazione, danneggiamen
to, violenza privata, minacce e molestie.
Il tribunale condannava la ricorrente a un anno di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e del
la non menzione nel casellario giudiziario, oltre al pagamento di un'ammenda.
La corte d'appello riduceva di due mesi la pena della re
clusione.
La Corte di cassazione, adita dalla ricorrente, fissava l'udien
za di discussione al 6 dicembre 1985. In tale data, la Suprema corte, nonostante l'assenza giustifi
cata del difensore della ricorrente, discuteva ugualmente la cau
sa, pronunciandosi nel senso del rigetto del ricorso.
La Tripodi ha adito la commissione lamentando la violazione
dell'art. 6, par. 6, lett. c), convenzione per non avere, la Corte
di cassazione, discusso la causa in presenza del suo difensore
e omettendo di nominarne uno d'ufficio.
La commissione ha ritenuto sussistente la violazione de nunciata.
La corte, in primo luogo, ha tenuto a precisare che le modali
tà di applicazione dei par. 1 e 3, lett. c), art. 6 dipendono dalle
peculiarità dei procedimenti di cui si discute. Nel caso di specie, tenuto conto, da un lato, del fatto che
il giudizio di cassazione è di mera legittimità e si svolge in mas sima parte per iscritto, e, dall'altro, del fatto che il difensore
della ricorrente è rimasto totalmente inattivo anche dopo l'u
dienza di cui è causa, la corte ha concluso che non vi sia stata
violazione dell'art. 6, par. 3, lett. c), convenzione.
V
Sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Ryssdal; Stanford c. Regno unito.
L'8 giugno 1988, il ricorrente veniva sottoposto a procedi mento penale da parte della Crown Court di Norwick per reati
commessi nei confronti di un minore: atti di libidine, atti osce
ni, violenza, sequestro e minacce.
Il 15 giugno dello stesso anno, il ricorrente veniva riconosciu
to colpevole dei suddetti reati e condannato alla pena di dieci
anni di reclusione. Durante lo svolgimento del processo, il ricorrente veniva col
locato in un banco chiuso da un vetro che gli impediva di ascol
tare ciò che veniva detto dai testimoni; nonostante egli se ne
fosse lamentato con le guardie e con il suo stesso avvocato, nessuno aveva ritenuto opportuno intervenire presso il giudice al fine di togliere il suddetto vetro.
Il sig. Stanford proponeva appello contro la sentenza di pri mo grado, lamentando di non aver potuto ascoltare ciò che era
stato detto nel corso del dibattimento.
La corte d'appello, con sentenza del 6 ottobre 1989, respinge va il ricorso.
Un anno dopo, veniva stilato un rapporto sull'acustica della sala delle udienze, nella quale si concludeva che il vetro in que
stione, benché causasse un abbassamento dell'acustica, permet teva comunque di intendere una persona al banco dei testimoni
con un tono di voce normale.
Il ricorrente adiva la commissione affermando di non aver
li Foro Italiano — 1995 — Parte IV-18.
beneficiato di un «processo equo», ai sensi dell'art. 6, par. 1, convenzione, per non aver potuto seguire il dibattimento.
La commissione si è pronunciata nel senso della sussistenza
della violazione denunciata.
La corte, in primo luogo, ha rilevato che, senza dubbio, l'art.
6, letto nel suo insieme, riconosce all'imputato il diritto ad una partecipazione effettiva al processo, compreso il diritto non so
lamente di assistere ma anche di ascoltare ciò che viene detto
nel corso del dibattimento.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha mai tentato, personal mente o tramite il suo difensore, di informare il giudice delle difficoltà di ascolto; né il suo avvocato ha ritenuto opportuno, per motivi tattici, di far presente siffatte difficoltà al giudice.
In linea generale, le azioni e le decisioni prese dal difensore
di un imputato non possono in nessun caso costituire la base
dell'accertamento di una responsabilità a carico dello Stato con
traente, il quale ha l'obbligo di intervenire solo laddove vi sia una carenza visibile o comunque segnalata adeguatamente alla sua attenzione.
Del resto, dai verbali d'udienza risulta, da un lato, che i di
fensori (barrister e solicitor) hanno avuto la possibilità di assi stere al dibattimento e di discutere le testimonianze rese in giu dizio e, dall'altro, che il giudice ha fornito alla giuria un reso conto fedele e dettagliato delle prove prodotte.
Né la corte d'appello poteva riformare la sentenza di primo
grado per un vizio del processo non rilevato di fronte al giudice. La corte, pertanto, ha concluso che, nel caso di specie, non
vi sia stata violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione.
VI
Sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Ryssdai; Fredin c. Svezia.
Il ricorrente è proprietario a Botyrka di un terreno in cui
si trova una cava di ghiaia. Egli otteneva, nell'aprile 1983, una autorizzazione allo sfrut
tamento della cava, che, a seguito di una successiva proroga,
gli veniva revocata in data 1° dicembre 1988.
La mancanza di un ricorso avverso il provvedimento di revo
ca aveva dato luogo nel febbraio 1991 ad una prima sentenza
della corte europea la quale aveva accertato l'avvenuta violazio ne dell'art. 6, par. 1, convenzione, ma non dell'art. 1 prot. n. 1.
In seguito, il ricorrente richiedeva alla prefettura una licenza
speciale di estrazione, al fine di poter dare esecuzione ad un
piano di ripristino dei luoghi adottato dalla stessa prefettura. Sia la prefettura, sia il ministero dell'ambiente respingevano
tale richiesta. Il Fredin impugnava il provvedimento ministeriale di fronte
al giudice amministrativo, in forza della legge del 1988 istitutiva di un controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative, chie dendo anche che si tenesse una udienza pubblica.
Il giudice amministrativo, dopo aver rifiutato l'udienza pub
blica, rigettava il ricorso. Il ricorrente ha adito la commissione assumendo l'avvenuta
violazione del suo diritto ad un processo «equo» e «pubblico», riconosciuto dall'art. 6, par. 1, convenzione.
La commissione si è espressa nel senso della sussistenza della
violazione denunciata.
La corte, in primo luogo, ha rammentato che il diritto di
ognuno ad una discussione pubblica della causa che lo riguarda
ricomprende anche il diritto ad una pubblica udienza.
Nel caso di specie, la corte amministrativa, pur giudicando, in unico grado, sulla legittimità e sul merito del provvedimento amministrativo impugnato, non ha ritenuto di dover accordare
al ricorrente un contraddittorio in pubblica udienza, violando cosi l'art. 6, par. 1, convenzione.
La corte ha riconosciuto al ricorrente il diritto ad un risarci
mento del danno morale subito, oltre al rimborso delle spese sostenute.
VII
Sentenza 24 febbraio 1994; Pres. Ryssdal; Bendenoun c. Francia.
Nel settembre 1976, l'amministrazione doganale procedeva alla
verifica delle importazioni effettuate dalla società ARTSBY 1881, con sede legale a Strasburgo — di cui il ricorrente era presiden
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PARTE QUARTA
te, direttore generale nonché principale azionista —, a seguito della quale venivano accertate violazioni alla legge doganale, che venivano definite con una transazione.
Nella stessa occasione, venivano accertate alcune violazioni
di carattere penale, per le quali il ricorrente veniva condannato
alla pena della reclusione per 15 mesi e alla pena dell'arresto
per un anno.
L'amministrazione doganale provvedeva ad inviare il fascico
lo all'amministrazione finanziaria, la quale, dopo aver effettua
to una verifica sui conti della società del ricorrente, emetteva
avviso di accertamento.
Il Bendenoun, contestando la maggior imposta accertata, pro
poneva ricorso presso il direttore regionale delle imposte di Stra
sburgo, che veniva rigettato. Il ricorrente adiva, quindi, il tribunale amministrativo, chie
dendo l'acquisizione agli atti del giudizio del fascicolo esistente presso l'amministrazione doganale; la richiesta veniva respinta.
Il ricorso del Bendenoun veniva rigettato sia in primo grado che in appello, dal Consiglio di Stato.
Il Bendenoun ha adito la commissione, lamentando, da un
lato, l'avvenuta violazione del suo diritto ad un processo equo
(art. 6, par. 1, convenzione), per non aver potuto accedere al
fascicolo esistente presso l'amministrazione doganale, e, dall'al
tro, l'avvenuta violazione dell'art. 1, prot. n. 1, convenzione,
per essere stato costretto a versare ingenti somme allo Stato
francese.
La commissione ha concluso nel senso che, nel caso di specie, fosse ravvisabile solo una violazione dell'art. 6, par. 1, con
venzione.
La corte, per ciò che concerne in generale la disciplina del
l'accertamento d'ufficio di maggiori imposte in caso di assenza
di buona fede nel contribuente, ha precisato che uno Stato deve
essere libero di affidare al fisco il compito di perseguire e repri mere le violazioni, anche se la maggiorazione di imposta rico
nosciuta a carico del contribuente a titolo di sanzione può rag
giungere livelli elevati; sistemi del genere possono essere consi
derati legittimi laddove assicurino al contribuente la possibilità di impugnare qualsiasi decisione di fronte ad un tribunale, cosi
come previsto dall'art. 6, par. 1, convenzione.
Tale articolo, ad avviso della corte, è applicabile al caso di
specie in quanto la sanzione fiscale, pur presentando elementi
di carattere amministrativo, deve considerarsi ricompresa nella
materia penale per quattro ordini di motivi.
In primo luogo, i fatti di causa rientravano nell'ambito appli cativo di una norma del codice delle imposte che riguarda i
contribuenti in generale e che prescrive l'osservanza di un certo
comportamento a pena di sanzione.
In secondo luogo, le maggiorazioni di imposta non tendono
al risarcimento di un danno, ma mirano essenzialmente a puni re il soggetto interessato per evitare la reiterazione della viola
zione fiscale. Questo tipo di sanzioni, infine, sono comminate da norme
di carattere generale il cui scopo è allo stesso tempo di preven zione e repressione.
Senza contare, poi, che l'interessato, qualora non provveda al pagamento della sanzione, può essere posto in stato di arresto.
Le accuse mosse nei confronti del ricorrente, pertanto, aveva
no indubbiamente un carattere penale. Nel merito del ricorso, la corte ha rilevato che il sig. Bende
noun lamenta il diniego di accesso al fascicolo esistente presso l'amministrazione doganale, fascicolo che, in ogni caso, non
ha avuto alcun rilievo ai fini dell'accertamento della frode fi
scale che ha dato luogo all'imposizione delle sanzioni di cui
è controversia.
Del resto, il ricorrente e il suo difensore conoscevano molto
bene il contenuto di quel fascicolo, avendovi avuto libero acces so durante lo svolgimento del procedimento penale.
Nel caso di specie, pertanto, la corte ha ritenuto che non
vi sia stata violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione, né sotto
il profilo del diritto di difesa né tantomeno sotto il profilo del diritto alla parità dei mezzi di prova tra accusa e difesa.
VIII
Sentenza 24 febbraio 1994\ Pres. Ryssdal; Casado Coca c.
Spagna.
Nel corso dell'anno 1979, il ricorrente, cittadino spagnolo, avendo aperto uno studio legale a Barcellona, provvedeva a farne
un'adeguata pubblicità mettendo annunci su alcuni giornali e
Il Foro Italiano — 1995.
inviando a varie imprese lettere in cui offriva la sua consulenza.
Il consiglio dell'ordine degli avvocati di Barcellona, per quanto
sopra riportato, avviava nei confronti del ricorrente molteplici
procedure disciplinari, che si concludevano nel 1981 con una
nota di biasimo ed un ammonimento.
A partire dall'ottobre 1982, il bollettino dell'Associazione dei
residenti e dei proprietari di Valldoreix (Barcellona) pubblicava un annuncio dell'interessato in cui veniva indicato il suo nome
seguito dal termine «giurista» {letrado), il suo indirizzo e il nu
mero di telefono dello studio.
In data 5 aprile 1983, il consiglio dell'ordine emetteva un nuovo
provvedimento di ammonimento nei confronti del ricorrente, confermato anche dal consiglio generale degli ordini degli avvo
cati di Spagna. Il sig. Casado Coca adiva, allora, il giudice amministrativo,
denunciando la violazione dell'art. 20 della Costituzione spa
gnola (libertà di espressione). Il suo ricorso veniva, però, riget tato sia in primo grado phe in appello.
La Corte costituzionale, adita dallo stesso ricorrente, si pro nunciava nel senso che il divieto di pubblicità di consulenze pro
fessionali non poteva in nessun modo ledere il diritto alla liber
tà di espressione. Il Casado Coca adiva la commissione, assumendo che il di
vieto di pubblicità a lui imposto dal consiglio dell'ordine degli avvocati di Barcellona violava i diritti riconosciuti dalla conven
zione sotto vari profili. La commissione ha ritenuto sussistente solo la violazione del
l'art. 10 convenzione.
Il governo spagnolo, in primo luogo, ha eccepito l'inapplica bilità dell'art. 10 al caso di specie, posto che la pubblicità, in
quanto strumento di soddisfacimento di interessi individuali, non
rientrerebbe in quella generale libertà di espressione garantita
dall'articolo cit.
La corte, a questo proposito, ha precisato che l'art. 10 garan tisce la libertà di espressione a qualsiasi soggetto, senza distin
guere a seconda dello scopo perseguito. Come tale, essa ricom
prende non solo le idee di natura politica, ma anche l'espressio ne artistica, le informazioni commerciali, la musica leggera e
anche i messaggi pubblicitari inviati via cavo.
Gli annunci di cui è controversia (indicanti semplicemente il
nome, la professione, l'indirizzo ed il numero telefonico del ri
corrente), pur essendo utilizzati ad uno scopo di carattere senza
dubbio pubblicitario, fornivano, tuttavia, alle persone bisogno se di consulenza legale delle informazioni utili e in grado di
facilitare loro l'accesso alla giustizia. L'art. 10, convenzione, risulta, dunque, applicabile. In merito all'eccezione sollevata dal governo spagnolo secon
do cui le sanzioni inflitte al Casado Coca non sarebbero ricon
ducibili ad un'autorità pubblica, la corte ha precisato che gli ordini professionali spagnoli sono, in generale, corporazioni di
diritto pubblico; tale carattere è particolarmente evidente negli ordini degli avvocati per il fine eminentemente pubblico da essi
perseguito: la promozione di una consulenza legale libera ed
adeguata, rafforzata da un controllo pubblico sull'esericizio della
professione e sul rispetto della deontologia professionale. Le sanzioni in questione, inoltre, sono state inflitte con un
provvedimento confermato anche dagli organi giurisdizionali am
ministrativi. Nel caso di specie, dunque, vi è stata l'ingerenza da parte
di un'autorità pubblica, cosi come previsto dall'art. 10 con
venzione.
Ad avviso del ricorrente, la norma di legge su cui si fondava
la sanzione a lui inflitta (l'art. 31 dello statuto degli avvocati
che impedisce a questi ultimi il ricorso alla pubblicità) doveva
considerarsi abrogata a seguito dell'entrata in vigore nel 1978
della Costituzione che, tutelando la libertà di espressione, avrebbe
avuto l'effetto di abrogare qualsiasi norma di senso contrario.
Sul punto, la corte non ritiene di doversi discostare dall'inter
pretazione dell'art. 20 della Costituzione spagnola fornita dalla
Corte costituzionale, secondo cui la pubblicità non rientra nella
libertà di espressione: d'altra parte, l'interpretazione del diritto
interno competa solo ed esclusivamente alle autorità pubbliche dello Stato contraente e, in modo particolare, agli organi giuris dizionali.
La sanzione in questione, dunque, era prevista da una norma
di legge vigente. Per ciò che concerne l'accertamento della legittimità dello scopo
perseguito dalla suddetta norma, la corte ha rilevato che non vi è nessun dubbio che i provvedimenti adottati dal consiglio dell'ordine tendessero alla tutela di interessi pubblici: le limita
zioni all'utilizzo della pubblicità nel caso degli avvocati trovano
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
la loro giustificazione nelle peculiarità della funzione da essi
svolta.
La corte, dunque, è passata ad esaminare la «necessità» di
tali disposizioni limitataci in una «società democratica».
La corte, sul punto, ha rammentato, in primo luogo, che gli Stati contraenti godono di un certo margine di discrezionalità
nella valutazione della necessità di un'ingerenza nel godimento di alcuni diritti.
Analogo margine di discrezionalità di valutazione è ricono
sciuto in materia di pubblicità: compito della corte è quello di
verificare se le misure adottate sono giustificabili ai sensi del
l'art. 10, convenzione e proporzionate rispetto allo scopo per
seguito. La pubblicità, pur essendo uno dei principali mezzi offerti
al cittadino per conoscere le caratteristiche di un bene o di un
servizio che gli viene offerto, può talvolta essere oggetto di li
mitazioni tendenti ad evitare la concorrenza sleale o la diffusio
ne di false informazioni. In alcuni casi, anche la pubblicazione di messaggi pubblicitari
obiettivi e veri può subire limitazioni fondate sull'esigenza o
di tutelare diritti altrui o sulle peculiarità di un certo tipo di
attività commerciale o professionale. Nel caso di specie, le disposizioni emanate dal consiglio degli
ordini degli avvocati spagnolo autorizzano l'utilizzo della pub blicità solo per alcune ipotesi — apertura di un nuovo studio
o cambiamento dei membri di uno studio — e a certe condizio
ni. Il divieto di pubblicità non è dunque assoluto.
La commissione ed il ricorrente hanno osservato, tuttavia,
che in Spagna, come in altri paesi europei, le stesse limitazioni
non sono applicabili anche alle compagnie di assicurazioni che
offrono i loro servizi di consulenza legale. La corte, in proposito, ha rilevato che la posizione di spicco
occupata da un avvocato che esercita la Ubera professione nel
l'amministrazione della giustizia giustifica l'imposizione di nor
me di condotta specifiche dettate in generale per tutti i membri
di uno stesso foro. La disciplina della pubblicità degli avvocati, del resto, varia
da Stato a Stato a seconda delle tradizioni culturali, anche se
negli ultimi tempi si assiste, in linea generale, ad un'evoluzione
in senso meno rigido. Nella fattispecie, le autorità dei vari consigli degli ordini o
gli organi giurisdizionali di uno Stato sono certamente dotati
di strumenti di valutazione più efficaci rispetto ad un giudice internazionale per individuare il giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco: la buona amministrazione della giustizia, il
diritto di un individuo a ricevere informazioni circa la consu
lenza legale e la facoltà di un avvocato di pubblicizzare il pro
prio studio. Ciò premesso, la corte ha ritenuto che i provvedimenti adot
tati dalle autorità competenti nel caso di specie non siano asso
lutamente sproporzionati rispetto allo scopo perseguito, non rav
visando in esse, di conseguenza, nessuna violazione dell'art. 10
convenzione.
IX
Sentenza 28 febbraio 1994\ Pres. Ryssdal; Boyle c. Regno unito.
Il ricorrente, cittadino britannico, risiede attualmente a Balck
burn, nel Lanchashire. Il 2 febbraio 1989, suo nipote, in forza di un provvedimento
di affidamento ai servizi sociali, veniva tolto alla madre, la quale
era sospettata di atti di libidine nei confronti dello stesso
bambino.
L'indomani essa veniva arrestata e accusata di reati a sfondo
sessuale; la Crown Prosecution Service, tuttavia, decideva di
non sottoporla a procedimento penale per mancanza di prove.
In data 26 aprile 1989, a seguito di varie ordinanze di affida mento provvisorio, il tribunale dei minori decideva l'affidamen
to permanente del bambino all'autorità pubblica locale, rite
nendo in ogni caso sufficientemente provata la sussistenza, in
capo alla madre, del reato di atti osceni.
Il ricorrente aveva sempre mantenuto con il nipote rapporti
molto stretti, tanto da figurare nel fascicolo in possesso del tri
bunale dei minori come un buon padre per il bambino stesso.
Egli cercava più volte di incontrare il nipote durante il suo
affidamento ai servizi sociali, ma riusciva ad ottenere un per
messo di visita solo nel settembre 1989; questo perché egli con
tinuava a negare che sua sorella, la madre del piccolo, avesse
commesso il reato contestato.
1 Fopo t"naitano — 19Q*
Nel luglio 1991, la County Court dichiarava l'adottabilità del
minore, senza che la madre avesse prestato il suo consenso; la
corte, peraltro, nello stesso provvedimento avanzava seri dubbi
circa la legittimità dell'accertamento iniziale della sussistenza degli atti osceni.
A seguito dell'entrata in vigore della legge del 1989 sui mino
ri, il ricorrente chiedeva alla stessa corte che gli venisse ricono
sciuto quantomeno un diritto di visita, ma senza risultato.
Nel luglio 1992, l'autorità pubblica locale informava la ma
dre di aver interrotto il processo di integrazione del minore nel
la famiglia adottiva. Nel novembre 1993, il ricorrente veniva informato dalla stes
sa autorità che avrebbe avuto modo di riallacciare i contatti
con il nipote. Il Boyle ha adito la commissione denunciando la violazione
del suo diritto al rispetto della vita familiare (art. 8 convenzio
ne) consistente, da un lato, nel fatto che le autorità locali gli hanno impedito di incontrare il nipote, e, dall'altro, che egli, fino all'entrata in vigore della legge del 1989, non aveva avuto
neanche la possibilità di richiedere l'accertamento in via giudi ziaria di un diritto di visita.
La commissione ha ritenuto sussistente la violazione lamentata.
Il governo britannico ha informato il cancelliere dell'interve
nuta composizione amichevole della controversia, in base alla
quale:
a) il governo verserà al ricorrente una somma di denaro a
titolo gratuito, oltre alle spese sostenute per la presente procedura;
b) il governo ha deplorato il fatto che il ricorrente, anterior
mente all'entrata in vigore della legge del 1989 sui minori, non
abbia avuto a disposizione alcuno strumento legale per veder
riconosciuto in sede giudiziaria il suo diritto di visita nei con fronti del nipote.
Il delegato della commissione non ha sollevato alcuna obie
zione all'accordo raggiunto tra le parti e la corte non ha ravvi
sato alcun motivo di ordine pubblico che si opponga alla can
cellazione della causa dal ruolo.
X
Sentenza 23 marzo 1994; Pres. Ryssdal; Ravnsborg c. Svezia.
Il ricorrente, tutore della propria madre adottiva, sig. Schieck,
dalla fine del 1981, veniva nominato nel novembre 1982 curato
re anche di una conoscente di quest'ultima, sig. Akerblom. Am
bedue le signore, divenute incapaci di provvedere a loro stesse
a causa dell'età avanzata, erano state internate in una casa di
riposo. Il pagamento delle spese mediche fatturate dalla casa di cura
veniva effettuato regolarmente dal ricorrente.
Nell'aprile 1987, a seguito di una controversia sorta a propo
sito delle spese mediche, il «Consiglio superiore di tutela» di
Goteborg invitava il tribunale distrettuale della stessa città a
nominare un nuovo curatore per la Schieck.
Il ricorrente, agendo per conto proprio e della suddetta
Schieck, proponeva domanda riconvenzionale chiedendo, altre
sì, la revoca immediata di tutti i membri del consiglio e la fissa zione di un'udienza pubblica.
Con provvedimento reso in data 18 maggio 1987, il tribunale
ingiungeva al ricorrente il pagamento di un'ammenda per le di
chiarazioni sconvenienti contenute nelle sue osservazioni scritte.
In seguito, il tribunale, senza preventivo dibattimento, si pro nunciava accogliendo le eccezioni sollevate dal ricorrente circa
la nomina di un curatore, ma rigettando la richiesta di revoca
dei membri del consiglio. La corte d'appello confermava tale decisione, anch'essa pro
nunciandosi in assenza di pubblico dibattimento, condannando
il ricorrente al pagamento di un'ulteriore ammenda per le di
chiarazioni sconvenienti contenute nelle osservazioni da lui pre
sentate.
Il Ravnsborg ha adito la commissione allegando l'avvenuta
violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione, per ciò che riguarda
l'assenza di pubblica udienza nei procedimenti che hanno dato
luogo all'imposizione nei suoi confronti delle ammende.
La commissione si è pronunciata nel senso dell'inapplicabilità
al caso di specie dell'art. 6 convenzione.
La corte, in primo luogo, ha provveduto ad individuare il
carattere «penale», ai sensi dell'art. 6, par. 1, del procedimento
nazionale conclusosi con l'imposizione delle ammende, analiz
zando la fattispecie secondo i tre criteri già fissati dalla sua
precedente giurisprudenza:
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PARTE QUARTA
A) qualificazione giuridica della violazione secondo il diritto interno: non è stato dimostrato che il sistema giuridico naziona le ricolleghi al diritto penale le norme che sanzionano i pregiu dizi arrecati al corretto svolgimento dei procedimenti giurisdi zionali.
B) Natura della violazione: l'art. 5, 2° comma, cpv. 9, del codice delle procedure giudiziarie si applica alle dichiarazioni sconvenienti indirizzate oralmente o per iscritto ad un organo
giurisdizionale da parte di chiunque assista o partecipi al proce dimento, ma non a dichiarazioni analoghe rese in un altro ambito.
Spetta, inoltre, allo stesso organo giurisdizionale di fronte al
quale si è verificato il comportamento sconveniente a dover sta bilire ex officio se esso rileva ai fini dell'art. 5 cit.
Disposizioni normative come quelle di cui è controversia, che
autorizzano un tribunale a reprimere i comportamenti inoppor tuni tenuti in sua presenza sono molto frequenti nei sistemi giu ridici europei; esse trovano giustificazione nella necessità di ga rantire a qualsiasi organo giurisdizionale la possibilità di assicu rare lo svolgimento corretto e disciplinato dei vari procedimenti.
Le sanzioni comminate in questo ambito dai tribunali sono
espressione di un potere disciplinare più che di un potere di
imporre sanzioni a seguito di violazioni a carattere penale. Ovviamente gli Stati rimangono liberi di ricomprendere nel
campo del diritto penale quelle ipotesi di comportamento parti colarmente gravi.
Ma non è certo questo il caso di specie.
C) La natura e la gravità della sanzione comminata: l'impor to delle ammende inflitte al ricorrente non raggiungeva un livel lo tale da farne una sanzione di tipo penale; esse non compaio no nemmeno nel casellario giudiziario.
Alla luce di quanto sopra considerato, la corte non ha ritenu to applicabile l'art. 6.
XI
Sentenza 23 marzo 1994; Pres. Ryssdal; Silva Pontes c. Por
togallo.
Il ricorrente, rimasto vittima di un incidente stradale nel no vembre 1975, introduceva un giudizio di risarcimento di fronte al Tribunale di Evora.
Con sentenza emessa in data 1° ottobre 1982, il tribunale
accoglieva in parte le richieste del sig. Pontes, riservando ad altro giudizio la determinazione delle spese di trasporto soste nute dal ricorrente a seguito dell'incidente.
L'appello proposto dal ricorrente veniva respinto con senten za del 30 maggio 1985.
La Corte di cassazione, adita dai soccombenti, si pronuncia va con sentenza del 5 febbraio 1987 a favore del ricorrente.
Il procedimento esecutivo, introdotto dal ricorrente, si con cludeva il 19 dicembre 1989 con una composizione stragiudizia le della controversia.
Il Silva Pontes ha adito la commissione denunciando la viola zione nei suoi confronti dell'art. 6, par. 1, convenzione, sotto il profilo dell'eccessiva durata del procedimento civile.
La commissione si è pronunciata nel senso della sussistenza della violazione denunciata.
La corte ha rammentato il principio espresso nella sua prece dente giurisprudenza, secondo il quale la durata di un procedi mento si deve valutare in rapporto: alle circostanze del caso
concreto; alla complessità del caso; al comportamento tenuto sia dal ricorrente sia dalle autorità nazionali competenti.
Tenendo presenti i criteri sopra enunciati, la corte ha conclu so che, nella fattispecie in esame, vi sia stata violazione dell'art.
6, par. 1, convenzione (1).
XII
Sentenza 25 marzo 1994; Pres. Ryssdal; Scherer c. Svizzera.
Il ricorrente era proprietario di un sexy-shop par omosessuali a Zurigo, all'interno del quale venivano proiettate anche video cassette.
Il 23 novembre 1983, in seguito ad una perquisizione nei sud detti locali, il pubblico ministero del distretto di Zurigo confi scava un film intitolato «New York City» e il proiettore del
ricorrente, nei confronti del quale veniva avviato un procedi mento penale.
Il Foro Italiano — 1995.
Con provvedimento del 15 marzo 1984, il pubblico ministero
infliggeva all'interessato un'ammenda per aver commercializza to pubblicazioni oscene.
Il Tribunale distrettuale di Zurigo, su ricorso dello stesso im
putato, annullava il suddetto provvedimento. Il pubblico ministero impugnava la decisione del tribunale di
fronte alla corte di appello, che confermava il giudizio di con danna del ricorrente.
Quest'ultimo proponeva ricorso alla Corte di cassazione can
tonale, la quale annullava il provvedimento di condanna con rinvio alla stessa corte d'appello.
Il giudice di rinvio confermava nuovamente il giudizio di con danna che, a seguito di un'ulteriore impugnazione proposta dal
ricorrente, veniva annullato dalla Corte di cassazione cantonale. Il pubblico ministero, a questo punto, proponeva ricorso al
tribunale federale, il quale annullava il provvedimento di asso luzione emesso dalla Corte di cassazione cantonale e rinviava la causa a quest'ultimo giudice affinché si pronunciasse nuova mente, tenendo presente che nel caso di specie entravano in gio co la decenza e la moralità pubblica.
Con sentenza resa in data 3 aprile 1989, la Corte di cassazio ne condannava il ricorrente, sulla scorta dei principi enunciati dal tribunale federale.
Il ricorrente ha adito la commissione lamentando, da un lato, la violazione dell'art. 6, par. 1 convenzione, per l'eccessiva du rata del procedimento penale che lo ha visto imputato e, dal
l'altro, la violazione degli art. 8 e 10, convenzione per essere stato condannato a seguito della proiezione del film «New York
City» e per aver ricevuto il divieto di presentare questo stesso film nei locali del suo negozio.
La commissione ha ritenuto che vi sia stata violazione solo dell'art. 10 convenzione.
La corte, a seguito dell'avvenuto decesso del ricorrente, non essendovi alcuna indicazione da parte dell'avvocato del Scherer circa gli eredi e non avendo manifestato l'esecutore testamenta rio dello stesso Scherer alcuna intenzione di ottenere, in Svizze ra, la riapertura del procedimento penale e, a Strasburgo, il riconoscimento di un risarcimento per i danni morali subiti, ha ritenuto che non vi siano motivi di ordine pubblico che si op pongano alla cancellazione della causa dal ruolo, tanto più che, successivamente ai fatti di cui è causa, la giurisprudenza del tribunale federale e la legislazione svizzera hanno subito muta menti radicali a favore delle tesi sostenute dal ricorrente.
XIII
Sentenza 19 aprile 1994; Pres. Ryssdal; Van de Hurk c. Paesi Bassi.
Il ricorrente, produttore di latte, nel gennaio 1984 si obbliga va nei confronti dell'ufficio regionale della Fondazione per l'at tuazione delle disposizioni normative in materia di agricoltura ad intraprendere nuovi investimenti destinati ad estendere i suoi impianti produttivi, mediante la costruzione di un nuovo stabi
limento, e ad adattarli alle nuove norme igienico-sanitarie, ciò che gli avrebbe permesso di aumentare il numero dei capi di bestiame da latte.
A seguito della emanazione del regolamento Cee n. 856/84 sul prelievo supplementare di latte, all'interessato veniva asse gnato un certo limite alla sua produzione (quantità di riferi
mento), la cui inosservanza avrebbe comportato il pagamento di una penalità detta, appunto, «prelievo supplementare».
Il ricorrente, tuttavia, sostenendo che il. quantitativo di riferi mento a lui assegnato non gli permetteva di far fronte ai debiti contratti in occasione della realizzazione degli investimenti pre cedentemente indicati, chiedeva un aumento della sua quota di
produzione. La richiesta veniva rigettata dal ministero dell'agri coltura e della pesca.
A seguito di un ulteriore rifiuto del ministro alla sua richiesta in sede di reclamo, il ricorrente adiva il consiglio d'appello in materia economica.
Nel procedimento svoltosi di fronte al consiglio, il ministro competente precisava che il rigetto della richiesta avanzata dal ricorrente era scaturito dal fatto che gli investimenti da lui ef fettuati non erano tali da poter legittimare un aumento della
quota di produzione. Il ricorrente contestava quanto affermato dal ministro, pro
ponendo un suo metro di valutazione degli stessi investimenti. Il consiglio, con provvedimento reso in data 16 giugno 1989,
respingeva l'appello sulla base degli stessi criteri di misurazione adottati dal ministro, in quanto il ricorrente aveva prodotto in
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
giudizio diversi parametri di misurazione dei suoi investimenti
tardivamente, ovverosia alla prima udienza.
Il Van de Hurk ha adito la commissione denunciando la vio
lazione nei suoi confronti dell'art. 6, par. 1, convenzione sotto
tre profili: a) mancanza di un tribunale indipendente ed imparziale: la
Corona, su sollecitazione e proposta del ministro, avrebbe po tuto in ogni momento privare di efficacia o sospendere l'esecu
zione del provvedimento reso dal consiglio d'appello in materia
economica;
b) difetto di un «processo equo»: il consiglio d'appello in materia economica non ha tenuto conto delle argomentazioni addotte dal ricorrente nel corso del procedimento, al contrario
delle argomentazioni e delle prove prodotte sempre nel corso
del procedimento dal ministro;
c) difetto di motivazione: il consiglio non ha deciso in modo equo non avendo tenuto adeguatamente conto dei parametri di
misurazione proposti dal ricorrente. La commissione si è pronunciata nel senso che vi sia stata
violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione.
La corte, in primo luogo, ha precisato che al caso di specie, trattandosi di «diritti ed obblighi di carattere civile», è senza
dubbio applicabile l'art. 6. In merito al primo motivo di ricorso, vertente sul difetto di
indipendenza e imparzialità dell'organo giudicante, la corte ha
rilevato che il potere di rendere una decisione vincolante che
non può essere modificata da un'altra autorità estranea all'or
dinamento giudiziario, come quello attribuito al consiglio d'ap
pello, è proprio di un «tribunale»; anzi, siffatto potere può es
sere visto come ulteriore garanzia dell'indipendenza dell'organo
giudicante. Del resto, la semplice esistenza del potere in capo al governo
di sospendere l'esecuzione della decisione di cui è controversia
non può pregiudicare di per sé l'indipendenza del consiglio. Né
a questo riguardo può essere accolta la tesi contraria, secondo
il quale l'influenza negativa di tale potere sarebbe dimostrata
dalla bassa percentuale di ricorsi accolti dal consiglio in materia
di quote di produzione di latte.
Il governo olandese, dal canto suo, ha osservato che la previ sione di un potere governativo di sospensione della decisione
del consiglio non impedisce di considerare quest'ultimo un «tri
bunale», dato che tale potere, in primo luogo, si riferisce solo
agli effetti del provvedimento reso dal consiglio, lasciandone
intatte le motivazioni, e, in secondo luogo, non è stato mai
utilizzato dal governo, tanto che ne è prevista l'abolizione con
l'entrata in vigore del nuovo codice amministrativo.
La corte, in merito al primo degli argomenti addotti dal go verno a sostegno delle sue tesi, ha rilevato che ciò che conta
per chi agisce in giudizio è il dispositivo e le conseguenze giuri diche che ne discendono.
Inoltre, a nulla vale osservare che la disposizione normativa
che attribuisce un potere al governo come quello sopra descritto
sia caduta in desuetudine, perché si tratta pur sempre di norma
facente tuttora parte dell'ordinamento giuridico olandese.
Il governo, peraltro, ha precisato che, in ogni caso, il sogget to destinatario del provvedimento reso dal consiglio può sempre adire le autorità giurisdizionali civili per sollecitare un controllo sul suddetto provvedimento. La corte, tuttavia, non ha potuto verificare l'esistenza concreta di un tale tipo di ricorso, posto
che, in tal senso, non è dato rinvenire né una chiara disposizio ne di legge né una giurisprudenza univoca.
In conclusione, avendo il ministro la possibilità di paralizzare in tutto o in parte l'efficacia delle decisioni del consiglio d'ap
pello, quest'ultimo non può essere considerato un «tribunale»,
ai sensi dell'art. 6, par. 1, convenzione.
Il governo precisa altresì che l'ordinamento nazionale preve de anche l'ipotesi di un riesame da parte del consiglio della pro
pria decisione, a seguito del quale è anche possibile la condanna
dell'amministrazione al risarcimento dei danni, laddove si ac
certi un uso distorto del potere di sospendere l'efficacia del prov
vedimento reso: eppoi, posto che la convenzione europea è di
rettamente applicabile nei Paesi Bassi, il ricorrente avrebbe po
tuto, in ogni caso, ricorrere al giudice civile denunciando il difetto
di imparzialità e indipendenza del consiglio stesso.
La corte, in ordine al primo mezzo di ricorso indicato dal
governo, ha precisato che, in ogni caso, il consiglio non può
discostarsi dalla decisione della Corona di sospensione dell'effi
cacia del provvedimento; in secondo luogo, in caso di uso di
storto del potere di sospensione, il risarcimento spettante al sog
getto privato è comunque inferiore ai vantaggi che questi avreb
be potuto trarre dall'esecuzione del provvedimento sospeso.
Il Foro Italiano — 1995.
Quanto al secondo mezzo di ricorso indicato dal governo, la corte non ha ignorato il fatto che le giurisdizioni civili, le
rare volte in cui sono pronunciate su casi simili, hanno sempre ritenuto sufficienti le garanzie giuridiche offerte dal consiglio.
La corte, alla luce di quanto considerato, ha ritenuto che, nel caso di specie, vi sia stata violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione, per il fatto che nessun «tribunale» che possa con
siderarsi tale si è pronunciato circa la controversia relativa a
diritti ed obblighi di carattere civile facenti capo al ricorrente.
In ordine al secondo motivo di ricorso, riguardante il caratte
re «equo» del procedimento in oggetto, la corte ha osservato
che, se è vero che il ministro ha avuto modo di basare la difesa della propria decisione su argomenti nuovi rispetto a quelli pre cedentemente addotti, è pur vero che il ricorrente ha avuto mo
do di sottoporre al consiglio una relazione del suo contabile
e alcune altre controdeduzioni.
Ciò significa che non risulta violato il principio c.d. dell'«ugua glianza degli strumenti di difesa».
Per ciò che concerne, poi, il rifiuto opposto dal consiglio a
considerare i parametri di stima indicati dal ricorrente, la corte
ha tenuto a precisare che, in linea generale, la valutazione dei
fatti di causa è rimessa inderogabilmente al giudice nazionale.
D'altro canto, il consiglio ha opposto tale rifiuto in quanto il ricorrente aveva prodotto in giudizio i suoi criteri di stima nel dibattimento orale e, quindi, tardivamente.
La corte, inoltre, ha ritenuto il provvedimento sufficiente
mente motivato.
Sotto questo profilo, dunque, l'art. 6, par. 1, convenzione
non risulta essere stato violato.
La corte, infine, ha rigettato la richiesta di risarcimento dei
danni avanzata dal ricorrente, in quanto è rimasto indimostrato
che, in assenza della violazione accertata, egli avrebbe potuto ottenere una pronuncia favorevole, mentre ha riconosciuto allo
stesso ricorrente il diritto al rimborso delle spese sostenute.
XIV
Sentenza 22 aprile 1994; Pres. Ryssdal; Saraiva de Carvalho
c. Portogallo.
In data 10 giugno 1984, la ricorrente, sospettata di essere fon
datrice e attivista di un'organizzazione terroristica nota con il
nome «Forze popolari 25 aprile», veniva arrestata e posta in
carcerazione preventiva con l'accusa di aver fondato e parteci
pato a un'organizzazione di stampo terroristico.
La fase istruttoria del procedimento penale veniva affidata
ad un giudice della sezione istruttoria del Tribunale di Lisbona.
Il 7 gennaio 1985, la procura formulava le sue conclusioni
e rinviava la causa di fronte al Tribunale dì Lisbona.
Il giudice del tribunale assegnato alla causa, il sig. Salvado
(con un provvedimento denominato «despacho de pronuncia»)
accoglieva in parte le richieste della procura, soprattutto quelle
riguardanti la ricorrente. Nel corso del processo svoltosi di fronte al tribunale, tra i
cui membri figurava anche il sig. Salvado, la sig. Saraiva de
Carvalho presentava un ricorso alla corte d'appello lamentando
il difetto di imparzialità dell'organo giudicante, in quanto il sig.
Salvado, essendosi già pronunciato preliminarmente sulla col
pevolezza della ricorrente, avrebbe senz'altro influenzato in ma
niera negativa la decisione finale nel merito.
Il tribunale dichiarava il ricorso ricevibile e disponeva che
fosse trasmesso alle giurisdizioni superiori unitamente all'even
tuale appello avverso la sentenza di merito.
Con provvedimento reso in data 20 maggio 1987, la ricorren
te era riconosciuta colpevole del reato contestato e condannata
a 15 anni di reclusione in un carcere militare e al pagamento di una multa.
La ricorrente impugnava siffatta decisione sia di fronte alla
corte di appello, che aumentava la pena della reclusione a 18
anni, sia di fronte alla Suprema corte, che stabiliva definitiva
mente in 17 anni la suddetta pena. L'interessata, invocando la violazione dell'art. 6, par. 1, con
venzione europea sotto il profilo dell'imparzialità dell'organo
giudicante, adiva la Corte costituzionale, la quale, rigettando il ricorso, precisava che il «despacho de pronuncia» altro non
era se non un provvedimento con il quale il giudice deve sempli
cemente verificare l'esistenza di indizi sufficienti circa la colpe volezza dell'imputato, senza entrare minimamente nel merito.
La ricorrente, lamentando la violazione dell'art. 6, par. 1,
convenzione, ha adito la commissione, la quale si è pronunciata
nel senso della insussistenza della stessa.
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PARTE QUARTA
La corte ha rammentato che l'imparzialità di un giudice va
verificata sia sotto il profilo oggettivo, con riferimento all'ido neità delle garanzie offerte ai fini dell'esclusione di ogni legitti mo dubbio, sia sotto il profilo soggettivo, con riferimento al
l'atteggiamento personale del giudice in questione. Sotto il profilo soggettivo, nulla quaestio. Sotto il profilo oggettivo, il fatto che il giudice Salvado abbia
emesso un provvedimento preliminare non rileva ai fini dell'in
dagine in questione, poiché, nel caso di specie, si tratta di un
provvedimento tendente ad assicurare, a seguito di un esame
sommario, la sussistenza di un minimo di indizi sulla colpevo lezza dell'imputato, ciò che si differenzia nettamente da un ac certamento formale di questa stessa colpevolezza.
Alla luce di quanto esposto, i timori della ricorrente circa
l'imparzialità dell'organo giudicante non possono essere ritenu
ti obiettivamente giustificabili, ciò che esclude la violazione del
l'art. 6-, par. 1, convenzione.
XV
Sentenza 26 aprile 1994; Pres. Ryssdai; Diaz c. Spagna.
Il figlio del ricorrente, Manuel Diaz, di 21 anni, in data 13
ottobre 1982 veniva arrestato dalla polizia con un'altra persona nell'ambito di un'indagine su alcuni furti. Veniva, quindi, sot
toposto ad interrogatorio al commissariato in presenza di un avvocato d'ufficio, nel corso del quale negava qualsiasi coinvol
gimento nei fatti criminosi in questione. Il soggetto arrestato con lui, viceversa, rendeva piena confes
sione e veniva, quindi, schedato e accompagnato in carcere. Nella tarda serata il figlio del ricorrente veniva di nuovo in
terrogato, questa volta in assenza dell'avvocato.
In seguito ad un diverbio, il Diaz, in preda ad una crisi di
nervi, si impadroniva dell'arma di ordinanza di uno dei due
ispettori che lo stavano interrogando e sparava all'altro, il qua le, rispondendo al fuoco, feriva mortalmente il detenuto.
L'autopsia eseguita successivamente rilevava sul corpo del Diaz, oltre alle ferite che ne avevano causato la morte, altre ferite
superficiali di cui non si riusciva a risalire alla causa. Il poliziotto che aveva sparato, condannato in primo grado
per eccesso di legittima difesa, veniva successivamente assolto. Il ricorrente adiva la commissione lamentando la violazione
dell'art. 3 convenzione, per aver egli subito durante la sua de tenzione trattamenti disumani e degradanti.
La commissione si è pronunciata nel senso della insussistenza della violazione denunciata.
Il governo spagnolo ed il ricorrente hanno raggiunto una com
posizione amichevole della controversia, prevedendo che: — la Spagna si obbliga a versare al ricorrente una somma
di denaro, senza, peraltro, che ciò possa essere considerato un riconoscimento da parte delle stesse autorità spagnole di un ina
dempimento agli obblighi risultanti dalla convenzione europea; — il ricorrente si obbliga a non sollevare più alcuna questio
ne sui fatti di cui è causa di fronte ad autorità nazionali o inter nazionali.
La corte non ha ravvisato alcun motivo di ordine pubblico che si opponga alla cancellazione della causa dal ruolo.
XVI
Sentenza 26 maggio 1994; Pres. Ryssdal; Keegan c. Irlanda.
In data 29 settembre 1988, la compagna del ricorrente dava alla luce una bambina di cui egli è padre.
Il 17 novembre 1988, la madre decideva di darla in adozione, informandone successivamente l'interessato.
Quest'ultimo agiva in giudizio per essere nominato tutore della
minore, ciò che gli avrebbe permesso di opporsi all'adozione della bambina e di ottenerne l'affidamento.
Con provvedimento reso in data 29 maggio 1989, la Circuit Court nominava il ricorrente tutore della minore che gli veniva data in affidamento.
La madre e gli aspiranti adottanti proponevano appello pres so la High Court, la quale, nel luglio 1989, si pronunciava nel senso che il ricorrente fosse perfettamente idoneo a essere no minato tutore e che non fossero sussistenti circostanze tali da dover temere un danno per il benessere della minore.
La corte, tuttavia, rinviava in via pregiudiziale la causa di fronte alla Corte suprema affinché quest'ultima si pronunciasse sull'interpretazione di alcune norme applicabili al caso di specie.
Il Foro Italiano — 1995.
La Corte suprema, in data 1° dicembre 1989, dichiarava che
il padre naturale non avesse un diritto soggettivo ad essere no
minato tutore, ma fosse da considerare semplicemente uno dei
soggetti legittimati a presentare richiesta in tal senso: tutto ciò
sempre in funzione del benessere del minore.
La High Court, in forza di quanto affermato dalla Corte su
prema, respingeva le richieste di affidamento formulate dal ri
corrente, in quanto la minore mostrava un attaccamento molto
più forte agli adottanti e un allontanamento brusco da essi avreb
be potuto causarle un trauma irreversibile.
Successivamente, veniva emessa un'ordinanza di adozione della
minore. Il Keegan adiva la commissione denunciando una violazione
nei suoi confronti dell'art. 8 sotto il profilo del diritto al rispet to della vita familiare, posto che sua figlia era stata affidata
a fini di adozione a sua insaputa e senza il suo consenso, né l'ordinamento nazionale prevedeva nei suoi confronti un diritto
soggettivo ad essere nominato tutore.
Egli, inoltre, lamentava, da un lato, di non aver avuto acces
so ad un tribunale (art. 6 convenzione) e di non aver potuto partecipare al procedimento svoltosi di fronte al consiglio per le adozioni e, dall'altro, di essere stato vittima di una discrimi
nazione vietata (art. 14, in combinato disposto con gli art. 6
e 8) rispetto alla situazione di un padre naturale coniugato con la madre naturale.
La commissione ha ritenuto che vi fosse violazione solo sotto il profilo degli art. 6 e 8 convenzione.
La corte, in via preliminare, a seguito della dichiarazione re sa dal ricorrente secondo la quale, essendo intervenuta ordinan
za di adozione, egli non avrebbe più diritto di agire anche per conto della propria figlia, ha ritenuto di doversi pronunciare solo sulle violazioni attinenti ai diritti facenti capo direttamente al ricorrente stesso.
Il governo irlandese ha eccepito il mancato esaurimento delle
vie di ricorso interne, cosi come previsto ex art. 26, per non
aver fatto il ricorrente valere le sue ragioni nei vari procedimen ti nazionali.
La corte ha rigettato l'eccezione, osservando che, tenuto con to della giurisprudenza costituzionale irlandese in virtù della quale il padre naturale non ha alcun diritto di partecipare al procedi mento di adozione, il ricorrente avrebbe sicuramente fatto vale re invano le sue ragioni di fronte ai tribunali nazionali.
Entrando nel merito, la corte ha tenuto, in primo luogo, a
precisare l'applicabilità al caso di specie dell'art. 8 convenzione. Il suddetto articolo, infatti, prevedendo un diritto al rispetto
della vita familiare, mira a tutelare non solo le relazioni fami liari basate su un matrimonio, ma anche quelle che possono crearsi de facto.
Un bambino che nasce da queste relazioni, pertanto, si inseri sce a pieno titolo in un vero e proprio «nucleo familiare», an che se al momento della sua nascita i due genitori non vivono
più insieme. Ed è proprio questa la fattispecie in questione. Sotto il profilo dell'art. 8, la corte ha rammentato che, se
condo la sua giurisprudenza, laddove sussista un valido legame tra la famiglia ed il bambino, lo Stato deve consentire a tutti i costi lo sviluppo di siffatto legame.
Il fatto che l'ordinamento irlandese permetta che l'affidamento e l'adozione di un minore avvengano all'insaputa del padre na turale costituisce senza dubbio un'ingerenza nel diritto del ri corrente al rispetto della sua vita familiare. È necessario, per tanto, verificare se tale ingerenza è giustificabile in forza dell'e sistenza delle circostanze indicate nel par. 28 convenzione.
È chiaro, i provvedimenti adottati dai giudici nazionali nei confronti del ricorrente erano del tutto conformi alle disposi zioni di legge, il cui scopo ultimo è quello di proteggere i diritti del minore.
Rimane ora da verificare se tali disposizioni, prevedendo un'in
gerenza cosi marcata nella vita familiare di un individuo, siano effettivamente necessarie in una società democratica.
La corte, in proposito, ha rilevato che la questione fonda
mentale, nel caso di specie, non è tanto quella relativa al rifiuto
opposto dai giudici nazionali a nominare il ricorrente tutore della minore, quanto il fatto che la legislazione irlandese abbia consentito che la bambina stringesse un legame molto forte con altre persone diverse dai suoi genitori — legame che sarebbe molto pericoloso spezzare —, ciò che ha impedito al ricorrente di creare e sviluppare con la propria bambina una normale rela zione affettiva familiare.
La corte, pertanto, ha ritenuto che vi sia stata violazione de l'art. 8 convenzione.
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
In ordine, infine, ai motivi di ricorso riguardanti il difetto
di accesso ad un tribunale (6, par. 1, convenzione), la corte, ha rilevato che il ricorrente non aveva a sua disposizione nessun
mezzo concreto per opporsi al provvedimento di adozione o
per intervenire in qualsiasi momento nel procedimento svoltosi
di fronte al consiglio per le adozioni; ciò che costituisce viola zione dell'art. 6, cit.
La corte ha riconosciuto al ricorrente il diritto al risarcimen
to dei danni materiali e morali subiti, oltre al rimborso delle
spese processuali.
XVII
Sentenza 23 giugno 1994; Pres. Ryssdal; Jacubowsky c.
Germania.
Il 3 maggio 1983, il ricorrente veniva nominato amministra tore unico di una società che svolge attività di agenzia di stam
pa (DDP). Il 17 luglio 1984 egli veniva revocato dalla sua carica senza
preavviso. Il 16 agosto la direzione della società pubblicava un comuni
cato sulla ristrutturazione dell'organico, in cui si criticava aspra mente sia la competenza professionale del ricorrente sia la ge stione da lui curata.
Il sig. Jacubowski, a seguito del rifiuto opposto dalla società
alla pubblicazione di una sua risposta al comunicato di cui so
pra, adiva il tribunale regionale chiedendo che venisse emessa
un'ordinanza di ingiunzione, che gli veniva concessa in sede di
appello dalla corte di Colonia.
L'ordinanza veniva eseguita un mese dopo la sua pubbli cazione.
Nel frattempo, il 25 settembre 1984, il ricorrente aveva prov veduto ad inviare a 40 editori della stampa e della televisione
una lettera accompagnata da tredici articoli di giornale a gran de diffusione, contenenti aspri apprezzamenti sulle circostanze
del suo licenziamento e sull'attività della società DDP in generale. Nel marzo 1995, il ricorrente creava un'agenzia di relazioni
pubbliche. La società E divenuta proprietaria del 25% del capitale della
società DDP, agiva in giudizio per ottenere un provvedimento inibitorio nei confronti del ricorrente.
In primo grado, la società E soccombeva per difetto di legit timazione ad agire, ma in grado d'appello, a seguito della costi
tuzione in giudizio della DDP, la corte di Dusseldorf, acco
gliendo le richieste degli attori, ordinava al ricorrente di aste
nersi dalla diffusione delle lettere in questione e lo dichiarava
responsabile di un comportamento configurante concorrenza slea
le, alla luce della successiva apertura di una sua agenzia di rela
zioni pubbliche; siffatta pronuncia veniva confermata sia in Cas
sazione sia dalla Corte costituzionale federale.
Il ricorrente ha adito la commissione lamentando la violazio
ne nei suoi confronti dell'art. 10 convenzione sotto il profilo del diritto alla libertà di espressione, per non aver egli avuto
la possibilità di replicare al comunicato del suo ex datore di
lavoro che aveva messo seriamente in dubbio le sue competenze
professionali. Ad avviso della corte, il provvedimento adottato sul punto
dai giudici nazionali si configura, senza dubbio, come un'inge renza nell'esercizio da parte del ricorrente del suo diritto alla
libertà di espressione, prevista per legge e tendente ad uno sco
po del tutto legittimo, quale quello della tutela della reputazio ne altrui; resta da verificare se una tale ingerenza sia da ritenere
necessaria in una società democratica.
La corte ha rilevato che le giurisdizioni nazionali che si sono
pronunciate sul caso in oggetto hanno tutte ravvisato un atto
di concorrenza sleale nel fatto che la lettera inviata dal ricorren
te ai vari editori conteneva, nell'ultimo paragrafo, un invito
esplicito ai destinatari a stabilire rapporti commerciali con il
ricorrente e che la sua diffusione era iniziata, secondo alcune
testimonianze, subito dopo che lo stesso ricorrente aveva deciso di aprire una agenzia di pubbliche relazioni.
Del resto, il provvedimento di ingiunzione emesso dalla corte
di appello si limitava a vietare al ricorrente la diffusione della
lettera in questione, ciò che consentiva a quest'ultimo di difen
dersi con qualsiasi altro modo dagli attacchi della società sua
ex datrice di lavoro. La corte, pertanto, non ha ravvisato alcuna violazione del
l'art. 10.
Il Foro Italiano — 1995.
XVIII
Sentenza 23 giugno 1994; Pres. Ryssdal; De Moor c. Belgio.
Il ricorrente, ufficiale dell'esercito in pensione, nel luglio 1983
conseguiva la laurea in giurisprudenza. Il 17 novembre 1983, il ricorrente chiedeva al consiglio del
l'ordine degli avvocati di Hasselt l'iscrizione come praticante
procuratore, iscrizione che gli veniva negata in base al fatto
che egli aveva già completato, al di fuori del foro, una diversa
carriera professionale. Il 29 novembre 1983, l'interessato impugnava la suddetta de
cisione di fronte al Consiglio di Stato, il quale, con sentenza
del 31 ottobre, rigettava il ricorso dichiarandosi incompetente a conoscere di atti emessi dall'ordine degli avvocati.
Il ricorrente ha adito la commissione, contestando, sotto il
profilo dell'art. 6, par. 1, convenzione, la mancanza di impar zialità del consiglio dell'ordine di Hasselt e del consiglio di ap pello, nonché il difetto di pubblicità del procedimento svoltosi
di fronte a quest'organo e l'eccessiva durata del procedimento svoltosi di fronte al Consiglio di Stato.
La corte, in via preliminare, ha precisato che l'art. 6, par.
1, convenzione deve essere ritenuto applicabile al caso di specie in quanto il diritto all'iscrizione al consiglio dell'ordine come
praticante, affermato dal ricorrente, è un diritto riconosciuto
dalla legislazione belga, il cui carattere civile è stato già affer
mato dalla stessa corte in precedenti sentenze.
Il governo belga ha eccepito la mancanza di esaurimento del
le vie di ricorso interne in quanto il ricorrente: — non ha impugnato la decisione del «Consiglio di Stato
di fronte alla Corte di cassazione»; — non ha immediatamente adito la Corte di cassazione con
tro il provvedimento di rifiuto dell'iscrizione; — non ha atteso di conoscere l'esito del procedimento dinan
zi al Consiglio di Stato prima di adire la commissione; — non ha ricusato di fronte alla Corte di cassazione i mem
bri del consiglio dell'ordine per legittima suspicione. La corte ha rigettato in toto l'eccezione del governo, rilevan
do che il ricorrente ha iniziato e portato a termine il procedi mento di fronte al Consiglio di Stato senza tener conto di altre
vie di ricorso che lo avrebbero certamente portato allo stesso
risultato. Entrando nel merito del ricorso, la corte ha osservato che
il consiglio dell'ordine, pur godendo di ampi margini di discre
zionalità in relazione alle domande di iscrizione dei praticanti, non può pronunciarsi in senso negativo se non laddove difetti
no le condizioni previste dalla legge a tal fine ovvero laddove
ravvisi nel richiedente una causa di incompatibilità o una situa zione di indegnità o incompetenza professionale.
La decisione del consiglio dell'ordine di cui è controversia
non conteneva alcun riferimento ad una delle circostanze sopra
indicate, ciò che la rende indiscutibilmente illegittima. Né il ricorrente, all'epoca dei fatti, aveva alcun mezzo di im
pugnazione da esperire. La corte, infine, ha rilevato la mancanza di pubblicità nel
procedimento svoltosi di fronte al consiglio dell'ordine che, per la sua natura, non giustificava certo una pronuncia a porte chiu
se; vi è stato, dunque, violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione.
Per ciò che concerne la durata dell'intero procedimento (quat tro anni), la corte ha ritenuto che questa abbia oltrepassato il termine ragionevole di cui all'art. 6, par. 1, convenzione, tenu
to conto del comportamento del ricorrente e delle circostanze
di cui è causa.
La corte, infine, ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento
dei soli danni morali, oltre al rimborso delle spese.
* * *
A) Convenzione
Art. 3
Nessuno può essere sottoposto a tortuna né a pena o tratta
mento inumani o degradanti.
Art. 6
1. Ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza
entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipen
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PARTE QUARTA
dente e imparziale costituito per legge, al fine della determina
zione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.
La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla
sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico du
rante tutto o una parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società
democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la tu
tela della vita privata delle parti nel processo, nella misura giu dicata strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali
circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi del
la giustizia. 3. Ogni accusato ha più specialmente diritto a:
a) (omissis); b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per pre
parare la sua difesa;
c) difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di pro
pria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio
quando lo esigano gli interessi della giustizia;
d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed otte
nere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico
nelle stesse condizioni dei testimoni a carico.
Art. 8
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'e
sercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia previ sta dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una
società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'or
dine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la prote zione dei diritti e delle libertà altrui.
Art. 10
1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale di
ritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il
presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano ad
un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di
cinema o di televisione.
2. L'esercizio di questa libertà, comportando doveri e respon sabilità, può essere sottoposto a determinate formalità, condi
zioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti mi sure necessarie in una società democratica, per la sicurezza na
zionale, l'integrità territoriale o l'ordine pubblico, la prevenzione dei disordini e dei reati, la protezione della salute e della mora
le, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per im
pedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per ga rantire l'autorità o la imparzialità del potere giudiziario.
Art. 14
Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella pre sente convenzione deve essere assicurato senza distinzioni di al
cuna specie, come di sesso, di razza, di colore, di lingua, di
religione, di opinione politica o di altro genere, di origine na zionale o sociale, di appartenenza o una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
Art. 26
La commissione non può essere adita che dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un pe riodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.
Art. 50
Se la decisione della corte dichiara che una decisione presa o una misura ordinata da un'autorità giudiziaria o da ogni altra
Il Foro Italiano — 1995.
autorità di una parte contraente si trova interamente o parzial mente in contrasto con obbligazioni che derivano dalla presente
convenzione, e se il diritto interno di detta parte non permette che in modo incompleto di eliminare le conseguenze di tale de
cisione o di tale misura, la decisione della corte accorda, quan do è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa.
B) Protocollo addizionale n. 1
Art. 1
Ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi
beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà salvo che
per causa d'utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla leg
ge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto
degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi giudicate necessa
rie per regolare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse
generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altre contribuzioni o delle ammende.
C) Protocollo addizionale n. 4
Art. 2
1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato
ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente
la sua residenza.
2. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi paese, compreso il suo.
3. L'esercizio di questi diritti non può essere oggetto di re
strizioni diverse da quelle che, previste dalla legge, costituisco
no, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza
nazionale, o alla sicurezza pubblica, al mantenimento dell'ordi
ne pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla prote zione della sanità o della morale o alla protezione dei diritti
e libertà altrui.
4. I diritti riconosciuti nel paragrafo 1 possono anche, in al cune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dal
la legge e giustificate dall'interesse pubblico in una società de
mocratica.
D) Regolamento della corte
Art. 49
1. Lorsque la partie requérante devant la Cour fait connaitre
au greffier son intention de se désister et si les autres Parties
acceptent la désistement, la chambre décide, aprés avoir consul tò la Commission et le requérant, s'il y a lieu ou non d'homolo
guer la désistement et par suite de rayer l'affaire du ròle. 2. Lorsque la chambre re?oit communication d'un règlement
amiable, arrangement ou autre fait de nature à fournir une so
lution du litige, elle peut, le cas échéant, après avoir consulté
les Parties, les délégués de la Commission et le requérant, rayer l'affaire du róle.
3. La radiation du ròle donne lieu à un arret que le président
communique au Comité des Ministres pour lui permettre de sur
veiller, conformément à l'art. 54 de la Convention, l'exécution des engagements auxquels ont pu ètre subordonnées la désiste
ment ou la solution du litige. 4. La chambre peut, eu égarde aux responsabilités incombant
à la Cour aux termes de l'art. 19 de la Convention, décider
de porsuivre l'examen de l'affaire nonostant le désistement, rè
glement amiable, arrangement ou fait visés audx paragraphes 1 et 2 du présent article.
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