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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1° gennaio - 30 giugno 1994)

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1° gennaio - 30 giugno 1994) Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 11 (NOVEMBRE 1995), pp. 353/354-371/372 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23273703 . Accessed: 25/06/2014 08:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.251 on Wed, 25 Jun 2014 08:23:23 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1° gennaio - 30 giugno 1994)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 11 (NOVEMBRE 1995), pp. 353/354-371/372Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23273703 .

Accessed: 25/06/2014 08:23

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (*)

(1° gennaio - 30 giugno 1994)

Sommario

1. Assistenza giudiziaria, diritto alla (art. 6, par. 3, lett. c). 2. Composizione stragiudiziale della controversia e cancella

zione della causa dal ruolo (reg. della corte, art. 49, par. 2 e 4).

3. Convenzione, violazione, parti lese, equa soddisfazione (art.

50). 4. Divieto di discriminazione (art. 14). 5. Libertà di circolazione, diritto alla (prot. n. 4, art. 2). 6. Libertà di espressione (art. 10). 7. Previo esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 26). 8. Processo entro un termine ragionevole (art. 6, par. 1). 9. Processo equo, diritto ad un (art. 6, par. 1).

10. Pubblica udienza, diritto ad una (art. 6, par. 1). 11. Rispetto dei propri beni, diritto al (prot. n. 1, art. 1). 12. Rispetto della vita privata e familiare, diritto al (art. 8). 13. Trattamenti inumani e degradanti, divieto di (art. 3). 14. Tribunale, diritto ad un (art. 6, par. 1). 15. Tribunale indipendente ed imparziale, diritto ad un (art.

6, par. 1).

Convenzione

Art. 3: Divieto di torture, di pene e trattamenti inumani

e degradanti: casi Hurtado (sub I); Diaz (sub XV). Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo entro un termine

ragionevole: casi Raimondo (sub III); Silva Pontes (sub XI); De Moor (sub XVIII).

Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo equo: casi Stanford

(sub V); Bendenoun (sub VII); Ravnsborg (sub X); Van de Hurk

(sub XIII); De Moor (sub XVIII).. Art. 6, par. 1: Diritto ad una pubblica udienza: casi Fre

din (sub VI); De Moor (sub XVIII). . Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale: caso Keegan (sub

XVI). Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale indipendente ed

imparziale: casi Van de Hurk (sub XIII); Saraiva de Carvalho

(sub XIV). Art. 6, par. 3, lett. c): Diritto all'assistenza giudiziaria:

caso Tripodi (sub IV). Art. 8: Diritto al rispetto della vita privata e familiare:

casi Burghartz (sub II); Boyle (sub IX); Keegan (sub XVI). Art. 10: Diritto alla libertà di espressione: casi Casado

Coca (sub Vili); Scherer (sub XII); Jacubowski (sub XVII). Art. 14: Divieto di discriminazione: caso Burghartz (sub II). Art. 26: Esaurimento delle vle di ricorso interne: casi

Burghartz (sub II); Keegan (sub XVI). Art. 50: Potere della corte di accordare un'equa soddi

sfazione: casi Raimondo (sub III); Fredin (sub VI); Keegan (sub XVI); De Moor (sub XVIII).

Protocollo n. 1

Art. 1 : Diritto al rispetto dei propri beni: caso Raimondo

(sub III).

(*) La rubrica si propone di fornire periodicamente una rassegna sin

tetica, ma organica e tendenzialmente completa, delle sentenze della Corte

europea dei diritti dell'uomo. A tal fine, e per assicurare la tempestività dell'informazione, ci si avvarrà delle sintesi preparate dal cancelliere

della corte e rese note attraverso gli appositi comunicati stampa del

consiglio d'Europa. Le sentenze sono riportate in ordine cronologico. Ai fini di una più

agevole consultazione, ciascuna rassegna è preceduta da un sommario

delle «voci» rilevanti e da un elenco degli articoli della convenzione

europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli che sono stati og

getto di specifico esame da parte della corte. Il testo di tali articoli

viene comunque riprodotto in appendice. Per ragioni di spazio, si è omessa la sintesi delle sentenze relative

esclusive al risarcimento delle parti lese (art. 50 convenzione). La presente rassegna è stata curata da Susanna Fortunato. [A. Tizzano]

(1) Per ciò che concerne la durata di un procedimento civile (art. 6, par. 1, convenzione), per il periodo considerato dalla presente rasse

gna, v. nel senso della sentenza sunteggiata, Corte europea dir. uomo 23 marzo 1994, Muti c. Italia; 26 aprile 1994, Vallèe c. Francia.

Il Foro Italiano — 1995.

Sommario

1. Assistenza giudiziaria, diritto alla (art. 6, par. 3, lett. c). 2. Composizione stragiudiziale della controversia e cancella

zione della causa dal ruolo (reg. della corte, art. 49, par. 2 e 4).

3. Convenzione, violazione, parti lese, equa soddisfazione (art.

50). 4. Divieto di discriminazione (art. 14). 5. Libertà di circolazione, diritto alla (prot. n. 4, art. 2). 6. Libertà di espressione (art. 10). 7. Previo esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 26). 8. Processo entro un termine ragionevole (art. 6, par. 1). 9. Processo equo, diritto ad un (art. 6, par. 1).

10. Pubblica udienza, diritto ad una (art. 6, par. 1). 11. Rispetto dei propri beni, diritto al (prot. n. 1, art. 1). 12. Rispetto della vita privata e familiare, diritto al (art. 8). 13. Trattamenti inumani e degradanti, divieto di (art. 3). 14. Tribunale, diritto ad un (art. 6, par. 1). 15. Tribunale indipendente ed imparziale, diritto ad un (art.

6, par. 1).

Convenzione

Art. 3: Divieto di torture, di pene e trattamenti inumani

e degradanti: casi Hurtado (sub I); Diaz {sub XV). Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo entro un termine

ragionevole: casi Raimondo (sub III); Silva Pontes (sub XI); De Moor (sub XVIII).

Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo equo: casi Stanford

(sub V); Bendenoun (sub VII); Ravnsborg (sub X); Van de Hurk

(sub XIII); De Moor (sub XVIII).. Art. 6, par. 1: Diritto ad una pubblica udienza: casi Fre

din (sub VI); De Moor (sub XVIII). . Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale: caso Keegan (sub

XVI). Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale indipendente ed

imparziale: casi Van de Hurk (sub XIII); Saraiva de Carvalho

(sub XIV). Art. 6, par. 3, lett. c): Diritto all'assistenza giudiziaria:

caso Tripodi (sub IV). Art. 8: Diritto al rispetto della vita privata e familiare:

casi Burghartz (sub II); Boyle (sub IX); Keegan (sub XVI). Art. 10: Diritto alla libertà di espressione: casi Casado

Coca (sub Vili); Scherer (sub XII); Jacubowski (sub XVII). Art. 14: Divieto di discriminazione: caso Burghartz (sub II). Art. 26: Esaurimento delle vle di ricorso interne: casi

Burghartz (sub II); Keegan (sub XVI). Art. 50: Potere della corte di accordare un'equa soddi

sfazione: casi Raimondo (sub III); Fredin (sub VI); Keegan (sub XVI); De Moor (sub XVIII).

Protocollo n. 1

Art. 1 : Diritto al rispetto dei propri beni: caso Raimondo

(sub III).

(*) La rubrica si propone di fornire periodicamente una rassegna sin

tetica, ma organica e tendenzialmente completa, delle sentenze della Corte

europea dei diritti dell'uomo. A tal fine, e per assicurare la tempestività dell'informazione, ci si avvarrà delle sintesi preparate dal cancelliere

della corte e rese note attraverso gli appositi comunicati stampa del

consiglio d'Europa. Le sentenze sono riportate in ordine cronologico. Ai fini di una più

agevole consultazione, ciascuna rassegna è preceduta da un sommario

delle «voci» rilevanti e da un elenco degli articoli della convenzione

europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli che sono stati og

getto di specifico esame da parte della corte. Il testo di tali articoli

viene comunque riprodotto in appendice. Per ragioni di spazio, si è omessa la sintesi delle sentenze relative

esclusive al risarcimento delle parti lese (art. 50 convenzione). La presente rassegna è stata curata da Susanna Fortunato. [A. Tizzano]

(1) Per ciò che concerne la durata di un procedimento civile (art. 6, par. 1, convenzione), per il periodo considerato dalla presente rasse

gna, v. nel senso della sentenza sunteggiata, Corte europea dir. uomo 23 marzo 1994, Muti c. Italia; 26 aprile 1994, Vallèe c. Francia.

Il Foro Italiano — 1995.

Protocollo n. 4

Art. 2: Diritto alla libertà di circolazione: caso Raimon

do (sub III).

Regolamento della corte

Art. 49: Cancellazione della causa dal ruolo per compo

sizione stragiudiziale della controversia: casi Hurt ado (sub

I); Boyle (sub X); Scherer (sub XII); Diaz (sub XV).

I

Sentenza 28 gennaio 1994\ Pres. Ryssdal; Hurtado c. Svizzera.

In data 5 ottobre 1989, a Yverdon-Les Bains sei agenti facen

ti parte di un nucleo di intervento del cantone di Vaud, dopo aver lanciato una granata esplosiva, penetravano in un apparta mento nel quale arrestavano il ricorrente bloccandolo al suolo e neutralizzandolo con le manette e un cappuccio.

Il ricorrente veniva, quindi, condotto al commissariato di Yver

don e successivamente nei locali della polizia di Losanna, dove

veniva interrogato. Soltanto in data 6 ottobre, al suo arrivo in carcere, il ricor

rente aveva modo di cambiarsi gli indumenti che si erano insu diciati nell'azione di polizia in cui era stato coinvolto il giorno

prima. Il successivo 7 ottobre egli chiedeva di essere sottoposto a

visita medica, effettuata solo sette giorni dopo, nel corso della

quale veniva riscontrata dalle radiografie la frattura anteriore

di una costola. Il Tribunale distrettuale di Yverdon, con provvedimento emesso

in data 24 maggio 1991, dichiarava il ricorrente colpevole di

violazione alle leggi federali sugli stupefacenti e lo condannava

a cinque anni di reclusione oltre al pagamento di una parte del

le spese; a titolo di pena accessoria, infine, il tribunale ordinava

l'espulsione del ricorrente dal territorio svizzero per un periodo di quindici anni.

La Corte di cassazione, con sentenza resa in data 7 ottobre

1991, portava la pena della reclusione a otto anni.

Il sig. Hurtado ha adito la commissione ritenendo di essere

stato sottoposto ad un trattamento inumano e degradante, in

quanto tale contrario all'art. 3 convenzione, e di essere stato

privato di un ricorso effettivo dinanzi ad un'istanza nazionale, cosi come previsto ex art. 13 convenzione.

La commissione, dichiarando ricevibili solo i motivi di ricor so fondati sull'art. 3, ha ritenuto la sussistenza della violazione

denunciata per il fatto che il ricorrente è stato costretto ad in

dossare indumenti sudici e non ha potuto beneficiare di un pronto intervento medico.

È stata raggiunta una composizione amichevole della contro

versia tra governo svizzero e ricorrente, in base alla quale il

primo si obbliga a versare al secondo una somma di denaro

a titolo di risarcimento dei danni subiti e di rimborso spese, mentre il sig. Hurtado si obbliga a rinunziare a far valere in futuro ulteriori pretese legate ai fatti di cui è causa.

La corte, non avendo ravvisato alcun motivo di ordine pub blico che renda necessaria una decisione nel merito, ha ritenuto

di dover cancellare la causa dal ruolo.

II

Sentenza 22 febbraio 1994; Pres. Ryssdal; Burghartz c. Svizzera.

I ricorrenti, di nazionalità svizzera e tedesca, successivamente

al loro matrimonio, secondo quanto previsto dall'ordinamento

tedesco, sceglievano di usare come cognome di famiglia quello della sposa, Burghartz; il marito, peraltro, esercitava il diritto

di far precedere il nuovo cognome dal suo proprio. Lo stato civile svizzero, tuttavia, registrava come cognome

di famiglia quello del marito; i ricorrenti, pertanto, chiedevano

l'autorizzazione a sostituire il predetto cognome con quello da

loro scelto.

Con provvedimento reso in data 6 novembre 1984, il governo del cantone di Bàie-Ville rifiutava il rilascio di siffatta autoriz

zazione.

I ricorrenti, a seguito di una modifica intervenuta nel diritto

di famiglia svizzero, reiteravano la richiesta, ma inutilmente.

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PARTE QUARTA

In data 8 giugno 1989, il tribunale federale accoglieva il loro

ricorso per la parte relativa all'uso del cognome della sposa co

me nome di famiglia, rigettando la richiesta del marito di far

precedere il nome di famiglia dal suo proprio. I ricorrenti hanno adito la commissione denunciando la vio

lazione degli art. 8 e 14 convenzione. La commissione ha ritenuto che vi fosse stata violazione del

l'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8 e che non vi fosse

motivo di esaminare il caso dal solo punto di vista dell'art. 8.

La corte, in via preliminare, ha respinto le eccezioni del go verno svizzero relative alla mancanza della qualità di vittima

nella sig. Burghartz: posto che la controversia trae origine da una richiesta comune dei ricorrenti tendente ad ottenere una

modifica simultanea del cognome di famiglia e di quello del

marito, ben si comprende come la sig. Burghartz possa conside

rarsi «vittima», quantomeno indiretta, delle decisioni in esame.

Anche l'eccezione preliminare di mancato esaurimento di tut

te le vie di ricorso interne è stata rigettata, in quanto i motivi di ricorso addotti dagli interessati nei procedimenti di impugna zione svoltisi di fronte ai giudici nazionali sono gli stessi che sono contenuti nell'atto indirizzato alla commissione.

Né si può eccepire che i sig. Burghartz non abbiano esperito un ricorso amministrativo avverso la decisione, considerato che

siffatto ricorso non costituisce certo un mezzo adeguato ai sensi di quanto disposto ex art. 26, convenzione.

II governo ha eccepito l'inapplicabilità degli art. 8 e 14 con

venzione, in quanto, a seguito dell'entrata in vigore del prot. n. 7, sarebbe l'art. 5 del suddetto protocollo a dover essere ap

plicato in tema di uguaglianza dei coniugi, in cui rientra anche

il profilo della scelta del nome di famiglia. La corte, respingendo tale eccezione, ha precisato che il setti

mo protocollo alla convenzione — il cui art. 5 riguarda espres samente l'uguaglianza tra i coniugi — riveste carattere di mera

clausola aggiuntiva rispetto agli art. 8 e 60, dei quali il suddetto

art. 5 non può in alcun modo ridurre la portata applicativa. In particolare, la corte ha rilevato che l'art. 8, pur non conte

nendo una disposizione espressa sul diritto al nome, tende, in

ogni caso, alla tutela di esso, come parte essenziale della vita

privata e familiare di una persona. Nulla osta, ovviamente, a che lo Stato disciplini l'uso del no

me, soprattutto per i possibili risvolti di interesse pubblico di

quest'ultimo. Nel caso di specie, peraltro, il mantenimento da parte del

ricorrente del nome di famiglia scelto, con il quale è conosciuto

nell'ambito professionale, influisce non poco sulla sua carriera; ciò che rende sicuramente applicabile l'art. 8 convenzione.

La corte, entrando nel merito del ricorso, ha rammentato che

la parità tra i sessi è uno degli obiettivi più importanti persegui ti dal consiglio d'Europa e solo gravi ragioni possono indurre

a ritenere compatibile con la convenzione una diversità di trat

tamento fondata sul sesso, analoga a quella riscontrabile nel

caso odierno.

Sul punto, il governo svizzero sostiene che la disciplina na

zionale in materia di nome di famiglia, non consentendo al ma rito di far precedere tale cognome dal suo proprio — ciò che

invece è consentito alla moglie — mira a garantire l'unità della

famiglia attraverso l'unità del nome.

La corte ha respinto tali argomentazioni che non sono state

ritenute idonee a giustificare la diversità di trattamento previsto in capo alla moglie e al marito.

La corte, ha concluso, pertanto, che vi sia stata violazione

dell'art. 8, in combinato disposto con l'art. 14, concedendo agli interessati una somma a titolo di rimborso spese.

Ili

Sentenza 22 febbraio 1994\ Pres. Ryssdal; Raimondo c. Italia.

Il ricorrente, sospettato di appartenere ad un'associazione per

delinquere di stampo mafioso, veniva sottoposto nel luglio 1984

a procedimento penale, nell'ambito del quale veniva posto in

stato di detenzione provvisoria e poi agli arresti domiciliari. In data 30 gennaio 1986, il Tribunale di Catanzaro assolveva

l'imputato per insufficienza di prove e revocava gli arresti do

miciliari. Su gravame proposto dal pubblico ministero e dal Raimon

do, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 16 gen naio 1987, assolveva quest'ultimo con formula piena («perché il fatto non sussiste»).

Il Foro Italiano — 1995.

Il Tribunale di Catanzaro, con provvedimento del 16 ottobre

1985, aveva nel frattempo disposto il sequestro conservativo dei

beni del ricorrente di cui non era stata accertata la provenienza e aveva ordinato l'adozione di speciali misure di sorveglianza nei confronti dell'imputato, il quale veniva altresì obbligato al

pagamento di una cauzione.

Con decreto emesso in data 4 luglio 1986, la corte di appello revocava tutte le misure provvisorie emesse nei confronti del

ricorrente.

Il 5 dicembre 1986, le autorità competenti di Catanzaro in

formavano della revoca i carabinieri del luogo di residenza del

ricorrente. Il Raimondo ha adito la commissione in data 23 aprile 1987

lamentando:

a) l'illegittimità della durata della sua detenzione (art. 5, par. 1 e 3);

b) l'eccessiva durata del procedimento penale a suo carico

(art. 6, par. 1); c) il mancato rispetto del principio della presunzione di inno

cenza a causa: dell'applicazione di misure provvisorie a suo ca

rico (art. 6, par. 2); dell'imposizione dell'obbligo del versamen

to di una cauzione; del sequestro dei suoi beni (art. 1 prot. n. 1); della privazione del suo diritto di circolare liberamente

(art. 2, prot. n. 4). La commissione ha ritenuto che vi fosse stata violazione:

a) dell'art. 1 prot. n. 1, per ciò che concerne la confisca dei

beni del ricorrente oltre il 31 dicembre 1986;

b) dell'art. 2 prot. n. 4, per ciò che concerne le limitazioni

alla libertà di movimento imposte dal ricorrente dal 4 luglio al 20 dicembre 1986.

La corte, per ciò che concerne il motivo di ricorso vertente

sull'art. 1 prot. n. 1, ha precisato che la disposizione applicabi le al caso di specie è il 2° comma del suddetto art. 1, posto che il provvedimento di sequestro emesso nei confronti del ri

corrente non mirava alla privazione del diritto di proprietà, ma

solo alla limitazione del potere di godimento. Essa, inoltre, ha

rilevato che il sequestro, ordinato dal giudice italiano in forza

di quanto previsto dall'art. 2 ter 1. 575/65, si configura come

una misura provvisoria tendente a garantire l'eventuale succes

siva confisca dei beni frutto di attività illecite.

Il superiore interesse generale giustificava, dunque, l'ingeren za dello Stato nel diritto di godimento dei beni del ricorrente; si tratta, inoltre, senza dubbio di una misura non sproporziona ta rispetto allo scopo perseguito, tenuto conto del pericolosissi mo potere economico mafioso.

La corte, pertanto, ha ritenuto che non vi sia stata violazione

dell'art. 1 prot. n. 1.

Anche la successiva confisca dei beni, fattispecie regolata sem

pre dal 2° comma dell'art. 1 prot. n. 1, è stata considerata

dalla corte misura del tutto proporzionata allo scopo persegui to: impedire al ricorrente o all'organizzazione cui egli è sospet tato di appartenere di trarre vantaggi dai beni in questione a

scapito della collettività.

L'art 1 prot. n. 1 non risulta, dunque, essere stato violato. La corte, inoltre, ha ritenuto che i danni materiali subiti dal

ricorrente a seguito della confisca, per i quali il ricorrente invo

ca la violazione dello stesso art. 1, rientrano nella soglia mini

ma dell'inevitabile.

Il ricorrente afferma, poi, che il mantenimento dell'iscrizione

del sequestro nei registri immobiliari per ben due mesi dopo l'emissione della sentenza di assoluzione costituisce violazione

dei diritti garantiti dall'art. 1 prot. n. 1. La corte, sul punto, pur ritenendo non essere suo compito

stabilire quali siano i soggetti che si sarebbero dovuti attivare, non ha potuto omettere di constatare la sussistenza di una re

sponsabilità in capo allo Stato contraente, soprattutto alla luce del fatto che si trattava di una ingerenza nel diritto di godimen to di un individuo non prevista per legge né necessaria, ai sensi

dell'art. 1 prot. n. 1, che risulta, pertanto, essere stato violato.

In merito alla lamentata violazione dell'art. 2 prot. n. 4, rav

visabile, secondo il ricorrente, nelle limitazioni a lui imposte alla libertà di circolazione, la corte, tenuto conto della minaccia

rappresentata dal fenomeno mafioso, ha ritenuto che si tratti

comunque di una misura del tutto proporzionata allo scopo per

seguito. La corte, al contrario, ha ritenuto privo di qualsiasi giustifi

cazione plausibile il fatto che tra la pronuncia del decreto di

revoca delle misure restrittive provvisorie e l'esecuzione di detto

provvedimento siano passati più di cinque mesi (4 luglio - 20

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

dicembre 1986), ravvisando in esso la violazione dell'art. 2 cit. Essa, inoltre, non ha rilevato alcuna violazione sotto il profi

lo della durata dell'intero procedimento. È stato riconosciuto, infine, al ricorrente il diritto al risarci

mento dei danni morali subiti, oltre il rimborso delle spese so

stenute.

IV

Sentenza 22 febbraio 1994; Pres. Ryssdai; Tripodi c. Italia.

In data 5 novembre 1982, la sig. M.F., un avvocato, querela va la ricorrente a seguito di alcuni diverbi intervenuti tra loro a proposito della vendita di un terreno.

Il 7 febbraio 1983, la Tripodi riceveva la notifica dell'avvio

di un procedimento penale nei suoi confronti e, in data 26 apri le, veniva interrogata dal procuratore della repubblica di Reg

gio Calabria. Il successivo 7 ottobre, veniva citata a comparire in giudizio

per rispondere dei seguenti reati: diffamazione, danneggiamen

to, violenza privata, minacce e molestie.

Il tribunale condannava la ricorrente a un anno di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e del

la non menzione nel casellario giudiziario, oltre al pagamento di un'ammenda.

La corte d'appello riduceva di due mesi la pena della re

clusione.

La Corte di cassazione, adita dalla ricorrente, fissava l'udien

za di discussione al 6 dicembre 1985. In tale data, la Suprema corte, nonostante l'assenza giustifi

cata del difensore della ricorrente, discuteva ugualmente la cau

sa, pronunciandosi nel senso del rigetto del ricorso.

La Tripodi ha adito la commissione lamentando la violazione

dell'art. 6, par. 6, lett. c), convenzione per non avere, la Corte

di cassazione, discusso la causa in presenza del suo difensore

e omettendo di nominarne uno d'ufficio.

La commissione ha ritenuto sussistente la violazione de nunciata.

La corte, in primo luogo, ha tenuto a precisare che le modali

tà di applicazione dei par. 1 e 3, lett. c), art. 6 dipendono dalle

peculiarità dei procedimenti di cui si discute. Nel caso di specie, tenuto conto, da un lato, del fatto che

il giudizio di cassazione è di mera legittimità e si svolge in mas sima parte per iscritto, e, dall'altro, del fatto che il difensore

della ricorrente è rimasto totalmente inattivo anche dopo l'u

dienza di cui è causa, la corte ha concluso che non vi sia stata

violazione dell'art. 6, par. 3, lett. c), convenzione.

V

Sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Ryssdal; Stanford c. Regno unito.

L'8 giugno 1988, il ricorrente veniva sottoposto a procedi mento penale da parte della Crown Court di Norwick per reati

commessi nei confronti di un minore: atti di libidine, atti osce

ni, violenza, sequestro e minacce.

Il 15 giugno dello stesso anno, il ricorrente veniva riconosciu

to colpevole dei suddetti reati e condannato alla pena di dieci

anni di reclusione. Durante lo svolgimento del processo, il ricorrente veniva col

locato in un banco chiuso da un vetro che gli impediva di ascol

tare ciò che veniva detto dai testimoni; nonostante egli se ne

fosse lamentato con le guardie e con il suo stesso avvocato, nessuno aveva ritenuto opportuno intervenire presso il giudice al fine di togliere il suddetto vetro.

Il sig. Stanford proponeva appello contro la sentenza di pri mo grado, lamentando di non aver potuto ascoltare ciò che era

stato detto nel corso del dibattimento.

La corte d'appello, con sentenza del 6 ottobre 1989, respinge va il ricorso.

Un anno dopo, veniva stilato un rapporto sull'acustica della sala delle udienze, nella quale si concludeva che il vetro in que

stione, benché causasse un abbassamento dell'acustica, permet teva comunque di intendere una persona al banco dei testimoni

con un tono di voce normale.

Il ricorrente adiva la commissione affermando di non aver

li Foro Italiano — 1995 — Parte IV-18.

beneficiato di un «processo equo», ai sensi dell'art. 6, par. 1, convenzione, per non aver potuto seguire il dibattimento.

La commissione si è pronunciata nel senso della sussistenza

della violazione denunciata.

La corte, in primo luogo, ha rilevato che, senza dubbio, l'art.

6, letto nel suo insieme, riconosce all'imputato il diritto ad una partecipazione effettiva al processo, compreso il diritto non so

lamente di assistere ma anche di ascoltare ciò che viene detto

nel corso del dibattimento.

Nel caso di specie, il ricorrente non ha mai tentato, personal mente o tramite il suo difensore, di informare il giudice delle difficoltà di ascolto; né il suo avvocato ha ritenuto opportuno, per motivi tattici, di far presente siffatte difficoltà al giudice.

In linea generale, le azioni e le decisioni prese dal difensore

di un imputato non possono in nessun caso costituire la base

dell'accertamento di una responsabilità a carico dello Stato con

traente, il quale ha l'obbligo di intervenire solo laddove vi sia una carenza visibile o comunque segnalata adeguatamente alla sua attenzione.

Del resto, dai verbali d'udienza risulta, da un lato, che i di

fensori (barrister e solicitor) hanno avuto la possibilità di assi stere al dibattimento e di discutere le testimonianze rese in giu dizio e, dall'altro, che il giudice ha fornito alla giuria un reso conto fedele e dettagliato delle prove prodotte.

Né la corte d'appello poteva riformare la sentenza di primo

grado per un vizio del processo non rilevato di fronte al giudice. La corte, pertanto, ha concluso che, nel caso di specie, non

vi sia stata violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione.

VI

Sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Ryssdai; Fredin c. Svezia.

Il ricorrente è proprietario a Botyrka di un terreno in cui

si trova una cava di ghiaia. Egli otteneva, nell'aprile 1983, una autorizzazione allo sfrut

tamento della cava, che, a seguito di una successiva proroga,

gli veniva revocata in data 1° dicembre 1988.

La mancanza di un ricorso avverso il provvedimento di revo

ca aveva dato luogo nel febbraio 1991 ad una prima sentenza

della corte europea la quale aveva accertato l'avvenuta violazio ne dell'art. 6, par. 1, convenzione, ma non dell'art. 1 prot. n. 1.

In seguito, il ricorrente richiedeva alla prefettura una licenza

speciale di estrazione, al fine di poter dare esecuzione ad un

piano di ripristino dei luoghi adottato dalla stessa prefettura. Sia la prefettura, sia il ministero dell'ambiente respingevano

tale richiesta. Il Fredin impugnava il provvedimento ministeriale di fronte

al giudice amministrativo, in forza della legge del 1988 istitutiva di un controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative, chie dendo anche che si tenesse una udienza pubblica.

Il giudice amministrativo, dopo aver rifiutato l'udienza pub

blica, rigettava il ricorso. Il ricorrente ha adito la commissione assumendo l'avvenuta

violazione del suo diritto ad un processo «equo» e «pubblico», riconosciuto dall'art. 6, par. 1, convenzione.

La commissione si è espressa nel senso della sussistenza della

violazione denunciata.

La corte, in primo luogo, ha rammentato che il diritto di

ognuno ad una discussione pubblica della causa che lo riguarda

ricomprende anche il diritto ad una pubblica udienza.

Nel caso di specie, la corte amministrativa, pur giudicando, in unico grado, sulla legittimità e sul merito del provvedimento amministrativo impugnato, non ha ritenuto di dover accordare

al ricorrente un contraddittorio in pubblica udienza, violando cosi l'art. 6, par. 1, convenzione.

La corte ha riconosciuto al ricorrente il diritto ad un risarci

mento del danno morale subito, oltre al rimborso delle spese sostenute.

VII

Sentenza 24 febbraio 1994; Pres. Ryssdal; Bendenoun c. Francia.

Nel settembre 1976, l'amministrazione doganale procedeva alla

verifica delle importazioni effettuate dalla società ARTSBY 1881, con sede legale a Strasburgo — di cui il ricorrente era presiden

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PARTE QUARTA

te, direttore generale nonché principale azionista —, a seguito della quale venivano accertate violazioni alla legge doganale, che venivano definite con una transazione.

Nella stessa occasione, venivano accertate alcune violazioni

di carattere penale, per le quali il ricorrente veniva condannato

alla pena della reclusione per 15 mesi e alla pena dell'arresto

per un anno.

L'amministrazione doganale provvedeva ad inviare il fascico

lo all'amministrazione finanziaria, la quale, dopo aver effettua

to una verifica sui conti della società del ricorrente, emetteva

avviso di accertamento.

Il Bendenoun, contestando la maggior imposta accertata, pro

poneva ricorso presso il direttore regionale delle imposte di Stra

sburgo, che veniva rigettato. Il ricorrente adiva, quindi, il tribunale amministrativo, chie

dendo l'acquisizione agli atti del giudizio del fascicolo esistente presso l'amministrazione doganale; la richiesta veniva respinta.

Il ricorso del Bendenoun veniva rigettato sia in primo grado che in appello, dal Consiglio di Stato.

Il Bendenoun ha adito la commissione, lamentando, da un

lato, l'avvenuta violazione del suo diritto ad un processo equo

(art. 6, par. 1, convenzione), per non aver potuto accedere al

fascicolo esistente presso l'amministrazione doganale, e, dall'al

tro, l'avvenuta violazione dell'art. 1, prot. n. 1, convenzione,

per essere stato costretto a versare ingenti somme allo Stato

francese.

La commissione ha concluso nel senso che, nel caso di specie, fosse ravvisabile solo una violazione dell'art. 6, par. 1, con

venzione.

La corte, per ciò che concerne in generale la disciplina del

l'accertamento d'ufficio di maggiori imposte in caso di assenza

di buona fede nel contribuente, ha precisato che uno Stato deve

essere libero di affidare al fisco il compito di perseguire e repri mere le violazioni, anche se la maggiorazione di imposta rico

nosciuta a carico del contribuente a titolo di sanzione può rag

giungere livelli elevati; sistemi del genere possono essere consi

derati legittimi laddove assicurino al contribuente la possibilità di impugnare qualsiasi decisione di fronte ad un tribunale, cosi

come previsto dall'art. 6, par. 1, convenzione.

Tale articolo, ad avviso della corte, è applicabile al caso di

specie in quanto la sanzione fiscale, pur presentando elementi

di carattere amministrativo, deve considerarsi ricompresa nella

materia penale per quattro ordini di motivi.

In primo luogo, i fatti di causa rientravano nell'ambito appli cativo di una norma del codice delle imposte che riguarda i

contribuenti in generale e che prescrive l'osservanza di un certo

comportamento a pena di sanzione.

In secondo luogo, le maggiorazioni di imposta non tendono

al risarcimento di un danno, ma mirano essenzialmente a puni re il soggetto interessato per evitare la reiterazione della viola

zione fiscale. Questo tipo di sanzioni, infine, sono comminate da norme

di carattere generale il cui scopo è allo stesso tempo di preven zione e repressione.

Senza contare, poi, che l'interessato, qualora non provveda al pagamento della sanzione, può essere posto in stato di arresto.

Le accuse mosse nei confronti del ricorrente, pertanto, aveva

no indubbiamente un carattere penale. Nel merito del ricorso, la corte ha rilevato che il sig. Bende

noun lamenta il diniego di accesso al fascicolo esistente presso l'amministrazione doganale, fascicolo che, in ogni caso, non

ha avuto alcun rilievo ai fini dell'accertamento della frode fi

scale che ha dato luogo all'imposizione delle sanzioni di cui

è controversia.

Del resto, il ricorrente e il suo difensore conoscevano molto

bene il contenuto di quel fascicolo, avendovi avuto libero acces so durante lo svolgimento del procedimento penale.

Nel caso di specie, pertanto, la corte ha ritenuto che non

vi sia stata violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione, né sotto

il profilo del diritto di difesa né tantomeno sotto il profilo del diritto alla parità dei mezzi di prova tra accusa e difesa.

VIII

Sentenza 24 febbraio 1994\ Pres. Ryssdal; Casado Coca c.

Spagna.

Nel corso dell'anno 1979, il ricorrente, cittadino spagnolo, avendo aperto uno studio legale a Barcellona, provvedeva a farne

un'adeguata pubblicità mettendo annunci su alcuni giornali e

Il Foro Italiano — 1995.

inviando a varie imprese lettere in cui offriva la sua consulenza.

Il consiglio dell'ordine degli avvocati di Barcellona, per quanto

sopra riportato, avviava nei confronti del ricorrente molteplici

procedure disciplinari, che si concludevano nel 1981 con una

nota di biasimo ed un ammonimento.

A partire dall'ottobre 1982, il bollettino dell'Associazione dei

residenti e dei proprietari di Valldoreix (Barcellona) pubblicava un annuncio dell'interessato in cui veniva indicato il suo nome

seguito dal termine «giurista» {letrado), il suo indirizzo e il nu

mero di telefono dello studio.

In data 5 aprile 1983, il consiglio dell'ordine emetteva un nuovo

provvedimento di ammonimento nei confronti del ricorrente, confermato anche dal consiglio generale degli ordini degli avvo

cati di Spagna. Il sig. Casado Coca adiva, allora, il giudice amministrativo,

denunciando la violazione dell'art. 20 della Costituzione spa

gnola (libertà di espressione). Il suo ricorso veniva, però, riget tato sia in primo grado phe in appello.

La Corte costituzionale, adita dallo stesso ricorrente, si pro nunciava nel senso che il divieto di pubblicità di consulenze pro

fessionali non poteva in nessun modo ledere il diritto alla liber

tà di espressione. Il Casado Coca adiva la commissione, assumendo che il di

vieto di pubblicità a lui imposto dal consiglio dell'ordine degli avvocati di Barcellona violava i diritti riconosciuti dalla conven

zione sotto vari profili. La commissione ha ritenuto sussistente solo la violazione del

l'art. 10 convenzione.

Il governo spagnolo, in primo luogo, ha eccepito l'inapplica bilità dell'art. 10 al caso di specie, posto che la pubblicità, in

quanto strumento di soddisfacimento di interessi individuali, non

rientrerebbe in quella generale libertà di espressione garantita

dall'articolo cit.

La corte, a questo proposito, ha precisato che l'art. 10 garan tisce la libertà di espressione a qualsiasi soggetto, senza distin

guere a seconda dello scopo perseguito. Come tale, essa ricom

prende non solo le idee di natura politica, ma anche l'espressio ne artistica, le informazioni commerciali, la musica leggera e

anche i messaggi pubblicitari inviati via cavo.

Gli annunci di cui è controversia (indicanti semplicemente il

nome, la professione, l'indirizzo ed il numero telefonico del ri

corrente), pur essendo utilizzati ad uno scopo di carattere senza

dubbio pubblicitario, fornivano, tuttavia, alle persone bisogno se di consulenza legale delle informazioni utili e in grado di

facilitare loro l'accesso alla giustizia. L'art. 10, convenzione, risulta, dunque, applicabile. In merito all'eccezione sollevata dal governo spagnolo secon

do cui le sanzioni inflitte al Casado Coca non sarebbero ricon

ducibili ad un'autorità pubblica, la corte ha precisato che gli ordini professionali spagnoli sono, in generale, corporazioni di

diritto pubblico; tale carattere è particolarmente evidente negli ordini degli avvocati per il fine eminentemente pubblico da essi

perseguito: la promozione di una consulenza legale libera ed

adeguata, rafforzata da un controllo pubblico sull'esericizio della

professione e sul rispetto della deontologia professionale. Le sanzioni in questione, inoltre, sono state inflitte con un

provvedimento confermato anche dagli organi giurisdizionali am

ministrativi. Nel caso di specie, dunque, vi è stata l'ingerenza da parte

di un'autorità pubblica, cosi come previsto dall'art. 10 con

venzione.

Ad avviso del ricorrente, la norma di legge su cui si fondava

la sanzione a lui inflitta (l'art. 31 dello statuto degli avvocati

che impedisce a questi ultimi il ricorso alla pubblicità) doveva

considerarsi abrogata a seguito dell'entrata in vigore nel 1978

della Costituzione che, tutelando la libertà di espressione, avrebbe

avuto l'effetto di abrogare qualsiasi norma di senso contrario.

Sul punto, la corte non ritiene di doversi discostare dall'inter

pretazione dell'art. 20 della Costituzione spagnola fornita dalla

Corte costituzionale, secondo cui la pubblicità non rientra nella

libertà di espressione: d'altra parte, l'interpretazione del diritto

interno competa solo ed esclusivamente alle autorità pubbliche dello Stato contraente e, in modo particolare, agli organi giuris dizionali.

La sanzione in questione, dunque, era prevista da una norma

di legge vigente. Per ciò che concerne l'accertamento della legittimità dello scopo

perseguito dalla suddetta norma, la corte ha rilevato che non vi è nessun dubbio che i provvedimenti adottati dal consiglio dell'ordine tendessero alla tutela di interessi pubblici: le limita

zioni all'utilizzo della pubblicità nel caso degli avvocati trovano

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

la loro giustificazione nelle peculiarità della funzione da essi

svolta.

La corte, dunque, è passata ad esaminare la «necessità» di

tali disposizioni limitataci in una «società democratica».

La corte, sul punto, ha rammentato, in primo luogo, che gli Stati contraenti godono di un certo margine di discrezionalità

nella valutazione della necessità di un'ingerenza nel godimento di alcuni diritti.

Analogo margine di discrezionalità di valutazione è ricono

sciuto in materia di pubblicità: compito della corte è quello di

verificare se le misure adottate sono giustificabili ai sensi del

l'art. 10, convenzione e proporzionate rispetto allo scopo per

seguito. La pubblicità, pur essendo uno dei principali mezzi offerti

al cittadino per conoscere le caratteristiche di un bene o di un

servizio che gli viene offerto, può talvolta essere oggetto di li

mitazioni tendenti ad evitare la concorrenza sleale o la diffusio

ne di false informazioni. In alcuni casi, anche la pubblicazione di messaggi pubblicitari

obiettivi e veri può subire limitazioni fondate sull'esigenza o

di tutelare diritti altrui o sulle peculiarità di un certo tipo di

attività commerciale o professionale. Nel caso di specie, le disposizioni emanate dal consiglio degli

ordini degli avvocati spagnolo autorizzano l'utilizzo della pub blicità solo per alcune ipotesi — apertura di un nuovo studio

o cambiamento dei membri di uno studio — e a certe condizio

ni. Il divieto di pubblicità non è dunque assoluto.

La commissione ed il ricorrente hanno osservato, tuttavia,

che in Spagna, come in altri paesi europei, le stesse limitazioni

non sono applicabili anche alle compagnie di assicurazioni che

offrono i loro servizi di consulenza legale. La corte, in proposito, ha rilevato che la posizione di spicco

occupata da un avvocato che esercita la Ubera professione nel

l'amministrazione della giustizia giustifica l'imposizione di nor

me di condotta specifiche dettate in generale per tutti i membri

di uno stesso foro. La disciplina della pubblicità degli avvocati, del resto, varia

da Stato a Stato a seconda delle tradizioni culturali, anche se

negli ultimi tempi si assiste, in linea generale, ad un'evoluzione

in senso meno rigido. Nella fattispecie, le autorità dei vari consigli degli ordini o

gli organi giurisdizionali di uno Stato sono certamente dotati

di strumenti di valutazione più efficaci rispetto ad un giudice internazionale per individuare il giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco: la buona amministrazione della giustizia, il

diritto di un individuo a ricevere informazioni circa la consu

lenza legale e la facoltà di un avvocato di pubblicizzare il pro

prio studio. Ciò premesso, la corte ha ritenuto che i provvedimenti adot

tati dalle autorità competenti nel caso di specie non siano asso

lutamente sproporzionati rispetto allo scopo perseguito, non rav

visando in esse, di conseguenza, nessuna violazione dell'art. 10

convenzione.

IX

Sentenza 28 febbraio 1994\ Pres. Ryssdal; Boyle c. Regno unito.

Il ricorrente, cittadino britannico, risiede attualmente a Balck

burn, nel Lanchashire. Il 2 febbraio 1989, suo nipote, in forza di un provvedimento

di affidamento ai servizi sociali, veniva tolto alla madre, la quale

era sospettata di atti di libidine nei confronti dello stesso

bambino.

L'indomani essa veniva arrestata e accusata di reati a sfondo

sessuale; la Crown Prosecution Service, tuttavia, decideva di

non sottoporla a procedimento penale per mancanza di prove.

In data 26 aprile 1989, a seguito di varie ordinanze di affida mento provvisorio, il tribunale dei minori decideva l'affidamen

to permanente del bambino all'autorità pubblica locale, rite

nendo in ogni caso sufficientemente provata la sussistenza, in

capo alla madre, del reato di atti osceni.

Il ricorrente aveva sempre mantenuto con il nipote rapporti

molto stretti, tanto da figurare nel fascicolo in possesso del tri

bunale dei minori come un buon padre per il bambino stesso.

Egli cercava più volte di incontrare il nipote durante il suo

affidamento ai servizi sociali, ma riusciva ad ottenere un per

messo di visita solo nel settembre 1989; questo perché egli con

tinuava a negare che sua sorella, la madre del piccolo, avesse

commesso il reato contestato.

1 Fopo t"naitano — 19Q*

Nel luglio 1991, la County Court dichiarava l'adottabilità del

minore, senza che la madre avesse prestato il suo consenso; la

corte, peraltro, nello stesso provvedimento avanzava seri dubbi

circa la legittimità dell'accertamento iniziale della sussistenza degli atti osceni.

A seguito dell'entrata in vigore della legge del 1989 sui mino

ri, il ricorrente chiedeva alla stessa corte che gli venisse ricono

sciuto quantomeno un diritto di visita, ma senza risultato.

Nel luglio 1992, l'autorità pubblica locale informava la ma

dre di aver interrotto il processo di integrazione del minore nel

la famiglia adottiva. Nel novembre 1993, il ricorrente veniva informato dalla stes

sa autorità che avrebbe avuto modo di riallacciare i contatti

con il nipote. Il Boyle ha adito la commissione denunciando la violazione

del suo diritto al rispetto della vita familiare (art. 8 convenzio

ne) consistente, da un lato, nel fatto che le autorità locali gli hanno impedito di incontrare il nipote, e, dall'altro, che egli, fino all'entrata in vigore della legge del 1989, non aveva avuto

neanche la possibilità di richiedere l'accertamento in via giudi ziaria di un diritto di visita.

La commissione ha ritenuto sussistente la violazione lamentata.

Il governo britannico ha informato il cancelliere dell'interve

nuta composizione amichevole della controversia, in base alla

quale:

a) il governo verserà al ricorrente una somma di denaro a

titolo gratuito, oltre alle spese sostenute per la presente procedura;

b) il governo ha deplorato il fatto che il ricorrente, anterior

mente all'entrata in vigore della legge del 1989 sui minori, non

abbia avuto a disposizione alcuno strumento legale per veder

riconosciuto in sede giudiziaria il suo diritto di visita nei con fronti del nipote.

Il delegato della commissione non ha sollevato alcuna obie

zione all'accordo raggiunto tra le parti e la corte non ha ravvi

sato alcun motivo di ordine pubblico che si opponga alla can

cellazione della causa dal ruolo.

X

Sentenza 23 marzo 1994; Pres. Ryssdal; Ravnsborg c. Svezia.

Il ricorrente, tutore della propria madre adottiva, sig. Schieck,

dalla fine del 1981, veniva nominato nel novembre 1982 curato

re anche di una conoscente di quest'ultima, sig. Akerblom. Am

bedue le signore, divenute incapaci di provvedere a loro stesse

a causa dell'età avanzata, erano state internate in una casa di

riposo. Il pagamento delle spese mediche fatturate dalla casa di cura

veniva effettuato regolarmente dal ricorrente.

Nell'aprile 1987, a seguito di una controversia sorta a propo

sito delle spese mediche, il «Consiglio superiore di tutela» di

Goteborg invitava il tribunale distrettuale della stessa città a

nominare un nuovo curatore per la Schieck.

Il ricorrente, agendo per conto proprio e della suddetta

Schieck, proponeva domanda riconvenzionale chiedendo, altre

sì, la revoca immediata di tutti i membri del consiglio e la fissa zione di un'udienza pubblica.

Con provvedimento reso in data 18 maggio 1987, il tribunale

ingiungeva al ricorrente il pagamento di un'ammenda per le di

chiarazioni sconvenienti contenute nelle sue osservazioni scritte.

In seguito, il tribunale, senza preventivo dibattimento, si pro nunciava accogliendo le eccezioni sollevate dal ricorrente circa

la nomina di un curatore, ma rigettando la richiesta di revoca

dei membri del consiglio. La corte d'appello confermava tale decisione, anch'essa pro

nunciandosi in assenza di pubblico dibattimento, condannando

il ricorrente al pagamento di un'ulteriore ammenda per le di

chiarazioni sconvenienti contenute nelle osservazioni da lui pre

sentate.

Il Ravnsborg ha adito la commissione allegando l'avvenuta

violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione, per ciò che riguarda

l'assenza di pubblica udienza nei procedimenti che hanno dato

luogo all'imposizione nei suoi confronti delle ammende.

La commissione si è pronunciata nel senso dell'inapplicabilità

al caso di specie dell'art. 6 convenzione.

La corte, in primo luogo, ha provveduto ad individuare il

carattere «penale», ai sensi dell'art. 6, par. 1, del procedimento

nazionale conclusosi con l'imposizione delle ammende, analiz

zando la fattispecie secondo i tre criteri già fissati dalla sua

precedente giurisprudenza:

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PARTE QUARTA

A) qualificazione giuridica della violazione secondo il diritto interno: non è stato dimostrato che il sistema giuridico naziona le ricolleghi al diritto penale le norme che sanzionano i pregiu dizi arrecati al corretto svolgimento dei procedimenti giurisdi zionali.

B) Natura della violazione: l'art. 5, 2° comma, cpv. 9, del codice delle procedure giudiziarie si applica alle dichiarazioni sconvenienti indirizzate oralmente o per iscritto ad un organo

giurisdizionale da parte di chiunque assista o partecipi al proce dimento, ma non a dichiarazioni analoghe rese in un altro ambito.

Spetta, inoltre, allo stesso organo giurisdizionale di fronte al

quale si è verificato il comportamento sconveniente a dover sta bilire ex officio se esso rileva ai fini dell'art. 5 cit.

Disposizioni normative come quelle di cui è controversia, che

autorizzano un tribunale a reprimere i comportamenti inoppor tuni tenuti in sua presenza sono molto frequenti nei sistemi giu ridici europei; esse trovano giustificazione nella necessità di ga rantire a qualsiasi organo giurisdizionale la possibilità di assicu rare lo svolgimento corretto e disciplinato dei vari procedimenti.

Le sanzioni comminate in questo ambito dai tribunali sono

espressione di un potere disciplinare più che di un potere di

imporre sanzioni a seguito di violazioni a carattere penale. Ovviamente gli Stati rimangono liberi di ricomprendere nel

campo del diritto penale quelle ipotesi di comportamento parti colarmente gravi.

Ma non è certo questo il caso di specie.

C) La natura e la gravità della sanzione comminata: l'impor to delle ammende inflitte al ricorrente non raggiungeva un livel lo tale da farne una sanzione di tipo penale; esse non compaio no nemmeno nel casellario giudiziario.

Alla luce di quanto sopra considerato, la corte non ha ritenu to applicabile l'art. 6.

XI

Sentenza 23 marzo 1994; Pres. Ryssdal; Silva Pontes c. Por

togallo.

Il ricorrente, rimasto vittima di un incidente stradale nel no vembre 1975, introduceva un giudizio di risarcimento di fronte al Tribunale di Evora.

Con sentenza emessa in data 1° ottobre 1982, il tribunale

accoglieva in parte le richieste del sig. Pontes, riservando ad altro giudizio la determinazione delle spese di trasporto soste nute dal ricorrente a seguito dell'incidente.

L'appello proposto dal ricorrente veniva respinto con senten za del 30 maggio 1985.

La Corte di cassazione, adita dai soccombenti, si pronuncia va con sentenza del 5 febbraio 1987 a favore del ricorrente.

Il procedimento esecutivo, introdotto dal ricorrente, si con cludeva il 19 dicembre 1989 con una composizione stragiudizia le della controversia.

Il Silva Pontes ha adito la commissione denunciando la viola zione nei suoi confronti dell'art. 6, par. 1, convenzione, sotto il profilo dell'eccessiva durata del procedimento civile.

La commissione si è pronunciata nel senso della sussistenza della violazione denunciata.

La corte ha rammentato il principio espresso nella sua prece dente giurisprudenza, secondo il quale la durata di un procedi mento si deve valutare in rapporto: alle circostanze del caso

concreto; alla complessità del caso; al comportamento tenuto sia dal ricorrente sia dalle autorità nazionali competenti.

Tenendo presenti i criteri sopra enunciati, la corte ha conclu so che, nella fattispecie in esame, vi sia stata violazione dell'art.

6, par. 1, convenzione (1).

XII

Sentenza 25 marzo 1994; Pres. Ryssdal; Scherer c. Svizzera.

Il ricorrente era proprietario di un sexy-shop par omosessuali a Zurigo, all'interno del quale venivano proiettate anche video cassette.

Il 23 novembre 1983, in seguito ad una perquisizione nei sud detti locali, il pubblico ministero del distretto di Zurigo confi scava un film intitolato «New York City» e il proiettore del

ricorrente, nei confronti del quale veniva avviato un procedi mento penale.

Il Foro Italiano — 1995.

Con provvedimento del 15 marzo 1984, il pubblico ministero

infliggeva all'interessato un'ammenda per aver commercializza to pubblicazioni oscene.

Il Tribunale distrettuale di Zurigo, su ricorso dello stesso im

putato, annullava il suddetto provvedimento. Il pubblico ministero impugnava la decisione del tribunale di

fronte alla corte di appello, che confermava il giudizio di con danna del ricorrente.

Quest'ultimo proponeva ricorso alla Corte di cassazione can

tonale, la quale annullava il provvedimento di condanna con rinvio alla stessa corte d'appello.

Il giudice di rinvio confermava nuovamente il giudizio di con danna che, a seguito di un'ulteriore impugnazione proposta dal

ricorrente, veniva annullato dalla Corte di cassazione cantonale. Il pubblico ministero, a questo punto, proponeva ricorso al

tribunale federale, il quale annullava il provvedimento di asso luzione emesso dalla Corte di cassazione cantonale e rinviava la causa a quest'ultimo giudice affinché si pronunciasse nuova mente, tenendo presente che nel caso di specie entravano in gio co la decenza e la moralità pubblica.

Con sentenza resa in data 3 aprile 1989, la Corte di cassazio ne condannava il ricorrente, sulla scorta dei principi enunciati dal tribunale federale.

Il ricorrente ha adito la commissione lamentando, da un lato, la violazione dell'art. 6, par. 1 convenzione, per l'eccessiva du rata del procedimento penale che lo ha visto imputato e, dal

l'altro, la violazione degli art. 8 e 10, convenzione per essere stato condannato a seguito della proiezione del film «New York

City» e per aver ricevuto il divieto di presentare questo stesso film nei locali del suo negozio.

La commissione ha ritenuto che vi sia stata violazione solo dell'art. 10 convenzione.

La corte, a seguito dell'avvenuto decesso del ricorrente, non essendovi alcuna indicazione da parte dell'avvocato del Scherer circa gli eredi e non avendo manifestato l'esecutore testamenta rio dello stesso Scherer alcuna intenzione di ottenere, in Svizze ra, la riapertura del procedimento penale e, a Strasburgo, il riconoscimento di un risarcimento per i danni morali subiti, ha ritenuto che non vi siano motivi di ordine pubblico che si op pongano alla cancellazione della causa dal ruolo, tanto più che, successivamente ai fatti di cui è causa, la giurisprudenza del tribunale federale e la legislazione svizzera hanno subito muta menti radicali a favore delle tesi sostenute dal ricorrente.

XIII

Sentenza 19 aprile 1994; Pres. Ryssdal; Van de Hurk c. Paesi Bassi.

Il ricorrente, produttore di latte, nel gennaio 1984 si obbliga va nei confronti dell'ufficio regionale della Fondazione per l'at tuazione delle disposizioni normative in materia di agricoltura ad intraprendere nuovi investimenti destinati ad estendere i suoi impianti produttivi, mediante la costruzione di un nuovo stabi

limento, e ad adattarli alle nuove norme igienico-sanitarie, ciò che gli avrebbe permesso di aumentare il numero dei capi di bestiame da latte.

A seguito della emanazione del regolamento Cee n. 856/84 sul prelievo supplementare di latte, all'interessato veniva asse gnato un certo limite alla sua produzione (quantità di riferi

mento), la cui inosservanza avrebbe comportato il pagamento di una penalità detta, appunto, «prelievo supplementare».

Il ricorrente, tuttavia, sostenendo che il. quantitativo di riferi mento a lui assegnato non gli permetteva di far fronte ai debiti contratti in occasione della realizzazione degli investimenti pre cedentemente indicati, chiedeva un aumento della sua quota di

produzione. La richiesta veniva rigettata dal ministero dell'agri coltura e della pesca.

A seguito di un ulteriore rifiuto del ministro alla sua richiesta in sede di reclamo, il ricorrente adiva il consiglio d'appello in materia economica.

Nel procedimento svoltosi di fronte al consiglio, il ministro competente precisava che il rigetto della richiesta avanzata dal ricorrente era scaturito dal fatto che gli investimenti da lui ef fettuati non erano tali da poter legittimare un aumento della

quota di produzione. Il ricorrente contestava quanto affermato dal ministro, pro

ponendo un suo metro di valutazione degli stessi investimenti. Il consiglio, con provvedimento reso in data 16 giugno 1989,

respingeva l'appello sulla base degli stessi criteri di misurazione adottati dal ministro, in quanto il ricorrente aveva prodotto in

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

giudizio diversi parametri di misurazione dei suoi investimenti

tardivamente, ovverosia alla prima udienza.

Il Van de Hurk ha adito la commissione denunciando la vio

lazione nei suoi confronti dell'art. 6, par. 1, convenzione sotto

tre profili: a) mancanza di un tribunale indipendente ed imparziale: la

Corona, su sollecitazione e proposta del ministro, avrebbe po tuto in ogni momento privare di efficacia o sospendere l'esecu

zione del provvedimento reso dal consiglio d'appello in materia

economica;

b) difetto di un «processo equo»: il consiglio d'appello in materia economica non ha tenuto conto delle argomentazioni addotte dal ricorrente nel corso del procedimento, al contrario

delle argomentazioni e delle prove prodotte sempre nel corso

del procedimento dal ministro;

c) difetto di motivazione: il consiglio non ha deciso in modo equo non avendo tenuto adeguatamente conto dei parametri di

misurazione proposti dal ricorrente. La commissione si è pronunciata nel senso che vi sia stata

violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione.

La corte, in primo luogo, ha precisato che al caso di specie, trattandosi di «diritti ed obblighi di carattere civile», è senza

dubbio applicabile l'art. 6. In merito al primo motivo di ricorso, vertente sul difetto di

indipendenza e imparzialità dell'organo giudicante, la corte ha

rilevato che il potere di rendere una decisione vincolante che

non può essere modificata da un'altra autorità estranea all'or

dinamento giudiziario, come quello attribuito al consiglio d'ap

pello, è proprio di un «tribunale»; anzi, siffatto potere può es

sere visto come ulteriore garanzia dell'indipendenza dell'organo

giudicante. Del resto, la semplice esistenza del potere in capo al governo

di sospendere l'esecuzione della decisione di cui è controversia

non può pregiudicare di per sé l'indipendenza del consiglio. Né

a questo riguardo può essere accolta la tesi contraria, secondo

il quale l'influenza negativa di tale potere sarebbe dimostrata

dalla bassa percentuale di ricorsi accolti dal consiglio in materia

di quote di produzione di latte.

Il governo olandese, dal canto suo, ha osservato che la previ sione di un potere governativo di sospensione della decisione

del consiglio non impedisce di considerare quest'ultimo un «tri

bunale», dato che tale potere, in primo luogo, si riferisce solo

agli effetti del provvedimento reso dal consiglio, lasciandone

intatte le motivazioni, e, in secondo luogo, non è stato mai

utilizzato dal governo, tanto che ne è prevista l'abolizione con

l'entrata in vigore del nuovo codice amministrativo.

La corte, in merito al primo degli argomenti addotti dal go verno a sostegno delle sue tesi, ha rilevato che ciò che conta

per chi agisce in giudizio è il dispositivo e le conseguenze giuri diche che ne discendono.

Inoltre, a nulla vale osservare che la disposizione normativa

che attribuisce un potere al governo come quello sopra descritto

sia caduta in desuetudine, perché si tratta pur sempre di norma

facente tuttora parte dell'ordinamento giuridico olandese.

Il governo, peraltro, ha precisato che, in ogni caso, il sogget to destinatario del provvedimento reso dal consiglio può sempre adire le autorità giurisdizionali civili per sollecitare un controllo sul suddetto provvedimento. La corte, tuttavia, non ha potuto verificare l'esistenza concreta di un tale tipo di ricorso, posto

che, in tal senso, non è dato rinvenire né una chiara disposizio ne di legge né una giurisprudenza univoca.

In conclusione, avendo il ministro la possibilità di paralizzare in tutto o in parte l'efficacia delle decisioni del consiglio d'ap

pello, quest'ultimo non può essere considerato un «tribunale»,

ai sensi dell'art. 6, par. 1, convenzione.

Il governo precisa altresì che l'ordinamento nazionale preve de anche l'ipotesi di un riesame da parte del consiglio della pro

pria decisione, a seguito del quale è anche possibile la condanna

dell'amministrazione al risarcimento dei danni, laddove si ac

certi un uso distorto del potere di sospendere l'efficacia del prov

vedimento reso: eppoi, posto che la convenzione europea è di

rettamente applicabile nei Paesi Bassi, il ricorrente avrebbe po

tuto, in ogni caso, ricorrere al giudice civile denunciando il difetto

di imparzialità e indipendenza del consiglio stesso.

La corte, in ordine al primo mezzo di ricorso indicato dal

governo, ha precisato che, in ogni caso, il consiglio non può

discostarsi dalla decisione della Corona di sospensione dell'effi

cacia del provvedimento; in secondo luogo, in caso di uso di

storto del potere di sospensione, il risarcimento spettante al sog

getto privato è comunque inferiore ai vantaggi che questi avreb

be potuto trarre dall'esecuzione del provvedimento sospeso.

Il Foro Italiano — 1995.

Quanto al secondo mezzo di ricorso indicato dal governo, la corte non ha ignorato il fatto che le giurisdizioni civili, le

rare volte in cui sono pronunciate su casi simili, hanno sempre ritenuto sufficienti le garanzie giuridiche offerte dal consiglio.

La corte, alla luce di quanto considerato, ha ritenuto che, nel caso di specie, vi sia stata violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione, per il fatto che nessun «tribunale» che possa con

siderarsi tale si è pronunciato circa la controversia relativa a

diritti ed obblighi di carattere civile facenti capo al ricorrente.

In ordine al secondo motivo di ricorso, riguardante il caratte

re «equo» del procedimento in oggetto, la corte ha osservato

che, se è vero che il ministro ha avuto modo di basare la difesa della propria decisione su argomenti nuovi rispetto a quelli pre cedentemente addotti, è pur vero che il ricorrente ha avuto mo

do di sottoporre al consiglio una relazione del suo contabile

e alcune altre controdeduzioni.

Ciò significa che non risulta violato il principio c.d. dell'«ugua glianza degli strumenti di difesa».

Per ciò che concerne, poi, il rifiuto opposto dal consiglio a

considerare i parametri di stima indicati dal ricorrente, la corte

ha tenuto a precisare che, in linea generale, la valutazione dei

fatti di causa è rimessa inderogabilmente al giudice nazionale.

D'altro canto, il consiglio ha opposto tale rifiuto in quanto il ricorrente aveva prodotto in giudizio i suoi criteri di stima nel dibattimento orale e, quindi, tardivamente.

La corte, inoltre, ha ritenuto il provvedimento sufficiente

mente motivato.

Sotto questo profilo, dunque, l'art. 6, par. 1, convenzione

non risulta essere stato violato.

La corte, infine, ha rigettato la richiesta di risarcimento dei

danni avanzata dal ricorrente, in quanto è rimasto indimostrato

che, in assenza della violazione accertata, egli avrebbe potuto ottenere una pronuncia favorevole, mentre ha riconosciuto allo

stesso ricorrente il diritto al rimborso delle spese sostenute.

XIV

Sentenza 22 aprile 1994; Pres. Ryssdal; Saraiva de Carvalho

c. Portogallo.

In data 10 giugno 1984, la ricorrente, sospettata di essere fon

datrice e attivista di un'organizzazione terroristica nota con il

nome «Forze popolari 25 aprile», veniva arrestata e posta in

carcerazione preventiva con l'accusa di aver fondato e parteci

pato a un'organizzazione di stampo terroristico.

La fase istruttoria del procedimento penale veniva affidata

ad un giudice della sezione istruttoria del Tribunale di Lisbona.

Il 7 gennaio 1985, la procura formulava le sue conclusioni

e rinviava la causa di fronte al Tribunale dì Lisbona.

Il giudice del tribunale assegnato alla causa, il sig. Salvado

(con un provvedimento denominato «despacho de pronuncia»)

accoglieva in parte le richieste della procura, soprattutto quelle

riguardanti la ricorrente. Nel corso del processo svoltosi di fronte al tribunale, tra i

cui membri figurava anche il sig. Salvado, la sig. Saraiva de

Carvalho presentava un ricorso alla corte d'appello lamentando

il difetto di imparzialità dell'organo giudicante, in quanto il sig.

Salvado, essendosi già pronunciato preliminarmente sulla col

pevolezza della ricorrente, avrebbe senz'altro influenzato in ma

niera negativa la decisione finale nel merito.

Il tribunale dichiarava il ricorso ricevibile e disponeva che

fosse trasmesso alle giurisdizioni superiori unitamente all'even

tuale appello avverso la sentenza di merito.

Con provvedimento reso in data 20 maggio 1987, la ricorren

te era riconosciuta colpevole del reato contestato e condannata

a 15 anni di reclusione in un carcere militare e al pagamento di una multa.

La ricorrente impugnava siffatta decisione sia di fronte alla

corte di appello, che aumentava la pena della reclusione a 18

anni, sia di fronte alla Suprema corte, che stabiliva definitiva

mente in 17 anni la suddetta pena. L'interessata, invocando la violazione dell'art. 6, par. 1, con

venzione europea sotto il profilo dell'imparzialità dell'organo

giudicante, adiva la Corte costituzionale, la quale, rigettando il ricorso, precisava che il «despacho de pronuncia» altro non

era se non un provvedimento con il quale il giudice deve sempli

cemente verificare l'esistenza di indizi sufficienti circa la colpe volezza dell'imputato, senza entrare minimamente nel merito.

La ricorrente, lamentando la violazione dell'art. 6, par. 1,

convenzione, ha adito la commissione, la quale si è pronunciata

nel senso della insussistenza della stessa.

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PARTE QUARTA

La corte ha rammentato che l'imparzialità di un giudice va

verificata sia sotto il profilo oggettivo, con riferimento all'ido neità delle garanzie offerte ai fini dell'esclusione di ogni legitti mo dubbio, sia sotto il profilo soggettivo, con riferimento al

l'atteggiamento personale del giudice in questione. Sotto il profilo soggettivo, nulla quaestio. Sotto il profilo oggettivo, il fatto che il giudice Salvado abbia

emesso un provvedimento preliminare non rileva ai fini dell'in

dagine in questione, poiché, nel caso di specie, si tratta di un

provvedimento tendente ad assicurare, a seguito di un esame

sommario, la sussistenza di un minimo di indizi sulla colpevo lezza dell'imputato, ciò che si differenzia nettamente da un ac certamento formale di questa stessa colpevolezza.

Alla luce di quanto esposto, i timori della ricorrente circa

l'imparzialità dell'organo giudicante non possono essere ritenu

ti obiettivamente giustificabili, ciò che esclude la violazione del

l'art. 6-, par. 1, convenzione.

XV

Sentenza 26 aprile 1994; Pres. Ryssdai; Diaz c. Spagna.

Il figlio del ricorrente, Manuel Diaz, di 21 anni, in data 13

ottobre 1982 veniva arrestato dalla polizia con un'altra persona nell'ambito di un'indagine su alcuni furti. Veniva, quindi, sot

toposto ad interrogatorio al commissariato in presenza di un avvocato d'ufficio, nel corso del quale negava qualsiasi coinvol

gimento nei fatti criminosi in questione. Il soggetto arrestato con lui, viceversa, rendeva piena confes

sione e veniva, quindi, schedato e accompagnato in carcere. Nella tarda serata il figlio del ricorrente veniva di nuovo in

terrogato, questa volta in assenza dell'avvocato.

In seguito ad un diverbio, il Diaz, in preda ad una crisi di

nervi, si impadroniva dell'arma di ordinanza di uno dei due

ispettori che lo stavano interrogando e sparava all'altro, il qua le, rispondendo al fuoco, feriva mortalmente il detenuto.

L'autopsia eseguita successivamente rilevava sul corpo del Diaz, oltre alle ferite che ne avevano causato la morte, altre ferite

superficiali di cui non si riusciva a risalire alla causa. Il poliziotto che aveva sparato, condannato in primo grado

per eccesso di legittima difesa, veniva successivamente assolto. Il ricorrente adiva la commissione lamentando la violazione

dell'art. 3 convenzione, per aver egli subito durante la sua de tenzione trattamenti disumani e degradanti.

La commissione si è pronunciata nel senso della insussistenza della violazione denunciata.

Il governo spagnolo ed il ricorrente hanno raggiunto una com

posizione amichevole della controversia, prevedendo che: — la Spagna si obbliga a versare al ricorrente una somma

di denaro, senza, peraltro, che ciò possa essere considerato un riconoscimento da parte delle stesse autorità spagnole di un ina

dempimento agli obblighi risultanti dalla convenzione europea; — il ricorrente si obbliga a non sollevare più alcuna questio

ne sui fatti di cui è causa di fronte ad autorità nazionali o inter nazionali.

La corte non ha ravvisato alcun motivo di ordine pubblico che si opponga alla cancellazione della causa dal ruolo.

XVI

Sentenza 26 maggio 1994; Pres. Ryssdal; Keegan c. Irlanda.

In data 29 settembre 1988, la compagna del ricorrente dava alla luce una bambina di cui egli è padre.

Il 17 novembre 1988, la madre decideva di darla in adozione, informandone successivamente l'interessato.

Quest'ultimo agiva in giudizio per essere nominato tutore della

minore, ciò che gli avrebbe permesso di opporsi all'adozione della bambina e di ottenerne l'affidamento.

Con provvedimento reso in data 29 maggio 1989, la Circuit Court nominava il ricorrente tutore della minore che gli veniva data in affidamento.

La madre e gli aspiranti adottanti proponevano appello pres so la High Court, la quale, nel luglio 1989, si pronunciava nel senso che il ricorrente fosse perfettamente idoneo a essere no minato tutore e che non fossero sussistenti circostanze tali da dover temere un danno per il benessere della minore.

La corte, tuttavia, rinviava in via pregiudiziale la causa di fronte alla Corte suprema affinché quest'ultima si pronunciasse sull'interpretazione di alcune norme applicabili al caso di specie.

Il Foro Italiano — 1995.

La Corte suprema, in data 1° dicembre 1989, dichiarava che

il padre naturale non avesse un diritto soggettivo ad essere no

minato tutore, ma fosse da considerare semplicemente uno dei

soggetti legittimati a presentare richiesta in tal senso: tutto ciò

sempre in funzione del benessere del minore.

La High Court, in forza di quanto affermato dalla Corte su

prema, respingeva le richieste di affidamento formulate dal ri

corrente, in quanto la minore mostrava un attaccamento molto

più forte agli adottanti e un allontanamento brusco da essi avreb

be potuto causarle un trauma irreversibile.

Successivamente, veniva emessa un'ordinanza di adozione della

minore. Il Keegan adiva la commissione denunciando una violazione

nei suoi confronti dell'art. 8 sotto il profilo del diritto al rispet to della vita familiare, posto che sua figlia era stata affidata

a fini di adozione a sua insaputa e senza il suo consenso, né l'ordinamento nazionale prevedeva nei suoi confronti un diritto

soggettivo ad essere nominato tutore.

Egli, inoltre, lamentava, da un lato, di non aver avuto acces

so ad un tribunale (art. 6 convenzione) e di non aver potuto partecipare al procedimento svoltosi di fronte al consiglio per le adozioni e, dall'altro, di essere stato vittima di una discrimi

nazione vietata (art. 14, in combinato disposto con gli art. 6

e 8) rispetto alla situazione di un padre naturale coniugato con la madre naturale.

La commissione ha ritenuto che vi fosse violazione solo sotto il profilo degli art. 6 e 8 convenzione.

La corte, in via preliminare, a seguito della dichiarazione re sa dal ricorrente secondo la quale, essendo intervenuta ordinan

za di adozione, egli non avrebbe più diritto di agire anche per conto della propria figlia, ha ritenuto di doversi pronunciare solo sulle violazioni attinenti ai diritti facenti capo direttamente al ricorrente stesso.

Il governo irlandese ha eccepito il mancato esaurimento delle

vie di ricorso interne, cosi come previsto ex art. 26, per non

aver fatto il ricorrente valere le sue ragioni nei vari procedimen ti nazionali.

La corte ha rigettato l'eccezione, osservando che, tenuto con to della giurisprudenza costituzionale irlandese in virtù della quale il padre naturale non ha alcun diritto di partecipare al procedi mento di adozione, il ricorrente avrebbe sicuramente fatto vale re invano le sue ragioni di fronte ai tribunali nazionali.

Entrando nel merito, la corte ha tenuto, in primo luogo, a

precisare l'applicabilità al caso di specie dell'art. 8 convenzione. Il suddetto articolo, infatti, prevedendo un diritto al rispetto

della vita familiare, mira a tutelare non solo le relazioni fami liari basate su un matrimonio, ma anche quelle che possono crearsi de facto.

Un bambino che nasce da queste relazioni, pertanto, si inseri sce a pieno titolo in un vero e proprio «nucleo familiare», an che se al momento della sua nascita i due genitori non vivono

più insieme. Ed è proprio questa la fattispecie in questione. Sotto il profilo dell'art. 8, la corte ha rammentato che, se

condo la sua giurisprudenza, laddove sussista un valido legame tra la famiglia ed il bambino, lo Stato deve consentire a tutti i costi lo sviluppo di siffatto legame.

Il fatto che l'ordinamento irlandese permetta che l'affidamento e l'adozione di un minore avvengano all'insaputa del padre na turale costituisce senza dubbio un'ingerenza nel diritto del ri corrente al rispetto della sua vita familiare. È necessario, per tanto, verificare se tale ingerenza è giustificabile in forza dell'e sistenza delle circostanze indicate nel par. 28 convenzione.

È chiaro, i provvedimenti adottati dai giudici nazionali nei confronti del ricorrente erano del tutto conformi alle disposi zioni di legge, il cui scopo ultimo è quello di proteggere i diritti del minore.

Rimane ora da verificare se tali disposizioni, prevedendo un'in

gerenza cosi marcata nella vita familiare di un individuo, siano effettivamente necessarie in una società democratica.

La corte, in proposito, ha rilevato che la questione fonda

mentale, nel caso di specie, non è tanto quella relativa al rifiuto

opposto dai giudici nazionali a nominare il ricorrente tutore della minore, quanto il fatto che la legislazione irlandese abbia consentito che la bambina stringesse un legame molto forte con altre persone diverse dai suoi genitori — legame che sarebbe molto pericoloso spezzare —, ciò che ha impedito al ricorrente di creare e sviluppare con la propria bambina una normale rela zione affettiva familiare.

La corte, pertanto, ha ritenuto che vi sia stata violazione de l'art. 8 convenzione.

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

In ordine, infine, ai motivi di ricorso riguardanti il difetto

di accesso ad un tribunale (6, par. 1, convenzione), la corte, ha rilevato che il ricorrente non aveva a sua disposizione nessun

mezzo concreto per opporsi al provvedimento di adozione o

per intervenire in qualsiasi momento nel procedimento svoltosi

di fronte al consiglio per le adozioni; ciò che costituisce viola zione dell'art. 6, cit.

La corte ha riconosciuto al ricorrente il diritto al risarcimen

to dei danni materiali e morali subiti, oltre al rimborso delle

spese processuali.

XVII

Sentenza 23 giugno 1994; Pres. Ryssdal; Jacubowsky c.

Germania.

Il 3 maggio 1983, il ricorrente veniva nominato amministra tore unico di una società che svolge attività di agenzia di stam

pa (DDP). Il 17 luglio 1984 egli veniva revocato dalla sua carica senza

preavviso. Il 16 agosto la direzione della società pubblicava un comuni

cato sulla ristrutturazione dell'organico, in cui si criticava aspra mente sia la competenza professionale del ricorrente sia la ge stione da lui curata.

Il sig. Jacubowski, a seguito del rifiuto opposto dalla società

alla pubblicazione di una sua risposta al comunicato di cui so

pra, adiva il tribunale regionale chiedendo che venisse emessa

un'ordinanza di ingiunzione, che gli veniva concessa in sede di

appello dalla corte di Colonia.

L'ordinanza veniva eseguita un mese dopo la sua pubbli cazione.

Nel frattempo, il 25 settembre 1984, il ricorrente aveva prov veduto ad inviare a 40 editori della stampa e della televisione

una lettera accompagnata da tredici articoli di giornale a gran de diffusione, contenenti aspri apprezzamenti sulle circostanze

del suo licenziamento e sull'attività della società DDP in generale. Nel marzo 1995, il ricorrente creava un'agenzia di relazioni

pubbliche. La società E divenuta proprietaria del 25% del capitale della

società DDP, agiva in giudizio per ottenere un provvedimento inibitorio nei confronti del ricorrente.

In primo grado, la società E soccombeva per difetto di legit timazione ad agire, ma in grado d'appello, a seguito della costi

tuzione in giudizio della DDP, la corte di Dusseldorf, acco

gliendo le richieste degli attori, ordinava al ricorrente di aste

nersi dalla diffusione delle lettere in questione e lo dichiarava

responsabile di un comportamento configurante concorrenza slea

le, alla luce della successiva apertura di una sua agenzia di rela

zioni pubbliche; siffatta pronuncia veniva confermata sia in Cas

sazione sia dalla Corte costituzionale federale.

Il ricorrente ha adito la commissione lamentando la violazio

ne nei suoi confronti dell'art. 10 convenzione sotto il profilo del diritto alla libertà di espressione, per non aver egli avuto

la possibilità di replicare al comunicato del suo ex datore di

lavoro che aveva messo seriamente in dubbio le sue competenze

professionali. Ad avviso della corte, il provvedimento adottato sul punto

dai giudici nazionali si configura, senza dubbio, come un'inge renza nell'esercizio da parte del ricorrente del suo diritto alla

libertà di espressione, prevista per legge e tendente ad uno sco

po del tutto legittimo, quale quello della tutela della reputazio ne altrui; resta da verificare se una tale ingerenza sia da ritenere

necessaria in una società democratica.

La corte ha rilevato che le giurisdizioni nazionali che si sono

pronunciate sul caso in oggetto hanno tutte ravvisato un atto

di concorrenza sleale nel fatto che la lettera inviata dal ricorren

te ai vari editori conteneva, nell'ultimo paragrafo, un invito

esplicito ai destinatari a stabilire rapporti commerciali con il

ricorrente e che la sua diffusione era iniziata, secondo alcune

testimonianze, subito dopo che lo stesso ricorrente aveva deciso di aprire una agenzia di pubbliche relazioni.

Del resto, il provvedimento di ingiunzione emesso dalla corte

di appello si limitava a vietare al ricorrente la diffusione della

lettera in questione, ciò che consentiva a quest'ultimo di difen

dersi con qualsiasi altro modo dagli attacchi della società sua

ex datrice di lavoro. La corte, pertanto, non ha ravvisato alcuna violazione del

l'art. 10.

Il Foro Italiano — 1995.

XVIII

Sentenza 23 giugno 1994; Pres. Ryssdal; De Moor c. Belgio.

Il ricorrente, ufficiale dell'esercito in pensione, nel luglio 1983

conseguiva la laurea in giurisprudenza. Il 17 novembre 1983, il ricorrente chiedeva al consiglio del

l'ordine degli avvocati di Hasselt l'iscrizione come praticante

procuratore, iscrizione che gli veniva negata in base al fatto

che egli aveva già completato, al di fuori del foro, una diversa

carriera professionale. Il 29 novembre 1983, l'interessato impugnava la suddetta de

cisione di fronte al Consiglio di Stato, il quale, con sentenza

del 31 ottobre, rigettava il ricorso dichiarandosi incompetente a conoscere di atti emessi dall'ordine degli avvocati.

Il ricorrente ha adito la commissione, contestando, sotto il

profilo dell'art. 6, par. 1, convenzione, la mancanza di impar zialità del consiglio dell'ordine di Hasselt e del consiglio di ap pello, nonché il difetto di pubblicità del procedimento svoltosi

di fronte a quest'organo e l'eccessiva durata del procedimento svoltosi di fronte al Consiglio di Stato.

La corte, in via preliminare, ha precisato che l'art. 6, par.

1, convenzione deve essere ritenuto applicabile al caso di specie in quanto il diritto all'iscrizione al consiglio dell'ordine come

praticante, affermato dal ricorrente, è un diritto riconosciuto

dalla legislazione belga, il cui carattere civile è stato già affer

mato dalla stessa corte in precedenti sentenze.

Il governo belga ha eccepito la mancanza di esaurimento del

le vie di ricorso interne in quanto il ricorrente: — non ha impugnato la decisione del «Consiglio di Stato

di fronte alla Corte di cassazione»; — non ha immediatamente adito la Corte di cassazione con

tro il provvedimento di rifiuto dell'iscrizione; — non ha atteso di conoscere l'esito del procedimento dinan

zi al Consiglio di Stato prima di adire la commissione; — non ha ricusato di fronte alla Corte di cassazione i mem

bri del consiglio dell'ordine per legittima suspicione. La corte ha rigettato in toto l'eccezione del governo, rilevan

do che il ricorrente ha iniziato e portato a termine il procedi mento di fronte al Consiglio di Stato senza tener conto di altre

vie di ricorso che lo avrebbero certamente portato allo stesso

risultato. Entrando nel merito del ricorso, la corte ha osservato che

il consiglio dell'ordine, pur godendo di ampi margini di discre

zionalità in relazione alle domande di iscrizione dei praticanti, non può pronunciarsi in senso negativo se non laddove difetti

no le condizioni previste dalla legge a tal fine ovvero laddove

ravvisi nel richiedente una causa di incompatibilità o una situa zione di indegnità o incompetenza professionale.

La decisione del consiglio dell'ordine di cui è controversia

non conteneva alcun riferimento ad una delle circostanze sopra

indicate, ciò che la rende indiscutibilmente illegittima. Né il ricorrente, all'epoca dei fatti, aveva alcun mezzo di im

pugnazione da esperire. La corte, infine, ha rilevato la mancanza di pubblicità nel

procedimento svoltosi di fronte al consiglio dell'ordine che, per la sua natura, non giustificava certo una pronuncia a porte chiu

se; vi è stato, dunque, violazione dell'art. 6, par. 1, convenzione.

Per ciò che concerne la durata dell'intero procedimento (quat tro anni), la corte ha ritenuto che questa abbia oltrepassato il termine ragionevole di cui all'art. 6, par. 1, convenzione, tenu

to conto del comportamento del ricorrente e delle circostanze

di cui è causa.

La corte, infine, ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento

dei soli danni morali, oltre al rimborso delle spese.

* * *

A) Convenzione

Art. 3

Nessuno può essere sottoposto a tortuna né a pena o tratta

mento inumani o degradanti.

Art. 6

1. Ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza

entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipen

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PARTE QUARTA

dente e imparziale costituito per legge, al fine della determina

zione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.

La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla

sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico du

rante tutto o una parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società

democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la tu

tela della vita privata delle parti nel processo, nella misura giu dicata strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali

circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi del

la giustizia. 3. Ogni accusato ha più specialmente diritto a:

a) (omissis); b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per pre

parare la sua difesa;

c) difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di pro

pria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio

quando lo esigano gli interessi della giustizia;

d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed otte

nere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico

nelle stesse condizioni dei testimoni a carico.

Art. 8

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'e

sercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia previ sta dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una

società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'or

dine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la prote zione dei diritti e delle libertà altrui.

Art. 10

1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale di

ritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di

comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il

presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano ad

un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di

cinema o di televisione.

2. L'esercizio di questa libertà, comportando doveri e respon sabilità, può essere sottoposto a determinate formalità, condi

zioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti mi sure necessarie in una società democratica, per la sicurezza na

zionale, l'integrità territoriale o l'ordine pubblico, la prevenzione dei disordini e dei reati, la protezione della salute e della mora

le, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per im

pedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per ga rantire l'autorità o la imparzialità del potere giudiziario.

Art. 14

Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella pre sente convenzione deve essere assicurato senza distinzioni di al

cuna specie, come di sesso, di razza, di colore, di lingua, di

religione, di opinione politica o di altro genere, di origine na zionale o sociale, di appartenenza o una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Art. 26

La commissione non può essere adita che dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un pe riodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.

Art. 50

Se la decisione della corte dichiara che una decisione presa o una misura ordinata da un'autorità giudiziaria o da ogni altra

Il Foro Italiano — 1995.

autorità di una parte contraente si trova interamente o parzial mente in contrasto con obbligazioni che derivano dalla presente

convenzione, e se il diritto interno di detta parte non permette che in modo incompleto di eliminare le conseguenze di tale de

cisione o di tale misura, la decisione della corte accorda, quan do è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa.

B) Protocollo addizionale n. 1

Art. 1

Ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi

beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà salvo che

per causa d'utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla leg

ge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto

degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi giudicate necessa

rie per regolare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse

generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altre contribuzioni o delle ammende.

C) Protocollo addizionale n. 4

Art. 2

1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato

ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente

la sua residenza.

2. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi paese, compreso il suo.

3. L'esercizio di questi diritti non può essere oggetto di re

strizioni diverse da quelle che, previste dalla legge, costituisco

no, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza

nazionale, o alla sicurezza pubblica, al mantenimento dell'ordi

ne pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla prote zione della sanità o della morale o alla protezione dei diritti

e libertà altrui.

4. I diritti riconosciuti nel paragrafo 1 possono anche, in al cune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dal

la legge e giustificate dall'interesse pubblico in una società de

mocratica.

D) Regolamento della corte

Art. 49

1. Lorsque la partie requérante devant la Cour fait connaitre

au greffier son intention de se désister et si les autres Parties

acceptent la désistement, la chambre décide, aprés avoir consul tò la Commission et le requérant, s'il y a lieu ou non d'homolo

guer la désistement et par suite de rayer l'affaire du ròle. 2. Lorsque la chambre re?oit communication d'un règlement

amiable, arrangement ou autre fait de nature à fournir une so

lution du litige, elle peut, le cas échéant, après avoir consulté

les Parties, les délégués de la Commission et le requérant, rayer l'affaire du róle.

3. La radiation du ròle donne lieu à un arret que le président

communique au Comité des Ministres pour lui permettre de sur

veiller, conformément à l'art. 54 de la Convention, l'exécution des engagements auxquels ont pu ètre subordonnées la désiste

ment ou la solution du litige. 4. La chambre peut, eu égarde aux responsabilités incombant

à la Cour aux termes de l'art. 19 de la Convention, décider

de porsuivre l'examen de l'affaire nonostant le désistement, rè

glement amiable, arrangement ou fait visés audx paragraphes 1 et 2 du présent article.

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