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Cultura Capitale: sgomberi, La vita di una donna vale sfratti e … · 2020. 11. 30. · lit¿...

Date post: 23-Jan-2021
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16 l ITALIA IL FATTO QUOTIDIANO Lunedì 30 Novembre 2020 BOOKBOOKS qui possiamo iniziare l’esplorazione del- la giungla avventurosa che l’uomo di co- pertina ci indica: belle case su palafitte di estrema euforia ed estrema fragilità, belle donne che ti appartengono mentre fuggono, e tu non sai mai chi sono dav- vero e neppure loro lo sanno perché sono sempre prede che lottano per disputarsi prede. La storia è semplice, pericolosa come un fiume in piena, senza un prima e sen- za un dopo. Perché né i protagonisti del libro, né i lettori e i fan di Corona, sanno molto di questi attori belli e senza desti- no. I Fabrizio Corona (nel vasto presepio dei corpi in scena) sono prigionieri di u- na semplificazione che li spinge sempre in avanti, verso un incognito di amplessi multipli, ostentati e (si suppone) mera- vigliosi; e cortei di figli belli, sfasati da u- na finta allegria. E solo una cosa sanno e conoscono bene: “Io.” LA STORIA DI FABRIZIO CORONA non por- ta allegria ma un interesse teso da ro- manzo impossibile, dove il lieto fine non è contemplato. Domina un “io” esclusivo (il corpo tatuato), un’ostinata presenza, senza auto-celebrazione. È un “io” a cui tocca di essere (non c’entrano presun- zione od orgoglio) l’unico personaggio conosciuto e raccontato. Gli altri (amori feroci o abbandoni strazianti) sono il re- sto del mondo e non vuoi davvero saper- ne e soffrirne. Infatti la narrazione di Co- rona ha la misura della conversazione in confidenza, della rivelazione all’agenzia fotografica, del raccontare durante un viaggio; con quel tanto di tenerezza e quello scatto d’ira, così impetuosi e fuga- ci. E infatti non ci sono vendette. Se mai bronci e ritorni, impastati (come certe erbe nella buona cucina) di humour . Ma niente deroghe: ciò che è stato è stato, abbandoni e tradimenti, fatti e subiti. Perché Fabrizio Corona dovrebbe in- teressare chi prende in mano il libro? Perché è l’unico, nella grande collezione di “io”, a non fare l’ufficio stampa di se stesso. Manda avanti il corpo e le cifre al- tissime (guadagnate, perdute, regalate) nella stessa avventura. E neppure quan- do lo mandano in carcere, come un Pi- nocchio coi pettorali, si sente umiliato. Il famoso corpo è dietro le sbarre. Ma “io” è libero e intatto e racconta tutto. © RIPRODUZIONE RISERVATA S ulla copertina del libro che “La nave di Teseo” ha appena pubblicato (Come ho inventato l’Italia , di Fabrizio Corona ) c’è un uomo nudo e tatuato con una banconota da cento euro che copre il sesso. Qual’è l’offerta: la storia, il corpo o la banconota? La storia è oggi, così come accadono le cose, senza visioni e senza interpretazioni. Il corpo è nudo e tatua- to, proprio come l’immagine che domi- na la comunicazione visiva del nostro- tempo: ci dice (dalle spiagge ai rotocal- chi alle infinite apparizioni in rete) che l’identità si rappresenta con i pettorali e gli addominali. LA BANCONOTA ci ricorda l’idea comune che tutto sia in vendita e, anzi, che il de- stino, alla fine, sia la vendita. Forse, da FURIO COLOMBO Fabrizio Corona racconta Non siamo solo corpo e addominali scolpiti (c’è anche il conto in banca) ro del Teatro Valle (agosto 2014) si invocò la legalità: che si è tradotta nel più completo vuoto. Un deserto che ha preso il posto di una straordinaria stagione intellettuale e civile. Laddove il Valle, e oggi il Cine- ma Palazzo, attuavano invece la Costituzione: che prevede (art. 42) che la proprietà privata debba avere un limite nell’uti- lità sociale, e che pone la cultu- ra a valore fondamentale del nostro stare insieme (art. 9). Almeno dai tempi in cui Cala- mandrei prese la parola al pro- cesso a Danilo Dolci (1956) sappiamo che la legalità del Co- dice penale può non coincidere con la legalità della Costituzio- ne, cioè con la giustizia. E a Roma alcune delle realtà più vive e più rivoluzionare per la cultura (si pensi allo straor- dinario Maam, il Museo dell’al- tro e dell’altrove di Metropoliz) sono nate, non per caso, in spa- zi occupati: sottratti al merca- to, in una sorta di legittima di- fesa di un’idea di città, e di cul- tura. Già, ma quale idea di cul- tura abbiamo? LA SECONDA NOTIZIA riguarda un altro sfratto, appena meno violento: quello che il Comune di Roma aveva intimato al glo- rioso (ed efficientissimo) Isti- tuto Storico per il Medio Evo (fondato nel 1883), che ha sede (dal 1924) nel complesso bor- rominiano della Vallicella. Di fronte all’insurrezione com- patta degli storici italiani, la sindaca Raggi è stata costretta a un imbarazzante (quanto ne- cessario) dietrofront: e per il momento l’Istituto sembra sal- vo. Ma resta la domanda: che i- dea ha della cultura, e dell’uso dello spazio pubblico della cit- tà, un’amministrazione che pensa di liberarsi di un secolare luogo di produzione della co- noscenza come ci si libera di u- » Tomaso Montanari O gni secolo ha la “que- stione romana” che si merita. Per noi, oggi, quella questione ri- guarda il conflitto tra giustizia e legalità, tra cultura e rendita, tra città e mercato: un conflitto che, naturalmente, attraversa oggi l’intero Paese, ma che a Roma si fa più violento, dun- que più leggibile. In queste ore si sono intrecciate tre notizie che illuminano questo viluppo. La prima, la più grave, riguarda lo sgombero del Cinema Palaz- zo, ordinato dal nuovo prefetto di Roma (già capo di gabinetto di Matteo Salvini). Prima di leggerla sui giornali, l’ho ap- presa da una mail di Nino Cri- scenti, uno dei grandi giornali- sti storici della Rai: “Una brut- ta, triste notizia romana: è stato sgomberato il Cinema Palazzo. Occupato 10 anni fa, contro il progetto di una sala Bingo, era diventato il punto di riferimen- to del quartiere, quasi un’isti- tuzione, aperta a tutti, dai bam- bini agli anziani, centro cultu- rale, un’idea di vita, un’idea di città, una di quelle iniziative che possono fare di un quartie- re una comunità. Sgombero re- so ancora più triste dalla vio- lenta carica della polizia contro un pacifico corteo di protesta. La cosa peggiore non è neppure questa, ma il fatto che lo sgom- bero è stato accoppiato a quello di un pub abusivo di Forza Nuova. Nella stessa notte. Co- me nell’età dorotea degli oppo- sti estremismi”. PAROLE di un pacatissimo ot- tantenne: che forse bastano a spiegare quanto fosse incom- prensibile il tweet in cui la sin- daca Raggi ringraziava le forze dell’ordine, mettendo quel du- plice sgombero sullo stesso pia- no, e culminando nel monito: “A Roma le occupazioni abusi- ve non sono tollerate. Torna la legalità”. Anche per lo sgombe- na fastidiosa zanzara? C’è an- cora posto per la cultura nelle nostre città, o tutto – anche i be- ni comuni, come il patrimonio monumentale e pubblico e la conoscenza stessa – si misura sul metro della rendita? TERZA NOTIZIA. La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e- mana un incredibile comuni- cato in cui celebra l’acquisizio- ne del fondo archivistico di Pi- no Rauti, senza una riga di con- testualizzazione storica e de- mocratica di quella torva figura di fascista, repubblichino, ac- costato ad alcune delle più ef- ferate stragi della notte della Repubblica. Un fondo, poi, confezionato dalla famiglia (la cui commozione veniva narra- ta dallo stesso comunicato), e dunque un’avvelenata polpetta autoapologetica: forse da va- gliare comunque, per sottopor- lo in silenzio alla più affilata cri- tica storica, ma certo non da le- gittimare come una conquista culturale. Dopo la denuncia dell’Anpi, della Cgil e di molti intellettuali, il ministro Dario Franceschini è intervenuto, e l’osceno comunicato è stato ri- mosso. Ma l’acquisizione acri- tica del fondo resta, e se la Bi- blioteca Nazionale di Roma ha completamente smarrito il senso costituzionale della cul- tura – che è esattamente quello di un antidoto contro ogni fa- scismo, e di uno strumento per il pieno sviluppo della persona umana – qualche domanda più generale dobbiamo porcela. Nella prossima campagna e- lettorale romana si parlerà, im- mancabilmente, di cultura in termini di intrattenimento e fatturato: ma la vera discussio- ne dovrebbe essere sul ruolo della cultura affinché Roma torni ad essere una città, una comunità. E una comunità giu- sta, e inclusiva. Perché se Roma non sa più cosa sia la cultura, è Roma a non esserci più. © RIPRODUZIONE RISERVATA Bingo e proteste Il Cinema Palazzo contro lo sfratto 9 anni fa avrebbe dovuto ospitare una sala giochi FOTO ANSA PIETRE&POPOLO Roma: il mercato e la Costituzione TEATRO VALLE, IL PRECEDENTE: ORA È IL DESERTO LEGALITÀ: è il valore invocato dai sostenitori dello sgombero al Cinema Palazzo di San Lorenzo. Proprio come per il Teatro Valle: anche lì, lo sfratto degli occupanti avvenne sbandierando le leggi sui diritti di proprietà. Ma dal giorno dello sgombero, al Teatro Valle c’è il deserto. Ma l’art. 42 della Carta antepone l’utilità sociale al guadagno individuale: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. Cultura Capitale: sgomberi, sfratti e revisionismi a destra 3 (brutte) notizie Sigilli al Cinema Palazzo L’Istituto per il Medio Evo rischia il trasloco e la Biblioteca Nazionale ha acquisito l’archivio del leader neofascista Pino Rauti » Come ho inventato l'Italia Fabrizio Corona Pagine: 464 Prezzo: 19 e Editore: La nave di Teseo
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Page 1: Cultura Capitale: sgomberi, La vita di una donna vale sfratti e … · 2020. 11. 30. · lit¿ sociale, e che pone la cultu - ra a valore fondamentale del nostro s tare insieme (art.

16 l ITALIA IL FATTO QUOTIDIANO Lunedì 30 Novembre 2020

BOOKB O O KS

qui possiamo iniziare l’esplorazione del-la giungla avventurosa che l’uomo di co-pertina ci indica: belle case su palafitte diestrema euforia ed estrema fragilità,belle donne che ti appartengono mentrefuggono, e tu non sai mai chi sono dav-vero e neppure loro lo sanno perché sonosempre prede che lottano per disputarsiprede.

La storia è semplice, pericolosa comeun fiume in piena, senza un prima e sen-za un dopo. Perché né i protagonisti dellibro, né i lettori e i fan di Corona, sannomolto di questi attori belli e senza desti-no. I Fabrizio Corona (nel vasto presepiodei corpi in scena) sono prigionieri di u-na semplificazione che li spinge semprein avanti, verso un incognito di amplessimultipli, ostentati e (si suppone) mera-

vigliosi; e cortei di figli belli, sfasati da u-na finta allegria. E solo una cosa sanno econoscono bene: “Io .”

LA STORIA DI FABRIZIO CORONA non por-ta allegria ma un interesse teso da ro-manzo impossibile, dove il lieto fine nonè contemplato. Domina un “io”esclusivo(il corpo tatuato), un’ostinata presenza,senza auto-celebrazione. È un “io” a cuitocca di essere (non c’entrano presun-zione od orgoglio) l’unico personaggioconosciuto e raccontato. Gli altri (amoriferoci o abbandoni strazianti) sono il re-sto del mondo e non vuoi davvero saper-ne e soffrirne. Infatti la narrazione di Co-rona ha la misura della conversazione inconfidenza, della rivelazione all’a ge n z i afotografica, del raccontare durante un

viaggio; con quel tanto di tenerezza equello scatto d’ira, così impetuosi e fuga-ci. E infatti non ci sono vendette. Se maibronci e ritorni, impastati (come certeerbe nella buona cucina) di h u m o u r. Maniente deroghe: ciò che è stato è stato,abbandoni e tradimenti, fatti e subiti.

Perché Fabrizio Corona dovrebbe in-teressare chi prende in mano il libro?Perché è l’unico, nella grande collezionedi “i o”, a non fare l’ufficio stampa di sestesso. Manda avanti il corpo e le cifre al-tissime (guadagnate, perdute, regalate)nella stessa avventura. E neppure quan-do lo mandano in carcere, come un Pi-nocchio coi pettorali, si sente umiliato. Ilfamoso corpo è dietro le sbarre. Ma “io”èlibero e intatto e racconta tutto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Sulla copertina del libro che “La navedi Teseo” ha appena pubblicato(Come ho inventato l’I ta l i a , di Fabrizio

Corona ) c’è un uomo nudo e tatuato conuna banconota da cento euro che copre ilsesso. Qual’è l’offerta: la storia, il corpo ola banconota? La storia è oggi, così comeaccadono le cose, senza visioni e senzainterpretazioni. Il corpo è nudo e tatua-to, proprio come l’immagine che domi-na la comunicazione visiva del nostro-tempo: ci dice (dalle spiagge ai rotocal-chi alle infinite apparizioni in rete) chel’identità si rappresenta con i pettorali egli addominali.

LA BANCONOTA ci ricorda l’idea comuneche tutto sia in vendita e, anzi, che il de-stino, alla fine, sia la vendita. Forse, da

FURIO COLOMBO

Fabrizio Corona racconta Non siamo solo corpoe addominali scolpiti (c’è anche il conto in banca)

ro del Teatro Valle (agosto2014) si invocò la legalità: che siè tradotta nel più completovuoto. Un deserto che ha presoil posto di una straordinariastagione intellettuale e civile.Laddove il Valle, e oggi il Cine-ma Palazzo, attuavano invece laCostituzione: che prevede (art.42) che la proprietà privatadebba avere un limite nell’uti -lità sociale, e che pone la cultu-ra a valore fondamentale delnostro stare insieme (art. 9).Almeno dai tempi in cui Cala-

mandrei prese la parola al pro-cesso a Danilo Dolci (1956)sappiamo che la legalità del Co-dice penale può non coinciderecon la legalità della Costituzio-ne, cioè con la giustizia.

E a Roma alcune delle realtàpiù vive e più rivoluzionare perla cultura (si pensi allo straor-dinario Maam, il Museo dell’al -tro e dell’altrove di Metropoliz)sono nate, non per caso, in spa-zi occupati: sottratti al merca-to, in una sorta di legittima di-fesa di un’idea di città, e di cul-

tura. Già, ma quale idea di cul-tura abbiamo?

LA SECONDA NOTIZIA ri g ua rd aun altro sfratto, appena menoviolento: quello che il Comunedi Roma aveva intimato al glo-rioso (ed efficientissimo) Isti-tuto Storico per il Medio Evo(fondato nel 1883), che ha sede(dal 1924) nel complesso bor-rominiano della Vallicella. Difronte all’insurrezione com-patta degli storici italiani, lasindaca Raggi è stata costrettaa un imbarazzante (quanto ne-cessario) dietrofront: e per ilmomento l’Istituto sembra sal-vo. Ma resta la domanda: che i-dea ha della cultura, e dell’usodello spazio pubblico della cit-tà, un’amministrazione chepensa di liberarsi di un secolareluogo di produzione della co-noscenza come ci si libera di u-

» Tomaso Montanari

Ogni secolo ha la “que -stione romana” che simerita. Per noi, oggi,quella questione ri-

guarda il conflitto tra giustizia elegalità, tra cultura e rendita,tra città e mercato: un conflittoche, naturalmente, attraversaoggi l’intero Paese, ma che aRoma si fa più violento, dun-que più leggibile. In queste oresi sono intrecciate tre notizieche illuminano questo viluppo.La prima, la più grave, riguardalo sgombero del Cinema Palaz-zo, ordinato dal nuovo prefettodi Roma (già capo di gabinettodi Matteo Salvini). Prima dileggerla sui giornali, l’ho ap-presa da una mail di Nino Cri-scenti, uno dei grandi giornali-sti storici della Rai: “Una brut-ta, triste notizia romana: è statosgomberato il Cinema Palazzo.Occupato 10 anni fa, contro ilprogetto di una sala Bingo, eradiventato il punto di riferimen-to del quartiere, quasi un’isti -tuzione, aperta a tutti, dai bam-bini agli anziani, centro cultu-rale, un’idea di vita, un’idea dicittà, una di quelle iniziativeche possono fare di un quartie-re una comunità. Sgombero re-so ancora più triste dalla vio-lenta carica della polizia controun pacifico corteo di protesta.La cosa peggiore non è neppurequesta, ma il fatto che lo sgom-bero è stato accoppiato a quellodi un pub abusivo di ForzaNuova. Nella stessa notte. Co-me nell’età dorotea degli oppo-sti estremismi”.

PAROLE di un pacatissimo ot-tantenne: che forse bastano aspiegare quanto fosse incom-prensibile il tweet in cui la sin-daca Raggi ringraziava le forzedell ’ordine, mettendo quel du-plice sgombero sullo stesso pia-no, e culminando nel monito:“A Roma le occupazioni abusi-ve non sono tollerate. Torna lalegalità”. Anche per lo sgombe-

na fastidiosa zanzara? C’è an-cora posto per la cultura nellenostre città, o tutto –anche i be-ni comuni, come il patrimoniomonumentale e pubblico e laconoscenza stessa – si misurasul metro della rendita?

TERZA NOTIZIA. La BibliotecaNazionale Centrale di Roma e-mana un incredibile comuni-cato in cui celebra l’acquisizio -ne del fondo archivistico di Pi-no Rauti, senza una riga di con-testualizzazione storica e de-mocratica di quella torva figuradi fascista, repubblichino, ac-costato ad alcune delle più ef-ferate stragi della notte dellaRepubblica. Un fondo, poi,confezionato dalla famiglia (lacui commozione veniva narra-ta dallo stesso comunicato), edunque un’avvelenata polpettaautoapologetica: forse da va-gliare comunque, per sottopor-lo in silenzio alla più affilata cri-tica storica, ma certo non da le-gittimare come una conquistaculturale. Dopo la denunciadell ’Anpi, della Cgil e di moltiintellettuali, il ministro DarioFranceschini è intervenuto, el’osceno comunicato è stato ri-mosso. Ma l’acquisizione acri-tica del fondo resta, e se la Bi-blioteca Nazionale di Roma hacompletamente smarrito ilsenso costituzionale della cul-tura – che è esattamente quellodi un antidoto contro ogni fa-scismo, e di uno strumento peril pieno sviluppo della personaumana –qualche domanda piùgenerale dobbiamo porcela.

Nella prossima campagna e-lettorale romana si parlerà, im-mancabilmente, di cultura intermini di intrattenimento efatturato: ma la vera discussio-ne dovrebbe essere sul ruolodella cultura affinché Romatorni ad essere una città, unacomunità. E una comunità giu-sta, e inclusiva. Perché se Romanon sa più cosa sia la cultura, èRoma a non esserci più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bingo e protesteIl Cinema Palazzocontro lo sfratto9 anni fa avrebbedovuto ospitareuna sala giochiFOTO ANSA

PIETRE&POPOLO Roma: il mercato e la Costituzione

TEATRO VALLE,IL PRECEDENTE:ORA È IL DESERTOLEGALITÀ: è il valoreinvocato dai sostenitoridello sgomberoal Cinema Palazzo di SanLorenzo. Proprio comeper il Teatro Valle:anche lì, lo sfrattodegli occupanti avvennesbandierando le leggisui diritti di proprietà.Ma dal giorno dellosgombero, al TeatroValle c’è il deserto.Ma l’art. 42 della Cartaantepone l’utilità socialeal guadagno individuale:“La proprietà privata èriconosciuta e garantitadalla legge,che ne determina i modidi acquisto,di godimento e i limitiallo scopo di assicurarnela funzione sociale”.

Cultura Capitale: sgomberi,sfratti e revisionismi a destra

3 (brutte) notizie Sigilli al Cinema PalazzoL’Istituto per il Medio Evo rischia il traslocoe la Biblioteca Nazionale ha acquisitol’archivio del leader neofascista Pino Rauti

» Comeho inventatol'It aliaFabrizio CoronaPagine: 464Prezzo: 19 eEditore :La navedi Teseo

IL FATTO QUOTIDIANO Lunedì 30 Novembre 2020 ESTERI l 17

INDIA VIOLENTA Diritti rosa, un fotografo in fuga

“La vita di una donna valemeno di una mucca sacra?”

» Michela A. G. Iaccarino

Un ragazzo dal voltogentile fuggito dall’In -dia alla Germania, lasua macchina fotogra-

fica e le incredibili conseguenzedi una maschera di gomma.“Con le mie immagini volevoporre una domanda semplice:in India la vita di una donna va-le meno di quella di una muc-c a? ”. Il fotografo Sujatro Gho-sh, nemmeno 30 anni, nel 2017ha cominciato a fotografare ra-gazze con una maschera dimucca da un lato all’altro delsuo Paese, dove è endemica ecronica la “cultura dello stupro”e dove una donna – dai 6 ai 60anni - ogni 15 minuti viene vio-lentata, ed in seguito, a volte,anche uccisa. L’artista ha co-minciato a pubblicare quei ri-tratti su Instagram: “L’un ic omezzo a disposizione di un ra-gazzo comune, come me”. Ilweb ne rimase scosso: prima inbene, poi in male, poi entrambi.Il suo progetto Holy Cows, vac-che sacre, è diventato un feno-meno virale di cui si è accortopresto anche il G uardian, la B-BC, fino ad Harper Bazar. Do-po la fama, però, arrivano le in-timidazioni e le minacce dimorte dei radicali induisti.

SUJATRO SI DEFINISCE un acca-demico, femminista e dissi-dente. Nelle sue foto le mucchesacre si guardano allo specchio,rispondono al telefono, fissanol’orizzonte, si fanno un selfie inbarca: fanno tutto ciò che alledonne è concesso. Una muccadai capelli lunghi e castanidanza sulle punte su un murotra nuvole e torrenti di Bom-bay. Una che ha le braccia in-crociate sembra fissarti di sbie-co. Ci sono mucche su duegambe ritratte a Goa, Bangalo-re e Hyderabad. La mascheradi plastica nasconde volti didonne che hanno tutte una sto-ria triste, ma “non volevo rac-contare una storia sola, ma lavita comune a tutte le donne inInd i a”: abusate, violentate,b r u t a l i z z at e .

Nelle sue foto mucca e don-na coincidono in una sola im-magine, le incappucciate dallatesta bovina fondono due que-stioni in una sola: “Volevo darevoce alle persone che non cel’hanno, affronto una proble-matica grave ritraendo i sog-getti in situazioni realistiche,ma con l’elemento irreale dellam a s c h e ra ”. L’idea di Sujatro hapartorito delle centaure al con-trario, creature fantastiche dalvolto di latex bianco e nero, me-

tà umane e metà animali, qual-cosa che è allo stesso tempo e-vidente ed invisibile: come lo èlo stupro in India, dove decinedi migliaia lo subiscono ognianno, ma pochissime denun-ciano, rimanendo in silenzioper timore delle conseguenze.Il semplice atto di nascondereil volto di donna con quellodell ’animale gli è costato l’ac -cusa di sacrilegio da parte deiradicali induisti: “La vacca è unanimale politico in India”. Conun film sulla sua storia, che saràtrasmesso presto da Aljazeera,Sujatro ha cambiato continen-te: grazie a una borsa di studiodel Goethe Institute vive a Ber-lino. “Ho lasciato l’India perchéle minacce prima erano solo o-nline. Poi hanno cominciato achiamarmi a casa, infine a bus-sare alla porta: cominciavo adavere problemi mentali e psi-cologici, la Germania mi haprotetto le spalle. Penso che siasuccesso perché il progetto haattirato l’attenzione di tanti

quando il messaggio è arrivatolà fuori, le donne sono bersa-glio quanto le minoranze delPaese. Ogni previsione che ave-vo sul futuro si è compiuta pur-troppo: con il presidente na-zionalista Modi il Paese è peg-giorato, forse più velocementedi quello che credevo”.

INFINE LE VACCHE SACRE di Su-jatro sono scappate per il mon-

do e vengono ritratte dall’Eu -ropa all’America. Lo seguono,ovunque lui vada, perché ilprogetto delle ragazze nascostedalla maschera dei mammifericontinua: “Voglio difendere idiritti delle donne che vivonouna condizione drammatica inmolte parti del mondo, non so-lo nel mio Paese”, dove gang divigilantes indiani, i cosiddetti“protettori delle mucche”, sono

colpevoli di decine di omicidi elinciaggi di persone, anche solosospettate di aver mangiato lacarne dell’animale.

“Per gli indù uccidere unamucca è peggio che uccidere u-na donna, che si può stuprare eammazzare senza che nessunomuova un dito”. Lui invece l’hafatto: schiacciando sul tastodella sua macchina fotografica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Sujatro Ghosh ritraefemmine mascherateda bovino; sacrilegio,per i radicali induistiL’artista, minacciato,si è rifugiato a Berlino

INTEGRALIS MO:UNA VIOLENZAOGNI 15 MINUTI

LA “CULTURA DELLOST U P RO” in India èendemica e cronica: ogni15 minuti viene violentatauna donna, dai 6 ai 60anni. Gang di vigilantes,i cosiddetti “p r o t e tt o r idelle mucche”, compionoomicidi e linciaggi: bastail sospetto di avermangiato la carnedell'animale. “Per gli indùuccidere una mucca èpeggio che uccidereuna donna - dice SujatroGhosh - e Narendra Modi,presidente nazionalista,la situazione è peggiorata”

BIOGRAFIASUJATRO GHOSH,ventisette anni, artistaed accademico. Laureatoin giornalismoalla Calcutta University,in India, dove haconseguito un masterin fotografia. Ora èricercatore al GoetheInstitute di Berlino, doverisiede dopo le minaccericevute in patriaAttivista dei dirittiumani, dedica il tempolibero al volontariato,collaborando per diverseorganizzazioni nongovernative. Al centrodel suo impegno,la parità di generee le battaglie Lgbtq.Parla tedesco, inglese,bengalese, indi ed urdu

Arte e fedeSignore col voltodi mucca,animale riveritodai religiosi indùF OTOSUJATRO GHOSH

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