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Dal sistema degli appalti alla statalizzazione dell ... · chiave comparativa sul rapporto tra...

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45 Dal sistema degli appalti alla statalizzazione dell’apparato per la riscossione delle imposte indirette nello Stato di Milano in età teresiana (1772-1780) di Maurizio Romano Come è noto, uno dei tratti salienti del processo di formazione dello Stato nell’Europa occidentale in età moderna fu l’espansione di una compagine buro- cratica man mano sempre più complessa e consistente, strumento fondamenta- le nelle mani dei principi nel tentativo di affermare e consolidare il proprio potere sulla società. Soprattutto nel corso del XVIII secolo, l’evoluzione della struttura economica e i miglioramenti registratisi nel campo della produzione e dei trasporti furono tra le cause che consentirono il dispiegarsi di un formi- dabile sviluppo dei commerci, circostanza che permise agli stessi sovrani di muoversi con maggiori probabilità di successo su un terreno molto favorevole alla fondazione di sistemi tributari progressivamente più articolati e precisi, a loro volta basati su grandezze più facilmente valutabili e quindi tassabili 1 . La costruzione di un apparato fiscale efficiente e funzionale rientrò dunque per diversi secoli tra gli obiettivi principali perseguiti dalle monarchie del conti- nente alla perpetua ricerca di nuove fonti di entrata, con cui rafforzare la supre- mazia esercitata sui domini sottoposti alla loro sovranità e, di pari passo, finan- ziare le continue guerre che le vedevano contrapposte agli altri eserciti europei. La voragine che gli avvenimenti bellici del primo Settecento provocarono nelle già dissestate finanze delle maggiori potenze d’Europa ebbe decisive ripercussioni anche nei territori del grande Impero asburgico, dove la raziona- lizzazione dell’amministrazione e la riforma del sistema impositivo assunsero 1 Sul centrale aspetto rappresentato dal rapporto tra strutture economico-finanziarie, sviluppo del sistema fiscale e processo di formazione dello Stato nazionale nell’Europa moderna, cfr. il fondamentale contributo di G. Ardant, Politica finanziaria e struttura eco- nomica degli stati nazionali moderni, in La formazione degli stati nazionali nell’Europa occiden- tale, a cura di C. Tilly, Bologna 1984, pp. 153-226.
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Dal sistema degli appalti alla statalizzazione dell’apparatoper la riscossione delle imposte indirette nello Stato di Milano

in età teresiana (1772-1780)di

Maurizio Romano

Come è noto, uno dei tratti salienti del processo di formazione dello Statonell’Europa occidentale in età moderna fu l’espansione di una compagine buro-cratica man mano sempre più complessa e consistente, strumento fondamenta-le nelle mani dei principi nel tentativo di affermare e consolidare il propriopotere sulla società. Soprattutto nel corso del XVIII secolo, l’evoluzione dellastruttura economica e i miglioramenti registratisi nel campo della produzionee dei trasporti furono tra le cause che consentirono il dispiegarsi di un formi-dabile sviluppo dei commerci, circostanza che permise agli stessi sovrani dimuoversi con maggiori probabilità di successo su un terreno molto favorevolealla fondazione di sistemi tributari progressivamente più articolati e precisi, aloro volta basati su grandezze più facilmente valutabili e quindi tassabili1.

La costruzione di un apparato fiscale efficiente e funzionale rientrò dunqueper diversi secoli tra gli obiettivi principali perseguiti dalle monarchie del conti-nente alla perpetua ricerca di nuove fonti di entrata, con cui rafforzare la supre-mazia esercitata sui domini sottoposti alla loro sovranità e, di pari passo, finan-ziare le continue guerre che le vedevano contrapposte agli altri eserciti europei.

La voragine che gli avvenimenti bellici del primo Settecento provocarononelle già dissestate finanze delle maggiori potenze d’Europa ebbe decisiveripercussioni anche nei territori del grande Impero asburgico, dove la raziona-lizzazione dell’amministrazione e la riforma del sistema impositivo assunsero

1 Sul centrale aspetto rappresentato dal rapporto tra strutture economico-finanziarie,sviluppo del sistema fiscale e processo di formazione dello Stato nazionale nell’Europamoderna, cfr. il fondamentale contributo di G. Ardant, Politica finanziaria e struttura eco-nomica degli stati nazionali moderni, in La formazione degli stati nazionali nell’Europa occiden-tale, a cura di C. Tilly, Bologna 1984, pp. 153-226.

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un’importanza vitale per il mantenimento dell’integrità del ruolo e del presti-gio conseguiti dall’autorità di Vienna sullo scacchiere internazionale.

Da questo punto di vista, lo studio degli avvenimenti verificatisi negliultimi decenni del XVIII secolo nei domini italiani della corona austriaca con-sente di fornire un significativo, seppur circoscritto, contributo alla ricostru-zione delle vicende che caratterizzarono la lenta ma inarrestabile affermazionesulla scena continentale del fenomeno del Fiscal State2.

Uno degli elementi che contraddistinsero l’esperienza del riformismo illumi-nista lombardo di stampo settecentesco furono proprio i cambiamenti intervenutinell’ambito dei meccanismi della tassazione, aspetto specifico del più generaletema concernente il legame tra storia della pubblica amministrazione e storiadella finanza negli Stati italiani preunitari, argomento sul quale gli specialistidella materia non hanno mancato in alcune occasioni di porre attenzione3.

In tale prospettiva occorre dunque collocare la presente ricerca, che sipropone di mettere in luce l’importante capitolo della riorganizzazione delleimposte indirette nello Stato di Milano sul finire dell’età teresiana, questioneche rimanda a tutta un’ampia serie di altre tematiche contigue di interessenon secondario per gli storici economici dell’ancien régime, quali «la natura el’evoluzione degli organi preposti alle finanze, l’analisi del personale ad esseaddetto a vari livelli, il rapporto tra finanza locale e finanza statale, i metodidi percezione e di contabilità»4.

2 A riguardo, cfr. i due volumi a cura di R. Bonney, Economic Systems and StateFinance, Oxford 1995 e The Rise of the Fiscal State in Europe, c. 1200-1815, Oxford 1999.

3 Per uno sguardo d’insieme sui contenuti espressi tra inizio Ottocento e fine Nove-cento dalla storiografia italiana sulla finanza pubblica, si veda G. Felloni, Temi e probleminella storia finanziaria degli stati italiani, in «Rivista di storia finanziaria», 2 (gen. - giu.1999), pp. 101-112. Sulla produzione storiografica relativa ai decenni a cavallo tra il secon-do dopoguerra e la metà degli anni Ottanta, cfr. i bilanci tracciati da A. Di Vittorio,Financial History in Italy in the Writings of the Last Twenty-Five Years, in «Journal of EuropeanEconomic History», 1 (1972), 1, pp. 181-192 e Id., La storia economica nel mondo moderno, inLa storiografia italiana degli ultimi vent’anni, Atti del convegno della Società degli storici ita-liani, Arezzo, 2-6 giugno 1986, a cura di L. De Rosa, vol. II, Età moderna, Roma-Bari 1989,pp. 235-308 (in particolare, sulla storia della finanza, le pp. 275-279). Una rassegna inchiave comparativa sul rapporto tra fiscalità e formazione dello Stato moderno nelle vicen-de degli Stati italiani preunitari è infine fornita dai saggi di C. Capra, The Italian States inthe Early Modern Period, in R. Bonney (a cura di), The rise…, cit., pp. 417-442 e L. Pezzo-lo, La fiscalità in antico regime, in La storiografia finanziaria italiana. Un bilancio degli studipiù recenti sull’età moderna e contemporanea, a cura di A. Moioli, F. Piola Caselli, Cassino 2004,pp. 43-87 (in particolare, sullo Stato di Milano, le pp. 47-50).

4 C. Capra, Le finanze degli Stati italiani nel secolo XVIII, in L’Italia alla vigilia dellaRivoluzione Francese, Atti del LIV congresso di storia del Risorgimento italiano, Milano,12-15 ottobre 1988, Roma 1990, p. 171.

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– Lo sviluppo delle riforme amministrative nella Lombardia austriaca e la gestionedelle imposte indirette (1749-1771)

La riorganizzazione delle magistrature per l’amministrazione e il governodella Lombardia austriaca, che conobbe il suo periodo di massima intensità nelcorso del Settecento durante il quarantennale regno dell’imperatrice MariaTeresa, ebbe uno dei suoi fondamentali punti di svolta con la riforma dei tri-bunali deputati alla gestione economico-finanziaria del territorio milanese rea-lizzata all’inizio degli anni Settanta5. Frutto delle esperienze riformisticheaccumulate nei decenni successivi alla pace di Aquisgrana, e a partire dallaprima grande ristrutturazione del sistema burocratico avviata sul finire deglianni Quaranta, il nuovo progetto di adeguamento dell’apparato amministrati-vo dello Stato di Milano nacque e si sviluppò secondo la duplice esigenza diaccentramento e razionalizzazione degli uffici, ritenuta dalla corte di Viennal’elemento cardine su cui fondare il nucleo direzionale dei domini asburgici.

In realtà, se da un lato il disegno di progressiva concentrazione del pote-re decisionale e direttivo in seno alle più alte cariche di governo austriache fuaspetto di primaria importanza, dall’altro la volontà di avvalersi di alcunedelle figure più rappresentative dell’illuminismo lombardo e italiano permiseuna fattiva collaborazione con il patriziato milanese, chiamato a partecipareattivamente alla fase di esecuzione e perfezionamento del nuovo piano.

Furono questi gli anni in cui si consolidava, come preludio alla radicale acce-lerazione in senso dirigistico del sovrano Giuseppe II, il definitivo spostamentodegli equilibri di potere a favore del governo centrale, che obbligava la classe

5 Per quanto concerne l’evoluzione delle strutture amministrative dello Stato di Milanodurante la prima dominazione asburgica si rinvia, tra gli altri, a: L. Antonielli, Il rivolgi-mento istituzionale: dal 1750 all’Unità, in Storia della Lombardia, vol. II, Dal Seicento a oggi, acura di L. Antonielli, G. Chittolini, Bari-Roma 2003, pp. 50-67; C. Capra, L’amministra-zione delle finanze e le prime riforme asburgiche nello Stato di Milano (1737-1753), Milano 1979;Id., Lo sviluppo delle riforme asburgiche nello Stato di Milano, in La dinamica statale austriaca nelXVII e XIX secolo, a cura di P. Schiera, Bologna 1982, pp. 161-187; R. CELLI, M. PEGRARI,Le istituzioni finanziarie pubbliche lombarde dal XIV al XVIII secolo, relazione presentata al con-vegno Istituzioni e attività finanziarie milanesi dal XIV al XVIII secolo, Milano, ottobre 1977(dattiloscritto consultabile presso l’Istituto di storia economica e sociale “Mario Romani”,Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, segnatura B 1066); S.L. Cuccia, La Lombardiain età teresiana e giuseppina, Firenze 1977; C. Invernizzi, Riforme amministrative ed economichenello Stato di Milano al tempo di Maria Teresa, in «Bollettino della società pavese di storiapatria», 10 (1910), pp. 351-392, 11 (1911), pp. 5-84, 13 (1913), pp. 341-378, 14 (1914),pp. 71-89; F. Valsecchi, L’assolutismo illuminato in Austria e in Lombardia, vol. II, La Lom-bardia, Bologna 1934; Id., Il periodo delle riforme in Lombardia, Milano 1950. Ulteriori indi-cazioni bibliografiche sull’argomento saranno fornite nel corso della trattazione.

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dirigente locale a compiere la scelta tra la gratificante esperienza di servizio alledipendenze dell’elemento viennese e l’inevitabile emarginazione dalla vita pub-blica e politica6.

Dal punto di vista degli organi deputati alla direzione economica e finanzia-ria, l’obiettivo dell’opera di riqualificazione e modernizzazione che la monarchiaaustriaca avviò a partire dalla metà del secolo era diretto a contrastare il disordi-ne e la frammentazione istituzionale in cui aveva trovato spazio la difesa delleprerogative dei ceti privilegiati, da sempre tenacemente aggrappati alla tuteladelle proprie posizioni di potere nei confronti delle pretese delle diverse gerarchiestraniere dominanti.

Fu solo la situazione di relativa stabilità venutasi a creare ai confini con lapace di Aquisgrana del 1748 che permise ai vertici di Vienna di affrontare,anche a livello periferico, quei numerosi problemi sociali ed economici che,rimasti tuttavia irrisolti, andarono addirittura aggravandosi durante la primametà del secolo a causa dell’oppressione fiscale imposta dall’Austria per soste-nere le spese belliche che avevano svuotato le casse imperiali7, mentre laminaccia di un tracollo finanziario ormai imminente metteva in luce le causedirette del male che affliggeva il milanese: la precarietà dell’apparato statale el’egoismo degli interessi particolari.

6 Valga, a proposito delle vicende politico-amministrative lombarde del XVIIIsecolo, la considerazione sviluppata da Carlo Capra nella sua nota opera di ricostruzio-ne del Settecento milanese: «Le misure conciliative e le attestazioni di riguardo neiconfronti della vecchia classe dirigente non valevano a nascondere la realtà di un’alte-razione irreversibile dei precedenti equilibri di potere, e al più potevano addolcirle ilsapore amaro della sconfitta. […] L’unica alternativa allo sterile mugugno era la colla-borazione col regime asburgico, nei ruoli e nei modi da questo determinati: e semprepiù numerosi saranno i patrizi che busseranno alle porte del pubblico impiego, sullabase dei meriti personali e degli studi compiuti, in concorrenza con elementi di estra-zione più modesta, e non più come esponenti di un ceto legittimato dalla nascita agovernare» (C. Capra, Il Settecento, in Storia d’Italia, vol. XI, Il Ducato di Milano dal1535 al 1796, Torino 1984, p. 433).

7 Per quanto riguarda, in generale, la situazione finanziaria della Lombardia austria-ca nel primo Settecento, è d’obbligo il riferimento a S. Pugliese, Condizioni economiche efinanziarie della Lombardia nella prima metà del secolo XVIII, Torino 1924. Più in specifico,sul nesso tra spese belliche e mutamenti economico-finanziari nell’Impero asburgico dellaprima metà del XVIII secolo, cfr. A. Di Vittorio, Un caso di correlazione tra guerre, spesemilitari e cambiamenti economici: le guerre asburgiche della prima metà del XVIII secolo e le lororipercussioni sulla finanza e l’economia dell’Impero, in «Nuova rivista storica», 66 (1982), pp.59-81. Sulla “centralità della fiscalità militare” nell’esperienza lombarda, si vedano inol-tre S. Agnoletto, Lo Stato di Milano al principio del Settecento. Finanza pubblica, sistemafiscale e interessi locali, Milano 2000, pp. 247-257 e A.G. Argentieri, La riorganizzazio-ne dell’apparato militare e il riassetto della finanza pubblica milanese in epoca Teresiana, in«Archivio storico lombardo», 124-125 (1998-99), pp. 241-277.

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Alle inadeguatezze mostrate dal sistema di riscossione delle imposte dirette,si aggiungevano quelle degli affitti per le numerose esazioni relative a dazi,gabelle e generi di prima necessità, appaltate a una moltitudine di fermieri che,costituitisi potente gruppo di interessi, opprimevano il popolo senza apportareun significativo beneficio all’erario. Da qui all’instaurarsi di un rovinoso circolovizioso per le finanze statali il passo fu breve: l’insufficienza dei tributi e la con-tinua necessità di nuovi fondi spinsero sempre più sovente lo Stato a richiedereprestiti a tassi usurari, aprendo nell’erario un’ulteriore falla per il pagamento deilauti interessi, i quali, a loro volta, contribuivano a rendere ancora più pressantela necessità di appesantire gli oneri fiscali.

Equa ripartizione del carico tributario diretto e completamento dei lavoriper il censimento, riqualificazione del sistema degli appalti per la riscossionedelle imposte indirette lasciate in mano all’ingordigia dei fermieri e allarman-te crescita del debito pubblico divennero, dunque, le questioni più urgenti dafronteggiare per evitare il definitivo compromettersi degli equilibri finanziaridel milanese, uscito stremato dai cospicui prelievi di risorse ordinati dalla co-rona durante la guerra di successione nel corso degli anni Quaranta.

Protagonista della prima fase riformistica fu il patrizio di origine genove-se Gian Luca Pallavicini, che assunse nel 1750, al culmine di una lunga car-riera nei ranghi dell’esercito e dell’amministrazione asburgica, la carica digovernatore generale della Lombardia austriaca8.

Profondo conoscitore delle difficoltà dei possedimenti italiani della mo-narchia, e in particolare dell’egemonia esercitata a discapito degli interessi e-conomici della regione da un ceto patrizio che basava il proprio potere sulpossedimento fondiario di grandi proporzioni, sulle esenzioni e sulle specula-zioni relative agli appalti per l’esazione delle imposte indirette e al debitopubblico, il governatore Pallavicini si fece promotore di un vasto piano diriforme con l’obiettivo primario di porre finalmente ordine nella caotica situa-zione venutasi a creare in ambito censuario e fiscale.

Alla base della politica rinnovatrice del patrizio genovese vi fu la ripresadei lavori per la conduzione a termine del catasto, iniziati con Carlo VI nel1718 e interrotti dall’occupazione gallo-sarda del 1733 grazie anche alla siste-matica opposizione dei ceti privilegiati, che videro nella più equa ripartizionedei carichi fiscali diretti un attacco intollerabile alle antiche consuetudini chesancivano l’autonomia e la supremazia dell’oligarchia aristocratica9.

8 Sulla figura del patrizio genovese, si rimanda al contributo di M. Romani, GianlucaPallavicini e le riforme economiche nello Stato di Milano, in Aspetti e problemi di storia economica lom-barda nei secoli XVIII e XIX. Scritti riediti in memoria, Milano 1977, pp. 355-391.

9 A riguardo, cfr. S. ZANINELLI, Il nuovo censo dello Stato di Milano dall’editto del 1718al 1733, Milano 1963.

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Guidate dalla giunta presieduta dal toscano Pompeo Neri, le operazioni perla realizzazione del nuovo catasto si conclusero alla fine del 1757, consegnandonelle mani dell’imperatrice non solo un intero ramo dell’amministrazione statalefino ad allora soggetto alla confusione dei criteri di ripartizione e dei metodi diattuazione, ma anche un formidabile strumento di carattere politico da utilizzareper contrastare l’arbitrio dei particolarismi locali e l’influenza esercitata dai nobi-li e dal clero: stima dei fondi e dei beni stabili esistenti nello Stato, disciplinadelle esenzioni laiche ed ecclesiastiche, norme per la riscossione delle tasse perso-nale e mercimoniale e ristrutturazione della burocrazia centrale e periferica per ilfunzionamento del nuovo sistema divennero i solidi pilastri su cui si fondò lacostruzione del rinnovato edificio del censo10.

Il secondo intervento di grande rilievo voluto dal Pallavicini fu la crea-zione della Ferma generale11, un contratto di appalto novennale delle imposteindirette di spettanza regia a una unica compagnia di fermieri guidati dal ber-gamasco Antonio Greppi12, che ottennero in esclusiva la gestione dell’intero

10 La specificità dell’argomento rispetto all’oggetto della ricerca non consente qui un’a-deguata trattazione degli aspetti legati alla riforma censuaria. Sulla realizzazione del catastoteresiano si segnala in particolare, tra le fonti a stampa, G.R. Carli, Relazione del censimentodello Stato di Milano, prima edizione nel 1784, ripubblicata in Scrittori classici italiani di econo-mia politica. Parte moderna, tomo XIV, Milano 1804. Per gli approfondimenti condotti sultema da parte della storiografia, si vedano inoltre: C. Capra, Il Settecento…, cit., pp. 338-350;Id., Alcuni aspetti del riordinamento tributario in Lombardia nell’età teresiana, in La Fiscalité et sesImplications sociales en Italie et en France aux XVIIe et XVIIIe Siècles, Roma 1980, pp. 3-16; A.Cova, Riforma dell’imposta fondiaria e produzione agricola in Lombardia nella seconda metà del Set-tecento, in «Annali della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano», 2 (1982), pp.597-621; D.M. Klang, Tax reform in eighteenth century Lombardy, New York 1977; G. Mac-chioro, Teorie e riforme economiche, finanziarie ed amministrative nella Lombardia del secolo XVIII,Città di Castello 1904, pp. 127-138; F. Saba, introduzione alla riedizione dell’opera di Pom-peo Neri, Relazione dello stato in cui si trova l’opera del censimento universale del Ducato di Milanonel mese di maggio dell’anno 1750, Milano 1985, pp. 7-34; R. Zangheri, La lotta per il catastonel Settecento, in Id., Catasti e storia della proprietà terriera, Torino 1980, pp. 71-130 (in partico-lare, sull’esperienza milanese, le pp. 107-126); S. Zaninelli, Il “nuovo censo” e lo sviluppo del-l’economia milanese nel secolo XVIII, in «Economia e storia», 13 (1966), 3, pp. 353-368.

11 Sulle vicende che condussero alla sua istituzione, cfr. A. Tirone, Finanza pubblica eintervento privato in Lombardia durante la guerra di successione austriaca. Precedenti e cause dell’i-stituzione della Ferma generale, in «Annali di storia moderna e contemporanea», 2 (1996), pp.131-146. Un’approfondita indagine riguardante il funzionamento, l’organizzazione e l’atti-vità svolta dalla Ferma generale in Lombardia tra 1750 e 1765 è oggetto della primaparte del lavoro di G. Gregorini, Il frutto della gabella. La Ferma generale a Milano nelcuore del Settecento economico lombardo, Milano 2003, pp. 47-201.

12 In riferimento all’importante figura del Greppi, si rimanda ai saggi pubblicati sullepagine dell’«Archivio storico lombardo» da E. Greppi, Il conte Antonio Greppi (1722-1799)imprenditore, finanziere, diplomatico nella Lombardia austriaca del Settecento, 121 (1995), pp. 399-

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settore dietro il versamento di un prestito per la liquidazione dei loro prede-cessori e di un aumento del canone pagato per avvalersi del diritto di esazio-ne. Alla concentrazione di un tale potere nelle mani di pochi individui, chepoterono oltretutto favorire della protezione accordata dal governo centrale,fece tuttavia da contraltare una prima, seppur incompleta, opera di semplifi-cazione del sistema di riscossione dei maggiori dazi e gabelle, che condusse auna «razionalizzazione di tutto il settore delle imposte indirette […] e a unaregolarità ed efficienza amministrativa che costituiranno una preziosa ereditàquando lo Stato, nel 1770, sarà finalmente in grado di assumerne in propriola regia. […] Nella loro lotta implacabile contro privilegi ed esenzioni di ognisorta i fermieri si fecero interpreti, consapevoli o inconsapevoli, di un fonda-mentale indirizzo riformatore dello Stato asburgico»13.

Per converso, al netto sfoltimento della moltitudine di appaltatori e spe-culatori che opprimevano i contribuenti senza recare decisivi vantaggi all’era-rio, corrispose il costituirsi tra lo Stato e la popolazione di un centro di inte-ressi intermedio troppo influente, che ben presto avrebbe reso inevitabile ri-correre a nuove soluzioni e a ulteriori riforme.

Le intenzioni riformatrici del Pallavicini non si arrestarono peraltro alsolo ambito fiscale: all’anno 1749, infatti, risale la ristrutturazione dei tribu-nali milanesi da lui fortemente voluta come base di partenza e strumento piùdocile per attuare i successivi cambiamenti.

Il numero dei senatori venne ridotto, anche se il prestigio e le prerogative delsupremo organismo giudiziario non subirono ancora un attacco frontale, mentrein campo finanziario il Magistrato ordinario e straordinario furono unificati nelnuovo Magistrato camerale, uscito anche esso ridimensionato nell’organico14.

La nuova veste assunta dal dicastero era comunque contraddistinta dalpermanere, accanto a quelle amministrative, delle competenze giurisdizionaliche lo qualificavano ancora più come tribunale che come organo burocraticoesecutivo, nonché dalla vastità delle sue funzioni, che abbracciavano una partepreponderante del settore delle finanze15.

429 e E. Riva, Vicino alla fonte di tutte le grazie. I rapporti tra la corte di Vienna e la famiglia diAntonio Greppi nella seconda metà del Settecento, 124-125 (1998-99), pp. 355-404.

13 C. Capra, Il Settecento…, cit., p. 293.14 Sull’evoluzione del ruolo e delle competenze del Magistrato camerale nel Ducato

di Milano, soprattutto in età spagnola, si veda: A. Visconti, Il Magistrato Camerale e lasua competenza amministrativa e giudiziaria, in «Archivio storico lombardo», 37 (1910), pp.373-422. Per quanto riguarda invece la storia del Senato lombardo tra XVI e XVIII seco-lo, cfr. U. Petronio, Il Senato di Milano: istituzioni giuridiche ed esercizio del potere nel Duca-to di Milano da Carlo V a Giuseppe II, Milano 1972.

15 L’elenco delle attribuzioni spettanti al nuovo Magistrato camerale comprendevanol’approvazione e pubblicazione di ogni imposta, la vigilanza sui pubblici uffici e l’appro-

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Nel corso degli anni Sessanta l’esperienza della Ferma generale andò rive-lando progressivamente tutte le sue lacune16: alle maggiori entrate che pureessa garantiva, corrispose tuttavia un’eccessiva concentrazione di potere nelgruppo dei fermieri (che nel 1757 avevano ottenuto dall’imperatrice il rinno-vo anticipato del contratto di appalto novennale), abbastanza influenti daostacolare ogni novità indesiderata a discapito degli urgenti interventi daavviarsi in campo commerciale e, apportando le opportune modifiche alvigente regime daziario, anche manifatturiero17.

A riprendere le fila del progetto riformistico in Lombardia furono stavol-ta altri protagonisti, operanti presso la corte viennese o da questa inviati sullascena milanese, i quali trovarono in Italia la collaborazione di una classe diri-gente diversa da quella che aveva caratterizzato i decenni precedenti, piùdisposta ad accantonare le vecchie rivendicazioni di ceto e certamente piùfamiliare con le questioni di natura tecnico-amministrativa che con la culturadi stampo prettamente giuridico delle generazioni passate.

Da parte austriaca, i due personaggi che in questo periodo condizionaro-no innegabilmente il succedersi degli avvenimenti nei domini lombardi furo-no, a Vienna, il cancelliere Wenzel Anton von Kaunitz-Rittberg e, a Milano,il nuovo plenipotenziario Carlo di Firmian18.

vazione dei loro bilanci, le decisioni relative alle esenzioni dalle imposte, il giudizio sullecontroversie tra fisco e privati, l’amministrazione dei dazi e delle regalie e la redazionetrimestrale del bilancio delle entrate e delle spese dello Stato. Cfr. M. Romani, Un secolodi vita economica lombarda. 1748-1848, Milano 1966, p. 78.

16 Per gli avvenimenti di questo decennio, si rinvia al contributo di C. Capra, Rifor-me finanziarie e mutamento istituzionale nello Stato di Milano: gli anni Sessanta del secoloXVIII, in «Rivista storica italiana», 91 (1979), pp. 313-368.

17 A proposito, cfr. A. Moioli, Riflessi manifatturieri dell’attività imprenditoriale diAntonio Greppi in campo commerciale e finanziario, in «Archivio storico lombardo», 124-125(1998-99), pp. 279-304.

18 Il Kaunitz, a capo della Cancelleria di Stato dal 1753, prese direttamente il control-lo delle vicende italiane soprattutto dalla costituzione, presso quest’ultima nel 1757, delDipartimento d’Italia, nuovo organismo deputato alla gestione degli affari italiani in luogodel soppresso Consiglio d’Italia. Su di lui si veda la rassegna curata da A. Trampus, Riforme,giuseppinismo e lumi nella monarchia asburgica: nuovi studi sulla figura del cancelliere Kaunitz, in«Rivista storica italiana», 110 (1998), 3, pp. 985-1004. Il conte Firmian, invece, trentino dinascita, dopo un’intensa attività politica e diplomatica alle dipendenze degli Asburgo, giun-se in terra lombarda nel 1759 per assumere la carica di plenipotenziario, ruolo che avrebbericoperto ininterrottamente fino alla morte nel 1782. Sul suo invio a Milano, cfr. E. GarmsCornides, La destinazione del conte Firmian a Milano: analisi di una scelta, in Economia, istitu-zioni, cultura in Lombardia nell’età di Maria Teresa, a cura di A. De Maddalena, E. Rotelli, G.Barbarisi, Bologna 1982, vol. II, Cultura e società, pp. 1015-1029; per un profilo biograficodel Firmian, cfr. la voce curata da Id. per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XLVIII,Roma 1997, pp. 224-230; una rassegna piuttosto dettagliata sulla sua attività di ministro

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Il primo segnale della ristabilita volontà di imprimere rinnovato vigore alprocesso di riforma, Firmian e Kaunitz dovettero darlo proprio nel corso deldibattito sui limiti mostrati dal sistema di appalto dei tributi indiretti allaFerma generale, cui prese parte anche Pietro Verri, figura emblematica dellanuova classe dirigente milanese disposta a ritrovare il prestigio perduto nel-l’attiva collaborazione con l’elemento austriaco19.

Mentre le insistenze di Verri si diressero da subito verso l’abolizione dellaFerma, al fine di ricondurre alle immediate dipendenze dello Stato tutta l’am-ministrazione dei dazi e delle regalie20, i vertici di Vienna, e soprattutto Kau-nitz, non vollero giungere a questa soluzione che per vie progressive. Si arrivòcosì nel 1766 all’erezione di una Ferma mista – sempre con la presenza diGreppi – in cui un terzo degli utili fu assegnato alla regia Camera, rappresen-tata in seno al costituendo organo dallo stesso Verri e da un altro patrizio,Angelo Maria Meraviglia Mantegazza, entrambi già esperti di commercio efinanza per aver partecipato nel biennio 1764-65 ai lavori della Giunta per larevisione della tariffa sulla mercanzia21.

plenipotenziario dello Stato di Milano, infine, è offerta da un lavoro datato, che pure risentedi alcuni giudizi celebrativi, di B. Zanei, L’opera di rinnovamento nella Lombardia austriacadurante il governo del conte Carlo di Firmian, Trieste 1948.

19 A riguardo, risulta significativa la posizione mantenuta nel dibattito sul sistema tri-butario da un altro funzionario protagonista delle riforme lombarde, il toscano Antonio Pel-legrini, già collaboratore di Antonio Greppi e quindi testimone ben informato sull’operatodei fermieri e sulle dinamiche del fisco milanese, il cui contributo alla discussione è rico-struito nel lavoro di A. Leonardi, Il sistema fiscale austriaco nelle considerazioni di un “collabora-tore” dei Greppi: Antonio Pellegrini, in «Archivio storico lombardo», 122 (1996), pp. 239-273.

20 L’avversione del Verri verso l’impresa dei fermieri si era peraltro già apertamentemanifestata all’inizio degli anni Sessanta con l’invio al governo milanese del suo saggio Sultributo del sale, redatto con l’intento di attirare su di sé l’interesse delle autorità asburgiche.Nel suo scritto il patrizio milanese criticava l’inerzia delle magistrature finanziarie nei con-fronti degli abusi della Ferma, sostenendo che «Tra i più cospicui errori praticati sin oranella amministrazione di questa regalia tiene certamente posto distinto l’uso costante […]del Magistrato di non agire in questa materia che come uno strumento mosso da’ fermieri.Giammai quel consesso o esame fece o decisione veruna che sulla istanza di chi aveva inaffitto la regalia, l’interesse de’ quali era di non perdere i propri vantaggi pel tempo dellaloro locazione, non già di aver cura di quello che fosse per avvenire del pubblico fondo […].Con questa colpevole letargia gli amministratori dell’entrate del principe pareva che desse-ro in affitto e la regalia ed i doveri del ministero ad un tratto». (Cit. in C. Capra, Sale efiscalità in uno scritto inedito di Pietro Verri, in Tra Lombardia e Ticino. Studi in memoria di BrunoCaizzi, a cura di R. Ceschi, G. Vigo, Bellinzona 1995, p. 122).

21 Per ciò che riguarda l’attività della Ferma mista, cfr. G. Gregorini, La faticadella Ferma: vincoli e procedure di funzionamento della Ferma generale mista a Milano (1766-1770), in Temi e questioni di storia economica e sociale in età moderna e contemporanea. Studi in

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L’altra grande novità nel campo dell’amministrazione finanziaria negli an-ni Sessanta riguardò la nascita del Supremo consiglio di economia, magistra-tura destinata a superare per rango e prestigio anche il Magistrato camerale, alpari del quale ricevette prerogative giurisdizionali ed esecutive, oltreché dicarattere consultivo e propositivo22.

Anche l’esperimento legato al Supremo consiglio ebbe però vita breve: giànel 1771 il tribunale guidato da Carli, non previsto nella nuova pianta dellemagistrature milanesi, venne a cessare le proprie funzioni, senza peraltro averdato i risultati sperati. Contrasti interni, lentezze procedurali e sovrapposizio-ni di competenze con gli altri organi furono, tra gli altri, i motivi che ne limi-tarono l’efficienza e quindi il successo23.

– La riforma del 1771 e l’istituzione del Regio Ducal Magistrato camerale

L’incertezza della situazione e l’ostruzionismo delle vecchie magistratureintenzionate a recuperare il terreno perduto erano tuttavia ormai incompatibi-li con l’emergere sulla scena della figura del futuro imperatore Giuseppe II, ilquale, nominato coreggente nel 1765 dopo la morte del padre Francesco Ste-fano di Lorena, non tardò a manifestare una spiccata personalità di sovranoaccentratore.

Dopo il viaggio compiuto in Lombardia verso la metà del 1769, che glipermise di prendere visione da vicino delle problematiche che affliggevano loStato di Milano, egli fece infatti direttamente valere la propria influenza acce-lerando la decisione relativa allo scioglimento anticipato della Ferma mista ealla completa avocazione allo Stato dell’intero settore delle imposte indirette,dando così in poco tempo risposta alle continue lamentele popolari sull’opera-to dei potenti fermieri guidati da Greppi24.

onore di Sergio Zaninelli, a cura di A. Carera, M. Taccolini, R. Canetta, Milano 1999, pp.121-149; Id., Il frutto della gabella…, cit., pp. 203-302.

22 Alla presidenza del Supremo consiglio fu chiamato l’economista di origineistriana Gian Rinaldo Carli. Sulle competenze e sulla struttura assegnate a tale istitu-zione, cfr. M. Scazzoso, Tentativi di riforma burocratica nella Lombardia austriaca: ilSupremo Consiglio di economia (1765-1771), in «Archivio storico lombardo», 104(1977), pp. 198-211; C. Invernizzi, Riforme amministrative ed economiche…, cit., 10(1910), pp. 375-382.

23 Per le valutazioni di carattere complessivo concernenti l’operato del Supremo con-siglio di economia e gli ostacoli che ne resero difficoltosa e spesso inefficace l’attività, cfr.soprattutto C. Capra, Riforme finanziarie…, cit., pp. 355-358.

24 Cfr. ibidem, pp. 363-364.

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L’ennesima azione di ripensamento e riorganizzazione della burocrazialombarda si svolse dunque a cavallo tra le ultime vicissitudini del quaranten-nio teresiano e l’ascesa al potere di Giuseppe II, cioè in quella fase di passag-gio tra la pragmatica opera di ammodernamento delle antiche istituzioni,dove il privilegio e la tradizione andavano solo in parte perdendo il loro peso,e l’imporsi della concezione dogmatica dell’assolutismo illuminato, per laquale tra gli obiettivi principali figurava la creazione di un impianto ammi-nistrativo in grado di allargare le capacità d’intervento dello Stato e di fornir-gli gli strumenti adatti a garantire il rigido controllo delle vicende economi-che e la realizzazione del benessere sociale25.

La ristrutturazione delle vecchie magistrature, non ancora definitivamen-te abbattute dai cambiamenti del ventennio precedente, divenne ormai unprocesso incontrovertibile e l’erezione dell’ennesima Giunta governativa per lostudio delle riforme da attuarsi nell’ordinamento finanziario ne rappresentòinequivocabilmente il preludio.

Pochi mesi dopo, un dispaccio proveniente dalla capitale dell’Impero uffi-cializzava difatti l’introduzione di consistenti modifiche alla “pianta” deimaggiori tribunali lombardi, tracciando il nuovo volto dell’amministrazionestatale: il processo riformatore avviato da Pallavicini sul finire degli anni Qua-ranta, e proseguito poi lungo tutto il regno di Maria Teresa, giunse così nel1771 a una svolta di portata fondamentale.

I cambiamenti apportati al sistema vennero codificati dal regio dispaccio del23 settembre 1771, «col quale Sua Maestà si è degnata di fissare il regolamentoper l’amministrazione della giustizia, e della regia, e pubblica economia»26, se-guito a breve distanza dall’altro fondamentale testo di riforma, il decreto reale del30 dicembre controfirmato dal giovane arciduca Ferdinando, da poco insediatosia Milano in qualità di governatore e luogotenente imperiale27.

25 Per quanto riguarda la distinzione tra assolutismo “empirico”, tipico del lungoregno di Maria Teresa, e assolutismo “illuminato”, caratteristico del decennio giuseppino,cfr. le pagine introduttive del volume di F. Valsecchi, L’assolutismo illuminato…, cit.,vol. I, I domini ereditari, Bologna 1931, in seguito ripubblicato con il titolo Il secolo diMaria Teresa, Roma 1991. Sulle differenze esistenti tra l’imperatrice e il suo primogeni-to nella concezione del ruolo del sovrano verso la società e nei rapporti con gli esponentidella pubblica amministrazione, si veda anche il contributo di G. Klingenstein, Rifor-ma e crisi: la monarchia austriaca sotto Maria Teresa e Giuseppe II. Tentativo di un’interpreta-zione, in La dinamica statale austriaca…, cit., pp. 93-125 (in particolare le pp. 113-117).

26 Archivio di Stato di Milano (d’ora in poi ASM), Fondo Uffici e Tribunali Regi(UTR), parte antica (p.a.), cart. 687, Regio dispaccio del 23 settembre 1771.

27 Copia del regio dispaccio del 30 dicembre 1771 è contenuta in ASM, UTR, p.a.,cart. 2. Il testo del documento è interamente pubblicato in appendice al volume di C.

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Strutture portanti del rinnovato edificio erano il Senato, che vide unacerta delimitazione delle sue prerogative insieme, però, a un loro potenzia-mento28, il Regio Ducal Magistrato camerale, che dell’antico organo conserva-va poco più del solo nome, e la Camera dei conti, già eretta sul finire del 1770e meglio definita nelle sue funzioni dalle direttive del settembre 1771.

Al Senato furono assegnati in via esclusiva «tutti gli affari di giurisdizio-ne contenziosa, a riserva di quelli che riguardano l’esecuzione del regolamen-to censuario», derogando così «agli antecedenti […] dispacci, ed a qualunqueordine […] ed alle stesse nuove Costituzioni in quella parte che attribuisce alMagistrato camerale delle facoltà, ed incombenze giudiziali»29. Le competen-ze giurisdizionali prima condivise con altri organi della amministrazione sta-tale, divennero a questo punto prerogativa del solo tribunale senatoriale,magistratura puramente giudiziaria dotata nel proprio ambito di un’autoritàmai goduta in passato.

La separazione tra giurisdizione ed esecuzione, peraltro, si poneva comerisposta all’annoso problema dell’imparzialità e dell’efficienza dei pubbliciuffici, primo fra tutti il dicastero camerale, fino ad allora esecutore e contem-poraneamente giudice nell’applicazione della legge30.

Venute a cessare le varie giunte ad hoc create negli anni immediatamenteprecedenti per risolvere particolari questioni legislative, economiche o finan-ziarie, le attribuzioni assegnate loro provvisoriamente, insieme a quelle dell’a-bolito Supremo consiglio di economia, passarono in via permanente al RegioDucal Magistrato, «principale banco di prova del nuovo corso politico-ammi-nistrativo» e «asse portante del governo asburgico nello Stato di Milano»31,

Mozzarelli, Per la storia del pubblico impiego nello stato moderno: il caso della Lombardiaaustriaca, Milano 1972, pp. 141-149.

28 Cfr. C. Invernizzi, Riforme amministrative…, cit., 10 (1910), pp. 362-364.29 ASM, UTR, p.a., cart. 687, Regio dispaccio del 23 settembre 1771.30 La rilevanza del provvedimento è testimoniata da una relazione non firmata, aven-

te probabilmente carattere accompagnatorio ed esplicativo del regio dispaccio del 23 set-tembre, intitolata Sul nuovo piano dei dicasteri del 1771, in cui si affermava che: «Stabilitocon detto piano il sistema di riconcentrare nel Senato tutta l’autorità giudiziale e nelMagistrato camerale tutti i rami della R.a., e pubblica azienda si è creduto di ricondurrecon questo mezzo le rispettive incombenze ai loro naturali principi, separando dall’am-ministrazione il giudizio degli affari economici, e togliendo in tal guisa la diffidenza, chepuò talvolta eccitarsi nel popolo del vedere riunite nello stesso corpo le funzioni di giu-dice, e di parte» (ASM, UTR, p.a., cart. 2, s.d.). Sul concetto di “efficienza amministra-tiva” nell’esperienza dell’assolutismo illuminato lombardo, cfr. C. Mozzarelli, «Pubbli-co bene» e Stato alla fine dell’ancien régime. Efficienza amministrativa e modello di sviluppo nellaesperienza giuseppina, in «Jus», 22 (1975), 2, pp. 235-278.

31 C. Capra, Il Settecento…, cit., p. 439.

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che assunse in tale modo la forma «che gli è dovuta per ragione dell’origina-rio proprio istituto»32, cioè quella di pilastro organizzativo e centro propulso-re del settore economico-finanziario.

L’analisi della complessa struttura e del funzionamento, nonché degli obiet-tivi ad esso inizialmente assegnati, permette di comprendere come il Magistra-to camerale costituisse nell’intenzione dei riformatori il perno dell’intero siste-ma burocratico asburgico nei territori italiani, vero motore dell’economia lom-barda e principale fucina del cambiamento.

In siffatta prospettiva, il documento di riferimento risulta essere il Pianoper il Magistrato Camerale, inviato a Milano in allegato al regio dispaccio del23 settembre 1771, il quale rappresentava lo statuto fondamentale che fissavai termini procedurali e le norme di funzionamento del neonato organo, senzatralasciare le indicazioni relative al suo ruolo di promotore dell’attività diriforma nei vari ambiti di intervento, che si estendevano a tutti i più impor-tanti segmenti dell’apparato economico e produttivo33.

Limitandosi al solo ambito fiscale, già il primo articolo del piano ne deli-neava infatti in maniera precisa i contorni: al rinnovato tribunale cameraleveniva assegnata nella sua interezza la gestione del sistema daziario e delleregalie, sia quelle «esistenti in passato presso la Camera direttamente, in sepa-rate amministrazioni, o presso la ferma generale, come altresì quelle che sisono redente o avocate, da particolari Corpi pubblici»34.

Con la nuova magistratura giungeva dunque a compimento il lungo proces-so di riconduzione in regia dei tributi indiretti, maturato negli anni precedenticon la creazione della Ferma generale e poi di quella mista, fino alla totale avoca-zione al controllo pubblico di questa fonte vitale per le casse statali35.

32 ASM, UTR, p.a., cart. 687, Regio dispaccio del 23 settembre 1771.33 Una copia del Piano per il Magistrato Camerale del 1771 è riprodotta, insieme a

diversi altri documenti di notevole interesse ai fini della presente ricerca, nella raccoltacurata da C.A. Vianello, Il Settecento milanese, vol. IV, La riforma finanziaria nella Lom-bardia austriaca nel XVIII secolo, Milano 1940, pp. 133-150.

34 Ibidem, p. 133.35 Anche il sistema impositivo diretto, peraltro, non sfuggiva alla supervisione del

Ducal Magistrato, che riceveva l’incarico di custodire l’osservanza del regolamento perl’esecuzione della riforma censuaria. Il piano affidava infine alla tutela del regio dicasterotutto il comparto manifatturiero e commerciale, così come l’approvvigionamento anno-nario, la conduzione della zecca, il sistema delle acque, dei fiumi e delle strade e quellodei pesi e delle misure. Si trattava perciò di un’eterogenea e vasta assegnazione di com-petenze, per far fronte alle quali divenne necessario erigere un imponente apparatoamministrativo, dotato di un centro decisionale che potesse conciliare la giusta cognizio-ne delle esigenze dei diversi settori alla indispensabile capacità di ottenere in tempi rapi-di le soluzioni più opportune per risolvere i problemi e dirimere le controversie.

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Il nucleo direzionale del dicastero era composto da un presidente e dieciconsiglieri, suddivisi su base dipartimentale in una struttura tripartita che cor-rispondeva alla generale separazione degli affari di finanza (amministrazione didazi, gabelle e regalie) da quelli concernenti il censo, mentre la terza sezioneruotava attorno alle rimanenti attribuzioni di competenza dell’istituto.

Ogni dipartimento contava tre consiglieri (il decimo assumeva il ruolo divisitatore generale dello Stato), ognuno dei quali diveniva relatore in seno all’as-semblea camerale di una determinata “provincia” o materia, che alla sua cura eattenzione era singolarmente affidata, così da realizzare una chiara suddivisionedelle rispettive prerogative e incoraggiare una certa specializzazione funzionale.

Attività peculiare di ciascun ministro, secondo il quinto articolo del pia-no, «sarà quella di leggere, esaminare e preparare gli affari del proprio istitu-to e di rapportarli poi in pieno consiglio per la finale decisione», ricordandoperaltro che «affine di facilitare e di rendere più celeri le spedizioni potràognuno minutare e mandare alla segreteria […] le disposizioni che servonounicamente ad istruire l’affare o ad eseguire gli ordini e le risoluzioni delcorpo»36, in modo da alleggerire le sedute comuni e snellire al massimo leprocedure di preparazione del dibattito.

Per ciò che riguarda il dipartimento di finanza, la ripartizione stabilitaconferiva al primo consigliere la vigilanza sui generi di privativa regia (soprat-tutto sale, tabacco, polvere da sparo, salnitro, acquavite), al secondo quellasulla mercanzia, specialmente sui dazi di entrata, uscita e transito (e quindi lasupervisione di porti fluviali, ponti, dogane e pedaggi) e al terzo le impostesui prodotti di consumazione.

Al vertice del tribunale, in qualità di coordinatore e supervisore dell’atti-vità dei dieci consiglieri, era posto il presidente, carica di collegamento tral’assemblea camerale e il governo milanese e primo responsabile dell’applica-zione delle disposizioni provenienti da Vienna37.

L’inizio dell’attività ufficiale del Regio Ducal Magistrato fu fissata al 1°gennaio 1772, data a partire dalla quale le riunioni avrebbero dovuto tenersitutti i giorni feriali, destinando in via particolare due sedute settimanali allematerie relative a dazi e gabelle, che per la loro importanza e vastità richiede-vano separata e accurata considerazione.

36 Ibidem, p. 134.37 Alla guida del Regio Ducal Magistrato fu confermato Gian Rinaldo Carli, già pre-

sidente del Supremo consiglio di economia. Dopo la sua giubilazione, avvenuta nel 1780,gli successe Pietro Verri, che sino a quel momento aveva abbinato al ruolo di consiglieredi finanza anche quello di vice-presidente. Cfr. F. Arese, Le supreme cariche del Ducato diMilano e della Lombardia austriaca 1706-1796, in «Archivio storico lombardo», 105-106(1979-80), pp. 583 e 597.

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Per la definitiva approvazione del ruolo del personale statale della Lom-bardia austriaca si dovette tuttavia attendere il sovrano dispaccio del 5 lugliodel 1773, con cui Maria Teresa mostrava il proprio assenso alle scelte effettua-te dai funzionari imperiali38.

Dietro ragioni di certezza amministrativa – era necessario stabilire conprecisione i confini della ormai vastissima schiera di tutti coloro che a diversotitolo entravano o rimanevano nei ranghi del pubblico impiego – e accanto alcomprensibile desiderio degli alti funzionari austriaci di presentare agli occhidell’imperatrice un progetto di riforma ben avviato, va indicato almeno unterzo motivo del ritardo collegato alla redazione del prospetto finale deidipendenti del dicastero, ossia la determinazione della loro retribuzione. Fu,questa, una delle preoccupazioni più ricorrenti nelle disposizioni impartite aimembri del tribunale, ai quali, oltre alla pianta degli uffici e alla selezione delpersonale, spettava anche la relativa indicazione dei compensi, dalla cui equitàsi sperava di ottenere una certa limitazione delle indebite appropriazioni daparte dei singoli subalterni a danno dell’erario39.

Alla complessità dell’organico del Regio Ducal Magistrato e alla quantitàe importanza delle incombenze appoggiate all’istituto camerale corrispondevala vastità del suo corpo impiegatizio, di gran lunga superiore a quello di tuttigli altri organi dell’amministrazione milanese.

Il solo ristretto nucleo di funzionari attivi presso la sede centrale del tri-bunale, sita a Milano a palazzo Omodeo (l’attuale palazzo Marino, sede comu-

38 Due copie del regio dispaccio del 5 luglio 1773 per l’approvazione definitiva dellanuova pianta delle magistrature milanesi sono contenute in ASM, UTR, p.a., cartt. 2 e 688.

39 «Si potrebbe credere – era, a riguardo, il commento di Kaunitz – che non vidovesse esser premura di accelerare la fissazione del nuovo ruolo stabile; ma in senso miosi avrà in tale caso sempre da temere i cattivi effetti, che potessero tuttavia derivare peril R.le e pubblico servizio da quella qualunque siasi incertezza, e consecutiva ansietà d’a-nimo, nella quale non potrebbero non rimanere gl’individui dello stesso Magistrato,quando non venissero rassicurati sullo stabilimento della loro sorte mediante l’effettivacombinazione del piano colla divisata riforma. […] Non v’ha dubbio, che dobbiamo pro-curare nell’appuntamento de’ soldi la possibile economia; ma questa, se ha da combinar-si col buon servizio di S.M., pare debba piuttosto cercarsi nel minore numero possibilede’ soggetti, che nel tener troppo bassi e tenui gli assegni ai medesimi; di più è onnina-mente necessario che questi siano bastanti per l’onesta sussistenza di chi serve il Principee il pubblico, onde dalla propria indigenza non resti un tale esposto alla continua tenta-zione di aiutarsi con mezzi indebiti e irregolari. […] Pochi ma buoni soggetti sufficien-temente pagati, e la continua vigilanza sul contegno e la condotta di essi nei doveriincombenti alle rispettive cariche; di più qualche esemplare gastigo ai meno fedeli subal-terni ed il premio a chi lo merita, sono, come ben sa V.E., gli unici mezzi da assicurarequanto è possibile il buon esito d’una amministrazione camerale» (ASM, UTR, p.a., cart.2, Lettera di Kaunitz a Firmian, 11 febbraio 1773).

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nale), contava nel luglio del 1773 tra consiglieri, direttori d’ufficio, semplicisubalterni e inservienti minori ben 76 impiegati di diverso livello, classe so-ciale, occupazione e retribuzione40.

A questi, occupati in mansioni direttive o di segreteria, cancelleria, archi-vio o altro tipo, si aggiungevano oltre 100 dipendenti corrispondenti al per-sonale esclusivo dei tre dipartimenti di finanza, censo e commercio, la cuisupervisione era assegnata ai ministri relatori che dovevano riferirne in senoall’assemblea camerale.

Sempre alle dipendenze dei consiglieri, a seconda delle rispettive compe-tenze, furono affidate le centinaia di ufficiali che, per la maggior parte destinatia vigilare sulle prerogative regie su dazi, regalie e generi di consumo e privati-va, costituivano la spina dorsale della burocrazia lombarda sul territorio, tantoda far sostenere all’arciduca Ferdinando che da «essi egualmente, e forse piùancora, che dal [nuovo] sistema dipende[va] il successo degli affari»41.

Il Regio Ducal Magistrato ereditava tutta una serie di attribuzioni cheprima venivano esercitate da organi diversi, tra cui lo stesso vecchio Magistra-to camerale, la Ferma generale, alcune giunte particolari e soprattutto ilSupremo consiglio di economia, dai quali il neonato istituto acquisì anchegran parte del suo personale: economicità e massima attenzione a evitare glisprechi furono i punti obbligati attorno cui far ruotare la scelta degli indivi-dui da inserire nell’organico camerale, i quali vennero a seconda delle esigen-ze trasferiti dalle strutture abolite a quelle appena create, prestando particola-re cura a non recare danno alcuno alle casse statali.

Perciò gli ufficiali entrati in servizio con il piano del 1771 in realtà furo-no, anche per i gradi inferiori, le stesse persone che già lavoravano nei pub-blici uffici o presso la cessata Ferma prima di tale data: non si verificava, insintesi, la sostituzione dei funzionari, ma solo un cambiamento delle struttu-re in cui questi venivano inseriti42. Il riutilizzo del personale dei vecchi ufficiaboliti dimostra inoltre che l’unica fonte da cui attingere per trovare nellaLombardia austriaca persone dotate dei requisiti e della preparazione necessa-ria a ricoprire un incarico amministrativo appariva essere, se si escludono leistituzioni universitarie, la burocrazia stessa.

40 I dati qui riportati sono frutto del lavoro di comparazione svolto presso l’Archiviodi Stato di Milano (fondo UTR, p.a.) su alcune piante generali del Regio Ducal Magi-strato, spesso non datate ma probabilmente tutte prodotte tra la fine del 1771 e il 1774circa. Particolarmente utili si sono rivelati i ruoli risalenti all’approvazione del 5 lugliodel 1773, conservati nella cart. 688.

41 ASM, UTR, p.a., cart. 2, Relazione dell’arciduca Ferdinando sulla pianta provvi-soria dei tribunali milanesi, 9 dicembre 1772.

42 Per ciò che concerne il passaggio degli impiegati dell’abolita Ferma al servizio delRegio Ducal Magistrato, si veda G. Gregorini, Il frutto della gabella…, cit., pp. 217-218.

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– La progressiva separazione del dipartimento di finanza

Il nuovo Magistrato camerale non fu una struttura monolitica capace diconservarsi immutata nell’arco di tutto il quindicennio che va dalla riformadel 1771 fino alla sua abolizione decretata da Giuseppe II nel 1786. L’assettoistituzionale del tribunale fu oggetto di tentativi di revisione che ebbero l’o-biettivo di incrementarne l’efficienza e migliorarne il funzionamento, modifi-candone in maniera sostanziale gli equilibri interni e l’esercizio delle preroga-tive assegnategli dal progetto originario43.

Particolarmente significativa fu la creazione dell’Intendenza di Milano,eretta allo scopo di alleggerire la situazione del dipartimento di finanza, obe-rato dalla grande quantità di lavoro che la forte concentrazione di competen-ze nelle mani dell’istituto camerale riversava quotidianamente sui relatori,spesso non in grado di mantenersi alla pari persino con gli “affari correnti”44.

Questi ultimi erano affidati a livello periferico proprio al lavoro delleIntendenze provinciali, organi di collegamento tra la sede centrale e le ricet-torie sparse sul territorio, mentre per la città e campagna milanese si aggiun-gevano alle mansioni ordinariamente svolte dai consiglieri di finanza, che nonpotevano adempiervi, per ammissione dello stesso Kaunitz, senza «venirnedistratti da quell’attenzione, ch’essi dovrebbero poter prestare all’universaledella macchina, per dare il moto, e la direzione ad essa dietro ai punti di mas-sima, e di riforma»45.

Dietro la decisione di sottrarre agli uffici centrali la gestione della vastamole delle pratiche di quotidiano disbrigo traspariva però chiaramente l’ur-

43 In generale, per quanto concerne le vicende e i personaggi che hanno caratterizza-to la storia di questa importante magistratura economico-finanziaria, la cui istituzionerappresentò una tappa rilevante del processo di riforma amministrativa dello Stato diMilano nella seconda metà del XVIII secolo, cfr. il lavoro di C. Mozzarelli, Il Magi-strato Camerale della Lombardia austriaca (1771-1786), in «Romische historische Mittei-lungen», 31 (1989), pp. 377-396.

44 Fu peraltro lo stesso presidente camerale Carli ad annotare nella relazione sulprimo anno di attività del magistrato che due cose «assicurerebbero il buon esito degliaffari, e porrebbero i relatori in istato di pensare alle cose di massima, e di rendere piùsensibile l’opera loro, e il loro talento all’interesse di S.M.», cioè la maggiore regolarità edisciplina da osservarsi nelle riunioni dei ministri di finanza e la creazione di «un inten-dente pel Ducato, e forse altro per la città di Milano, perché 85 ricettori che scrivonoogni giorno, oltre le lettere degl’intendenti in troppi dettagli occupano i relatori, ne èpossibile che avanzi tempo a pensare ad altro» (ASM, UTR, p.a., cart. 688, Relazione delpresidente Carli sul primo anno di attività del Regio Ducal Magistrato camerale, 8-9gennaio 1773).

45 ASM, UTR, p.a., cart. 688, Lettera di Kaunitz a Firmian, 8 febbraio 1773.

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genza di apportare i necessari aggiustamenti all’edificio eretto dal decreto del1771, soprattutto alla parte concernente l’acquisizione da parte dello Stato delcomplesso apparato per la riscossione delle imposte indirette. Si trattava di unterreno nuovo su cui la regia burocrazia era chiamata a una prima e impor-tante verifica, sia dal punto di vista delle capacità organizzative da impiegarein un settore prima abbandonato alla discrezione degli appaltatori, sia per ciòche riguardava la valutazione sulla convenienza economica richiesta da unesperimento di questo tipo, misurata sulla base dell’incremento effettivo delleentrate fiscali.

Per questi motivi l’attenzione delle massime autorità pubbliche verso taliaspetti non venne mai meno: le ragioni di fondo che condussero alla rivolu-zione amministrativa degli anni Settanta trovavano infatti radici profondeanche nella volontà di perfezionare il sistema tributario e di accrescere le risor-se che dalla Lombardia potevano essere messe a disposizione della politica didominazione austriaca.

Il consenso verso l’erezione del nuovo organismo si poté perciò avvalere diun fronte piuttosto compatto di sostenitori, tanto da ricevere in tempi breviun positivo riscontro anche da parte di Vienna, dove il 16 agosto del 1773veniva emanato il decreto imperiale che sanciva ufficialmente la nascita del-l’Intendenza di finanza di Milano46.

La soluzione adottata sembrò dare i frutti sperati, sia per la celere e ordi-nata spedizione degli affari minuti, sia per la possibilità di esercitare grazie alnuovo intendente una più stretta vigilanza sui subalterni operativi negli uffi-ci periferici del milanese passati sotto la sua supervisione, sulla correttezza deiquali si faceva molto affidamento per garantire la tutela dei diritti regi e laregolarità del servizio pubblico. Anche il presidente Carli, nella sua relazionesul secondo anno di attività del dicastero, doveva difatti riconoscere che «laRegia Intendenza del Ducato è stata la molla, che ha mirabilmente servito ariordinar la finanza, ed a porre in sicuro il Reale interesse, che altronde nullaostante la più efficace premura del Magistrato, non era possibile di mantene-re al livello degli anni antecedenti»47.

Ciò nonostante, all’inizio degli anni Ottanta il protrarsi dell’inefficienza

46 Il dispaccio del 16 agosto 1773 è conservato in ASM, Dispacci reali (DR), cart.250. A capo del neonato ufficio veniva posto con il soldo annuo di lire 6.000 il conteCarlo Pertusati, che buona prova delle sue capacità aveva dato fino a quel momento comedirettore dell’Intendenza di Pavia, mentre dei restanti 12 subalterni ben 5 provenivanodal tribunale camerale, al cui diretto servizio venivano pertanto sottratti. Copia del ruolodell’Intendenza di Milano è riportata in ASM, UTR, p.a., cart. 689.

47 ASM, UTR, p.a., cart. 688, Relazione del presidente Carli sul secondo anno diattività del Regio Ducal Magistrato camerale, 2 dicembre 1773.

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degli uffici centrali del dicastero, la malattia del presidente Carli e il semprepiù marcato disinteressamento del conte Verri verso le proprie responsabilità difunzionario48 resero insostenibile la situazione venutasi a creare, suscitandonegli ambienti di corte e di governo la più viva preoccupazione e indignazione.

Frequenti assenze dei relatori dagli uffici, lentezza delle procedure ammi-nistrative e eccessivo ricorso al parere dell’assemblea anche per le questionipiù celermente risolvibili nell’ambito delle sessioni particolari dei singolidipartimenti furono, in questa fase, i principali motivi di richiamo imputatialla negligenza dei funzionari sottoposti alla vigilanza del presidente Carli edel suo vice Verri.

A mettere meglio in luce alcuni risvolti della vicenda contribuiscesenz’altro il contenuto della lettera inviata il 10 aprile 1780 dallo stesso Carlial plenipotenziario Firmian, in cui il presidente camerale affermava di distin-guere l’attività dell’organo da lui diretto secondo una duplice prospettiva: dauna parte la fattispecie relativa al “negozio”, dall’altra quella concernente il“tribunale”. Per ciò che riguardava il primo aspetto Carli sosteneva la bontàdella vigente amministrazione finanziaria che «guadagna da un millione emezzo all’anno più di quello che guadagnavano i fermieri, mentre questi oltreil canone, e le spese non hanno guadagnato mai più di un millione e mezzo, el’amministrazione passò forse li tre millioni», concludendo che «per quel cheriguarda a negozio sembra che nulla possa desiderarsi di più»49.

Diverso, invece, il giudizio espresso per il secondo fattore preso in consi-derazione, il “tribunale”, rispetto al quale l’economista istriano, facendosisostenitore di un improbabile ritorno al passato, reclamava per il dicastero larestituzione della potestà giurisdizionale accanto a quella esecutiva, ravvisan-do la causa dei ritardi dell’istituto nella sottrazione delle competenze che lariforma del 1771 aveva assegnato interamente al Senato.

Il parere sui risultati ottenuti dalla conduzione regia del sistema di impo-sizione indiretta rimaneva quindi del tutto positivo, a testimonianza della riu-scita di un esperimento su cui i riformatori avevano puntato gran parte delleloro speranze. Ciò trova tra l’altro conferma nella relazione sulla situazione delmagistrato chiesta sul finire del maggio successivo ai membri del tribunale eaffidata da questi a Verri, il quale, pur ammettendo il ritardo dei consiglierinell’espletamento delle loro funzioni, sottolineava che «per l’essenziale noiabbiamo di che consolarci, poiché malgrado le difficoltà, l’erario ha incassatocon mirabile prosperità non solamente quanto i fermieri ne incassavano, ma

48 Sui motivi del progressivo diradarsi delle visite di Verri agli uffici del tribunale apartire dal 1776, si veda C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna2002, pp. 422-425.

49 ASM, UTR, p.a., cart. 682, Lettera di Carli a Firmian, 10 aprile 1780.

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siam giunti a vedere introitati ogni anno cinquanta mila zecchini al dippiù diquanto ne incassavano le ferme», cosa del cui merito «ci sarà credo permessosenza taccia di usurpazione di attribuirne ancora qualche parte al nostro zelo,e alla felicità delle nostre operazioni»50.

Nonostante quest’ultimo tentativo di difesa dell’impegno dei ministri,però, il 22 agosto del 1780 prendeva inevitabilmente forma il progetto redat-to dall’arciduca Ferdinando con l’obiettivo di dare la necessaria svolta all’ope-rato dell’istituzione camerale51.

Elemento centrale della proposta del governatore era la separazione dellecompetenze finanziarie dalle altre prerogative appoggiate al dicastero e la loroattribuzione a una nuova Intendenza generale, la cui erezione avrebbe portatoalla semplificazione del sistema e al più rapido disbrigo delle rimanenti mate-rie affidate al lavoro dei componenti del magistrato.

L’iniziativa dell’arciduca, se da un lato rispondeva al bisogno di salvaguar-dare il buon andamento raggiunto nella gestione del vigente apparato di esazio-ne di dazi e regalie, dall’altro permetteva di dare al regio tribunale una confi-gurazione più agile e in sintonia con le frequenti richieste provenienti da Vien-na sulla maggiore celerità e precisione delle decisioni spettanti ai relatori52.

Portato a conoscenza della corte, il progetto ricevette la totale approva-zione di Kaunitz e della sovrana, che ne ufficializzò le relative disposizioni tra-mite il reale dispaccio del 23 ottobre successivo, con cui comunicava ai fun-zionari milanesi la volontà di erigere un’autonoma Intendenza generale difinanza a partire dall’inizio dell’anno seguente53.

Con il 1° gennaio del 1781, dopo aver superato gli ultimi ostacoli causatidalla situazione di generale incertezza seguita all’improvvisa morte di MariaTeresa, il sistema ideato dall’arciduca Ferdinando trovava finalmente concretaattuazione54: alla nuova Intendenza erano trasferiti tutti i commissari e i subal-

50 ASM, UTR, p.a., cart. 682, Relazione del conte Verri sulla situazione generale delRegio Ducal Magistrato camerale, 29 maggio 1780.

51 Una copia del progetto dell’arciduca è conservata in ASM, Finanze, p.a., cart. 16.52 Tra questi nessuno fu però chiamato a guidare il nuovo organismo, per la cui dire-

zione il governatore proponeva di trasferire dalla Camera dei conti l’allora vice-presidenteStefano Lottinger. Intanto il giubilato presidente camerale Carli veniva sostituito dal conteVerri che, sebbene «indefesso et zelante per il serviggio in genere», era altresì giudicato pocoadeguato a essere impiegato presso la nuova direzione finanziaria poiché meno adatto delLottinger «ad adatarsi al giornale materiale et continuo travaglio» (ASM, Finanze, p.a., cart.17, Lettera dell’arciduca Ferdinando, senza destinatario, 1 ottobre 1780).

53 Il testo integrale del decreto di istituzione dell’Intendenza generale è riportato inC.A. Vianello, Il Settecento milanese…, cit., pp. 151-154.

54 Cfr. i testi dei reali dispacci del dicembre 1780 in ASM, DR, cart. 259 e in Finan-ze, p.a., cart. 17.

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terni in forza al dipartimento di finanza e alle sue propaggini periferiche, gliuffici delle notificazioni e delle bollette, nonché la gestione del magazzino deisali e della fabbrica del tabacco milanese55.

La sottrazione al Regio Ducal Magistrato delle competenze finanziarie,insieme alla perdita di gran parte del proprio organico complessivo, privava ildicastero del controllo sull’intero sistema di imposizione fiscale indiretta e neriduceva decisamente la sfera d’intervento, restringendola alla provincia cen-suaria, all’annona, al commercio e alle materie residue.

Anche stavolta la decisione presa parve comunque lasciare soddisfatti isuoi promotori: a circa un anno di distanza dalla creazione della direzioneseparata delle finanze, infatti, con il regio dispaccio del 24 febbraio 1782 Giu-seppe II, riferendosi ai prospetti degli introiti provenienti da Milano, afferma-va che dal momento in cui «ebbe principio l’amministrazione della nuovaIntendenza generale, siamo rimasti pienamente intesi non solo delle vantag-giose risultanze dell’azienda camerale in genere, ma ancora di quanto ciascunode’ suoi rami in ciascuna provincia ha contribuito ai verificatisi incrementi»56.

A partire dal 1780 il Magistrato camerale andò dunque perdendo ancheformalmente il prestigio conferitogli pochi anni prima, scostandosi dal model-lo di organismo promotore dello sviluppo economico e da centro organizzati-vo delle attività produttive dello Stato di Milano per avvicinarsi maggior-mente a quello di mero esecutore delle direttive governative, senza aver maipienamente acquisito la capacità propositiva e innovatrice prevista dal suopiano originario.

La situazione del presidente Verri, insistentemente sollecitato dall’alto alfine di imprimere al dicastero la tanto auspicata accelerazione degli affari edelle riforme economiche, si fece in questa fase ancora più difficile, tanto cheall’inizio del 1783 «con venerata lettera governativa del 18 [gennaio] andan-te» egli si trovò nuovamente a dover prendere atto che «la applicazione e iltravaglio non solo de’ subalterni, ma ancora de’ consiglieri del Magistrato nonottengono la bramata superiore accettazione»57.

Il decisivo colpo di scure al vecchio sistema veniva infatti portato pocotempo più tardi dal medesimo imperatore che, visitati i possedimenti lombardiin due diverse occasioni tra il 1784 e il 1785, maturò la decisione di mettere riso-lutamente mano alla riorganizzazione delle strutture burocratiche milanesi58.

55 Cfr. ASM, Finanze, p.a., cart. 17, Consulta governativa inviata alla Camera deiconti, 16 marzo 1781; ivi pure la pianta degli uffici centrali dell’Intendenza generale.

56 ASM, Finanze, p.a., cart. 17, Dispaccio reale del 24 febbraio 1782.57 ASM, UTR, p.a., cart. 682, Lettera di Verri all’arciduca Ferdinando, 30 gennaio 1783.58 Sui viaggi in Lombardia del 1784-85 di Giuseppe II, cfr. C. Capra, Il Settecento…,

cit., pp. 512-518.

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Emblematica manifestazione dell’ideale accentratore che tanta parte ebbe nelsuo modo di governare, il 1° maggio del 1786 Giuseppe II ordinava la crea-zione del nuovo Consiglio di governo, nel quale confluivano, insieme a quellidi altri organi soppressi, anche i vari rami dell’amministrazione economicaaffidati al Regio Ducal Magistrato, che cessava contestualmente di esistere59.

– Il dipartimento di finanza: struttura, funzionamento e organico

Come si è anticipato, la struttura assunta dal dicastero camerale prevede-va una suddivisione delle attribuzioni basata sulla tripartizione delle materietra province censuaria, finanziaria e commerciale.

Il piano originario del tribunale riservava al dipartimento di finanza granparte degli articoli, ben 82 rispetto ai 6 del commercio e ai 9 dell’annona60,elemento riconducibile alla rilevanza dell’aspetto fiscale per i promotori delleriforme, ma anche alla vastità di un settore avocato per la prima volta allagestione diretta dello Stato, che si trovava a razionalizzare la complessa mac-china organizzativa ereditata dai fermieri.

Grande risalto era dato alla collocazione dei subalterni presso gli ufficifinanziari, «oggetto di maggior importanza e che esige tutta l’applicazione delMagistrato», la cui scelta doveva basarsi sull’accurata selezione dei funzionaricompiuta tenendo conto della loro intelligenza, «conosciuta probità [e] assue-fazione al travaglio». Particolare preferenza andava accordata ai “nazionali”, aibenestanti e a quelli «di civile condizione», destinando per quanto possibilealle esattorie periferiche individui non residenti o originari del luogo61.

Si trattava soprattutto del personale delle numerosissime ricettorie locali,cui era demandato il delicato compito di vigilare sulla vendita dei generi diprivativa regia, ma anche delle altre strutture che di tale sistema erano parteintegrante, come, ad esempio, i magazzini, le fabbriche del tabacco e del sal-nitro e le casse provinciali.

59 Per un’analisi delle riforme promosse da Giuseppe II in Lombardia, cfr. F. Val-secchi, Il periodo delle riforme…, cit., pp. 145-179.

60 Il piano pubblicato da C.A. Vianello, Il Settecento milanese..., cit., pp. 140-144riporta soltanto i primi 26 articoli redatti per la direzione degli affari di finanza. In alcu-ne copie del piano originale, consultate in ASM, UTR, p.a., cartt. 687 e 689, si possonoinvece contare 82 diversi articoli dedicati all’amministrazione delle questioni finanziarie,gran parte dei quali rivolti a disciplinare aspetti, anche minuti, di affari pendenti rispet-to alla precedente amministrazione o concernenti la vendita dei generi di privativa.

61 Piano per il Magistrato camerale, art. 1, in C.A. Vianello, Il Settecento milanese...,cit., p. 140.

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Ai titolari delle suddette cariche doveva perciò riconoscersi tutta una seriedi speciali riguardi, che garantissero la fedeltà dei dipendenti della pubblicaamministrazione e contribuissero per quanto possibile a ridurre le occasioni difrode o di condotta illecita a danno dell’erario. Tra questi “accorgimenti” van-no sicuramente annoverati, in luogo delle varie onoranze ed elargizioni per-cepite secondo il vecchio sistema, la certezza di uno stipendio adeguato e di-gnitoso e l’esenzione dal pagamento di pedaggi, porti e ponti, così come daglialloggiamenti militari presso le case di proprietà, ma anche il divieto di eser-citare a titolo personale alcun tipo di commercio e di prestarsi in ognimomento, «senz’altro soldo o ricognizione», agli ordini del magistrato, «giac-ché tutto il loro tempo resta obbligato al real servizio»62.

A livello intermedio tra la moltitudine delle piccole ricettorie periferichee gli uffici centrali del dipartimento si collocavano le Intendenze provinciali,che rappresentavano la longa manus delle autorità milanesi nelle province diCremona, Pavia, Lodi e Como, con la tradizionale eccezione costituita dal ter-ritorio mantovano che, pur facendo parte della Lombardia austriaca, manten-ne un’amministrazione separata fino al 178463.

A completare la poderosa schiera degli impiegati statali di finanza, vannomenzionati gli uomini del dipartimento presenti nella sede istituzionale diMilano, occupati presso la segreteria o nei diversi uffici della tesoreria provin-ciale, delle notificazioni, del bollino, dei bolli di mercanzia e delle bollette.Tali uffici svolgevano funzioni di carattere differente, ma la cui particolarenatura comportava unicità di gestione e controllo centralizzato, in maniera darenderne necessaria la diretta collocazione alle dipendenze dei consiglieri deltribunale.

La rassegna delle loro principali attribuzioni, utile a fornire un’idea dellacomplessa macchina burocratica messa in moto dai provvedimenti riformisti-ci dell’inizio degli anni Settanta, è possibile soprattutto grazie alle Istruzionidestinate alle diverse branche del dipartimento di finanza, allegate al pianodel Regio Ducal Magistrato del 23 settembre 1771 per regolamentare l’azio-ne di tutti gli organi della pubblica amministrazione64.

62 Ibidem, pp. 141-142 (artt. 9, 12 e 13).63 Per ulteriori approfondimenti sul Mantovano nel periodo delle riforme, cfr. i con-

tributi: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Mantova 1980; R. Giusti, Le condi-zioni economico-sociali del mantovano nell’età delle riforme e M. Vaini, La città di Mantova nelcatasto di Maria Teresa, entrambi in Economia, istituzioni, cultura…, cit., vol. I, Economia esocietà, pp. 235-258 e 259-284; S. Mori, Il ducato di Mantova nell’età delle riforme (1736-1784). Governo, amministrazione, finanze, Firenze 1998.

64 Le Istruzioni furono redatte in modo da costituire un’appendice normativa struttu-rata per articoli. Una raccolta di esse è allegata al piano del tribunale contenuto in ASM,

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La segreteria centrale esercitava il tradizionale ruolo di supporto alle atti-vità dei relatori, alle cui riunioni assistevano due segretari addetti alle finan-ze, che annotavano e poi riscrivevano gli “appuntamenti” di loro competen-za65, coadiuvati da due assistenti e da 4-5 scrittori per tutte le restanti incom-benze dell’ufficio. Ad essi si aggiungevano tre regolatori che agivano da ausi-lio ai consiglieri per quanto concerneva la corretta tenuta e il veloce reperi-mento di tutte le lettere e le consulte relative alle province finanziarie, man-tenendone aggiornati e indicizzati gli appositi registri.

L’organico era completato da quattro ufficiali cui erano assegnate, rispet-tivamente, la custodia delle scritture, lettere, gride e decreti in entrata e usci-ta dalle aule camerali, da suddividere in ordine cronologico e per materia; lacura e l’aggiornamento degli elenchi dei ricettori e delle guardie poste a vigi-lare sul rispetto delle norme su dazi, regalie e generi di consumo; la compila-zione di un libro dei processi e delle sentenze riguardanti i contrabbandi e leconfische, da presentare mensilmente al governo; la raccolta della contabilitàmensile (le cosiddette “fatte”) proveniente dai ricettori ai fini della redazionedi un bilancio riassuntivo generale per tutto lo Stato.

Tra le altre sezioni del dipartimento, l’ufficio delle notificazioni era com-posto da un direttore e quattro subalterni, che dovevano attendere a «molte-plici operazioni», tra cui la tenuta di un registro delle compravendite deigeneri soggetti a notifica, anche se per la vastità della materia «non può spe-rarsi [...] da quest’ufficio una piena esattezza, che esigerebbe troppi uffiziali, edispendio, ma conviene il ritenerlo per una tal qual nozione, e per imporre aicommercianti a scanso, ed a diminuzione delle frodi possibili»66.

Con esso interagivano l’ufficio dei bolli di mercanzia (costituito in realtàdal solo fabbricatore dei bolli e da un assistente) e quello del bollino, investi-to del compito di vigilare in nome dell’erario sulla riscossione del dazio gra-vante sul commercio al minuto dei vini, curando in particolare l’osservanzadelle vigenti norme relative alla messa in vendita di questo prodotto di largoconsumo67.

UTR, p.a., cart. 687. Si tratta di una fonte di notevole interesse per la ricostruzione deimeccanismi di funzionamento dell’apparato burocratico coordinato a livello centrale daiconsiglieri e a quello periferico dagli intendenti provinciali e destinato alla gestione del-l’intero settore delle finanze milanesi.

65 Questi dovevano essere stilati avendo «cura […] di essere brevi, chiari, e nonestendersi, se non quanto basta a dare idea dell’affare. Le lettere poi puramente missive difatte, o responsive, indicanti qualche ricevuta, si accenneranno unicamente» (ASM, UTR,p.a., cart. 687, Piano della segreteria, art. 12).

66 ASM,UTR, p.a., cart. 688, Pianta stabile del Regio Ducal Magistrato, 5 luglio 1773.67 Presso quest’ufficio lavoravano un direttore con il suo vice, uno scrittore e otto assi-

stenti, cui si aggiungevano rispetto al vecchio sistema due misuratori che effettuavano

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Infine, tralasciando la tesoreria provinciale passata nel 1773 alle dipen-denze della nuova Intendenza di Milano, l’ultima sezione prevista dal pianopresso il dipartimento di finanza era l’ufficio delle bollette68. Tali strumenticontabili, chiamati anche “confessi di cassa”, erano utilizzati dai ricettori loca-li e dalle casse provinciali e centrale per la rilevazione delle operazioni dipagamento o riscossione effettuate in entrata o uscita per conto della regiaCamera69.

I libri-bollette, che ogni anno ammontavano a una cifra compresa tra le30 e le 40 mila unità70, venivano stampati su ordine del tribunale e, una voltaregistrati e numerati, si consegnavano alla Camera dei conti dove un “bollato-re” poneva l’apposito contrassegno prima di ritrasmetterli al dicastero, pressoil quale rimanevano custoditi in attesa di essere distribuiti ogni tre mesi agliesattori sparsi sul territorio. I libri utilizzati andavano poi mensilmente resti-tuiti all’intendente provinciale e da questi all’ufficio in questione, dal quale,controllata la verosimiglianza del consumo di bollette per ogni esattoria, era-no spediti alla Camera dei conti per la revisione contabile generale.

Il sintetico quadro sin qui fornito sulla composizione e le attribuzionidegli uffici di finanza non esaurisce, però, l’ampia materia rappresentata dalcomplesso apparato organizzativo del tribunale camerale.

Accanto all’azione svolta dai funzionari dipartimentali e al di sopra dellefunzioni periferiche assegnate alle Intendenze provinciali, presso la sede mila-nese del dicastero agivano, infatti, altri importanti organi, cui era demandatal’esecuzione di tutta una serie di incombenze che integravano e completavano

anche le periodiche visite di controllo alle osterie, giacché «la maggior sollecitudine di que-st’uffizio, ed uffiziali non giugne a soddisfare in tempo alle richieste degli osti per travasi,introduzioni e ribollinazioni» (Ibidem). Sul dazio del bollino, abolito nel 1777 per motivilegati alla semplificazione dell’esazione e all’equiparazione dei carichi, e sostituito da unatassa da imporre sul vino introdotto in città, cfr. anche A. Cova, Le imposte indirette nel comu-ne di Milano nel Settecento, Milano 1979, pp. 23-26; C. Invernizzi, Riforme amministrative...,cit., 13 (1913), pp. 373-376; M. Romani, Produzione e commercio dei vini in Lombardia neisecoli XVIII e XIX, in «Annales Cisalpines d’Histoire Sociale», 3 (1972), p. 156.

68 Per il regolamento completo di tale ufficio cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istru-zioni per l’uffizio delle bollette.

69 Secondo l’articolo 21 del regolamento di finanza, infatti, «i mandati che si spedi-ranno dal Magistrato saranno formati a guisa di bolletta. La bolletta che dovrà servired’ordine per la cassa sarà più dettagliata e la madre che ha da restar attaccata a forma digiornale esprimerà sommariamente oltre il nome del pagatore, il giorno, la causa e lasomma del pagamento» (Piano per il Magistrato camerale, in C.A. Vianello, Il Settecentomilanese..., cit., p. 143).

70 Cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 688, Pianta stabile del Regio Ducal Magistrato, 5luglio 1773.

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i meccanismi della grande macchina amministrativa messa in piedi dalle rifor-me dell’ultimo decennio teresiano.

Tra questi, dal punto di vista del sistema tributario un ruolo fondamen-tale era ricoperto dalla Tesoreria generale, che costituiva di fatto una novitàrispetto alla vecchia gestione amministrativa delle finanze milanesi: se in pre-cedenza gli introiti di pertinenza regia venivano raccolti in casse separate71,dal 1772 in poi questi erano fatti confluire verso un unico organismo centra-le, cui erano così convogliate tutte le entrate dei vari rami della pubblica am-ministrazione e soprattutto delle tesorerie delle Intendenze provinciali, che aloro volta fungevano da punto di raccolta del denaro proveniente dalle centi-naia di ricettorie sparse sul territorio.

Si determinava in tale modo, in sintonia con il processo di accentramentoche aveva coinvolto tutta l’amministrazione lombarda, un sistema fortementecentralizzato di gestione delle entrate – e, analogamente, delle uscite, visto chesempre al magistrato spettava l’autorizzazione all’emissione dei mandati dipagamento in nome della Camera72 –, realizzato al fine di ridurre gli sprechi evigilare contro le indebite sottrazioni di risorse a danno delle finanze statali.

Problema, quest’ultimo, evidentemente per nulla secondario, se si consi-dera che lo stipendio spettante al tesoriere capo era superiore a quello di qua-lunque altro dipendente del tribunale ad eccezione del presidente, a ulterioredimostrazione della volontà di assicurare allo Stato la fedeltà di questo impor-tante funzionario e porre per quanto possibile un freno agli episodi di sperpe-ro e corruzione73.

71 Secondo l’elenco riportato nel piano del 1771, si trattava di tutte le casse del-l’amministrazione, oltre che di quelle della sanità, delle spese del censimento, della setagreggia, degli studi, dei depositi e consimili, militare, della caccia, della Cancelleriasegreta, del Senato, del tribunale araldico, dell’archivio pubblico, della posta, del lotto,delle acque e della casa di correzione e dell’ergastolo (cfr. Piano per il Magistrato camerale,art. 20, in C.A. Vianello, Il Settecento milanese…, cit., pp. 142-143).

72 In base a quanto disposto dall’articolo 11 del regolamento per la Tesoreria gene-rale, infatti, «non si eseguirà alcun pagamento, che non sia giustificato con l’opportunomandato, e con la ricevuta a piedi di chi avrà avuto il denaro. Per le somme al di sotto dicinque cento gigliati in affari di pertinenza del magistrato, basterà un mandato firmatodal presidente, o l’anziano dei consiglieri sedenti, e da due amministratori, o altri consi-glieri in sussidio» (ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzione del tesoriere generale).

73 Il soldo del tesoriere – ruolo ricoperto secondo gli elenchi ufficiali del 1773 e del1784 dal marchese Giuseppe Molo – ammontava infatti a L. 12.000 annue. Relativa-mente elevati risultavano anche gli stipendi corrisposti agli altri subalterni dell’ufficio: aparte il portiere (L. 750) e un facchino (L. 550), il cassiere percepiva difatti L. 4.000, ilsotto-cassiere L. 2.600 (poi aumentate a L. 3.600), i coadiutori di primo livello L. 1.700e L. 1.500, quelli di secondo livello L. 1.300 e L. 1.000 e lo speditore dei mandati L.

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Al vertice del dipartimento di finanza, che per numero di impiegati e dif-fusione sul territorio risultava dunque di gran lunga il più consistente dei trefacenti parte del tribunale, il progetto di riforma del 1771 prevedeva infine lapresenza di tre consiglieri relatori, i quali assumevano l’incarico di spedire gliaffari relativi alla provincia loro assegnata, istruendo e riferendo nelle sedutecomuni le questioni di maggiore entità.

Le caratteristiche e la provenienza dei ministri del riformato Magistratocamerale rappresentano un aspetto che, globalmente osservato, consente didare un ulteriore contributo all’analisi storica del processo di formazione diquel nuovo ceto di alti burocrati che viene generalmente indicato come unodegli elementi qualificanti del riformismo lombardo settecentesco74.

Le nomine provenienti da Vienna conferivano al conte Pietro Verri lasupervisione sui generi di privativa regia, a don Giacomo Mellerio la vigilan-za sulla cosiddetta “mercanzia” (dazi di entrata, uscita e transito), e quindi ilcontrollo su scali fluviali, ponti, dogane, pedaggi e guardie ivi impegnate,mentre a don Placido Velluti erano riservate le imposte sui prodotti di consu-mazione, tra cui quelle gravanti su vini, carni, diritti di macina e dogana75.

Evitando di soffermarsi sulle note vicende che videro il conte Verri affer-marsi come uno dei più importanti protagonisti dell’illuminismo lombardo76,basti qui ricordare la gestione a lui affidata delle regalie redente nel Lodigianoper conto della regia Camera, la partecipazione come consigliere alle attivitàdell’abolito Supremo consiglio di economia e la contemporanea rappresentanzadel terzo regio nella Ferma mista, nonché il ruolo svolto nella giunta chiamatatra il 1770 e il 1771 ad amministrare provvisoriamente le finanze in attesa del-

1.000 (cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 688, Pianta stabile del Regio Ducal Magistrato came-rale, 5 luglio 1773).

74 Cfr., a proposito, il documentato studio di U. Petronio - F. Arese, L’alta magi-stratura lombarda nell’età delle riforme, in Economia, istituzioni..., cit., vol. III, Istituzioni esocietà, pp. 659-695. Per l’elenco dettagliato dei soggetti chiamati a ricoprire le diversecariche delle maggiori magistrature ordinarie della Lombardia austriaca, si veda invece F.Arese, Le supreme cariche…, cit., pp. 535-598.

75 Cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 687, Allegato alla lettera di Firmian a Carli del 26dicembre 1771.

76 Per tali aspetti si rimanda alla recente e documentata biografia proposta da C.Capra, I progressi..., cit.; altri approfondimenti sulla figura di Verri economista e rifor-matore in Id. (a cura di), Pietro Verri e il suo tempo, Bologna 1999, tomo II, specialmentei saggi di G. Bognetti, La finanza pubblica nel pensiero e nell’azione di Pietro Verri, pp.727-761 e G. Gregorini, Pietro Verri e la Ferma generale mista: note e documenti, pp. 935-965; contributi più datati, infine, sono quelli di M.R. Manfra, Pietro Verri e i problemieconomici del tempo suo, Milano 1932 e A. Mauri, Pietro Verri riformatore, in «Rivista inter-nazionale di scienze sociali», 39 (1931), 5-6, pp. 3-84.

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l’imminente riforma generale delle magistrature, circostanze che unitamenteconsiderate (senza trascurare la risonanza assunta dalle sue diverse opere dimatrice economico-politica) lo rendevano un funzionario che al lustro della famapoteva abbinare un’indiscussa conoscenza delle dinamiche finanziarie milanesi77.

Dettata da ragioni analoghe appare anche la scelta di Giacomo Mellerio perla provincia della mercanzia, vista l’esperienza di lungo corso che questo riccopersonaggio (nominato conte nel 1776) poteva vantare dopo aver partecipato insocietà con Antonio Greppi all’impresa della Ferma, grazie alla quale il Melle-rio aveva avuto modo di farsi apprezzare a Vienna in virtù anche delle frequentie cospicue elargizioni con cui i fermieri usavano suscitare le preferenze dellasovrana e della corte e che gli avevano già garantito una breve esperienza comeconsigliere della neonata Camera dei conti alla fine del 177078.

Altrettanto conosciuto dalle autorità governative era Placido Velluti, ungiurista poi rivoltosi agli studi economici che si era messo in luce in quel diMantova lavorando all’unificazione delle finanze e alla gestione delle imposteredente, nonché all’amministrazione della disciolta Ferma locale79.

La specificità tecnica delle nozioni possedute da questi tre personaggi e,di pari grado, la stima di cui godevano in conseguenza delle capacità dimo-strate al servizio della regia Camera (Verri e Velluti) o per il privato vantag-gio (Mellerio), debbono altresì essere poste in relazione alla novità rappresen-

77 Nel dispaccio contenente la proposta del Dipartimento d’Italia per il nuovo pianodei dicasteri da realizzarsi con la riforma del 1771, il patrizio milanese veniva ad esem-pio indicato come soggetto che «unisce alla felicità dei suoi talenti un singolare studiodelle materie di finanze e di commercio; esso ha incominciato a darne saggi nella giunta,che prima della corrente locazione della ferma generale venne incaricata di lavorare allaformazione della nuova tariffa, ed a procurare le possibili agevolezze a favore della circo-lazione interna e del commercio in genere. Dal 1766 a questa parte copre il Verri nellastessa ferma il carattere di rappresentante camerale, carica, nella quale ha avuto tutto ilcomodo di conoscere la natura delle principali regalie, cosicché avendo esso alla teoriacongiunto la pratica vi è tutta la ragione di credere che sarà per distinguersi nella nuovaamministrazione camerale dove il suo attuale rango sopra gli altri individui lo porterànaturalmente a presiedere in mancanza del presidente camerale» (ASM, UTR, p.a., cart.2, Dispaccio del Dipartimento d’Italia, senza data).

78 Cfr. C. Capra, Il Settecento..., cit., p. 428.79 Sulla scelta di Velluti non pare erroneo attribuire un certo peso anche ai buoni

auspici di Firmian, che oltre alla carica di plenipotenziario esercitava pure quella di vice-governatore di Mantova. Ciò emerge in maniera piuttosto evidente da una supplica invia-ta a V.E. (appellativo solitamente riservato al plenipotenziario) dal medesimo Velluti,nella quale egli si rivolgeva al suo interlocutore, di cui si riconosceva significativamenteuna “creatura”, al fine di ottenere un aiuto economico per la sua numerosa famiglia, sucui gravavano alcuni debiti da lui precedentemente contratti (cfr. ASM, UTR, p.a., cart.709, Lettera di Velluti a V.E., 18 ottobre 1772).

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tata per la pubblica amministrazione dall’acquisizione totale delle incomben-ze legate all’imposizione indiretta, fino ad allora appoggiate ai fermieri. Talifattori permisero ai tre funzionari di disporre di una certa supremazia di carat-tere conoscitivo, che spiega anche l’autonomia del dipartimento di cui faceva-no parte rispetto al restante corpo del magistrato80.

Gli incarichi cui furono inizialmente assegnati si mantennero praticamen-te inalterati per tutto il periodo in cui le finanze rimasero affidate al tribuna-le: con la sola eccezione di Mellerio, che chiese e ottenne la giubilazione allafine del 177881, gli altri proseguirono il proprio lavoro sino al 1780, quandoa seguito dell’erezione dell’Intendenza generale di finanza Velluti fu nomina-to consigliere del Supremo consiglio di giustizia di Mantova e Verri usufruìdella promozione a presidente82.

– Le Intendenze provinciali e l’organizzazione periferica degli uffici di finanza

Il discorso, sinora affrontato, sugli uffici dell’apparato burocratico postoagli ordini del Magistrato camerale si è limitato all’analisi degli organi opera-

80 Nella relazione presentata per la conclusione del primo anno di attività del tribuna-le, dopo aver sostenuto che i tre relatori prescelti per le finanze erano quelli che conoscevanomeglio di tutti «l’arte del negozio», «ignota alla parte maggiore degl’individui del Magi-strato», il presidente Carli affermava significativamente, non senza intenti polemici, che «laprevenzione del merito, e dell’esperienza di questi soggetti formò ben a ragione un’opinionedi essi corrispondente; e da questa ne venne una perfetta deferenza, e quasi cieca connivenzain tutti i ministri del Magistrato nell’aderire prontamente ad ogni loro proposizione [...];così si rinunziò da ognuno ben volentieri il merito della felice riuscita piuttosto che azzarda-re una contestazione, che portando una risoluzione contraria ai relatori suddetti, per quantopotesse esser buona, e ragionevole, sarebbe sempre però dipenduta nell’esecuzione dalmed.mo partito, che rimaneva vinto, e che per conseguenza non poteva essere interessato aprocurare con efficacia, che il buon esito della contraria determinazione servisse di mentitaalla propria opinione. [...] Per conseguenza di tutto questo, la direzione del negozio è statatutta a carico dei direttori» (ASM, UTR, p.a., cart. 688, Relazione del presidente Carli sulprimo anno di attività del Regio Ducal Magistrato camerale, 8-9 gennaio 1773).

81 Cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 704, Lettera di Kaunitz a Firmian, 26 novembre 1778.Tuttavia, da lettera (di Wilczeck?) al magistrato del 23 settembre 1779 (ivi) risulta cheMellerio venne in tale data ufficiosamente riammesso in servizio per sbrigare alcuneincombenze “straordinarie” di finanza.

82 Cfr. in ASM, Finanze, cart. 16, il progetto del 22 agosto 1780 dell’arciduca Ferdi-nando sulle modifiche da apportare al sistema con l’erezione dell’Intendenza generale difinanza. Verri, da parte sua, già dal giugno del 1780 aveva formalmente ottenuto la dispen-sa dalla provincia delle privative per meglio dedicarsi (ma sul suo disimpegno in questa fasesi è già accennato) alle incombenze di vice-presidente (cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 695, Let-tera di Verri a Kaunitz, 16 aprile 1780; ivi, risposta di Kaunitz, 1 giugno 1780).

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tivi presso la sede milanese dello stesso, mentre soltanto qualche sporadicocenno è stato dedicato alle sue appendici amministrative presenti in manieramolto ramificata sul territorio dello Stato.

Ci si riferisce in modo particolare alla capillare distribuzione delle pro-paggini dipendenti dal dipartimento di finanza, facenti capo a ciascuna dellequattro Intendenze provinciali (cui si aggiunse nel 1773 quella di Milano)create per coordinare e dirigere a livello locale il lavoro delle centinaia didipendenti del dicastero che costituivano di fatto l’eredità della cessata Ferma.

La conservazione, la lavorazione e la vendita, all’ingrosso come al detta-glio, dei generi di consumazione e di quelli di privativa regia, la gestionedelle scorte e dei magazzini, l’amministrazione delle regalie redente, la riscos-sione dei dazi di esportazione, importazione e transito, i rapporti con il pub-blico, la corretta tenuta dei registri di contabilità e, più in generale, l’effi-cienza dell’imponente apparato preposto all’esazione delle imposte indirette,punto cruciale e di sommo interesse per le esangui casse della monarchia,erano infatti affidati allo zelo e all’onestà di quello che lo stesso Kaunitz definìun «vero esercito» di ufficiali83, il quale operò localmente sotto il controllodegli intendenti anche dopo il suo completo trasferimento, a partire dal 1780,al servizio della neonata Intendenza generale.

La conduzione tramite mano pubblica di tale esercito di piccoli e medifunzionari rappresentava a pieno titolo uno dei tratti distintivi del processo digenerale riordinamento del sistema tributario lombardo, che ebbe nel comple-tamento e nella messa in pratica del catasto teresiano l’altro suo aspetto fon-damentale.

Ma mentre quest’ultimo, dal momento della sua attuazione al terminedella prima dominazione austriaca, vide progressivamente diminuire la pro-pria incidenza sul totale degli introiti erariali, il ramo delle imposte indirette

83 «Naturalmente il numero degli impiegati deve essere assai grande, – scriveva ilcancelliere a Firmian a proposito della pianta generale degli impiegati del dicastero di cuiancora si attendeva a Vienna la consegna – perché composto di tanti cassieri, offizialidiversi, scrittori, custodi, guardie, ed altri simili subalterni della finanza, oltre quelli delcenso, e dell’altro dipartimento d’annona, e commercio. Il numero di tante persone, e laspecificazione dei rispettivi assegni […] formerebbe del ruolo intero di tutti gli impie-gati un volume di mole troppo considerabile, per non sorprendere le M.M. L.L. […]; cer-tamente ferirebbe l’occhio una folla, benché necessaria, ma in apparenza eccessiva, ditanti individui, che specificatamente non si sogliono indicare alla corte, nemmeno per lealtre province della monarchia. E siccome in questo ruolo generale vi sarebbero tutti icommessi, e subalterni della finanza, che formano un vero esercito, potrebbe forse alleM.M. L.L. sembrar un nuovo aumento d’impiegati quello, che non è altro, che un tra-passo d’essi dalle mani de’ fermieri a quella del Magistrato camerale» (ASM, UTR, p.a.,cart. 689, Lettera di Kaunitz a Firmian, 20 agosto 1772).

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venne a pesare in maniera proporzionalmente sempre più consistente sulleentrate statali, facendo registrare un sensibile incremento sia in termini per-centuali che assoluti84, in sintonia con quanto peraltro avveniva nel medesimoperiodo negli altri territori della monarchia85.

Le ragioni di questo aumento, come è stato da più parti osservato86, nonvanno tuttavia ricercate nell’accentuarsi della pressione fiscale a danno dei cetimeno abbienti, sui quali gravava comunque il carico più oneroso, bensì nellapiù razionale e accorta gestione delle finanze, e in particolare nella liquidazio-ne della pratica di appaltare ai privati la riscossione delle imposte, che permi-se allo Stato di riappropriarsi dei lauti guadagni che prima era concesso lorodi ottenere, «anche se non va trascurato il maggior gettito di alcune voci (inparticolare il dazio della mercanzia) dovuto all’aumento dei prezzi e alla piùintensa commercializzazione dei prodotti soprattutto agricoli»87.

Se, da un lato, la Camera rinunciava al canone d’affitto versato dagliappaltatori per esercitare il diritto di esazione e si sobbarcava gli oneri relati-vi all’approvvigionamento, distribuzione e commercializzazione dei generi diprivativa e al mantenimento dell’imponente struttura organizzativa ereditatadalla cessata Ferma, dall’altro poteva finalmente entrare in possesso senza

84 Si veda, a proposito, la seguente tabella tratta da M. Bianchi, Le entrate e le spesedell’amministrazione centrale e delle province dello Stato di Milano nella seconda metà del Sette-cento, in «Archivio storico lombardo», 104 (1978), p. 188 (i valori sono espressi in liremilanesi):

1761 % 1773 % 1784 % 1794 %Imposte dirette 7.477.639 53,11 7.548.051 42,61 8.228.246 41,85 9.779.096 39,53Altre entrate 6.601.574 46,89 10.166.538 57,39 11.434.983 58,15 4.952.165 60,47Totale 14.079.213 100,00 17.714.589 100,00 19.663.229 100,00 24.731.261 100,00

Nelle “imposte dirette” sono compresi il tributo prediale calcolato in base al nuovocatasto dei fondi censiti e le cosiddette “tre tasse”, ossia l’imposta personale, gravante suogni cittadino maschio con età compresa tra i 14 e i 60 anni, l’aliquota mercimonialedell’1,25% sul valore capitale del traffico annuo, addossata ai corpi mercantili, e la tassasulle case di abitazione forense, pagata dai relativi proprietari. Le “altre entrate” riguar-dano invece le rendite camerali e provinciali, in cui vi è una netta predominanza delleimposte indirette.

85 A riguardo, cfr. i dati proposti da C. Capra, The Eighteenth Century. I. The Finan-ces of the Austrian Monarchy and the Italian States, in R. Bonney (a cura di), Economic Systemsand State Finance..., cit., pp. 307-308.

86 Cfr., tra gli altri, Id., Il Settecento…, cit., pp. 445-448; A. Cova, Le imposte indi-rette…, cit., p. 36; M. Bianchi, Le entrate e le spese…, cit., pp. 189-190.

87 C. Capra, Alcuni aspetti del riordinamento tributario…, cit., p. 12.

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alcuna intermediazione dei proventi dell’intero settore dell’imposizione indi-retta, sul cui reale ammontare Greppi e soci non avevano mai lasciato trapela-re notizie certe.

Altro vantaggio non trascurabile, l’acquisizione e la razionalizzazione diquesto fondamentale ramo fiscale consentì ai riformatori di concentrare glisforzi sull’altra questione nodale per il sistema dei tributi indiretti, ossia l’o-pera di rimozione delle deleterie conseguenze che il vigente sistema doganaleaveva per il commercio e le manifatture, culminata nella revisione della tarif-fa generale sulla mercanzia del 178688.

A migliorare ulteriormente la situazione finanziaria si aggiunsero, inoltre,gli effetti derivanti dalla progressiva (ma piuttosto lenta) opera di redenzioneda parte della regia Camera delle regalie donate o alienate a privati e corpicivici nel corso dei secoli precedenti, la cui cessione aveva generato una perdi-ta non indifferente per l’erario e un aggravio altrettanto odioso per i contri-buenti, che ad ogni piè sospinto si vedevano colpiti da una miriade di gabel-le e dazi di ogni tipo e da una molteplice schiera di esattori.

La pratica di cedere a una moltitudine di fermieri, arrendatori, gabellierie dazieri i cespiti d’entrata statale per ragioni legate a impellenti esigenze didenaro era divenuta, specialmente tra il XVI e il XVII secolo, un fenomeno didimensioni preoccupanti che accomunava l’esperienza degli Stati italiani preu-nitari, dove l’influenza raggiunta dai vari gruppi di appaltatori ebbe risvoltinon solo economici ma finanche politici sulle vicende dei diversi governi dellapenisola89.

In Lombardia il recupero di un numero davvero imponente di questicespiti da parte della Camera – un calcolo a proposito effettuato ne fissaval’ammontare a 570 solo tra il 1774 e il 178590 – fu accompagnato in molticasi dalla riduzione delle rispettive aliquote, se non addirittura dalla soppres-sione del tributo, come avvenne, ad esempio, per il bollo della carne macella-

88 Sul sistema doganale in vigore nel Settecento in Lombardia e sulla riforma dei dazisulla mercanzia promossa negli anni Settanta e Ottanta, si vedano: A. Moioli, Pietro Verrie la questione della riforma daziaria nello Stato di Milano, in Pietro Verri e il suo tempo…, cit.,pp. 853-933; G. Tonelli, Baldassarre Scorza e la riforma daziaria nella Lombardia asburgi-ca, in «Nuova economia e storia», 3 (1997), 1, pp. 25-68; C.A. Vianello, Itinerari eco-nomici. Costi di trasporto e dazii nel Settecento lombardo, Milano 1939.

89 A riguardo, si rimanda al lavoro svolto in chiave comparativa sulle differenti espe-rienze statuali preunitarie da L. Coda, Il problema fiscale negli Stati Italiani al tramonto del-l’ancien régime, in «Economia e storia», 2 (1981), 3, pp. 333-364 (in particolare, le pp. 355-364, in cui vengono citati i casi lombardo, veneto, napoletano, piemontese e pontificio).

90 Cfr. S. Zaninelli, Un capitolo centrale del riordino dei tributi indiretti dello Stato diMilano nella seconda metà del ’700: la “redenzione delle regalie”, in Studi in onore di AntonioPetino, vol. I, Momenti e problemi di storia economica, Catania 1986, p. 326.

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ta in Milano o per il già citato dazio del bollino sulla vendita al minuto deivini, entrambi aboliti nel corso degli anni Settanta con conseguente sollievodella popolazione91.

Insieme al Piemonte e al Granducato di Toscana, quindi, anche nelloStato di Milano l’avanzata del potere centrale nei decenni antecedenti allarivoluzione francese fece sì che il prelievo fiscale di pertinenza statale potevaormai ricoprire un peso preponderante nel computo degli oneri gravanti suisudditi, a differenza, invece, del Regno di Napoli, dello Stato della Chiesa edella Repubblica di Venezia, dove la lotta contro il sistema degli appalti, idiritti delle classi privilegiate e il permanere di alcune aree di autonomiaimpositiva di origine feudale non sortì gli stessi definitivi successi92.

Visti gli esiti sostanzialmente positivi del passaggio alla gestione pubbli-ca dei vari rami di finanza e delle regalie redente, occorre però a questo puntotornare in maniera più circostanziata sull’organizzazione dei dipendenti came-rali a livello locale, che di tale gestione costituisce uno degli elementi di mag-giore interesse.

La funzione di collegamento tra le direttive governative e dicasteriali el’esecuzione periferica degli ordini provenienti dal centro era svolta, come si èanticipato, dall’intendente provinciale, figura che godeva di una certa respon-sabilità e prestigio e che nella rinnovata amministrazione asburgica rappre-sentava per chi la assumeva (si è accennato al caso di Pertusati) un’occasioneprivilegiata di avanzamento e carriera.

Proprio in virtù della loro importanza strategica, agli intendenti eranoassegnate competenze molteplici ed eterogenee, anche se le superiori autoritànon mancarono di circoscriverne precisamente l’ambito d’intervento tramiteuna serie di minuziose istruzioni contenute in una delle appendici normativeallegate al regio dispaccio del 5 luglio 1773: «gl’intendenti provinciali – reci-ta infatti il primo articolo del suddetto regolamento – dovranno ritenere per

91 «Il fine cui tende la redenzione delle regalie – scriveva a riguardo Kaunitz in unasua lettera del 21 dicembre 1767 indirizzata a Firmian – si è di richiamare all’ammini-strazione, e disposizione della Camera R.le quei rami delle pubbliche rendite, che invecedi colare per il bene della società nell’erario, costituiscono attualmente una delle mag-giori entrate di alcuni corpi pubblici, e sue di varie persone private […]. Se poi voglia-mo discorrere in riga economica, da questi rami d’entrata pubblica unicamente ammini-strata a detrarne dell’interesse particolare degli attuali possessori, vediamo scaturire unamolteplicità di appalti, e sotto appalti, i quali moltiplicando le spese dell’amministrazio-ne servono di pretesto alle infinite vessazioni del popolo, sempre angustiato dal timore diavere per lo stesso titolo soggiacere a tanti nuovi pesi, quanti sono in varj luoghi gliappaltatori dello stesso ramo di regalia, e questi facendone ognuno causa privata, voglio-no tutti la parte loro» (cit. in ibidem, pp. 330-331).

92 Cfr. C. Capra, Le finanze degli Stati italiani…, cit., pp. 166-169.

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base delle loro operazioni le tariffe, le gride, gli ordini, e regolamenti appro-vati da Sua Maestà […]. Non sarà quindi lecito alcuno arbitrio, o interpreta-zione, che vada ad alterarne lo spirito, e l’esecuzione in danno tanto della rega-lia, che del pubblico»93.

Altrettanto dettagliato, onde garantire il buon funzionamento dell’appa-rato di riscossione delle imposte, risultava il lungo elenco delle mansioni affi-date a questi indispensabili tutori delle finanze regie, i quali «invigilerannoalla puntuale esecuzione di tutti gli ordini, e regolamenti, tanto nella riscos-sione de’ dazi, quanto nella vendita de’ generi di privativa. Quindi dovrannoo in persona, o per mezzo de’ subalterni, che crederanno opportuni far visita-re improvvisamente, e di tempo in tempo la cassa provinciale, le casse subal-terne delle dogane, e ricettorie, i libri, i generi, i pesi, le misure, e i magazze-ni. Con pari premura faranno rilevare se i custodi, e deputati ai fondachi, esostre sono bene attenti alla conservazione delle mercanzie depositatevi, epronti all’uffizio alle ore stabilite; se le guardie fanno il loro dovere senzaaggravare indebitamente le persone; e se assistano alle porte continuamente,in modo che non restino abbandonate, e non possa entrare merce di sorta alcu-na senza il dovuto pagamento del dazio […]. Dopocché avranno adempito aipropri doveri nell’esecuzione degli ordini vigenti, dovranno essi incombere adesaminare se o colla migliore distribuzione delle poste, o con nuovi patti, efacilitazioni utili, o con altri suggerimenti possa aumentarsi il reddito delregio erario, ovvero accrescersi il commercio nazionale. Alla fine d’ogni annone formeranno una relazione generale al magistrato, la quale contenga anchelo stato attuale della propria provincia, gli aumenti, o decrementi delle rega-lie, e le loro cause»94.

Gli intendenti, quindi, se da un lato dovevano «procurare colla possibileregolarità, speditezza, ed esattezza tutto quello, che è esecuzione, ciascunonella sua provincia», dall’altro rappresentavano per il tribunale camerale lafonte privilegiata d’informazione proveniente dai territori periferici, tanto chead essi era significativamente affidato anche il compito di «rilevare, o sugge-rire nelle occasioni tutto ciò, che dietro alla loro esperienza, e colla scorta de’lumi da raccogliersi in sul luogo, sembrerà ad essi del maggiore vantaggiopubblico, e del Nostro Reale servizio»95.

Sin dal principio del loro mandato, questi funzionari intermedi furonoinfatti chiamati a collaborare con il governo e i membri del magistrato allaredazione della pianta degli organi periferici allegata al reale dispaccio del

93 ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni per gl’intendenti provinciali, art. 1.94 Ibidem, artt. 12 e 20.95 ASM, DR, cart. 250, Regio decreto del 16 agosto 1773.

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5 luglio 1773, che costituisce il punto di riferimento imprescindibile perogni analisi riguardante la configurazione istituzionale assunta dal dicaste-ro96.

Per quanto concerne la provincia milanese, superiore alle altre per dimen-sione, popolazione e volume degli scambi e principale banco di prova per lanuova organizzazione del sistema di esazione delle imposte indirette, il ruolostabile prevedeva la distinzione tra gli uffici della città capoluogo e quelli ope-ranti nel territorio del “Ducato”, comprendente la campagna circostante il ter-ritorio urbano e i centri minori limitrofi.

Tre erano le categorie di beni soggette alla gestione e alla vigilanza deifunzionari delle pubbliche finanze: i generi di monopolio statale, tra cuisoprattutto sale e tabacco, venduti presso i botteghini dei postari o nelle stes-se ricettorie; le merci sottoposte al pagamento dei dazi di transito, importa-zione ed esportazione, la cui riscossione spettava agli esattori stanziati sul ter-ritorio in prossimità delle porte cittadine o in altri luoghi di passaggio; igeneri su cui gravavano i diversi dazi di consumazione, come il vino (dazio delbollino), la carne e il bestiame (testatico e dogana), i cereali (dazio della maci-na) e l’acquavite97.

La mercanzia entrava e usciva dalle mura della città di Milano attraversoundici porte “fisse” e due porte “d’acqua” (i “tomboni” S. Marco e Viarenna),nelle cui vicinanze erano presenti i ricettori e i loro collaboratori, che si occu-pavano della quantificazione e valutazione delle merci in transito per la relati-va applicazione del tributo.

Altri ricettori erano poi addetti ai cinque mulini da farina interni al peri-metro urbano (in località Santa Beatrice, Porta Tosa, Santa Croce, San Marcel-lino e Porta Orientale), al fine di provvedere all’esazione del dazio sulla maci-nazione dei cereali98.

Tra gli ingressi fissi, le tre porte che facevano registrare i traffici più con-sistenti erano la Ticinese, la Romana e la Comasina, mentre le restanti ottoerano «o in tutto, o in molta parte dell’anno disimpegnate, e […] perciò

96 Una copia della pianta completa degli uffici periferici di finanza è conservata inASM, UTR, p.a., cart. 687.

97 Sull’argomento, cfr. A Cova, Le imposte indirette…, cit. I dati quantitativi, cui sifarà cenno successivamente nel testo in riferimento a questo saggio, riguardano le impo-ste percepite nella sola città di Milano, limitatamente al territorio circoscritto dalle muraspagnole e ad esclusione dei limitrofi Corpi santi.

98 Nelle Annotazioni al ruolo che si propone per la città di Milano, allegate al prospettofrutto delle riunioni preparatorie del nuovo Magistrato camerale e da questo inviato algoverno probabilmente sul finire del 1771, si legge inoltre che «alle porte si esige per lamercanzia, per la macina, e dogana. Alli tomboni e mulini unicamente per la macina»(ASM, UTR, p.a., cart. 687, Allegato “B”, n° 13).

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potrebbero essere da un solo ricettore amministrate senza pericolo di disordi-ni, come sarebbero: il Portello del Castello, Porta Fontana, Porta Nuova, PortaTosa, Porta Ludovica, Porta Vercellina, Porta Orientale, Porta Vigentina»99.

Presso le maggiori esattorie cittadine lavoravano, oltre al ricettore capo,anche un custode dei beni depositati per la vendita e un numero variabile diassistenti, che nel caso dei mulini prendevano il nome di “camerieri”100; nelleesattorie minori e specialmente nelle zone periferiche, invece, era quasi sem-pre sufficiente il lavoro del solo ricettore locale, che disimpegnava da sé tuttele mansioni necessarie alla conduzione di quello che si prefigurava frequente-mente come una sorta di piccolo esercizio commerciale.

La ricettoria di finanza rappresentava dunque la base su cui poggiava l’in-tero apparato di riscossione delle imposte indirette: luogo di pagamento e rac-colta dei tributi, spesso essa stessa punto di vendita dei beni di privativa, eraa questo ufficio che tutti i conduttori delle merci che entravano o uscivanodalla città dovevano recarsi o essere scortati dalle regie guardie per regolariz-zare la propria posizione nei confronti del fisco. La procedura da seguire eraillustrata in maniera approfondita dal testo delle Istruzioni per i ricettori dellefinanze, in particolare all’articolo 10, dove si trova scritto che «quantunque siapreciso obbligo de’ viaggiatori, de’ conduttori, mercanti, ecc. di presentarsi arispettivi dazi, e poste a denunciare e fare le professioni imposte dalle gride,[…] saranno obbligati i ricettori, sottoricettori, guardie ecc. ad interpellarlinel loro passaggio, e fermarli per riceverne la notificazione delle merci, e gene-ri daziabili. Dovrà questa esprimere la quantità e la qualità della merce, illuogo della loro procedenza, della loro direzione, al fine di poterne fare la giu-sta spedizione a tenore delle gride»101.

La registrazione avveniva attraverso il noto sistema delle bollette, che dal-l’ufficio centrale a ciò preposto erano spedite trimestralmente a ogni esattore;quest’ultimo, effettuate le dovute annotazioni per ogni partita di merce sotto-posta al suo controllo e consegnate ai trasportatori le relative ricevute libera-torie, «di mese in mese e dentro il giorno sei» era poi obbligato a «rimettereall’intendente provinciale tutti i libri [bollette] incominciati […] sostituen-done de’ nuovi per il mese successivo»102. Insieme ai registri utilizzati dove-

99 Ibidem.100 Ai camerieri della macina spettava «il ben intendere la misura della bacchetta,

come volgarmente chiamasi il braccio, con cui si quadrettano le botti di vino per sotto-porlo al tributo, nella sua giusta quantità: distinguere la qualità, e quantità delle farineche entrano, e così diligentare, e formare il daziato di tutti gli altri enti sottoposti a dettaregalia. Sono dunque indispensabili, perché dalla loro attività, e cognizione derivano igiusti estremi dell’esigenza» (ibidem).

101 ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni per i ricettori delle finanze, art. 10.102 Ibidem, art. 5.

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vano inoltre essere consegnati il riassunto mensile dei generi daziati (la cosid-detta “fatta mensuale”), corredato dalle annesse note identificative (recapiti,ricevute, ecc.), nonché l’importo introitato risultante dai documenti e nellemedesime valute in cui era avvenuta la riscossione, pena la perdita del posto ela denuncia del funzionario inadempiente alle competenti autorità giudiziarie.

Prendeva così corpo quel “controllo della circolazione” che segnò ancheper la Lombardia austriaca un più stretto rapporto tra fisco ed economia discambio, secondo una dinamica di funzionamento per certi versi simile, adesempio, all’analogo meccanismo instauratosi con successo nella vicina Fran-cia103.

Alle ricettorie che congiuntamente alle operazioni di percezione del tri-buto esercitavano pure lo smercio dei generi di monopolio veniva oltretuttoinoltrata la più fervida raccomandazione «di vendere i detti generi nella pre-cisa quantità, bontà, e gusto, che gli saranno consegnati da magazzeni, senzamistura, alterazione al peso, e prezzo, stabilito nelle tabelle qui unite, le qualiper comune informazione, e regola, dovranno restare sempre affisse alla pub-blica vista», prestando altresì attenzione a provvedere ai necessari approvvi-gionamenti dai magazzini prima dell’esaurimento delle scorte, affinché «nonresti esposto il paese a rimanere sprovveduto»104.

L’articolata organizzazione del sistema di distribuzione dei beni di priva-tiva, oltre ad usufruire delle poste che gestivano la riscossione dei dazi sullamercanzia, si avvaleva nella capitale anche di una rete di punti vendita “dedi-cati”, formata dalle gabelle del sale e dai botteghini del tabacco sparsi per lacittà.

La regalia del sale rappresentava la principale fonte di entrata per le casseregie, in grado da sola di assicurare introiti superiori all’intero gettito deldazio sulla mercanzia105. Questo indispensabile prodotto era acquistato indiverse località del Mediterraneo (Baleari, Sicilia, Tripoli, Barletta, Istria, Dal-mazia e, durante il periodo considerato, anche Toscana) e, tramite l’interme-diazione genovese ma soprattutto attraverso la flotta veneziana, era trasporta-to preferibilmente via acqua fino ai magazzini generali di Pavia e Cremona,

103 Cfr. G. Ardant, Politica finanziaria e struttura economica…, cit., pp. 167-169. Sul-l’organizzazione della pubblica amministrazione finanziaria francese durante il XVIIIsecolo, si rimanda agli atti del convegno organizzato dal Comitato per la storia economi-ca e finanziaria della Francia, raccolti nel volume L’administration des finances sous l’AncienRégime. Colloque tenu à Bercy les 22 et 23 février 1996, Parigi 1997, soprattutto la primaparte, dedicata a Les administrations centrales.

104 ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni per i ricettori delle finanze, artt. 18 e 20.105 Cfr. B. Caizzi, Industria, commercio e banca in Lombardia nel XVIII secolo, Milano

1968, p. 262.

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dove avveniva lo smistamento per la copertura del fabbisogno delle provincelombarde e per la riesportazione a favore dei tradizionali clienti svizzeri overso le terre piemontesi di confine106.

Le scorte di sale destinate agli abitanti della capitale erano quindi accu-mulate nel deposito cittadino, per poi essere commercializzate all’ingrosso allegabelle di Porta Tosa, Porta Nuova e Porta Ticinese, oltre che in maniera piùcapillare presso le ricettorie autorizzate presenti in città.

Per quanto riguarda il tabacco, invece, le materie prime (in particolarefoglie e farine, di diversa provenienza e qualità) che giungevano a Milanoerano custodite nell’apposito magazzino generale, dal quale il regio fabbrica-tore attingeva le quantità necessarie da sottoporre al processo di lavorazione107.Le confezioni pronte per il commercio venivano quindi ritrasmesse nuova-mente al magazziniere e da questi consegnate alle due grandi dispense diPescheria Vecchia e del Castello o direttamente ai responsabili dei 23 botte-ghini che si occupavano della vendita al minuto nelle diverse zone della capi-tale108.

L’entrata fiscale relativa al tabacco, altra fonte di ricavo di una certaimportanza nel novero delle privative, risultò essere una voce in forte espan-sione durante tutto il Settecento, tanto da garantire alle casse regie, secondo idati disponibili, un guadagno netto che nel corso degli anni Ottanta giunse asuperare il milione di lire milanesi, a fronte di un consumo che nel 1778 inLombardia aveva oltrepassato il milione di libbre109.

106 Per maggiori approfondimenti sulle vicende politiche ed economiche legate alcommercio del sale nello Stato di Milano in età moderna, si rimanda a Id., Sale e fiscalitànel Ducato milanese, in «Archivio storico lombardo», 118 (1992), pp. 129-181.

107 L’incombenza del fabbricatore, oltre a «far macinare, e manipolare i tabacchi, eridurli allo stato di vendita nel miglior modo possibile», consisteva nel controllare laqualità delle materie prime consegnategli e nel suggerirne eventuali miglioramentiprima di restituirle lavorate al magazziniere (ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni par-ticolari per il fabbricatore de’ tabacchi).

108 «La principale ispezione del magazziniere – secondo le istruzioni ad esso destina-te – deve esser quella di custodire con ogni diligenza tanto i tabacchi in boette, e che sipassano alla vendita senza alcuna previa manipolazione, quanto le foglie, e le farine damanipolarsi, e i tabacchi con esse composti, che ritorneranno dalla fabbrica. […] Sommi-nistrerà i tabacchi occorrenti alle rispettive ricettorie dello Stato, alle botteghe di città,ed ai postari. […] Avanti che vengano a mancare i tabacchi, dovrà in tempo opportunoprevenirne il magistrato, acciocché possa dare le convenienti disposizioni per le provvi-ste» (ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni particolari per il magazziniere de’ tabacchi,artt. 1, 8 e 11).

109 Sulle cifre qui proposte, cfr. A Cova, Le imposte indirette…, cit., pp. 26-27 e B.Caizzi, Industria, commercio..., cit., pp. 264-265.

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Tra i generi di monopolio, un posto minore era infine occupato dal salnitroe dalla polvere da sparo, la cui produzione interessava innanzitutto le fornitureper le truppe stanziate o di passaggio nei territori dello Stato, anche se la polve-re era reperibile per gli acquisti al minuto presso le rivendite dei postari, frut-tando tuttavia soltanto qualche decina di migliaia di lire all’anno110.

La raffinazione della polvere da sparo avveniva nella fabbrica periferica diLambrate, nelle cui vicinanze sorgeva pure il magazzino generale per la custo-dia e vendita all’ingrosso di questo prodotto, troppo pericoloso per essere con-servato in grande quantità vicino al centro della città111. Un deposito di piùmodeste dimensioni, utilizzato anche per lo stoccaggio delle materie salnitro-se, era comunque operativo a Milano in costante collegamento con quello cen-trale, a cui inviava il salnitro necessario per i processi di lavorazione e dalquale riceveva il rifornimento della polvere da consegnare alle ricettorie112.

Accanto ai dazi sulla mercanzia e ai tributi sui generi di privativa regia,il terzo grande pilastro del sistema di tassazione indiretta era costituito dalgettito derivante dalle imposte che gravavano sugli acquisti al minuto deiprodotti di ordinaria consumazione.

Gli introiti principali si realizzavano sulla vendita del vino e della carne,oltreché con l’esazione del diritto di macinazione dei grani presso i mulini, men-tre tra le entrate minori figuravano quella legata alla compravendita delle pellie dell’acquavite, anche quest’ultima dotata di un’apposita dispensa cittadinacentrale per gli acquisti da effettuarsi all’ingrosso da parte dei rivenditori.

Le operazioni di bollinatura dei recipienti del vino erano compito deimisuratori regi, che si occupavano della visita ai diversi locali per riempire eapporre il sigillo alle botti da cui prelevare le bevande da mettere in commer-cio. Agli osti spettava di volta in volta il pagamento della relativa tassa,secondo una misura che nel 1771 venne fissata sulle 5 lire per ogni brentavenduta.

110 Ibidem, p. 264.111 Cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni generali per la fabbrica della polvere,

al magazziniere, raffinatore, e fabbricatore; Istruzioni particolari per il fabbricatore dellapolvere in Lambrate; Istruzioni particolari per il magazziniere della polvere in Lambrate.

112 Cfr. ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni particolari per il magazziniere de’ sal-nitri, e della polvere in Milano. I cosiddetti “salnitri” erano recuperati e portati nei puntidi raccolta da parte di appositi subalterni (chiamati, appunto, “salnitrari”), che giravanoper le case e altri luoghi della provincia alla ricerca di queste particolari sostanze; il restodel lavoro era poi compiuto dai raffinatori che sottoponevano a lavorazione le materieimmagazzinate, ottenendone una polvere che, a seconda della qualità, veniva classificatacome ordinaria, fina o sopraffina (cfr. ivi, Istruzioni particolari per i salnitrari; Istruzioniparticolari per i raffinatori de’ salnitri).

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Il dazio del bollino veniva dunque sostanzialmente a ricadere sugli avven-tori di locande e osterie e sul popolo minuto, almeno fino alla sua abolizionenel 1777, quando a questo tributo fu sostituito un nuovo carico di 12 lire daimporre su ogni brenta di vino introdotta in città, determinando un allarga-mento della base imponibile (i benestanti, infatti, rifornendosi dalle loro terreo dai mercanti, poterono usufruire fino a quel momento di un’esenzione difatto), una più equa ripartizione degli oneri fiscali e un aumento del gettitocomplessivo, che nel corso degli anni Ottanta arrivò nella sola Milano a supe-rare il mezzo milione di lire113.

Poco meno redditizie erano le imposte sulla carne, cioè la cosiddetta“dogana viva” (abolita nel 1784), che gravava sulle contrattazioni concernentilo scambio di bestiame, e il “testatico”, una sorta di dazio unico che si appli-cava sia alle vendite al dettaglio effettuate dalle macellerie, sia all’introduzio-ne in città dei capi da macellare o già macellati114.

Di un certo rilievo per le casse statali, infine, erano i diritti di macinazio-ne115, la cui disciplina era strettamente collegata alla vigente normativa sullapanificazione e, tramite questa, al regolamento annonario. Limitandosi a men-zionare soltanto i tributi riscossi per la circolazione delle farine e del pane giàpronto, per ciò che interessa il presente discorso l’attenzione va rivolta soprat-tutto alla tassazione dei cereali da macinare. Le relative esazioni erano introi-tate per conto dell’erario dagli ufficiali stanziati in prossimità dei tomboni edelle porte fisse, luoghi deputati alla ricezione e quantificazione delle grana-glie che varcavano i confini cittadini, così come dai ricettori operativi presso icinque mulini della capitale, dove invece i grani venivano macinati.

I tributi a vario titolo incamerati dai postari del sale, tabacco, polvere eacquavite, dagli esattori collocati presso i punti di passaggio della mercanzia,dalle sostre o dai magazzini per il deposito e la distribuzione dei generi, daimulini, osterie e macellerie, erano tutti fatti confluire, tanto nella capitalecome nel restante territorio dello Stato, verso la rispettiva cassa provinciale,che funzionava alle dirette dipendenze del locale intendente.

A dirigerla vi era il capo cassiere, il quale «introiterà da tutti i ricettoridella provincia li denari, ch’essi avranno percetti durante il mese. Gli ricono-scerà nel loro peso, qualità e numero. […] Non eseguirà alcuna sorta di paga-mento, se non in vista d’ordine del magistrato […]. Dentro il giorno dodici

113 Cfr. A. Cova, Le imposte indirette…, cit., pp. 23-24 e tabella riepilogativa di p. 36.114 Cfr. ibidem, pp. 16-21. Secondo i dati proposti dall’autore (p. 36), a Milano il get-

tito dei dazi sulla carne raggiunse le 390 mila lire nel 1780 e le 404 mila lire nel 1787.115 Il loro ammontare nella capitale, sempre secondo i dati pubblicati da Alberto

Cova, variava tra le 476 mila lire del 1780 e le 668 mila lire del 1787 (cfr. ibidem, pp.12-16 e 36).

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d’ogni mese dovrà rimettere con tutta puntualità, ed esattezza le somme in-troitate alla cassa generale di Milano, riportandone l’opportuna ricevuta»116. Sicercava così di dare forma compiuta al disegno che prevedeva la gestione cen-tralizzata degli introiti di finanza, che secondo un flusso unico e regolare dalleesattorie periferiche dovevano giungere direttamente ai cassieri provinciali eda questi alla Tesoreria generale, senza disperdersi nei mille rivoli di unaamministrazione separata dei centri di raccolta del denaro, difficilmente con-trollabile dal dicastero camerale e molto più vulnerabile di fronte alla diffusacorruzione e agli sprechi.

La pressante attualità di simili problematiche è peraltro dimostrata dalsistema di controlli interni posto in essere dai riformatori per prevenire opunire gli atteggiamenti fraudolenti messi in atto dai pubblici dipendenti,ma anche dal dilagare dei numerosissimi episodi di contrabbando che si veri-ficavano a causa dell’incerta e precaria opera di sorveglianza dei regi confini117.

In particolare, la preoccupazione nei confronti del lavoro svolto dalla clas-se dei subalterni ereditata dalla cessata impresa della Ferma, individui sullacui reputazione e metodo d’agire le lamentele non erano mai mancate, è testi-moniata dall’elenco delle mansioni affidate ai commissari e sotto-commissaridi finanza, funzionari messi a disposizione degli intendenti (sedici per il Mila-nese e uno per ogni altra provincia lombarda) per visitare – meglio dire sor-vegliare – gli uffici finanziari sparsi sul territorio. «Dalla vigilanza, e fedeltàdi questi commissari, e sotto commissari – si legge infatti in una nota a mar-gine della pianta provvisoria del dicastero inviata nel maggio del 1772 a Vien-na – dipende specialmente la esecuzione del buon ordine, attenzione, e fedeltàde’ ricettori, guardie, e presentini. Si è loro ingiunto l’obbligo di riferire ognigiorno in iscritto ciò, che accade nelle dogane, dazi, e mulini: girano essi pro-miscuamente, e si ha di essi una continua controlleria»118.

116 ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni per le casse provinciali, artt. 9-11.117 Sull’argomento, cfr. in modo particolare G. Solavaggione, Brigantaggio e con-

trabbando nella campagna lombarda del Settecento, in «Nuova rivista storica», 54 (1970), pp.23-49, 374-419.

118 ASM, UTR, p.a., cart. 689, Pianta provvisoria del Regio Ducal Magistrato, 11maggio 1772. Di particolare interesse esplicativo, a proposito dei commissari da stabilir-si nella capitale, la proposta contenuta nelle citate Annotazioni al ruolo che si propone per lacittà di Milano (ivi, cart. 687): «N° 10 La pianta stabile de’ commissari, cessati gli attua-li soggetti si potrebbe ridurre dal numero di 9 al numero di 7, cioè: 2 per la mercanzia,1 per il sale, 1 per il tabacco e polvere, 2 per la macina, dogana e bollino, 1 per le crop-pe e pelli. […] L’impiego di quelli della mercanzia sarà il medesimo che sin ora ebbero icosì detti sopraintendenti, cioè d’assistere alle dogane, e porte invigilando sopra gli assi-stenti, acciocché non segua né arbitrio, né equivoco, né daziati a danno della regalia, sic-come pure il pubblico non abbia di dolersi o per perdita di tempo, o per male maniere.

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L’altro strumento a disposizione del tribunale camerale per assicurare lasalvaguardia dei diritti dell’erario erano le guardie delle regie finanze, che«oltre alla generale dipendenza dal Regio Ducale Magistrato, saranno partico-larmente indirizzate all’intendente provinciale, il quale le distribuirà, diri-gerà, e muterà dai rispettivi posti, secondo l’esigenza della regalia»119.

Scopo precipuo delle guardie poste a presidiare le porte cittadine e glialtri luoghi di passaggio (chiamate “presentini”), e di quelle impegnate a pat-tugliare le zone di confine alla ricerca di eventuali infrazioni (i cosiddetti “bat-tidori”), era quello di contrastare per quanto possibile il dilagare della piagadel contrabbando e «di vegliare con attività, e zelo bensì, ma dentro i limitistabiliti dalle gride, istruzioni, e circolari presenti, e future alla difesa delle fi-nanze, dell’annona, e della pubblica sicurezza», vigilando altresì affinché «nonentrino, ne sortano dalle città, e luoghi generi di sorte alcuna, senza il paga-mento de’ diritti regali prescritti dalle tariffe […]; che non si commettanocontrabbandi in pregiudizio delle privative del sale, tabacco, polvere ecc.; chenon si estraggano i generi d’annona, per i quali fosse interdetta l’uscita […].Prenderanno, e riferiranno le migliori notizie sopra la verità di tutte le denun-zie, e notificazioni sopra tutto ciò, che riguarda l’interesse camerale»120.

Ad esse spettava inoltre l’incarico di fermare i viaggiatori di passaggio edi scortare alle ricettorie per i dovuti pagamenti i conduttori di merci non inregola con il fisco, mentre un’altra prerogativa loro concessa le autorizzava acompiere le necessarie perquisizioni di persone o luoghi sospetti, anche se allapresenza (o comunque dietro immediato avviso) di un giudice e, a secondadella circostanza, di un ricettore o di un deputato o console121.

Da ultimo, oltre alla difesa dei diritti della regia Camera, alle guardie

Dovranno invigilare per l’osservanza esatta della legge daziaria, con fare i rapporti imme-diati delle occorrenze, e disordini ai superiori. Quello del sale avrà cura di ritirare ognimese tutte le bollette del sale che avrà levato ciascun postaro […]. Invigilerà acciò nellavendita, massime a minuto, non sia defraudato il pubblico […]. Quello del tabacco, pol-vere e salnitri visiterà ogni giorno i botteghini e le dispense di città […]. Riconoscerà seper parte de’ venditori si farà frode, frammischiamento, bagnamento, o qualunque altraalterazione, o mal versione del tabacco. Lo stesso farà coi postari della polvere. […] Invi-gilerà alla custodia di queste privative contro i contrabbandi, e parimenti farà rapportoimmediato alle occorrenze. Quelli della macina, dogana, e bollino sopraintenderannoegualmente per l’indennità delle regalie […] con girare alle poste, e tomboni, a ricono-scere i daziati, impedire i disordini, e fare i rapporti come sopra. N° 11 Oltre i commis-sari fanno bisogno de’ sotto commissari per assistere giornalmente le poste, tomboni,mulini, e le macellerie e cervellerie, mercato di Porta Ticinese, e Balcone del verzaro».

119 ASM, UTR, p.a., cart. 687, Istruzioni per le guardie delle Regie finanze, art. 1.120 Ibidem, art. 2.121 Cfr. ibidem, artt. 6 e 11-12.

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erano pure attribuite mansioni di ordinaria polizia e, più dettagliatamente, ildovere di «vegliare alla pubblica sicurezza contro i malviventi, aggressori,ladri e simili, i quali dovranno essere fermati, e consegnati al criminale de’rispettivi luoghi»122.

Per alcuni aspetti assimilabili agli ufficiali impegnati presso le sedidecentrate del dicastero camerale, e comunque parte integrante dell’articolatosistema di tutela delle prerogative erariali, vanno infine menzionati anche i treagenti esteri che agivano per conto del dipartimento di finanza nelle città diFerrara, Genova e nella località portuale di Goro. Si trattava di figure eredita-te dalla cessata Ferma, per la quale svolgevano, a livello informale, il ruolo dicorrispondenti, informatori e rappresentanti, e di cui curavano gli interessioperando stabilmente in alcune piazze di notevole rilevanza commerciale ointroducendosi nei maggiori ambienti decisionali, primo fra tutti la corte diVienna123.

A conclusione delle osservazioni sin qui proposte, pare opportuna qualcheconsiderazione sull’entità delle dimensioni raggiunte dall’apparato costituitodalle propaggini periferiche del dipartimento di finanza, sottoposte alla guidadel Magistrato camerale dagli interventi riformatori del 1771.

Restando, per cominciare, in ambito milanese, secondo la pianta ufficialedegli uffici finanziari entro le mura del capoluogo si contavano ben 27 ricet-tori, per lo più occupati alle porte della città, sostre, tomboni, mulini e gabel-le del sale, ai quali si andavano ad aggiungere due dispensatori e 23 rivendi-tori del tabacco sparsi per la capitale. Tali funzionari dirigevano e coordinava-no il lavoro di 103 dipendenti tra sotto-ricettori, assistenti, allievi, custodi,magazzinieri, camerieri, pesatori, palatori, garzoni e spedizionieri, ed erano aloro volta periodicamente controllati da tre commissari urbani e dieci sotto-commissari.

Altri 60 ricettori (soprattutto per la mercanzia) erano attivi sotto la super-visione di tre commissari di campagna nelle comunità minori del Ducato,dove lavorava un numero di subalterni che raggiungeva in tutto le 29 unità.Secondo la pianta definitiva del dicastero approvata il 5 luglio 1773, dunque,

122 Ibidem, art. 20.123 Cfr., a riguardo, quanto descritto da G. Gregorini, Il frutto della gabella…, cit.,

pp. 263-264, in cui viene sottolineata nel 1766 la presenza per conto dell’impresa delGreppi di quattro agenti a Vienna, due a Genova e uno a Pavia. Con l’adozione del nuovosistema, venuta meno l’esigenza di mantenere un proprio rappresentante presso la corte,«si è creduta superflua la destinazione di un altro agente in Vienna, come si praticavadalla scaduta Ferma generale, ora che la finanza si amministra tutta per conto di S.M., ese n’è perciò limitato il numero a soli tre» (ASM, UTR, p.a., cart. 688, Pianta stabile delRegio Ducal Magistrato, 5 luglio 1773).

124 Elaborazione da: ASM, UTR, p.a., cart. 687, Pianta stabile del Regio DucalMagistrato camerale, Pianta degli uffici periferici di finanza.

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il funzionamento della complessa macchina burocratica deputata alla riscos-sione delle imposte indirette nella più grande provincia lombarda prevedeva,ad esclusione degli uffici centrali del magistrato, un organico di 260 pubblicidipendenti di diverso grado, mansione e stipendio, che nel solo territoriomilanese erano necessari al regio tribunale per garantire i diritti dell’erario.

Spostando invece lo sguardo sulla maggiore delle restanti province, quella diCremona, il computo concernente gli ufficiali del dipartimento di finanza facevaregistrare un totale di 111 funzionari, così suddivisi: nove nella sede dell’Inten-denza provinciale; sette, rispettivamente, alla dogana per la mercanzia, scannatu-ra e macina, al magazzino-ricettoria del sale, acquavite e salnitro e all’ufficio delbollino; sei alla bottega per la rivendita dell’acquavite; dieci tra ricettori, assi-stenti e botteghini per tabacco, polvere, neve e ghiaccio; quattro ricettori e unpesatore agli ingressi della città (le porte Po, “Ogni Santo”, San Luca e SantaMargherita); un custode per il porto fluviale di Casal Maggiore e 59 ricettoridistribuiti nei comuni minori e nelle comunità della campagna cremonese.

Le cifre riguardanti le due principali province della Lombardia austriacavanno, infine, completate dai dati riassuntivi relativi alle amministrazioni finan-ziarie delle città e contadi del Comasco (45), Pavese (59) e Lodigiano (60), la cuiorganizzazione ricalcava sostanzialmente il modello della più grande Cremona.

Per gli organi periferici del dipartimento di finanza facente capo al dica-stero camerale si ottiene quindi il ragguardevole totale di 535 funzionari, iquali, sommati ai tre agenti esteri, agli otto impiegati forensi per l’annona eai circa 180 che, dal presidente del tribunale all’ultimo degli inservienti,erano occupati presso la sede centrale di Milano, forniscono un dato comples-sivo (senza considerare gli impiegati interinali) di quasi 730 soggetti alledipendenze del solo Regio Ducal Magistrato, che a maggior ragione può esse-re perciò considerato il perno dell’edificio amministrativo asburgico erettonello Stato di Milano dai provvedimenti riformistici degli anni Settanta.

Dipendenti periferici e ricettorie del dipartimento di finanza. Distribuzione per province124

Funzionari Totale Ricettorie TotaleCittà Campagna Città Campagna

Milano 168 92 260 27 60 87Cremona 51 60 111 7 59 66Como 27 18 45 6 13 19Pavia 46 13 59 11 8 19Lodi 34 26 60 7 24 31Totale 326 209 535 58 164 222


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