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Dal vecchio Borgo alla grande Lecco

Date post: 30-Mar-2016
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di Aloisio Bonfanti
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Testi:

Aloisio Bonfanti

Progetto grafico e selezioni fotografiche:

Day&Night Graphic di Simona LissoniMandello del Lario (LC)

Stampa:

Editoria Grafica Colombo s.n.c.Valmadrera (LC)

Contributo ricerca fotografica:

Aloisio Bonfanti, Aristide Angelo Milani, Romeo Curti,Giuseppe Giudici, AL di Locatelli Alberto

Proprietà letteraria e fotografica riservata di Claudio Redaelli

a norma delle vigenti leggi nazionali per i diritti di riproduzione,

parziale o totale, salvo consenso scritto

© 2007 Claudio Redaelli

Nelle pagine precedenti, una veduta del vecchio borgo dei pescatori lungo la riva dell’Adda a Pescarenico (1870)

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Dal vecchio borgoalla grande Lecco

Aloisio Bonfanti

Edizioni Monte San MartinoLECCO

Editoria Grafi ca Colombo s.n.c.Valmadrera - Lecco

Prefazione:Claudio BottagisiClaudio Redaelli

Appendice:Angelo Sala

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Una storia d’autore

PREFAZIONE

Conosce la storia di Lecco e della sua terra come pochi altri e sa parlarne con grande dimestichezza e al tempo stesso con asso-luto rigore. Se poi si tratta di tradurla in uno scritto, o come

in questo caso in un libro, lui sa farlo con dovizia di particolari. Ha anche un altro pregio, Aloisio Bonfanti. Sa cioè guidare e addirittura accompagnare per mano il lettore alla scoperta degli avvenimenti de-scritti. L’ha fatto - non è azzardato dirlo - in ogni sua pubblicazione e lo fa in particolare in questo volume, dove si evidenzia non soltanto il gusto dello scrivere ma altresì il piacere di raccontare episodi che a una prima lettura potrebbero sembrare apparentemente insignificanti, o comunque di importanza marginale rispetto ad altri eventi su cui l’autore si sofferma, e che invece - per il periodo storico o per la circo-stanza in cui si collocano - si rivelano fondamentali per capire l’esatta portata dell’argomento trattato.È poi anche giornalista, Aloisio. E lo dimostra quando si sofferma su taluni fatti di cronaca accaduti negli anni che hanno contrassegnato il passaggio di Lecco da borgo a città. Stiamo pensando, ad esempio, alla descrizione della frana di Versasio che il mattino del 16 settembre 1882 causò la morte di sei persone, con un bilancio reso se possibile ancora più grave dal numero delle case crollate e da quello delle per-sone senza tetto, oltre che dalle decine di ettari sommersi dall’acqua e dal fango. O ancora all’episodio del dicembre 1943, mese e anno della terribile tragedia del tram deragliato in località Cavalesine, in quar-tiere San Giovanni. I morti furono 14 e oltre 30 i feriti. Non a caso Bonfanti ne parla come della più pesante tragedia cittadina di tutto il Novecento, per numero di vittime superiore alla frana del monte San Martino del ’69, allo scoppio - causato dal gas - del dicembre 1987 in rione Castello e, addirittura, alle incursioni aeree belliche della prima-vera del ’45 sulla “Fiocchi Munizioni” di Belledo.Pensiamo però anche alle pagine scritte da Lecco e dai lecchesi, con un innegabile senso della patria e del dovere e spesso anche con il sangue, durante il primo conflitto mondiale, quando una vedetta stazionava sul terrazzino terminale del campanile di San Nicolò per segnalare l’eventuale avvicinamento alla città di aerei nemici.Non mancano neppure curiosità e aneddoti (e anche questo fa parte del suo “stile”) nel libro di Aloisio Bonfanti. Tra le prime, non possiamo non annoverare il referendum di Laorca del lontano 1861, quando i ca-pifamiglia del quartiere si recarono alle urne per decidere quale dovesse

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essere la sistemazione dei fedeli all’interno della chiesa dei santi Pietro e Paolo. È certamente curioso pure il capitolo dedicato ai Carnevaloni lecchesi e, soprattutto, alle regine Grigna e ai re Resegone che si sono avvicendati nella storia delle “monarchie” della settimana grassa.Uno degli ultimi capitoli del libro non poteva peraltro non essere dedi-cato all’unificazione municipale e al regio decreto del 1923, anno che precedette l’aggregazione a Lecco dei Comuni contermini di Castello, Rancio, Laorca, San Giovanni alla Castagna, Acquate e Germanedo, nonché parte del territorio di Maggianico.Insomma storie e vicende che si sono accompagnate al cammino per-corso da Lecco per trasformarsi da vecchio borgo a città e che hanno appassionato l’autore di questo volume.Ora, però, Bonfanti lasci che ad appassionarsi siano i “suoi” lettori, pronti a “immergersi” nella ricostruzione delle vicende e nell’analisi dei problemi delle diverse realtà municipali cittadine, un tempo auto-nome e oggi quartieri della “grande Lecco”.Il libro è poi completato da un’appendice nella quale Angelo Sala, giornalista e autore di una serie di pubblicazioni dedicate a Lecco e al suo territorio, accenna alla stagione della solidarietà negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del secolo successivo. L’attenzio-ne si concentra in particolare sulla risposta a due grandi problemi di una società in rapido sviluppo: quelli dell’assistenza e della casa. E la risposta, va detto, si diversificò secondo i problemi locali e - nel caso dell’assistenza - attinse motivazioni e spinte da una tradizione tutta lecchese (per la precisione nata e cresciuta ad Acquate) piuttosto lon-tana nel tempo, ossia quella dell’ospedale della Beata Vergine Maria sorto nel 1594 per testamento di Giovanni Antonio Airoldi.Una tradizione antica, che ha largamente superato il traguardo dei 400 anni, e che continua oggi negli Istituti Riuniti Airoldi & Muzzi. Ad affrontare il problema dell’assistenza, come pure quello della casa (an-che questa un’esperienza che continua tuttora nella realtà lecchese del-l’Aler) furono di stimolo personalità e gruppi diversi, ma anche scelte e interventi autorevoli come quelli della Santa Sede, che non poterono non infl uire nelle articolazioni periferiche del movimento cattolico.C’erano però soprattutto i grandi problemi che, seppure con modalità e ritmi propriamente locali, si ponevano in tutte le aree. Il movimento cattolico e quello operaio, che a partire dall’ultimo scorcio dell’Otto-cento ebbero a Lecco una diffusione organizzata, si espressero anche nella costituzione di società di mutuo soccorso e di cooperative che operarono certamente nei casi - allora assai frequenti - di malattie e di incidenti sul lavoro (o di mancanza di lavoro) ma che divennero negli anni effettive soluzioni sociali ed economiche capaci di aggregare e di penetrare profondamente nel tessuto socio-economico locale, conse-guendo importanti risultati.

Claudio BottagisiClaudio Redaelli

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INDICE

1 Le lampade con olio del 1837 pag. 11

1850 Demarcazione di tutte le contrade, pag. 17 numerazione delle case del borgo di Lecco e di tutte le sue frazioni

2 La diligenza 1847 verso Bergamo pag. 25

3 Lecco città: 22 giugno 1848 pag. 33

4 I fratelli garibaldini di Onno pag. 43

5 Lecco italiana: 29 maggio 1859 pag. 51

6 Gli Agudio di Malgrate pag. 59

7 Il battaglione della Guardia ad Ancona e la pag. 67 votazione di Laorca 1861

8 1863: Castello sopra Lecco pag. 75

9 1869: Maggianico Comune pag. 83

10 La ferrovia verso la Valsassina pag. 91 e le corriere della Sal

11 Re Carnevalone 1884 pag. 97

12 Il monumento a Garibaldi: primo in Italia? pag. 107

13 La frana di Versasio sopra Acquate pag. 113

14 Il 20 settembre 1895 e la “Questione romana” pag. 121

15 Il campanile della prepositurale: lapis verso il cielo pag. 127

16 Un Capodanno tra due secoli pag. 135

17 Il tricolore del 1° maggio sul balcone del municipio pag. 143

18 Elezioni roventi: 1904 - 1909 pag. 149

19 Retrovia del fronte sullo Stelvio: 1915-18 pag. 157

20 I municipi e la “tappa” lecchese del Re pag. 165

21 L’unifi cazione municipale e il regio decreto 1923 pag. 173

22 11 dicembre 1943 - Il tram della morte pag. 181

APPENDICE: La grande stagione della solidarietà pag. 189

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Le lampadecon olio del 1837

O tto lampade a olio costituirono il primo impianto di pubblica illuminazione del borgo di Lecco. L’inizio, a titolo sperimen-tale, avvenne il 1° ottobre 1837, senza nessuna spesa per le

fi nanze municipali. La somma necessaria per fronteggiare il consumo d’olio, di lucignoli e candelotti era stata raccolta con elargizioni di pri-vati dal deputato Cima. Nella fase di prova, durata qualche anno, si di-scusse a lungo sul numero delle lampade da sistemare, sulla collocazione delle medesime, dal centro alla periferia, sull’orario di accensione, con fasce diverse secondo le stagioni e le fasi lunari.I componenti la Deputazione Amministrativa furono concordi sull’utili-tà dell’impianto in forma permanente e affi darono l’incarico all’agrimen-sore Francesco Provasi (lo stesso che aveva collaborato alla preparazione della pianta di Lecco del 1830) di predisporre il progetto per la notturna illuminazione del borgo. Furono particolarmente favorevoli all’iniziativa i deputati civici (vale a dire gli assessori di oggi) Giovanni Battista Erba, Giuseppe Bertarelli, Giovanni Battista Cima.La nuova illuminazione entrò in funzione il 1° gennaio 1844, l’anno che doveva vedere l’inaugurazione del Teatro della Società in quella che sarebbe poi divenuta piazza Garibaldi. Nella notte di San Silvestro, al passaggio dal 1843 al 1844, dodici lampade ruppero improvvisamente le tenebre, fra la meraviglia e l’entusiasmo dei cittadini.

CAPITOLO 1

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Una panoramica della città dal lungolago. Si può notare che la prepositurale di San Nicolò appare senza un accenno dell’altissimo campanile e sulla riva vi è solo un pontile di imbarco, senza costruzione della stazione di navigazione lacuale.

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Le lampade a olio erano state fabbricate da Giuseppe Garganico, defi nito “artefi ce privilegiato di Sua Maestà Serenissima”, che giunse a Lecco preceduto dalla fama di aver allestito analoga illuminazione a Pavia.Nella relazione del progetto, il tecnico Francesco Provasi ha descritto in questo modo le lampade: “Ognuna è composta da un ben congegna-to sistema di spranghe di ferro snodate, con gli occorrenti ordigni per abbassare e rialzare il fanale all’oggetto di accenderle e pulirle, stando l’incaricato comodo sul suolo, e anche seduto.È tale spranga assicurata in un muro sopra colonna di legno o di pietra da un lato, e dall’altro porta l’opportuno fanale costrutto alla Boudier, composto di una cassa di latta di fi gura piramidale capovolta, con lastre di vetro all’ingiro, nel cui mezzo vi esiste la corrispondente macchina di illuminazione a due, a tre ed a quattro riverberi, a seconda del servizio che ognuna di esse deve prestare. Annessi a tale meccanismo vi sono, come di pratica, gli occorrenti attrezzi”.L’ubicazione delle lampade venne dettagliatamente verifi cata, ma qual-che polemica scoppiò ugualmente per una certa rivalità fra negozianti e proprietari di stabili. I fanali apparvero al quadrivio fra la strada per la Valsassina e quella per lo Stelvio (oggi largo Montenero); all’incrocio di contrada Bovara con contrada Santa Marta; nella contrada Santa Marta stessa; in contrada dell’Angelo; nelle vicinanze della chiesa di San Nicolò. E poi ancora in piazza del Mercato (oggi XX Settembre), al Porto (ora piazza Cermenati), all’imbarcadero, all’angolo della piazza della Fiera (oggi Garibaldi).Il regolamento di manutenzione della pubblica illuminazione prevedeva che i fanali fossero accesi, eccezion fatta per i periodi di luna piena, dal suono dell’Ave Maria a un’ora dopo la mezzanotte. Nella notte della vigilia di Natale, nella commemorazione dei defunti e nelle ultime sere della settimana di carnevale, l’illuminazione doveva invece essere fun-zionante dal tramonto all’alba. Era poi prevista una straordinaria accen-sione quando, per maltempo, venisse registrata una scarsa visibilità.L’accenditore incaricato doveva vigilare continuamente sul buon fun-zionamento dell’impianto e la Deputazione Comunale si riservava di affi bbiare sanzioni fi nanziarie, con trattenute sul canone d’appalto, per fi amma spenta o languente come per il ritardo nell’accensione e per l’anticipo nello spegnimento.L’accenditore godeva, in compenso al suo duro lavoro serale e notturno, di ferie molto lunghe: dal 1° maggio al 31 agosto, quando il servizio di illuminazione veniva sospeso nei mesi della bella stagione.

Il ponte di Azzone Visconti, che i lecchesi chiamano “Vecchio”, in una foto che risale a prima degli interventi di trasformazione della parte alta, resi necessari dal transito dei veicoli a motore.

Comballi e gondole all’approdo sulla riva del porto lecchese, nel tratto oggi compreso tra piazza Cermenati e via Nazario Sauro. Il giorno di più intenso movimento era il sabato.

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L’illuminazione a olio durò dal 1844 sino al 1871, quando subentrò quel-la a gas. Avvenne pure in occasione del capodanno l’inaugurazione dei lampioni a gas. Il progetto era stato predisposto dall’ingegner Attilio Bolla e realizzato dall’impresa Antonio Badoni. Il nuovo impianto pre-vedeva 91 lampade per il borgo, oltre le otto necessarie per il corso Vittorio Emanuele (oggi corso Martiri della Libertà), da Lecco centro al quartiere Pescarenico.L’energia elettrica c’è dal 1904, con dodici lampade: cinque in via Ca-vour, due in piazza Garibaldi, una in via Roma, due in piazza XX Settem-bre e in via Stoppani. È stata una convenzione stipulata fra il Comune, rappresentato dal sindaco Giuseppe Ongania, e la Società Anonima Gas ed Elettricità, presieduta da Domenico Sala. L’energia elettrica trovava un centro urbano più che discretamente illuminato: le otto lampade del primo impianto risalente al 1937 erano salite a 230, con 61 accese tutta la notte.

L’imbarcadero, punto di imbarco e sbarco dei

numerosi passeggeri che allora usavano la

Navigazione Lariana.Si possono notare

le lavandaie sul bordo della riva e l’”Hotel

Mazzoleni - Belle Vue du Lac”, nello stabile

dove oggi c’è il ristorante “Al Pontile-Orestino”.

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1850 Demarcazione di tuttele contrade, numerazione delle case del borgo di Lecco e di tutte le sue frazioni

Al Bione1 Diego Martinez - casa masserizia

Al Guado2 Fedele Erba - casa di affi tto3 Giacinto Ghislanzoni - casa masserizia

Contrada di Carate4 Fedele Erba - casa di affi tto5 Fedele Erba ed eredi Monti fu Luigi casa di abitazione propria6 Maria Riva - casa di abitazione e di affi tto7 Fedele Erba - casa di affi tto8 Antonio Rocca - casa di abitazione propria8½ Eredi del fu Luigi Monti9 Pietro Conti ed Eredi Conti fu Innocente casa di abitazione propria9½ Giovanni Botta e Giuseppe del fu Giuseppe Conti10 Tommaso Fumagalli ed Eredi Monti fu Battista casa di abitazione propria e d’affi tto11 Eredi Conti fu Giuseppe - casa di abitazione propria

Piazza del Pesce12 Eredi Monti fu Franco - casa non abitata13 Battista Ghislanzoni - casa di affi tto14 Monti, Erba e soci - casa per magazzeno del pesce

Contrada Maggiore15 Gottardo - casa d’affi tto16 Monti, Erba e soci - casa per magazzeno del pesce17 Francesco Ghislanzoni - casa d’abitazione propria18 Battista Biffi - casa d’abitazione propria19 Eredi Monti fu Giovanni Battista casa d’abitazione20 Angelo Gilardi - casa d’abitazione propria21 Francesco Monti - casa d’abitazione propria22 Luigi e Fedele F.lli Monti ed Eufrasio Polvara casa d’abitazione propria23 Luigi Antonio e Giuseppe Conti, e Francesco Bussola - casa d’affi tto24 Carlo Erba del fu Martino - casa d’abitazione24½ Carlo Erba fu Federico

25 Pietro e f.lli Corti26 Francesco Biffi - casa d’abitazione d’affi tto27 Stefano Pellegrini - casa d’affi tto28 Carlo Farina - casa d’affi tto29 Carlo Pellegrini - casa d’abitazione propria30 Cesare e Giuseppe Monti - casa d’affi tto31 Carlo Pellegrini - casa d’affi tto32 Giovanni Erba del fu Giuseppe33 Giovanni Rocca

Vicolo del Rizzo34 Giovanni e F.lli Monti fu Luigi - casa d’affi tto35 Francesco Monti - casa d’abitazione36 Cesare Monti ed Angelo e F.lli Monti casa d’abitazione37 Monti Carlo e fratello fu Francesco casa d’abitazione

Contrada della Madonnina38 Giuseppe Colombo - casa d’abitazione propria39 Giuseppe Colombo - casa d’affi tto40 Carlo e Giovanni Riva fu Silvestro casa d’abitazione propria41 Castelletti Giuseppe - casa d’abitazione42 Carlo Gilardi - casa d’abitazione43 Cattaneo Lucia e Battista Rocca - casa d’abitazione44 Giuseppe e fratelli Ghislanzoni fu Igniazio casa d’abitazione45 Giuseppe e fratelli Polvara fu Giovanni Maria casa d’abitazione46 Giuseppe Negri, Giuseppe Biffi , Giosuè Gilardi casa d’abitazione d’affi tto47 Giovanni Monti fu Pasquale - casa d’abitazione48 Battista Conti fu Damiano e Giovanna Conti casa d’abitazione d’affi tto49 Giovanni Monti fu Pasquale - casa d’affi tto50 Giuseppe Conti fu Giovanni - casa d’affi tto

Contrada di Mezzo51 Carlo Erba fu Federico - casa d’affi tto52 Antonio Maria Ghislanzoni, Natale Ghislanzoni, Mansueto Gilardi - casa d’affi tto e abitazione

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Il Grand Hotel Lecco, con balcone panoramico centrale e lunghe terrazze per la vista del lago.Era molto frequentatonel mese di settembre e nei primi giorni di ottobre, la stagione del “dolce autunno dei laghi”.

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Contrada del Fossato53 Pietro Polvara - casa d’abitazione e d’affi tto54 Giuseppe Ghislanzoni, Carlo Maria Monti e Giovanna Butti - casa d’abitazione propria e d’affi tto55 Battista Riva fu Antonio - casa di abitazione propria56 Benefi cio Polvara - casa d’affi tto57 Pasquale Ghislanzoni - casa d’abitazione propria58 Legato dei Poveri - casa d’affi tto

Piazzetta del Fossato59 Francesco e Gaetano Ghislanzoni del fu Giovanni Giuseppe - casa d’affi tto e d’abitazione propria60 Antonio Ghislanzoni del fu Igniazio casa d’abitazione61 Pietro Benassedo - casa d’abitazione62 Carlo Benaglio - casa d’abitazione63 Carlo Benaglio - casa d’affi tto64 Legato dei Poveri - casa d’affi tto

Vicolo del Pesce65 Marianna Dell’Oro - casa d’abitazione propria66 Michele Polvara - casa d’abitazione propria

Alla Tribulina67 Girolamo Monti - casa d’affi tto

Vicolo dello Stallo68 Luigi e Carlo Monti del fu Battista casa d’abitazione69 Michele Monti fu Evangelista - casa d’abitazione70 Eufrasio monti fu Evangelista - casa d’abitazione71 Giovanni Erba fu Giuseppe - cassina

Contrada della Vianella72 Marcello Monti di Milano - casa d’affi tto

Strada del Pescherino73 Carlo Antonio Colombo e Galli Antonio casa d’affi tto e abitazione propria74 Benefi cio Cima - casa d’affi tto75 Giuseppe Bertarelli - casino non abitato

Strada Provinciale per Bergamo76 Giacomo Negri - casa d’uso osteria77 Girolamo Monti - casa d’abitazione d’affi tto78 Giovanni Erba fu Giuseppe - casa d’affi tto79 Fedele Erba - casa d’abitazione

Piazzale del Padre Fra Cristoforo80 Fratelli Erba del fu Giovanni Battista convento d’affi tto81 Corti Giovanni - casa d’affi tto

Strada per Belledo82 Ignazio Negri del fu Francesco casa d’abitazione propria

83 Pietro Confalonieri - casa d’abitazione propria84 Benefi cio - casa d’affi tto

Contrada del Piscen85 Carlo Pellegrini - casa d’affi tto

Strada del Colombaio86 Giuseppe Gesuè Fratelli Monti del fu Giuseppe casa d’abitazione87 Gaetano Negri di Giuseppe - casa d’uso osteria88 Giovanni Monti fu Giuseppe - casa d’abitazione89 Eredi del fu Luigi Monti, Alessandro e f.lli Monti fu Giuseppe - casa d’abitazione propria e d’affi tto90 Ignazio Ghislanzoni fu Evangelista - casa d’affi tto91 Ignazio Corti - casa d’abitazione92 Ignazio Corti - casa d’affi tto93 Giovanni Ghislanzoni fu Daniele casa parte d’abitazione propria e parte d’affi tto94 Antonio Ghislanzoni fu Daniele casa d’abitazione propria95 Eredi del fu Pietro Malugani - casa d’affi tto96 Franco Ghislanzoni fu Daniele - casa d’abitazione97 Battista Biffi del fu Evangelista - casa d’uso osteria98 Giovanni Gamba fu Francesco casa d’abitazione d’affi tto

Al Colombaio99 Giovanni Gilardi fu Domenico - casa d’uso osteria100 Stefano Pellegrini - casa d’affi tto101 Alessandro Scola fu Giuseppe - casa da massaro102 Fedele e Giuseppe fratelli Erba fu Battista casa d’affi tto103 Gerolamo Scola fu Giuseppe - casa da massaro104 Diego Martinez - casa d’affi tto e da massaro

Al Caleotto105 Gerolamo Scola fu Giuseppe caseggiato grande d’abitazione propria e d’affi tto106 Gerolamo Scola fu Giuseppe casa d’affi tto unita al palazzo107 Gerolamo Scola fu Giuseppe casa da massaro vicino al ponticello108 Gerolamo Scola - casa d’affi tto109 Gerolamo Scola - casa d’affi tto

Cassina Brusada110 Gerolamo Scola - casa da massaro

Alla Fiandra111 Antonio Locatelli - casa da massaro

Alla Foppa112 Pompeo Radaelli - casa d’affi tto113 Gregorio Scandella - casa d’affi tto

Corso di Pescarenico114 Angelo Mauri - casa d’uso osteria

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115 Francesco Gamba di Pasquale - casa d’uso osteria116 Ferdinando Rocca - casa d’abitazione propria

Strada al Ponte Grande117 Figini Carlo - casa d’affi tto ad uso osteria118 Ambrogio e fratelli Manzoni casa d’abitazione propria e d’affi tto119 Giuseppe Pigazzini - casa d’affi tto120 Mauri - casa d’uso pelatteria

Strada del Lazzaretto121 Francesco Locatelli - casa d’affi tto e d’abitazione122 Eredi Scanagatti fu Carlo - casa d’affi tto123 Eredi Scanagatti - casa d’affi tto124 Labiche - casa masserizia125 Giuseppe Campelli - casa d’abitazione propria126 Labiche - casa masserizia127 Antonio Locatelli - casa d’affi tto lungo al Caldone128 Antonio Locatelli casa d’affi tto vicino al ponte piccolo129 Cesare Campelli casa d’abitazione con fi latoio da seta

Strada del Caleotto130 Giovanni Gilardi caseggiato nuovo d’abitazione d’affi tto131 Giovanni Gilardi - caseggiato nuovo d’affi tto132 Carlo Pirovano caseggiato d’abitazione con fi latoio da seta

Corsia133 Giovanni Gilardi - casa rustica134 Eredi del fu Vittore Cremona - casa rustica135 Giovanni Gilardi - casa d’affi tto136 Giovanni Gilardi - casa d’affi tto137 Eredi del fu Vittore Cremona casa d’abitazione propria

Contrada del Caldone138 Riva Francesco - casa d’affi tto139 Eredi di Vittore Cremona140 Riva Francesco - casa d’affi tto141 Eredi di Vittore Cremona - albergo del ponte142 Riva Francesco - casa d’affi tto

Piazza della Fiera143 Riva Francesco - casa di propria abitazione144 Bartolomeo Bartolazzi, Cecilia Gattinoni ed Eredi di Angelo Pozzi casa ad uso osteria e d’affi tto145 Giuseppe Gamba - casa d’affi tto146 Giuseppe Gamba - casa d’affi tto147 Antonio Gamba - stallazzi

Contrada di Carate148 Airoldi Giuseppe - casa d’abitazione

149 Giovanni Gilardi150 Giuseppe Bertarelli - cereria151 Eredi del fu Serafi no Nava - casa d’affi tto

Contrada di S. Giacomo152 Alessandro Signorelli - casa d’affi tto153 Giuseppe Corti e Gaetano Canali casa di loro abitazione154 Battista Riva - casa d’abitazione155 Cornelio Zaccaria - casa d’uso osteria156 Alessandro Gattinoni, Lorenzo Mazzoleni, Teresa Possanza maritata Gattinoni - casa d’abitazione157 Giuseppe Gamba casa d’uso osteria, albergo delle due Torri158 Eredi Agliati fu Lorenzo159 Eredi Nava fu Angelo - casa, albergo delle due Torri160 Eredi Ghislanzoni fu Carlo Giuseppe casa di propria abitazione161 Antonio Gamba casa d’abitazione propria e d’affi tto162 Giovanni Stoppani casa d’abitazione propria e d’affi tto163 Eredi Nava fu Angelo albergo della Croce di Malta

Vicolo Privato164 Eredi Sesini fu Giovanni Batta casa d’abitazione propria e d’affi tto165 Natale Riva di Angelo casa d’abitazione propria e d’affi tto166 Natale Riva - casa rustica non abitata167 Cornelio Zaccaria - casa rustica168 Pasquale Colombo - casa d’affi tto

Piazza del Teatro169 Antonio Tagliaferri - casa di sua abitazione170 Antonio Gamba - osteria del Morone171 Francesco e fratelli Cornelio - osteria dell’Arpa172 Cornelio suddetti - botteghe d’affi tto173 Cornelio suddetti fabbrica nuova tuttora incompleta174 Locali del Teatro

Contrada del Lago175 Fratelli Anghileri fu Giovanni casa d’abitazione propria e d’affi tto176 Francesco e fratelli Cornelio - casa d’affi tto177 Antonio Pini - casa d’uso osteria178 Francesco e fratelli Cornelio - casa d’affi tto179 Tentori Eredi del fu Giuseppe caseggiato d’abitazione propria e d’affi tto180 Eufrasio Polvara casa d’abitazione propria e d’affi tto

Piazzetta dei Galli181 Eufrasio Polvara - casa d’affi tto

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182 Giuseppe Scanagatti, Gnecchi Franco e Cugini Gatti - casa d’affi tto e d’abitazione propria

Spiaggia del Lago ai Galli183 Francesco Gnecchi - nuovo caseggiato184 Francesco Gnecchi - nuovo caseggiato185 Paolo Galli - casa d’abitazione propria

Contrada delle Torre186 Giovanni Gilardi - casa d’affi tto187 Fratelli Tentori casa d’affi tto e d’abitazione propria188 Francesco Riva - casa d’affi tto189 Giovanni Gilardi - casa d’affi tto190 Francesco Riva - casa d’affi tto191 Fratelli Cirati - casa di loro abitazione192 Lelio Baruffaldi - casa d’affi tto

Contrada Nuova193 Invernizzi Antonio casa d’affi tto e d’abitazione propria194 Carlo Rusconi - casa d’abitazione propria195 Angelo Mauri fu Francesco casa d’abitazione propria e d’affi tto196 Eredi di fu Ubaldo Gattinoni casa parte d’affi tto e parte d’abitazione propria197 Pasquale Baggioli casa parte d’affi tto e parte d’abitazione propria198 Eredi del fu Paolo Ghislanzoni - casa d’affi tto199 Eredi Monti fu Stefano - casa d’uso albergo200 Ezechiele Mauri - casa d’affi tto201 Francesco Riva - casa d’affi tto202 Ezechiele Mauri - albergo del Leon d’Oro

Contrada Larga203 Gaetano Confalonieri - casa d’affi tto204 Fratelli Nava del fu Angelo casa d’affi tto annessa alla Croce di Malta205 Eredi del fu Paolo Ghislanzoni casa d’affi tto e d’abitazione propria206 Ezechiele Mauri - casa d’affi tto207 Fratelli Nava del fu Angelo casa d’affi tto annessa alla Croce di Malta208 Gesuè Mazzoleni casa d’abitazione propria e d’affi tto 209 Andrea Mauri - casa d’affi tto e d’abitazione propria210 Ezechiele Mauri - casa d’affi tto211 Giovanni Stoppani - casa d’affi tto212 Giovanni Secchi - albergo del Falco213 Antonio Locatelli - casa ad uso osteria214 Giuseppe Airoldi - casa d’affi tto

Contrada Stoppa215 Locatelli Antonio - casa d’affi tto216 Giovanni Gattinoni - casa d’affi tto217 Giovanni Stoppani - casa di educazione

Contrada di S. Marta218 Giovanni Todeschini casa d’affi tto e d’abitazione propria219 Eredi Mauri fu Giuseppe casa d’affi tto e d’abitazione propria220 Giacinta Agudio Crespi - rustico non abitato221 Eredi Mauri fu Giuseppe - stallazzi222 Abbondio Monti casa d’affi tto e d’abitazione propria223 Diego Martinez casa d’affi tto e d’abitazione propria224 Spirito Rovegnati - casa ad uso osteria225 Spirito Rovegnati - casa d’affi tto226 Giosuè Anghileri - casa d’affi tto227 Francesco Mandelli casa d’affi tto e d’abitazione propria228 Battista Scatti - casa d’affi tto229 Casa dell’Oratorio di Santa Marta230 Francesco Mandelli - casa d’affi tto231 Longhi Pompeo casa parte d’affi tto e parte d’abitazione propria232 Giosuè Gilardi - casa d’affi tto233 Fratelli Nava del fu Serafi no - casa d’affi tto234 Serafi no Cazzaniga casa d’affi tto e d’abitazione propria235 Angelo Nava del fu Angelo - osteria del Moro

Contrada del Pozzo236 Francesco Locatelli - casa d’affi tto237 Fratelli Nava del fu Angelo - casa d’affi tto238 Agudio - casa d’affi tto, e d’abitazione propria239 Bonacina Giuseppe - casa d’affi tto240 Giuseppa Cornelio maritata in Burocco casa d’affi tto241 Ezechiele Conti - casa d’affi tto242 Giuseppe Erba - casa d’affi tto243 Bira Balbiani, Eredi di Agostino Rusconi e Paolo Balbiani - casa di loro abitazione244 Giuseppe Erba - casa di propria abitazione

Piazzetta del Teatro245 Salvatore Monti - casa d’abitazione propria246 Salvatore Monti - casa d’affi tto247 Ezechiele Mauri - casa d’affi tto248 Eredi Mauri fu Giuseppe - casa d’affi tto

Vicolo del Leon d’Oro249 Giuseppe Castelli ed Angela Milani casa d’abitazione250 Ezechiele Mauri - casa d’affi tto

Piazza del Mercato251 Fratelli Gamba fu Luigi - casa d’abitazione propria252 S.R. Pretura253 Costantino Molteni - Albergo d’Italia

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254 Fratelli Cima fu Giovanni Batta casa d’abitazione e d’affi tto255 Cima suddetti256 Eredi Malugani fu Pietro257 Serafi no Cazzaniga - casa d’abitazione propria258 Giovanna Doniselli - casa d’affi tto259 Angelo Nava - casa di commercio260 Pietro Stoppani - casa d’abitazione propria261 Parroco Valsecchi d’Aquate - casa d’affi tto262 S.R. Finanza263 Carlo Tarelli, ed Eredi Nava fu Serafi no casa rustica d’affi tto264 Maria Longhi vedova Nava265 Eredi Nava fu Serafi no - casa d’abitazione propria

Contrada dei Cantarana266 Giuseppe Bertarelli casa d’abitazione propria e d’affi tto267 Francesco Greppi - casa d’abitazione propria268 Felice Colombo - casa d’abitazione propria269 Giosuè Anghileri - casa d’abitazione propria270 Giuseppe Bertarelli271 Cornelia Buvocco - casa d’affi tto272 Giuseppe Maroni

Contrada Bovara273 Angelo Nava, Gaetano Confalonieri casa di uso proprio274 Angelo Mauri casa parte d’affi tto e parte d’abitazione propria275 Marietta Gregorio - casa d’affi tto276 Giuseppe Bovara - casa d’affi tto277 Giosuè Gilardi - casa d’affi tto278 Diego Martinez279 Pietro Valsecchi - casa d’affi tto280 Nava eredi fu Angelo281 Giuseppe Bovara - casa con fi latoio da seta282 Giuseppe Bovara - casa d’affi tto283 Pompeo Radaelli - casa d’affi tto284 Pompeo Radaelli - casa d’affi tto285 Eredi del fu Giuseppe Mauri - casa d’affi tto286 Eredi del fu Giuseppe Mauri - casa d’affi tto287 Bovara, e Pompeo Radaelli - casa d’affi tto288 Bovara casa d’abitazione propria con Edifi ci da seta289 Pompeo Radaelli - casa d’abitazione propria290 Bovara - casa d’affi tto

Contrada dell’Angelo291 Rosa Gerosa - casa d’affi tto292 Clotilde Casati maritata Mauri293 Giuditta Cantù vedova Pellegrini294 Sorelle Mazzola fu Pietro - casa d’abitazione propria295 Marietta Gregorio - casa d’affi tto296 Brambilla Giuseppe - casetta d’affi tto

297 Fratelli Cornelio fu Francesco casa d’affi tto e d’abitazione propria298 Marietta Gregorio casa d’affi tto e d’abitazione propria299 Vitto Gatti - casa d’abitazione propria300 Pompeo Corti - casa d’abitazione301 Fratelli Rossi fu Calimero302 Fratelli Ghislanzoni fu Giuseppe303 Fratelli Rossi fu Calimero304 Casa Cogitoriale305 Battista Scatti - casa d’affi tto

Strada Militare306 Gattinoni Antonio casa parte d’uso proprio, e parte d’affi tto307 Giacinta Agudio maritata Crespi - casa d’affi tto308 Zaccaria Gilardi - casa d’affi tto309 Suddetto - Osteria del Cappello310 Angelo Gattinoni casa d’abitazione propria con Edifi ci da seta311 Antonio Rusconi casa d’abitazione propria e d’affi tto312 Cosmo Pini - casa d’abitazione propria313 Cosmo Pini - casa d’affi tto314 Francesco Vassena casa d’abitazione propria e d’affi tto315 Pasqualina Doniselli, vedova Parolari casa d’abitazione propria315½Pompeo Radaelli - casa d’affi tto316 Giuseppa Cornelio maritata Burocco

Contrada dell’Ospitale317 Luigi Rovegnati casa in parte d’uso proprio, ed in parte d’affi tto318 Eredi Corti fu Giacinto - casa in parte ad uso Osteria, ed in parte ad uso proprio319 Ospitale

Porto Maggiore320 Fedela Borini vedova Nava casa d’abitazione propria321 Giuseppe Bovara - Osteria dell’Angelo322 Franco Panzeri casa parte d’affi tto e parte abitazione propria323 Dionigi, e fratelli Ghislanzoni fu Giuseppe casa d’abitazione propria324 Casa Prepositerale325 Batta Scatti - casa d’affi tto

Spiaggia del Lago326 Giovanni Gilardi - casa d’abitazione propria327 Costantino Molteni - casa d’affi tto328 Battista Fossati - casa d’abitazione propria

Vicolo del Torchio329 Bovara - casa d’affi tto

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330 Maria Corti - casa parte d’affi tto e parte d’abitazione propria

Vicolo S.Elena331 Francesco Panzeri - casa d’affi tto332 Giovanni Longhi - casa d’affi tto333 Pompeo Corti - casa d’affi tto334 Maria Corti - casa d’affi tto

Contrada della Maddalena335 Angelo Nava casa d’abitazione propria, detta Casa Sonzini336 Suddetto - casa d’affi tto, detta come sopra337 Battista Scatti - casa d’abitazione propria338 Suddetto - casa d’affi tto339 Bartolomeo Colombo - casa d’abitazione propria340 Francesco Riva - casa d’affi tto341 Antonio Manzoni - Fucine342 Marianna Dall’Oro casa parte d’affi tto e parte d’abitazione propria

Piazzetta della Malpensata343 Marianna Dell’Oro - casa d’affi tto344 Carlo Torri Tarelli - rustici345 Suddetto - Osteria della Maddalena346 Suddetto - caseggiato parte d’affi tto e parte d’abitazione propria

Contrada della Malpensata347 Alessandro Crotta casa d’abitazione con fi latoio da seta348 Crotta suddetto - casa di proprio uso349 casa d’affi tto350 Eredi del fu Giuseppe Valsecchi casa d’abitazione propria351 Rosa Chiesa - casa d’affi tto352 Andrea Mauri - casa d’affi tto353 Giacinto Longhi - casetta d’abitazione propria354 Bernardo Cendali - casa d’abitazione propria355 Labiche - casa da massaro356 Dionigi, e fratelli Ghislanzoni357 Bernardo Cendali - casa d’abitazione propria358 Antonio Monti - casa d’abitazione propria359 Giacomo Castagna - casa d’abitazione propria360 Labiche - casa d’affi tto

361 Antonio Tagliaferri - casa d’affi tto362 Sorelle Mazzola - casa d’affi tto

Malpensata363 Caterina Citera casa parte d’affi tto e parte d’abitazione propria364 Dionigi, e fratelli Ghislanzoni - casa di proprio uso365 Francesco Bianchi di Milano - casa366 Dionigi, e fratelli Ghislanzoni - casa d’affi tto367 Suddetti - casa d’affi tto368 Francesco Bianchi - casa d’affi tto

Contrada del Cimitero369 Eredi Nava fu Serafi no - casa in parte di proprio uso ed in parte ad uso caserma370 Angelo Nava - rustici371 Giuseppe Bovara - rustici

Alle Foppe372 Casa masserizia373 Casa masserizia

Spirola374 Giuseppe, e fratelli Mauri fu Steffano casa masserizia375 Eredi Corti detti - casa d’abitazione propria

Alla Buga376 Prebenda prepositurale - casa masserizia

S. Stefano377 Prebenda prepositurale - casa masserizia378 Fratelli Mauri fu Steffano - casa masserizia

Alle Capigliate379 Eredi Ranieri - casetta di uso proprio380 Scatti Giovanni Battista - casa di proprio uso381 Bartolomeo Colombo - casa masserizia382 Pompeo Radaelli - casa masserizia383 Eredi Agudio - casa masserizia

Belvedere384 Vergottini - casa civile d’abitazione385 Suddetto - casa masserizia

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Il 10 agosto 1847 Francesco Gamba, albergatore del “Croce di Mal-ta”, presentava domanda all’Imperial Regio Delegato Provinciale di Como e, per conoscenza, al Commissario Distrettuale di Lecco

per ottenere la licenza di viaggio giornaliero con trasporto di persone da Lecco a Bergamo. Il viaggio, con previsto ritorno, sarebbe avvenuto con carrozza diligenza senza cambio di cavalli. Nella domanda, Gamba ricordava che già da tempo veniva svolto, per sua iniziativa, un collega-mento fra Lecco e Bergamo e che, essendo intenzionato a stabilirlo rego-larmente, con partenza a orari precisi, chiedeva la concessione formale della relativa licenza.Il programma della nuova corsa prevedeva la partenza da Lecco alle ore 4.30 dall’albergo “Croce di Malta”, in quella che sarà poi via Roma-piaz-za Garibaldi. Il viaggio di ritorno avrebbe preso il via da Bergamo alle ore 16 dall’albergo “Reale”, detto “della Ganascia”. Sulla diligenza da Ber-gamo sarebbe stato possibile prenotare biglietti per quella che da Lecco partiva alla volta di Como. All’arrivo al “Croce di Malta” i viaggiatori avrebbero potuto salire sulle vetture per Monza e anche sulle corse posta-li in transito dal borgo e dirette verso lo Stelvio e lo Spluga, che facevano tappa in Contrada Larga, oggi via Cavour. Il programma di Francesco Gamba indicava pure che presso il suo albergo erano disponibili, a prezzi modici, vetture e calessi per tutte le località del territorio lecchese.

La diligenza 1847verso Bergamo

CAPITOLO 2

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Piazza Garibaldi, con il Teatro della Società, e al centro il monumento al condottiero dei Mille, ancora circondato dalla bassa cancellata.

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Il sistema di comunicazioni in tutta la Lombardia era in quel tempo ben poco sviluppato, mentre si affacciavano crescenti richieste di viaggia-tori e di commerci. Le diligenze celeri private, come quelle del Gamba, sopperivano a lacune dei trasporti pubblici ancora affi dati ai vecchi postali. Ma anche il servizio delle Imperiali Poste non brillava per col-legamenti rapidi e moderni. Da Lecco a Introbio, per esempio, c’era ancora il pedone postale Giuseppe Locatelli, che, quotidianamente, si sobbarcava con... il cavallo di San Francesco il viaggio di andata e ritorno in Valsassina con qualsiasi condizione meteorologica. All’ini-zio dell’inverno Locatelli era solito chiedere alla Direzione Postale di Como di poter anticipare dalle 14 alle 12 la partenza da Introbio per evitare il buio e il freddo del precoce tramonto.Tornando alla diligenza del Gamba, c’è da dire che l’intraprendente albergatore del “Croce di Malta” non ebbe la soddisfazione di vedere funzionante, per molti anni, il suo servizio con Bergamo; scomparve, infatti, nell’autunno 1850, dopo soli tre anni dall’entrata in funzione del collegamento celere. Come titolare di licenza subentrò la consorte, Carolina Mauri ved. Gamba.La mancanza dell’albergatore fece però sorgere i primi disguidi organiz-zativi. La Direzione Postale di Bergamo interveniva presso il Commissa-riato Distrettuale di Lecco segnalando che, alla partenza da Bergamo, la diligenza effettuava il cambio dei cavalli senza la prescritta autorizzazio-ne e senza corrispondere ai maestri di posta le indennità previste.Nel 1854 avveniva il cambio della guardia per il titolare della licen-za. La Direzione Superiore delle Poste del Regno Lombardo-Veneto, con provvedimento assunto in Verona il 10 dicembre 1854, affi dava a Giovanni Viganò la licenza per una corsa giornaliera Lecco-Bergamo e viceversa, senza cambio di cavalli. Con l’arrivo del Viganò non man-carono le novità. L’impresa assunse la denominazione di “Omnibus fra Lecco e Bergamo”, con partenza da Lecco all’albergo “Due Torri” e arri-vo a Bergamo, alla solita Ganascia, dopo aver percorso la strada postale Cava di Caprino-Ponte San Pietro. Gli orari erano i seguenti: partenza a Lecco alle 5 con arrivo alle 9 a Bergamo; ritorno alle 14.30 con arrivo a Lecco alle 18.30. Quattro ore esatte di viaggio.L’impresa impegnava nel servizio due carrozze: la prima con tredici po-sti, la seconda con dieci. Le carrozze erano tirate da tre cavalli, ma i quadrupedi aumentavano in caso di neve o di pioggia abbondante.L’omnibus del Viganò cessò il servizio nel 1863, con l’entrata in fun-zione della linea ferroviaria Lecco-Bergamo, primo allacciamento di strada ferrata della città manzoniana.Lo storico albergo “Croce di Malta” ha chiuso i battenti nel 1993. Ha avuto una storia lunga, secolare, che si concluse il 1° ottobre di quel-l’anno, quando l’albergo contava 48 camere. Il congedo avveniva con la famiglia Negri, presente al “Croce di Malta” dal 1930, dopo l’acquisto dell’albergo dalla proprietà della famiglia Nava-Torri Tarelli. Giuseppe e Pietro Negri erano arrivati al Croce di Malta dall’Albergo Corona, oggi Moderno, vicino al municipio. Rinnovarono l’albergo e, dopo i necessari lavori, aprirono i battenti il 21 novembre 1931.

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Piazza Garibaldi osservata con fronte via Cavoure con l’albergo “Croce di Malta”. Si può notare sulla destra il palazzo che per cinquant’anni, dal 1913 al 1963, ha ospitato l’Agenzia lecchese della Banca d’Italia, divenendo poi civico palazzo Enrico Falck e ora sede dell’Unione Commercianti.

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L’ultimo componente della famiglia Negri impiegato al “Croce di Mal-ta” è stato Luigi.Le lapidi del “Croce di Malta” ricordano i risorgimentali passaggi di Giuseppe Garibaldi, il discorso manzoniano di Giosué Carducci nel 1891, in occasione dell’inaugurazione del monumento lecchese all’au-tore de “I Promessi Sposi”.Requisito dai tedeschi durante la guerra 1944-45 per sede di comando, il “Malta” ha poi visto gli alleati dopo la Liberazione. Dal balcone sulla piazza si sono tenuti i comizi della rinascita democratica post-bellica. Il più noto è stato quello di Pietro Nenni, leader nazionale del Partito Socialista.Il 3 novembre 1957 è morto improvvisamente, in una stanza del primo piano, Giuseppe Di Vittorio, segretario nazionale della Camera del La-voro, protagonista del sindacalismo internazionale, giunto a Lecco per inaugurare la nuova sede di via Sirtori della Cgil.È stato anche l’albergo dei grandi pranzi risorgimentali e garibaldini. Il qua-rantesimo della battaglia di Mentana (1867) venne salutato dal banchetto di 150 commensali; ai reduci delle giubbe rosse parlarono, con vibranti interventi, il prof. Mario Cermenati e il sindaco, Giuseppe Ongania.Anche l’ascesa del 15 settembre 1895, sulle pendici del monte Rese-gone, per l’inaugurazione della Capanna “Stoppani”, primo rifugio del Cai Lecco, si concluse in serata al “Malta” con una memorabile cena. Il proprietario di allora, Albertini, preparò un menù eccezionale per au-torità, rappresentanti del Cai, inviati dei quotidiani nazionali, signore della società lecchese, pionieri dell’alpinismo.È stato l’hotel dei soggiorni delle compagnie di prosa, di varietà e di rivista, che si sono esibite sul palcoscenico del vicino, prestigioso Tea-tro della Società. Emilia Negri Locatelli, della famiglia dei proprietari dell’albergo, ha conservato un eccezionale album di fotografi e, con de-diche e autografi , di grandi attori della prima metà del Novecento che hanno pernottato al “Malta” per gli spettacoli al Sociale.

La cartolina dell’albergo-ristorante “dell’Arpa”, nell’edifi cio di piazza Garibaldi che ora accogliela Banca Popolare di Lecco.

L’hotel ristorante “Croce di Malta” in una foto di fi ne Novecento, poco prima della sua chiusura,avvenuta nel 1993. La sua attività era iniziata nella prima metà dell’Ottocento, anche come rimessadi sosta per diligenze passeggeri e postali.

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Militare piemontese “di fanteria” in una rievocazione storica delle vicende risorgimentali 1848-1849.

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Le prime notizie di Milano in rivolta contro gli austriaci giunsero a Lecco nella mattinata del 18 marzo, portate da viaggiatori. Il mancato arrivo della diligenza pomeridiana da Milano (non era

possibile uscire dalla città in quanto il comando militare austriaco aveva fatto chiudere le porte) diffuse maggiormente le voci del mattino.Numerosi cittadini si radunarono in piazza del Mercato e manifestarono sostegno alla rivolta milanese. L’aria diffi cile del momento venne subi-to intuita dalla guarnigione austriaca, formata dalla 10ª compagnia del reggimento Geppert che si chiuse in caserma. Analogo comportamento venne assunto dalla brigata dell’Imperial Gendarmeria.Nella serata del 18 ebbe inizio il reclutamento di volontari per la costi-tuzione della guardia civica. Il giorno successivo, 19 marzo, altre notizie giunsero da Milano in rivolta.All’alba del giorno 20 il centro di Lecco vide un’imponente manifesta-zione popolare. Oltre diecimila persone, convenute anche dal territorio, manifestarono per i fatti di Milano, chiedendo la resa della guarnigione austriaca nel borgo. Il prevosto don Antonio Mascari e l’ing. Giusep-pe Badoni, che diventerà il presidente del Comitato civico di Sicurezza Pubblica, trattarono la resa del reparto.Partiva verso Milano la prima colonna di volontari lecchesi: era formata da circa 150 uomini agli ordini di Cesare Grassi e Enrico Corti. Il Comita-

Lecco città:22 giugno 1848

CAPITOLO 3

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Lo storico decreto del Governo provvisorio della Lombardia che il 22 giugno 1848 ha decretato la promozione del borgo di Lecco al rango di città.

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Un altro decreto del Governo provvisorio della Lombardia insediato a Milano dopo i fatti insurrezionali delle Cinque Giornate del marzo 1848. È il provvedimento che eleva a dogana la ricevitoria principale di Lecco.

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Rievocazione storica delle barricate degli insorti

milanesi contro gliaustriaci nelle Cinque

Giornate del 1848.

Bandiere di associazioni d’arma che si preparano

alla sfilata per le viedel centro cittadino lecchese, nel 150°

anniversario (1998) di Lecco divenuta città.

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to di sicurezza pubblica veniva composto da Giuseppe Badoni, Francesco Resinelli, Antonio Pestalozza, Ignazio Corti, Bartolomeo Spini, Filippo Riva, Francesco Mandelli, Giuseppe Romanelli, Carlo Marianini, Caio Gracco Ticozzi, Giuseppe Arrigoni e Giovanni Battista Ghislanzoni.La colonna di Corti e Grassi raggiungeva Monza il 21 marzo e contribuiva alla resa delle truppe austriache del locale presidio. Una seconda colonna di volontari, con 350 uomini, giunti anche dal lago e dalla Brianza, par-tiva da Lecco e si univa alla precedente alla periferia di Milano, parteci-pando vittoriosamente agli scontri di Porta Nuova e di Porta Comasina.Il Comitato civico di Lecco informava i cittadini tramite un bollettino, quotidianamente preparato dall’ingegner Giovanni Arrigoni con la col-laborazione di Giovanni Battista Ghislanzoni.A metà del mese di aprile il Comitato di guerra di Milano ordinò ai re-parti lecchesi, reduci dai combattimenti di Monza e di Milano, di vigilare la zona del Passo Stelvio. La neve ancora alta impediva, però, operazioni militari ad alta quota; i volontari lecchesi vennero, quindi, momenta-neamente impegnati con alcune squadre della zona di Brescia.Nel mese di maggio si apriva il fronte dello Stelvio e una colonna di 163 lecchesi raggiunse Bormio per proseguire poi verso il passo. Il 3 giugno altri 40 uomini lasciavano Lecco diretti allo Stelvio. La larga partecipa-zione lecchese alla difesa dello Stelvio, per impedire la calata a valle di una armata austriaca, aumentò le benemerenze del borgo. Il Governo provvisorio di Lombardia, con decreto del 22 giugno 1848, promuoveva Lecco al rango di città “per il fervore con cui abbracciò la causa nazio-nale, per la perseveranza onde in ogni guisa la sostenne, mostrandosi pronta ad ogni maniera di sacrifi ci, per l’opera generosa posta a sussidiare d’uomini, d’armi, di provvigioni, il valoroso esercito italiano”.Mentre Lecco diveniva città, i reparti lecchesi combattevano allo Stelvio. Giunsero da Bormio, verso la fi ne di giugno, urgenti richieste di rinforzi, in quanto il nemico attaccava con disponibilità di uomini e di artiglie-ria. Un nuovo arruolamento per lo Stelvio venne subito aperto presso il portichetto della chiesa di santa Marta.Il 27 giugno, alla IV Cantoniera, un reparto lecchese combattè valoro-samente e respinse un attacco austriaco. Una testimonianza dei lecchesi allo Stelvio appare nelle lettere che un giovane volontario, poco più che ventenne, Gioacchino Dalumi, fi glio del pretore, inviava alle sorelle An-tonietta, Maria, Amalia, fi glie dell’orologiaio Rusconi. Gioacchino si ri-volge nelle lettere a tutte le tre sorelle, ma usa espressioni particolari per Amalia, che doveva essere stata la sua fi danzata. Le missive descrivono le diffi coltà in quella zona impervia ed isolata, la mancanza di viveri e di rifornimenti, i pericolosi servizi nelle pattuglie esploranti, gli scontri con le truppe tirolesi schierate dagli austriaci in prima linea. Le lettere, una ventina, sono state pubblicate da Ettore Bartolozzi nelle “Pagine di vita lecchese 1961”, nel contesto rievocativo del centenario dell’Unità d’Ita-lia, in un servizio curato da Guglielmo Paolo Persi. Le sorti della guerra tra il Regno di Piemonte e gli austriaci, nel corso del mese di luglio, volsero purtroppo al peggio. Nei primi giorni di agosto gli austriaci erano alle porte di Milano; entravano in città il giorno 6, mentre l’esercito di

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Una panoramica del vecchio piazzale dei Mille,oggi piazza Antonio Stoppani, dopo l’inaugurazione del monumento all’abate geologo, avvenuta nell’autunno 1927.L’antica denominazionesi deve alla vicinanzacon la casa della famigliaTorri Tarelli.

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Carlo Alberto si ritirava verso il Ticino. Il 5 agosto i componenti più noti del Comitato di Sicurezza Pubblica lasciavano Lecco in barca, diret-ti a Menaggio, per raggiungere la Svizzera dove rimarranno in esilio.Gli austriaci si avvicinavano anche a Lecco. I reparti dei volontari lec-chesi impegnati a difesa dello Stelvio combatterono per l’ultima volta l’11 agosto, iniziando subito dopo una rapida ritirata.Il Comitato di sicurezza, prima di cessare l’attività, aveva invitato i lecche-si ad accogliere senza manifestazioni ostili, temendo rappresaglie, il ritorno degli austriaci. Così avvenne. Il decreto di promozione a città venne subito abrogato dalle autorità austriache, ma fu solo una parentesi di undici anni. Nel 1859 tornò subito in vigore, dopo le decisive battaglie di Solferino e San Martino, per le sorti della Seconda Guerra d’Indipendenza nazionale e per l’aggregazione defi nitiva di Lecco al futuro Regno d’Italia.Lecco ha sempre, comunque, ricordato e celebrato l’anniversario a città con il decreto del 1848. Il centenario del 1948 venne festeggiato, per iniziativa del Comune, domenica 27 giugno. Dopo la messa in Basilica

Militari austriaci durante la rievocazione storica

del 1848 a Milano, un secolo e mezzo dopo.

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si formò un corteo che raggiunse il monumento ai Caduti sul lungolago per un omaggio fl oreale. Il corteo si portò, quindi, in piazza Garibaldi, deponendo una corona d’alloro al monumento del condottiero dei Mille. Venne tenuto il discorso uffi ciale del centenario dal prof. Luigi Colombo. Inviarono la loro adesione i sindaci di Como, Milano e Chiasso. Fra i pre-senti alla manifestazione, il sen. Enrico Falck e i parlamentari Celestino Ferrario e Gabriele Invernizzi. Lecco era senza sindaco, in quanto Giusep-pe Mauri si era dimesso dopo le elezioni politiche del 18 aprile 1948, rite-nendo il risultato del voto largamente sfavorevole alla Giunta in carica. C’era, quindi, in Comune il commissario prefettizio, in vista delle elezioni d’autunno, che portarono alla nomina del sindaco Ugo Bartesaghi.Le celebrazioni dei centodieci anni avvennero, invece, il 2 giugno 1958, quando venne posta la lapide che ricorda tuttora, sotto il portico del cortile centrale del municipio di piazza Diaz, la storica data del 1848, unendola al decennale della Costituzione repubblicana. Oratore uffi ciale è stato il lecchese Aldo Rossi, presidente dell’amministrazione provin-ciale di Como. Lecco ricevette, in quell’occasione, la medaglia d’argento dei benemeriti della Pubblica Istruzione, affi ssa sul civico gonfalone.Il 120esimo del 1968 si concluse il 6 dicembre con la festa civica di San Nicolò e con il conferimento delle civiche benemerenze istituite l’anno precedente dal sindaco Alessandro Rusconi. Il discorso uffi ciale venne te-nuto dal prefetto di Como, Giovanni Zecchino. Venne inaugurato, nella ricorrenza, il nuovo arredamento della sala consiliare, con l’introduzione dell’impianto di amplifi cazione microfonica. Venne collocata presso gli uffi ci del sindaco la “tabella” con l’elenco dei primi cittadini dal 1848; elenco redatto dopo apposita ricerca negli archivi municipali. È l’elenco che da allora è stato sempre aggiornato con i sindaci via via eletti.La solenne celebrazione del 150esimo vide una staffetta con fi accola par-tire nella notte di domenica 29 giugno 1998 dal museo del Risorgimento di via Borgonovo a Milano, dal cortile del settecentesco Palazzo Morig-gia. Si alternarono lungo la sgambata di 57 chilometri verso Lecco, come tedofori, i camminatori di Pian Sciresa, ma non mancarono anche gli as-sessori comunali con Pinuccio Castelnuovo, Giulio De Capitani e Carlo Invernizzi. Alla cerimonia di partenza il Comune di Milano era rappre-sentato dal vicepresidente del consiglio comunale Stefano Di Martino e dal direttore del museo storico, Roberto Guerri.La staffetta raggiunse Lecco accolta al Ponte Vecchio e, da piazza Gari-baldi, accompagnata verso il municipio, lungo via Cavour, dalla fanfara dei bersaglieri Guglielmo Colombo. Nel cortile del municipio erano in attesa, con il sindaco Lorenzo Bodega, le maggiori autorità civili e mili-tari e le rappresentanze di associazioni varie.

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Lecco dall’alto, con panoramiche della città, cento anni dopo il fatidico 1848. Le due foto sono state riprese, rispettivamente, dall’alto del campanile del Santuario della Vittoria e dall’abitazione più alta di piazza XX Settembre, guardando alla Torre Viscontea, con il confi nante edifi cio che è stato sede del Comune nell’Ottocento.

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I fratelligaribaldini di Onno

CAPITOLO 4

Le vicende del 1848 portano alla ribalta i cinque fratelli Torri Ta-relli, nativi di Onno, ma lecchesi della contrada Maddalena, oggi via Torri Tarelli. Nelle battaglie risorgimentali, dalle Cinque gior-

nate di Milano (1848) alla campagna del 1859, dalla spedizione dei Mil-le (1860) alla terza guerra di indipendenza (1866), i Torri Tarelli sono stati alfi eri della terra lecchese.Ricordare Carlo, Battista, Tommaso, Giovanni e Giuseppe Torri Tarelli signifi ca passare idealmente in rassegna i tanti lecchesi che si sono bat-tuti per la libertà e l’unità della nazione.Carlo partecipò come garibaldino a tutte le campagne del Risorgimen-to, dal ,48-49 al ,66-67. Insignito di menzione per il comportamento in combattimento nel 1859, venne promosso sottotenente e con questo grado prese parte alla spedizione dei Mille. Combattè a Calatafi mi e a Palermo, dove il 27 maggio 1860 venne ferito a un ginocchio. Concluse la campagna nel regno delle Due Sicilie con il grado di capitano e una medaglia d’argento. Nel 1866 si distinse presso Bezzecca, respingendo, alla testa di pochi uomini, un attacco nemico il 21 luglio. Nel 1867 sarà a Mentana con il grado di maggiore. Ebbe poi incarichi diplomatici dal Regno d’Italia, addetto al Consolato italiano di Montevideo, dove operò intensamente per anni a favore dei compatrioti che si trovavano in quel-la zona sperduta e lontanissima dalla Patria italiana. Ritornato in Italia,

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La casa dei Torri Tarelli a Onno di Oliveto Lario,

dove ebbero i natali i cinque fratelli garibaldini.

Si affaccia sul vecchio porticciolo, davanti

al nastro stradale del collegamento rivierasco

da Lecco a Bellagio. L’edifi cio è ora proprietà

di Gatti Tagliabue di Seregno, dopo essere stato

delle sorelle Polti.

Un garibaldino nel fi lm storico di Rai Uno

“Eravamo solo mille”, con la regia di Stefano Leali, che ha aperto le

celebrazioni dei duecento anni della nascita di Giuseppe Garibaldi,

avvenuta a Nizza, ancora italiana, il 4 luglio 1807.

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si ritirò ad Onno: ricordava sovente le giornate garibaldine e risorgimen-tali. Morì a Onno, dove era nato nel 1832, il 14 dicembre 1887.Battista era studente in legge all’università di Pavia quando scoppiò la seconda guerra d’Indipendenza. Volontario nel 1° reggimento Granatieri di Sardegna, combattè sulle colline di San Martino. Nel 1860 raggiunse Quarto per salpare con Garibaldi alla volta della Sicilia. Per un inconve-niente di viaggio Battista arrivò in ritardo e non gli fu possibile unirsi ai mille garibaldini, nelle cui fi le erano presenti i fratelli Carlo e Giuseppe. Si unirà alla successiva spedizione Medici, combattendo a Milazzo.Nel 1866 sarà in Trentino; l’anno successivo nell’Agro Romano, dove venne fatto prigioniero dalle truppe francesi schierate a difesa del Papa Re. Venne incarcerato a Roma e successivamente a Civitavecchia. Libe-rato, dopo qualche mese tornò a Lecco e scomparve, ultimo dei fratelli, nell’ottobre 1901.Giovanni, attivissimo cospiratore, non ebbe la gioia di salutare la Lom-bardia italiana. Nella primavera 1848, trasportando armi clandestine destinate all’insorta Milano, su una imbarcazione, da Malgrate a Lecco, scomparve nelle acque del lago improvvisamente agitate da un violen-tissimo temporale. Lasciava la giovanissima moglie in attesa del primo fi glio. Armi e munizioni erano state nascoste sulla rocca di San Dionigi, a Parè, per essere distribuite agli insorti. Fu, appunto, trasportando il ma-teriale bellico da Malgrate a Lecco che, a soli 22 anni, periva Giovanni Torri Tarelli. Era l’imbrunire del 4 maggio 1848 quando Giovanni, con tre amici fi dati - Ferdinando Fondra, Battista Polti, Cesare Chiappini - mosse da un’imbarcazione dalla sponda malgratese con un carico che era stato occultato in grotte e buche della Rocca. Un vento improvviso e fortissimo si sollevò sul lago mentre i quattro patrioti remavano alla vol-ta di Lecco. La barca, per il pesante carico che aveva a bordo, fu subito in diffi coltà, mentre le condizioni atmosferiche peggioravano rapidamente. La situazione di grave pericolo venne notata sulla sponda lecchese, in località Maddalena, dalla riva dell’attuale piazza Stoppani. Venne dato l’allarme. Pescatori e barcaioli si mossero subito, nonostante il lago pau-rosamente mosso, in soccorso dei pericolanti. L’imbarcazione si era in-tanto rovesciata e i naufraghi lottavano disperatamente nelle acque del lago in attesa dei soccorsi. Fondra e Polti furono salvati, Torri Tarelli e Chiappini scomparvero inghiottiti dalle acque. Francesco Chiappini aveva solo diciotto anni, era di nazionalità svizzera ed era cuoco presso l’albergo Imperiale, poi Italia, sul lungolago lecchese, dove oggi si trova il “McDonald’s”. A temporale cessato, mentre le ombre della sera erano ormai calate sul lago, le acque vennero tristemente illuminate da lanter-ne e fi accole di pescatori che cercavano sul fondo le salme dei due an-negati. La ricerca fu inutile. Tommaso, divenuto poi ingegnere, è quello che tra i cinque fratelli presenta il curriculum garibaldino meno denso: partecipò solo alla campagna del 1859 come volontario in cavalleria.Giuseppe, nel 1859, alla notizia dei primi scontri tra gli austriaci e i piemontesi affi ancati dai francesi, lasciò il seminario e si arruolò volon-tario. Nel 1860 è stato tra i primi a raggiungere Quarto, con il fratello Carlo. Nella battaglia alla periferia di Palermo, durante un assalto a un

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Il gruppo marmoreo della cappella di famiglia Torri Tarelli, nel cimitero monumentale di via Parini in Lecco.

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trinceramento borbonico, venne colpito da un proiettile a un braccio. Giuseppe trascurò la ferita, limitandosi a medicazioni sommarie. Duran-te la marcia in Calabria la ferita divenne mortale per una complicazione infettiva. Ricoverato nell’ospedale di Catanzaro, Giuseppe morì per in-fezione incurabile. Venne decorato di medaglia d’argento alla memoria.Nell’estate 1991 Giuseppe Pupa, funzionario dirigente della Camera di Commercio in Lecco, nativo di Catanzaro, trascorrendo le vacanze nella città nativa, volle ricercare negli archivi comunali il certifi cato di morte di Giuseppe Torri Tarelli. Venne rintracciato con il determinante con-tributo dell’uffi ciale di Stato Civile avvocato Giovanni Siciliano e del personale della ripartizione Servizi Demografi ci. Il documento menziona che Giuseppe Torri Tarelli, di 21 anni, tenente delle truppe garibaldine, è morto in Catanzaro il giorno 28 del mese di settembre dell’anno 1860. Giuseppe Pupa, ora in pensione, risiede a Valmadrera.Questi i cinque fratelli Torri Tarelli: Lecco non dimenticò il loro sacrifi -cio. Già dopo la morte di Carlo, nel 1882, si era parlato di un ricordo mar-moreo. La proposta tornò attuale dopo la scomparsa di Giovanni Battista nell’autunno 1901. Quasi trent’anni dovevano, però, trascorrere prima dell’inaugurazione della lapide, sul lungolago, nella via che ha preso il nome di Torri Tarelli, sulla facciata della casa paterna dei cinque fratelli. La cerimonia inaugurale ebbe luogo nel maggio 1930, con l’intervento di Ezio Garibaldi e alla presenza di due reduci dei Mille, che avevano supe-rato i novant’anni: Luigi Bolis di Bergamo ed Enea Ellero di Pordenone. L’iniziativa si realizzò grazie al Dopolavoro Fratellanza Nazionale, divenu-to poi, nel 1945, Circolo “Italo Casella” in ricordo di un caduto lecchese nei giorni della Liberazione della città. Il “Casella” ha chiuso i battenti

Il gruppo bronzeo con icinque fratelli garibaldini Torri Tarelli, posizionato in alto alla lapide che li ricorda presso la casadi famiglia, nella vecchia contrada Maddalena. L’opera si deve allo scultore Angelo Mantegani. L’epigrafe della lapide è di Giovanni Bertacchi, il poeta delle Alpi.

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Il vecchio nucleo di Onno ripreso dal lago; si può osservare sulla destra la casa dei Torri Tarelli.

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Monumento al garibaldino nella spedizione dei Mille, per lo sbarco di Marsala.

sul fi nire del Novecento; l’edifi cio è stato demolito nei primi anni del Duemila e l’area occupata da un nuovo complesso residenziale.L’altorilievo in bronzo con i cinque fratelli garibaldini è opera dello scul-tore Angelo Mantegani. L’epigrafe della lapide si deve a Giovanni Ber-tacchi, il poeta delle Alpi, nativo di Chiavenna. La lapide tramanda ai posteri la memoria gloriosa dei cinque fratelli garibaldini Torri Tarelli, nelle vicinanze del monumento ad Antonio Stoppani (1927), alla statua a lago del patrono cittadino San Nicola (1955) e al candido memoriale dei marinai, fratelli caduti sulle acque (1986).La cappella della famiglia Nava-Torri Tarelli si trova nel cimitero monu-mentale di via Parini, presso il colonnato sul lato sinistro, entrando al cimi-tero stesso. Una lapide ricorda i Torri Tarelli presso la casa di Onno, che si affaccia sul piccolo porto della frazione del Comune di Oliveto Lario.

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Lecco italiana: 29 maggio 1859

CAPITOLO 5

Lecco proclamò la sua adesione al Regno piemontese sardo (il fu-turo Regno d’Italia) il 29 maggio 1859, durante una seduta straor-dinaria del consiglio comunale. La sera precedente un reparto di

garibaldini era giunto in battello a Lecco da Como con il commissario regio, Emilio Visconti Venosta.Lecco era già insorta e arruolava volontari per i Cacciatori delle Alpi, le formazioni agli ordini di Giuseppe Garibaldi. Gli austriaci avevano rapi-damente sgomberato il borgo dopo la sconfi tta di San Fermo, avvenuta il 27 maggio, la battaglia che aveva consentito la liberazione di Como. Il consiglio comunale, convocato in seduta straordinaria, proclamò so-lennemente l’adesione di Lecco “al tanto desiderato Governo di Vit-torio Emanuele II, incaricando la deputazione comunale di presentare l’atto di adesione al signor Emilio Visconti Venosta, nella sua qualità di commissario del Regno sardo”. Il 6 giugno arrivava Garibaldi e si sta-biliva all’albergo “Croce di Malta”, dove avevano già preso residenza il commissario regio e gli uffi ciali garibaldini della compagnia Ferrari. La permanenza dell’Eroe dei due mondi fu molto breve: la sera stessa ripar-tiva alla volta di Bergamo, dopo aver rivolto un entusiasmante appello ai volontari e alla popolazione dal balcone del “Croce di Malta”.Il 9 luglio (le sorti della guerra erano state decise a Solferino e San Martino il 24 giugno), con un decreto del governatore della Lombardia, Vigliani,

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Lecco riebbe il titolo di città, conferito nel giugno 1848 dal Governo insur-rezionale milanese e abrogato dagli austriaci, il 18 agosto dello stesso anno. Il documento ricorda che nel decorso intervallo (1848-1859) “non solo si mantennero, ma crebbero, i titoli della popolazione anche pel vivo fervore onde continuò essa a propugnare la causa dell’italiana indipendenza”.In tale decennio Lecco aveva ottenuto l’uffi cio telegrafi co. Nel 1853-1854 un gruppo di commercianti si era rivolto alla Deputazione ammini-strativa civica per fare presente l’assoluto bisogno di una linea telegrafi ca da Bergamo a Lecco, con prolungamento sino a Chiavenna.La Deputazione amministrativa si rivolgeva all’Imperial Regia Luogote-nenza di Lombardia e alla Direzione delle linee telegrafi che in Verona. L’esposto ricordava che “fra i paesi più commerciali e industriosi dell’alta Lombardia, il nominato borgo Lecco emerge assai, giacché vanta nel suo circondario 68 fi latoi di seta, 7 fi lande con 3.486 fornelli, 34 fabbriche di ferro e rame con varie industrie di minore importanza”. L’esposto ricorda-va anche la posizione del borgo “ubicato in un punto centrico a quattro grandi comunicazioni, cioè il Lario e la Valtellina, colla Valsassina, col Bergamasco, il Milanese e la Brianza. Senza comunicazioni per battelli a vapore, per ferrovie, per telegrafi , Lecco resta come un paese ripudiato da questi frutti della civiltà moderna, quantunque aspiri e creda d’esser meri-tevole di parteciparvi. A Bergamo, a Monza, a Como giunge e passa il fi lo telegrafi co: Lecco manca di questo benefi cio e per tale mancanza si cono-sce esposto a qualche grave sorpresa nel traffi co, specialmente delle sue produzioni di seta, che potrebbergli essere fatto dalle suindicate piazze”.L’autorizzazione per la sede telegrafi ca giunse nel 1855, anche se la visita di un Commissario ai telegrafi aveva accertato che non esistevano nel borgo locali erariali disponibili per il nuovo uffi cio, con annesso alloggio dell’im-piegato. L’edifi cio della pretura e quello della dogana di seconda classe erano interamente occupati, oltre che ritenuti poco idonei. La Deputazione comu-nale, in considerazione dei vantaggi di una installazione telegrafi ca, cercò i locali e si assunse l’onere dell’affi tto sostituendosi all’apparato statale.Il 30 novembre 1855 veniva stipulato tra la Deputazione amministrativa di Lecco, rappresentata da Gerolamo Scola, Francesco Mandelli, Carlo Nava e i fratelli Angelo e Giovanni Curioni, un contratto d’affi tto della durata di nove anni per un appartamento di cinque locali, più cantina e solaio, al primo piano dello stabile posto in Contrada Larga, oggi via Cavour, al civico 214. Era il medesimo edifi cio della sede municipale. Alla fi rma del contratto erano presenti il Commissario telegrafi Carlo Zelmi e il Commissario distrettuale di Lecco, Carlo Castoldi.La sede telegrafi ca fu pronta il 25 luglio 1856, mentre si lavorava a com-pletare, come poi avvenne entro venti giorni, il collegamento con Chia-

Soldati piemontesi e austriaci nella rievocazione storica del fi lm “La battaglia dei vinti”, con la regia di Vanni Vallino, dedicato alle vicende risorgimentali del 1848-1849.

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Alzabandiera italiana e francese presso il monumento dei Caduti, sul lungolago. Si alzano i vessilli dell’amicizia italo-francese, ricordando anche la decisiva campagna risorgimentale del 1859, che allontanò defi nitivamente gli austriaci dalla Lombardia.

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venna e con il confi ne svizzero in località Castasegna in Val Bregaglia.Fra i lecchesi che si erano adoperati per avere nel borgo la sede telegrafi -ca vi era Gerolamo Scola, deceduto poi il 15 febbraio 1867, all’età di 54 anni. Gerolamo Scola è sepolto nella chiesetta della Madonna Assunta presso villa Manzoni al Caleotto, acquistata dalla sua famiglia nel 1818, dopo la permanenza del Grande Lombardo. La lapide funebre ricorda “di gravi costumi generoso, a Lecco fu podestà integerrimo, per scrupolosa giustizia e bontà di cuore, amato e stimato dall’universale”.Nel 1861, con apposita legge, la prima domenica di giugno venne di-chiarata festa nazionale commemorativa dell’Unità d’Italia e dello Sta-tuto del Regno, proclamato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848.Lecco ricordava questa data con la celebrazione di una messa solenne in Prepositurale e la sfi lata dei reparti della Guardia Nazionale e del presidio.La festa nazionale del 1864 vide lo svolgimento della prima regata. L’inizia-tiva era del consiglio comunale, che aveva formato un’apposita commissio-ne composta da Tommaso Torri Tarelli, Giovanni Battista Nava e Giuseppe Cima. Le modalità fi ssate per la regata prevedevano la partenza dalla riva di Malgrate; l’arrivo era fi ssato sulla sponda lecchese, all’altezza della piazza del Grano. Le gare erano riservate a residenti di Lecco e Malgrate. Una grande folla convenne sulle sponde del lago per assistere alla regata. Stefa-no Vassena e Pasquale Monti furono i vincitori della prima prova per barca con due uomini e due remi; fra i pescatori del rione Pescarenico si imposero Giuseppe Riva e Francesco Ghislanzoni. Nella gara delle barche con quat-tro remi la vittoria venne attribuita a tavolino all’equipaggio di Antonio Missaglia, Pasquale Colombo, Stefano Vassena e Luigi Morganti.Fra le prime istituzioni ottenute da Lecco nel Regno d’Italia, vi era stata nel 1862 la Camera di Commercio e Arti, con giurisdizione su tutto il territorio circostante. Presidente della Camera di Commercio ed Arti venne nomi-nato il cav. Giuseppe Badoni, l’industriale che aveva guidato il Comitato di Sicurezza Pubblica del 1848. Il Consiglio della Camera era formato da Egi-dio Gavazzi, Giambattista Ghislanzoni, Salvatore Monti, Antonio Nava, Carlo Omboni, Luigi Stoppani, Francesco Resinelli e Antonio Scatti.Prima della Camera di Commercio, Lecco aveva salutato, il 10 e l’11 agosto 1861, il passaggio - con pernottamento al “Croce di Malta” - dei principi Umberto di Piemonte e Amedeo duca d’Aosta. Il sindaco Fran-cesco Cornelio dispose l’illuminazione della piazza del Teatro, affi dan-dola a Natale Mattarelli. Bandiere tricolori vennero esposte a balconi e fi nestre, mentre sempre il sindaco Cornelio invitava i concittadini ad accogliere gli illustri ospiti “con quella effusione di esultanza e di affetto che è ben dovuta ai fi gli del magnanimo nostro Re”. Non mancarono concerti, sfi late della Guardia nazionale e venne chiamato in città il Corpo musicale di Oggiono.

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Vecchia fotografi a presso l’albergo-ristorante “Alberi”, dove oggi è tutto completamente trasformato.

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Cartolina rievocativa dei bersaglieri italiani

dal 1836 al 1900, con indicate le località

dei principali fatti d’arme che videro impegnati i

fanti piumati.È conservata da Romeo

Curti del ristorante“Al Pontile-Orestino”.

Lo stemma civico sul palazzo scolastico di via

Ghislanzoni; non c’è, nella parta alta, la regia

corona come invece appare sullo stemma del

municipio di piazza Diaz.

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Gli Agudiodi Malgrate

CAPITOLO 6

Nel nuovo Stato, costituito dopo le vicende risorgimentali del 1859, è stato un malgratese il primo deputato al Parlamento nazionale del Regno per il collegio di Lecco-Introbio: era l’in-

gegner Tommaso Agudio.Una lapide sulla facciata del palazzo municipale di Malgrate, a breve distanza dalla riva del lago, ricorda Tommaso Agudio “ideatore ed ese-cutore della funicolare del rinomato colle di Superga”. Il palazzo è sta-to proprietà della famiglia Agudio, tante volte ricordata nella storia di Malgrate; poi è divenuto degli industriali lecchesi Aldè e ora, da diversi decenni, è sede municipale. È stato impegno di diverse amministrazioni civiche valorizzare il complesso, edifi cato oltre due secoli or sono. Il cor-tile acciottolato che si apre dopo il portico di ingresso e verso il giardino sopraelevato è divenuto da tempo “arena” di concerti e spettacoli estivi, con notevole effetto scenico.Il palazzo è pure indicato come residenza di Giuseppe Parini, quando fu ospite degli Agudio; ma l’abate poeta ha quasi sicuramente soggiornato nell’altro palazzo della famiglia, sul lungolago, poi divenuto Consonni.A Malgrate, nell’aprile 1827, nella sede municipale attuale, è nato Tom-maso Agudio. Si distinse subito già in anni giovanili nello studio e nel-l’insegnamento. Il suo maggiore incarico professionale è stato quello di studiare l’ardito progetto per la rotaia che doveva raggiungere il colle di

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Superga, a Torino, muovendo dalla borgata Sassi. Si trattava di superare una distanza di 3.130 metri, con un dislivello di 419. L’incarico venne affi dato a Tommaso nel 1877, mentre la realizzazione è del 1884.La carriera politica aveva avuto inizio molto prima, con le elezioni per il Parlamento nazionale del 25 marzo 1860. Si doveva eleggere il rappre-sentante del collegio Lecco-Introbio. Agudio si presentò candidato e la contesa elettorale fu subito ristretta fra lo stesso Agudio e Maurizio Ger-baix De Sonnaz, un maggiore generale di cavalleria che si era distinto sui campi del 1859.Le votazioni del marzo 1860 avvennero regolarmente. Gli elettori del col-legio Lecco-Introbio andarono ai seggi allestiti presso tre sezioni: due erano a Lecco, la terza a Introbio. I due seggi elettorali cittadini furono collocati presso il Teatro Sociale di piazza Garibaldi: il primo in platea, con la presi-denza del notaio Antonio Rappi, il secondo nella sala superiore del Teatro, con presidente Giovanni Campelli. Lo spoglio delle schede vide Agudio e De Sonnaz sempre divisi da pochi voti. Il conteggio fi nale indicò una leggera maggioranza per il generale di artiglieria. Si rese necessario il bal-lottaggio e i cittadini aventi diritto al voto tornarono alle urne il 29 marzo 1860. Questa volta Tommaso Agudio si impose nettamente, rovesciando la maggioranza ottenuta da De Sonnaz nella precedente consultazione.Ma la vicenda elettorale non era ancora conclusa con il ballottaggio. Quando Agudio si accorse che per il suo incarico di ingegnere all’Arse-nale di Torino non avrebbe potuto essere eletto deputato, rassegnò im-mediatamente le dimissioni. Si tornò a votare il 6 maggio 1860, mentre nei seggi rimbalzavano le notizie che Garibaldi d i suoi volontari si erano concentrati sullo scoglio di Quarto a Genova e stavano per prendere il mare, con navigazione diretta in Sicilia per unire all’Italia le province meridionali del Regno dei Borboni.Nell’atmosfera dell’entusiasmo patriottico e garibaldino del maggio dei Mille, Tommaso Agudio fu confermato deputato ed entrò nel parlamen-to nazionale del Regno schierandosi tra i sostenitori del Governo presie-duto dal conte Camillo Benso di Cavour.Nel campo professionale, dopo il successo della funicolare verso il colle di Superga, l’ingegner Agudio ebbe altri prestigiosi incarichi. Nel 1890 iniziò lo studio sul trasporto di energia elettrica in notevoli quantità attraverso le lunghe distanze. Nacque l’impianto idroelettrico del Moncenisio.Tommaso Agudio morì improvvisamente a Torino, dove aveva fi ssato residenza stabile, il 5 gennaio 1893, lasciando la consorte e cinque fi gli. Uno di questi, l’ingegner Paolo, sarà il progettista della teleferica che durante l’esposizione del 1911 a Torino (organizzata per celebrare il cin-quantenario dell’Unità d’Italia) sorvolava il corso del Po.

Le due lapidi collocate sulla facciata di palazzo Agudio a Malgrate, sede del municipio.

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Il ponte Azzone Visconti verso Malgrate, con il panorama del Monte Barro. La località, appena oltre il ponte sul confi ne comunale tra Malgrate e Galbiate, era detta dai lecchesi San Michele per un albergo-ristorante con tale denominazione, funzionante sino agli anni ’60 del Novecento.

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La lapide di Malgrate risale al 1923, trent’anni dopo la scomparsa. Tom-maso Agudio è preceduto nel testo della lapide dalla memoria del fratel-lo Francesco “dottore illustre in ostetricia e ginecologia”.Nella zona di Torino, ma anche in Liguria, risiedono numerosi discen-denti della famiglia Agudio. Nel 1994 sono stati invitati a Malgrate per iniziativa del sindaco Gianni Rota. Sono saliti nel palazzo lungo lo scalone d’onore, con volta a botte e rosoni in stucco, uno degli “angoli” più eleganti dell’edifi cio denso di serenità antica.È stata una rimpatriata di circa 40 Agudio, a vario titolo imparentati. Il gruppo era guidato dalla sorelle Maria Teresa e Vittoria Agudio che hanno portato al sindaco Gianni Rota e al Comune di Malgrate la ri-produzione del bassorilievo di Tommaso Agudio che si trova presso il sepolcro del cimitero di Torino.Dal capoluogo piemontese, come da Roma, Rapallo e altri centri, gli Agudio sono tornati a Malgrate in quel raduno del 1994, sull’onda dei ricordi della famiglia che divenne potente con il commercio e la pro-duzione della seta. Gli Agudio, oltre ai commerci e ai traffi ci, avevano una grande attenzione per le lettere, le scienze, le arti. Così, nel casato familiare a Malgrate, si ricorda il canonico Candido Giuseppe, mecena-te e amico dell’abate Giuseppe Parini.

Foto di gruppo al raduno degli eredi Agudio promosso dal sindaco Gianni Rota, nel 1994, a Malgrate.

Incontro nel municipio il 28 aprile 1997, nel trentennale della scomparsa dell’inventore Pietro Vassena. Si nota in primo piano il modellino dell’eccezionale sommergibile tascabile C3, la più nota realizzazione dell’inventore malgratese, che stabilì un record di profondità nelle acque lariane di Argegno Nesso. Si riconoscono nella foto, da sinistra, Giuseppe Crippa, il prefetto Pietro Marcellino, Angelo Vassena fi glio dell’inventore, il sindaco di Malgrate Gianni Rota, il questore Giovanni Selmin, il presidente della Canottieri Lecco Marco Cariboni e in primo piano Gianfranco Vassena, altro fi glio dell’inventore.

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Una processione negli anni Cinquanta in corso Monte

Ortigara, a Laorca.

La visita pastorale del cardinale Ildefonso

Schuster, arcivescovo di Milano (lo si vede sotto

il baldacchino),nel 1946 a Laorca.

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Il battaglionedella Guardiaad Ancona e la votazione di Laorca 1861

CAPITOLO 7

Una pagina sconosciuta della storia lecchese riguarda la spedizione ad Ancona, per servizio di ordine pubblico, del Battaglione Mo-bile del circondario della Guardia nazionale, nel febbraio 1861.

La Guardia nazionale era stata costituita in Lombardia, con il Governo provvisorio delle giornate del 1848, fedele al motto “Tutto il popolo in armi per difendere la Patria”. Dopo la defi nitiva liberazione dall’Impero austriaco, nel 1859, anche le amministrazioni civiche della zona lec-chese avevano provveduto a costituire reparti della Guardia nazionale. Ogni comune aveva, solitamente, almeno una compagnia. Si trattava di reclutare e di inquadrare militarmente un centinaio di uomini, nell’età compresa tra i 18 e i 60 anni. Esistevano poi i Battaglioni Mobili, formati da cittadini tra il 20esimo e il 40esimo anno di età. I Prefetti assegnava-no a ciascun comune un contingente fi sso per il battaglione del proprio circondario. Gli elementi migliori venivano selezionati e messi a dispo-sizione del reparto di pronto impiego. Un battaglione era formato da 4 a 6 compagnie, con una forza variabile da 400 a 600 uomini.Il circondario di Lecco riguardava anche i comuni della zona di Introbio, Oggiono, Brivio, Missaglia e Canzo. Tutti i comuni lecchesi avevano, quindi, qualche rappresentante nel reparto che venne mobilitato da or-dini superiori, provenienti dal ministero della Guerra, in accordo con quello dell’Interno, all’inizio del 1861.

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L’Intendente Francione, l’11 febbraio 1861, salutava a Lecco con un vi-brante discorso il battaglione del circondario in partenza per Ancona. Il battaglione raggiungeva Como, in piroscafo, il giorno 11 e proseguiva subi-to, in ferrovia, sino a Milano. C’è da ricordare che nel 1861 Lecco non ave-va ancora un collegamento ferroviario; il primo è del 1863, con Bergamo.Il viaggio del battaglione proseguiva per Bologna, Imola, Faenza, Forlì, Cesena e Rimini, con giornata di sosta e di riposo il 18 febbraio. Il batta-glione ripartiva da Rimini il 19 per raggiungere Pesaro, Fano, Senigallia e arrivare ad Ancona alle ore 15 del 22 febbraio.Un rapporto del comandante maggiore Giovanni Bertolè riferiva: “Fa-vorito dal bel tempo, il battaglione marciava serrato e lesto come a una breve passeggiata militare e sempre con quella giovialità e con quel brio che è proprio caratteristico dei nostri terrieri. Lo stato sanitario fu lette-ralmente perfetto, la disciplina, il buon accordo ed il generale contegno dei militari tali da ben meritarsi le lodi delle varie autorità”.Il battaglione prendeva servizio ad Ancona il 24 febbraio, affi ancato da un’altra unità mobilitata della Guardia nazionale, quella del circondario di Alba in Piemonte.La popolazione lecchese veniva informata sull’attività del battaglione con i dispacci telegrafi ci del maggiore Bertolè. Queste comunicazioni venivano affi sse all’albo pretorio di ogni comune.I battaglioni di Lecco e di Alba cessarono di formare il presidio della Guarda nazionale il 25 marzo 1861, con un ordine del giorno del coman-dante militare delle Marche, generale Rosselli. I reparti vennero sosti-tuiti con la Brigata Parma.La giornata della partenza fu densa di saluti e di elogi. Il municipio di Ancona rendeva noto un proclama dove affermava “che ricorderà sem-pre con affetto i giorni che avete qui passato, perché questi contribuiro-no a stringere i vincoli di fraterno amore e di stima verace con i fi gli di altre città che hanno comuni le speranze e le glorie”.I reparti della Guardia nazionale rientrarono a Lecco il 9 aprile. Nei vari comuni sindaci, assessori, autorità tutte organizzarono pubbliche mani-festazioni di riconoscimento ai reduci della spedizione marchigiana.Prima del battaglione ad Ancona, nel gennaio 1861, il territorio lecche-se aveva visto il singolare referendum popolare nella parrocchia dei santi Pietro e Paolo, in Laorca.Domenica 13 gennaio i capifamiglia andarono a votare intorno a un ar-gomento che non mancava, in quell’epoca, di suscitare discussioni e di-vergenze: era la divisione per sesso dei fedeli in chiesa.

Il monumento ai Caduti di Ancona, la città marchigiana dove, nella primavera 1861, operò il battaglione mobile della Guardia Nazionale di Lecco e circondario.

Una panoramica del vecchio nucleo di Laorca, sotto la neve, com’era quella domenica del 13 gennaio 1861, quando avvenne il referendum popolare dei fedeli.

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Panoramica del vecchio nucleo di Laorca, comune sino al 1° marzo 1924.

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Con l’inizio del nuovo anno 1861, a Laorca la sistemazione dei fedeli in chiesa era stata proposta in questi termini: gli uomini avrebbero occupato per tutta la lunghezza la navata destra della chiesa, mentre le donne avreb-bero dovuto prendere posto a sinistra. Alcuni parrocchiani avevano solle-vato perplessità e pareri contrari alla progettata divisione e dal parroco, don Francesco Arrigoni, era partita l’iniziativa di chiamare a raccolta i capifami-glia e di chiedere il parere di tutti intorno al nuovo ordinamento, per non imporre una decisione non condivisa dalla maggioranza della popolazione.Il referendum era stato portato a conoscenza della giunta municipale di Laorca (allora Comune e lo sarà sino al 1923-24). Gli amministratori avevano subito comunicato al parroco adesione e collaborazione, inca-ricando il cursore (l’odierno messo notifi catore) di distribuire a tutte le famiglie una scheda per la votazione.La riunione plenaria in parrocchiale venne fi ssata alle ore 13 di dome-nica 13 gennaio 1861, annunciata dal pulpito durante le messe e pre-ceduta dal suono festoso delle campane. I capifamiglia avrebbero con-segnato le schede votate, vi sarebbero state le operazioni di scrutinio e la conseguente proclamazione dei risultati. La regolarità della votazione era assicurata dalla presenza, nella chiesa parrocchiale, del sindaco Gio-vanni Bolis, dell’assessore anziano Francesco Barone, del sottoassessore Giovanni Battista Spreafi co, dei fabbricieri Giacomo Spreafi co, Angelo Barone e Giuseppe Chiesa, con il segretario comunale Francesco Meles.La votazione avvenne per chiamata, famiglia per famiglia, secondo la nu-merazione delle case. Le operazioni non durarono oltre due ore, in quanto vennero concluse, con verbale, alle 15, dopo aver avuto inizio alle 13. Votarono i rappresentanti di 194 famiglie. Le schede favorevoli alla “pro-posta novità” furono 177, le contrarie solo 17. Una schiacciante maggio-ranza si schierò, quindi, per la divisione dei fedeli nella parrocchiale.

La vallata industriale del Gerenzone, appena sotto il ponte di Malavedo.

Il vecchio lavatoio sul sentiero verso Pomedo, sopra Laorca.

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L’antica colonna “dei crapuni”, sul sagrato della parrocchiale di

Laorca. La piazza ha assunto la denominazione

“Giovanni Paolo II” dal luglio 2006, con una

cerimonia che ha visto l’intervento del cardinale

Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano.

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1863: Castellosopra Lecco

CAPITOLO 8

Il Comune di Castello divenne “Castello sopra Lecco” con Regio De-creto dell’8 febbraio 1863, fi rmato da Vittorio Emanuele II di Savoia.Il consistente Comune, compreso nell’allora Mandamento di Lecco,

aveva rischiato di dover cambiare denominazione. Il Regno d’Italia, di fresca proclamazione (1861), aveva dovuto affrontare tra i numerosi pro-blemi della unifi cazione di territori che andavano dalla Lombardia alla Sicilia, anche quello dei troppi Comuni con uguale denominazione.Il ministro dell’Interno, nell’estate 1862, aveva fatto pervenire dispo-sizioni a tutte le Prefettura del Regno, sottolineando che “l’identità di nome che si riscontra in parecchi Comuni è spesso causa di equivoci e di imbarazzi per i privati, come per le pubbliche amministrazioni. A togliere un tale inconveniente basterebbe che le rappresentanze di quei Comuni deliberassero, se non di cambiare l’attuale denominazione, al-meno di fare qualche aggiunta, che si potrebbe desumere dalla speciale situazione di ciascun Comune, secondo che si trova in monte o al piano, al mare o con un fi ume o torrente”. I notabili di Castello furono contrari a una modifi ca radicale del nome, anche se la Prefettura aveva fatto uffi -ciosamente notare che meglio sarebbe stato lasciare il nome di Castello a centri con antiche rocche o manieri.La proposta avanzata di trovare il nuovo nome in Arlenico, il nucleo più importante del territorio comunale dopo quello centrale, incontrò

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La fontana sul sagrato della parrocchiale di Castello, con la statua di San Giovanni Nepomuceno. Il restauro è stato promosso nel 1996 dall’Associazione ex allievi Liceo Classico Manzoni di Lecco con il presidente Pietro Sala. Il progetto è di Bruno Bianchi, con la collaborazione di Roberto Spreafi co e di Giacomo Luzzana. La piazza è dedicata alla memoria del tenente pilota Antonio Dell’Oro, decorato di medaglia d’oro, caduto in missione di volo.

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scarse adesioni. I maggiorenti del tempo non si soffermarono a consi-derare le origini e le vicende della zona oltre il corso del Gerenzone vicina al seminario diocesano (che nel 1862 era però già chiuso da oltre vent’anni) e quasi alle prime propaggini del Monte San Martino.Gli amministratori di Castello guardarono, invece, intorno per cercare fi ume o monte da affi ancare al nome già esistente. La scelta era diffi cile in quanto il territorio non presentava corsi d’acqua di rilievo (Gerenzo-ne al massimo) e tantomeno vette maestose (confi nava a nord-est con il colle di Santo Stefano).Il 26 ottobre 1862 il consiglio comunale di Castello si riuniva con la presidenza del sindaco Angelo Ticozzi, presenti sette consiglieri. Il sin-daco invitava ad esprimere, con voto segreto su apposita scheda, la pro-posta di ciascuno per il nuovo nome. Lo spoglio delle schede manifestò, con voto unanime, l’intenzione già manifestata dalla popolazione di mantenere il nome di Castello aggiungendovi “sopra Lecco”. I consi-glieri comunali che vollero mantenere la denominazione Castello sono stati, oltre al sindaco Ticozzi, Francesco Brini, Paolo Cantù, Giuseppe Badoni, Carlo Sirtori, Antonio Gattinoni, Giuseppe Manzoni fu Paolo e Giuseppe Sacchi.Ritenuto l’argomento di particolare importanza per la comunità, i consi-glieri presenti alla riunione del 26 ottobre decidevano di rinviare a nuova seduta la delibera defi nitiva sulla denominazione comunale, auspicando la presenza del maggior numero possibile di membri del civico consesso.Il consiglio comunale di Castello tornava a riunirsi il 2 novembre, confermando a pieni voti, presenti il sindaco e otto consiglieri, la proposta già avanzata.Quattro mesi dopo, nel febbraio 1863, il decreto del Re giungeva ad autorizzare uffi cialmente “Castello sopra Lecco”, che tale rimase sino al-l’unifi cazione con Lecco, divenuta operativa il 1° marzo 1924, quando il Comune risultava il più popoloso del Lecchese, dopo la città capoluogo, arrivando a una popolazione di 5.211 abitanti.Nel frattempo, il 1° gennaio 1870, Castello aveva assorbito il Comune di Olate, che allungava il suo territorio comunale nella valle del Geren-zone, sino al minuscolo abitato di Bonacina.Olate era un piccolo Comune. Il censimento del Regno d’Italia del 1862 aveva registrato 544 abitanti. Modeste erano le disponibilità fi nanziarie. Il passivo del bilancio civico era il principale motivo che aveva spinto i consiglieri comunali di Olate a chiedere la soppressione del Comu-ne e l’unione a Castello sopra Lecco, con delibera del 24 marzo 1867. Castello non riservò, comunque, entusiasmo alla decisione di Olate di chiedere l’unione. I debiti del confi nante Comune, anche se non molto pesanti, frenavano le pur esistenti aspirazioni di allargare la cerchia di giurisdizione municipale.Il Consiglio di Castello, nella seduta del 10 settembre 1868, con il sin-daco ingegner Paolo Cantù, approvò, comunque, di formare un solo Comune con Olate e di concorrere all’estinzione delle passività, costi-tuendo le rappresentanze consiliari del nuovo ente sulla base del nume-ro degli abitanti dei rispettivi due nuclei.

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Cartolina del vecchio Comune di Castello sopra Lecco, assorbito dalla “Grande Lecco”il 1° marzo 1924.

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Una visione panoramica del giardino di palazzo Belgioioso, durante la cerimonia inaugurale del 1955, con il sindaco Luigi Colombo, che destinava a giardino pubblico la vasta area verde del complesso.

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Nella seduta dell’8 settembre 1869 il consiglio provinciale di Como aveva espresso parere favorevole alle delibere assunte dai due Comuni in merito all’unifi cazione.Re Vittorio Emanuele II, il 10 ottobre 1869, fi rmava il decreto che al punto primo stabiliva: “A partire dal 1° gennaio 1870 il Comune di Olate è soppresso ed unito a quello di Castello sopra Lecco”.L’ultimo manifesto della giunta municipale di Olate è stato reso noto il 26 novembre 1869. Comunicava ai cittadini l’ormai prevista soppres-sione del Comune e informava che domenica 12 dicembre 1869, alle ore 10, nella sala consiliare avrebbero avuto svolgimento le elezioni per nominare i quattro rappresentanti della frazione di Olate nel consiglio comunale di Castello sopra Lecco. Vennero eletti: Giuseppe Rizzeri, Lo-renzo Fumagalli, Carlo Gattinoni ed Antonio Manzoni. Uno dei quat-tro nuovi consiglieri di Castello, Lorenzo Fumagalli, possidente di 55 anni, era stato l’ultimo sindaco di Olate.

La lapide sulla fontanadi San Giovanni Nepomuceno,voluta dai terrieri diCastello nella celebrazione della prima festa del Regno d’Italia.

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La piazza di Castello, con il tram della linea Malavedo-Maggianico. Sotto, il porticato centrale del settecentesco ex seminario diocesano restaurato ad abitazioni civili, dopo avere ospitato anche trafi lerie. I lecchesi chiamano ancora la località Seminario.

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1869: Maggianico Comune

CAPITOLO 9

Era la primavera del 1869 quando i Comuni di Belledo e di Chiu-so si unirono per formare Maggianico. Ultimo ad apparire alla ribalta dei municipi del Lecchese, Maggianico è stato pure l’ul-

timo a essere unifi cato nella “Grande Lecco”, nel 1928. Il rione di Bel-ledo aveva anticipato il capoluogo passando con la città nel 1924.Non è stata semplice la fusione dei due Comuni di Belledo e di Chiuso, avviata nel 1866 e conclusa appunto nel 1869. Il decreto di Vittorio Ema-nuele II reca la data del 24 gennaio 1869, emesso in Firenze, allora capitale del Regno. Il documento stabiliva che dal 1° aprile 1869 i Comuni di Bel-ledo e di Chiuso fossero riuniti in uno solo, con il nome di Maggianico.Le opposizioni maggiori alla fusione vennero da Chiuso, che contava 334 abitanti. Il consiglio comunale di Chiuso votò due volte contro l’unifi cazione: il 17 giugno 1866 e il 5 maggio 1867.Belledo era più consistente di Chiuso, arrivando a 1.267 abitanti. Era, però, un singolare comune come collocazione geografi ca e residenziale. Il capoluogo contava solo 189 abitanti ed era il vecchio nucleo di Belledo, che si trova oggi vicino alla parrocchiale costruita nel 1904 e che allora aveva come chiesa l’attuale di Sant’Alessandro al cimitero, confi nante con il complesso industriale Fiocchi, sorto nel 1876.Belledo aveva la frazione Maggianico con 498 residenti e quello di Bar-co con 383. Il territorio municipale comprendeva poi due altri nuclei

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Cartolina del Comune di Maggianico, l’ultimo municipio a essere assorbito dalla “Grande Lecco” nel 1927.

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residenziali ed erano Missirano con 165 abitanti e Gaggianico con 42. Il nucleo rurale di Gaggianico è scomparso nel 1955, assorbito dall’amplia-mento della Fiocchi Munizioni, nella parte alta di viale Valsugana. Due frazioni di Belledo, Maggianico e Barco, erano quindi ben più popolose del capoluogo; ma non solo Maggianico, dal 1567 aveva la parrocchia di Sant’Andrea che comprendeva anche Belledo.L’unifi cazione municipale arrivò, comunque, nonostante l’opposizione di Chiuso, che presentava un bilancio quasi insuffi ciente a sostenere perfi -no le spese obbligatorie. Belledo era un piccolo nucleo isolato, relegato in una posizione secondaria sotto le prime pendici del Magnodeno, de-centrato rispetto alle direttrici di traffi co e di commercio, ormai consoli-date con strada e ferrovia.Maggianico era, invece, in continua crescita, posizionato sulla provin-ciale e sulla linea ferroviaria per Bergamo, con i binari della prima linea nel Lecchese, inaugurata nel 1863. La soluzione migliore apparve, quin-di, quella di sciogliere i due piccoli Comuni esistenti e di costituire un nuovo ente locale con sede in Maggianico.Il consiglio comunale di Belledo, nella riunione del 6 ottobre 1867 con il sindaco Ulisse Ghislanzoni, approvò la fusione con Maggianico. La delibe-ra di Chiuso arrivò, invece, nell’estate successiva, il 1° giugno 1868, quan-do l’opposizione interna era stata numericamente ridotta, ma ancora pre-sente e vivace. I consiglieri Pietro Valsecchi fu Bortolo, Pietro Valsecchi fu Battista, Severino Ghislanzoni e Celestino Castagna abbandonarono l’aula in segno di protesta quando giunse la votazione per l’aggregazione. I voti favorevoli furono solo cinque: il sindaco Francesco Brini, i consiglieri Vittorino Campelli, Angelo Chea, Luigi Frigerio e Gerolamo Laini.I sindaci di Belledo e Chiuso, Ghislanzoni e Brini convocarono con la Sottoprefettura di Lecco l’assemblea per il nuovo consiglio comunale di Maggianico. Venne decisa la data del 14 marzo 1869, nell’oratorio di San Rocco in Barco. Il seggio elettorale venne presieduto dal sindaco di Belledo, Ulisse Ghislanzoni, in quanto primo cittadino del Comune più numeroso. Ulisse Ghislanzoni venne eletto primo sindaco di Maggianico e ricoprì tale carica sino all’agosto del 1872.I quindici nuovi consiglieri di Maggianico sono stati Giuseppe Bellin-gardi, Mosè Bolis, Francesco Brini, Vittorino Campelli, Celestino Ca-stagna, Severino Chea, Giuseppe Delazzari, Giovanni Figini, Giovanni Genazzini, Giuseppe Ghislanzoni, Filippo Ghislanzoni, Giuseppe Inver-nizzi, Angelo Pattarini, Vincenzo Perego e Luigi Todeschini.

L’ottocentesca villa Gomes, che risale al periodo migliore della bella Maggianico, con i soggiornidella Scapigliatura lombarda, ora di proprietà comunale, sede della civica scuola di musica“Giuseppe Zelioli”, dopo il restauro promosso dal Comune di Lecco nel 1979-1980.

L’ex albergo termale Albertini, in via alla Fonte, che ebbe grande richiamo nella seconda metà dell’Ottocento e che vide il soggiorno di esponenti illustri della musica, della cultura e dell’arte. Ora ospita una comunitàdelle suore di Maria Bambina.

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Si tornò a parlare del Comune di Maggianico tra il 1880 al 1889, quando il casello 34 della linea ferroviaria Lecco-Bergamo, ma anche del primo tratto verso Milano, divenne una vera e propria stazione ferroviaria, an-che con scalo merci. Il sindaco di Maggianico, Giovanni Genazzini, era più volte intervenuto a livello ministeriale e governativo per ottenere la stazione ferroviaria, approfi ttando anche dell’avvocato Mario Martelli, deputato al Parlamento, residente a Milano, ma abituale frequentatore di Maggianico, dove possedeva una bella villa.Il 4 agosto 1882, nello studio del notaio lecchese Resinelli, veniva sti-pulata la convenzione tra le Ferrovie e il Comune di Maggianico, rap-presentati rispettivamente dall’ingegner Ercole Bonacossa e dal sindaco Genazzini. La convenzione prevedeva da parte delle Ferrovie i lavori di ampliamento del casello 34 per costruire una sala d’aspetto. Il Comune avrebbe contribuito con 800 lire alla spesa complessiva di 4.000. Le Fer-rovie si impegnavano a far sostare a Maggianico tutti i treni della stagio-ne estiva e un numero non inferiore a tre al giorno, in ciascuna delle due direzioni, durante il periodo invernale.Nel 1888 le Ferrovie non solo dotarono la stazione di Maggianico di banchine di sosta e di arrivo nonché di nuovi locali, ma anche realizza-rono uno scalo merci.La realizzazione della stazione ferroviaria a Maggianico è stata partico-larmente legata al boom turistico di quel periodo, con la fonte dell’acqua solforosa di Barco e con la località divenuta ritrovo della Scapigliatura lombarda. C’erano le ville di Amilcare Ponchielli, Carlos Gomes, il pa-lazzo Martelli, il ristorante del Davide, l’albergo termale Albertini, oggi sede di una comunità delle suore di Maria Bambina, e le “brigate” di ami-ci guidate dal lecchese Antonio Ghislanzoni, il librettista dell’“Aida” di Giuseppe Verdi.

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L’oratorio di San Roccoin Barco, dove il 14 marzo 1869 vennero convocati i comizi elettorali per costituire il nuovo Comune di Maggianico, cancellando gli esistenti Belledo e Chiuso.

Lo stemma civico del Comune di Maggianico.

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Il ponte stradale della Vittoria, in territorio comunale di Cremeno, sul vallone del Pioverna, realizzato nel 1925, nel decennale della Grande Guerra del 1915-1918, che vide l’intervento dell’Italia il 24 maggio. Il nuovo ardito ponte venne realizzato quando ormai era tramontato il progetto della ferrovia.

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La ferrovia verso la Valsassina e le corriere della Sal

CAPITOLO 10

Il progetto di una linea ferroviaria da Lecco a Ballabio e poi per tutta la Valsassina fi no a Taceno fu ripetutamente alla ribalta nell’ultimo decennio dell’Ottocento e nel primo del Novecento. Diversi Comu-

ni del Lecchese guardarono con molta attenzione alla realizzazione della linea, sperando di poter avere nel territorio municipale la strada ferrata e anche la relativa stazione. Fu il caso di Germanedo, Acquate, Castello sopra Lecco, San Giovanni alla Castagna, Rancio e Laorca.Lecco aveva avuto il primo tronco ferroviario nel 1863, con Bergamo, e dieci anni dopo la linea con Monza. Sono stati successivi i collegamenti con Como, nel 1888, e con Colico nel 1894.Il 21 aprile 1888, a Introbio, si riunivano tutti i sindaci dei 23 Comuni del Mandamento per rendere note le proprie determinazioni sulla domanda che era stata avanzata il 30 gennaio precedente dall’Ispettorato generale delle strade ferrate di Roma. La domanda richiedeva la concessione di una ferrovia da Lecco a Taceno, con riferimento a una legge del luglio 1887. I sindaci valsassinesi decisero la costituzione di un consorzio per la costruzione della ferrovia, chiamando a raccolta tutti i Comuni valligia-ni, compresi minuscoli centri come Barcone, Pessina, Baiedo, Concene-do, Indovero, che ormai da tanti decenni non sono più municipi.L’esecutivo del consorzio veniva formato con i sindaci Candido Artusi di Introbio, Giovanni Malugani di Crandola, Domenico Baruffaldi di Bar-

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zio, Bortolo Benedetti di Cortenova, e composto anche dal notaio Paolo Staurenghi e dagli ingegneri Angelo Manzoni e Giovanni Battista Scuri. Venne formulato voto favorevole alla possibilità di costruire una linea ferroviaria in Valsassina, partendo dalla stazione di Lecco e toccando Germanedo, Acquate, Laorca e Ballabio, per poi raggiungere Taceno.Il primo progetto venne predisposto nel marzo 1890. La partenza era fi ssata dalla stazione di Lecco: il tracciato raggiungeva Germanedo, Ac-quate, San Giovanni alla Castagna e Laorca. In quest’ultimo Comune la ferrovia entrava in galleria per cinque chilometri e usciva in località Balisio, per poi percorrere tutta la valle sino a Taceno. La galleria aveva, però, il difetto di “saltare” il Comune di Ballabio Inferiore, sede di im-portanti casere, con relativo commercio di formaggi.Un nuovo progetto venne elaborato nel 1891 dall’ingegner Alessandro Ferretti. Il progetto Ferretti prevedeva sempre la partenza dalla stazione ferroviaria di Lecco, ma con un tracciato diverso dal precedente attra-verso Castello, Olate (zona dell’attuale incrocio viale Rimembranze con via Caldone), Cavalesine di San Giovanni, Varigione sino a Malavedo (dove era prevista una stazione) e, da quest’ultima località, lungo i pen-dii del Monte Albano. La funicolare da Lecco sarebbe terminata con la stazione e la rimessa vetture presso case Locatelli in Ballabio Inferiore, l’attuale via Mazzini. Una galleria lunga duecento metri era prevista in località Val Pozza, tra Laorca e Ballabio. Il progetto Ferretti trovò con-sensi e dissensi, ma non venne realizzato. Nel primo decennio del Nove-cento un nuovo comitato per la ferrovia della Valsassina venne costitui-to presso la Camera di Commercio di Lecco. Era presieduto dal sindaco Giuseppe Ongania, con vicepresidente Giorgio Enrico Falck.Il 6 ottobre 1910 veniva resa nota una dettagliata relazione sul nuovo progetto per la strada ferrata da Lecco alla Valsassina. La ferrovia doveva essere, secondo il Magnocavallo, una tramvia di montagna a corrente continua, con fi lo aereo e scartamento di un metro. Il nuovo progetto prevedeva la partenza dall’imbarcadero di Lecco, raggiungendo poi lo scalo ferroviario in piazza Muzzi (oggi Salvatore Sassi), con fermata pas-seggeri sul piazzale dell’attuale stazione ferroviaria. La linea avrebbe poi percorso via Volta, proseguendo lungo la provinciale della Valsassina sino a Ballabio Inferiore e a Balisio. In quest’ultima località si sarebbe divisa in due distinti tronchi: il primo scendeva verso Pasturo, l’altro saliva verso Maggio, raggiungendo l’altipiano Cremeno-Barzio, con la costruzione di un ponte sulla valle di Cremeno, quello che oggi è il ponte stradale della Vittoria, inaugurato nel 1925 e dedicato alla memoria dei Caduti della Grande Guerra 1915-1918.

L’albergo Ballabio, dove era prevista una piccola stazione della ferrovia Lecco-Valsassina.

Panoramica delle Terme di Tartavalle, nel pianoro lungo il Pioverna vicino a Taceno, dove,secondo un progetto, vi sarebbe stata la stazione capolinea della ferrovia.

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Ballabio Inferiore, con in primo piano la chiesa parrocchiale di San Lorenzo, consacrata nel 1936, che appare nella fotografi a non ancora completata. Si nota il campanile della vecchia parrocchiale, poi demolita, nell’area dell’attuale piazza San Lorenzo.

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Il valico di Balisio, dove i binari della ferrovia sarebbero passati prima di scendere verso Pasturo-Introbio, lungo il solco vallivo del Pioverna, imboccando anche una galleria presso Casale Balisio, con l’antica chiesetta di Sant’Anna.

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La spesa richiesta per il progetto era notevolissima. Nel 1907, intanto, era sorta la Sal, che organizzava la prima linea “corriere” da Lecco a Ta-ceno, con fermata in località Ponte Folla, per gli abitanti della zona di Barzio. Un autobus Sal, a nove posti, aveva inaugurato nel luglio 1907 la linea, arrivando a Introbio dopo quaranta minuti e a Taceno dopo un’ora dalla partenza da Lecco.Nel 1924 aveva inizio una nuova linea da Lecco a Barzio. La prima vettura Sal disponeva di soli sei posti, ma venne subito sostituita con automezzo più capace. La nuova corriera della Società Automobilistica Lecchese è stato un avvenimento importante di valorizzazione turistica, mentre Barzio stava divenendo nota come “montagna di Milano”. Un potenziamento ulteriore delle linee valsassinesi avvenne nel 1930, con l’arrivo a Lecco, come direttore tecnico della Sal, del cavalier Vincen-zo Villa, nativo di Bergamo, scomparso a 97 anni nel 1990. É la fi gura storica della Sal che lega il nome della famiglia Villa alla società, nella persona poi dell’ingegner Reale Villa, divenuto presidente dell’Azienda Turismo di Barzio e console del Touring Club Italiano.

La Sal di ieri e di oggi, nell’incontro per il

centenario delle corriere da Lecco alla Valsassina: 1907 - 2007. Al centro

della foto si riconosce l’ingegner Reale Villa.

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Re Carnevalone1884

CAPITOLO 11

“Del primo Carnevalone lecchese, 1884, ben poco ricordo - ha scritto Giuseppe Milani nella sua pubblicazione del 1938 sulla città di Lecco di mezzo secolo prima - Ho nella

mente la visione confusa di una gran folla, che si pigiava intorno ai carri, sui quali erano maschere che battagliavano con dame e cavalieri alle fi -nestre. La ressa maggiore era in via Roma, sotto la terrazza del ristorante Borsino, dove le armi della contesa non erano soltanto coriandoli di ges-so (allora non erano state ancora inventate le stelle fi lanti e i coriandoli di carta), ma monete di rame. Terminato il corso mascherato, la baldoria continuava al veglione del Teatro Sociale”.A Lecco, nel 1884, stava per essere inaugurato il monumento a Giusep-pe Garibaldi, deceduto due anni prima. Nel 1882 la città aveva visto la nuova stazione ferroviaria e, quattro anni dopo, inaugurò il ponte con i binari sul fi ume Adda, in quartiere Pescarenico, a valle dell’Isola Vi-scontea, per i collegamenti della linea Lecco-Como. Il viadotto venne costruito dalla Badoni, la storica azienda di carpenteria meccanica di Castello, che ha cessato l’attività nel 1990, lasciando l’estesa area indu-striale al nuovo centro residenziale e commerciale detto del Broletto.Nel 1884 un gruppo di bontemponi decise di animare il carnevale a Lec-co, già vivace e frizzante, tra maschere e cene, con un effi mero regno di cartapesta nei giorni della settimana grassa. Venne chiamato re Rese-

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Anita Guglielmetti, prima regina Grigna negli anni Cinquanta del Novecento. Era una studentessa dell’ultimo anno di Ragioneria all’Istituto Parini. Si è poi trasferita, per motivi di lavoro del genitore, in provincia di Vercelli.

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Un musicante della banda “Giuseppe Verdi” del quartiere San Giovanni in divisa da garibaldino nel Carnevale 1953. Si notano nella foto i binari del tram cittadino.

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gone, in omaggio alla caratteristica montagna lecchese. Sarà successi-vamente affi ancato da regina Grigna, interpretata le prime volte da un giovane travestito da donna. Alla coppia reale venivano simbolicamen-te consegnate le chiavi della città. Lo scettro di re Resegone era rappre-sentato da una sega e quello di regina Grigna da una stella alpina.Re Resegone e regina Grigna sono ormai nella storia delle “monarchie” della settimana grassa, a livello nazionale. La maschera più antica di Vero-na e d’Italia sarebbe il Papà del Gnoco, risalente al 1533. A Foiano della Chiana, in provincia di Arezzo, c’è una tradizione che parte da metà del 1500 con re Giocondo. A Novara c’è re Biscottino, a Varese re Bosino, a Milano la coppia regina del carnevale è formata da Meneghino e Cecca.Lecco ebbe re Resegone nel periodo della Belle époque. Sempre Giu-seppe Milani ha scritto: “Dell’effi mero regno del re Resegone, al secolo Giuseppe Gilardi, più noto come Peppin Mansuet, restarono due grandi ritratti che lo raffi guravano con una imponente barba, la corona in testa e una lunga sega alla quale era appoggiato come su uno scettro. Erano opera di quel Balzaretti di Maggianico, capo pittore dei Barzaghi. Uno faceva mostra fra le tele antiche che Francesco Bargaghi raccoglieva per adornare la sua pinacoteca; l’altro era esposto nel negozio del Geremia Corti, sotto i portici della casa Nava sul corso Vittorio Emanuele”.La casa Nava è divenuta Gerosa Crotta e il corso ha preso la denomina-zione, dal 1945, di Martiri della Libertà. Non è stato purtroppo possibile, in anni recenti, ritrovare una copia di quel re Resegone, nonostante le ricerche anche dell’avvocato Luigi Andreotti, già assessore comunale, nativo del quartiere Maggianico, parente della famiglia Barzaghi, che ha avuto la sua ultima attività, negli anni

,50 del Novecento, presso il

magazzino nel cortile delle “botti e dei sassi”, in via Ghislanzoni. Dopo le prime corone del 1884, re Resegone e regina Grigna ebbero un periodo di vuoto sino al 1900, quando riapparvero con la settimana grassa, come ricorda l’avvocato Arnaldo Ruggiero nella sua pubblicazione “Piccolo Mondo Antico Lecchese”.Passò quasi mezzo secolo, sino agli anni

,50, per ritrovare i re di carne-

vale, usciti di scena all’inizio del Novecento. La tradizione venne rilan-ciata con un corteo di carri e gruppi mascherati che vedeva un comitato promotore con dirigenti dell’Unione Commercianti Lecchesi e dell’As-sociazioni Alberghi e Pubblici Esercizi, ancora nella sede di via Cairoli.Il re Resegone e la regina Grigna con i grandi cortei mascherati del sa-bato grasso sono continuati sino al 1958; poi la tradizione venne rinno-vata in forma minore per il carnevale dei ragazzi (il giovedì grasso) e il

Regina Grigna e Re Resegone assistono alla sfi lata carnevalesca del 1952.

Regina Grigna (Marilisa Imberti) e Re Resegone (Peppino Rusconi) nel Carnevalone lecchese 1998.

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La sfi lata di Carnevale del 1957, al passaggio in piazza Cermenati, davanti alla Canonica. Curioso notare sul terrazzo, sopra la scritta Arturo Affunti, alcune suore.

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veglione dell’Unione Commercianti, organizzato presso il dancing “don Rodrigo” di piazza Mazzini.Si deve all’Ente Lecchese Manifestazioni, con il presidente Renato Cor-betta e i suoi collaboratori, il rilancio in grande stile della tradizione di re Resegone e regina Grigna a fi ne febbraio 1996. La coppia reale viene affi ancata dal Gran Ciambellano. La serie del trono della settimana gras-sa è ripresa insediando nel ruolo di re Gustavo Gnecchi, che era stato già monarca nel 1958. Regina Grigna venne nominata Lilly Pozzi, nello staff di segreteria del sindaco Giuseppe Pogliani, che nel pomeriggio della do-menica di apertura della settimana grassa consegnò uffi cialmente ai due monarchi le chiavi dorate della città. Da allora, tutti gli anni, l’Elma ha nominato una sempre nuova Corte di carnevale, ripetendo la cerimonia delle chiavi presso il municipio, dopo la sfi lata per le vie del centro.La consegna delle chiavi e il discorso della corona da parte del re di carnevale è una tradizione che si allunga per tutta la penisola da Lec-co a Sciacca, in Sicilia. I proclami carnevaleschi portano tante volte a riscoprire avvenimenti che hanno caratterizzato il passato o contraddi-stinguono il presente.Il carnevale è stato anche nel Lecchese occasione di cene goderecce, dove accanto a piatti della cucina nostrana si abbinavano calici con i vini più noti. La cena carnevalesca che è rimasta nelle note storiche del Carne-valone lecchese è stata quella, tra fi ne Ottocento e inizio Novecento, del ristorante Borsino di via Roma, nel tratto compreso tra piazza XX Settem-bre e piazza Garibaldi. Il balcone del Borsino si può notare ancora lungo via Roma, ma il locale ha chiuso i battenti ormai da oltre ottant’anni.Il veglione di lusso era presso il Teatro della Società, mentre quello po-polare si svolgeva presso l’albergo del Morone, in piazza Garibaldi, nel-l’edifi cio demolito per il nuovo palazzo della Banca d’Italia, divenuto Falck nel 1966 e poi, nel Duemila, palazzo del Commercio.

Le tre “moschettiere” del Carnevalone 1998.

Foto di gruppo di Re Resegone, Regina Grigna, Gran Ciambellano dal 1996 al 2007.Si riconosce anche il presidente storico dell’Ente Lecchese Manifestazioni, Renato Corbetta.La foto è stata ripresa presso la Canottieri Lecco.

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Il Giuseppe Garibaldi di Cesenatico, opera dello scultore Tullio Golfarelli, che contende a Lecco il primato per il monumento all’Eroe dei Due Mondi.

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Il monumentoa Garibaldi:primo in Italia?

CAPITOLO 12

Il 16 novembre 1884, con solenne manifestazione, Lecco inaugurava il monumento a Giuseppe Garibaldi, nella centralissima piazza fra il Teatro e la Contrada Larga. Erano trascorsi soltanto due anni dal de-

cesso dell’“Eroe dei due mondi”, avvenuto a Caprera il 2 giugno 1882.Lecco, risorgimentale e garibaldina, aveva accolto con diffuso rimpian-to la notizia della scomparsa del leggendario generale. Venne costituito un comitato, con presidente l’avvocato Giambattista Torri Tarelli, per erigere un monumento. L’iniziativa segnò l’avvio di polemiche accese perché l’ambiente cattolico richiamò una delibera del 24 maggio 1873, assunta dal consiglio comunale convocato d’urgenza dopo la morte di Alessandro Manzoni.Era stato deciso, in quella sede e con voto unanime, di dedicare un mo-numento all’autore dei “Promessi Sposi”. L’iniziativa garibaldina minac-ciava il “sorpasso” rispetto al monumento manzoniano che attendeva ancora, dopo oltre dieci anni, la realizzazione.Polemiche a parte, l’entusiasmo per Garibaldi dei tanti reduci lecchesi delle battaglie risorgimentali portò alla costruzione del monumento in tempo di record, opera del noto scultore Francesco Confalonieri. Ga-ribaldini provenienti da tutta la Lombardia convennero a Lecco per la cerimonia inaugurale, avvenuta con grande concorso di popolo.Era, con molta probabilità, il secondo monumento d’Italia dedicato a

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Garibaldi. Il recente censimento effettuato nell’anno bicentenario della nascita, avvenuta a Nizza il 4 luglio 1807, ha fatto registrare che in tutta Italia sono circa 5.500 - su 8.100 - i Comuni che hanno un monumento, una strada o una piazza intitolati a Garibaldi. Si tratta della seconda de-nominazione in assoluto, dopo Roma.Anni or sono, Cesenatico rivendicò la primogenitura dei monumenti a Giuseppe Garibaldi. L’inaugurazione uffi ciale risale, però, al 2 agosto 1885, come appare dal volumetto sul monumento stesso uscito nel 1998, a cura dell’assessorato alla Cultura del Comune di Cesenatico, in colla-borazione con l’Istituto per i beni artistici e culturali dell’Emilia Roma-gna e dell’Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini.Cesenatico celebra tuttora, il 2 agosto, la festa garibaldina nel ricordo del passaggio dell’eroe che, reduce dalla Repubblica Romana del 1849, ebbe soccorso dalla popolazione locale, prima di prendere il mare nel tentativo di portare aiuto a Venezia. Lungo la sponda del canale leonar-desco di Cesenatico, che sale dal faro e dalla stazione della capitaneria di porto verso la chiesa di San Giacomo, in uno degli angoli più sugge-stivi del vecchio borgo marittimo e portuale, c’è ancora l’edifi cio dove si rifugiarono Anita e Giuseppe Garibaldi, con la caratteristica Trattoria degli Inseguiti.Quanti erano i lecchesi fra i 1.089 volontari che salparono dallo sco-glio di Quarto il 5 maggio 1860? Sono noti i tre immortalati sul basa-mento del monumento di piazza Garibaldi: i fratelli Carlo e Giuseppe Torri Tarelli, nativi di Onno ma residenti nella vecchia contrada della Maddalena, ed Ernesto Berthè, dell’allora Comune di San Giovanni alla Castagna. È nota pure la partecipazione del valsassinese Tranquillo Baruffaldi, di Barzio.Il conteggio, però, dei lecchesi tra i Mille, appartenenti all’attuale terri-torio provinciale, non è mai stato fatto, in quanto la realtà istituzionale di villa Locatelli è storicamente recente. Non c’era ancora, nel 1982, quando il centenario della scomparsa venne accompagnato da diverse rievocazioni e la staffetta garibaldina passò anche da Lecco, sostando davanti al monumento del condottiero delle camicie rosse, accolta dal vicesindaco, Enrico Azzoni, a nome del Comune e della cittadinanza.La celebrazione del bicentenario è occasione per ricordare i volontari lecchesi che accorsero a Genova con l’intenzione di partecipare alla li-berazione dell’Italia meridionale, raggiungendo via mare la Sicilia con la spedizione sbarcata l’11 maggio 1860 a Marsala.

Il monumento a Garibaldi circondato da cancellata, al centro della omonima piazza.

Il monumento a Garibaldi, mentre si può osservare sullo sfondo il vecchio Caffè Teatro e, sul lato destro,il vecchio palazzo divenuto sede della Banca Popolare di Lecco.

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L’elenco di riferimento è quello reso noto nel 1867 da Alessandro Pavia di Genova. La pubblicazione riporta i nominativi dei volontari sulla base degli atti dei furieri garibaldini, documenti nei quali, però, non mancano omissioni e imprecisioni.Dopo i quattro già menzionati (i due Torri Tarelli, Berthè e Baruffaldi), occorre subito ricordare Giuseppe Sirtori, capo di stato maggiore. Era nato a Casatevecchio di Monticello nel 1813, morì a Roma nel 1874. Fu ferito a un braccio nell’assalto di Calatafi mi, comandò una divisione nella battaglia sul Volturno. Era uno dei più stretti collaboratori di Ga-ribaldi, con Nino Bixio, Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba, France-sco Nullo, Benedetto Cairoli. La caserma dell’Esercito a Lecco, attuale sede degli uffi ci della Questura in via Leonardo da Vinci, era dedicata a Giuseppe Sirtori, sino al 1973, quando venne chiuso il presidio militare affi dato a una compagnia di fanti della Legnano.Nell’elenco vi sono poi Giacomo Beretta di Barzanò, Eugenio Gaffuri di Brivio, Eligio Panzeri di Bulciago, Luigi Rota di Bosisio, Lazzaro Salterio

Il monumento a Garibaldi dopo lo spostamento di cinquant’anni or sono, davanti al Teatro della

Società, in una giornata di festa di fi ne Novecento.

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di Annone. Rimane, invece, da decifrare, al numero 453 dell’elenco, Francesco Frediani, di Carlo, da Comillo presso Lecco di Massa, come è scritto nelle note dell’elenco medesimo.La ricognizione dei 1.089 può, quindi, far concludere che i residenti nel-l’attuale provincia di Lecco, sono stati dieci fra i garibaldini della prima ora. È però doveroso ricordare un giovanissimo che non è stato tra i Mille ma che raggiunse la Sicilia con le successive spedizioni di rinforzo delle camicie rosse. È il lecchese Giovanni Battista Ongania, 19 anni, deceduto il 18 agosto 1860 all’ospedale di Messina. Una lapide a sua me-moria si trova presso la cappella di famiglia, al Monumentale di via Pari-ni: ricorda la sepoltura lontana e il suo grande amore di Patria. Ongania segue nel ricordo commosso Giuseppe Torri Tarelli, 21 anni, tenente delle truppe garibaldine, deceduto il 28 settembre 1860 all’ospedale di Catanzaro. Nella battaglia di Palermo era stato ferito a un braccio. Nella marcia in Calabria la ferita divenne mortale per complicazioni infettive. È stato decorato di medaglia d’argento.

Villa Manzoni al Caleotto ha sempre fatto parte del territorio comunale di Lecco.Venne acquisita al patrimonio municipale, con delibera votata all’unanimità dal consiglio comunale, nel 1963-1964.

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Il monumento all’abate geologo Antonio Stoppani, con la statua in bronzo dello scultore Michele Vedani, inaugurato nel settembre 1927. Il discorso uffi ciale venne tenuto dal sottosegretario alle comunicazioni, on. Alessandro Martelli.

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La franadi Versasio sopra Acquate

CAPITOLO 13

Sei morti, otto case crollate, diciassette persone senza tetto, decine di ettari sommersi dal fango: questo il drammatico bilancio della frana caduta a Versasio, allora in territorio comunale di Acquate,

alle ore 11 del 16 settembre 1882. Risultarono gravemente colpite le famiglie di Pietro Invernizzi, Giovanni Colombo, Angelo Colombo, fra-telli Invernizzi e Gerolamo Invernizzi. Le vittime furono Teresa Colom-bo di 24 anni, Ancilla Colombo di 36, Maria Invernizzi di 33, Giuseppe Manzoni di 62, Olivia Invernizzi di 62 e Anna Rota di soli 3 mesi che si trovava a balia presso Ancilla Colombo.La frana, precipitata dal sovrastante pendio verso il Pizzo Erna seppellen-do alcune abitazioni rurali, provocò anche la scomparsa di numerosi capi di bestiame, che si trovavano nelle stalle.Le piogge dell’autunno 1882 furono torrenziali. Il Bione demolì a Belle-do il ponte nella zona dell’attuale parrocchiale e superò gli argini lungo un tratto di strada verso Maggianico, allagando i campi. Il Comune di Acquate chiese subito soccorso alla Sottoprefettura di Lecco, al Genio Civile e al Comando di Distretto, per poter avere sul luogo della tragedia reparti militari della caserma Giuseppe Sirtori, al Lazzaretto.Il 18 settembre il sottoprefetto comunicava al Comune di Acquate che veniva messa a disposizione la somma di 500 lire per far fronte ai più urgenti bisogni delle famiglie di Versasio.

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La notizia della sciagura di Versasio, vicino a Lecco, destò commozione in tutta la provincia di Como e in gran parte della Lombardia. Le piogge di settembre avevano provocato quasi ovunque danni gravi, ma a Versa-sio sei persone avevano perso la vita.Il Comitato milanese di soccorso per gli alluvionati, il 26 settembre deci-deva un primo stanziamento di 500 lire, a sostegno degli abitanti di Ver-sasio. La città di Como, dopo pubblica sottoscrizione, inviava 300 lire.Il consiglio comunale di Acquate si riuniva, con il sindaco Carlo Poz-zi, e deliberava sussidi ai danneggiati dalla frana. Erano presenti all’im-portante seduta i consiglieri Antonio Villa, Crespino Gilardi, Tommaso Dell’Oro, Gaspare Sala, Federico Sala, Angelo Pozzi, Pietro Invernizzi, avvocato Ernesto Pozzi, dottor Giovanni Pozzi, Giovanni Rota, Giusep-pe Villa e Carlo Dell’Oro.Continuava intanto la catena degli interventi di soccorso e di sostegno oltre il Comune di Acquate. La Municipalità di Laorca inviava 40 lire.Analoga somma veniva fatta pervenire dall’associazione di mutuo soc-corso fra gli operai della città e del mandamento di Lecco. Il 13 dicem-bre il negoziante Signorelli di Lecco recapitava al sindaco di Acquate, Carlo Pozzi, un assegno di 150 lire inviato dal lecchese Pietro Verga, residente in Argentina.Intanto la Commissione centrale di benefi cenza in Milano della Cassa di Risparmio aveva messo a disposizione 300 lire e la città di Monza 200, dopo pubblica sottoscrizione.La legge numero 1147, del 27 dicembre 1882, annoverò Acquate fra i co-muni ammessi ai sussidi straordinari per inondazioni e calamità naturali. Nel ruolo dei benefi ciari fi guravano otto gruppi familiari compresi nel territorio di Acquate: Angelo e Bernardo Colombo, Giovanni Colombo, fratelli Invernizzi fu Pasquale, Gerolamo Invernizzi, Angelo Invernizzi, Carlo Vitali e fratelli Vitali fu Ambrogio.I fratelli Giovanni e Filippo Vitali, fu Ambrogio, ebbero il sussidio solo nel 1899, per essere emigrati dopo la frana. Rientrati a Versasio di Ac-quate, trovarono complicazioni burocratiche a ottenere il contributo perché lo stanziamento di bilancio riguardava un esercizio fi nanziario precedente e i mandati relativi erano in un primo tempo introvabili tra le tante scartoffi e dei pubblici uffi ci.Il minuscolo abitato di Versasio venne ricostruito, mentre il tempo tra-scorso di 125 anni ha cancellato il ricordo di quella giornata di terrore e di lutto del settembre 1882. Versasio era allora raggiungibile solo attraverso la mulattiera verso Erna, che saliva da Acquate toccando i nuclei rurali di

Il paesaggio ancora verde di prati e di boschi sopra il vecchio nucleo del quartiere Acquate,nella zona dell’attuale via ai Poggi.

La stazione di partenza, in località Versasio, della funivia verso i Piani Erna, inaugurata uffi cialmentenel luglio 1966, dopo essere entrata in funzione nel dicembre precedente.

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Piazza XX Settembre nel primo decennio nel Novecento. Si può notare l’insegna del Caffè Commercio.

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Falghera e Malnago, allora ben evidenziati nella separazione esistente di vasti prati e boschi lungo quella che oggi è denominata via ai Poggi.Nell’autunno 1940, nel corso della permanenza in Valsassina di migliaia di militari della divisione Brennero (impegnati in un’esercitazione che simulava l’invasione dalla Svizzera), reparti della stessa, durante il perio-do di avvenuto attendamento in attesa dell’arrivo di tutta la formazione ve nero impiegati a costruire la carrozzabile che si fermava allora appena sopra Acquate, in località Canto.La nuova arteria in terra battuta raggiunse la frazione Falghera, poi quella di Malnago. Una lapide ricorda ancora oggi l’evento alla curva di Falghera.La carrozzabile sino a Malnago ha segnato l’avvio di una notevole tra-sformazione della zona di via ai Poggi, avvenuta nella seconda metà del Novecento. La strada carrozzabile raggiunse Versasio, costruendo il trac-ciato tra il 1946 e il 1948, con un cantiere di lavoro per l’occupazione promosso dal Comune di Lecco.La luce elettrica arrivò a Versasio solo nel 1953. Lo sviluppo edilizio della zona sopra Acquate ha avuto inizio negli anni

,60 del Novecento,

con il progetto di costruzione della funivia Versasio-Piani Erna. La funi-via è stata inaugurata uffi cialmente nel luglio 1966 dall’arcivescovo di Milano, cardinale Giovanni Colombo, presenti numerose autorità con il sindaco di Lecco, Alessandro Rusconi.Il nuovo impianto venne illustrato al cardinale dal presidente della Sper, Achille Colombo, e i progetti di urbanizzazione per i nuovi Piani Erna dal presidente dell’Immobiliare Resegone, Angelo Beretta. La funivia ha potenziato i fl ussi turistici, invernali ed estivi, non solo verso Erna, ma in tutto il gruppo montuoso del Resegone, a iniziare dal rifugio Antonio Stoppani del Cai Lecco.C’è da segnalare anche che la lapide alla curva di Falghera è sopra vissu-ta alle turbolenze post-belliche dell’aprile 1945, “purifi cata” da simboli e stemmi di altri tempi politici. La lapide è, però, rimasta quasi inalterata nel testo: si ricorda che il Comune di Lecco, con il determinante con-tributo dei militari della divisione Brennero della IV Armata, volle la strada con “romano spirito”, dimostrando quanto i soldati dell’esercito italiano fossero pronti alle opere di pace, come a quelle di guerra. La lapide ricorda, altresì, che le truppe lasciarono il Lecchese destinate al fronte greco-albanese. Il territorio di Versasio, appena sotto il punto in-feriore della lingua di frana, è attraversato, dal 2006, dal nuovo tracciato di collegamento fra Lecco e la Valsassina.

Il pendio dove è scesa la frana di Versasio del 16 settembre 1882.

Casolare rurale della vecchia Versasio, quasi al termine della strada che sale dal quartiere Acquate.

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Piazza XX Settembre, con le bancarelle del mercato, anni ’30. Si può notare sulla destra l’insegna Angelo Nava, negozio di tessuti, presente presso i portici vecchi per tutto il Novecento.

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Il 20 settembre1895 e la “Questioneromana”

CAPITOLO 14

Il 20 settembre 1895, venticinquesimo della breccia di Porta Pia a Roma, registrò a Lecco il punto più alto del “confl itto” fra clericali e laici. La “questione romana”, sempre viva e attuale, agitava in

tutta Italia i rapporti fra Stato e Chiesa: la politica nazionale era imbe-vuta da un diffuso anticlericalismo, sempre per Roma capitale. Il qua-dro generale si accentuava a Lecco per le polemiche, che divampavano ormai da decenni, fra gli opposti schieramenti e che avevano avuto un ulteriore surriscaldamento con l’inaugurazione nel 1884 del monumen-to a Giuseppe Garibaldi.Nello stesso 1884 don Giuseppe Cavanna, prete dinamico e battagliero, aveva costituito un Circolo della Gioventù Cattolica, che si distinse per fedeltà al Pontefi ce. Il circolo venne intitolato al beato Pagano, il predi-catore domenicano lecchese assassinato dagli eretici albigesi nel secolo XIII. Il nome del martire, vittima della fede, doveva infondere coraggio nell’azione contro i “novelli albigesi”, garibaldini, liberali e laici in testa.La ricorrenza del 25° della breccia di Porta Pia fu occasione anche a Lec-co per una celebrazione particolare di Roma capitale d’Italia, dopo essere stata la capitale del Papa Re. Tutta la nazione festeggiò l’avvenimento con iniziative promosse da un comitato permanente per la festa del 20 settembre, intendendo celebrare le “nozze d’argento della Liberazione”.L’atmosfera divenne particolarmente calda a Lecco dopo la seduta consi-

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Piazza XX Settembre, dove si può notare, sulla

destra, la casa dell’abate Antonio Stoppani,

nato il 15 agosto 1824.

Uno scorcio di piazzaXX Settembre sotto la neve, vista dal portico

presso la Torre Viscontea.

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liare del 12 settembre. Venne infatti approvata una deliberazione dove, oltre a commemorazioni e cerimonie con cortei e discorsi, si decise di in-titolare al “20 settembre” la piazza del Mercato. La deliberazione venne approvata dal Consiglio dopo un ordine del giorno presentato da Carlo Bonfanti, Angelo Grassi, Antonio Vicini, Albino Biffi , Angelo Bettini, Ernesto Pozzi e Carlo Castelli.La protesta dei giovani del Circolo Pagano fu immediata. Si fece subito notare che la decisione di cambiare nome alla piazza del Mercato era un atto quantomeno di mancanza di rispetto alla tradizione e alla decisione degli avi, nonché un fatto di grossolana faziosità politica. Venne, inoltre, evidenziato che in una vecchia casa della piazza del Mercato, proprio nella parte più caratteristica dei portici, era nato il 15 agosto 1824 l’aba-te geologo Antonio Stoppani, il fi glio più illustre del borgo lecchese, au-tore, tra l’altro, del notissimo “Il Bel Paese”. Stoppani era morto improv-visamente a Milano il 1° gennaio 1891. Era divenuto, sì, sacerdote nel 1848, dopo aver partecipato -con altri seminaristi- alle Cinque Giornate di Milano, ma era soprattutto un sacerdote rimasto sempre fedele al Papa e alla Chiesa di Roma.Nuove polemiche divamparono quando la banda Manzoni accettò l’invito della Giunta per un pubblico concerto il XX Settembre. I cattolici provo-carono subito una scissione nella Manzoni e formarono il Corpo musicale San Giuseppe che verrà poi ricordato come “la banda dei paolotti”.I giovani cattolici del Pagano celebrarono il 20 settembre 1895 con una loro “contromanifestazione” partecipando a una messa in suffragio dei venti soldati pontifi ci caduti difendendo il Papa Re Pio IX, dagli assalti delle truppe “piemontesi” di Cadorna. Le perdite italiane del 20 set-tembre 1870 furono superiori a quelle pontifi cie; il bilancio complessivo è stato di 56 morti e 41 feriti tra bersaglieri, fanti e militari del Genio zappatori.Gli avvenimenti di Roma capitale vennero rievocati in una successiva riunione dei giovani del circolo, tutta indirizzata a sottoli-neare il valore dell’Armata pontifi ca che con soli 14.600 uomini aveva tenuto testa al Corpo di spedizione italiano, forte di 60.000 militari e di una potente artiglieria campale. Venne anche additata, ad esempio, la disperata e eroica resistenza, a segnale di resa già data, di un gruppo di zuavi del colonnello Allet, intorno a villa Bonaparte. L’appello conclusi-vo della riunione fu che era necessario continuare a combattere contro i nemici della Chiesa, gli usurpatori del trono papale, gli invasori di Roma cristiana. Ebbe così inizio un periodo di continue polemiche e di roventi accuse incrociate.Nel 1898, dopo i noti tragici fatti di Milano con la repressione bruta-le del generale Bava Beccaris, il Circolo Pagano venne chiuso con un provvedimento di polizia, avendo troppo parteggiato per “gli insorti” mi-lanesi, mortalmente colpiti mentre chiedevano un piatto di minestra e un pezzo di pane. Il Circolo riaprì nel 1901, ma il presidente Alessandro Figini fi nì in tribunale per aver ribadito la fedeltà al Pontefi ce contro lo Stato italiano, indicato come massone e anticlericale. Venne nominato membro d’onore del Consiglio nazionale della Gioventù Cattolica e in-signito dell’onorifi cenza “Pro Ecclesia et Pontefi ce”.

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Un raduno motociclistico in piazza XX Settembre, sul fi nire del Novecento.

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L’ultima clamorosa fi ammata anticlericale avvenne nel novembre 1904, quando Mario Cermenati fu superato alle elezioni politiche di ballottag-gio da Lodovico Gavazzi, candidato liberale moderato di Valmadrera, dove era titolare di fi lande. Un gruppo di fanatici sostenitori di Cerme-nati prese a sassate le vetrate della canonica della basilica di San Nicolò e gettò nel lago lo stemma arcivescovile collocato sul portale d’ingresso, che oggi non è più visibile, essendo stato demolito nella generale ristrut-turazione del fabbricato avvenuta nel 1972. Mario Cermenati disapprovò subito le intemperanze di un gruppo sparuto di suoi sostenitori. Tutto ciò era avvenuto perché attivisti del candidato lecchese radical-democratico avevano accusato alcuni preti di sostenere “sotto banco” la candidatura di Lodovico Gavazzi, che aveva vinto per una manciata di voti.La piazza del Mercato di Lecco, divenuta XX Settembre nel 1895, è ri-masta tale anche dopo oltre cento anni. Nel 1895 la città di Lecco, sul-l’onda entusiastica di nuovi sodalizi di aggregazione sociale, salutava, intanto, l’inaugurazione della capanna Stoppani del Cai, sulle pendici del monte Resegone, appena sopra la località Costa e la fondazione della Canottieri Lecco, società remiera che scelse i colori blucelesti come ves-sillo, “copiati” poi anche dalle squadre di altre discipline agonistiche.Spente le polemiche, dissipati le divisioni e i rancori, la piazza XX Set-tembre, “salotto” della città, ricorda ancora oggi quel breve mattino di pur sanguinosa battaglia alla periferia di Roma, che completò il nostro primo Risorgimento. La carica dei bersaglieri avvenne presso una breccia vicino a Porta Pia, sulle mura perimetrali della capitale, “battute” dai cannoni italiani nel tratto dove le stesse erano meno fortifi cate, secondo una mappa molto probabilmente preparata da agenti infi ltrati.

La piazza XX Settembre, nei primi anni del Duemila.

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Le bancarelle di frutta, verdura e fi ori animano il mercato in piazza XX Settembre.

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Il campaniledella prepositurale:lapis verso il cielo

CAPITOLO 15

I l campanile della Basilica di San Nicolò è stato inaugurato la notte di Natale del 1904 con il concerto festoso delle sue nove, possenti campane che chiamavano i fedeli alla messa di mezza-

notte per la Natività.Il secolo abbondante trascorso ha reso più che familiare nel paesaggio lecchese il campanile di San Nicolò, come il monte Resegone, il tre-centesco ponte Azzone Visconti, la barchetta manzoniana di Lucia. Una sola cosa è cambiata: i nove bronzi della sua cella campanaria suonano ormai da oltre quarant’anni mediante congegni elettrici; per diversi de-cenni, invece, “attaccarsi” alle corde delle campane, nei giorni e nelle solennità più importanti, era un privilegio ricercato per i ragazzi dell’ora-torio, per gli accoliti della Basilica, per gli uomini della Confraternita del Santissimo Sacramento.Notte di Natale 1904: i lecchesi avevano faticato parecchio per arrivare all’inaugurazione del campanile di ben 96 metri, secondo in altezza come costruzione religiosa dell’intera Diocesi di Milano, superato soltanto dal-la guglia con la Madonnina del Duomo.Si incominciò a parlare di un nuovo campanile per la prepositurale col-legiata di San Nicolò con don Antonio Mascari, ricordato come il pre-vosto del Risorgimento lecchese, al quale è dedicata la via che passa nel vecchio borgo e che porta dalla chiesa a via Cavour.

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La chiesa prepositurale di San Nicolò, negli anni ’20 del Novecento.

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I lavori ebbero inizio con il successore di don Mascari, deceduto nel 1861, il prevosto Pietro Galli. Il 24 gennaio 1873 don Galli aveva ac-quistato dai fratelli Bertarelli l’avanzo di un antico torrione della cinta difensiva del borgo fortifi cato, collocato vicino al coro della chiesa. Il massiccio avanzo delle fortifi cazioni militari doveva servire come solida base per far sorgere la nuova altissima torre campanaria.Il 18 luglio 1888 il priore della fabbriceria parrocchiale faceva perve-nire in esame ai competenti uffi ci comunali il progetto predisposto dal lecchese ingegner Enrico Gattinoni. Il progetto era, appunto, ardito: 96 metri di campanile, 400 gradini sino all’ultima terrazza belvedere.Cominciarono ad arrivare nelle vicinanze della chiesa i primi massi di pietra, già squadrati e numerati, destinati alla costruzione. Il campanile cominciò a crescere, pietra su pietra, lentamente perché nell’edilizia non vi erano i mezzi attuali. Nel 1894, giunti circa all’altezza dell’orologio, i lavori furono sospesi per mancanza di fondi.Occorreva nuovo denaro e non era facile trovarlo anche per la particola-re situazione politica, e di rifl esso religiosa, che Lecco registrava in quel periodo con accese “zuffe” fra laici e clericali. I lavori vennero ripresi nel 1901 e completati nel 1904. Dopo alterne vicende veniva fi nalmente por-tata a termine la torre campanaria che sembrava forare il cielo con la sua aguzza cuspide, progettata nel 1901 dall’architetto milanese Giovanni Ce-ruti, che modifi cò - nella parte terminale - quanto previsto dal Gattinoni.Il 24 ottobre 1904 vennero calate dal campaniletto tuttora visibile sul lato della chiesa verso via San Nicolò e via Mascari, le cinque vecchie campane, spedite a Grosio in Valtellina. Vennero rifuse e alle cinque ne furono aggiunte altre quattro.Martedì 26 novembre 1904 le nove campane arrivarono a Lecco su carri ferroviari e portate presso la “giesa granda” per la benedizione solenne della domenica successiva, accompagnata dalle note festose della banda parrocchiale San Giuseppe. Saranno poi sollevate, non senza trepidazio-ne, nella cella campanaria. Il peso complessivo era di circa 95 quintali. La campana maggiore, “el campanun”, pesa da sola 7 quintali.La terza campana, in ordine di peso, è dedicata all’Immacolata Conce-zione e reca incisa in latino l’iscrizione che fi ssa nella storia l’avvenimen-to. Si può infatti leggere: “Nell’anno 50esimo della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, essendo Papa Pio X, arcivescovo di Milano il cardinale Andrea Ferrari, Giusep-pe Confalonieri prevosto parroco di Lecco, con questo nuovo concerto tratto dal bronzo, opera dei Prunieri, di Grosio, i lecchesi, riconoscenti e devoti, la sullodata Vergine eccelsa, lieti acclamano”.Don Pietro Galli, il “prevostone” (come veniva chiamato per la sua cor-poratura e per i modi energici di buon brianzolo di Annone), non vide l’opera che aveva tanto sostenuto nel lungo periodo trascorso a Lecco: don Galli era, infatti, scomparso nel gennaio 1902, a 87 anni. Riposa nel-la cappella del clero di San Nicolò, presso il Monumentale di via Parini.Lanciato verso il cielo con i suoi 96 metri, quasi un lapis appuntito, il campanile, grazie anche al paesaggio che lo circonda, dal lago alle mon-tagne, non ha perso l’iniziale freschezza, pur nel trascorrere di oltre cento

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stagioni. Da quel lontano Natale 1904 le sue campane hanno accompa-gnato la vita cittadina, annunciando avvenimenti lieti e tristi.Il lavoro edilizio si deve all’impresa di Martino Todeschini, un capo-mastro di riconosciuta esperienza professionale. Tutti i collaboratori di Todeschini meritano un pensiero riconoscente, perché affrontarono una faticosa e pericolosa impresa, operando su traballanti ed esposti ponteg-gi. È un pensiero che rammenta, tra l’altro, che senza fatica e impegno di duraturo si costruisce ben poco, ieri e oggi.Segnato dal tempo trascorso, ma soprattutto dagli agenti atmosferici, a iniziare da saettanti fulmini, il campanile venne sottoposto a un generale restauro nel 1979, 85 anni dopo la sua inaugurazione, su iniziativa del pre-vosto monsignor Ferruccio Dugnani e con progetto dell’architetto Bruno Bianchi. I lavori videro anche la collaborazione di due Ragni del Cai Lec-co, i rocciatori Fabio Lenti e Ivo Mozzanica, che con pendolanti acrobazie

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La riva portuale del lungolago lecchese sotto la neve, mentre appare ancora in costruzione, sul fi nire dell’Ottocento, il campanile di San Nicolò.

salirono e scesero lungo il campanile per interventi di sistemazione. C’è da ricordare che nel pomeriggio dell’antica festa di Lecco, della prima do-menica di ottobre 1987, i Ragni avevano violato le pareti del campanile con un’arrampicata in direttissima, richiamando tanta gente sul sagrato e nel cortile dell’oratorio San Luigi, nonché sulla passeggiata del lungolago. Le cronache della giornata riferiscono che “la festa della prima domenica di ottobre si concluse con tanta gente con il naso all’insù”.Nell’estate 1989, durante il generale restauro, venne girato un filma-to televisivo di venti minuti dall’emittente locale Tsl Lecco, con in-terviste di Aloisio Bonfanti e riprese di Paola Nessi, passata poi alla Rai-Tv. Il filmato rimane un documento eccezionale per conoscere da vicino il campanile e per ammirare il panorama circostante che, tra l’altro, nel tempo trascorso ha subìto diverse modifiche nell’assetto urbanistico della città.

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La riva del lago senza la “scarpa d’approdo” (anno 1890), mentre i lavori per il campanile avevano raggiunto poco più della metà della costruzione.

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Movimento di carri presso il porto di Lecco intorno

al 1915.

Panoramica della zona intorno alla prepositurale con il campanile appena

terminato, ma ancora senza bronzi. Si può

notare nella foto il cantiere di costruzione del nuovo famedio all’ingresso del

cimitero monumentale di via Parini, datato 1904.

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Un Capodannotra due secoli

CAPITOLO 16

Lo scoccare della mezzanotte tra il 1900 e il 1901, fatidico momen-to del cambio tra Ottocento e Novecento, vide Lecco fl agellata dalla pioggia e dal vento, mentre una nevicata abbondante ca-

deva sui circostanti monti. Vi furono ugualmente giovani animosi che a Neguggio, sulle prime pendici del Magnodeno, sopra Germanedo, ac-cesero grandi falò. Le campane della parrocchiale di Castello suonarono a distesa, mentre il maltempo rovinò l’illuminazione prevista a Lecco, Acquate e Olate, e anche un gigantesco falò sulla vetta del Monte Barro, per iniziativa di giovani di Galbiate. Solo Malgrate, nonostante il vento e la pioggia, riuscì a illuminare alcune case e vie del paese.A Castello, dopo la messa solenne di mezzanotte che concludeva tre giorni di adorazione al Santissimo, i fedeli raggiunsero il cimitero con insolita processione notturna. Per le celebrazioni di fi ne Ottocento, sem-pre a Castello, il grande Crocifi sso della parrocchiale, solitamente collo-cato in altare laterale, venne portato al centro della navata. Gli auguri di mezzanotte furono particolarmente vivaci presso il Teatro Sociale, dove era in corso il grande veglione di fi ne secolo organizzato dal Corpo musicale cittadino “Alessandro Manzoni”. Il maltempo osta-colò l’affl usso dei partecipanti al veglione e il bilancio si concluse con un defi cit fi nanziario per la banda Manzoni, che aveva sperato di ricavare qualcosa per le casse sociali.

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L’albergo ristorante Mazzoleni, sul lungolago, davanti all’imbarcadero dei piroscafi dove oggi si trova il ristorante “Al Pontile - da Orestino”.

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Nell’entusiasmo della notte tra i due secoli, con molta gente nelle strade e nei pubblici esercizi, non mancarono litigi e risse. Pugni e calci vola-rono in via Cavour fra alcuni giovani, mentre complimenti piuttosto... calorosi, rivolti in via Cattaneo a una bella ragazza reduce dal Sociale, scatenarono un parapiglia.Nella serata di San Silvestro un solenne Te Deum di ringraziamento era stato cantato dai fedeli presso la prepositurale. All’alba del primo giorno del nuovo secolo una messa venne celebrata, sempre presso la preposi-turale, dal prevosto monsignor Pietro Galli, in sorprendente, vigorosa salute a 86 anni.Il Capodanno 1901, dopo il maltempo della notte, venne accompagnato da una giornata quasi primaverile. La città rimase addormentata a lungo, dopo tanta baldoria notturna. Nel primo pomeriggio la banda Manzoni attraversò il centro, portando gli auguri musicali del complesso. Una tor-ta gigantesca, donata ai musicanti dalla pasticceria Mauri di via Cavour, venne consumata presso il Caffè Unione di piazza Garibaldi. Fu poi la volta della banda “San Giuseppe”, il complesso musicale della parroc-chia, a portare gli auguri ai lecchesi.Il secolo Ottocento lasciato alle spalle era stato particolarmente ricco di avvenimenti e novità storiche per il borgo di Lecco, promosso al rango di città con le vicende risorgimentali del 1848. Grandi novità erano state l’apertura, nel 1828, della nuova strada militare austriaca lungo la sponda orientale del Lario, verso lo Stelvio, e la costruzione dell’Ospe-dale civico (attuale municipio) e del Teatro Sociale, entrambi su pro-getto dell’architetto Giuseppe Bovara.Nel 1856 il telegrafo era giunto a Lecco, ancora con la presenza austriaca. Nel 1855, nella lontanissima Woodlark, nell’arcipelago immenso vicino all’Australia, era stato truci-dato il missionario del Pime, nativo di Rancio, padre Giovanni Battista Mazzucconi, che la Chiesa ha proclamato Beato.Sempre l’Ottocento aveva visto, nel 1859, la conferma per Lecco al titolo di città, dopo la vittoriosa conclusione della seconda guerra di Indipen-denza nazionale, e la nomina del primo sindaco, nella persona di France-sco Cornelio, ricordato poi con una via davanti al Palazzo di Giustizia.I primi binari della ferrovia erano arrivati nel 1863 con l’inaugurazio-ne della linea Lecco-Bergamo. Nello stesso anno era stata costituita la Camera di Commercio e Arti. Nel 1873 verrà inaugurata un’altra linea ferroviaria, l’importantissima Lecco-Milano. E sempre per le ferrovie, al trecentesco ponte stradale di Azzone Visconti veniva affi ancato nel 1886 il ponte in ferro sull’Adda della ditta Badoni, per i binari della Lec-co-Como, con la galleria del San Michele, sotto il monte Barro.La parte fi nale dell’Ottocento aveva visto l’inaugurazione dei monumen-ti a Giuseppe Garibaldi e Alessandro Manzoni, la scomparsa di Antonio Stoppani e Antonio Ghislanzoni. C’era stato l’impegno di tanti lecchesi verso nuove strutture di aggregazione sociale. Dopo la Società del Tiro a Segno erano, infatti, sorte la sezione del Cai, l’Associazione degli alpini-sti “Antonio Stoppani”, la Canottieri Lecco, la Ginnastica Ghislanzoni, la Società Escursionisti Lecchesi e altre ancora.Nel 1867, nella periferica località verso il Lazzaretto, appena oltre il cor-

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Convoglio ferroviario sul ponte dell’Adda, a Pescarenico, con locomotiva a vapore.

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so del Caldone, veniva costruita la caserma del Regio Esercito Italiano, dedicata poi al generale garibaldino Giuseppe Sirtori, nativo di Casate-vecchio, oggi frazione del Comune di Monticello Brianza.Soggiornando nella villa del Caleotto, “sua sino al 1818”, Alessandro Manzoni ambientava nel Lecchese il suo famoso romanzo, che tanta fama letteraria ha dato al borgo incamminato a diventare città.L’Ottocento è stato poi il secolo del boom industriale di Lecco, che ha consolidato e allargato una vocazione già radicata con le trafi lerie e le offi cine nella vallata del Gerenzone e lungo la canalizzazione artifi ciale della Fiumicella. È stato il secolo nel quale è nato un nome di Lecco nel mondo: la Badoni per le costruzioni metalliche. Giuseppe Badoni è stato presidente nel 1848 del comitato insurrezionale nelle giornate che portarono il borgo a essere promosso città: ma è stato, soprattutto, il fondatore di un’impresa che ha costruito strutture metalmeccaniche in tutto il mondo.Nel 1876 era sorta la Giulio Fiocchi Munizioni, tuttora presente con il grosso complesso in quartiere Belledo e con altra realtà produttiva di di-verso settore in quartiere Castello. Nel 1896 era nata l’Acciaieria e Fer-riera del Caleotto, imponente complesso con gli altiforni delle roventi colate, defi nita la nuova “cattedrale” del lavoro e del progresso.L’Ottocento aveva anche salutato il sorgere di altre storiche aziende, come il Colorifi cio Pietro Gandola, che già tra il 1883 e il 1888 si distin-gueva sempre più nell’industria delle vernici e di altri prodotti chimici, allestendo uno stabilimento nelle prossimità del ponte Azzone Visconti.Nel 1893 era stata fondata la Fabbrica Velluti Alfredo Redaelli, con sede a Rancio, subito conosciuta per una produzione di qualità, non solo sul mercato italiano, ma anche all’estero.

Piazza Manzoni con il ponte sul corso del Caldone, che sarà coperto nel 1960-1965.

Lo scalo ferroviario della Piccola; sullo sfondo l’edifi cio dell’ospedale del Novecento.

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Il tratto di via Roma che porta da Piazza Garibaldi a Piazza XX Settembre. Sul lato sinistro si può notare l’angolo dl Caffè Colonne, noto ritrovo della borghesia lecchese, demolito nel 1955-1956 per costruire il grattacielo con la fi liale bancaria del Credito Italiano.

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Il tricoloredel 1° maggio sul balconedel municipio

CAPITOLO 17

Il prefetto di Como, nella primavera del 1900, sospese dalle funzioni di primo cittadino il sindaco di Lecco, Giuseppe Ongania, per ave-re esposto il tricolore nella ricorrenza del 1° maggio, data che non

era ancora riconosciuta come festività civile per il lavoro; lo sarà solo nel 1946, con l’avvento in Italia della Repubblica, voluta dal referen-dum istituzionale, a suffragio universale, del 2 giugno.Quanto avvenuto a Lecco ebbe risonanza nazionale, anche per le inter-rogazioni presentate al Governo dai deputati di estrema sinistra Gustavo Chiesi e Ettore Socci. Il sindaco Ongania, dichiaratamente repubblica-no, aveva fatto esporre la bandiera nazionale sul balcone del municipio di via Roma, come omaggio per tutti coloro che con il quotidiano lavoro operavano per il progresso dell’umanità. Nella mattinata stessa del 1° maggio, verso le ore 11, il sottoprefetto di Lecco (che aveva l’uffi cio nel palazzo dell’attuale corso Martiri dove si trova la Polizia Stradale), convocò urgentemente il sindaco per avere spiegazioni sulla bandiera esposta. Nel pomeriggio Ongania venne nuovamente convocato presso la sottoprefettura e invitato, telegramma del prefetto alla mano, a ritira-re immediatamente la bandiera. Il sindaco fu irremovibile nel diniego, assumendo tutte le responsabilità dell’avvenuta esposizione. Giunse in serata il telegramma urgente del prefetto di Como che, con effetto im-mediato, sospendeva Ongania dalle funzioni di sindaco.

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Come si presenta oggi il balcone al primo piano di Palazzo Ghislanzoni, in via Roma, già sede municipale, dove il 1° maggio 1900 venne esposta la bandiera tricolore che provocò la sospensione per due mesi dall’incarico del sindaco Giuseppe Ongania.

La palazzina nel cortile di via Roma, dove, al piano terra, si trovava il salone riunioni del consiglio comunale di Lecco e dove la sede municipale rimase sino al 1928.

Divamparono subito polemiche tra le più accese. Il settimanale “Il Preal-pino”, vicino al sindaco, scrisse di “ira reazionaria” contro un primo cit-tadino reo solo di nutrire sentimenti liberi. Il periodico esprimeva piena solidarietà a Ongania, che non si era adattato, dopo il telegramma prefet-tizio, “ad essere un servitore cieco e fedele degli stipendiati rappresentanti del Governo”. Il consigliere socialista avvocato Antonio Vanzelli indiriz-zava una lettera aperta al prefetto dove sottolineava che “correttamente agì il sindaco di Lecco, il quale trovandosi a capo di una cittadinanza fortunatamente lavoratrice ha creduto di interpretare i sentimenti comu-ni associandosi con l’esposizione tricolore alla festa del lavoro”. La vena poetica di Giovanni Bertacchi trovò modo, sempre sulle pagine del Preal-pino, di far pubblicare la singolare ode “Il 1° maggio di una bandiera”.Il consiglio comunale veniva, intanto, convocato urgentemente in seduta straordinaria, presso il salone di via Roma, situato nella palazzina del corti-le interno di palazzo Ghislanzoni. Un numeroso pubblico affollò l’aula con manifestazioni di aperta simpatia per il sindaco sospeso, accolto da calorosi applausi. Il consiglio comunale venne, però, presieduto dall’assessore an-ziano Giuseppe Mariani, essendo Ongania sospeso. Il “sindaco in castigo” si limitò a riferire sui fatti avvenuti il 1° maggio, in particolare ai due in-contri avvenuti con il sottoprefetto. Il consiglio comunale approvò con voti unanimi, fra nuovi vigorosi applausi, una mozione di solidarietà e di piena fi ducia ad Ongania, deplorando l’arbitrio dell’autorità governativa.Giuseppe Ongania tornò nel suo ruolo di sindaco il 7 luglio 1900; la so-spensione, infatti, era stata di soli due mesi, mentre in un primo tempo si parlava di un semestre e, per alcuni, addirittura di un anno. Mezza Italia democratica e popolare aveva parlato di Ongania, in particolare radicali, socialisti, repubblicani, circoli di ispirazione laica e progressista.Ongania era nato a Lecco il 23 dicembre 1869; aveva studiato nel liceo del collegio dei Barnabiti di Lodi. Si era laureato in ingegneria civile, al Politecnico di Milano, nel settembre 1893. Il suo debutto in politica avvenne nelle elezioni municipali del 1895; divenne sindaco il 5 maggio 1897, subentrando proprio al suo ex capolista, nello schieramento “Con-centrazione Democratica”, Guido Ghislanzoni. Fissò allora un primato che resiste tuttora e che, molto probabilmente, sarà diffi cilmente battuto: è stato il più giovane cittadino ad assumere la carica di sindaco di Lecco. Ongania aveva allora 27 anni e mezzo. Un primato che è stato solo sfi o-rato nell’autunno 1948 da Ugo Bartesaghi, primo sindaco democristiano della città, eletto a 28 anni.Ongania rimase sindaco, salvo la parentesi di alcuni mesi nel 1898

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(quando fu sostituito da Achille Gattinoni), fi no al 13 ottobre 1909. Nel 1910 venne eletto consigliere provinciale.Le sue condizioni di salute erano, intanto, divenute critiche e trascorse un lungo periodo di cura presso le terme della Val Masino, in provincia di Sondrio. Giuseppe Ongania morì l’11 giugno 1911, presso l’Istituto Biffi di Monza, dove era stato ricoverato per l’aggravarsi della malattia.Lecco perdeva un cittadino di primo piano, a meno di 42 anni di età, protagonista per oltre vent’anni, non solo nell’ambito municipale. On-gania era stato, infatti, vicepresidente della sezione Cai, presidente del Teatro della Società, consigliere di amministrazione della Banca Popola-re di Lecco, fondatore e dirigente della Canottieri Lecco. Le sue spoglie riposano nella cappella di famiglia presso il Monumentale di via Parini.L’irrequieto personaggio, l’acceso repubblicano, ebbe addirittura due fu-nerali. Le sue volontà erano, sembra, per esequie civili ma, per l’inter-vento della sorella, suora di Maria Bambina, si fecero solenni onoranze religiose con la partecipazione di 18 sacerdoti. I funerali avvennero nel

La lapide della sepolturadi Giuseppe Ongania

presso la cappella di famiglia, nel cimitero monumentale di via

Parini.

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Lo stemma arcivescovile gettato nel lago durante i tumulti elettorali nella serata del 13 novembre 1904. Si trova ora sulla facciata della canonica di piazza Cermenati.

pomeriggio del 14 giugno, sotto una pioggia incessante. C’era tutto lo stato maggiore “cermenatiano”, guidato dal leader indiscusso, l’onorevo-le Mario Cermenati, deputato nel Parlamento del Regno dal 1909.Nella mattinata del 15 giugno vi furono, invece, le onoranze civili, pro-mosse dai circoli democratici e laici. Un corteo di duemila persone si mosse dal palazzo scolastico di via Ghislanzoni per raggiungere il cimi-tero. C’erano le bandiere di repubblicani, radicali, socialisti, i vessilli di corpi musicali e di organizzazioni sportive; c’erano deputati e uomi-ni politici giunti da Milano, Sondrio, Como e da altre città. Spiccava un’enorme corona di garofani rossi con la scritta “La democrazia lecche-se a Giuseppe Ongania”. La città di Lecco ricorda il sindaco che volle il tricolore il 1° maggio 1900 con una via a due passi dal Monumentale di via Parini. È il cimitero che fu al centro di polemiche accese quando, nel 1904, Ongania voleva costruire nel nuovo famedio d’ingresso anche un forno crematorio. L’opposizione clericale fu durissima e intransigente a tale progetto, che non venne realizzato.

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La prima statua di Mario Cermenati, opera dello scultore Mario Rutelli. Venne inaugurata nel settembre 1927. L’epigrafe del basamento si deve al poeta Giovanni Bertacchi. Negli anni ’40, durante la seconda guerra mondiale, la statua venne tolta per essere fusa in materiale bellico. È stata sostituita con l’attuale, in marmo, opera di Francesco Modena.

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Elezioni roventi:1904 - 1909

CAPITOLO 18

Il primo “duello” politico elettorale fra Mario Cermenati e Lodovico Gavazzi avvenne per l’elezione dei deputati al Parlamento del Re-gno del 3 giugno 1900. Cermenati era allora un docente di geologia

e di paleontologia. Gavazzi, invece, un importante imprenditore serico della vicina Valmadrera. Il primo era sostenuto dalle forze progressiste del centrosinistra e, in particolare, da repubblicani e radicali; il secondo era il leader riconosciuto dei moderati e dei conservatori, che lo aveva-no già eletto al Parlamento nazionale nel Collegio di Lecco.La candidatura di Mario Cermenati venne accompagnata dall’appello agli elettori di un comitato di personalità cittadine e di esponenti di circoli laici e democratici.La “battaglia” elettorale si annunciò avvincente e incerta: Gavazzi pote-va vantare l’esperienza di deputato e un’intensa attività svolta a favore del territorio lecchese; Cermenati era un esponente di notevole popola-rità e di riconosciuto ingegno.Il responso delle urne venne atteso con trepidazione. I tre seggi di Lecco videro la prevalenza di Cermenati, come in larga parte dei vecchi Comuni lecchesi, gli attuali rioni cittadini. La maggioranza cermenatiana fu con-sistente ad Acquate, Germanedo e Rancio; di stretta misura a Maggianico e San Giovanni. Laorca e Castello votarono, invece, per Gavazzi.Se la città aveva votato Cermenati (intendendo tutti i Comuni che

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formarono la grande Lecco nel 1928), il territorio si pronunciò per Ga-vazzi. Schiacciante la maggioranza di Valmadrera: i voti a Gavazzi fu-rono 331, contro i 14 per Cermenati. Netta maggioranza per Gavazzi anche a Malgrate. Gavazzi stravinse a Premana (106 voti contro 6) e a Cortenova e Casargo. Il risultato fi nale vide la rielezioni al Parlamento di Lodovico Gavazzi.Quattro anni dopo, nel novembre 1904, Cermenati e Gavazzi si trova-rono nuovamente impegnati nella campagna elettorale. Nel quadrien-nio trascorso il professore di geologia aveva consolidato la sua posi-zione, ormai indiscussa, di leader locale degli ambienti di democrazia laica. La sua candidatura venne resa nota con manifesto sottoscritto dal Circolo democratico radicale, con sede in via Mascari, presso la scom-parsa trattoria del Piazz, da un Comitato di commercianti e esercenti e dall’Unione democratica valsassinese.Il clima politico divenne subito rovente. I cermenatiani denunciarono coalizioni di industriali e di preti “che usavano contadini superstiziosi e

Il tratto del lungolago di Lecco che ha preso

il nome di Cesare Battisti, quando la vicina

piazza venne dedicata a Mario Cermenati,

dopo l’inaugurazione del monumento. All’eroe

trentino Cesare Battisti era, infatti, dedicata la piazza, prima del

monumento a Cermenati.

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L’attuale statua in marmo di Mario Cermenati. L’epigrafe del monumento, dovuta a Giovanni Bertacchi, evidenzia, tral’altro, che “l’aperto senso della vita tradusse in affetti generosi. Degno di vivere perenne nel bronzo,negli intelletti, nei cuori, 1868-1924”.

operai disorganizzati” per far propaganda a Gavazzi. Un esponente radi-cale dichiarò di aver constatato che un prete approfi ttasse addirittura del camposanto per sostenere il candidato conservatore, avvicinando dolen-ti al termine di un funerale.Il sindaco Ongania, con gli assessori Bonfanti e Mariani, protestò dal sot-toprefetto per le continue ingerenze del clero nella campagna elettorale e per l’azione “diffamatoria” di alcuni parroci contro Mario Cermenati.Le elezioni si svolsero il 6 novembre 1904. Erano 8.784 gli elettori iscrit-ti nelle liste del Collegio di Lecco: andarono alle urne 6.282. Tutti pre-vedevano uno scarto minimo di voti tra i due candidati. Erano prono-stici azzeccati: Gavazzi ebbe 2.997 voti, Cermenati 2.934. La differenza sottile rendeva indispensabile il ballottaggio e le elezioni vennero subito fi ssate per la domenica successiva, il 13 novembre 1904.La settimana pre-elettorale trascorse tra nuove polemiche. Le operazioni di voto si svolsero in modo regolare e senza incidenti: la tensione comin-ciò a salire presso il seggio centrale del Collegio di Lecco, allestito presso

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Una panoramica della piazza con il monumento a Mario Cermenati, ancora dedicata a Cesare Battisti.

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il Teatro Sociale. I primi risultati confermarono subito le tendenze delle precedenti votazioni: vittoria di Cermenati a Lecco e comuni limitrofi , maggioranza per Gavazzi nel territorio.L’altalena dei risultati che collocava in testa nei parziali l’uno o l’altro candidato, con una manciata di voti, provocò dispute fra i rappresen-tanti dei due schieramenti e non mancarono accuse di corruzione e di brogli. Dalle parole, purtroppo, si passò ai fatti. Urne elettorali, sedie, fascicoli dei verbali vennero scagliati in un generale parapiglia. I ca-rabinieri di guardia chiesero rinforzi alla vicina caserma Sirtori, dove vennero mobilitati plotoni di fanteria. Il teatro venne sgomberato con un’operazione di rastrellamento quasi militare, il che avvenne anche per l’antistante piazza Garibaldi.Intervenne lo stesso Cermenati, improvvisando un comizio dal balcone del ristorante “Cetra d’Oro”, detto Borsino, in via Roma, per invitare alla calma i suoi seguaci. Il Borsino era un locale con scelta cucina, dove Cermenati aveva il suo quartier generale in periodo elettorale. Sempre Cermenati dovette improvvisare un altro discorso presso la sua abitazione di via Cairoli, invitando nuovamente alla calma. L’appello non fu troppo ascoltato perché nella notte tafferugli si verifi carono in diverse zone del centro. L’episodio più grave avvenne presso la canonica di San Nicolò. Un gruppo di cermenatiani prese a sassate le vetrate dell’edifi cio e scaraventò nel lago lo stemma arcivescovile collocato sul portale d’ingresso. Il prevo-sto Giuseppe Confalonieri era stato accusato di sostenere Gavazzi. Il seggio centrale del collegio, impossibilitato a redigere un verbale per la scomparsa di plichi e schede avvenuta durante gli incidenti, inviò gli atti a Roma, af-fi dando alla Giunta centrale l’incarico di nominare il deputato per il Col-legio di Lecco. L’8 dicembre 1904 la decisione venne resa nota: Lodovico Gavazzi era rieletto al Parlamento. Era prevalsa la tesi che gli incidenti fos-sero scoppiati per responsabilità di attivisti cermenatiani quando i risultati dei seggi periferici avevano permesso a Gavazzi di passare in testa.Valmadrera festeggiò la notizia con una fi accolata: un fantoccio di strac-ci e di carta, riproduzione sommaria dell’effi ge di Cermenati, venne bruciato tra generale esultanza. I cermenatiani si radunarono, invece, a Maggianico, per una manifestazione di protesta contro “i soprusi eletto-rali governativi”. Cermenati era assente, in quanto impegnato a Roma per lezioni all’università. Aveva pubblicamente disapprovato, prima di lasciare Lecco, le intemperanze compiute da suoi seguaci più accesi.A Maggianico la manifestazione si svolse presso la villa del senatore Ma-rio Martelli, un milanese più volte eletto al Parlamento. Martelli era politicamente molto vicino a Cermenati. Il senatore parlò dal balcone della sua villa e attaccò pesantemente “la reazione moderata e clericale”, scatenando un uragano di applausi.Sconfi tto nel 1904, Cermenati si prese la grande rivincita il 7 marzo 1909. Venne eletto deputato con una strepitosa maggioranza di suffragi, superando il candidato liberal-moderato Giorgio Enrico Falck. Ebbe ini-zio quel periodo, durato quindici anni, che vide Cermenati protagonista indiscusso della politica locale e che si concluse con la sua scomparsa, avvenuta l’8 ottobre 1924 a Castelgandolfo.

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Villa Gavazzi di Valmadrera, dimora della storica famiglia di importanti imprenditori serici, in una fotografi adel Novecento.

L’eco delle accese battaglie elettorali nel primo decennio del Novecento si era, però, già spenta. Nelle elezioni municipali lecchesi dell’ottobre 1920 i militanti dei due schieramenti antagonisti avevano dato vita alla lista di concentrazione democratica per “resistere alla duplice bufera del bolscevismo e del popolarismo”. La lista uscì vittoriosa, ottenendo 24 dei 30 seggi del consiglio comunale, grazie al sistema maggioritario. I sei seggi della minoranza andarono ai socialisti guidati da Giacomo Brambilla e Giuseppe Mauri, che sarà il primo sindaco di Lecco dopo la Liberazione della primavera 1945.La prima seduta consiliare vide gli eletti della maggioranza, alcuni dei quali a suo tempo contrapposti per Cermenati e per Gavazzi, entrare in corteo, uniti sottobraccio, nel salone civico di via Roma, cantando inni patriottici.

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La cerimonia inaugurale, il 4 novembre 1968, della campana della pace, collocata sul campanile del Santuario di Nostra Signora della Vit-toria e che tutte le sere, alle 19, fa scendere sulla città lenti rintocchi. Ha presieduto la cerimonia il vescovo ausiliare di Milano, monsignor Luigi Oldani. Madrina è stata Gisella Orio Cesaris, sorella del tenente degli alpini Guido Orio, medaglia d’argento al valor militare alla memoria, caduto sul Pasubio nel 1916.

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Retrovia delfronte sullo Stelvio:1915-18

CAPITOLO 19

U n comizio “interventista” di Cesare Battisti, l’11 marzo 1915 presso il Teatro Sociale e poi uno successivo, da un balcone del-la casa fronteggiante la caserma Sirtori, il 30 aprile, fecero in-

tuire a numerosi lecchesi che l’entrata in guerra dell’Italia era sempre più vicina, come lo sarà, appunto, il 24 maggio. Una lapide, nell’attuale via Leonardo da Vinci, con l’epigrafe dettata da Mario Cermenati, ricorda l’appello rivolto ai lecchesi e ai militari della caserma (oggi sede di uffi ci della Questura) dal martire del Castello del Buon Consiglio in Trento, a sostegno delle terre italiane ancora sottomesse allo straniero. Nel 1915 furono numerosi i lecchesi, giovani ma anche meno giovani, che lasciaro-no la città per indossare la divisa grigioverde dell’Esercito italiano.La logorante e tremenda guerra di trincea richiedeva il sacrifi cio continuo di molte vite umane. Già nelle prime settimane di guerra Lecco viveva la tragedia bellica nell’attesa delle notizie che giungevano dal fronte. Nel palazzo municipale, allora in via Roma, negli uffi ci dell’Anagrafe, giun-gevano purtroppo i primi telegrammi che dai comandi militari segnala-vano ai parenti la scomparsa di un congiunto. Erano tante le famiglie che trepidavano per la sorte dei loro cari, impegnati nei reparti in linea.L’apertura del fronte dello Stelvio collocò Lecco nella zona di retrovia. Severe disposizioni del comando supremo proibivano, nelle retrovie, l’uso di qualsiasi veicolo o carro con il coprifuoco delle ore 21. Il ponte

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Il Santuario di Nostra Signora della Vittoria in una foto del 1940, quando venne completato il campanile. La chiesa era stata consacrata il 5 novembre 1932, nel ricordo dei Caduti lecchesi della Grande Guerra 1915-18.

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Azzone Visconti era controllato in permanenza da pattuglie di carabi-nieri. Le arcate del ponte erano state perforate per poter prontamente sistemare cariche di esplosivo nel caso di avanzata nemica.Lecco doveva rappresentare l’estrema frontiera di arresto nel caso di uno sfondamento nemico proveniente dalla Valtellina. La città si trovava, così, ad essere una “capitale” della retrovia. L’edifi cio scolastico di via Ghislanzoni venne adibito ad ospedale militare. Una sezione militare di censura venne installata nell’edifi cio dei fratelli Ripamonti in via Como. La caserma Sirtori al Lazzaretto era insuffi ciente a ospitare i militari pre-senti in città, a iniziare dai fanti del 73° reggimento. Vennero, quindi, requisiti edifi ci privati per essere destinati ad alloggi di truppe: è stato il caso della Cereria Manzoni di via Cavour, della Trafi leria Mira al Laz-zaretto, la Filanda Scatti di via Bovara, la Bulloneria di via Amendola, presso il ponte Visconti, che divenne posto tappa per diversi reparti in transito, in particolare truppe alpine e batterie di artiglieri da montagna. Nell’orfanotrofi o del Caleotto di don Salvatore Dell’Oro presero quartie-

Una panoramica in lontananza del

monumento ai Caduti sul lungolago, in un

pomeriggio di festa per lancio di paracadutisti

nelle iniziative delGiugno Lecchese.

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re squadre del Genio Militare, pronte a intervenire per minare i torrioni di Rialba, sopra la Torraccia di Abbadia Lariana, e rendere intransitabile l’importantissima strada costiera proveniente dallo Stelvio.Un deposito legnami della 1ª Armata era allestito sul piazzale detto “dei giardinett”, dove è sorto poi il monumento ai Caduti, inaugurato il 24 ottobre 1926. Il deposito vedeva la presenza, come facchini, di prigionieri austriaci e croati, accampati in disagevoli baracche di legno.Le sofferenze della guerra aumentarono nell’inverno 1917, dopo la rotta di Caporetto e l’invasione austriaca del Veneto, fermata sulla linea di-fensiva del Piave. I lecchesi sostavano dinanzi al municipio di via Roma, dove, all’Albo Pretorio, veniva esposto quotidianamente il bollettino diramato dal Comando supremo dell’Esercito italiano. Era il modo più tempestivo per conoscere le vicende belliche, non essendovi, oltre ai quotidiani di carta stampa, alcun altro canale di informazione, in quanto radio e televisione arriveranno in anni successivi.Lecco rientrò anche nel territorio degli allarmi aerei, dopo la prima in-

La cerimonia presso il monumento ai Caduti del 4 novembre 1975, anniversario della Vittoria 1918. Il discorso commemorativo è tenuto dal sindaco di Lecco, Rodolfo Tirinzoni, uffi ciale degli alpini.

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cursione di due velivoli austriaci su Milano, avvenuta alle ore 9 del 14 febbraio 1916. Il bilancio fu grave: sedici civili morti e una quarantina di feriti, nella zona cittadina, da Porta Romana a Porta Volta.Una vedetta era vigile sul terrazzino terminale del campanile di San Nicolò, pronta a segnalare l’eventuale avvicinamento di aerei nemici. L’allarme venne dato solo qualche volta, ma gli aerei austriaci arrivarono a Paderno d’Adda, nel tentativo di colpire l’importante ponte, il San Michele, nodo stradale e ferroviario di primaria importanza.Dopo oltre tre anni di durissima guerra giunse il giorno tanto atteso del-la Vittoria e della Pace, il 4 novembre 1918. La notizia dell’armistizio pervenne a Lecco nel pomeriggio del 3 novembre 1918 con le edizioni straordinarie del Corriere della Sera e del Secolo di Milano.Vi furono im-mediatamente manifestazioni di gioia popolare. Parlarono dal balcone del municipio di via Roma, dinnanzi a tantissima gente festante, il sin-daco Monti, gli assessori Fermo Magni e Antonio Gerosa, il capitano Giulio Ripamonti, più volte decorato. La notte trascorse tra brindisi in esercizi pubblici, improvvisati cortei nelle vie del centro, militari esul-tanti presso la caserma Sirtori e lungo l’allora strada sterrata della zona Lazzaretto, l’attuale via Leonardo da Vinci.Nuovi festeggiamenti avvennero in piazza Garibaldi, nella mattina del 4, quando venne reso noto lo storico Bollettino fi rmato Armando Diaz.La gioia immensa della vittoria era, però, velata intimamente dal ricordo di tanti caduti, del triste bilancio che anche Lecco aveva dovuto regi-strare negli anni bellici. La città era rimasta quasi vuota dai suoi giovani

Il monumento ai Caduti ripreso da un’imbarcazione

sulle acque del lago, davanti alla scalinata di

approdo, appena dopo l’inaugurazione avvenuta

il 24 ottobre 1926, con imponente manifestazione patriottica. L’opera si deve

allo scultore Giannino Castiglioni.

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e lo si poteva notare anche all’istituto per ragionieri Parini, allora nel pa-lazzo di via Ghislanzoni. Delfi na Bonaiti Aldè, nata il 1° novembre 1898 e deceduta il 28 dicembre 1999, più che centenaria, ricordava ancora commossa, alla festa del secolo raggiunto, di essere rimasta unica alunna, nella classe V del Parini nell’anno scolastico 1917-1918. La classe era formata da 15 studenti, Delfi na era l’unica ragazza. I compagni delle leve 1898 e 1899 erano stati chiamati a vestire il grigioverde dell’Esercito italiano, strenuamente impegnato sul Piave. Alcuni non sono tornati e riposano nella cripta-sacrario della Vittoria, che ha visto la stessa signora Delfi na generosa benefattrice.Lecco ricorda non solo con il monumento sul lungolago i Caduti del 1915-1918. Il 5 novembre 1932 venne consacrato il Santuario di Nostra Signora della Vittoria, tempio civico e dal 1936 divenuto sacrario dei Caduti nella sottostante cripta. Il 4 novembre 1968, nel 50° della Vitto-ria, veniva benedetta la grande campana, gemella di Maria Dolens a Ro-vereto. È il bronzo che tutte le sere, alle 19, fa scendere sulla città lenti e solenni rintocchi, a memoria dei Caduti e come prece di pace. La cam-pana è stata benedetta dall’allora vescovo ausiliare di Milano e vicario episcopale di Lecco, monsignor Luigi Oldani. L’iniziativa si deve a una sottoscrizione pubblica promossa dal Comune di Lecco, con il sindaco Alessandro Rusconi, e la presidente dell’Associazione Famiglie Caduti e Dispersi in Guerra, Maria Fusi. Madrina della campana è stata Gisella Orio Cesaris, residente in quartiere Acquate, sorella della medaglia d’ar-gento Guido Orio, tenente del IV Alpini, caduto nel 1916 sul monte Pa-subio, a 21 anni. Il discorso uffi ciale della cerimonia venne tenuto dall’ex sindaco Luigi Colombo, presidente dell’Associazione Combattenti e Re-duci e uffi ciale con i fanti della Legnano, nella battaglia di Montelungo dell’8 dicembre 1943, con il rinato Esercito Italiano per la Liberazione.

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La celebrazione, nel cortile centrale del municipio di piazza Diaz, nel giugno 1958, dei 110 anni di Lecco città. Oratore uffi ciale (in piedi) è il lecchese Aldo Rossi, presidente dell’Amministrazione provinciale di Como.

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Lecco “italiana”, dopo il defi nitivo allontanamento degli austriaci dalla Lombardia nell’estate 1859, vedeva la sede municipale in Contrada Larga, l’attuale via Cavour. Il contratto di locazione

dell’appartamento di quattro locali, situato al primo piano, come nuova sede del municipio, era stato stipulato con decorrenza dall’11 novembre 1852. I proprietari dello stabile si impegnarono nel contratto a non af-fi ttare la “sottostanti botteghe a battirame o fabbri ferrai”. Nel 1856 altri locali del primo piano dello stesso edifi cio vennero occupati dalla nuova stazione telegrafi ca di Lecco.La sede municipale rimase in Contrada Larga sino al 1862, quando si rese necessario un nuovo trasferimento per l’ampliamento degli uffi ci, che pas-sarono nella piazza del Mercato, proprio a fi anco della Torre Viscontea.Il 23 gennaio 1893 moriva a Milano Luigi Ghislanzoni, possidente, celibe, nativo di Lecco, che serbava grande affetto per la sua città. Ghislanzoni, con testamento del 14 aprile 1891, aveva nominato erede dell’edifi cio di sua proprietà in via Roma (oggi civico 51) il Comune di Lecco, affi nché il complesso fosse adibito a sede municipale. La civica amministrazione, con il sindaco Guido Ghislanzoni, accettò subito le volontà dello scom-parso e affi dò all’ingegner Enrico Gattinoni il progetto per sistemare il palazzo a municipio. Una lapide, collocata nell’atrio dell’edifi cio, ricorda il gesto munifi co di Luigi Ghislanzoni “benemerito cittadino elargiva

I municipie la “tappa”lecchese del Re

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Il salone del consiglio comunale gremito di pubblico durante una cerimonia di festa nazionale negli anni ’80 del Novecento.

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cospicui lasciti all’ospedale, all’asilo d’infanzia, al Comune per sollievo dei poveri, dotava la città di questa casa per sede del municipio”.Un’altra memoria è collocata nell’atrio del palazzo Ghislanzoni: si trat-ta della targa bronzea per “i generosi concittadini caduti per l’indipen-denza d’Italia, 1859 Tagliaferri Pietro, 1860 Torri Tarelli Giuseppe (uno dei Mille), Ongania Giambattista, Beltramini Pasquale, Bonacina Gio-vanni Mosè”.Vi era poi una terza lapide, sempre a palazzo Ghislanzoni, con il bolletti-no della Vittoria del 4 novembre 1918, fi rmato dal comandante supremo dell’Esercito italiano, Armando Diaz. Il “bollettino” è stato tolto e tra-sferito sulla facciata dell’attuale municipio di piazza Diaz, lato sinistro guardando il portone d’ingresso. Venne posizionato per il pomeriggio di domenica 13 aprile 1928, quando è stato inaugurato, con solenne ceri-monia, il nuovo municipio della “grande Lecco”, con l’intervento del Re d’Italia, Vittorio Emanuele III di Savoia. Era la prima, ed è stata la sola, visita uffi ciale del Re a Lecco che, però, era già transitato durante la guerra 1915-1918, in particolare nella notte del 24 agosto 1915, diretto a visitare le truppe sul fronte dello Stelvio. Il convoglio militare con il Re si fermò in piazza Garibaldi; riprese il viaggio verso lo Stelvio, uscendo da Lecco lungo l’attuale tracciato di via Cavour, via Volta, incrocio detto delle quattro strade, oggi Largo Montenero, poi via Col di Lana verso la zona di Santo Stefano, sull’arteria cancellata dalla tragica frana dal mon-te San Martino la notte del 23 febbraio 1969. Era, quest’ultimo, il tratto lecchese della statale dello Stelvio e dello Spluga, in quanto non esisteva la costiera a lago nella zona di Brick e Caviate, realizzata nel 1932-33.L’edifi cio municipale, posto nelle vicinanze della stazione ferroviaria, era stato costruito come ospedale cittadino ancora nell’Ottocento. Nel 1835, con le donazioni effettuate da Pompeo Redaelli e Antonio Muzzi, fu possibile dare avvio all’ospedale, progettato dall’architetto Giusep-pe Bovara. La costruzione fu ultimata nel 1843. Il palazzo Bovara rima-se ospedale fi no all’ottobre 1900 quando, divenuta insuffi ciente quella sede, venne inaugurato il nuovo complesso di via Ghislanzoni su proget-to Ongania e Mella. È stato, quest’ultimo, l’ospedale che ha accompa-gnato tutto il secolo Novecento, sino alla realizzazione del “Manzoni”, in quartiere Germanedo, alle soglie del Duemila.Vittorio Emanuele III giunse a Lecco con treno speciale alle 15.45 del 13 aprile 1928, accolto dalla marcia reale eseguita dalla banda del 67° Reggimento Fanteria. All’interno della stazione era schierata una com-pagnia d’onore dei fanti sempre del 67°. In piazza Diaz, invece, era alli-

Il palazzo municipale nel 1968, 120° di Lecco città.

Panoramica della zona intorno al Ponte di Azzone Visconti, all’inizio del Novecento. Al centro del ponte stesso, sul lato valle, si può notare la cappelletta votiva dedicata alla Madonna, protettrice dei viandanti, che venne tolta nel 1910 con i lavori di modifi ca del parapetto.

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Messa al campo celebrata il 30 settembre 1995

nel salone del consiglio comunale per l’arma di Cavalleria, con il presidente Giovanni Bartolozzi. Celebra

il cappellano militare don Andrea Valsecchi,

parroco 25 anni a Ballabio Superiore. Il sindaco,

con la fascia tricolore, è Giuseppe Pogliani.

Il manifesto con il programma delle

celebrazioni del 150°anno di Lecco città,

nella giornata di domenica 28 giugno 1998.

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neato un reparto di truppe alpine del Battaglione Morbegno del V.Il re inaugurò il palazzo municipale e si affacciò al balcone centrale per salutare la folla. Si incontrò brevemente con le maggiori autorità presen-ti, a iniziare dal prefetto della provincia di Como, Luigi Maggioni, e il podestà di Lecco, Angelo Tubi. Raggiunse poi l’Istituto per la profi lassi e la cura della tubercolosi polmonare, in via Tubi. Era una realizzazione di avanguardia sanitaria, che onorava la città di Lecco, anche per la gene-rosità della pubblica sottoscrizione e delle donazioni di tanti cittadini. Il complesso si collocava in un’ampia area verde lungo il corso del Caldo-ne, tra i quartieri Castello e Caleotto. Il presidente dell’Istituto, il noto imprenditore Riccardo Badoni, in un breve intervento, evidenziò che il Centro antitubercolare si doveva al compianto dottor Nino Gazzaniga, che nell’autunno 1919 - con iniziativa da fi lantropo - volle avviare un progetto benemerito, ma sicuramente non facile, considerando gli anni tristi dell’immediato dopoguerra. La prima pietra era stata posta il 24 ottobre 1926 da Emanuele Filiberto di Savoia duca d’Aosta, comandante dell’invitta III Armata, giunto a Lecco per inaugurare il monumento ai Caduti sul lungolago, opera dello scultore Giannino Castiglioni.Il 13 aprile 1928 il Re raggiunse anche il monumento ai Caduti, incon-trando vedove, mutilati, reduci e deponendo una corona d’alloro alle lapidi. Volle poi percorrere in auto il lungolago sino al ristorante Ripa-monti, presso le Caviate, estremo limite della strada rivierasca. Ammirò il paesaggio dell’ultimo tratto del Lario e volle osservare da vicino i mo-numenti a Mario Cermenati e Antonio Stoppani, che erano stati inau-gurati nell’autunno 1927. Ritornò, quindi, verso la stazione ferroviaria e intorno alle 18 risalì sul treno speciale alla volta di Milano.Le cronache giornalistiche della primavera 1928 riferiscono che i lavori per l’adattamento dell’ex sede del Tribunale a palazzo comunale avevano assunto un ritmo affrettato. Un periodico locale scriveva: “La facciata che conserva, come l’interno, le belle linee architettoniche disegnate dal Bovara è stata ornata dallo stemma governativo, da quello comunale, da quello del fascio e dalla lapide recante il bollettino della Vittoria, tol-ta all’antica sede del Comune. Oltre a tutti gli uffi ci, il nuovo palazzo del Comune avrà, al primo piano, un grande salone per cerimonie capace di cinquecento persone. Anche il piazzale della stazione si sta sisteman-do. Tolto il monumento con il busto in bronzo di Antonio Ghislanzoni, trasportato altrove l’orinatoio e abbattuto tutto il muro che nascondeva il braccio sinistro del palazzo, il piazzale presenta un nuovo aspetto e a renderlo decoroso ha valso pure l’abbellimento, testé compiuto, della casa De Toma, ove ha sede la Banca Commerciale”.Il municipio è ormai da ottant’anni nel palazzo di piazza Diaz, dove spic-ca, sopra il balcone, un grande stemma civico di Lecco.

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Sopra, il salone consiliare del municipio durante la prima cerimonia di conferimento delle civiche benemerenze di San Nicolò, il 6 di-cembre 1967. Sotto, il sindaco di Lecco, Alessandro Rusconi, rivolge un indirizzo di saluto al presidente del Consiglio, Aldo Moro, in visita alla città nell’anno 120° della sua storia. La cerimonia si svolge nel salone del palazzo municipale domenica 11 febbraio 1968.

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Il cammino municipale della “Grande Lecco” prese avvio il 1° marzo 1924, quando divenne operativa “l’aggregazione a Lecco dei Comu-ni contermini di Castello, Rancio, Laorca, San Giovanni alla Ca-

stagna, Acquate, Germanedo, nonché parte del territorio di Maggianico, quello relativo al rione di Belledo”. Un regio decreto era stato reso noto in tal senso il 27 dicembre 1923, fi rmato dal Re d’Italia Vittorio Emanue-le III e controfi rmato dal Primo ministro, Benito Mussolini.L’importantissimo provvedimento giungeva dopo un apposito, dettaglia-to, memoriale inviato al ministero dell’Interno con l’elencazione delle motivazioni che sostenevano l’unifi cazione amministrativa dei Comuni sparsi nel territorio lecchese, tra lago e montagne.Un aspetto della singolare divisione amministrativa dell’area lecchese veniva evidenziato dall’elencazione di interferenze esistenti tra Comuni confi nanti. La stazione ferroviaria di Lecco, per esempio, era collocata per buona parte nel territorio di Castello. Curiosa era la distribuzione dei cimiteri: Castello aveva il cimitero ad Acquate, mentre accoglieva nei suoi confi ni amministrativi quelli di San Giovanni e Lecco centro, destinato, quest’ultimo, anche per le sepolture di Pescate.Il campo di calcio “ai Cantarelli” e il poligono di tiro “al Bersaglio”, in località Santo Stefano, entrambi a disposizione di società lecchesi, si tro-vavano in Comune di Castello. Importanti complessi industriali, come

L’unifi cazionemunicipale e ilregio decreto 1923

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Piazza Cermenati con i primi posteggi di bus ed auto, a metà anni ’50.

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l’Acciaieria e Ferriera del Caleotto e le industrie Badoni e Faini, erano divisi tra Lecco e Castello. Villa Manzoni, al Caleotto, era sempre stata, invece, in territorio lecchese.La valutazione specifi ca delle varie realtà municipali era stata affi data a un’apposita commissione presieduta dall’assessore comunale lecchese Vitto-rio Muttoni. La commissione, concludendo il lavoro di ricognizione, aveva chiesto al ministero dell’Interno il provvedimento di aggregazione a Lecco non solo dei Comuni unifi cati il 1° marzo 1924, ma di un’altra fascia più estesa, riguardante tutto il Comune di Maggianico e anche i confi nanti ter-ritori oltre il fi ume Adda, da Malgrate a Pescate, nonché “per ragioni di continuità territoriale” delle piccole frazioni Ponte Azzone Visconti e San Michele, del Comune di Galbiate. Maggianico verrà assorbito nel 1928, mentre Malgrate e Pescate non saranno mai aggregati alla “Grande Lecco”. Pescate verrà assorbito da Garlate e tornerà autonomo municipio nel 1953.La cittadinanza lecchese fu informata del provvedimento di unifi cazione con apposito manifesto fi rmato dal sindaco Giovanni Gilardi e dal presi-dente della commissione, Vittorio Muttoni. Lecco raggiungeva allora il numero di 14.861 abitanti. L’assorbimento portò praticamente a un rad-doppio della popolazione e raggiunse nel 1927 la cifra di oltre 28.000 abi-tanti. Il Comune più popoloso era Castello (5.211), seguito da Acquate (2.495), Rancio (2.427), San Giovanni (2.177), Laorca (1.806), Germa-nedo (1.133). La zona di Belledo contava 470 abitanti, sui 2.870 del Co-mune di Maggianico, il terzo nella popolazione, dopo Lecco e Castello. C’era un lavoro imponente da compiere, non solo di organizzazione bu-

Via Leonardo da Vinci vista dal retro teatro, con

il ponte sul Caldone presso la caserma Giuseppe

Sirtori. La foto risale agli anni ’40 del Novecento,

prima della costruzione del nuovo ponte sull’Adda.

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rocratica di uffi ci e del personale, ma di soluzione unitaria per problemi prioritari come acquedotto, strade, cimiteri, istruzione, illuminazione, to-ponomastica, pubblico macello, servizi sanitari e lavori pubblici. La com-missione consultiva appositamente nominata comprendeva i rappresen-tanti di tutti i Comuni interessati all’unifi cazione. I componenti erano: Giovanni Gilardi, Giuseppe Riccardo Badoni, Vittorio Muttoni, Giulio Amigoni per Lecco; Giovanni Battista Sala, Giuseppe Sala, Carlo Fioc-chi per Castello; Alfredo Redaelli e Federico Corti per Rancio; Giacomo Molteni e Bixio Rusconi per San Giovanni; Pietro Gerosa Crotta e Felice Bonaiti per Laorca; Adelchi Cima e Gino Fasoli per Acquate; Bernardo Sironi per Germanedo. Spuntavano subito i primi imponenti progetti del-la “Grande Lecco”, in particolare il nuovo ed esteso cimitero in località Gaggio di Malgrate, sotto le prime pendici del Monte Barro, in zona allora completamente isolata. Sarebbe stato l’unico cimitero della città, in previ-sione anche dell’unifi cazione di Malgrate a Lecco. Sarà realizzato a tempo di record nel 32-33, ma rimarrà incredibilmente inutilizzato per decenni, sino alla sua demolizione per costruire complessi scolastici del Comune di Malgrate. L’apertura del cimitero era stata rinviata nel tempo, in attesa del ponte Nuovo sull’Adda al Lazzaretto che avrebbe facilitato i collegamenti disagevoli verso il Gaggio, affi dati solo al ponte stradale di Azzone Viscon-ti e alla linea tramviaria verso Como.Le nuove opere municipali non si limitavano, comunque, al grande ci-mitero, ma riguardavano importanti collegamenti stradali, come il via-le verso Santo Stefano, l’attuale Turati, allora dedicato alla principessa

Piazza Manzoni vista dallo sbocco di viale Dante, mentre si può notare sulla sinistra la protezione di paracarri e di sbarre verso il corso d’acqua del Caldone ancora scoperto.

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Maria José e al vialone alberato tra Sant’Ambrogio di Maggianico e Bel-ledo, l’attuale via Valsugana. Sorse il modernissimo macello pubblico, in quartiere Pescarenico. Si progettarono anche nuovi edifi ci scolastici.Lecco perdeva però il Distretto Militare, sciolto uffi cialmente il 10 settem-bre 1930. La stampa scriveva: “Per tutte le pratiche che lo stesso esperiva, quind’innanzi occorre rivolgersi a Como. Ad occupare la vasta caserma Sirtori non rimane, per ora, che il deposito del Morbegno. Auguriamo e speriamo che vi possa prender stanza una compagnia del V Alpini. A dare il saluto ai partenti, gli uffi ciali in congedo offrirono un pranzo a quelli del disciolto Distretto. Brindarono il capo sezione, capitano Giulio Fiocchi, il commissario prefettizio Amorth e il colonnello Moni, tra il più vivo en-tusiasmo dei presenti”. Lecco, se perdeva il Distretto, recuperava però un nuovo Palazzo di Giustizia, considerando che venne ritenuto troppo decen-trato lo spostamento di aule e uffi ci giudiziari presso Palazzo Belgioioso, in

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Piazza Manzoni ancora senza le rotaie del tram, quindi prima del 1927.

quartiere Castello, dopo aver lasciato Palazzo Bovara, divenuto municipio.Nel 1937 veniva costituita la Società Anonima Immobiliare Littoria, che aveva per oggetto, particolare ed esclusivo, la costruzione di uno sta-bile da adibirsi a Palazzo di Giustizia, e specialmente a sede del Tribunale e della Regia Pretura, nonché, eventualmente, della Corte d’Assise. Lo statuto della società veniva inviato il 23 aprile 1937 dall’Immobiliare Littoria al Podestà Giovanni Battista Aldè, per opportuna conoscenza. Il nuovo palazzo, in via Cornelio, venne realizzato all’inizio degli anni Quaranta, su progetto dell’architetto Mario Cereghini.Il nuovo ponte sull’Adda, che doveva rappresentare il simbolo della “Grande Lecco”, estesa anche sull’altra riva del fi ume, subiva ritardi nel programma di attuazione e veniva poi bloccato, a cantiere già aperto, con i primi piloni di sostegno posizionati sulla sponda, dalla seconda guerra mondiale 1940-1945. Verrà inaugurato solo nell’autunno 1955.

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Monsignor Antonio Barone, nativo di Laorca, che ragazzo di 14 anni rimase ferito nel gravissimo incidente del tram a San Giovanni-Cavalesine l’11 dicembre 1943, mentre celebra una messa a suffragio degli scomparsi.

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Era la mattina di sabato 11 dicembre 1943 quando avveniva la gravissima tragedia del tram deragliato alla curva della località Cavalesine, in quartiere San Giovanni. I morti furono 14, 31

i feriti. È stata la più pesante tragedia cittadina di tutto il secolo No-vecento, superiore - per numero di vittime - alla frana del monte San Martino del febbraio 1969, allo scoppio del gas in quartiere Castello del dicembre 1987 e alle incursioni aeree belliche della primavera 1945 sulla Fiocchi Munizioni di Belledo.Era già un terribile inverno di guerra, tra miserie e bombardamenti, tra lutti e angosce per giovani militari caduti e per altri dispersi o prigio-nieri. Le operazioni di guerra erano giunte anche nel Lecchese, dopo i fatti dell’8 settembre 1943 e la battaglia intorno al Pizzo d’Erna, del-l’ottobre successivo.Il tram della linea urbana Laorca-Maggianico, partito alle 8.05 dalla fermata capolinea di Malavedo, sulla strada per la Valsassina, di fronte all’attuale Bar Sole, alle 8.20 aveva già tragicamente concluso la sua discesa verso Lecco centro. Era terribilmente deragliato nel vasto prato sottostante la fermata di Cavalesine, dove oggi si trova l’Orio Garden. Allora nella zona c’era solo l’antica villa Sangregorio, ora sede di un Centro di Educazione Motoria della “Nostra Famiglia”.La voce popolare, la memoria della gente, ma anche una relazione del-

11 dicembre 1943 Il tram della morte

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La vettura tranviaria della linea Como-Erba-Lecco alla fermata di piazza Manzoni presso il monumento del celebre autore dei Promessi Sposi.

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l’allora comandante dei vigili urbani, Pietro Bonacina, indicano come motivo principale della sciagura il carico dei passeggeri, molto superiore alla normale portata consentita.Sandro Bontempelli, classe 1923, ventenne residente a Laorca, era sul tram per raggiungere il posto di lavoro presso l’azienda Badoni, in quar-tiere Castello. “Il tram era stracarico – è la testimonianza di Bontempelli – C’erano circa 100 persone pigiate ovunque, strette a grappoli sui predel-lini esterni. I viaggiatori deceduti sono stati quelli seduti sul lato destro quando la carrozza si è rovesciata. Mi trovai impigliato tra sedili fracas-sati, con le gambe unte di olio lubrifi cante uscito dal serbatoio. Riuscii a uscire da solo, tra lamenti di dolore e invocazioni di aiuto, e a collaborare ai primi soccorsi, in attesa dei pompieri, della Croce Rossa e dei militari della Rsi. Rimase ferita mia sorella Nora, che aveva 24 anni”.Diversi superstiti sono concordi nel ricordare che il tram prese una velo-cità impressionante sulla discesa di corso Monte Santo, dopo le scuole di San Giovanni; alcune donne si misero a urlare di paura. La vettura si era fermata, poco prima, alla “Castagna”, l’attuale largo sull’angolo con via Micca. Alla curva di Cavalesine il tram giunse già sollevato sulle ruote di sinistra, ripiombò di nuovo sui binari, ma a questo punto si rovesciò sul lato a valle, oltre l’attuale fermata bus della linea Laorca-Chiuso. Anche per il tram c’era fermata, ma la carrozza impazzita tirò diritto, rischiando di travolgere passeggeri in attesa, tra i quali il professor Ireneo Coppetti, che sarà negli anni ’50 assessore al Comune di Lecco.Tra i primi soccorritori vi furono il medico condotto dottor Angelo Colombo, il parroco di San Giovanni don Luigi Monza (che la Chiesa ha proclamato Beato) e Pietro Caspani, classe 1925, ora residente in via Carlo Cattaneo, a Lecco centro. La mobilitazione popolare dei soc-corsi fu davvero generosa e ampia, superando le ristrettezze del tempo di guerra, come la mancanza di benzina, la scarsità di automezzi, la carenza di medicinali e di materiale sanitario. Alcuni feriti raggiunsero l’ospedale di via Ghislanzoni a bordo di carri agricoli; gli stessi vennero usati per portare i cadaveri presso il cimitero di San Giovanni, che si trovava nella zona dell’attuale via Orlando Sora.Si recò sul luogo dell’incidente il commissario prefettizio del Comune di Lecco, Alberto Jermi, che visitò i feriti in ospedale e distribuì sussidi in denaro alle famiglie più colpite. Tra le vittime c’era una bimba di 3 anni (Maria Rosa Galbusera) e tre ragazze di 11: Graziella Riva, Carla Vitali e Ione Valsecchi. Morì anche suor Elisa Chiesa, del collegio San Giuseppe di Rancio, giovane religiosa di Maria Bambina. Due sfollati per bombar-

Vettura tranviaria della linea urbana cittadina Malavedo-Barco di Maggianicoall’angolo di piazza Garibaldi con piazza Mazzini, presso il palazzo che allora ospitava l’agenzia lecchese

della Banca d’Italia, chiusa nel 1963.

La vettura tranviaria nel prato di Cavalesine dopo il tragico deragliamento dell’11 dicembre 1943.

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Il tram alla fermata del ponte di Malavedo,

capolinea di Lecco alta. È da Malavedo che partì il tram della

sciagura del 1943. L’altro capolinea era a Barco

di Maggianico, come si può notare nel cartello

posizionato all’altezza del conducente.

Una vettura tranviaria lungo via Roma, all’incrocio di via

Carlo Cattaneo, dovesi trovava la vetreria

Frassi, nei locali che oggi vedono una libreria.

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damenti erano tra le vittime: un ragazzo di 13 anni, sepolto a Bergamo, e una giovane donna di 31, tumulata a Milano.Uscì miracolosamente quasi incolume, invece, Amleto Rocca, classe 1930, che allora abitava a Laorca e ora è un pensionato che risiede a Lec-co centro, in corso Martiri. Se la cavò con una breve degenza ospedaliera anche Bruna Mazzucotelli, ventenne, tranviera bigliettaia che abitava in via Cavour. Si è poi trasferita con il matrimonio in Svizzera, a Neucha-tel, dove è deceduta dieci anni or sono. Testimone del racconto di Bruna è il fratello minore Rinaldo, che risiede in corso Matteotti, dopo essere stato per decenni nel cortile “delle botti e dei sassi” di via Ghislanzoni.Il tram era anche gremito di ragazzi che raggiungevano Lecco centro, di-retti alle scuole di via Ghislanzoni. Tra loro c’era Antonio Barone, classe 1929, che nel 1957 è divenuto sacerdote. Con lui c’erano due altri adole-scenti di Laorca che sarebbero divenuti preti: Carlo Spreafi co e Augusto Gianola, entrambi già scomparsi, come altri superstiti della tragedia.L’11 dicembre 1993, cinquant’anni dopo, la comunità parrocchiale di Laorca ha commemorato la tragedia del tram. Laorca è stato il quartiere più colpito, con sette vittime. Nella chiesa di Malavedo, vicino al capo-linea tranviario dove la vettura - contrassegnata dal n. 22 - prese avvio per un percorso tragicamente spezzato, una messa di suffragio venne cele-brata da monsignor Antonio Barone, affi ancato dal parroco, don Angelo Galbusera. Presenziava una delegazione della giunta municipale, con gli assessori Fausto Cariboni e Angelo Fortunati. C’era il gonfalone civico, con i vigili urbani. Ha accompagnato la messa la corale di Laorca, diret-ta da Antonio Scaioli. Alcuni superstiti si sono ritrovati dopo decenni, come è stato il caso di Amleto Rocca, Maria Rosa Airoldi Ripamonti, Amabile Melesi, Domenico Paroli, Graziano Invernizzi e altri.Nessun “marmo” ricorda la tragedia del tram alla curva “della morte”. “Erano tempi bruttissimi di guerra – hanno dichiarato alcuni superstiti – dove i morti si univano, purtroppo, a tanti altri morti. C’era il terrore dif-fuso che gli intensi bombardamenti che Milano aveva subìto, soprattutto ad agosto con migliaia di vittime, si estendessero ad altre città lombarde, prendendo di mira anche Lecco, nodo stradale e ferroviario di primaria importanza, centro con grossi complessi industriali. Poi, nel 1953, il tram venne sostituito dai bus e, osservando il nuovo mezzo di trasporto, che tra l’altro consentiva nella vallata di raggiungere un capolinea ben più alto sul piazzale di Ponte Gallina (mentre il trasporto sui binari tranviari si fermava al Ponte di Malavedo sul Gerenzone), del tram si parlò sempre meno. La tragedia rimase, però, viva nei sentimenti della gente. Sarebbe però ora doveroso riprendere una proposta avanzata dal Consiglio di Zona 3, quando venne commemorato il 60°, nel dicembre 2003. Si parlò di un cippo in memoria del doloroso evento, da collocare presso la fermata attuale della linea bus, corrispondente al tratto dove il tram sfondò il mu-retto laterale, uscendo dalle rotaie e precipitando nei sottostanti prati.

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APPENDICE

Chi consideri superfi cialmente le testimonianze sulla storia loca-le della prima metà dell’Ottocento può essere indotto a negarle un particolare interesse, priva com’è di avvenimenti di ampia

risonanza. Pochi sono gli episodi che “fanno notizia” e che scuotono il corso tranquillo e ordinato della vita del paese, scandita dalle tradizio-nali cerimonie religiose, dall’appuntamento settimanale del mercato, dal ciclico avvicendarsi dei lavori agricoli e dalla ritmica attività degli opifi ci. Tuttavia è proprio grazie a questa silenziosa ma intensa ope-rosità che Lecco, lontana dai rumori della cronaca, occupa un posto importante nella storia lombarda dell’Ottocento.Vari fattori concorrevano allo sviluppo economico di un insieme di comuni che traevano dalla loro posizione in una zona ricca d’acqua e dall’intraprendenza di alcune famiglie, esponenti di un’attiva borghesia che impresse un nuovo dinamismo all’economia lombarda, la caratte-ristica tipologia del paesaggio industriale, vero specchio della progres-siva ascesa delle famiglie e teatro di importanti innovazioni di tecnica. È il caso della fi landa a vapore, dotata di un impianto articolato che comprendeva, accanto all’edifi cio destinato al vero e proprio lavoro di trattura, un numero considerevole di vani accessori, dai locali per la caldaia a quelli adibiti a deposito degli attrezzi, della legna e della seta, mentre al piano superiore venivano ammassati e fatti seccare i bozzoli.

La grandestagione della solidarietà

Angelo Sala

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Favorita dall’estesa coltivazione del gelso, diffusa soprattutto sul fi nire del XVIII secolo, la bachicoltura occupava buona parte della popo-lazione contadina, impegnata nella diffi cile arte dell’allevamento dei bachi da seta, e costituiva un’importante risorsa per alcuni proprietari terrieri che si trasformavano in industriali creando sui loro fondi fi lan-de dotate di sempre più moderni impianti.Se già nel 1781 il borgo di Lecco poteva apparire “dei migliori in po-polazione e traffi co” della provincia, nel 1829 vantava “ricchi stabi-limenti”. In un arco di tempo compreso tra la metà del Settecento e il primo trentennio dell’Ottocento si collocano, dunque, l’avvio e la prima affermazione dell’industria, che registrò un incremento in epoca napoleonica ed una ulteriore espansione nel primo ventennio della restaurazione, quando la produzione risultò pressoché triplicata.Se dal quadro sin qui tracciato traspare soprattutto un’immagine di prosperità, non bisogna dimenticare tuttavia la realtà complessiva del Lecchese, che non si esaurisce negli aspetti economici e nella fortu-na di alcune sue famiglie. Risulterebbe infatti distorta e lacunosa una ricostruzione storica che non prendesse in considerazione la vita del popolo, costituito in gran parte da contadini, operai, artigiani, o che trascurasse di cogliere le tensioni politiche di un’epoca densa di fer-menti e di preparativi, destinati a sfociare nei moti per l’indipendenza e per il raggiungimento dell’unità nazionale.Non è facile immergersi nella vita quotidiana, per la scarsità di testimo-nianze che rende arduo penetrare in un mondo così mobile e sfuggente. Non è diffi cile tuttavia immaginare quali potessero essere le condizioni di vita di buona parte della popolazione qualora si consideri la confi gu-razione agricola e industriale del Lecchese dove la componente mag-gioritaria è ancora una classe di contadini, che conducevano un’esi-stenza dura e stentata. L’allevamento dei bachi da seta poteva recare, è vero, qualche sollievo, ma le scarse cognizioni tecniche e la mancanza di luoghi adatti, ben ventilati, dove tenere i bozzoli, rendevano non sempre redditizia tale attività ed accrescevano l’insalubrità delle abita-zioni, anche se la crescente divulgazione di studi di bachicoltura per-mise l’introduzione di metodi più razionali e un conseguente benefi cio per le popolazioni agricole.Che non siano facili e scontati luoghi comuni le condizioni malsa-ne delle abitazioni e la scarsità dell’alimentazione è dimostrato dalla frequenza di malattie polmonari, gastro-enteriche e, soprattutto, della pellagra che affl iggevano la popolazione, come attestano i libri dei mor-ti e i permessi di sepoltura custoditi negli archivi parrocchiali. Partico-

Acquate: la lapide collocata sulla prima sede dell’ospedale Airoldi in via Marchesini.

Mario Cereghini - Chiesa dell’Istituto Airoldi e Muzzi realizzata nel 1938 e consacrata nel 1942.

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larmente colpiti da malattie epidemiche e intestinali erano i bambini, tanto che la mortalità infantile toccava tassi molto elevati. Il colera, poi, che si abbattè rovinosamente sull’intera penisola riapparendo a non lunghi intervalli per tutto il corso dell’Ottocento, portò morte e desolazione tanto che nel 1855 e nel 1867 la gravità del morbo suggerì alle autorità governative - come misura precauzionale - la provvisoria chiusura delle fi lande, dove più facilmente poteva diffondersi il conta-gio per l’alto numero delle operaie.

In prima fi la l’ospedale di AcquateIn occasione delle due epidemie colerose del 1855 e del 1867 tornò a spalancare le sue porte ai bisognosi, come peraltro era già successo in analoghe occasioni nei due secoli precedenti, l’ospedale di Acquate.Quest’ultimo era stato fondato nel 1594 sulla base di un testamento steso quattro anni prima, nel 1590, da Giovanni Antonio Airoldi: «Di

Istituti RiunitiAiroldi & Muzzi:

il padiglioneBettini-Pazziniin costruzione.

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tutti gli altri beni miei mobili e immobili che ora posseggo e che lasce-rò il giorno della mia morte istituisco e stabilisco mia erede generale e universale la Beata Vergine Maria, in modo, cioè, che si eriga una casa ossia ospedale, e in essa casa si raccolgano tutti i poveri del territorio di Lecco, i quali possano avere ivi vitto di pane, vino e pietanza, e vestito secondo la loro condizione, e ciò a scelta del Reverendo Guardiano di Castello, oppure in un altro Padre presente attualmente e in futuro, e secondo la scelta e la discrezione del parroco di Acquate; Custodi e Governatori di detto Ospedale siano e debbano essere i predetti Guar-diano e parroco, e due dei sindaci della Vicinanza di Acquate».Monsignor Carlo Marcora nelle meticolose annotazioni in La Pieve di Lecco ai tempi di Federico Borromeo dove sono riportati sia il testamento dell’Airoldi che l’instromento di fondazione ed erezione nel contesto della visita compiuta da monsignor Albergato all’Ospedale della Beatissima Vergine Maria il 18 luglio 1608, fa questa importante e signifi cativa considerazione: «Veramente bello è questo testamento che istituisce

Istituti RiunitiAiroldi & Muzzi:il padiglioneBettini-Pazzinicompletato.

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L’edifi cio già fi landa diventato sede degliIstituti RiunitiAiroldi & Muzziprima degli ultimi interventi di restauro: realizzato nel 1860lungo il corso del torrente Bione aveva cessato l’attività nel 1923.

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erede universale la Madonna. Colpito dalla lettura del Vangelo della messa, la parabola delle cinque vergini prudenti e delle cinque stolte, che invita a vigilare quia nescitis diem neque horam, Antonio Airoldi pensa di far piacere alla Madre celeste benefi cando i fi gli di Lei, i più poveri, i più abbandonati, con l’istituzione di un Ospizio. Invece di erigere un santuario prezioso per opere d’arte e arredi, mette i suoi beni nelle mani della Vergine consolatrix affl ictorum perché siano soccorsi quanti sono affl itti dalla miseria e dalla solitudine».Con l’instromento redatto l’8 agosto 1594 alla presenza dell’Arcivesco-vo di Milano Gaspare Visconti - atto uffi ciale di battesimo dell’Ospe-dale di Acquate - viene siglato quell’accordo, che si manterrà nei se-coli successivi, tra i vicini di Acquate, il loro parroco, il guardiano del Convento di Castello per la gestione di un’opera locale: un patto che riconosce di fatto, ad un nucleo ben preciso di persone residenti nello stesso territorio, il diritto di gestire l’opera stessa in perfetta sintonia di intenti. Un principio che mette subito radici, diventando robusto e durevole. Al punto che un episodio locale in apparenza poco signifi ca-tivo come la fondazione di un ospizio per i poveri diventa una precisa affermazione dell’autonomia comunale.

Rifugio e ristoro per i poveriQuello lasciato da Giovanni Antonio Airoldi all’ospedale era un co-spicuo patrimonio con il quale si poté dare il via a un’iniziativa sociale e assistenziale che ne fece la struttura più rappresentativa, non solo in Acquate, anche della nuova e impegnata religiosità scaturita dal rin-novamento conciliare tridentino. E dopo la primissima fase in cui ci si limitò a distribuire elemosine ai poveri, si cominciò, nell’abitazione già dell’Airoldi dove l’istituzione sarebbe rimasta per secoli fi no al suo trasferimento nella sede di Germanedo, a dare rifugio e ristoro ai po-veri e, periodicamente in occasione di epidemie, anche ai malati. È da sottolineare, infatti, come in quegli anni per hospitale non si intendesse un luogo destinato a curare i malati ma piuttosto una struttura ricettiva in grado di assicurare assistenza indifferentemente a infi rmi, pauperes e peregrini con una continua alternanza e sovrapposizione di ruoli e funzioni. Malattia e povertà costituivano mali entrambi bisognosi di risposte immediate e per le quali nacquero le Congregazioni di Carità che rappresentarono il primo, anche se magari indistinto e generico, tentativo di dare veste istituzionale alla carità dei privati. Solo secoli

Una veduta completa degli Istituti Riuniti Airoldi & Muzzi con il lungo edifi cio della vecchia fi landa e, dietro, i nuovi padiglioni e la chiesa.

Via Azzone Visconti nel 1924 quando vi aveva sede il ricovero Muzzi.

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dopo, e sulla scorta delle esperienze nel frattempo storicamente matu-rate, si iniziò a selezionare le strutture in ragione della loro specifi ca destinazione assistenziale.La povertà, soprattutto, tenderà a calamitare tutte le attenzioni. La di-stribuzione di elemosine e l’assistenza diretta caratterizzeranno l’opera dando vita ad una sorta di consorzio non solo perché vi erano preposti, a nome della collettività, alcuni amministratori eletti, ma anche per-ché altri seguirono l’esempio dell’Airoldi lasciando beni con la prescri-zione che quanto ricavato dalla gestione delle relative rendite venisse distribuito a favore non solo dei poveri, ma anche in maritandis puellis virginibus pauperibus, cioè nel fornire di dote e fare sposare fanciulle vergini e povere. E che l’iniziativa, per la sua positività, continuasse a svilupparsi e a crescere in maturità e consapevolezza sociale, è in qual-che modo testimoniato dal fatto che circa due secoli dopo altri dispo-sero legati perché venissero destinati alla costruzione di una struttura ospedaliera moderna e funzionale per l’intera comunità lecchese.C’è poi da aggiungere che l’ospedale non si limitò agli interventi fi na-lizzati a lenire gli effetti, che sembravano irreversibili, della povertà, ma tentò anche di organizzare un supporto alla produzione, sia agrico-la sia imprenditoriale, per evitare che nuove persone, ormai sulla so-glia di una stentata sopravvivenza, fossero costrette a trasformarsi, per necessità, anch’esse in una torma di poveri affamati. L’ospedale diede sicuramente vita, come si rileva dalle carte conservate nell’archivio parrocchiale di Acquate, a qualche forma creditizia privilegiata mentre non è possibile verifi care se realizzò, come altre opere pie fecero in altre parti della Lombardia, ad esempio un mercato di prodotti che veniva-no venduti, nei periodi di penuria, a prezzi minimi, oppure la raccolta e distribuzione dei prodotti stessi che servissero da calmiere contro le pesanti oscillazioni speculative che il mercato, soprattutto dei grani, periodicamente subiva, né se in qualche modo svolse un’altra opera pure di grande interesse sociale, quella del cosiddetto Monte di pietà.

Opere a sollievo dei miserabiliIn una situazione economica e agricola che punta all’autosuffi cienza, non occorre aspettare gli anni delle grandi carestie per trovare larghe fasce di poveri e miserabili, gente cioè che non ha lavoro, non sa trova-re di che sfamarsi, non ha una lira per farsi curare. Il certifi cato di mise-rabilità rilasciato dal parroco resta l’ultima speranza per tanti di soprav-vivere: è ad esempio quello che permetterà di ottenere gratuitamente

Uno scorcio degli Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi nel quartiere lecchese di Germanedo.

Acquate, scuola elementare Cesare Battisti: era stata costruita per diventare la nuova sede dell’ospedale di Acquate.

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dal Comune la polenta o il pane in caso di carestie e fame, l’esenzione da tasse e contributi, l’assistenza durante la malattia o il parto, il seppel-limento dopo la morte. Poveri dichiarati ce n’erano tanti e dappertutto. All’indomani dell’unità del Paese, nel decennio 1860-1870, la percen-tuale dei poveri dichiarati che avevano diritto all’assistenza gratuita del medico condotto oscillava, nei diversi Comuni lecchesi, tra il 35 e il 40 per cento della popolazione. Ad essi pensavano soprattutto i Comuni, con voci consistenti di bilancio, ma crescevano di pari passo i lasciti di famiglie facoltose che manifestavano così la loro magnanimità.In questo contesto vanno collocati l’elargizione di Antonio Muzzi per i poveri di Lecco, il legato di Isidoro Calloni per i poveri di Rancio, unitamente a quelli ancora numerosi, nell’Ottocento, a titolo di dote a fanciulle povere che andassero a marito. Tutti questi lasciti furono concentrati poi nelle pubbliche Congregazioni di Carità per effetto della legge 17 luglio 1890 e gestiti direttamente dai Comuni pur rispet-tando i vincoli dei testamenti.

Acquate: la storica sede dell’ospedale Airoldi in via

dei Marchesini.

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Con il certifi cato di miserabilità, si poteva ricorrere all’estremo rimedio della questua. Sotto l’Austria la questua era severamente regolamen-tata e ristretta a pochissimi casi, per paura anche che girassero sotto tale veste dei comuni malfattori o ribelli politici. Dopo l’annessione al regno sabaudo, i questuanti si moltiplicarono. Nel 1867 ce n’erano ben 19 nel borgo e 8 o 9 ciascuno negli altri Comuni della conca. E ancora nel 1880 altri 29 poveri chiesero e ottennero il permesso di mendicare e girarono per le case mostrando la loro umiliante carta di identità: una piastra metallica con su scritto «Comune di ... - Mendicante». È da ritenere comunque che nei confronti dei questuanti, almeno a giudicare dalle testimonianze lasciate dai parroci, ci fosse da parte di tutti una affettuosa e generosa solidarietà, di sapore molto diverso dai pur cospicui lasciti dei signori. Gli episodi di solidarietà tra le mura del paese sono poi numerosissimi come le occasioni delle questue: l’incen-dio della casa o del fi enile, la frana, la morte degli animali quando non quella del capofamiglia... ogni volta la colletta generale portava a risul-tati che, data la povertà diffusa, appaiono ora veramente incredibili.Furono i cattolici responsabili delle Congregazioni di Carità che nel 1890, sull’esempio di quanto stava facendo in altre città il movimento sociale cattolico che faceva capo al bergamasco Nicolò Rezzara, pensa-rono di istituire anche nel Lecchese le cucine economiche «in sollievo della classe povera, dei cronici, dei pellagrosi e dei mendicanti». Nel borgo, ad esempio, la loro istituzione avrebbe permesso di utilizzare meglio gli importi dei «bollettini di benefi cenza» che la Congregazione di-stribuiva ma che spesso venivano impiegati per «usi non conformi»; si sarebbero potute preparare circa 150 razioni di minestra al giorno (e si badi bene che una razione equivaleva ad un litro circa di minestra di pasta, riso od orzo, con aggiunte di manzo, verdure e legumi, lardo, sale e brodo) per sfamare altrettante famiglie; terzo e ultimo fatto positivo, il risparmio complessivo che un simile intervento prometteva, con-sentiva di mantenere estremamente ridotto il prezzo d’acquisto della minestra, allargando in tal modo la cerchia delle famiglie che ne pote-vano trarre benefi cio.Le cucine avrebbero dovuto trovare luogo nella casa della Congrega-zione di Carità, nell’attuale via Spirola, ove si pensava di dar luogo a un piccolo ricovero di mendicità: si chiese al Comune di concede-re di trarre dall’acquedotto una spina d’acqua potabile per le neces-sità delle cucine, cui avrebbero poi accudito, gratis e senza spese per il Comune, delle suore di carità. Il permesso del Comune per l’acqua potabile venne rapidamente concesso, ma il discorso cadde perché la Congregazione di Carità nel novembre 1890 decideva di sospendere temporaneamente l’istituzione delle cucine economiche per mancanza di fondi, già tutti assorbiti dalle elargizioni ai poveri e dalle spese per le riparazioni della casa destinata ad ospitarle. Sospensione temporanea, che divenne però defi nitiva.In compenso alcuni parroci realizzarono altre due iniziative a favo-re della popolazione, specie più bisognosa, delle rispettive parrocchie. Resisi conto che la crescente occupazione di manodopera femminile

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nelle industrie della zona poneva il problema della custodia dei bimbi più piccoli, avevano aperto asili infantili che provvedevano alla custo-dia di bambini fi no ai 6-7 anni; poi, sempre sull’esempio dell’impegno sociale dei cattolici, fondarono con altri soci le «Casse di prestiti», società cooperative in nome collettivo, che avevano lo scopo di «mi-gliorare la condizione morale e materiale» dei soci.

Legato Calloni e Società MuzziCon testamento del 12 novembre 1901, Isidoro Calloni di Rancio, de-ceduto lo stesso anno, legava il suo patrimonio all’erezione in quel Co-mune di un ospizio per il ricovero dei vecchi poveri. Per vent’anni però non fu possibile fare niente. La donazione era infatti vincolata all’usu-frutto a favore del nipote, don Amedeo Calloni, che morì il 28 giugno 1921. La Congregazione di Carità di Rancio intraprese solo allora le iniziative per l’attuazione delle disposizioni testamentarie, incontrando però sia diffi coltà di ordine tecnico che di ordine fi nanziario in quanto il fabbricato che il testatore aveva designato a sede del ricovero era in condizioni precarie di manutenzione e le riparazioni e l’adattamento a ricovero richiedevano spese rilevanti e tali da assorbire gran parte del patrimonio ereditario. E mentre ci si dibatteva tra queste diffi col-tà, avveniva la fusione del Comune di Rancio con quello di Lecco, e stessa sorte subiva la Congregazione di Carità, il cui patrimonio passò alla Congregazione di Lecco. Quest’ultima, constatate da un lato le diffi coltà a realizzare un ospizio a Rancio e impegnata dall’altra a dar vita a quello che pochissimi anni dopo sarebbe diventato l’Istituto Ai-roldi-Muzzi, decise di far convergere in quest’ultima direzione quanto ereditato con il legato Calloni.Anche nel Comune di Lecco si fa vivamente sentire il bisogno di istitui-re un capace ricovero per i vecchi poveri. L’idea di fare qualcosa di con-creto si fece strada all’inizio del 1888 quando un gruppo di persone, in privato convegno, gettò le basi di una Società di Benefi cenza che doveva interessarsi di raccogliere denaro suffi ciente per fondare un ricovero atto ad ospitare i vecchi poveri del Comune di Lecco, d’ambo i sessi, resi dalla grave età incapaci al lavoro. La società fu uffi cialmente costituita il primo aprile 1888 e, “quasi come un faro che guidasse a sicuro porto” (l’espressione è nel libro soci e patronesse della società stessa), la nuova società stabilì “di far suo il nome d’un chiaro apostolo del bene, passato ad altra vita, cioè il compianto cittadino Antonio Muzzi” che cinquant’anni prima aveva elargito il primo fondo per la creazione del Civico Ospeda-le. “E per il benevolo appoggio morale e materiale, dell’illustre scienziato, il professor Antonio Stoppani, si coronò l’opera di carità”. La nascente società, infatti, con unanime voto deliberava di riconoscere come suo presidente onorario proprio Antonio Stoppani e, affi nché non le mancasse l’appog-gio dell’autorità comunale, il riconoscimento della vicepresidenza ono-raria veniva attribuito al cavalier Guido Ghislanzoni, sindaco di Lecco.Alla nomina di Stoppani e di Ghislanzoni alla presidenza e alla vice-presidenza, si aggiunse quella di altri “rinomati cittadini” col titolo di soci

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onorari “sopra i quali la Società Antonio Muzzi si ripromette patrocinio e con-fi da nel loro appoggio”. Venne anche compilato uno statuto nel quale si fa cenno ai doveri di ogni socio impegnandoli a “nulla trascurare per l’incre-mento e la prosperità del sodalizio affi nché nel più breve tempo possibile sorga il ricovero dei vecchi poveri del comune, dotato delle volute rendite, per decoro di una città che nulla lascia a desiderare per ispirito di civile fi lantropia”.Quanto alla raccolta dei fondi si pensava di operare in tre direzioni: le donazioni, in valori e in contante, offerte da ogni ceto di cittadini; rap-presentazioni teatrali a pagamento, sia in musica che in prosa, “date dai dilettanti fi larmonici o fi lodrammatici della società colla cooperazione dell’or-chestrina composta parimenti dei soci della Muzzi”; da riffe, lotterie di bene-fi cenza, concerti, feste da ballo a pagamento, conferenze, letture, pubbli-cazioni, viaggi, gite o passeggiate di piacere. Il nascente sodalizio nominò un Comitato per la custodia del fondo per un ricovero dei vecchi poveri in Lecco formato da nove persone: il sindaco di Lecco Guido Ghislanzoni, Albino Biffi , Francesco Chierici, Francesco Cornelio, Battista Ronchi, Tommaso Scatti, Alessandro Signorelli, Ulderico Tornaghi e Francesco Zamperini. Come primo atto, il comitato invitò le signore del territorio e della città di Lecco a far progredire, in qualità di patronesse, l’opera di carità.La risposta fu immediata: già a fi ne 1891 le patronesse iscritte nell’ap-posito albo erano 32, che andavano ad affi ancarsi ai 44 soci onorari e ai 162 soci effettivi. Il 31 marzo 1894 la somma raccolta era di lire 17 mila 500 e il risultato rendeva attuabile l’idea di istituire, anche in via sperimentale, il ricovero, in proporzioni adeguate ai mezzi. La data scelta per l’avvio fu quella del primo gennaio 1896 e nel corso del 1895 la società si impegnò, con la Congregazione di Carità, per darvi pratica attuazione. Il ricovero viene aperto il primo gennaio 1896 in una casa di proprietà del Civico Ospedale, al quale viene corrisposto un affi tto annuo di lire 240, in una strada allora in Comune di Castello che cor-risponde all’attuale via Spirola. I primi ricoverati sono quattro, tutti uomini, accuditi da un inserviente.Nel 1910, in forza anche di un’elargizione straordinaria di 20 mila lire della Cassa di Risparmio di Milano e di altre 8 mila della Società Antonio Muzzi, e di elargizioni e lasciti (Giuseppina Milesi, Anto-nio Colombo, Pietro Nava, Antonio Corti, Pompeo Bassani, Giuseppe Cantù, Teresa Forni, Francesco Cornelio), la Congregazione di Carità di Lecco provvede all’acquisto della nuova sede per il ricovero, in via Visconti e nello stesso anno viene effettuato il trasferimento. I ricove-rati sono 25, 18 uomini e 7 donne. Alla fi ne del 1913 il Consiglio di Stato esprime parere favorevole alla trasformazione della Società Muz-zi in ente morale, cosa che avviene l’anno successivo con la dotazione di uno statuto organico.

Gli sviluppi dell’ospedale di AcquateAnche ad Acquate si verifi cò un fatto nuovo, pari per rilievo a quello che aveva portato alla fondazione dell’ospedale tre secoli prima. Il 13 ottobre 1911 moriva a Bernareggio, dov’era parroco, il sacerdote lec-

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chese Attilio Gilardi, lasciando erede dei suoi beni l’ospizio dei vecchi poveri in Acquate. Vera e propria manna dal cielo per la Congregazio-ne di Carità che, ritenendo insuffi ciente il vecchio edifi cio, decideva di costruire il nuovo in località Bassana, già via Nizza, ora viale Mon-tegrappa.Il progetto del geometra Pietro Garolini da Bellano, che aveva uno studio da progettista in Lecco, fu approvato dalla Commissione di Pubblica Benefi cenza in Como nella seduta del giorno 11 luglio 1914. Il 9 ottobre, ad Acquate, si tenne l’asta per l’assegnazione dei lavori: essi furono aggiudicati a Guglielmo Colombo, Pietro Milani e Gaspa-re Vassena in società, ed ebbero inizio il 9 novembre. Il 29 seguente, il parroco don Giovanni Piatti dopo i vesperi si portò processional-mente con tutta la Confraternita e con la rappresentanza del Comune e della Congregazione di Carità a benedire la prima pietra, collocata all’angolo sinistro del padiglione destro. Vi si pose una targa in rame coi nomi del Papa (Benedetto XV), del re (Vittorio Emanuele III),

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La consegna dei bozzoli in una fi landa.

dell’arcivescovo (Andrea Carlo Ferrari), del parroco (don Giovanni Piatti), del presidente della Congregazione di Carità (Carlo Ferrari) e molte medaglie e monete del tempo. Nel novembre 1915 l’edifi cio era compiuto, ma causa la guerra in corso fu subito adibito a caserma del 73° reggimento fanteria. Nel 1921, il Comune di Acquate, dopo averlo acquistato dalla Congregazione di Carità per 270 mila lire, vi installò il municipio e le scuole elementari.Un promemoria manoscritto di don Giovanni Piatti consente di ag-giungere altri elementi. Dapprima caserma poi convalescenziario dei soldati, l’edifi cio di viale Montegrappa fu sgomberato dai militari nel maggio 1919. Troppo gravose sarebbero state per la Congregazione di Carità le opere di sistemazione, così che si decise di cedere l’edifi cio al Comune di Acquate. Nel frattempo fu fatta l’unifi cazione dei Comuni del territorio con Lecco. Cessò quindi di esistere anche la Congrega-zione di Carità di Acquate. “A questo punto - si legge nel manoscritto di don Piatti - auspice l’avvocato Carlo Corti, presidente del Ricovero

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Muzzi di Lecco, si incominciarono le pratiche per la fusione dei due ri-coveri. Le trattative furono presto ultimate”. Nella settimana dal 10 al 16 ottobre del 1926 si fece il trasporto dei vecchi e di tutto il materiale da Acquate a Lecco. Era nato l’Airoldi-Muzzi.

L’Airoldi-Muzzi a GermanedoIl primo marzo 1927 la direzione degli Istituti Riuniti Airoldi-Muzzi ve-niva convocata per esaminare la proposta di acquisto dello stabile da adibire a nuova sede del ricovero. L’attenzione si fermò sul complesso degli stabili di proprietà Bonazzi, già appartenenti alla famiglia Muller e adibiti a uso di fi landa del rione di Germanedo. Il complesso faceva parte di una serie di opifi ci realizzati prima del 1860 lungo il corso del torrente Bione, acquistati dal Muller nel 1876. L’attività, che nel 1882 dava lavoro a 450 operai, saliti a 498 dieci anni più tardi, cessò nel 1923. Nel 1929 il complesso venne ceduto agli Istituti Riuniti Airoldi-Muzzi.Il prezzo fu stabilito in 675 mila lire. Pierfrancesco Cornelio ripagò l’am-ministrazione degli Istituti Riuniti dell’intera cifra. Antonio Nava lasciò oltre mezzo milione e quindi si diede il via al progetto di sistemazione, adattamento e arredamento dei fabbricati, affi dato all’ing. Bernardo Si-roni. Lavori per oltre un milione, ma Lecco rispose generosamente e, come scrisse una volta completata l’opera l’avvocato Angelo Bonaiti che ne diventerà presidente, “fu tutto un plebiscito di popolo che offrì la sua concreta attestazione di fi ducia e di benevolenza e contribuì alla realizzazione di quello che fu uno dei più arditi programmi. Quei vec-chi ambienti, assordati un tempo dal rumoroso fragore delle macchine industriali, si trasformano celermente in ampi, arieggiati saloni, templi silenziosi della carità, dove i dolori e le defi cienze fi siche della vecchiaia lecchese, trovano il meritato conforto. Nuovi edifi ci sorgono accanto ai vecchi completando così l’organizzazione dei vari servizi di cucina, lavanderia, ecc. ed ampliando la sfera della benefi ca attività. Corona e completa la sede il magnifi co parco dove antichissimi esemplari si ergo-no maestosi quasi a tutela e protezione dell’inerme vecchiaia”.Che Lecco sia stata capace di realizzare un’opera così - che continua ancora oggi, con il presidente Giovanni Mauri che ha raccolto il testi-mone dei suoi predecessori Maria Gandini, Pietro Colombo, Angelo Bonaiti, Carlo Silvio Vassena, Angelo Bettini, Adelchi Cima e Carlo Corti - è motivo di orgoglio per il suo passato e segno di speranza per il presente e il futuro: la realtà, sempre attuale, di un impegno umano e civile, con i suoi problemi quotidiani e la voglia di risolverli secondo fede e ragione. L’esempio di ieri e l’impegno di oggi sono una garanzia per il futuro.Non dimentichiamo che quelli erano gli anni in cui si verifi cava la straordinaria mobilitazione della comunità lecchese che realizzava una serie di opere di grande valore sociale tra le quali sono da ricordare la nuova sede dell’ospedale di circolo, l’opera pia Nino Gazzaniga per le cure balneari e climatiche dei poveri, l’asilo notturno, le case del po-vero e quelle degli sfrattati.

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Il Cesarino, per anni una fi gura popolarissima a Lecco.

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Il problema della casa a LeccoIl problema della casa si era posto all’indomani dell’unità naziona-le quando, fatta eccezione per quella “sorta di città sociale” creata a Valmadrera dai fi landieri Gavazzi, non esistevano nella zona lecchese villaggi operai sul modello dei Crespi “né tantomeno - come rileva Barbara Cattaneo in Archeologia industriale nel Lecchese, le fi lande - nu-clei di case per maestranze appositamente costruite dagli industriali per le famiglie dei propri dipendenti”. Questa carenza veniva rilevata dal Tubi che, nel 1875, in Le strade e le case nel territorio di Lecco, osservava come lo sviluppo economico di Lecco avrebbe potuto essere favori-to ancorando defi nitivamente la mano d’opera forestiera alla città. Lo stesso Tubi proponeva come soluzione la creazione di case operaie che avrebbe senz’altro favorito il domicilio fi sso delle maestranze a Lecco.Quanto alle condizioni degli alloggi, è eloquente quanto scrive Serafi -no Bonomi in Intorno alle condizioni igieniche degli operai e in particolare delle operaie in seta della provincia di Como, scritto raccolto negli Annali universali di medicina, fascicolo 674. Il quadro generale è quello di una popolazione che viveva agglomeratissima, in case anguste, spesso mal riparate, umide, poco ventilate e praticamente tra le immondizie a cau-sa “di quella incuranza di quanto si riferisce all’igiene e alla nettezza radicata nei nostri contadini e indotta dall’ignoranza e dal torpore in cui si lasciano vegetare”. Anche le operaie venute da fuori e che ve-nivano alloggiate nelle fabbriche, secondo il Bonomi “passavano le notti in androni poco ventilati, angusti, perché di rado seppur mai in rapporto col numero delle inquiline, ove si addormentano alla rinfusa su giacigli umidi, ben altro che puliti, di modo che dovendosi respirare un’aria pregna di esalazioni umane e d’ogni sorta di detriti organici, le malattie più miti non tardano ad assumere una forma maligna, che ne altera il corso e le trae spesso ad esito fatale”.Parallelamente anche Lecco è contagiata dal furore postunitario che af-fi anca all’iniziativa pubblica volta alla riorganizzazione del centro con la ristrutturazione di piazze e la costruzione di monumenti, l’iniziativa degli investitori privati che prendono in considerazione l’opportunità di edifi care nuovi quartieri per le classi abbienti. Il caso è evidente a Lecco con l’espansione a sud del perimetro delle mura del borgo.Con un risultato facilmente immaginabile se solo pochi anni più tardi, nel 1875, Graziano Tubi rendeva pubbliche queste considerazioni in Le strade e le case nel territorio di Lecco: “Qualunque studio si volesse intra-prendere intorno alla edilizia ed alla viabilità di Lecco e del suo terri-torio, riuscirebbe insuffi ciente e sconnesso, ove non fosse coordinato ad un piano regolatore generale”. Infatti “una delle maggiori pecche che si verifi carono in tutti i tempi e in tutti i luoghi nelle sistemazio-ni stradali e nelle riforme edilizie, sta in ciò, che esse vennero quasi sempre studiate isolatamente e secondo i bisogni del momento e non coordinate ad un piano generale, nel quale siasi tenuto conto di ogni probabile maggior sviluppo avvenire. Le città non hanno la vita né di pochi lustri né di pochi secoli. In materia edilizia chi si lascia guidare dalla sola utilità presente senza spingere oltre lo sguardo, opera quasi

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sempre a detrimento di un maggior utile avvenire. Ciò che era quasi di troppo ai nostri antenati è ora per noi insuffi ciente, come ciò che può bastare a noi non basterà certamente ai nostri posteri. L’esperienza ci crea perciò il dovere di prevedere i loro maggiori bisogni a soddisfare i quali dobbiamo lasciar aperta e sgombra la via”.“Idee chiarissime e sensate, come ognun vede”, commentava cinquan-tadue anni più tardi Uberto Pozzoli sulle pagine di All’ombra del Rese-gone (n. 3, dicembre 1927) “ma che non fecero breccia nella mente dei nostri padri; i quali, a casaccio, tagliarono strade, costruirono case, get-tarono ponti sui torrenti, seguendo il sistema di quel cieco che s’avven-turava pian piano per vie non conosciute e, un passo alla volta, andava a battere il naso in un muro che, da brav’orbo, non aveva previsto”.Nel suo scritto, il Tubi aveva sollevata la questione delle case operaie, che però rimase lettera morta per altri ventisette anni, fi no al 1902 quando la questione fu sollevata dall’Uffi cio del Lavoro. Si tenne un incontro che portò alla formazione di un comitato incaricato di studiare il problema. Tale comitato, composto da esponenti di diversi partiti, non realizzò nul-la di concreto. Nel 1906 il problema fu riproposto e i socialisti tennero una conferenza nella quale Carlo Della Valle sostenne la necessità delle case popolari. La stampa locale ne diede notizia e il settimanale cattolico Il Resegone dichiarò di accettare, nelle sue linee fondamentali, il discorso del Della Valle e sostenne che “quel che si è fatto in altre città lo si può fare benissimo anche a Lecco ove il bisogno c’è e urgente” e proseguì di-cendo: “Ora la questione torna in ballo e noi non potremmo fare a meno di appoggiarla. Le nostre idee in merito sono abbastanza note: dove c’è iniziativa privata noi vogliamo che il Comune abbia a favorirla, e dove questa manca il Comune stesso deve farsene l’iniziatore”.

Prime iniziative di edilizia popolareAttività manifatturiere industriali e artigianali riempiono progressiva-mente l’intera scena dell’economia e della società lecchese, come ben documenta il contributo di Antonio Albertini Evoluzione urbanistica di Lecco nell’età postunitaria pubblicato in Arte, letteratura, società, la pro-vincia di Como dal 1861 al 1914: “Nel processo di formazione delle città medie lombarde il caso di Lecco si presenta emblematico per la stretta interdipendenza tra lo sviluppo delle attività produttive e le trasforma-zioni delle città. Se è vero che le ragioni prime della formazione di un centro urbano sono da ricercarsi nella sua situazione geografi ca e nella sua posizione rispetto alle vie di comunicazione, e se è vero che le ra-gioni della sua sussistenza stanno nella vitalità del rapporto con il suo territorio, occorre osservare che la condizione di Lecco nel corso della sua storia, e in particolare modo nel periodo della industrializzazione, è legata alle vicende delle attività economiche sviluppate nel territorio o richiamate dalle vie di traffi co che lo attraversano. Il vero motore dell’evoluzione urbanistica di Lecco va ricercato nella sinergia venu-tasi a creare alla fi ne dell’Ottocento e nel primo trentennio del secolo successivo tra attività industriali e infrastrutturazione ferroviaria”.

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L’espansione industriale determina l’insorgere del fabbisogno abitativo che viene parzialmente affrontato dai primi interventi di edilizia po-polare, con le realizzazioni delle case per i dipendenti delle ferrovie e con il primo intervento al Bione della Cooperativa Case Popolari nel 1910. A questi seguiranno altri interventi realizzati dalle stesse aziende industriali, pure di notevole interesse architettonico ma al di fuori di un organico programma rivolto a risolvere un problema che diverrà sempre più rilevante. Ma non il principale. Infatti tanto le ricostruzioni effet-tuate da Aroldo Benini in Organizzazione operaia e movimento socialista a Lecco, come quelle di Antonio Gottifredi in Lavoratori cattolici a Lecco, sottolineano come ben più pressanti fossero altre condizioni dei lavora-tori rispetto a quella dell’alloggio. Se ne parlerà infatti solo a partire dal 1909, anno di costituzione della Cooperativa Case Popolari.Non si trattava di una iniziativa, come si direbbe oggi, sorta dalla base. C’erano sì esponenti dell’area socialista come di quella cattolica, ma pure quelli di area liberale e radicale, per lo più avvocati, professionisti e industriali, in maggioranza nella cooperativa. Troviamo i nomi di Giovanni Bonelli, vicepresidente dal 1901 al 1906 e quindi presidente fi no al 1915 della Banca Popolare di Lecco, quello del sindaco Giusep-pe Ongania, degli avvocati Corrado Baruffaldi e Arturo Monti, degli industriali Pietro Frigerio e Giovanni Gerosa.La nascita della Cooperativa Case Popolari segnava comunque il cul-mine di un decennio caratterizzato da un grande fervore di iniziative. Nel 1901 diventava operativo l’Uffi cio del Lavoro, di matrice cattolica;

Case operaie Fiocchi a Belledo, 1949.

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l’anno seguente la Camera del Lavoro, di matrice socialista. Nel 1902 nasceva la Banca di piccolo credito lecchese; nel 1903 si costituivano, contemporaneamente, due Casse popolari: quella di San Giovanni e quella di Acquate; nel 1904 era la volta della Cassa popolare di Olate; nel 1905 di quella di Pescarenico; nel 1907 di quella di Malgrate; nel 1910 della Cassa rurale per i Comuni di Cremeno e Cassina, in Valsas-sina. Casse popolari nascono anche a Lecco, Olgiate, Somana, Rancio, Germanedo, Laorca e Valmadrera. A Osnago, in Brianza, viene costi-tuita la Società mutua di risparmio tra i contadini; a Rogeno la Cassa di mutuo soccorso per il bestiame; a Bellano l’Unione agricola per Bel-lano e paesi limitrofi . Nel 1909 nasce la Cassa federale di mutuo soc-corso tra gli operai di Lecco e circondario che raggiunge rapidamente le dieci sezioni (Acquate, Malgrate, Olate, Moggio, Cremeno, Perledo, Bellano, Maggio, Primaluna, Galbiate). La Cooperativa Case Popolari ottiene il terreno di Pescarenico e rea-lizza le prime due case popolari lungo il nuovo corso tracciato tra il vecchio nucleo di Pescarenico, che fi no ad allora aveva rappresentato il limite dell’espansione urbana della città, e il Comune di Maggianico. Sono i due edifi ci ancora esistenti all’incrocio tra corso Carlo Alberto e via Buozzi. La scelta insediativa non fu delle migliori, appesantita poi dalla costruzione delle cosiddette “case del povero” realizzate tra il 1926 ed il 1939 dalla ditta Locatelli Mattia per ricordare, con un’ope-ra di pubblica utilità, il cinquantesimo di fondazione. Le case, com-plessivamente quattro, dovevano essere destinate ai poveri senzatetto

Case operaie Fiocchi a Belledo, 1949.

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allora ricoverati in locali di proprietà comunale (altro non erano che gli edifi ci municipali dei Comuni soppressi ed unifi cati a Lecco) che dovevano essere adibiti ad altro uso. Le nuove case sorsero su un’area estremamente periferica anche rispetto all’abitato di Pescarenico, in una pesante situazione di isolamento. Per fare un confronto, basta ri-cordare che contemporaneamente alle case del povero venivano realiz-zate - anche queste con dichiarate caratteristiche di case popolari - le case del fascio a ridosso del vecchio nucleo di Castello. Sono quelle ancora oggi visibili su entrambi i lati della via Vercelloni.Caratteristiche riconducibili a queste ultime, cioè più signorili che po-polari, le avevano e le hanno sostanzialmente mantenute le altre due “case popolari” che la Cooperativa realizzava una volta completate le due case di Pescarenico. Si tratta dell’edifi cio all’angolo tra l’attuale viale Turati e via Belvedere e quello all’angolo tra via Lazzaretto e via Leonardo da Vinci.La situazione abitativa a Lecco alla vigilia della prima guerra mon-diale non vede quindi sostanziali modifi cazioni rispetto ai decenni precedenti. È sempre l’iniziativa privata a tenere banco, confermando l’espansione della città in direzione sud con la formazione del cor-so verso Pescarenico e il consolidamento della via Visconti verso il ponte, ma sempre a vantaggio dei ceti abbienti. La gran parte della popolazione continua a rimanere entro il vecchio perimetro daziario del borgo (per quanto riguarda Lecco centro) e dei vecchi nuclei per quanto riguarda gli altri Comuni, con la sola eccezione delle case ope-raie (realizzate per iniziativa diretta di alcune aziende a Rancio, Belle-do e Germanedo) e delle già ricordate case per ferrovieri (ancora oggi esistenti al Belvedere). Situazione che rimane cristallizzata fi no agli anni della Grande Guerra 1915-1918.Cosa successe nel primo decennio dopo la guerra, lo racconta questa gustosa paginetta di La rivista di Lecco dell’agosto 1929: “C’è a Lecco una Commissione edilizia, composta da persone d’indiscutibile inge-gno e capacità. Appunto per questo non si spiegano le costruzioni fatte a casaccio, senza un ordine logico, senza vedute lungimiranti. Ognuno fabbrica come vuole e dove vuole. Prendiamo ad esempio il Lazzaretto, ove dieci anni fa non c’era neppure un’abitazione. Nessuno ha pensato alla necessità di fare un progetto unico per le costruzioni da farsi in quella località. Si sarebbe potuto avere un gruppo di fabbricati sorti l’uno a completamento dell’altro; strade ben tracciate e spazio suffi -ciente per la futura passeggiata di Lecco che lungo il Lario e l’Adda, potrebbe allacciare le Caviate a Pescarenico. Invece ognuno ha fab-

Case operaie Bigoni a Pescarenico, 1929.

Panoramica di Lecco nel 1884.

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bricato a suo capriccio. Case che si aprono a sud, case che si aprono a nord; giardini prospicienti il lago, muraglie che si alzano in riva al lago. Ogni simmetria è cancellata; e manca anche la poesia di certi villaggi volutamente asimmetrici, comuni nella Svizzera. Abbiamo parlato di quello che si è fatto in questi ultimi anni al Lazzaretto con la speranza che anche il Lungo Lago, così bello naturalmente, non venga deturpa-to come è stata deturpata quella località. Anche le poche costruzioni e rifacimenti di case in città, non sempre sono state fatte con criterio amorevole. Ne citiamo una per tutte, la palazzina della Stipel. Mai ca-priccio incosciente di costruttori pensò una più aberrante costruzione, in una bella e armonica strada com’è via F.lli Cairoli!”.

L’iniziativa pubblica e privatadopo la Grande GuerraA partire dal 1919 si verifi ca un nuovo massiccio inurbamento, assie-me a un processo di nuova industrializzazione. L’espansione del borgo superò l’ostacolo dei binari e due dei centri satelliti fi nirono in breve con il risultare completamente saldati al centro città, Pescarenico a sud e Castello a nord est, il primo entrando così a far parte integrante del centro pur avendo conservato il suo vecchio nucleo particolare, il secondo soprattutto attraverso un ordito intermedio di costruzioni industriali. Non c’è più traccia della Cooperativa Case Popolari, in compenso è tutto un fi orire di iniziative tra le quali spiccano le due case economiche in località Giazzera (1929), le case popolari (Bigoni) a Pescarenico (1929-30), le case economiche (Todeschini) a Castello (1929), la casa economica della Cooperativa Mutilati (1929) e quella della Cooperativa “La Moderna” (1929-30), la casa economica (Ai-roldi) a Castello (1930). Case popolari vengono costruite al Lazzaret-to (1931), lungo l’attuale corso Promessi Sposi (1932-33) e vengono anche presentati due progetti di quartieri popolari, uno denominato “Bione”, nel 1930, e uno “Maria del Belgio” l’anno seguente. L’attività nel campo dell’edilizia popolare culminerà con il progetto del quartiere popolare “Italo Balbo” (1940) ma gli eventi bellici ne limiteranno la realizzazione al solo primo lotto.Quanto all’Istituto Case Popolari, la fondazione comasca risale al 1926, mentre l’operatività sancita dal riconoscimento del regio decreto 9 gen-naio 1927, n. 128, è dell’anno seguente. E l’anno dopo ancora veniva trasformato in Istituto autonomo per le case popolari della Provincia di Como. Allo scoppio della seconda guerra mondiale (1940) erano pron-ti i progetti per i primi lotti del quartiere di via Monte Grappa a Lecco (il quartiere Balbo) che vennero appaltati e, nonostante le diffi coltà belliche, completati e resi abitabili tra il 1941 e il 1942: comprendeva-no 105 appartamenti per 293 locali. Il precipitare degli eventi bellici bloccò ogni iniziativa. All’Istituto rimase comunque la consolazione che nessuno dei fabbricati realizzati subì danni dal confl itto.Negli anni tra le due guerre mondiali, il problema della casa per gli

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operai si era sostanzialmente risolto grazie all’intervento diretto delle aziende che, come sottolinea la pubblicazione dell’Unione Industriali di Lecco L’industria lecchese per i suoi lavoratori, “fi n dal loro sorgere, pensarono all’esigenza fondamentale per quegli indispensabili colla-boratori dell’imprenditore che sono i lavoratori: ecco così sorgere e svilupparsi di pari passo, a Lecco ed in Brianza, sul ramo del Lario e in Valsassina, lo stabilimento e le case per le maestranze, case ora piccole e civettuole, ora grandi e tutte simili, ora proprio accanto alla fabbrica ora in angoli tranquilli e panoramici”. Tra le prime aziende che si sono preoccupate di dare un’abitazione ai propri dipendenti è da ricordare la Giulio Fiocchi di Lecco la quale ha via via costruito negli anni, in proprio, 400 locali complessivi. Anche la ditta Pizzi provvide ad acqui-stare vari stabili che, adattati e in alcuni casi rifatti completamente, le hanno dato modo di alloggiare una dozzina di famiglie di propri operai e impiegati. L’Acciaieria e Ferriera del Caleotto ha anch’essa realizzato un vasto piano di abitazioni per i propri dipendenti, mettendo a dispo-sizione degli stessi un complesso di 102 appartamenti. E la già citata ditta Mattia Locatelli ha ceduto molti alloggi alle proprie maestranze oltre a dare vita, con la fondazione della Casa del Povero, a un’altra interessante forma di assistenza nel campo dell’edilizia per i lavoratori. A Mandello la Moto Guzzi ha costruito un villaggio per i propri dipen-denti. E lo stesso ha fatto la Carcano, mettendo a disposizione delle sue maestranze 21 appartamenti. Poi a Castello Brianza la Fornaci Val-bevera, a Merate la Catene calibrate Regina, a Paderno la Martinelli,

Il portico del quartiere popolare a Germanedo.

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Le case del povero a Pescarenico sono state realizzate tra il 1926 e il 1939 dalla ditta Locatelli Mattia per ricordare, con un’opera di pubblica utilità, il cinquantesimo di fondazione.

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Lecco: il progetto del quartiere popolare a Germanedo.

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sono solo alcuni degli esempi di iniziative diffuse a macchia d’olio in tutto il territorio e che subito dopo il secondo confl itto mondiale tro-veranno un rapidissimo sviluppo. Merito, questa volta, della legge 28 febbraio 1949, il Piano Incremento Occupazione Operaia mediante la costruzione di Case per Lavoratori, conosciuto come Piano Fanfani dal nome del ministro proponente ed in seguito, per essere la gestione sia del fi nanziamento (attraverso i contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro) sia degli immobili costruiti affi data ad una speciale sezione del-l’Istituto Nazionale Assicurazioni, denominato per brevità Ina-Casa.Per quanto riguarda Lecco e il suo territorio, il piano ebbe ragguarde-vole e rapido sviluppo soprattutto per la coraggiosa e felice iniziativa della locale Unione Industriali che, nel giugno 1949, attraverso un accordo fra le maggiori ditte interessate alla risoluzione dei problemi sociali, costituì il Raggruppamento Industriali che, per primo in Italia, provvide ad anticipare i contributi che sarebbero maturati negli anni successivi a titolo Ina-Casa, così da permettere l’immediata costruzione di fabbricati per togliere i lavoratori da quel disagio in cui si trovavano per la mancanza di alloggi. Lo sforzo del Raggruppamento è documen-tato dai 97 fabbricati, per un totale di 294 alloggi, al 30 marzo 1953. Contemporaneamente la gestione Ina-Casa affi dava altre costruzioni a diverse stazioni appaltanti, quali alcune cooperative, l’Istituto Au-tonomo Case Popolari, l’Incis e i Comuni per cui, sempre al 30 marzo 1953, furono ultimati altri 64 fabbricati per un totale di 421 alloggi.Testimonianze, queste, della vitalità e delle caratteristiche evolutive del settore dell’edilizia popolare nell’area provinciale. Anche questa una sto-ria che continua ancora oggi e che guarda al futuro, con il settore dell’edi-lizia residenziale pubblica affi data a un’azienda - Aler Lecco - che con la presidenza di Giuseppe Canali gestisce un grande patrimonio edilizio e offre il proprio contributo all’evoluzione della questione residenziale.

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Si ringraziano per la collaborazione:

Comunità Montana del Lario Orientale

Istituti Riuniti“Airoldi e Muzzi”

Lecco

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Di quest’opera “Dal vecchio borgo alla grande Lecco”di Aloisio Bonfanti con appendice di Angelo Sala

sono stati impressi 1.200 esemplari

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Quest’opera di Aloisio Bonfanti con appendice di Angelo Salaè stata impressa sotto la cura delle Edizioni Monte San Martino

e dell’Editoria Grafica Colombo.

Finito di stampare nel mese di luglio 2007 daEditoria Grafica Colombo snc Via Roma, 87 - Valmadrera (Lecco)

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