+ All Categories
Home > Documents > David Foster Wallace e la matematica

David Foster Wallace e la matematica

Date post: 23-Jun-2015
Category:
Upload: mmaths
View: 1,352 times
Download: 5 times
Share this document with a friend
Description:
Versione preliminare di un saggio su Wallace e la matematica nelle sue opere, scritto da Roberto Natalini
20
L'infinito scherzo di David Foster Wallace 1 Il rapporto speciale di uno scrittore con la matematica di Roberto Natalini Il 12 settembre 2008 si toglieva la vita David Foster Wallace, uno dei maggiori scrittori americani degli ultimi vent'anni. Ci ha lasciato un romanzo enciclopedico,”Infinite Jest” (Lo scherzo infinito), oltre a innumerevoli racconti, saggi, reportage giornalistici ricchi di intelligenza e cultura e soprattutto infinitamente divertenti. Nel 2003, Wallace ha pubblicato una lunga riflessione sull'infinito matematico di Cantor, che considerava una delle avventure intellettuali più affascinanti di tutti i tempi. Una sensazione ben strana per un matematico, quella di scoprire uno scrittore capace di emozionarsi per il calcolo infinitesimale e le serie di Fourier, al punto da sentire il bisogno di comunicarlo pubblicamente. Vale allora la pena di scoprire di più sul rapporto, infinitamente stratificato e complesso, tra uno scrittore come David Foster Wallace e la matematica. Nel saggio/racconto vagamente autobiografico, “Tennis, Trigonometria, Tornado” (Derivative Sport in Tornado Alley, 1991), Wallace inizia così: “Quando lasciai il mio distretto squadrato in mezzo alla campagna dell'Illinois per andare a frequentare l'università dove si era laureato mio padre fra i vivaci rilievi delle Berkshires nel Massachusetts occidentale, sviluppai un'improvvisa dipendenza dalla matematica”. Nonostante questa dichiarazione spavalda e tanta mitologia diffusa tra critici e lettori, Wallace non è mai stato un matematico, in nessuno dei sensi accettabili del termine. Non era un professionista di questa disciplina, e nemmeno, per sua stessa ammissione aveva mai ricevuto una soddisfacente formazione di livello universitario. Era una persona curiosa che si avvicinava alla matematica con grande entusiasmo, qualche preciso bisogno, e a tratti anche qualche confusione. In questo senso, la prima cosa da chiarire sul rapporto di Wallace con la matematica è che si tratta sicuramente un qualcosa di 1 Testo (espanso) della Conferenza tenuta a Genova il 3 novembre 2010, in occasione del Festival della Scienza. Figura 1: Wallace con il suo cane Jeeves (1996).
Transcript
Page 1: David Foster Wallace e la matematica

L'infinito scherzo di David Foster Wallace1 Il rapporto speciale di uno scrittore con la matematica

di Roberto Natalini

Il 12 settembre 2008 si toglieva la vita David Foster Wallace, uno dei maggiori scrittori americani degli ultimi vent'anni. Ci ha lasciato un romanzo enciclopedico,”Infinite Jest” (Lo scherzo infinito), oltre a innumerevoli racconti, saggi, reportage giornalistici ricchi di intelligenza e cultura e soprattutto infinitamente divertenti. Nel 2003, Wallace ha pubblicato una lunga riflessione sull'infinito matematico di Cantor, che considerava una delle avventure intellettuali più affascinanti di tutti i tempi. Una sensazione ben strana per un matematico, quella di scoprire uno scrittore capace di emozionarsi per il calcolo infinitesimale e le serie di Fourier, al punto da sentire il bisogno di comunicarlo pubblicamente. Vale allora la pena di scoprire di più sul rapporto, infinitamente stratificato e complesso, tra uno scrittore come David Foster Wallace e la matematica.

Nel saggio/racconto vagamente autobiografico, “Tennis, Trigonometria, Tornado” (Derivative Sport in Tornado Alley, 1991), Wallace inizia così: “Quando lasciai il mio distretto squadrato in mezzo alla campagna dell'Illinois per andare a frequentare l'università dove si era laureato mio padre fra i vivaci rilievi delle Berkshires nel Massachusetts occidentale, sviluppai un'improvvisa dipendenza dalla matematica”. Nonostante questa dichiarazione spavalda e tanta mitologia diffusa tra critici e lettori, Wallace non è mai stato un matematico, in nessuno dei sensi accettabili del termine. Non era un professionista di questa disciplina, e nemmeno, per sua stessa ammissione aveva mai ricevuto una soddisfacente formazione di livello universitario. Era una persona curiosa che si avvicinava alla matematica con grande entusiasmo, qualche preciso bisogno, e a tratti anche qualche confusione. In questo senso, la prima cosa da chiarire sul rapporto di Wallace con la matematica è che si tratta sicuramente un qualcosa di

1 Testo (espanso) della Conferenza tenuta a Genova il 3 novembre 2010, in occasione del Festival della Scienza.

Figura 1: Wallace con il suo cane Jeeves (1996).

Page 2: David Foster Wallace e la matematica

“non-centrale” nel complesso della sua opera: non è per questo che leggiamo o leggeremo Wallace. Però questa cosa-non-centrale ha suscitato un grande interesse di tutti i lettori di Wallace e sta diventando un argomento quasi inevitabile nell'analisi della sua opera, per varie ragioni che vedremo nel seguito, e forse in primo luogo proprio per qualche considerazione che lo stesso Wallace ha deciso di proporre. Per cui in questa presentazione proveremo a capire meglio questo rapporto tra Wallace e la cosa-non-centrale, cercando di descrivere da un lato come la matematica sia evocata negli scritti di Wallace e dall'altro alcune delle impressioni che vengono fuori quando ciò che ha scritto viene letto in chiave matematica. Nella prima parte cercheremo di capire come e perché Wallace ritenesse la matematica una delle cose divertenti che l'umanità avesse inventato. E non solo divertente, o ancora oggetto da sfoggiare e ostentare a simbolo della propria intelligenza, ma anche una delle imprese maggiormente significative della cultura umana, una delle vie principali per il raggiungimento della verità. E il fascino dell'astrazione e dell'infinito, e la grande capacità linguistica ed espressiva della matematica. Nella seconda parte di questa presentazione, cercherò invece di mettere in luce un livello che a me pare più profondo, in cui le strutture e i modi scelti da Wallace per narrare possono in qualche modo essere riletti usando idee basate sulla matematica.

1) Dove si spiega (brevemente) di chi si sta parlando

David Wallace (Foster era il cognome da ragazza della madre e verrà aggiunto per ragioni editoriali in seguito) è nato a Ithaca, nello Stato di New York, il 21 febbraio 1962, ed è cresciuto nell’Illinois. Si è laureato nel 1985 in letteratura inglese e in filosofia, con una specializzazione in logica modale e matematica presso l'Amherst College, e nel 1987 ha ottenuto un Master of Fine Arts in scrittura creativa alla University of Arizona. Ha insegnato alla Illinois State University per gran parte degli anni novanta e nell'autunno del 2002 è diventato professore di scrittura creativa e letteratura inglese al Pomona College, in California. Il suo primo romanzo, che sviluppa la sua tesi di laurea, è “La scopa del sistema” ed esce nel 1987, quando Wallace aveva 25 anni. Nel 1989 pubblica la raccolta di racconti “La ragazza con i capelli strani”.

Il secondo romanzo, “Infinite Jest”, esce nel 1996 e permette a Wallace di diventare in poco tempo un autore di culto internazionale, almeno nel mondo anglosassone. La rivista Time lo include nella lista pubblicata nel 2006 dei 100 migliori romanzi di lingua inglese dal 1923 al 2006. Scriverà poi ancora due raccolte di racconti, e due raccolte di saggi brevi e reportage giornalistici, e un saggio sulla matematica dell'infinito.

Il 12 settembre 2008 Wallace si impicca nel patio di casa sua a Claremont, in California. Lascia la moglie, un romanzo incompleto, “The pale king”, che dovrebbe uscire nel corso del prossimo anno, e una grande comunità, per il momento poco legata alla critica accademica, di lettori appassionati. A due anni dalla morte cominciano ad essere abbastanza chiare le ragioni di questo suicidio, Wallace fin da giovane aveva sofferto di depressione, e aveva cercato di modificare, senza successo, la terapia farmacologica a cui era costretto, ma sarebbe francamente riduttivo leggere la sua opera solo alla luce di questa fine.

Nel seguito restringeremo, in modo sicuramente parziale, la nostra analisi ai collegamenti tra la sua opera e la matematica, cercando solo di tanto in tanto di allargare il nostro orizzonte. Speriamo in questo senso che, come in certi frattali, un dettaglio possa in qualche modo essere abbastanza significativo da poterci informare, anche in modo sintetico, sulla complessità del tutto.

Figura 2: Wallace durante un reading.

Page 3: David Foster Wallace e la matematica

2) Un alieno guarda il nostro mondo: matematica sexy e verità immutabili.

La sorella di David Wallace, Amy, ricordando il fratello durante un'intervista2, ha cercato di descriverlo a chi non lo abbia mai incontrato, come un alieno appena sbarcato da un altro pianeta. Qualcuno con uno sguardo pieno di curiosità e disponibilità, ma sempre abbastanza diverso dal nostro. Per cercare di

capire come questo sguardo “alieno” abbia interagito con l'idea di matematica, partiamo dal saggio che Wallace pubblicò nel 2003 sul concetto di infinito in Cantor, dal titolo “Everything&More” (trad. Italiana: “Tutto e di più”, da qui in poi E&M). Una cosa forse insolita per uno scrittore di romanzi, meno sorprendente considerando i suoi numerosi saggi, spesso condotti con uno stile tecnico-scientifico, e la sua laurea in filosofia con la tesi sulla logica modale. In questo saggio appare abbastanza spesso una parola che colpisce il lettore, e soprattutto il lettore anglosassone, usata da Wallace per riferirsi alle notazioni e alle tecniche matematiche, e la parola è “sexy”. Per esempio, già nelle prime pagine, dopo aver riportato un brano pieno di termini tecnici sull'importanza dell'opera di Cantor, da un libro di storia della matematica, commenta “the sexy math terms don’t matter for now” (i termini matematici “sexy” non sono importanti per ora). Parlando del paradosso di Zenone dice: “Spiegato in modo un po' più sexy, il paradosso consiste nel dire che un pedone non si può muovere dal punto A al punto B senza attraversare tutti i successivi sottointervalli di AB”. In molti sono rimasti sorpresi dall'uso ripetuto di questo termine per parlare di matematica3, un termine altrimenti non comune negli scritti di Wallace (e ancor meno nella letteratura matematica....)4.

In un tentativo, forse estremo, di giocare sui registri alti e bassi della cultura, è invece abbastanza chiaro che con il termine “sexy”, Wallace volesse significare quello che in italiano(/romano) tradurrei con “fico” e che in ogni lingua o dialetto trova un suo degno equivalente (per esempio in inglese pensavo fosse “cool”, ma no, qui Wallace dice proprio “sexy”...). Insomma, e questo è lo sguardo alieno a cui intendo riferirmi: per Wallace la matematica era una vera “ficata” e non vedeva l'ora di farlo sapere a tutti. Gli piaceva sfoggiare una certa erudizione, a tratti alquanto approssimativa, in questo campo, parlare di infiniti cantoriani, dell'analisi di Fourier e post-Fourier (sic!)5, di cicloidi e cardioidi, di dilungarsi in descrizioni tecniche piene di nomi esotici ed esoterici, a volte improbabili. Per esempio, sempre nel saggio “Tennis, Trigonometria e Tornado” scriveva: “Il tennis agonistico, come il biliardo professionistico, richiede una mente geometrica, l'abilità di calcolare non soltanto le 2 L'intervista, con altri materiali sonori inediti, si trova qui: http://www.wpr.org/book/davidfosterwallace/3 E tra i matematici, alcuni sono rimasti delusi che questo non segnalasse un drastico cambiamento sociologico nel loro mondo...4 Che ci sia un equivoco con questa parola, almeno nell'uso che ne fa Wallace, è testimoniato dalla traduzione italiana per

Einaudi del testo “Questa è l'acqua”, dove la frase “being able truly to care about other people and to sacrifice for them over and over in myriad petty, unsexy ways every day" è tradotta con “la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere con il sesso, ogni santo giorno." Qui “unsexy”, non ha proprio niente a che vedere con il sesso, ma sta piuttosto per “poco attraente”.

5 Che per inciso esiste veramente, nel senso dell'uso di basi di funzioni che permettano di analizzare le funzioni in modo simile alle classiche serie di Fourier. Proprio negli anni in cui Wallace scrive i suoi romanzi, si fanno infatti strada nel mondo matematico le wavelets, onde concentrate in spazio e in frequenza, oramai entrate nel patr imonio tecnico di qualsiasi matematico che si occupi di trattamento dei segnali.

Figura 3: Copertina dell'edizione italiana della prima parte della raccolta di saggi "A supposedly fun thing I'll never do again".

Page 4: David Foster Wallace e la matematica

vostre angolazioni ma anche le angolazioni di risposta alle vostre angolazioni. Poiché la crescita delle possibilità di risposta è quadratica, siete costretti a pensare in anticipo ad un numero n di colpi, dove n è una funzione iperbolica limitata dal senh della bravura dell'avversario e dal cosh del numero di colpi scambiati fino a quel momento (approssimativamente). Io lo sapevo fare.”

Se vi siete persi, se vi sembra che sia troppo difficile, se non sapete cosa sia una funzione iperbolica, allora Wallace ha raggiunto il suo scopo, che in questo brano consisteva nel decontestualizzare il Tennis e renderlo un'attività intellettuale completamente astratta, per poterlo poi guardare da un punto di vista diverso6. Lo scopo era però anche quello di stupirvi e impressionarvi con l'ultima affermazione, piena di orgoglio un po' sbruffonesco: “Io lo sapevo fare”. E qui c'è già una differenza tra il lettore medio e chi sa qualche cosa di matematica e capisce che la parola “iperbolico” nella frase è riferita alla frase stessa, nel senso di grande esagerazione retorica, che strettamente parlando non vuol dire nulla, e che i termini matematici sono lì solo perché sono, appunto, “sexy”. E c'è addirittura un personaggio in Infinite Jest, Michel Pemulis7, che non perde occasione per fare il fico con la matematica, producendo per esempio una definizione, forse un po' fantasiosa, ma “fica”, di derivata: “Derivatives're just trig with some imagination.” (Le derivate sono solo trigonometria con un po' di immaginazione) (IJ, n. 321, p.1264)8. Non so se avete mai avuto un compagno di classe bravo in matematica, un po' arruffone, ma pieno di buona volontà e sincero entusiasmo, che cercava di spiegarvi il perché la matematica fosse facilissima, che erano tutte cavolate e che non ci voleva nulla ad impararla. Ecco, questo è un ruolo che piaceva tantissimo a Wallace, il ruolo di Pemulis, una specie di Lucignolo geniale, e come lui molto sfortunato, e anche un po' il ruolo di Wallace stesso, come vedremo, in E&M.

Se a Wallace la matematica piaceva sul livello “fico”, di semplice esibizione di una complessità linguistico-scientifica, interessava anche, e più profondamente, come linguaggio capace di elaborare e trasmettere idee belle e difficili, qualche cosa di solidamente “vero”, qualche cosa di utile a capire la realtà e il complesso mondo tecnologico che ci circonda: “Coloro che hanno avuto il previlegio (o l'obbligo) di studiarla, capiscono che la pratica della matematica superiore è, in effetti, un'arte e dipende non meno di altre arti da ispirazione, coraggio, lavoro duro, etc..., ma con la caratteristica supplementare che le "verità" che l'arte della matematica prova a esprimere sono deduttive, necessarie, sono verità a priori”9. Punto di vista condiviso da Pemulis, mentre incoraggia un giovane

6 Punto di vista che verrà approfondito in IJ: “...il vero tennis non era più riducibile a fattori delimitati o curve di probabilità di quanto lo fossero gli scacchi o il tennis, I due giochi di cui è un ibrido.”, IJ, p.97..7 “M.M. Pemulis ha il quoziente intellettivo più alto di qualunque ragazzo in riserva accademica per scarso profitto nella storia dell'ETA. (…) ha davvero un'impazienza congenita da genialoide tecnoscientifico per la nebulosità referenziale e l'ineleganza dei sistemi verbali. (…) Il vero e inestinguibile talento di Pemulis sta nella matematica e nelle scienze pure.” IJ, p.183.8 E sbagliando poi clamorosamente la derivata di xn (sic!). Non saprei però dire se l'errore è di Pemulis o di chi trascrive,

all'interno del testo, le sue indicazioni (o ancora di Wallace). Le opinioni divergono. C’è scritto “Funzione x, esponente n, la derivata sarà nx+xn-1”. Va bene, è sbagliata. Ma potrebbe leggersi “n per x con x alla n-1”, ed essere solo la trascrizione di Hal ad essere difettosa. Spesso ci si perde nei meandri dei tanti punti di vista proposti da Wallace, alcuni dei quali creati solo dalla nostra immaginazione.

9 David F. Wallace, Rhetoric and the Math Melodrama, Science 22 December 2000: Vol. 290. no. 5500, pp. 2263 – 2267.

Figura 4: Wallace con una camicia da carcerato.

Page 5: David Foster Wallace e la matematica

compagno (tennista) in preda a una crisi di panico: “Todd, devi avere fiducia nella matematica. (…). Ti puoi ritirare e riordinare le idee con la matematica, la cui verità è una verità deduttiva. Indipendente dai sensi o dalle emozioni. Il sillogismo. (…). La strisciante inevitabilità. Caio è mortale. La matematica non è mortale. È quello che è: ascolta: è vera.” (IJ, n. 322, p.1273). È questo punto di vista, più profondo e maturo, che verrà ripreso ed espanso nel saggio del 2003 sull'infinito.

3) L'astrazione.

Nel 2003, in E&M, Wallace prova ad affrontare in modo sistematico il concetto di infinito. Secondo lui, questo doveva essere “un esercizio di scrittura tecnica”, non un saggio vero e proprio, piuttosto un tentativo di prendere un soggetto difficile e abbastanza esoterico come l'infinito cantoriano, e renderlo chiaro e piacevole da leggere al lettore medio. Un tentativo di “narrare” un argomento ostico. E questo Wallace lo fa a modo suo. Abbiamo detto dello stile Pemulis, della matematica sexy. Potete immaginare che vi saranno tantissime note e centinaia di acronimi e un po' di confusione. Che qualche cosa verrà sacrificato alla narrabilità e qualche cosa al rigore. Però forse, prima di parlare di come Wallace affronta l'infinito, mi sembra utile cercare di valutare gli esiti questo tentativo. Se i matematici professionisti per lo più si sono accaniti a sottolinearne i difetti, le imprecisioni, la scarsa capacità di rendere in modo efficace le motivazioni profonde che portarono Cantor a introdurre i numeri transfiniti, in fondo non meraviglia, il libro non era per loro. Però ho paura che i non matematici, anche i wallaciani più accaniti, semplicemente non siano mai arrivati in fondo a un testo che in realtà in alcune parti è molto difficile, proprio per l'amore del dettaglio, e anche a tratti non proprio chiaro (eh, proprio l'effetto Pemulis...). Però, dal mio punto di vista, forse non proprio imparziale, lo trovo un tentativo interessante e a tratti anche veramente divertente di provare a scrivere di matematica in modo non banale. Pochi anni prima, Wallace aveva recensito per Science10 due romanzi a sfondo matematico, uno anche famoso in Italia, “Zio Petros e la congettura di Goldbach”. Al di là della critica dal punto di vista letterario, per la scarsa qualità narrativa dei testi e la loro povertà linguistica, Wallace era molto negativo proprio rispetto al modo che questi due romanzi avevano di raccontare la matematica. Evitando di definire il proprio pubblico, e rinunciando a scontrarsi seriamente con la difficoltà tecnica della materia, con l'oggetto stesso della matematica, questi romanzi, che secondo lui appartengono a un nuovo genere potenziale, il “melodramma matematico”, finivano a suo parere per proporre entrambi un eroe incompreso che fa qualche cosa che non si capisce, e di cui si raccontano in dettaglio, ma in modo sciatto e convenzionale, le peripezie psicologiche. Sotto questa luce, la storia di Cantor sarebbe stata la storia della sua depressione bipolare, dei suoi ricoveri, delle sue lotte contro i matematici del tempo11. Wallace sceglie una direzione diversa, cercando di far capire, almeno in prima approssimazione, i problemi matematici affrontati da Cantor e dai suoi predecessori, cercando di rendere tutto questo non noioso12. Wallace trovava molto triste che le persone senza una

10 Math Melodrama, Ibidem. 11 Questa osservazione è di Wallace, riferendosi ad una popolare biografia di Cantor che circolava negli USA in quel

periodo, ma allo stesso modo si potrebbe applicare agli studiosi dello stesso Wallace che cercassero di leggere la sua opera alla luce dei suoi problemi psicologici.

12 Questa era infatti la sfida principale affrontata da Wallace. E per questo era disposto a pagare il prezzo dell'imprecisione. Ad un matematico che aveva compilato in rete una lista di errata alla prima edizione del libro, aveva inviato una cartolina in cui diceva: “I wish to thank you for the care and generosity with which you read my booklet and suggested errata. A few egregious boners you caught – I wince that I did not – will be corrected in any future printings. Some other issues the editor and I are still noodling over –

Figura 5: Copertina dell'edizione italiana di "Everything&More"

Page 6: David Foster Wallace e la matematica

specifica educazione matematica non possano di solito gustare la bellezza artistica della matematica superiore, in cui le formule e i calcoli non contano più, ma entra in gioco quello che, diceva “chiamiamo 'genio', ossia quella miscela particolare di ragione e creatività estatica che caratterizza ciò che c'è di meglio nella mente umana.13” Purtroppo la matematica che si impara a scuola raramente ci fa capire queste cose, e “alla fine non sapere nemmeno di non sapere è la parte più insidiosa di molti corsi di matematica.” Wallace questa cosa almeno la faceva capire benissimo. Comunque, anche se con qualche riserva e parecchie imprecisioni, almeno la prima metà di E&M è decisamente molto divertente e interessante. Wallace comincia parlando della fama di pazzia dei matematici14 e citando Chesterton, dice: “I poeti non diventano matti, i matematici invece sì. Il pericolo è nella logica, non nell'immaginazione.” Senza entrare nel merito della sanità mentale dei matematici, spesso soltanto un cliché cinematografico, è interessante osservare che secondo Wallace, Chesterton si sbagliava almeno su una cosa. Secondo lui, non è infatti la logica che fa diventare matti, ma l'astrazione, qui intesa come qualche cosa di separato dal supporto materiale, dalla pratica o da particolari esempi. E la linea di demarcazione tra l'astratto e il concreto è quella che separa 5 arance dal numero 5, la pratica matematica dalla Matematica vera e propria (dai greci in poi). Pensate alle equazioni in cui le lettere sostituiscono i numeri, che permettono di stabilire verità immutabili che trascendono il caso particolare, e non, come dice Pemulis, “a meno che un agente immobiliare di Boardman, Minnesota, con i suoi mocassini Banfi da 400$ non cambi idea” (IJ, n.324, p. 1274). Ed è da questa astrazione che nasce il potere della matematica di generare quella conoscenza solida e profonda che Wallace ammirava. Di potersi applicare, con le stesse idee, in campi radicalmente diversi. Da qui nascono però anche problemi, che Wallace chiama mal di testa, tipici dei logici e dei matematici. Perché astrazione vuol dire paradossi. Quando i sostantivi non sono più “uomo”, “scrivania”, “penna”, “David”, ma diventano astratti, le cose si complicano. Cominciamo a chiederci, come Alice nel Paese delle Meraviglie “Cosa vedi per strada?”, “Niente”, “Che vista eccezionale! E com'è fatto il niente?”. Wallace immagina di stare a letto la mattina e chiedersi, prima di alzarsi, se la materia del pavimento non abbia qualche difetto, magari a livello molecolare, che lo faccia improvvisamente sprofondare. Non che sia assolutamente impossibile, ma insomma si comincia a seguire questa linea di pensiero, e per la stessa ragione ci si potrebbe chiedere se domani il sole sorgerà. E attraverso il pensiero astratto, ci si porranno dei problemi sul perché si accettino certe regole. E non vi sarete ancora mossi dal letto. È questo modo di pensiero astratto che genera i paradossi nella filosofia e nella matematica moderna. Wallace introduce tutto questo per dire che non c'è niente di più astratto dell'infinito. La nostra esperienza ci mostra proprio il contrario, che le cose finiscono, che tutto ha un limite. E solo astraendo, per opposizione, riusciamo a definire e usare il concetto di infinito. Prendiamo per esempio i paradossi di Zenone, la prima fonte di tutte le riflessioni sull'infinito. Voglio attraversare una strada, ma dopo aver percorso metà del tragitto, per arrivare dall'altra parte devo prima arrivare a metà tragitto rimanente, ossia aggiungere un quarto, e poi metà della metà, ossia un ottavo e poi metà della metà della metà, etc... Ossia deve attraversare un numero infinito di intervalli. La nostra esperienza ci dice che possiamo attraversare una strada, ma la logica di Zenone sembra negarlo, facendo ribollire un infinito dove prima tutto era tranquillo. Astrae, utilizzando concetti poco chiari come 'essere' e 'muoversi', e rimane

the point is not correctness (your list was 100% correct, I think) but simplicity, perspicuity for a non-math audience, etc. It all turns out to be quite tricky, rhetorically speaking”.

13 “Some readers of Science will probably know all too well the frustration of trying to describe the beauty and power of Gauss's differential geometry or the Banach-Tarski Paradox to someone who remember only the drudgery of factoring quadratic equations or the terror of a trig midterm. In fact, the weird fear and distaste that low-level math provokes in so many is part of what makes the emergence of the Math Melodrama exciting: if the genre can find ways to vivify pure math and communicate the discipline's extraordinary beauty and passion to the average reader, both readers and math itself stand to gain”. Math Melodrama, Ibidem.

14 “Il Matematico Mentalmente Instabile sembra oggi in un certo senso essere ciò che il Cavaliere Errante, il Santo Mortificantesi, l'Artista Tormentato, e lo Scienziato Pazzo sono stati durante altre epoche: una sorta di Prometeo, colui che va in luoghi proibiti e ritorna con doni che tutti noi potremo usare, ma per i quali lui sarà l'unico a pagare. Questo è probabilmente un po' esagerato, almeno in molti casi: ma Cantor corrisponde allo stampo meglio di tanti altri.” E&M, p.6.

Page 7: David Foster Wallace e la matematica

sostanzialmente senza risposta per secoli, nonostante i vari argomenti usati contro di lui, da Platone e Aristotele in poi. È solo la matematica del XIX secolo che con Weierstrasse risolve questo paradosso, creando un quadro concettuale (la definizione rigorosa di limite, i criteri di convergenza delle serie), capace di gestire e spiegare le apparenti contraddizioni. Wallace è ammirato da questa costruzione che descrive in dettaglio. Trova incredibile che vi sia un linguaggio corretto per parlare di queste cose. Che sia possibile "considerare" questi infiniti punti e movimenti in modo finito: “La confusione centrale della Dicotomia [nel paradosso di Zenone] è ora eliminata: muoversi dal punto A al punto B non richiede un numero infinito di mosse, ma piuttosto una singola mossa di lunghezza [B-A], che può essere approssimata da una serie convergente”, E&M, p. 195.

4) Infinito e comunicazione. Wallace aveva l'abitudine di saturare il lettore con tantissime informazioni, ma nonostante questo sentiva di non riuscire a dire tutto quello che avrebbe voluto. Riempiva i suoi testi di dettagli e digressioni e note. Usava le abbreviazioni, gli acronimi, le liste e tanti altri artifici. Ma allora, come descrivere un pensiero a parole? Come riuscire a creare una mappa dei propri pensieri nel cervello di un altro? Certo, un libro è una mappa di un qualche cosa che esiste di per sé (una parte della mente dell'autore, che a sua volta è una mappa parziale del mondo intero), ma a Wallace questo non bastava, aveva bisogno di comprimere ancora di più l'informazione. E guardava quindi alla matematica, una disciplina che da parte sua è specializzata nella compressione dell'informazione, nelle rappresentazioni. La matematica sa sintetizzare parti della realtà. Sa comprimerle in scatole in cui non si perde la loro complessità, perché in ogni momento possiamo ritirarle fuori. Nel racconto Caro Vecchio Neon, scritto lo stesso anno di E&M, Wallace immagina di far parlare un tizio che si sta suicidando, o forse si è già suicidato, e che ci racconta come sia la comunicazione “vera” dopo la morte: “Tutte le parole sono ancora lì, ma non è più un problema di quale viene prima. O potresti dire che non c'è più la serie delle parole, ma piuttosto qualche cosa come un limite verso cui la serie converge. (…). La cosa che viene fuori è che il simbolismo logico sarebbe veramente il modo migliore di esprimerlo, poiché la logica è del tutto astratta e al di fuori di quello che pensiamo come il tempo. È la cosa più vicina a come è realmente.” (CVN, p. 199-200).

La matematica indica per Wallace la possibilità di una comunicazione immediata. Come con l'infinito, con il paradosso di Zenone, ridotto a esercizio di calcolo elementare, si tratterebbe allora solo di trovare i concetti giusti per mappare i nostri pensieri in modo nuovo. Comprimerli per renderli immediatamente percepibili. Purtroppo nella vita reale e anche narrativamente non si capisce come si possa fare. Wallace può solo indicarci questa direzione, producendo nel frattempo degli scritti eccezionali, che ancora ci parlano: la comunicazione forse non è immediata, e nemmeno sintetica, ma non per questo impossibile.

Figura 6: Un paradosso di Zenone, da un libro di Analisi matematica

Page 8: David Foster Wallace e la matematica

5) Intermezzo: di cosa parla Infinite Jest.

IJ NON è un romanzo facile, e la lunghezza (1079 pagine in Inglese, 1281 in italiano) è solo un elemento secondario. Richiede attenzione e partecipazione, anche solo per non perdersi tra le note e i tempi e i personaggi. Non cerca di essere incomprensibile, anzi cerca di coinvolgere al massimo i suoi lettori, e la difficoltà viene piuttosto dal fatto che Wallace cerca di dire veramente un sacco di cose. Dave Eggers ha scritto che mentre la maggior parte della narrativa contemporanea può essere smontata e capita, IJ è un'astronave aliena (sic!) che si lascia guardare e gustare, ma non si riesce bene a capire da dove sia venuta. Da un lato c'è il piacere di lasciarsi andare a una narrazione che di per sé non è ostica, non ci sono concetti filosofici complessi o stranezze poetiche, e la descrizione è sempre precisa e chiara, ma a volte effettivamente non si sa bene, almeno all'inizio della prima lettura, dove ci stia portando. Ci travolge nella sua fluvialità, ma ci delude continuamente nelle nostre aspettative di continuità narrativa. Dall'altra, leggendo più lentamente, o meglio una seconda volta, ci si accorge di una struttura narrativa in realtà molto compatta e ben motivata, in cui ogni frase ne richiama un'altra, sia a scale piccole (all'interno del capitolo) che sulla scala più vasta del racconto. Faccio ora qualche considerazione generale, senza pretesa di completezza.

a) la struttura.

In realtà la struttura del romanzo è complicata, oltre che dalle omissioni deliberatamente operate da Wallace, da due ragioni principali. La prima è il rimescolamento temporale operato, amplificato dal fatto che almeno all'inizio non sappiamo bene dove collocare gli anni, che si scopre sono stati sponsorizzati. La lista viene messa a p. 266, ma è utile tenerla presente (tra parentesi l'anno vero, che è utile per i riferimenti non sponsorizzati), eccola:

(2002) Anno del Whopper

(2003) Anno dei Cerotti Medicati Tucks

(2004) Anno della Saponetta (in realtà Barretta, si tratta di gelato, errore di traduzione) Dove in Formato Prova

(2005) Anno del Pollo Perdue Wonderchicken

(2006) Anno della Lavastoviglie Silenzionsa Maytag

(2007) Anno dell'Upgrade per Motherboard-Per-Cartuccia-Visore-A-Risoluzione-Mimetica-Facile-Da-Installare Per Sistemi TP Infernatron/InterLace Per Casa, Ufficio, O Mobile Yushityu 2007 (sic)

(2008) Anno dei Prodotti Caseari dal Cuore dell'America

(2009) Anno del Pannolone per Adulti Depend

(2010) Anno di Glad

La seconda ragione è che abbiamo un sacco di filoni che all'inizio sembrano non interagire, ma in realtà, sotto traccia, sono strettamente legati tra loro, sia a livello narrativo, ma ancora di più a livello tematico, con risonanze e contrapposizioni significative. Però, almeno a livello macroscopico, è utile sapere che i filoni importanti sono tre:

i) l'E.T.A. (la scuola di Tennis) e la famiglia Incandenza: una specie di scuola utopica di stampo Oxfordiano, fondata dal padre di Hal, il primo protagonista, il defunto James O. Incandenza, dominata dalla geometria, in cui i ragazzi vengono allevati a perdere la coscienza di sé, perché solo diventando macchine potranno diventare dei campioni sportivi;

ii) la casa di recupero Ennet House e i suoi ricoverati, tra cui si trova il secondo protagonista, Don

Page 9: David Foster Wallace e la matematica

Gately, dove si cerca di capire il proprio problema di dipendenza, stando insieme con altri che lo condividono. È il punto d'incontro di tutti i personaggi "dipendenti" che vengono introdotti nella prima parte.

iii) il complotto separatista quebechiano e la situazione politica onanita (sic!). Dopo la grande riconfigurazione, i tre stati nordamericani si sono uniti in una confederazione ONAN, cedendo al Canada una vasta regione alle spalle di Boston, la grande concavità, in cui vengono scaricate tutte le scorie tossiche. I separatisti, divisi in un certo numero di organizzazioni più o meno terroristiche, stanno combattendo lo stato onanita.

La storia si srotola intorno a una cartuccia contente un film, dal titolo “Infinite Jest”, girato da James O. Incandenza, che dopo una carriera nell'ottica e una nel tennis, ha passato gli ultimi anni della sua vita facendo film artistici, e che è così divertente che chi la guarda non può smettere di guardarla e muore, non potendo staccarsi dalla visione. Nessuno sa se questo sia vero e dove sia questa cartuccia dopo la morte di Incandenza, e i terroristi separatisti voglio ritrovarla per immetterla nel circuito Interlace e così eliminare tutta la popolazione nord-americana.

Ci sono travasi da un filone all'altro (e proprio questi travasi vanno seguiti attentamente). Il ritmo di passaggio da una scena all'altra è all'inizio frenetico (come anche i passaggi temporali), per poi assestarsi intorno agli accadimenti del novembre APAD (il nostro 2009).

b) Lo stile

DFW parla con voce molto diversa nelle varie sezioni, e i suoi punti di vista sono molteplici. A volte è anche difficile capire se chi narra è il narratore onnisciente o ci sono più narratori. Poche sono le voci in prima persona (Hal, Clenette, il Vostro). Non sempre il narratore risulta affidabile, e alcune inesattezze vengono precisate nelle note (le stesse note sembrano scritte da persone diverse). Il testo è integrato da 388 note, che risultano essere indispensabili alla lettura del testo, tra cui spicca la nota 24, la filmografia di James O. Incandenza. Nello stile tipico dei dizionari del cinema, DFW esibisce una serie di invenzioni straordinarie, che a una prima lettura sembrano solo divertenti (da leggere con attenzione e poi da rileggere), ma poi, a mano a mano che procediamo nella lettura, si rivelano in realtà come una specie di riflesso speculare della narrazione, molte situazioni del romanzo essendo quasi ripetizioni delle trame dei film. Non ultimo il fatto stesso che il romanzo stesso si chiami come uno dei film, proprio quello che provoca un divertimento che dà dipendenza, e da cui in definitiva non ci si riesce più a staccare (come in pratica risulta essere anche il romanzo stesso).

Page 10: David Foster Wallace e la matematica

Comunque, nella dicotomia della letteratura (quella "impegnata", incomunicabile, moderna/post-moderna vs. quell'altra, quella commerciale e spesso veramente divertente) DFW non vuole scegliere, ma vuole andare oltre. Ma per farlo deve cercare di capire, di comprendere queste due dimensioni. E quindi il divertimento è uno scopo della letteratura, ma non deve diventare lo scopo, è sempre un mezzo per comunicare con il lettore e spingerlo ad agire (alcuni "misteri" del romanzo, sono in realtà solo dei "mezzi" per spingerci a continuare a leggere compulsivamente le sue pagine per cercare di chiarirli). E il virtuosismo narrativo, a volte anche parodizzato (specie nelle opere più giovanili di DFW), qui viene piegato allo scopo di cercare un significato. Insomma, tutte le dipendenze nascono proprio come divertimenti di cui non riusciamo più a fare a meno.

c) Alcuni riferimenti (molto incompleti)

L'Amleto, richiamato fin dal titolo (citazione di un verso detto da Amleto sulla tomba di Yorick15, e ricordiamo che una delle produzioni di J. O. Incandenza era la Poor Yorick), con la ricerca dell'identità del protagonista, la misteriosa scoperta della morte del padre, la presenza, inizialmente poco avvertita, ma poi insistente, e forse più importante di quanto non sembri ad una prima lettura, del fantasma dello stesso padre. L'Ulisse di Joyce (ma anche Dedalus). Ma anche, secondo molti critici, "Fuoco Pallido" di Nabokov (di cui i vari livelli testuali e la dubbia credibilità in alcuni punti del narratore, nonché l'esteso sistema di note vengono ripresi). Le Perizie di Gaddis. E poi, I fratelli Karamazov, End Zone e Ratner's Star di DeLillo, Il bacio della donna ragno di Puig e poi Borges, ovviamente.

15 Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio; a fellow of infinite jest, of most excellent fancy. (Ahimè, povero Yorick!...Quest'uomo io l'ho conosciuto, Orazio, un giovanotto d'arguzia infinita e d'una fantasia impareggiabile).

Figura 7: Infographic con la struttura principale di Infinite Jest.

Page 11: David Foster Wallace e la matematica

5) Strutture e forme: la matematica dell'infinito in Infinite Jest.

Quando si legge IJ, la prima difficoltà che si incontra è di capire come sia organizzata la storia. Lo scorrere del tempo non è lineare, vi sono salti, cambiamenti di punti vista, di luogo, di linguaggio, alcune importanti omissioni. Il tutto sembra organizzato in modo non casuale (nonostante l'opinione di alcuni critici della prima ora), ma sicuramente misterioso. Per cui è naturale chiedersi con che criterio queste cose siano state decise dall'autore. Certo, potrebbe averlo fatto a occhio, senza regole precise. Ma allora perché tanti, tra lettori e critici, continuano a osservare le molte simmetrie del testo ed altre evidenti tracce di una struttura organizzata?

A questo in parte risponde lo stesso Wallace in una famosa intervista del 199616. L'intervistatore, Michel Silverblatt, dice di aver osservato che il libro sembra essere organizzato come un frattale, ossia un oggetto matematico che presenta la stessa struttura su diverse scale. Un certo argomento appare in una prima forma, poi appaiono tanti altri argomenti e quindi il primo argomento ritorna in una seconda forma più grande che contiene la prima e così via. Wallace a questo punto, e in modo abbastanza sorprendente per qualsiasi lettore medio, prova a darci una prima pista: “È proprio una delle cose su cui si basa il romanzo. È in effetti strutturato come una cosa che si chiama triangolo di Sierpinski, un tipo primitivo di frattale piramidale17.”

Per cercare di digerire questa frase, cominciamo con il chiarire cosa sia un triangolo di Sierpinski. Si parte con un triangolo equilatero e si elimina un triangolo centrale con i vertici posti sul punto medio di ogni lato. Questo ci lascia con 3 triangoli pieni e 1 vuoto. Per ognuno dei triangoli pieni si ripete questa operazione, e poi si procede ancora allo stesso modo sui nuovi triangolini. Il triangolo di Sierpinski è il limite di questa procedura ripetuta un numero infinito di volte e viene citato esplicitamente in IJ a p. 254, sul muro della camera del protagonista Hal, dove ce n'è uno enorme disegnato a mano.

Probabilmente non bisogna prendere quanto detto da Wallace solo in modo indicativo. Infatti subito dopo nella stessa intervista, ripondendo a Silverblatt che che gli chiedeva se c'erano degli schemi prefissati o la struttura era cresciuta strada facendo, Wallace dice: “C'era un poster del triangolo di Sierpinski che avevo fin da quando ero un ragazzino e che mi piace proprio perché è bello. Penso che scrivere sia una combinazione di... c'e' un sacco di sofisticazione e un sacco di ingenuità nel farlo. E molte cose sono di pancia e 'questo sembra vero/questo no; questo suona giusto, questo no', ed è solo quando ti trovi a metà strada che cominci a veder emergere una qualche struttura. E allora il grande incubo è che tu sia il solo a vederla e sia un casino per tutti gli altri.” E più in là, parlando delle prime 400 pagine del romanzo, Wallace dice, sottolineando il carattere non programmato e misterioso (anche per lui) del romanzo: “sembrava come un cristallo che si fosse staccato da una grande altezza”.

16 Il cui testo integrale si trova qui: http://web.archive.org/web/20040606041906/www.andbutso.com/~mark/bookworm96/

17 La frase completa finisce così: “Although what was structured as a Sierpinski Gasket was the first- was the draft that I delivered to Michael in '94, and it went through some I think 'mercy cuts', so it's probably kind of a lopsided Sierpinski Gasket now. But it's interesting, that's one of the structural ways that it's supposed to kind of come together.”

Figura 8: Costruzione del triangolo di Sierpinski.

Page 12: David Foster Wallace e la matematica

Insomma, sicuramente Wallace aveva un sacco di cose da dire – sull'intrattenimento(=le cazzate che ci stordiscono, la pubblicità, il guardare cose che ci “divertono”, ma nel senso di vertere altrove la nostra attenzione per non farci pensare e non farci sentire l'angoscia della nostra vita da soli), su come si passa la vita, il tennis, la cultura accademica, le sostanze e le cose che danno dipendenza, la depressione, la tecnologia e i rifiuti. Sulla politica, l'arte e la comunicazione. E soprattutto sulla solitudine, l'infelicità, la tristezza, sulla difficoltà di provare sentimenti veri e la difficoltà di esprimerli, sulla sincerità. Sul pericolo del "sentimentalismo" e l'uso che facciamo degli altri. Sul pericolo di essere degli intellettuali vuoti, incapaci di comunicare. E molto aveva da mettere, in modo opportunamente rielaborato, sulla propria

esperienza biografica. E aveva bisogno che tutto questo “materiale” fosse in qualche modo organizzato,

È indubbio che il problema di come sostenere la struttura complessiva del romanzo gli fosse molto chiaro. Aveva assorbito in qualche modo l'esperienza dell'Oulipo18, e in particolare il romanzo “W ou le souvenir d'enfance” di Perec ha alcune cose in comune con IJ (a partire dall'idea di una struttura per giovani atleti). Anche se non ci si aspetta la struttura rigidamente organizzata che ritroviamo nel Calvino del Castello dei destini incrociati o nella “Vie, mode d'emploi” di Perec19, si vede nell'archivio Ransom di Austin, Texas, dove sono conservati una parte degli archivi di Wallace, che era un lettore attento dell'opera di DeLillo e della relativa letteratura critica. E in primo luogo il saggio “In the loop” di LeClair, in cui le considerazioni di struttura sulle opere di DeLillo sono articolate e ben argomentate, tra l'altro proprio su quei romanzi, come “End Zone” e “Ratner's Star”20, che maggiormente hanno influenzato IJ. E inoltre la grande influenza di scrittori per cui la struttura stessa del romanzo era

18 http://www.slantmagazine.com/house/2009/04/looking-for-one-new-value-but-nothing-comes-my-way-an-interview-with-film-critic-glenn-kenny-about-david-foster-wallace/

19 Perec viene evocato nel libro con un personaggio, Luria P---, che in realtà, si viene a sapere en passant, porta il suo cognome. Per un lettore matematico alla ricerca di strutture complesse, ma ben organizzate della narrazione, “La vie, mode d’emploi” di Perec offre un modello difficilmente raggiungibile. Scrive infatti lo stesso Perec, dopo la pubblicazione del libro: « Il aurait été fastidieux de décrire l'immeuble étage par étage et appartement par appartement. Mais la succession des chapitres ne pouvait pour autant être laissée au seul hasard. J'ai donc décidé d'appliquer un principe dérivé d'un vieux problème bien connu des amateurs d'échecs : la polygraphie du cavalier : il s'agit de faire parcourir à un cheval les 64 cases de l'échiquier sans jamais s'arrêter plus d'une fois sur la même case. Il existe des milliers de solutions dont certaines, telles celle d'Euler, forment de surcroît des carrés magiques. Dans le cas particulier de La Vie mode d'emploi, il fallait trouver une solution pour un échiquier de 10 X 10. J'y suis parvenu par tâtonnements, d'une manière plutôt miraculeuse. La division du livre en six parties provient du même principe : chaque fois que le cheval est passé par les quatre bords du carré, commence une nouvelle partie. On remarquera cependant que le livre n'a pas 100 chapitres, mais 99. La petite fille de la page 295 et de la page 394 en est seule responsable. » (extrait de G. Perec, «Quatre figures pour La Vie mode d'emploi », L'Arc n° 76, 1979).

20 Per esempio Ratner's Star ha chiaramente una struttura simmetrica speculare come di un boomerang orizzontale, che DeLillo chiama il twilligon stellato, ed è la principale struttura geometrica inventata dal protagonista del romanzo.

Figura 9: La poligrafia del cavaliere, schema alla base del romanzo "La vie mode d'emploi" di Perec.

Figura 10: Wallace nel periodo della scrittura di Infinite Jest, con alle spalle un volume di opere di Nabokov.

Page 13: David Foster Wallace e la matematica

fondamentale come Nabokov, che diceva di immaginare tutto il romanzi prima di mettersi a scrivere e di dover poi soltanto riempire le caselle del “cruciverba”, o Cortázar. E poi, nella stessa intervista, a Silverblatt che gli chiede se questa struttura è fatta per essere scoperta, risponde: “da giovane avrei giocato all'infinito questo tipo di giochi strutturali che, mi sembra, in retrospettiva, fossero principalmente solo per me stesso; Non mi importa molto. Cioè, IJ cerca di essere un sacco di cose diverse allo stesso tempo, e non mi cambia molto se qualcuno – ossia mi aspetterei che qualcuno che sia un matematico o un logico, fosse interessato in qualcuna delle strutture frattali che vi si trovano. Per me – voglio dire, un sacco delle motivazioni riguardano il fatto che così tanto della vita americana di fine millennio consiste in una grande quantità di cose come pezzi discreti di informazione che ci arrivano, e che la vera avventura intellettuale è di trovare il modo di connetterli tra loro e trovare più grandi forme e significati, che è una cosa essenzialmente narrativa, ma che strutturalmente è una cosa abbastanza differente. (…). Insomma, per fare qualche cosa di così lungo, una buona parte della parte strutturale è per me, sono come dei chiodi per arrampicarsi su di una parete rocciosa.. È un modo per me di orientarmi e impegnarmi e poterci passare attraverso. Non credo di voler imporre strane strutture al lettore come avrei fatto dieci anni fa.”

Insomma, un disegno c'è, ma non è fatto per essere visto, e soprattutto non deve nascondere quelli che Wallace considera i veri temi espliciti del romanzo. Probabilmente questo disegno è emerso strada facendo. Wallace ha tirato fuori tante cose che aveva dentro, interi capitoli, personaggi, un futuro prossimo, la dipendenza, gli abusi, le storie che aveva vissuto (il ricovero che aveva subito in una casa di recupero, l'esperienza del tennis, la mamma esperta di grammatica), ha raccolto insomma “il cristallo caduto” e poi ha cominciato a riorganizzare il tutto, riconoscendo e a classificando all'interno di questa materia caotica, delle forme, dei ritmi, delle simmetrie. E per farlo sembra che in parte si sia servito di regole e strutture “matematiche”, magari poi violandole immediatamente dopo. Partiamo quindi dalla struttura frattale, ma non rigida e ben definita, e magari un po' sbilenca. Per esempio la struttura familiare incestuosa tipica dell'Amleto, ripetuta nella famiglia Incandenza, ma in tanti altri episodi grandi e piccoli21. O il tema dei rifiuti, su scala ecologica, e anche sul piano più prosaicamente scatologico. Il tema della dipendenza, declinato a tutti i possibili livelli, dalla droga, all'alcol, all'intelligenza, alla bellezza, alla fama sportiva. E poi i tanti “buchi” nella narrazione che riflettono la caratteristica principale del triangolo di Sierpinski, ossia la rimozione sistematica di una parte della struttura, fino ad arrivare a un insieme di misura (bidimensionale) uguale a zero22: alla fine della procedura, all'infinito, abbiamo tolto quasi tutto, ma quello che rimane non è il nulla, e anzi la cornice, diventata infinitamente sottile (e infinitamente lunga), è un oggetto complesso e potenzialmente inesauribile da percorrere: la linea narrativa che cerca di riempire lo spazio, come fosse una curva di Peano, ma in qualche modo rimane sempre in un'altra dimensione. E in IJ l'ambizione è proprio quella di parlare di cose vere, cercando di dire il meno possibile23, ma alludendo infinitamente a tutto il resto, catturando il lettore nelle sue pieghe, e rimandandolo sempre a eventi che succedono al di fuori del libro. In questo quadro, una cosa che colpisce un lettore matematico, è come questa struttura sia a sua volta palesemente formata da motivi basati su svariate forme matematiche. Per esempio, come osservato da Greg Carlisle24, il testo presenta numerose strutture “illimitate/infinite” (per esempio la partita di Eschaton, o lo scontro tra Gately e i canadesi, ma anche su scala più piccola la stasi di Erdedy o il finale del racconto di Jim senior) in cui alcuni eventi sono presentati in modo da aumentare la loro

21 da Clenette, alla famiglia Pemulis, alla storia della maschera di Raquel Welch, e infine adombrata nella famiglia di Joelle.

22 In realtà il triangolo di Sierpinski è un insieme di dimensione frattale uguale a ln(3)/ln(2), circa 1,584, ossia un'area nulla come superficie e una lunghezza infinita come curva.

23 Che può sembrare un paradosso per un romanzo che, note comprese, in italiano fa 1281 pagine...24 G. Carlisle, Wallace's Infinite fiction, Sonora review 55, 2009, p.33-37.

Page 14: David Foster Wallace e la matematica

intensità in modo potenzialmente infinito, ma non risolti nel testo, creando cosi una condizione che Wallace stesso chiama di “stasi caotica” (IJ, n. 61). All'avvicinarsi del momento di climax, sempre più dettagli vengono presi in considerazione, e la narrazione deve interrompersi, come se fossimo in presenza di un'asintoto verticale di una funzione illimitata, per permettere al racconto di procedere. Abbiamo già incontrato una descrizione di questo tipo di intensità nel brano sul tennis infinito in “Tornado...”. In IJ, Wallace riprende la stessa idea, sempre parlando di tennis, ma questa volta in modo più vasto e meno parodistico, quasi ad enunciare una poetica dell'espansione intensiva: “Gli sembrava intuitivamente di sentire che non era per niente un problema di riduzione, ma – perversamente – di espansione, il fremito aleatorio della crescita incontrollata e metastatica – ogni palla colpita bene ammette n possibili risposte, n2 risposte possibili a queste risposte, e così via in quello che Incandenza avrebbe definito per chi avesse condiviso entrambe le sue aree di competenza, come un continuo cantoriano di infinità di possibili mosse e risposte, cantoriano e bello perché stratificato, contenuto, questa infinità bigenerata di infinità di scelta ed esecuzione, matematicamente incontrollata, ma umanamente contenuta, delimitata dal talento e dall'immaginazione di se stessi e dell'avversario, ripiegata su se stessa dalle frontiere date dall'abilità e dall'immaginazione che alla fine fanno perdere uno dei giocatori, e impediscono a entrambi di vincere, che creano, alla fine, un gioco, queste frontiere del sé” (IJ, p.97). Trasposto nella scrittura, l'avversario siamo noi, i lettore, che reagiamo e interagiamo infinitamente con il testo che viene proposto. Da questa dialettica, dalle frontiere del testo, nasce il gioco, il romanzo che vive in ognuno di noi. Ma non finisce qui. Oltre alle strutture infinite, il matematico (e non solo lui) non riesce a non vedere che ci sono tante parole chiave di carattere matematico che ritornano e sembrano alludere a altre e anche più consistenti scelte strutturali, sempre nello stesso stile frattale. La nota 3, richiamata a p. 60, ci informa quasi subito della grande importanza che sembrano rivestire le curve algebriche, parlando del fatto che la scuola di tennis era strutturata in forma di cardioide (come un “cuoricino di San Valentino”) ed era stata progettata dal“topologo Übermensch-delle-applicazioni-sulle-curve-chiuse di fama mondiale A.Y. ('Campo-Vettoriale') Rickey della Brandeis Univ., ora deceduto...” (IJ, n. 3). Più avanti nel romanzo incontriamo uno scritto autobiografico del padre di Hal, il defunto James O. Incandenza. Ancora adolescente, una volta Incandenza padre aveva rotto per sbaglio il pomello della porta di camera sua che aveva cominciato a roteare in modo strano, seguendo una curva che somigliava ad una cicloide (anche se in realtà quella descritta nel testo è un'ipocicloide...). Il ricordo finisce con questa frase: “Così avvenne che mi interessai per la prima volta nelle possibilità dell'anulazione”. L'anulazione è un processo circolare (anulare) in cui i rifiuti permettono di creare nuova energia in modo inesauribile, ed è alla base della società di IJ, e Incandenza ha contribuito ad inventarla. Non è molto chiaro cosa c'entri la cicloide, che in particolare non è una curva chiusa, anche se è generata dalla rotazione di un cerchio. La cosa diventa più chiara se si considera che uno dei romanzi a cui maggiormente si ispira IJ, è “Ratner's star” di Don DeLillo. In questo libro, di cui si conserva nell'archivio Wallace una copia fittamente annotata, e che è pieno zeppo di matematica, anzi è scritto esplorando le possibilità narrative del linguaggio matematico, un ragazzo di 14 anni, Billy, matematico prodigio, viene condotto in un Istituto di ricerca isolato a forma di cicloide per risolvere problemi di importanza mondiale. La frase di Incandenza può quindi essere letta come una riflessione

Figura 11: La struttura a forma di cardioide dell'E.T.A., tratta dal libro "The Elegant Complexity"

Page 15: David Foster Wallace e la matematica

autobiografica di Wallace che, leggendo il romanzo di DeLillo, per la prima volta si rende conto della possibilità di scrivere un romanzo dove le forme siano legate al contenuto, basato questa volta sulla circolarità e la ripetizione autorefereziale. Ellissi, lemniscate, cardiodi e anche curve che si chiudono all'infinito. Di questo si accorse immediatamente uno studente di letteratura, Chris Hager, che lesse IJ praticamente al momento della sua pubblicazione all'inizio del 1996, e lo scelse come soggetto della sua tesi di Laurea25, avendo la fortuna di poter corrispondere in modo diretto con Wallace. Hager si accorse subito che Infinite Jest presenta una struttura abbastanza simmetrica. Per esempio, a pagina 300 un personaggio, Tony Krause, ha un crisi di astinenza mentre è in metropolitana, e a 300 pagine dalla fine lo ritroviamo che scappa dopo aver scippato una borsa. In una delle prime pagine Hal ricorda di aver scavato con Gately nella tomba di suo padre, e in una delle ultime pagine, l'altro protagonista, Gately, sogna la stessa scena, ma leggermente cambiata. Supportato da altre parti del testo26, Hager azzarda una prima congettura: IJ è un romanzo strutturato come una parabola, il cui culmine è dato dalla scena centrale del romanzo, in cui un personaggio muto, Lucien Antitoi(=l'opposto di me), muore e improvvisamente parla tutte le lingue del mondo. All'opposto, ossia tra l'inizio e la fine del romanzo, il protagonista Hal, la prinicipale incarnazione di Wallace, perde la parola e non riesce più a farsi capire. Questa parabola focalizza tutta l'energia delle varie situazioni verso l'infinito da cui noi lo osserviamo. Wallace, scrivendo ad Hager, dice che IJ era basata su quattro progetti e che Hager ne ha scoperti almeno uno e mezzo. Ma non dice se la storia della parabola sia giusta o meno. Certo, di materiale per fare congetture sulla struttura di IJ ce ne sarebbe tanto, a partire dal tema delle cose circolari, anulari, la anulazione, i cerchi, le ellissi27. E c'è anche la circolarità di parti di romanzo, come la filmografia di Incandenza padre, che descrivono brevemente intere scene che avvengono in altri parti.

Per cui, proprio come in una ricerca matematica, e senza la pretesa di leggere nel pensiero di Wallace, possiamo cominciare a provare a fare qualche nuova congettura, per vedere se si tiene in piedi oppure no, e soprattutto se aggiunge qualche cosa alla lettura stessa del romanzo. D'altra parte, proprio questa struttura aperta e mutilata, ci spinge a cercare di riempire i vuoti, elaborando, anche nostro malgrado, delle spiegazioni personali. Proprio il lavoro che Wallace esigeva dai suoi lettori. Per cominciare, si potrebbe mettere in evidenza un'altra curva, l'iperbole, la conica finora mancante, che sembra invece avere qualche connessione non banale con l'infinito e la struttura complessiva di IJ. In fondo abbiamo già visto in “Tennis, trigonometria e tornado”, che Wallace era un amante delle funzioni iperboliche. Anche in questo caso l'iperbole è strettamente connessa con la figura retorica legata all'esagerazione. In IJ questo termine appare una sola volta in una conversazione tra gli studenti dell'ETA dopo un allenamento particolarmente duro a p.119.“Sono finito. Spompato a sangue”. “Fottutamente spompato, piuttosto”. “Prosciugato. Stroncato. Stremato. Più morto che vivo”. “Non ci vanno nemmeno vicino, le parole”. “Inflazione di parole,” dice Stice “Più grande e migliore. Molto più grande, il più grande, il più totalmente eccellente. Iperbolico e ancora più iperbolico. Come un'inflazione di livelli”. (…).Hal guarda Stice alzando le sopracciglie e sorride. “Più iperbolico?”“Mio padre da ragazzo avrebbe detto che “stremato” andava bene”.

25 Chris Hager's Thesis. On Speculation: Infinite Jest and American Fiction After Postmodernism. http://www.thehowlingfantods.com/thesisb.htm26 “Le spettacolari catapulte lunghe come un isolato che fanno un rumore come di un gigantesco piede che sbatte a

terra quando fanno volare i grandi veicoli dei rifiuti legati insieme nella regione subanulare della Grande Concavità ad un'altezza parabolica di oltre 5 Km”. IJ, p 288. “Una grande chiesa del colore del cemento fresco, con abbondanza di vetro (…), una forma parabolica di cemento che si gonfiava e si alzava come un'onda”. IJ, p. 1144.

27 “Due aerei privati volano in ellissi pigre proprio sotto la cappa di nuvole” IJ, p. 745.

Page 16: David Foster Wallace e la matematica

“Mentre noi siamo seduti qui e abbiamo bisogno di nuove parole e nuovi termini”.Wallace affronta ancora una volta, direttamente, il problema della comunicazione tra umani nel nostro tempo e anche del bisogno di nuove modalità per esprimere i soliti vecchi sentimenti. E per fare questo ritiene non si possano usare le vecchie forme, oramai svuotate dall'uso. È invece necessario usare tutto l'armamentario sperimentale, esagerare oltre ogni limite, fare in poche parole delle iperboli ancora più iperboliche. E queste iperboli non sono soltanto delle iperboli retoriche, ma potrebbero essere prese alla lettera per capire la composizione strutturale di IJ. Ricordiamo intanto com'è fatta un'iperbole. Abbiamo due rami separati che vanno verso l'infinito. Questi rami si avvicinano verso l'origine e c'è una doppia simmetria verticale e orizzontale. Queste ragioni candidano l'iperbole ad essere un'ottima rappresentazione della struttura globale di IJ. Abbiamo due protagonisti Hal e Gately, che sono le due proiezioni estreme di Wallace:

Hal è il giovane intellettuale supersofisticato, con una memoria prodigiosa, dedito alla grammatica e al tennis, che si interessa all'erotismo bizantino e al vocabolario; D. W. Gately (notare che le vere iniziali di Wallace erano D.W., la F fu aggiunta per motivi editoriali) è grosso come Wallace e come lui si trova verso i 30 anni in una casa di recupero. Insomma sono Wallace prima e dopo la crisi. Abitano vicino, a poche centinaia di metri di distanza, ma nel testo le loro strade non si incontrano mai. La doppia simmetria è sia nella struttura del libro (la prima parte rispecchia la seconda, a volte in modo puntuale, come già osservato da Hager) che nelle loro vite (l'ascesa e caduta di Hal, e la caduta e la successiva ascesa di Gately). I fuochi di questa iperbole sono rispettivamente la partita di Eschaton per Hal, situato a circa un terzo del romanzo, che è il primo momento di crisi, e lo scontro con i canadesi, che vede protagonista Gately, a due terzi circa, che è il secondo momento di crisi. I due rami di iperbole, come i due protagonisti, da qualche parte al di fuori del nostro orizzonte finiscono per incontrarsi. Hal e Gately si incontrano in un tempo indeterminato, forse onirico, che viene indicato nel testo da alcuni passaggi misteriosi. Questa interpretazione potrebbe sembrare fantasiosa (e forse lo è). Ma leggiamo cosa risponde a un intervistatore che gli chiede come finisce IJ (Live Online with David Foster Wallace, May 17, 1996):

Herb: Non c'è “finale” in un “Libro Infinito” perché non ci può essere? O era solamente stanco di scriverlo?

DFW: Per quanto mi riguarda un finale c'è. Si può ritenere che un certo tipo di linee parallele cominci a convergere in modo tale che una “fine” possa essere proiettata dal lettore da qualche parte al di là della struttura data. Se non vi capita di provare questa convergenza o proiezione, allora il libro non avrà funzionato per voi.

Figura 12: L'iperbole equilatera.

Page 17: David Foster Wallace e la matematica

Però la cosa non finisce qui e c'è un'altra congettura che viene fuori ad una più attenta lettura. Per prima cosa dobbiamo partire dal presupposto che Wallace voglia dire delle cose abbastanza precise, ma per dirle meglio pensa sia necessario mischiare le carte proprio per catturare l'attenzione del lettore, che una volta preso dal meccanismo del libro sarà costretto ad attivarsi, a giocare insomma la sua partita, riconnettendo le diverse parti della narrazione che sono state separate in modo non casuale. Il testo è seminato di indizi e rimandi, che oltre ad avere un significato proprio, spesso agiscono come mezzi narrativi per spingere il lettore ad andare avanti. In questo libro, dove l'infinito è onnipresente a partire dal titolo, quello che sembra mancare è proprio il simbolo dell'infinito, quell'8 rovesciato che abbiamo imparato a conoscere a scuola. Utilizzato per la prima volta da John Wallis nel 1655, è descritto da una curva di incerta paternità28 chiamata Lemniscata. A questa curva Wallace dedica abbastanza spazio nel suo libro sull'infinito, enunciandone proprietà geometriche e analitiche. Nel racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano” del 1941, Borges scrive: “In un indovinello sulla 'scacchiera', qual è l'unica parola proibita?" Riflettei un momento e risposi: “La parola scacchiera.” (…). Omettere sempre una parola, ricorrere a metafore maldestre e a perifrasi evidenti, è questo il modo più enfatico di indicarla.” Ora, come nell'indovinello di cui parla Borges29, il simbolo dell’infinito non è mai citato nel testo vero e proprio30, anche se non è difficile trovare le maldestre metafore e perifrasi della citazione. La prima è a p. 55 dove, parlando di una delle tante donne di Orin, leggiamo:“Non era proprio un genio – pensava che la figura che lui tracciava sul suo fianco nudo dopo il sesso fosse il numerale 8, per dare un'idea.” Di nuovo, a p. 346, abbiamo un riferimento sempre vagamente mascherato:“Orin Incandenza, che (…) aveva dei problemi di dipendenza dalla sessualità, ha già tracciato pigramente dei piccoli 8 di traverso sui fianchi postcoitali di una dozzina di studentesse”. Più esplicitamente la n. 307 (una delle ultime, per chi vi fosse arrivato!) riporta: "... questa è una delle uniche due volta in cui Orin si è percepito come rimorchiato, l'altra volta essendo quella con la modella svizzera di manicure, sul cui fianco nudo ha tracciato furiosamente i segni dell'infinito durante le assenze del Soggetto di Moment31”. Insomma, è come se Wallace volesse attirare l'attenzione su questo simbolo, per cui in E&M mostrerà di avere una vera passione (lo userà quasi sempre al posto della parola 'infinito')32. La lemniscata è infatti legata strettamente al concetto di “loop”, di passaggio infinito nello stesso punto, essendo una sorta di proiezione monodimensionale del nastro di Moebius. E tutti quelli che leggono IJ fino in fondo sanno

28 C'è chi dice Cassini nel 1680, chi Bernoulli qualche anno dopo.29 Più ci penso e più mi sembra inevitabile che la lettura di Borges abbia influenzato Wallace. IJ somiglia in molti modi al

romanzo del cinese Ts'ui Pên descritto nel racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”. Wallace era tra l'altro un grande ammiratore di Borges. Vedi D.F. Wallace, Borges on the couch, The New York Times, 7 November, 2004, http://www.nytimes.com/2004/11/07/books/review/07WALLACE.html (da cui si apprende che Wallace ha letto dei labirinti di Borges quando aveva 12 anni, sic!).

30 In realtà questa affermazione è dovuta a Julian Sanchez nel suo articolo “The Garden of Looping Paths" http://asupposedlyfunblog.wordpress.com/2009/07/15/the-garden-of-looping-paths/ .

31 Orin, un'ennesima proiezione di Wallace, è un personaggio triste e angosciato. Vive la sessualità in modo disperato e “riesce solo a dare piacere, mai a riceverne”. Solo dopo l'atto ha un attimo di sollievo e traccia inconsciamente questo simbolo, forse per vezzo, forse a significare la ripetitività di questo incrocio di corpi. Forse solo per indicare a noi cosa guardare.

32 Senza contare i nastri di Moebius della n. 24: “Möbius Strips. Year of the Whopper. Lactrodectus Mactans Productions. 'Hugh G. Rection,' Pam Heath, 'Bunny Day,' 'Taffy Appel'; 35 mm.; 109 minutes; black and white; sound. Pornography-parody, possible parodic homage to Fosse's All That Jazz, in which a theoretical physicist ('Rection'), who can only achieve creative mathematical insight during coitus, conceives of Death as a lethally beautiful woman (Heath). INTERLACE TELENT FEATURE CARTRIDGE #357-65-32 (Y.W.)”

Figura 13: Il simbolo dell'infinito, la lemniscata di Bernoulli.

Page 18: David Foster Wallace e la matematica

che la prima cosa che si fa quando si è finito è quella di ricominciarlo. L’inizio e la fine sono strettamente collegati, anche se nella seconda lettura tutto assume un significato diverso, come se fossimo sull’altra faccia del nastro di Moebius. Allora, forse questo romanzo ha la forma “infinita” di un nastro di Moebius (ma dove sarebbe l'intersezione?).

Ecco allora un'altro elemento. Stephen Burn, a p.47 della sua guida alla lettura di IJ33, fa notare che la prima delle due crisi che avvengono in IJ, quella che si svolge durante la partita di Eschaton e sta nel primo “fuoco” dell'iperbole, avviene l'8 novembre, e questa data è l'anniversario della scoperta dei raggi X da parte di Rontgen. E i raggi X sono ricordati esplicitamente in ben due situazioni che avvengono in quella data: se ne parla durante la partita di Eschaton e poi compaiono in riferimento dei fraudolenti occhiali a raggi X venduti dai fratelli Antitoi. Secondo Burn, la data in cui abbiamo potuto cominciare a guardare al nostro interno è richiamata nel testo, nel momento in cui cominciamo a guardare all'interno dei personaggi. La cosa interessante è che, partendo da questa osservazione e cercando meglio, di X nel testo ce ne sono veramente tante. Xmas per indicare il Natale, X per l'Ecstasy, l'incognita matematica X, il curioso neologismo “Xing” (Xare) per indicare i rapporti sessuali. E ce ne sono almeno un'altra ventina che non si spiegano se non con la volontà di lasciare una traccia. Per esempio a p.3, prima pagina del romanzo, troviamo: “Le mie dita sono intrecciate e mi appaiono come la lettera X vista in una serie di specchi”. Oppure a pagina 21: “Egli sedeva e pensava e aspettava nella X irregolare formata dalla luce che passava attraverso due diverse finestre”. E anche verso la fine: “Una delle ragazze della colazione aveva detto che c'erano state delle scope sul muro, in una X di scope, spuntate dal nulla, sul muro.”

La lettera X ha un significato molteplice. Da un parte è l'incognita, la cosa da trovare, la crocetta sulla mappa del tesoro che indica dove scavare. Però, come dice Burn, è anche la lettera che indica i raggi che creano, alla fine dell'800, una rivoluzione medica, ma anche artistica e filosofica. Scrive L.D. Henderson34, i raggi X “stabiliscono chiaramente l'inadeguatezza della percezione sensoriale umana e pongono alcuni problemi fondamentali sulla sostanza delle cose e la realtà che erano metafisici prima che scientifici. (…). Questo relativismo della percezione ispirò tra l'altro artisti come Duchamps e Picasso che cercarono di rappresentare una realtà invisibile e immateriale nelle loro opere; di vedere il non-visto.” Inoltre la X è il simbolo del chiasmo, quella figura retorica basata sull'incrocio di due diversi temi, largamente usata in tutta la storia della poesia e anche recentemente da Joyce. E anche qui abbiamo l'incrociarsi, o meglio il contrapporsi, di due storie diverse, quella di Hal e di Gately, che vengono alternate in modo abbastanza regolare nel corso della narrazione. Questa congettura non sarebbe necessariamente in contrasto con le precedenti, le simmetrie restano, l'incrocio richiama la parte centrale della lemniscata, e inoltre si aggiunge l'elemento di visione dell'interno che è chiaramente intenzionale (c'è anche una scena di un ragazzo, il povero Fenton, che subisce una P.E.T. Scan piuttosto terrorizzante, e dall'olografia agli specchi, passando per il mito di Medusa, la visione ha un posto importante nel romanzo).

Facciamo un altro passaggio. Come osservato da Stefano Bartezzaghi35, una delle parole chiave di IJ è la parola “map”, mappa, ma anche rappresentazione cartografica, funzione, applicazione. Wallace la usa spesso al posto di “vita”, in frasi tipo: “sradicare la propria mappa”, “cancellare la mappa”, per suicidarsi o uccidere. L'individuo come una mappa del mondo, un riflesso di quel territorio esterno che ci viene trasmesso. I problemi cominciano quando la mappa e il territorio, la rappresentazione e la realtà si confondono. Per un anedonico come Hal, il depresso che non prova piacere, il mondo diventa allora una mappa del mondo. A un personaggio che ingerisce una sostanza particolarmente tossica, per

33 Stephen J. Burn, David Foster Wallace's Infinite Jest, Continuum Contemporaries, 2003.34 Linda Dalrymple Henderson. "X-rays and the Quest for Invisible Reality in the Art of Kupka, Duchamp, and the

Cubists." Art-Journal 47 (1988): 323-40.35 Stefano Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi 2010.

Page 19: David Foster Wallace e la matematica

molte settimane il cielo appare una piatta e fredda griglia squadrata euclidea con gli assi neri e una rete sottile come un filo che crea una griglia di coordinate. E lo scatenamento della crisi di Eschaton avviene a causa della confusione che si crea tra mappa e territorio nel momento in cui comincia a nevicare: “It's snowing on the goddamn map, not the territory, you dick!” urla disperato Pemulis.

Ma se noi siamo rappresentazioni del mondo, cosa succede quando la mappa e il mondo si scambiano di posto? E se invece il mondo di IJ non fosse altro che il prodotto di questo scambio tra la mente e il mondo? Il mondo, inteso come sostanze psicotrope, alcol, abusi, ma anche disciplina, educazione, tragedie, entra dentro molti dei personaggi del libro e diventa la loro mente e il loro corpo, insomma diventa la loro mappa. Quando le cose vanno male il mondo diventa una mappa.

Ma il dentro, quella che era la mappa, in IJ è diventato il mondo. La scuola è a forma di cuore/cardioide, il pallone per giocare d'inverno è chiamato “polmone”; il palazzo dell'unione degli studenti, progettato dallo stesso architetto topologo che ha disegnato la scuola, è un'enorme cortecca cerebrale. E durante la giornata avvengono alcune evacuazioni di rifiuti, che vengono lanciati nella vicina concavità. È come se Wallace avvesse messo fuori tutto se stesso, a cominciare dal suo corpo, avesse insomma

tirato fuori la sua propria mappa. E infatti ogni personaggio a ben guardare, è in qualche modo una proiezione esterna del mondo dei suoi ricordi. Hal e Gately, abbiamo detto, ma anche la mamma di Hal, i fratelli Orin e Mario, l'amico Marlon Bain. E questo scambio tra interno ed esterno avviene anche per Hal. Nel corso del romanzo sappiamo che Hal, nonostante sia uno studente geniale e un ottimo tennista di livello continentale, sa di essere vuoto al suo interno e di non provare nessun vero sentimento. Nella fine cronologica della storia, che viene descritta nel primo capitolo, Hal si ritrova tutto completamente dentro se stesso: “I'm in here”dice Hal nel terzo paragrafo del libro. Nel dialogare con noi è completamente lucido, ma incapace di comunicare con l'esterno. Il suo corpo ha mantenuto l'abilità, oramai automatizzata, di giocare a tennis. Anzi, grazie alla sconnessione con la parte pensante, Hal è immune dalle debolezze che prima lo caratterizzavano. Ma è come se il mondo esterno, e noi con lui, fosse entrato dentro di lui diventando di fatto la sua mappa e isolandolo per sempre.

IJ sarebbe dunque il romanzo in cui l'interno diventa l'esterno e viene esibito in pubblico, il mondo diventa il mondo di Wallace insomma. E viceversa, l'esterno, che comprende in primo luogo la società americana degli anni '90 e la sua ricerca estrema e letale del divertimento, entra dentro le menti dei personaggi, nelle nostre menti, nella mente dello stesso Wallace, e ci si mostra per quello che è, solo un'altra forma di dipendenza.

Questo scambi tra interno e interno hanno un loro corrispondente matematico, che si chiama “inversione”, ed è una delle quattro trasformazioni conformi (ossia quelle che lasciano invariati gli angoli) del piano introdotte proprio da Moebius nell'800. Geometricamente si definisce l'inversione come la traformazione del piano che manda ogni cerchio di raggio R in un cerchio di raggio 1/R, lasciando quindi fermo il cerchio di raggio 1. Quello che sta dentro va fuori e viceversa. Il centro del piano, il punto 0, si scambia con l'infinito. Analiticamente si può scrivere sia in variabile complessa, come la trasformazione che manda z in 1/z, o anche in termini di variabili reali, introducendo delle nuove variabili (x', y'), definite da x'=x/(x2+y2), y'=y/(x2+y2). .

La cosa potrebbe sembrare casuale e abbastanza scollegata dalle osservazioni precedenti, fino al momento in cui non osserviamo alcune delle conseguenze di questa inversione.

Figura 14: una scacchiera e la sua inversione.

Page 20: David Foster Wallace e la matematica

La prima è che se facciamo l'inversione di una parabola, questa diventa una cardioide. La seconda è ancora più sorprendente. Facendo l’inversione di un’iperbole, la curva che troviamo è proprio la lemniscata, ossia il simbolo dell'infinito! In altri termini le varie strutture che sembrano agire come motori per la disposizione del romanzo, sono in realtà la stessa cosa. IJ sarebbe costruito proprio sul simbolo dell'infinito, che noi però vediamo stando al di fuori del modo di Wallace, come se fosse un'iperbole. Da fuori la leminiscata sembra un'iperbole, una cosa che si espande verso l'infinito in tutte le direzioni,

in un mondo in cui Hal e Gately non si incontrano mai. Insomma, lo scherzo (=jest) infinito di Wallace è stato allora quello di fare un romanzo a forma di ∞, e poi tirarlo fuori, invertirlo, proiettando di fatto all'∞ la parte mancante dell'intreccio, e lasciando poi a noi il compito, non facile, ma appassionante, di immaginare e ricostruire.

Figura 15: la cardioide e la parabola, l'una l'inversa dell'altra.

Figura 16: la lemniscata e l'iperbole, l'una l'inversa dell'altra.


Recommended