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decisione 21 settembre 1992, n. 261; Pres. Scarcella, Est. Venturini; Min. difesa (Avv. dello Stato...

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decisione 21 settembre 1992, n. 261; Pres. Scarcella, Est. Venturini; Min. difesa (Avv. dello Stato Dell'Aira) c. Iurato (Avv. Vaccaro). Annulla Tar Sicilia, sede Catania, sez. II, 13 febbraio 1992, n. 34 Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 4 (APRILE 1993), pp. 231/232-245/246 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187206 . Accessed: 25/06/2014 04:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.101 on Wed, 25 Jun 2014 04:47:12 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: decisione 21 settembre 1992, n. 261; Pres. Scarcella, Est. Venturini; Min. difesa (Avv. dello Stato Dell'Aira) c. Iurato (Avv. Vaccaro). Annulla Tar Sicilia, sede Catania, sez. II,

decisione 21 settembre 1992, n. 261; Pres. Scarcella, Est. Venturini; Min. difesa (Avv. delloStato Dell'Aira) c. Iurato (Avv. Vaccaro). Annulla Tar Sicilia, sede Catania, sez. II, 13 febbraio1992, n. 34Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 4 (APRILE 1993), pp. 231/232-245/246Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187206 .

Accessed: 25/06/2014 04:47

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PARTE TERZA

sulla frontiera tra la figura dell'amministrazione autonoma e

quella dell'ente strumentale, ma con caratteristiche tali che li

mantengono prevalentemente ancora nel quadro sistemico del

l'amministrazione autonoma. Esemplificando, non par dubbio

che il ministero dei trasporti, attraverso le gestioni governative di pubblici servizi di trasporto esercita direttamente servizi di

trasporto ferroviario, automobilistico e di navigazione lacuale.

Quanto al caso dell'Istituto centrale di statistica, a parte la defi

nizione data per esso dall'art. 1 r.d.l. 1285/29 di «istituti di

Stato con personalità giuridica e gestione autonoma» ed anche

a prescindere dal riconoscimento della natura di organo dello

Stato reso da una parte della dottrina e con qualche oscillazione dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. VI, 7 no

vembre 1975, n. 607, id., Rep. 1975, voce Impiegato dello Sta

to, n. 1202), si deve richiamare un preciso profilo normativo:

l'istituto stesso non fu compreso tra i soggetti di cui alla 1. 70/75

recante «disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del

rapporto di lavoro del personale dipendente» e ciò in quanto il legislatore riconobbe all'Istat, pur nel rispetto della sua sog

gettività autonoma, la natura di organo di Stato e quindi la

sua appartenenza alla categoria delle amministrazioni dello Sta

to. Analoghe considerazioni, allo stato attuale della legislazio ne, possono farsi per quanto concerne la qualificazione giuridi ca del Consiglio nazionale delle ricerche e delle università: sem

bra, infatti, da condividere l'opinione espressa dalla Corte dei

conti (nelle decisioni n. 2546 del 28 giugno 1975 e n. 699 del 3 giugno 1976) che il riconoscimento ad esse della personalità

giuridica non contraddice e non elimina la loro posizione di

organo nella complessità dell'apparato amministrativo statale. Per quanto concerne, infine, l'Ente ferrovie dello Stato, per il quale, peraltro, la legge istitutiva, all'art. 24, stabilisce che

continuano ad applicarsi ad esso le norme tributarie alle quali era soggetta l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato; l'Ente

autonomo cassa depositi e prestiti e l'Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, se è rilevabile che si sono oggettivamente ac centuati per essi i connotati di- atipicità rispetto al modello clas sico di amministrazione autonoma, non sembra, peraltro, che si possa con esauriente motivazione considerare come avvenuta

la trasformazione in enti dipendenti o strumentali. Ciò richiama

nuovamente l'opportunità che il sistema legislativo sia indiriz

zato ad una espressa classificazione dei soggetti in questione sotto il profilo fiscale, ogni qualvolta vengano prodotte norme di modifica fondamentale dei relativi statuti.

Venendo al 2° comma dell'art. 88, lett. b), non v'è dubbio

che il tenore letterale della disposizione («Non costituisce eserci

zio di attività commerciali l'esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici che siano isti tuiti esclusivamente a tale scopo») prevede che la medesima possa trovare applicazione soltanto nei casi nei quali le attività previ denziali, assistenziali e sanitarie costituiscano l'oggetto esclusi vo dell'attività dell'ente pubblico. Per quanto concerne la suc

cessiva lett. c) del 2° comma dell'art. 88 cit. che stabilisce che «non costituisce esercizio di attività commerciali l'esercizio di retto di servizi pubblici in regime di monopolio da parte delle

regioni, delle province, dei comuni e dei relativi consorzi», va

certamente, come ben ipotizzato nella relazione dell'amministra

zione, ricompreso nell'esercizio diretto anche quello svolto a mez zo di aziende speciali, non dotate di personalità giuridica, costi tuite in base alle disposizioni dell'art. 2 t.u. 15 ottobre 1925 n. 2578, operanti in regime di monopolio di diritto ovvero di scendente da situazioni di fatto generalizzate all'intera categoria degli enti, almeno in ambito regionale.

In conclusione, risulta evidente una duplice esigenza: a) quella di individuare esattamente tutti i soggetti per i qua

li, a norma del 1° comma dell'art. 88, non si verifica il presup posto soggettivo d'imposta;

b) quella di procedere ad una successiva classificazione di tutti

gli altri soggetti i quali, non rientrando nel novero dei precedenti, devono considerarsi esclusi in ragione dell'attività obiettivamen te svolta anche nei modi che non dà luogo, ai sensi del 2° comma dell'art. 88 cit., al verificarsi del presupposto oggettivo d'imposta.

Infine, si rende auspicabile un intervento legislativo che ri conduca ad armonia anche in forza del principio della interdi

pendenza della base imponibile voluto dal legislatore delegante del 1971, l'intero sistema tributario, predisponendo i necessari interventi di coordinamento con le vigenti norme in materia di

imposta sul valore aggiunto di cui al d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 e successive modificazioni, per il quale è in corso di redazione apposito testo unico».

Il Foro Italiano — 1993.

I

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA; decisione 21 settembre 1992, n. 261; Pres. Scancella, Est. Venturini; Min. difesa (Avv. dello Sta

to Dell'Aira) c. Iurato (Avv. Vaccaro). Annulla Tar Sici

lia, sede Catania, sez. II, 13 febbraio 1992, n. 34.

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA; decisione 21 settembre 1992, n. 261;

Leva militare — Rinvio per motivi di studio — Richiesta di par

tecipazione al corso allievi ufficiali — Chiamata alle armi —

Tardività — Esclusione — Fattispecie (L. 31 maggio 1975 n.

191, nuove norme per il servizio di leva, art. 21; 1. 11 agosto 1991 n. 269, modifiche e integrazioni agli art. 21 e 22 1. 31

maggio 1975 n. 191 e all'art. 100 d.p.r. 14 febbraio 1964 n.

237, come sostituito dall'art. 7 1. 24 dicembre 1986 n. 958, in

materia di dispensa e di rinvio del servizio di leva, art. 6).

È legittima la chiamata alle armi di chi abbia fruito del rinvio

per motivi di studio, e abbia poi presentato senza successo domanda di partecipazione al corso allievi ufficiali di com plemento, per l'incorporazione entro un anno dall'inizio del

corso stesso, anche se successiva per più di un anno dalla

cessazione di tali motivi di studio, secondo circolari e manife sti dell'autorità militare non impugnati. (1)

(1, 3) La questione sostanziale che le pronunce affrontano, trae ori

gine dalla 1. 31 maggio 1975 n. 191, il cui art. 3 prevede che i giovani siano chiamati alle armi quando compiano diciannove anni (1° com

ma), consentendo al ministro, però, di disporre un rinvio o un anticipo di un anno. Dopo che i successivi art. 20 e 21 regolano il ritardo della

prestazione del servizio militare per motivi di studio, l'art. 21 prevede tre ipotesi di cessazione (1° comma): il compimento degli studi, il loro abbandono definitivo, il compimento di un limite massimo di età che di solito è di ventisei anni, ma che in realtà è più articolato, secondo la diversa durata degli studi, e stabilisce, inoltre (2° comma), che, ces sato il ritardo, chi ne fruiva debba prestare servizio col primo scaglione chiamato alle armi.

Come è esposto nella precisa ricostruzione della vicenda delineata nella sentenza del Tar Sicilia la questione è sorta in seguito all'orientamento

prevalso nella giurisprudenza del Consiglio di Stato e del Consiglio di

giustizia amministrativa per la regione siciliana, secondo il quale la in dicazione del tempo nel quale chi aveva fruito del rinvio del servizio militare per motivi di studio, andava considerata meramente ordinato ria e non vincolante per l'amministrazione, con la coneguenza che l'in teressato si veniva a trovare in una situazione di incertezza circa il quando dovesse prestare servizio.

A questo stato di cose hanno posto riparo prima Corte cost. 2 feb braio 1990, n. 41, Foro it., 1990, I, 1457, con nota di Bettinelli (an notata anche, tra gli altri, da Mazzarolli, in Giur. costit., 1990, 842, e da Amato, in Giur. it., 1990, I, 1, 1032), che ha dichiarato l'incosti tuzionalità del citato art. 21, 2° comma, 1. 191/75, «. . . nella parte in cui non prevede che la chiamata alle armi di chi ha fruito del ritardo del servizio militare sia disposta non oltre il termine di un anno dalla data di cessazione del titolo al ritardo medesimo». E, poi, lo stesso legislatore, che, con l'art. 6 1. 269/91, ha sostituito il predetto 2° com ma, con una disposizione molto più lineare: «Coloro che fruiscono del titolo al ritardo sono chiamati a rispondere dell'obbligo del servizio alle armi entro un anno dalla cessazione del titolo medesimo».

Questa nuova formulazione normativa ha facilitato la soluzione del dubbio su cosa l'amministrazione debba fare entro l'anno. Se emettere la cartolina-precetto, con l'intimazione al destinatario a presentarsi a

prestare servizio per una data anche successiva; oppure convocarlo per una data compresa in esso. La giurisprudenza, infatti, si sta consoli dando in questo secondo e più rigoroso senso: cosi, le pronunce ora riportate, in conformità a Cons, giust. amm. sic. 29 luglio 1992, n. 231, Cons. Stato, 1992, I, 999; Tar Sicilia, sede Catania, sez. II, 9

agosto 1991, n. 645, Foro it., 1992, III, 237, nonché, in precedenza, 3 dicembre 1990, n. 1090, id., Rep. 1991, voce Leva militare, n. 21, annotata da Amato, in Giur. it., 1991, III, 1, 152.

Ma ha lasciato aperto un problema maggiore, nell'ipotesi che il mol tiplicarsi della giurisprudenza al riguardo fa ritenere di assai frequente verificazione: quello del calcolo del termine di un anno, quando chi ha fruito del rinvio del servizio militare, chieda l'ammissione al corso allievi ufficiali di complemento, o di prestare il servizio stesso in un

corpo speciale (carabinieri, polizia di Stato, vigili del fuoco, ecc.). Il problema sorge, perché la definizione del sub-procedimento pro

mosso dalla domanda dell'interessato, e, quindi, l'eventuale rigetto di questa, col conseguente suo richiamo a prestare servizio ordinario, mol to spesso avviene dopo che il termine annuale è già trascorso. Di qui, un contrasto nella giurisprudenza, ben esemplificato dalle due pronunce che ora si riportano.

Da un lato, l'orientamento nettamente prevalente, che ritiene che, nell'ipotesi in discussione, non possa tenersi fermo, per la chiamata alle armi dell'interessato, il termine di un anno decorrente da quando

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SI CILIA; sede di Catania; sezione II; sentenza 3 dicembre 1992, n. 996; Pres. Delfa, Est. Zingalf.s; Vinciguerra (Avv. Nico

losi, Romano Nicolosi) c. Min. difesa.

Leva militare — Chiamata alle armi — Tardività — Ricorso — Giurisdizione amministrativa (L. 31 maggio 1975 n. 191, art. 21; 1. 11 agosto 1991 n. 269, art. 6).

Leva militare — Rinvio per motivi di studio — Richiesta di

prestazione quale ausiliario del corpo degli agenti della poli zia di Stato — Chiamata alle armi — Tardività (L. 31 maggio 1975 n. 191, art. 21; 1. 11 agosto 1991 n. 269, art. 6).

Non sfugge alla giurisdizione del giudice amministrativo, il ri

corso contro la cartolina-precetto che abbia disposto tardiva

mente la chiamata alle armi. (2) È illegittima la cartolina-precetto che abbia disposto la chiama

ta alle armi per una data successiva di più di un anno a quella in cui l'interessato, durante il periodo di rinvio per il compi mento degli studi, aveva chiesto di prestare servizio militare

quale ausiliario nel corpo degli agenti della polizia di Stato. (3)

I

Diritto. — L'appello è fondato.

L'art. 21 1. 31 maggio 1975 n. 191, ha disposto: «Il titolo al ritardo della prestazione del servizio alle armi

cessa con il termine degli studi . . . ovvero con l'abbandono

definitivo di essi; cessa in ogni caso al compimento dell'età pre scritta dal 1° comma del precedente art. 19 e dall'art. 20» (1°

comma). «Cessato il titolo al ritardo, coloro che ne fruivano sono te

nuti a prestare il servizio militare con il primo scaglione o con

tingente chiamato alle armi se dell'esercito o dell'aeronautica

ovvero, se della marina, con uno degli scaglioni della classe di

leva chiamata alle armi, nell'anno di cessazione del titolo al

ritardo o, al massimo, col primo scaglione della classe successi

va» (2° comma). Con sent. n. 41 del 2 febbraio 1990 (Foro it., 1990, I, 1457)

la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzio

nale del 2° comma dell'art. 21 1. n. 191 del 1975, «nella parte in cui non prevede che la chiamata alle armi di chi ha fruito

del ritardo del servizio militare sia disposta non oltre il termine

è cessato il motivo del ritardo alla prestazione del servizio da parte sua: facendo leva soprattutto sulla considerazione che l'ulteriore ritardo

per la definizione della sua posizione, è dovuto ad un sub-procedimento che è esso stesso ad aver liberamente promosso. Quindi, l'affermazione che la chiamata alle armi è tempestiva, se è disposta per una data che non vada oltre l'anno dalla conclusione di questo sub-procedimento, diversa secondo il suo tipo, conseguente alla diversità della domanda che lo ha originato. La soluzione affermata da Cons, giust. amm. reg. sic. ora riportata, è conforme al precedente dello stesso organo 231/92, cit., Cons. Stato, 1992, I, 999 (v., peraltro, ibid., 1739, la meno chiara massima tratta dalla decisione 4 novembre 1992, n. 348), nonché a Cons.

Stato, sez. IV, 20 agosto 1992, n. 711, ibid., 903; Tar Friuli-Venezia Giulia 18 dicembre 1990, n. 607, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 17; Tar Calabria 31 agosto 1990, n. 566, ibid., n. 18 (annotata da Amato, in Giur. it., 1991, III, 1, 152); Trga Trento 20 novembre 1990, n. 442, id., Rep. 1991, voce cit., n. 22; 21 maggio 1991, n. 209, id., 1992, III, 237, con nota di richiami. Cfr. anche Cons, giust. amm. sic. 23 ottobre 1991, n. 403, ibid., che si è orientato nello stesso senso, in

un caso in cui l'autorità militare aveva concesso un ulteriore differi

mento per il completamento di un corso di formazione professionale,

dopo la cessazione dei motivi di studio; nonché, secondo la stessa ratio,

per la quale non può evitare il servizio militare chi abbia causato il

ritardo con proprie iniziative, Tar Lazio, sez. Latina, 30 aprile 1990, n. 393, id., Rep. 1991, voce cit., n. 20, in un caso in cui l'interessato

aveva ottenuto dal giudice amministrativo la sospensione cautelare della

impugnata cartolina-precetto. In senso contrario, soprattutto la sezione II della sede di Catania

del Tar Sicilia, che afferma che la pendenza del sub-procedimento ini

ziato con la domanda dell'interessato, non impedisce affatto all'ammi

nistrazione di chiamarlo a prestare il servizio militare ordinario, salvo

poi a trarre le necessarie conseguenze dal modo nel quale si sarà con

cluso. E che, prima della sentenza ora riportata, si è espressa analoga mente, tra l'altro, con le sentenze 3 dicembre 1990, n. 1090, cit., e 9 agosto 1991, n. 645, cit.

Il Foro Italiano — 1993.

di un anno dalla data di cessazione del titolo al ritardo me

desimo».

Il 2° comma del cit. art. 21 è stato poi novellato negli stessi

termini di cui alla sentenza additiva del giudice delle leggi con

l'art. 6 1. 11 agosto 1991 n. 269.

Osserva il collegio che la previsione di un anno di disponibili tà, nonostante il termine sia previsto dall'art. 21 che concerne il ritardo per motivi di studio, può ritenersi un principio gene

rale, che copre ogni ipotesi di ritardo o rinvio della prestazione del servizio militare per motivi di studio od altra causa.

La portata generale nei sensi suespressi della norma trova con

ferma nell'art. 3, 1° comma, 1. 31 maggio 1975 n. 191 (da cui ha argomentato il termine annuale la Corte costituzionale nella

sent. 41 del 2 febbraio 1990), relativo alla chiamata alle armi

entro il diciannovesimo anno di età, e nell'art. 74, 2° comma,

d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 327, concernente il rinvio della incor

porazione dei giovani arruolati che, a seguito di nuovi accerta

menti sanitari, siano riconosciuti temporaneamente non idonei. Il dies a quo del termine annuale è la cessazione del titolo

al ritardo o al rinvio; il dies ad quem è segnato dalla data di

incorporazione, la data cioè sotto la quale l'arruolato è chiama

to a presentarsi al reparto militare di assegnazione. In ordine al dies ad quem, come sopra individuato, il giudice

di prime cure ha svolto ampie ed esaurienti argomentazioni, che sono da condividere e che rendono superfluo indugiare ul

teriormente sul punto. Ciò premesso, occorre rilevare che il regolamento 11 febbraio

1988 n. 62 (art. 9, 5° comma) e le circolari del ministero della

difesa relative alla chiamata alle armi (nella specie le circolari

della direzione generale della leva n. 561 del 13 luglio 1987,

pubblicata sul Giornale ufficiale n. 29 del 18 luglio 1987 e n.

527 dell'8 luglio 1988, pubblicata sul Giornale ufficiale n. 33 del 13 agosto 1988) e i manifesti affissi al pubblico per la chia mata di ciascun contingente prevedono che gli arruolati che chie

dano di partecipare ai corsi allievi ufficiali di complemento per

mangono nella posizione di congedo illimitato provvisorio fino

all'espletamento dei relativi concorsi. Il rinvio è concesso per un massimo di due concorsi. Per gli arruolati che hanno supe rato il limite di età previsto dall'art. 19 1. 31 maggio 1975 n.

191, l'incorporazione è rinviata per un solo concorso (sempre ché non ne abbiano usufruito in precedenza).

Il ministero della difesa programma annualmente con scaden za trimestrale i corsi allievi ufficiali di complemento e ne stabi

lisce la data di inizio nel provvedimento di programma, sicché

la data di inizio di ciascun corso coincide con il termine di esple tamento del relativo concorso.

Il medesimo orientamento minoritario è stato sostenuto anche da Trib.

Lecce 24 febbraio 1991, id., 1992, I, 1585, con nota di richiami. Le pronunce ora riportate divergono anche sul valore da dare alle

circolari e ai manifesti dell'autorità militare, che regolano il tempo del

la chiamata alle armi nell'ipotesi in questione, in modo conforme all'o rientamento maggioritario: applicati, ma anche perché non tempestiva mente impugnati, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regio ne siciliana, e considerati irrilevanti, anche perché ritenuti meri atti interni, dal Tar Sicilia. Ad essi, hanno fatto riferimento anche Cons, giust. amm. sic. 231/92 e Trga Trento 209/91, cit.

(2) Sulla questione sostanziale affrontata dalle pronunce riportate, cfr., oltre alle decisioni dei giudici amministrativi richiamati nella nota che precede, Trib. Lecce 24 febbraio 1991, Foro it., 1992, I, 1585, con nota di richiami, che contesta la giurisdizione in materia di tale giudice:

argomentando dal diritto di libertà sul quale la chiamata alle armi va a incidere, e individuando nel termine entro il quale deve essere dispo sta, un limite del potere dell'amministrazione di imporla; con la conse

guenza che la chiamata alle armi tardiva, dovrebbe ritenersi emessa in

carenza di potere. A tale impostazione, si contrappone motivatamente la sentenza del

Tar Sicilia in epigrafe, che costruisce il termine suddetto come un limite

della sola legittimità dell'esercizio del potere esplicato dall'amministra

zione, e non addirittura della esistenza di questo. Cons, giust. amm. sic. 29 luglio 1992, n. 231, Cons. Stato, 1992,

I, 999, ha sostenuto che la giurisdizione del giudice amministrativo in

materia, sarebbe esclusiva, e comprenderebbe, perciò, anche questioni su diritti soggettivi. Mentre Cass. 12 dicembre 1991, n. 13409, Foro

it., Rep. 1991, voce Leva militare, n. 25, ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo nei confronti dei dinieghi della concessione

della esenzione dal servizio militare, o del suo differimento per motivi di studio, perché sarebbero espressione di poteri discrezionali dell'am

ministrazione.

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PARTE TERZA

Il sig. Iurato ha presentato domanda di partecipazione al 137° corso allievi ufficiali di complemento (si prescinde dalla doman da di partecipazione al 138° corso, che non ha avuto effetto di rinvio avendo l'interessato superato il ventiseiesimo anno di età ed avendo perciò titolo al rinvio per un solo concorso). Questa ha determinato, a termini delle disposizioni sopra richiamate, la sua permanenza nella posizione di congedo illimitato provvi sorio fino all'espletamento del relativo concorso e, quindi, il rinvio della chiamata.

Dalla conclusione del concorso ha cominciato a decorrere l'an no di disponibilità.

Il 137° corso ha avuto inizio il 3 ottobre 1989 (provvedimen to ministeriale 10 maggio 1988, pubblicato nel Giornale ufficia le n. 35 del 27 agosto 1988). È questa la data che segna il dies a quo dell'anno di disponibilità, che al 27 agosto 1989 non era ancora decorso (e vieppiù non era decorso se si considera la data di formalizzazione della graduatoria del 137° corso avve nuta con provvedimento 17 novembre 1989 pubblicato nel Gior nale ufficiale del 23 dicembre 1989 n. 51).

Ovviamente, la seconda cartolina precetto non ha alcun rilie

vo, essendo stata emessa a seguito dell'annullamento dell'ordi nanza del tribunale di sospensione della prima cartolina.

Non varrebbe osservare che le circolari ed i manifesti dell'au torità militare non possono disporre cause di rinvio o ritardo della prestazione del servizio militare non previste dalla legge (ancorché con il consenso degli interessati) e neanche il regola mento 11 febbraio 1988 n. 62. A prescindere dalla fondatezza di tale tesi, sta di fatto che tali atti che hanno previsto il rinvio non sono stati impugnati e non possono, perciò, essere disap plicati in sede di giurisdizione di legittimità (non può certo rite nersi che l'impugnativa di tali atti sia ricompresa nella formula di stile dell'atto presupposto, conseguente o connesso, occor rendo una specifica individuazione).

Né può dirsi che le circolari ed i manifesti di cui trattasi sono atti interni. Gli atti in questione o hanno contenuto normativo

(le circolari) ovvero sono atti generali (i manifesti). In ogni caso hanno rilevanza esterna e andavano, perciò, specificamente in vestiti con l'impugnativa.

Neanche può dirsi che tali atti siano da considerare superati perché incisi dalla sentenza della Corte cost. n. 41 del 14 feb braio 1989. A prescindere da ogni altra considerazione, va os servato che la sentenza si è occupata del termine di chiamata alle armi e non delle cause di rinvio.

Non ha pregio, poi, il rilievo secondo cui, se la domanda di partecipazione ai corsi allievi ufficiali avesse effetto sospensi vo o interruttivo, risulterebbero violati gli art. 2964 e 2968 c.c., trattandosi di materia attinente a diritti indisponibili.

Alla notazione può opporsi che gli atti dell'autorità militare che prevedono il rinvio non sono stati, come si è visto, impugnati.

D'altra parte, non è che qui si abbia una sospensione od in terruzione non consentita di un termine stabilito a pena di deca denza. La domanda di partecipazione ai corsi, infatti, non ha effetto sospensivo o interruttivo di un termine in corso, ma è fatto genetico di un nuovo termine di decadenza (che assorbe il primo, ma è da esso autonomo).

In conclusione l'appello del ministero della difesa va accolto

e, per effetto, è da annullare la sentenza impugnata.

II

Diritto. — 1. - Come già esposto in epigrafe e nelle premesse di fatto, l'impugnativa proposta è essenzialmente rivolta avver so la cartolina-precetto n. 300 del 14 novembre 1990.

2. - Con l'unico motivo di gravame il ricorrente lamenta so stanzialmente la violazione dell'art. 21 1. 31 maggio 1975, n.

191, modificato dalla nota sentenza «additiva» della Corte co stituzionale n. 41 del 2 febbraio 1990 (Foro it., 1990, I, 1457), e dell'art. 1 1. 8 luglio 1980 n. 343, in quanto la chiamata alle armi in questione sarebbe stata disposta oltre il termine di un anno dalla data di cessazione del titolo al ritardo, cosi come stabilito dal predetto art. 21, 2° comma, 1. 191/75, cosi' come

integrato dalla menzionata sentenza della Corte costituzionale, tenuto conto che in data 11 ottobre 1989 il ricorrente chiese di prestare il servizio militare quale ausiliario del corpo degli agenti della polizia di Stato, e che a norma dell'art. 1 1. 343/80 tale richiesta implica rinunzia all'eventuale titolo al ritardo per motivi di studio.

3. - Il thema decidendum posto da tale motivo del ricorso

Il Foro Italiano — 1993.

impone al collegio, prima di esaminare il merito della contro

versia, di verificare d'ufficio la sussistenza o meno della giuris dizione del giudice amministrativo in materia, anche perché, con una recente sentenza del Tribunale civile di Lecce (sent. 24 feb

braio 1992, id., 1992, I, 1585), tale giurisdizione è stata negata, affermandosi invece quella del giudice ordinario.

Nella pronunzia di cui trattasi tale tesi viene essenzialmente

motivata argomentando dal rilievo secondo cui, mentre il termi ne previsto dall'art. 21, 2° comma, 1. 31 maggio 1975 n. 191

(nella sua originaria formulazione) era posto nell'interesse esclu sivo dell'amministrazione militare e con finalità meramente sol

lecitatorie dell'azione della stessa, il termine stabilito dall'art. 6 1. 11 agosto 1991 n. 269 (tale disposizione, introdotta nell'or

dinamento per attuare le indicazioni della Corte costituzionale,

prevede che «coloro che fruiscono del titolo al ritardo sono chia mati a rispondere dell'obbligo del servizio alle armi entro un anno dalla cessazione del titolo medesimo»), deve ritenersi po sto a tutela dei giovani arruolati (che rimangono) soggetti al

l'incorporamento soltanto per un anno dalla cessazione del tito lo al ritardo. Sicché, prosegue il Tribunale di Lecce, in tale rin novato contesto normativo il mancato esercizio da parte dell'amministrazione militare, nel termine fissato dalla legge, del potere di disporre la chiamata alle armi comporta irrimedia bilmente la consumazione del potere stesso, e l'eventuale prov vedimento di precettazione tardiva deve, quindi ritenersi emesso in carenza assoluta di potere, e perciò in violazione di un diritto

soggettivo del privato.

Trattasi, com'è evidente, di enunciati motivatori che costitui scono applicazione specifica e corollario del noto e consolidato orientamento seguito da tempo dalle sezioni unite della Cassa zione in tema di criteri di riparto delle giurisdizioni ordinaria ed amministrativa, e che viene comunemente denominato come criterio della carenza in concreto del potere, secondo cui il po tere si assume inesistente non soltanto nei casi di mancanza di attribuzione normativa (del potere stesso) ma anche in caso di mancanza di presupposti richiesti dalla norma per il suo eserci

zio, che siano stabiliti in funzione della tutela del diritto sogget tivo, con conseguente negazione della degradazione del diritto

soggettivo in interesse legittimo, posto che mancando uno o più di tali presupposti, l'atto amministrativo sarebbe inesistente (e non invalido e quindi annullabile), e con la conseguente affer mazione della permanenza della giurisdizione del giudice ordi nario (cfr., in generale fra le numerose pronunzie in materia, Cass., sez. un., 18 dicembre 1987, n. 9420, id., Rep. 1987, voce Edilizia e urbanistica, n. 256; 29 luglio 1987, n. 6567, ibid., voce Espropriazione per p.i., n. 212; 6 giugno 1972, n. 1733, id., Rep. 1972, voce Edilizia e urbanistica, n. 100; si vedano

poi in particolare, fra le ancora più numerose pronunzie in te ma di espropriazioni ed occupazioni di urgenza disposte al di fuori dei limiti temporali o in mancanza di dichiarazione di pub blica utilità, che rappresentano il nucleo più cospicuo delle ipo tesi in cui viene ravvisata la carenza in concreto del potere, Cass., sez. un., 10 giugno 1978, n. 2926, id., Rep. 1978, voce Espro priazione per p.i., n. 35; 27 aprile 1981, n. 2510, id., Rep. 1981, voce cit-, nn. 250, 259; 25 novembre 1982, n. 6369, id., Rep. 1982, voce cit., n. 35; 17 giugno 1988, n. 4116, id., Rep. 1988, voce cit., n. 275; 7 agosto 1991, n. 8585, id., Rep. 1991, voce Edilizia popolare, n. 59).

Ma una simile tendenza — che portata alle sue logiche estre me implicazioni (come si preciserà meglio appresso) indurrebbe a ritenere, fra l'altro, che l'unico potere conferito «in concre to» dalla legge all'autorità amministrativa è solo quello corret tamente esercitato — non è mai stata seguita, com'è altrettanto

noto, dal giudice amministrativo (salvo alcune rare eccezioni in determinate ipotesi o materie), ed è stata ed è tuttora vivace mente criticata e contrastata dalla più autorevole dottrina che la ritiene assolutamente in contrasto con il dato normativo ed i principi in materia.

Si ripropone, ancora una volta, il delicato problema — denso di implicazioni e non definitivamente risolto a causa del perdu rante conflitto interpretativo che oppone le sezioni unite della Cassazione ai giudici amministrativi di primo grado e di appello — della corretta individuazione del concetto di carenza in astratto e carenza in concreto del potere e della loro rilevanza ai fini del riparto delle giurisdizioni. Toccando, quindi, un punto cru ciale della teoria generale relativa agli sfuggenti e tormentati

principi in materia di delimitazione delle materie attribuite alla

cognizione delle due giurisdizioni, ordinaria ed amministrativa, la questione costituisce una ineludibile occasione di riflessione

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

su di un importante nodo istituzionale della giustizia ammini

strativa e di contributo alla riaffermazione del principio per cui, contrariamente a quanto ritenuto dalla Cassazione, le contro

versie nelle quali si faccia questione di carenza in concreto del

potere sono devolute alla cognizione del giudice amministrativo.

Una corretta comprensione e motivazione di tale assunto po stula, quindi, la ricognizione dei principi in materia dai quali scaturisce la ratio decidendi della soluzione affermativa alla quale il tribunale ritiene di dover pervenire.

Deve, peraltro, subito rilevarsi che il ventaglio dei molteplici e peculiari aspetti e profili nei quali si rifrange e si articola

la materia da affrontare si presenta molto ampio e complesso, sicché si rende necessario contenere il discorso in un ambito

strettamente selettivo e non dispersivo in relazione ai fini stret

tamente indispensabili per la verifica affermativa della giurisdi zione del giudice amministrativo nelle ipotesi di carenza in con

creto della potestà amministrativa.

Conviene innanzi tutto ricordare che ai fini della distinzione

fra diritti soggettivi ed interessi legittimi vigente nel nostro si

stema, ed allo scopo, quindi, di individuare nelle singole fatti

specie concrete la posizione giuridica fatta valere in giudizio

(principio del petitum sostanziale) e delimitare conseguentemen te il riparto o l'ambito delle rispettive giurisdizioni del giudice ordinario e del giudice amministrativo, cosi come stabilito dalle

nostre leggi di giustizia amministrativa e dagli art. 113 e 103

Cost., dottrina e giurisprudenza, dopo una lunga e travagliata

evoluzione, hanno definitivamente adottato fra i vari criteri pro

posti (criterio della distinzione fra norme di azione e norme

di relazione; criterio della distinzione fra provvedimento discre

zionale e provvedimento vincolato; criterio della distinzione fra

carenza e cattivo uso del potere amministrativo) quest'ultimo criterio della distinzione fra carenza e cattivo uso del potere. Tale criterio — che ha concluso, consolidato e perfezionato un

orientamento giurisprudenziale che ha introdotto un principio di ordine in una materia oltremodo fluida e intricata che soven

te rende la spartizione tra i due tipi di situazioni sostanziali

protette dall'ordinamento, ed il conseguente riparto tra le due

correlative giurisdizioni, un confine (com'è stato acutamente det

to) di facile e continuo trapasso — viene consuetamente formu

lato nella seguente proposizione: tutte le volte che si lamenta

il cattivo uso del potere dell'amministrazione, contestandosi che

ricorrano in concreto i motivi e i presupposti di fatto e/o diritto

per l'esercizio del potere, si fa valere un interesse legittimo, e

la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo, mentre si

ha questione di diritto soggettivo e giurisdizione del giudice or

dinario quando si contesta in radice, e cioè in astratto, la stessa

attribuzione normativa del potere all'amministrazione, negan

dosi, quindi, che si verta in una materia nella quale il potere

appartenga alla autorità amministrativa e sia, pertanto, eserci

tatile. Si pone cosi il duplice collegamento carenza di potere diritto soggettivo, esercizio del potere-interesse legittimo. Quan

do, cioè, si controverte intorno al potere amministrativo in una

condizione nella quale il privato è titolare di un diritto soggetti vo sottostante (quale posizione legittimante), la controversia è

di diritto soggettivo se cade sulla esistenza del potere (si nega in radice il potere, quindi si afferma il diritto soggettivo). La controversia è invece di interesse legittimo se cade sull'esercizio

del potere e sulla legittimità di tale esercizio (cfr., fra le tante,

Cons. Stato, sez. VI, 20 ottobre 1978, n. 1053, id., 1979, III,

376; 24 ottobre 1980, n. 1004, id., Rep. 1981, voce Giustizia

amministrativa, n. 72; 8 luglio 1980, n. 722, id., Rep. 1980,

voce cit., n. 72; Tar Sicilia-Catania 29 dicembre 1981, n. 643;

28 settembre 1981, n. 420, id., Rep. 1982, voce cit., n. 88; 18

gennaio 1986, n. 12, id., Rep. 1986, voce Mezzogiorno (provve dimenti per il), n. 28; 26 marzo 1987, n. 496, id., Rep. 1987, voce Lavoro (collocamento), n. 169).

La carenza, in radice, di potere, ossia la mancata attribuzio

ne all'autorità amministrativa, da parte del legislatore, della pos

sibilità di sacrificare il diritto del singolo, significa riconosci mento di tale diritto e quindi violazione di esso ad opera del

l'atto lesivo, mentre l'attribuzione del potere fa venir meno il

diritto, residuando nel singolo solo l'interesse all'uso corretto

del potere medesimo: interesse che non può configurarsi se non

come interesse legittimo. Tutte le volte in cui, in altri termini, la norma giuridica con

ferisca alla pubblica amministrazione delle potestà discrezionali

nella valutazione dell'interesse generale e nella determinazione

della misura di incidenza di detta valutazione sulle posizioni

giuridiche dei singoli, viene ad essere esclusa la sussistenza di

Il Foro Italiano — 1993.

un diritto soggettivo perfetto ed emerge nitida la figura di mi

nore «consistenza» dell'interesse solo indirettamente protetto dal

l'ordinamento. Quando, infatti, la legge conferisce all'ammini

strazione un potere discrezionale, il privato non può avere, di

fronte a questo potere, un diritto, ma soltanto ed eventualmen

te un interesse legittimo. Qualunque situazione soggettiva che l'ordinamento configura come subordinata ad un potere dal cui

esercizio può essere ampliata, ristretta o soppressa, non costi

tuisce evidentemente un diritto ma soltanto un interesse legitti

mo, in quanto il potere della pubblica amministrazione è limita

to dalla norma stessa che lo conferisce e deve svolgersi nei limiti

da questa stabiliti (cfr., fra le altre, Tar Sicilia-Catania 6 luglio 1983, n. 554, id., Rep. 1984, voce Giustizia amministrativa, n.

442, e 496/87, cit.). Ovviamente, ai fini della discriminazione delle giurisdizioni,

occorre avere riguardo alla reale «consistenza» e cioè all'intrin

seca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, indi

viduata dal giudice in relazione al tipo di tutela accordata (mol to spesso implicitamente) dall'ordinamento alla situazione di cui

si lamenta la lesione: indagine, questa, che va pertanto effettua

ta oggettivamente sulla base dell'esame della natura e degli sco

pi delle norme che regolano la fattispecie ed attribuiscono il

potere esercitato dall'autorità amministrativa, e non già seguen do la prospettazione soggettiva che la parte abbia dato all'og

getto della domanda (cfr., sul punto, fra le tante: Cons. Stato, sez. VI, 6 novembre 1981, n. 538, id., Rep. 1982, voce cit., n. 81; sez. VI 26 gennaio 1979, n. 11, id., Rep. 1979, voce

cit., n. 61; sez. V 13 gennaio 1978, n. 61, id., 1978, III, 610; sez. VI 19 maggio 1978, n. 651, id., Rep. 1978, voce Giurisdi

zione civile, n. 82; sez. IV 30 luglio 1974, n. 561, id., 1974, III, 321; Cons, giust. amm. sic. 24 febbraio 1975, n. 16, id.,

Rep. 1975, voce Servizi municipalizzati, n. 13; Trib. Sicilia Catania 420/81, 643/81, 12/86 e 496/87, cit.).

Di guisa che, ove da tale indagine risulti che la posizione di

vantaggio di cui si lamenta la lesione si configura come diritto

soggettivo perfetto, per l'assenza di ogni potere autoritativo della

pubblica amministrazione capace di incidere su di esso, affievo

lendolo e conformandolo, appartiene al giudice ordinario, in

base alle norme sopra richiamate, la cognizione di tutte le azio

ni giurisdizionali esperibili a tutela del diritto soggettivo, e quindi,

ovviamente, anche di ogni azione di mero accertamento del di

ritto da tutelare e dichiarativa della nullità o inesistenza giuridi ca degli atti emanati dalla pubblica amministrazione in carenza

assoluta di potere capace di sacrificare il diritto stesso (sul di

fetto di giurisdizione del giudice amministrativo in materia di

atti inesistenti in quanto emanati in carenza assoluta di potere,

cfr., fra altre, Tar Lazio, sez. I, 16 maggio 1979, n. 460, id.,

Rep. 1979, voce Giurisdizione civile, n. 99; Tar Piemonte 25

giugno 1975, n. 198, id., 1976, III, 20; sulle nozioni di nullità ed inesistenza degli atti amministrativi, cfr., fra le tante, Cons.

Stato, sez. IV, 14 dicembre 1979, n. 1158, id., Rep. 1980, voce

Giustizia amministrativa, n. 83; sez. VI 29 settembre 1979, n.

690, id., Rep. 1979, voce Atto amministrativo, n. 109; sez. V

8 giugno 1979, n. 296, id., 1980, III, 6; Tar Lazio 460/79, cit.). Va peraltro subito precisato che la posizione di interesse le

gittimo non si configura solo necessariamente in relazione ad

atti discrezionali, potendo ben sussistere tale posizione soggetti va anche se il potere attribuito all'autorità amministrativa pro cedente sia vincolato in tutto o in parte, e quindi anche in pre senza di provvedimenti vincolati, laddove l'ordinamento stabili

sca sia pure implicitamente, che il potere vincolato e l'emanazione

dei provvedimenti, anch'essi vincolati, che ne costituiscano l'e

splicazione siano rivolti in via primaria al perseguimento imme

diato e diretto del pubblico interesse e non già al soddisfaci

mento di interessi dei privati (cfr., fra altre: Cons, giust. amm.

sic. 23 maggio 1989, n. 177, id., Rep. 1989, voce Giustizia am

ministrativa, n. 87; ad plen. 28 ottobre 1980, n. 42, id., 1981,

III, 68; 26 ottobre 1979, n. 25, id., 1980, III, 44; Tar Sicilia Catania 643/81, cit.). Ed invero, com'è noto, la distinzione fra

diritti soggettivi ed interessi legittimi va fatta essenzialmente con

riferimento alla finalità perseguita dalla norma (cui il provvedi

mento si ricollega), se diretta in via primaria ed immediata a

tutelare interessi del privato, ovvero un interesse pubblico (o

interesse collettivo primario), e non con riferimento alla natura

vincolata o discrezionale dell'attività dell'amministrazione (cfr.

fra altre, Cons, giust. amm. sic. 177/89, cit.). Tale essendo, in sintesi, il quadro dei principi fondamentali

che presiedono alla distinzione fra la situazione sostanziale di

diritto soggettivo e quella di interesse legittimo ed al conseguen

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PARTE TERZA

te riparto di giurisdizione, osserva, innanzi tutto, il tribunale

che la spinta della Cassazione verso l'allargamento della giuris dizione del giudice ordinario ai cosiddetti casi di carenza in con

creto del potere per inesistenza di presupposti del provvedimen to (presupposti di tempo, di luogo, di oggetto; atti preparatori,

ecc.) realizza, in ultima analisi, il superamento, anzi lo snatura

mento, del criterio di riparto fondato sulla distinzione tra ca

renza e scorretto esercizio del potere. E ciò perché, come rileva

to da autorevole dottrina, con la formula della carenza in con

creto del potere si giunge ad equiparare alla mancanza del potere le ipotesi di difformità (sia pure gravi) dalla fattispecie legale

disciplinatrice del potere stesso, identificando la fattispecie co stitutiva del potere con l'intera norma regolatrice del medesi

mo, e quindi il provvedimento con efficacia degradatoria (attri buito alla cognizione del giudice amministrativo) con il provve dimento legittimamente emanato.

Ma una simile sostanziale vanificazione di un criterio da tem

po unanimemente riconosciuto ed accettato dalla dottrina e dal la giurisprudenza (non solo amministrativa, ma della stessa cor

te regolatrice della giurisdizione che ha notevolmente contribui

to ad enuclearlo ed elaborarlo), ampliando a dismisura la

cognizione del giudice ordinario e riducendo parallelamente quella del giudice amministrativo soltanto alle ipotesi in cui le diffor

mità dall'archetipo o paradigma normativo consistano nella man canza di presupposti discrezionalmente apprezzabili dall'ammi

nistrazione, è assolutamente inaccettabile sul piano logico pri ma che su quello giuridico, perché a questo modo si dovrebbe, in pieno contrasto col dettato costituzionale e col diritto positi vo, pressoché cancellare il giudice amministrativo dall'ordina

mento italiano e tornare alla giurisdizione unica del giudice or dinario. E ciò perché quasi tutti (se non tutti) i vizi di legittimi tà dell'atto amministrativo — e non solo, come potrebbe prima

facie apparire, il vizio di violazione di legge per difetto di pre supposti — si sostanziano e traducono in ipotesi di carenza dei

presupposti per l'esercizio del potere in un determinato caso

concreto, con la conseguenza (che pur in linea di principio si tende a negare) di dover sempre ritenere competente il giudice ordinario ogniqualvolta si lamenti una illegittimità, altrimenti

non si saprebbe mai quando la mancanza dei presupposti an

drebbe denunciata come carenza di potere deducibile dinanzi

al giudice ordinario e quando come illegittimità denunciabile

al giudice amministrativo. Alla luce dei principi precedentemente esposti, però, non vi

è dubbio che lo spostamento di cognizione a favore del giudice ordinario è ammissibile e pensabile soltanto se il ricorrente con testi in radice o in astratto la titolarità del potere, cioè neghi che si verti in una materia nella quale il potere sia stato norma tivamente conferito e sia quindi esercitatole. Se, invece, si con testa che ricorrano in concreto i motivi e i presupposti (anche

quelli temporali) che legittimano l'esercizio del potere, si verte

sicuramente nella ipotesi di una denuncia di illegittimità per cat

tivo uso del potere, come tale deducibile solo dinanzi al giudice amministrativo.

Ed invero, il potere amministrativo, la cui carenza o il cui scorretto esercizio costituisce criterio di identificazione della si

tuazione soggettiva azionata e, correlativamente, di riparto fra le giurisdizioni, non può essere inteso con riferimento atomisti co alle singole sfere di attribuzione contemplate da specifiche norme di legge, ma va riguardato con riferimento alla funzione

globalmente considerata e in rapporto alla peculiare finalità di

pubblico interesse alla quale esso è preordinato. Pertanto è leci to parlare di carenza assoluta di potere soltanto allorché il pro filo funzionale dell'azione amministrativa risulti estraneo a qual sivoglia legittimazione normativa, mentre, per converso, costi tuiscono semplici vizi di legittimità denunziabili davanti al giudice amministrativo, sotto il profilo della violazione di legge per di fetto di presupposti e/o sotto gli altri profili ipotizzabili nelle

singole fattispecie, le ben diverse ipotesi in cui l'amministrazio ne eserciti il potere ad essa conferito in contrasto con uno speci fico precetto legislativo o regolamentare, adottando un provve dimento a contenuto positivo contra legem, ovvero al di fuori dei casi previsti e consentiti e dei limiti, anche temporali, trac ciati dalla norma attributiva del potere, in concreto esercitato

praeter legem (per tale ordine di argomentazioni si veda, so

prattutto, Tar Piemonte 28 ottobre 1980, n. 899, id., Rep. 1981, voce Atto amministrativo, n. 87, e Tar Sicilia-Catania 29 di cembre 1981, n. 643, e 6 gennaio 1982, n. 10; cfr. inoltre, fra le numerose pronunzie sostanzialmente nello stesso senso: Cons,

giust. amm. sic. 22 aprile 1985, n. 48, id., Rep. 1985, voce

Il Foro Italiano — 1993.

Giustizia amministrativa, n. 75; Cons. Stato, sez. V, 22 aprile

1977, n. 378, id., Rep. 1977, voce Comune, n. 158; sez. IV

5 giugno 1973, n. 631, id., Rep. 1973, voce Giurisdizione civile, n. 121).

Alla stregua, pertanto, dei suesposti principi, deve conclusi

vamente ritenersi che anche nelle ipotesi normative (come quel la di cui si discute) in cui l'esercizio di una determinata potestà amministrativa venga consentita dalla legge soltanto entro un

termine perentorio, e ciononostante tale potere venga esercitato

oltre il prescritto limite temporale, il superamento di tale limite

nelle singole fattispecie concrete non determina una mutazione

ontologica o genetica della posizione soggettiva cosi come con

figurata o conformata dalla fattispecie normativa o legale, po sto che la carenza sopravvenuta di potere per difetto del pre

supposto temporale non può ovviamente trasformarsi in caren

za originaria di potere. La violazione del limite temporale, quindi, non rileva ai fini del riparto della giurisdizione, che permane inalterata nel giudice amministrativo, trattandosi pur sempre di esercizio illegittimo, per difformità dal paradigma normativo, di un potere attribuito entro determinati limiti (come tutti i po

teri) dalla legge, e non di attività esplicata in assenza di tale

attribuzione.

L'art. 21 1. 31 maggio 1975 n. 191 («nuove norme per il ser

vizio di leva») cosi dispone: «Il titolo al ritardo della prestazione del servizio alle armi

cessa con il termine degli studi, . . . ovvero con l'abbandono

definitivo di essi; cessa poi in ogni caso al compimento dell'età

prescritta dal 1° comma del precedente art. 19 e dall'art. 20.

Cessato il titolo al ritardo, coloro che ne fruivano sono tenuti

a prestare il servizio militare con il primo scaglione o contin

gente chiamato alle armi se dell'esercito o dell'aeronautica ov

vero, se della marina, con uno degli scaglioni della classe di

leva chiamata alle armi nell'anno di cessazione del titolo al ri

tardo o, al massimo, col primo scaglione della classe successiva».

Secondo la prevalente giurisprudenza dei tribunali ammini

strativi regionali, il predetto art. 21, 2° comma, 1. 191/75 non

può essere interpretato nel senso di generico riconoscimento al

la amministrazione della difesa del potere di disporre l'effettiva

chiamata alle armi dell'interessato, ma piuttosto nel senso di

specifica prescrizione dei tempi di esercizio di siffatto potere

(cfr., fra le tante: Tar Veneto 21 maggio 1986, n. 5, id., Rep. 1986, voce Leva, n. 15; Tar Friuli-Venezia Giulia 20 gennaio 1986, n. 5; Tar Sicilia-Palermo, sez. II, 31 maggio 1988, n. 413).

Tale orientamento giurisprudenziale non è stato tuttavia se

guito dal giudice d'appello (cfr., fra altre, Cons, giust. amm.

sic. 19 aprile 1989, n. 110, id., Rep. 1989, voce cit., n. 11; Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 1989, n. 890, id., Rep. 1990, voce cit., n. 44), che ha definito i termini di cui alla norma in esame quali meramente ordinatori per l'amministrazione.

Successivamente, nella vicenda è intervenuta la Corte costitu

zionale, la quale, risolvendo positivamente la questione di costi

tuzionalità sollevata da questa sezione con tre ordinanze del mag gio 1989, con sentenza n. 41 del 2 febbraio 1990, cit., ha di

chiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 21, 2° comma, 1.

191/75, «nella parte in cui non prevede che la chiamata alle armi di chi ha fruito del ritardo del servizio militare sia disposta non oltre il termine di un anno dalla data di cessazione del titolo al ritardo medesimo».

La corte è pervenuta a tale pronunzia di illegittimità costitu zionale sulla base di argomentazioni il cui nucleo centrale è co stituito dalle enunciazioni che si reputa opportuno riportare te stualmente qui di seguito (punto 4.1 della motivazione):

«Non vi è dubbio che il servizio militare, pur collegato al "sacro dovere della difesa della patria" solennemente afferma to nel 1° comma dell'art. 52 (rispetto al quale ha tuttavia un'au tonomia concettuale e istituzionale: v. sent. n. 164 del 1985, id., 1985, I, 2515), costituisce una prestazione personale, anzi la prestazione personale per eccellenza e la più gravosa che pos sa ammettersi in una società civile e democratica ed in uno Sta to di diritto. La riserva di legge, in ordine alla sua previsione e regolamentazione, scaturisce quindi già dall'art. 23 Cost, che ha valore di principio fondamentale. Aggiungasi, ad escludere

qualsivoglia incertezza, che il costituente ha voluto — con il 2° comma dell'art. 52 — espressamente circoscrivere l'obbliga torietà del servizio militare "nei limiti e modi stabiliti dalla leg ge", confermando cosi, ed in un certo senso estendendo la ri

serva; ad ulteriore garanzia del cittadino, si è poi precisato che

l'adempimento dell'obbligo militare non pregiudica la posizione di lavoro né l'esercizio dei diritti politici. È la legge quindi che,

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

insieme con la durata e le altre caratteristiche del servizio mili

tare, deve stabilire il momento in cui l'obbligato verrà chiamato

alle armi: il cittadino ha bisogno di conoscere con certezza il

periodo di vita in cui, sottratto alle sue normali occupazioni, o agli studi o comunque alla libera disponibilità del suo tempo e della sua persona, dovrà assolvere all'obbligo impostogli dalla Costituzione. Trattasi di un diritto che non può essere degrada to ad interesse occasionalmente protetto in rapporto al dovere

dell'amministrazione di esercitare correttamente — secondo ca

noni di ragionevolezza, di imparzialità, di rispondenza ai fini

da perseguire — un potere che, sia pure come estrema ipotesi, incontrerebbe soltanto il limite finale del compimento del qua rantacinquesimo anno di età. Che debba essere la legge a deter

minare in modo tassativo lo spazio di tempo entro il quale il

cittadino può essere chiamato ad assolvere il servizio di leva, è ulteriormente confermato dalla necessità di ridurre il più pos sibile gli effetti negativi che tale obbligo determina nella ricerca

del lavoro, nella prosecuzione di studi postuniversitari, nell'av vio di attività professionali od autonome, nei rapporti familiari.

Del resto l'art. 3 1. n. 191 del 1975, che disciplina la chiamata

delle classi di leva, rispetta puntualmente il precetto costituzio

nale, in quanto circoscrive tassativamente lo spazio di tempo entro il quale il ministro per la difesa può ordinare la chiamata, fissandolo nell'anno in cui il giovane arruolato compie il dican novesimo anno di età, con la possibilità "quando speciali circo

stanze lo esigano" di anticiparla o ritardarla di un anno.

"L'art. 21, 2° comma, della citata legge deve pertanto essere

ritenuto costituzionalmente illegittimo, in quanto, disciplinando la chiamata alle armi di coloro che hanno usufruito del ritardo

dopo che ne sia cessato il titolo, omette di prevedere un termine tassativo entro il quale debba essere disposta la chiamata stessa, con conseguente indeterminatezza temporale dell'obbligo di pre stare il servizio militare".

Argomentando, poi, dall'art. 3 1. 191/75, che circoscrive tas

sativamente lo spazio di tempo entro il quale il ministro per la difesa può ordinare la chiamata, fissandolo nell'anno in cui il giovane arruolato compie il diciannovesimo anno di età, con

la possibilità, quando speciali circostanze lo esigono, di antici

parla o ritardarla di un anno, la corte ha stabilito, in via di

integrazione analogica, che il termine perentorio per l'ammini

strazione della difesa va ricavato dalla predetta disposizione ge nerale dell'art. 3 della legge, e va quindi delimitato nello spazio di un anno, che, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 21 in questio ne «non può che essere quello che decorre a partire dalla data

di cessazione del titolo al ritardo» (punto 4.2 della motivazio

ne). E subito dopo la corte precisa che «non va invece estesa

alla ipotesi suddetta la facoltà del ministro di ritardare la chia

mata di un anno oltre il termine prefissato, poiché trattasi, co me si è visto, di una facoltà eccezionale subordinata all'esisten

za di circostanze speciali ipotizzabili in relazione alla chiamata

generale delle classi, ma non di coloro che hanno usufruito del

ritardo».

4.1.- Ciò posto, il collegio non ignora che l'espressione «chia

mata alle armi» si appalesa — limitandosi ad una interpretazione tanto letterale quanto superficiale — equivoca, potendo essere ri

ferita sia al momento in cui viene emanata o notificata la cartolina

precetto, sia al momento effettivo in cui il cittadino, già arruola

to, è tenuto ad iniziare la prestazione del servizio militare, pre sentandosi al reparto di assegnazione («avviamento alle armi»).

Ma che, contrariamente a quanto sostiene l'avvocatura dello

Stato, il significato logico — almeno nell'ipotesi normativa di

cui trattasi — del termine «chiamata alle armi» non possa che

essere quest'ultimo, e cioè il momento effettivo in cui l'arruola

to è tenuto ad iniziare (e quindi a svolgere e completare) la

prestazione del servizio militare («avviamento alle armi»), è re

so evidente dalle stesse enunciazioni formulate al punto 4.1.

(sopra riportato) della motivazione della pronunzia della corte

laddove afferma che: «è la legge quindi che . . . deve stabilire

il momento in cui l'obbligato verrà chiamato alle armi: il citta

dino ha bisogno di conoscere con certezza il periodo di vita

in cui, sottratto alle sue normali occupazioni, o agli studi o

comunque alla libera disponibilità del suo tempo e della sua

persona, dovrà assolvere all'obbligo impostogli dalla Costitu

zione». Con tale formulazione, infatti, la corte identifica chia

ramente la chiamata alle armi con il periodo di vita in cui il

cittadino deve assolvere l'obbligo militare.

Tale interpretazione è, oltre tutto, pienamente conforme al

l'ambito concettuale che la dottrina assegna alla locuzione «chia

mata alle armi», identificandola, in sintesi, con il momento del

II Foro Italiano — 1993 — Parte III-6.

l'ablazione obbligatoria nel quale si rende operativo l'obbligo di prestazione del servizio militare, con la conseguente sogge zione alla legge penale militare ed alla disciplina militare.

Né va dimenticato, poi, che nell'interpretazione giuridica oc

corre costantemente uniformarsi al canone ermeneutico fonda

mentale secondo cui, se una norma od un principio si presti in astratto ad una duplice possibile interpretazione, il significa to e la specificazione di valore che vanno preferiti e prescelti sono quelli conformi, rispondenti o comunque più aderenti alle

norme ed ai principi costituzionali, perché questi, investendo

e permeando l'intero ordinamento, funzionano come criteri er

meneutici di tutte le norme di rango inferiore (cfr., fra le tante: Cons. Stato, sez. VI, 15 febbraio 1977, n. 100, id., Rep. 1977, voce Legge, n. 33; ad. plen. 14 aprile 1972, n. 5, id., 1972,

III, 105; Tar Marche 19 ottobre 1976, n. 245, id., Rep. 1977, voce cit., n. 46; Tar Calabria 13 luglio 1976, n. 123, ibid., n.

45; Tar Sicilia-Catania 7 luglio 1978 n. 250, 29 agosto 1981, n. 396, 11 ottobre 1982, n. 793, 29 luglio 1983, n. 623, 10 mar zo 1987, n. 248, e 12 settembre 1988, n. 610). Ed allo stesso

modo, fra due o più tesi o soluzioni interpretative di problemi

giuridici non vi è dubbio che debba prescegliersi ed applicarsi

quella che confligga con norme o principi costituzionali.

Alla stregua, invero, di tale fondamentale principio ermeneu

tico risulta evidente che al termine «chiamata alle armi» deve necessariamente assegnarsi, almeno nella fattispecie normativa

in questione, il predetto significato di avviamento alle armi e

cioè di inizio effettivo della prestazione del servizio militare, essendo questo l'unico significato che consente di rispettare e

di non eludere la lettera e lo spirito del precetto costituzionale

in base al quale «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» (art. 23 Cost.).

Poiché infatti, come si è visto, il giudice delle leggi ha esplici tamente ed inequivocabilmente collegato all'imposizione della

prestazione del servizio militare il «diritto» del cittadino di «co

noscere con certezza il periodo di vita in cui . . . dovrà assolve

re all'obbligo . . .» (punto 4.1. della motivazione della sentenza di cui trattasi), ove si opinasse diversamente, se cioè il limite

temporale di un anno dalla cessazione del titolo al ritardo do

vesse essere inteso con riferimento all'invio della cartolina

precetto, la statuizione della corte volta a circoscrivere tassati

vamente lo spazio di tempo della chiamata, potrebbe essere fa

cilmente elusa dall'amministrazione, che potrebbe inviare la

cartolina-precetto entro l'anno, prevedendo discrezionalmente,

tuttavia, l'avviamento alle armi per una data successiva alla sca

denza del predetto termine annuale (decorrente dalla cessazione

del titolo al ritardo) legislativamente fissato dal combinato di

sposto dell'art. 25, 2° comma, e dell'art. 3 1. 191/75, cosi come

stabilito dalla pronunzia della corte. Ove, quindi, si consentisse all'amministrazione di fissare discrezionalmente un termine ini

ziale ulteriore rispetto a quello di un anno prescritto tassativa

mente dalla legge conformemente al dettato dell'art. 23 Cost., tale diritto pubblico soggettivo alla certezza del termine, per

quanto solennemente riconosciuto ed affermato dalla corte, re

sterebbe in pratica, in contrasto col precetto costituzionale, pri vo di ogni effettivo contenuto garantistico, perché il cittadino

che ha legittimamente fruito del diritto al ritardo non avrebbe

più la certezza di iniziare la prestazione del servizio militare

entro e non oltre il predetto termine annuale sancito dalla leg

ge, ma soltanto la (ben diversa) certezza di restare ancora ed

eventualmente esposto alla insindacabile discrezionalità dell'am ministrazione (che non trova alcun fondamento nel delineato

quadro normativo) di fissare l'inizio di tale prestazione ben ol

tre (anche di molti mesi, o di più) il ripetuto termine annuale

prescritto dalla legge, e cioè in un tempo certum an sed incer

tum quando. Del resto, occorre rilevare che anche nella prassi dell'ammini

strazione (cfr., ad esempio, il paragrafo 1 del d.m. 15 luglio

1986, pubblicato sul Giornale ufficiale del 19 luglio 1986, relati

vo alla chiamata degli arruolati appartenenti alle classi 1968 e

precedenti), per «chiamata alle armi» si intende Ravviamento

alle armi» (cfr., fra le tante, Tar Sicilia-Catania, sez. II, 4 otto

bre 1990, n. 754; 4 ottobre 1990 n. 758, e 3 dicembre 1990, n. 1090, id., Rep. 1991, voce Leva, n. 21).

A seguito della richiamata sentenza 41/90 della Corte costitu

zionale, peraltro, con l'art. 6 1. 11 agosto 1991 n. 269 il 2°

comma dell'art. 21 1. 191/75 è stato sostituito dal seguente: «Co

loro che fruiscono del titolo al ritardo sono chiamati a rispon dere dell'obbligo del servizio alle armi entro un anno dalla ces

sazione del titolo medesimo».

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PARTE TERZA

Sembra anche qui appena il caso di osservare in proposito

che, nella nuova formulazione del dato normativo in questione, con la locuzione «sono chiamati a rispondere dell'obbligo» il

legislatore ha inteso indubbiamente riferirsi all'avviamento ef

fettivo alle armi, nel senso sopra ampiamente precisato. Il che

dovrebbe contribuire, almeno in parte, al superamento della di

versità di orientamenti, in atto esistenti, fra vari tribunali am

ministrativi, da un lato, ed il Consiglio di Stato ed il Consiglio di giustizia amministrativa, dall'altro, in ordine a tale questio

ne, e su quella della decorrenza e della sospendibilità del termi

ne perentorio di un anno (e di cui appresso). 4.2. - È appena il caso, poi, di soggiungere che la riconosciu

ta natura tassativa e cioè perentoria del termine annuale in que

stione, la cui inosservanza è sanzionata quindi (come l'inosser

vanza di tutti i termini perentori — vale a dire tassativamente

insuperabili — previsti dal diritto amministrativo) con la deca

denza dall'esercizio della potestà attribuita dalla norma, com

porta ovviamente l'applicabilità, quale logico corollario, dell'art.

2964 c.c. che, com'è noto, esclude per i termini decadenziali

la configurabilità e la rilevanza delle cause di interruzione e di

sospensione previste per i termini di prescrizione. Ed invero,

come concordemente affermato dalla dottrina amministrativi

stica, le disposizioni in materia di decadenza (art. 2964 ss. c.c.), in quanto costituiscono il punto di emersione nell'ordinamento

di principi generali essenzialmente finalizzati ad esigenze pre ventive di certezza, sono dotate di un ambito di applicazione

che, eccedendo quello del codice civile, si estendono necessaria

mente anche al diritto amministrativo ed a quello processuale.

Comunque, nessuna norma di legge, prevede la sospensione del termine perentorio fissato per la chiamata alle armi, e non

vi è dubbio che per i termini decadenziali prescritti dalla legge l'eventuale sospensione può essere prevista soltanto da fonte di

eguale rango (in tal senso, anche Trib. Lecce 24 febbraio 1992,

cit.). Assolutamente infondati si rivelano, quindi, come appresso

si preciserà meglio, gli argomenti addotti dall'avvocatura dello

Stato per sostenere l'ammissibilità di eventi vari idonei ad inter

rompere o sospendere il decorso del predetto termine deca

denziale.

4.3. - Facendo ora applicazione dei suesposti principi al caso

di specie, non vi è dubbio che l'impugnata cartolina-precetto è illegittima essendo inficiata dal dedotto vizio di violazione di

legge. Il ricorrente, nato il 4 aprile 1965, al compimento dell'età

prevista dalla legge è stato arruolato nell'esercito. In quanto

studente, ha fruito regolarmente del previsto rinvio per motivi

di studio fino al 31 dicembre 1989, ma in data 11 ottobre 1989

ha presentato domanda di prestazione del servizio militare qua le ausiliario del corpo degli agenti della polizia di Stato.

Pertanto, alla stregua delle cennate premesse di diritto, avrebbe

dovuto essere avviato alle armi entro e non oltre I'll ottobre

1990, mentre invece l'impugnata cartolina-precetto non solo ha

disposto l'inizio della prestazione del servizio militare per il 28

dicembre 1990 e quindi oltre il prescritto termine annuale, ma

per di più è stata emanata oltre tale termine (il 14 novembre

1990). Ed invero, le domande di svolgimento del servizio militare

in qualità di ausiliario nella polizia di Stato o nel corpo dei

vigili del fuoco, le domande di partecipazione ai corsi allievi

ufficiali di complemento, e cosi via, ove presentate prima della

scadenza del terminale annuale di rinvio per motivi di studio,

comportano ovviamente la rinunzia a fruire del residuo periodo del rinvio o ritardo in questione, come del resto prescritto dai

decreti ministeriali e dalle circolari che disciplinano dettagliata mente la materia, e dai modelli di domanda predisposti dalla

amministrazione militare; e come si desume, oltre tutto, dallo

stesso art. 21, 1° comma, 1. 191/75 in base al quale, come si

è già detto, il titolo al ritardo cessa anche «con l'abbandono

definitivo» degli studi, posto che, ai fini del ritardo, le doman

de di cui trattasi si rivelano indubbiamente quale manifestazio

ne di volontà di abbandono degli studi (salvo a riprenderli suc

cessivamente) per svolgere prima il servizio militare (cfr., so stanzialmente in tal senso, le sentenze di questa sezione n. 750

del 4 ottobre 1990 e n. 1090 del 3 dicembre 1990). 4.4. - Né può in alcun modo ritenersi, come invece sostiene

l'avvocatura dello Stato, che il termine annuale decorrerebbe

dalla data di comunicazione dell'esito negativo del concorso o

della selezione cui il ricorrente ha partecipato presentando la domanda di cui trattasi.

Il Foro Italiano — 1993.

L'evidente inconsistenza di una simile prospettazione, i cui

termini generali sono stati già radicalmente disattesi al punto 4.2. che precede, emerge con immediatezza, e l'eccezione difen

siva che su di essa la resistente amministrazione vorrebbe fon

dare non può che essere respinta. Per confutare ulteriormente e specificamente un simile assun

to, che passa attraverso l'affermazione di asseriti principi non

rinvenibili nell'ordinamento ed in particolare nel sistema vigen te in subiecta materia, ed attraverso la vulnerazione di principi invece esistenti, occorre procedere alla formulazione delle con

siderazioni aggiuntive che seguono.

A) Innanzitutto, le domande di partecipazione ai corsi allievi

ufficiali di complemento, quelle di svolgimento del servizio mi

litare in qualità di ausiliario nella polizia di Stato o in qualità di ausiliario dei vigili del fuoco, e cosi via, le domande di nuovi

accertamenti sanitari, e le altre istanze indicate nelle memorie

dell'avvocatura dello Stato, e che siano state presentate entro

l'anno dalla cessazione del titolo al ritardo, non possono com

portare in alcun modo una rinunzia implicita al diritto di inizia

re la prestazione del servizio militare obbligatorio entro e non

oltre il ripetuto termine di un anno prescritto dal combinato

disposto degli art. 21, 2° comma, e 3 1. 191/75, cosi come pre cisato dalla ripetuta sentenza della corte (ed ora dal menzionato

art. 6 1. 269/91), e quindi la legittima decorrenza del termine

annuale dalle date successive indicate in tali memorie (nei casi

di concorso per allievi ufficiali di complemento o per i suddetti

servizi ausiliari, l'anno decorrerebbe dalla data di comunicazio

ne dell'esito negativo dei relativi concorsi; nei casi di Nas, dalla

data di comunicazione dell'esito di essi, ecc.). E ciò sia perché, contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente amministra

zione militare, i sub-procedimenti attivati da tali domande non

sono in alcun modo configurati e disciplinati dalla legge come

ulteriori fattispecie costituenti titolo al ritardo oltre quelle pre viste dagli art. 19 e 20 1. 191/75; sia perché, inoltre, il diritto

di iniziare il servizio militare obbligatorio entro il predetto ter

mine perentorio di un anno è indubbiamente riconducibile nel

l'ambito dei diritti di libertà civile, come tali indisponibili e quindi irrinunciabili; sia perché, infine, in base al principio generale codificato dall'art. 2968 c.c. (che non consente la rinunzia alla

decadenza in materia di diritti indisponibili), non può ammet tersi una rinunzia alla decadenza del potere statale di avviamen

to alle armi.

Se cosi non fosse, si sarebbe costretti ad ammettere che sia

sufficiente la presentazione di una delle domande individuate

dall'avvocatura dello Stato per porre nel nulla il termine deca

denziale in questione, e per autorizzare conseguentemente l'am

ministrazione a vanificarlo od eluderlo in assoluto e macrosco

pico contrasto non solo coi cennati divieti legislativi di interru

zione e di sospensione dei termini di decadenza (art. 2964 c.c.) e di rinunzia alla stessa in materia di diritti indisponibili (art. 2968 c.c.), ma soprattutto con il precetto costituzionale secondo

cui la prestazione del servizio militare può essere richiesta sol

tanto «nei limiti e modi stabiliti dalla legge» (art. 52 Cost.), e con tutti i suesposti principi affermati dalla Corte costituzionale.

Ed è appena il caso di rilevare, in proposito, che le circolari

del ministero della difesa che eventualmente disponessero simili

interruzioni o sospensioni del termine decadenziale di cui si di

scute, non previste da alcuna norma di legge, non potrebbero ovviamente mai derogare, in quanto meri atti interni della pub blica amministrazione, alla tassativa disciplina prevista dalle men zionate norme di legge (in tal senso, sostanzialmente, anche Trib.

Lecce 24 febbraio 1992, cit.). Non si può in alcun modo condividere, quindi, il contrario

orientamento — decisamente meno garantistico — assunto in

ordine alle suesposte questioni da altri giudici amministrativi

(cfr., fra altre: Tar Palermo, sez. II, 7 marzo 1991, n. 70, e

28 gennaio 1992, n. 27; Cons, giust. amm. sic. 27 febbraio 1992, n. 45).

B) Né comunque, quand'anche si potesse e volesse, in rifiu

tata ipotesi, superare l'ostacolo insormontabile costituito dal

l'impossibilità giuridica dell'interruzione e della sospensione dei

termini decadenziali, e dalla nullità della rinunzia (espressa o

implicita) alla decadenza della potestà di avviamento alle armi, la prospettata diversa decorrenza del termine perentorio di un

anno potrebbe mai trovare giustificazione nelle difficoltà orga nizzative dell'amministrazione connesse alla predisposizione del

l'avviamento alle armi dei soggetti che hanno fruito del ritardo

e che hanno presentato una delle sopra indicate domande, dato che tale assunto colliderebbe oggettivamente col principio del

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

buon andamento della pubblica amministrazione sancito dal

l'art. 97, 1° comma, Cost.

La ratio di tale precetto costituzionale, infatti, appare incon

ciliabile con ogni interpretazione giuridica e con ogni attività

amministrativa sostanzialmente ispirate nella prassi ad un inesi

stente principio (che costituisce purtroppo un pseudo-modello operativo della burocrazia) secondo cui sarebbe ammissibile e

tollerabile che i ritardi e i disguidi cui può andare incontro la pubblica amministrazione (nella specie l'amministrazione della

difesa, nel programmare l'avviamento alle armi dei soggetti che

abbiano fruito del ritardo ed abbiano presentato una di tali do

mande) possano legittimamente ritorcersi, senza alcuna plausi bile giustificazione, in danno del cittadino.

Il rispetto del principio costituzionale del buon andamento

impone già di per sé, quindi, che l'avviamento alle armi di cia scun arruolato che ha fruito del ritardo, ed abbia presentato una delle domande in questione, deve essere sempre predispo sto, al più tardi, per l'ultimo scaglione utile prima della scaden za del termine annuale dalla cessazione del titolo al ritardo (senza che ciò oltretutto costituisca in alcun modo, com'è evidente, un aggravamento dei compiti già attribuiti dalla legge all'ammi

nistrazione della difesa). Di guisa che: 1) nelle ipotesi in cui i procedimenti attivati dalle domande in parola si concludano

(come dovrebbe sempre accadere) con provvedimenti emanati

prima della scadenza dell'anno, ove questi siano negativi l'av

viamento sarà ovviamente mantenuto fermo ed effettuato, mentre

ove si concludano con provvedimenti positivi occorrerà che l'am

ministrazione provveda all'annullamento della cartolina-precetto, in modo che l'avviamento alle armi predisposto non abbia più

luogo; 2) nelle ipotesi in cui, invece, i suddetti procedimenti siano ancora in corso alla ripetuta scadenza annuale, l'avvia

mento alle armi sarà sempre e comunque effettuato (per evita

re, appunto, la decadenza del relativo potere), fermo restando

che, ove si concludano successivamente (ma ovviamente in tem

pi molto brevi) con provvedimenti positivi, l'arruolato già av

viato alle armi come sopra dovrà essere immediatamente posto in congedo illimitato (provvisorio o definitivo, a seconda del

tipo di provvedimento), mentre ove si concludano con provve dimenti negativi la prestazione del servizio militare, tempestiva mente fatta iniziare entro il predetto termine annuale, prosegui rà sino alla sua normale conclusione.

5. - Per le considerazioni che precedono, già precedentemente formulate in numerose pronunzie di questa sezione (sentenze 9 agosto 1991, nn. 645 a 661), il ricorso deve essere, quindi, accolto e devono conseguentemente annullarsi i provvedimenti

impugnati.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione III; sentenza 12 giugno 1992, n. 782; Pres. Mi

celi, Est. Buonvino; Codacons, Canestrelli e altri (Aw. Rien

zi, Lo Mastro) c. Comitato interministeriale prezzi, Pres. cons,

ministri (Avv. dello Stato Salvatorelli), Unione nazionale

consumatori (Avv. Prosperetti).

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione III; sentenza 12 giugno 1992, n. 782; Pres. Mi

Giustizia amministrativa — Associazione di consumatori e utenti — Domanda di partecipazione alia commissione centrale prezzi — Rigetto — Ricorso — Legittimazione dell'associazione e

dei rappresentanti designati (D. leg. 15 settembre 1947 n. 896, nuove disposizioni per la disciplina dei prezzi, art. 5).

Prezzi (disciplina dei) — Commissione centrale prezzi — Do

manda di partecipazione di associazione di utenti — Rigetto — Illegittimità — Fattispecie (D. leg. 15 settembre 1947 n.

896, art. 5).

Contro il provvedimento con cui il presidente del comitato in

terministeriale prezzi ha respinto la richiesta del coordinamento

delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, per ottenere la nomina di propri

rappresentanti nella commissione centrale prezzi, sono legitti mati a proporre ricorso tanto il comitato stesso, quanto

li Foro Italiano — 1993.

le persone che aveva designato come propri rappresentanti. (1) Presentata da una associazione di utenti e consumatori doman

da per ottenere la nomina di propri rappresentanti nella com

missione centrale prezzi, il numero dei cui componenti non

è rigidamente prefissato, ne è illegittimo il rigetto, adottato

dal presidente del comitato interministeriale prezzi, in difetto di una deliberazione collegiale, e di una adeguata motivazio ne circa l'effettiva sussistenza delle circostanze addotte, rela

tivamente alla sufficienza della rappresentazione già esistente

degli interessi di tali categorie, e alla scarsa autonomia o di

versità di rappresentatività dell'istante. (2) Presentata dal Codacons domanda per ottenere la nomina di pro

pri rappresentanti nella commissione centrale prezzi, ne è ille

gittimo il rigetto motivato con le «. . . esperienze di autoridu

zione ...» di tale associazione, «. . . in stridente contraddi

zione con la normativa positiva che la commissione centrale

prezzi è tenuta a rispettare ed applicare», giacché l'associazione

(1-2) La sentenza affronta (ancora una volta) la vexata quaestio della

legittimazione al ricorso delle associazioni rappresentative di interessi superindividuali nonché delle organizzazioni sindacali contro i provve dimenti relativi all'accertamento del loro grado di rappresentatività e, conseguentemente, alla loro idoneità a far parte di organi collegiali pub blici; per riferimenti, cfr., recentemente, R. Ferrara, Interesse e legit timazione al ricorso - Ricorso giurisdizionale amministrativo, voce del

Digesto pubbl., Torino, 1992, Vili; Id., Interessi collettivi e diffusi - Ricorso giurisdizionale amministrativo, ibid. ; e, su aspetti particolari, Benini, Beni culturali e interessi diffusi, in Foro it., 1993, III, 100.

E, tale problema, sembra essere particolarmente complicato nel caso di specie, in quanto il d.leg. 15 settembre 1947 n. 896, in materia di

disciplina dei prezzi, non predefinisce in modo rigido la composizione della commissione centrale prezzi mentre, sotto altro profilo, a diffe renza di quanto capita per le associazioni che operano nel campo della difesa dell'ambiente (cfr. gli art. 13 e 18 1. 8 luglio 1986 n. 349, istituti va del ministero dell'ambiente, circa le associazioni di protezione am bientale a carattere nazionale riconosciute con decreto ministeriale e cui viene attribuita ex lege la possibilità di ricorrere, in sede di giurisdi zione amministrativa, per l'annullamento degli atti illegitimi), i soggetti collettivi esponenziali degli interessi dei cittadini-consumatori/utenti non si trovano in una posizione espressamente qualificata, in ragione di un

particolare ruolo riconosciuto loro da parte dell'ordinamento positivo (cfr., a questo proposito, R. Ferrara, Contributo allo studio della tu tela del consumatore. Profili pubblicistici, Milano, 1983, passim, ma

spec. 391 ss., anche in riferimento all'esperienza francese delle associa zioni c.d. classées, alla luce della legge Royer che pone criteri generali atti a favorirne il riconoscimento).

In questo quadro, in difetto di una norma generale, quale è quella rappresentata dal cit. art. 13 1. n. 349 del 1986, che canonizza alcuni

parametri generali per individuare le associazioni ambientalistiche meri tevoli di riconoscimento, ci si deve rifare ai principi e alle regole gene rali elaborati dalla giurisprudenza al fine di accertare, con ragionevole tranquillità, la sufficiente o maggiore rappresentatività di un'associa

zione, anche perché il provvedimento negativo dell'amministrazione de ve essere fornito di una congrua motivazione sul punto, ora a fortiori alla luce dell'art. 3 1. 7 agosto 1990 n. 241.

Si può anzi supporre che i predetti criteri e parametri debbano essere

preventivamente fissati (analogamente a quanto è ora espressamente di

sposto dall'art. 12 1. n. 241 del 1990, in materia di ausili finanziari

pubblici), al fine di rendere successivamente «misurabili» i conseguenti atti applicativi.

In questo senso, si possono orientativamente consultare, fra le tante, le seguenti decisioni che valgono a comporre un indirizzo giurispruden ziale sufficientemente consolidato: Cons. Stato, sez. VI, 9 ottobre 1991, n. 616, Foro it., Rep. 1991, voce Amministrazione dello Stato, nn. 114, 115; 30 gennaio 1991, n. 43, ibid., n. 117, ove si afferma principio per cui l'amministrazione non è tenuta a fornire alcuna spiegazione cir ca le scelte effettuate allorché l'atto di nomina sia vincolato dalla legge, risolvendosi la motivazione nella mera presa d'atto delle risultanze istrut

torie (ma tale asserzione deve oggi essere probabilmente rivista e corret

ta, alla luce del ricordato art. 3 1. n. 241 del 1990); sez. VI 11 gennaio 1990, n. 73, id., Rep. 1990, voce cit., nn. 102, 103; Trga Trento 29 settembre 1989, n. 356, ibid., n. 104, ove si ribadisce che il potere di

nomina compete pur sempre all'amministrazione, in quanto si risolve

nell'esercizio di un potere autoritativo; Trib. Napoli 15 febbraio 1988,

id., 1989, I, 625, con nota di richiami, ove la maggiore rappresentativi tà delle organizzazioni sindacali dei lavoratori del servizio sanitario na zionale è direttamente connessa alla loro qualità di «firmatarie» degli accordi nazionali di cui all'art. 47 1. n. 833 del 1977, cui adde Cons.

Stato, sez. VI, 15 aprile 1987, n. 277, id., 1988, III, 20, con nota di

richiami di R. Ferrara, ove si dichiara l'illegittimità del provvedimen to di costituzione di una commissione pubblica in difetto dell'indicazio ne dei criteri in base ai quali sono stati individuati i componenti della

commissione stessa, in rappresentanza di più organizzazioni sindacali.

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