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decreto 12 maggio 2006; Pres. Domanico, Rel. Zamagni; X (Avv. Quieti, Tarricone) c. Y (Avv. Cadrega,...

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decreto 12 maggio 2006; Pres. Domanico, Rel. Zamagni; X (Avv. Quieti, Tarricone) c. Y (Avv. Cadrega, Eramo) Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 2203/2204-2211/2212 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23202125 . Accessed: 24/06/2014 21:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.20 on Tue, 24 Jun 2014 21:50:10 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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decreto 12 maggio 2006; Pres. Domanico, Rel. Zamagni; X (Avv. Quieti, Tarricone) c. Y (Avv.Cadrega, Eramo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 2203/2204-2211/2212Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202125 .

Accessed: 24/06/2014 21:50

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2203 PARTE PRIMA 2204

che la ricostruzione ermeneutica operata dal giudice delle

leggi — condotta, ovviamente, alla luce dei parametri costitu

zionali invocati: diritto alla tutela giurisdizionale e principio di

ragionevolezza —

può essere integralmente condivisa dal colle

gio, sia perché essa non collide né con la littera (art. 647, 1°

comma, primo periodo, c.p.c.) né con la ratio complessiva del

l'art. 647; sia perché, seguendo l'opinione prevalente in dottrina

e giurisprudenza — secondo la quale l'opposizione a decreto

ingiuntivo introduce, attraverso il meccanismo proprio dell'im

pugnazione (del decreto stesso), un ordinario processo di cogni zione — la fattispecie in esame, sotto il profilo processuale spe cificamente considerato — che attiene esclusivamente alle con

dizioni, in presenza delle quali, il decreto ingiuntivo diviene

«esecutorio» (cfr. art. 656 c.p.c.) e, in particolare, alla possibi lità di rinnovare l'opposizione a decreto ingiuntivo, viziata o

non seguita da rituale costituzione in giudizio dell'opponente, in

pendenza del termine per proporla — è analogicamente assimi

labile a quelle prefigurate dagli art. 358 («L'appello dichiarato

inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche

se non è decorso il termine fissato dalla legge») e 387 («Il ricor

so dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere ri

proposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge»)

c.p.c., a fondamento dei quali sta il principio della consumazio

ne dell'impugnazione, come, secondo il consolidato orienta

mento di questa corte, siffatto principio opera solo dopo che sia

intervenuta la dichiarazione di inammissibilità o di improcedi bilità dell'appello o del ricorso per cassazione e non preclude,

prima che sia intervenuta tale dichiarazione ed ovviamente in

pendenza dei relativi termini, la possibilità di rinnovare valida

mente l'impugnazione, così l'atto di opposizione a decreto in

giuntivo (che, sotto il profilo specificamente considerato, può essere assimilato ad una vera e propria «impugnazione» dal de

creto stesso), invalido o non seguito da rituale costituzione in

giudizio dell'opponente, può essere rinnovato in pendenza del

termine fissato nel decreto ai sensi dell'art. 641 c.p.c.; che, diversamente opinando, potrebbero effettivamente porsi

seri dubbi di illegittimità costituzionale dell'art. 647, 1° comma,

c.p.c., per violazione degli art. 3, 1° comma, e 24, 1° comma,

Cost., nella misura in cui l'opponente a decreto ingiuntivo si

troverebbe ad essere privato, senza alcuna giustificazione «con

nessa alle esigenze di celerità tipiche del procedimento monito

rio», della possibilità di utilizzare pienamente il termine di leg

ge per l'esercizio dal proprio diritto alla tutela giurisdizionale e

ad essere giuridicamente trattato, senza alcuna ragionevole giu stificazione, in modo diverso rispetto alle analoghe situazioni

previste dai su richiamati art. 358 e 387 c.p.c.; sicché, di fronte

a siffatta alternativa ermeneutica, al giudice è imposto di optare

per l'interpretazione dell'art. 647 c.p.c. conforme a Costituzio

ne;

che, nella specie, i giudici d'appello — ancorché abbiano

frainteso il motivo di impugnazione, che si fondava su principi conformi a quelli in questa sede affermati; e sebbene abbiano

illegittimamente rimesso la causa al Tribunale di Cuneo al di

fuori delle ipotesi di cui agli art. 353 e 354 c.p.c., con un capo di

pronuncia peraltro non fatto oggetto di impugnazione in questa sede — hanno, tuttavia, correttamente annullato l'ordinanza del

Tribunale di Cuneo del 29 marzo 2000, con la quale il giudice di primo grado aveva dichiarato improcedibile l'opposizione ed

esecutivo il decreto opposto per mancata, tempestiva costituzio ne in giudizio della società Edilvetta; sicché, di fatto, sarà lo

stesso tribunale ad uniformarsi ai predetti principi.

Il Foro Italiano — 2006.

TRIBUNALE PER I MINORENNI DI MILANO; decreto 12

maggio 2006; Pres. Domanico, Rei. Zamagni; X (Avv. Quie ti. Tarricone) c. Y (Avv. Cadrega, Eramo).

TRIBUNALE PER I MINORENNI DI MILANO;

Competenza civile — Figli naturali — Affidamento e man

tenimento — Competenza per materia (Disp. att. cod. civ.,

art. 38; 1. 8 febbraio 2006 n. 54, disposizioni in materia di se

parazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, art.

4).

I provvedimenti inerenti all'affidamento dei figli naturali, al

l'esercizio della potestà, nonché al mantenimento dei figli stessi e agli altri profili economici conseguenziali, rientrano

nella competenza per materia del tribunale ordinario, e non

del tribunale per i minorenni, inforza della l. 54/06. ( 1 )

(1) I. - Il decreto in rassegna prende posizione su una delle principali questioni suscitate dalla recente 1. 8 febbraio 2006 n. 54, disposizioni in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli: l'individuazione del giudice competente per l'affidamento dei figli na turali riconosciuti, nonché per i provvedimenti conseguenziali, anche economici. Cfr., in generale, Casaburi, I nuovi istituti di diritto di fa miglia: prime istruzioni per l'uso, in Giur. merito, ali. fase. 3 del 2006; Id., Dall'affidamento congiunto all'affidamento condiviso (nota a Cass. 20 gennaio 2006. n. 1202), in Foro it., 2006, I, 1406.

II. - L'assetto vigente, fino all'entrata in vigore della novella, preve deva — ma solo in linea di principio e tendenziale — l'equiparazione dei figli legittimi a quelli naturali (ma il codice civile continuava e continua a non contenere una disciplina unitaria della filiazione, in

quanto l'art. 261, per i figli naturali riconosciuti, «rinvia» ai diritti pre visti per i figli legittimi).

Ciò sul presupposto, fondato sull'art. 30 Cost., che il rapporto di co

niugio e quello di filiazione sono fondati su fatti diversi e indipendenti tra loro: da un lato l'atto di celebrazione del matrimonio, dall'altro la

procreazione: pertanto il diritto di ogni neonato ad essere educato, istruito e mantenuto dai propri genitori non ha un contenuto diverso a seconda che i genitori siano o meno uniti in matrimonio. I figli naturali allora (una volta riconosciuti, o a seguito di accertamento giudiziale) e

quelli legittimi hanno, nei confronti dei genitori, diritti qualitativamente e quantitativamente identici: in altri termini nulla rileva che il figlio sia cresciuto in una famiglia legittima, poi dissolta, ovvero fin dall'inizio in una famiglia di fatto (o, ancora, al di fuori di ogni famiglia).

Pure, l'affidamento dei figli, in caso di crisi e dissoluzione della

coppia convivente ma non coniugata (ed ovviamente in ipotesi di figli naturali riconosciuti di genitori che non hanno mai convissuto) non era

disciplinata compiutamente dalla legge. I figli naturali, allora, beneficiavano di garanzie ben inferiori a quelle

riconosciute ai figli legittimi in sede di separazione e divorzio; da qui la affermazione, costantemente riproposta in dottrina, che l'equiparazione tra figli naturali e legittimi non era ancora compiuta, quantomeno sotto il profilo, determinante, degli statuti processuali.

In altri termini alla tutela sostanziale, pressoché piena, dei figli natu rali, non si accompagnava una tutela giurisdizionale altrettanto soddi sfacente: la pari dignità tra figli legittimi e naturali si fermava sulla so

glia del codice di procedura. Una sia pur embrionale e sommaria tutela giurisdizionale per i figli,

nell'ipotesi di dissoluzione della famiglia di fatto, poteva comunque enuclearsi dagli art. 277, cpv., c.c. (in materia di sentenza che accerti la filiazione naturale) e soprattutto dall'art. 317 bis c.c., pur se questa norma è dettata in primo luogo per l'esercizio della potestà, e non af fronta partitamente il problema dell'affidamento dei figli nel caso in cui la convivenza tra i genitori entri in crisi, e si verifichi al riguardo un conflitto.

Si tendeva comunque ad affermare che il giudice (minorile) dovesse fare applicazione, per l'affidamento, ma anche per la determinazione

degli incontri con il genitore non affidatario, degli stessi principi indi cati dalla legge, e soprattutto elaborati dalla giurisprudenza, in materia di separazione e divorzio.

III. - Il profilo più problematico atteneva però al riparto di compe tenza tra il tribunale per i minorenni, quanto all'affidamento, all'eserci zio della potestà, alla determinazione degli incontri con il genitore non

affidatario, e il tribunale ordinario, limitatamente ai profili economici

(in primo luogo il mantenimento); v. Cass. 7 maggio 2004, n. 8760, id..

Rep. 2004, voce Competenza civile, n. 23; 8 marzo 2002, n. 3457, id..

Rep. 2002, voce cit., n. 42, secondo cui «competente a conoscere delle domande del genitore naturale di affidamento del figlio minore e di re

golamentazione del diritto di visita dell'altro genitore è il tribunale per i minorenni, mentre spetta al tribunale ordinario la competenza sulla domanda di contributo al mantenimento e di rimborso delle spese so stenute per il mantenimento del minore; trattandosi di competenza fun zionale, essa è inderogabile e non trovano applicazione le norme sulla connessione».

Ciò in forza dell'art. 38 disp. att. c.c., che attrae espressamente nella

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Premesso che con ricorso depositato in data 16 marzo 2006 la

sig. X ha chiesto a questo tribunale di disporre l'affidamento

esclusivo del minore alla madre, essendo venuta meno la convi

venza tra i genitori, e di prevedere le modalità di incontro tra il

minore ed il padre; di stabilire a carico del Y e in favore del mi

nore un assegno a titolo di mantenimento da corrispondere men

silmente alla ricorrente; di condannare il Y al pagamento di tutte

le spese, competenze e onorari del presente giudizio in caso di

opposizione; che con decreto del giudice delegato in data 1° aprile 2006,

assegnato alla ricorrente termine per la notifica del ricorso e del

competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti di cui all'art. 317 bis cit., riservando al tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non è espressamente prevista la competenza di una diversa autorità

giudiziaria. Tale riparto di competenza, pur se irrazionale e fonte, nella sostanza,

di una minorata tutela per i figli naturali, aveva trovato conferma anche nella giurisprudenza costituzionale; v. Corte cost. 30 dicembre 1997, n.

451, id.. 1998, 1, 1377: «è infondata la questione di legittimità costitu zionale degli art. 317 bis c.c. e 38 disp. att. c.c., nella parte in cui de volvono al tribunale ordinario, anziché a quello per i minorenni, la

competenza sulla domanda per la determinazione del contributo per il mantenimento del figlio naturale, dovuto da un genitore all'altro, in ri ferimento agli art. 3 e 30 Cost.».

Cfr., anche per altri riferimenti dottrinali e giurisprudenziali sui pro fili attinenti all'affidamento dei figli naturali prima della novella, Ca

saburi, L'affidamento e il mantenimento dei minori nella crisi della

famiglia legittima (separazione e divorzio) e della famiglia di fatto, in

AA.VV., Seminari di diritto di famiglia, Milano, 2005, 720. IV. - La 1. 54/06 ha inteso realizzare l'unificazione formale dei criteri

di affidamento dei minori, superando il frazionamento delle fonti (sepa razione, divorzio, figli naturali) precedentemente vigente.

Così infatti l'art. 4, 2° comma: «Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai fi

gli di genitori non coniugati». Le nuove disposizioni, sostanziali e processuali, trovano pertanto ap

plicazione diretta sia per la separazione (cui sono in primo luogo rife

rite) che per il divorzio, la nullità del matrimonio e i figli naturali rico nosciuti.

L'applicabilità al divorzio comporta l'abrogazione, tacita, dell'art. 6 1. 898/70, quale novellato dalla 1. 74/87; ovviamente nell'applicare la 1.

54/06 al divorzio, dove si legge «separazione» deve intendersi «scio

glimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio». La completezza delle previsioni contenute nella 1. 54/06 fanno ritene

re che l'abrogazione dell'art. 6 cit. sia totale; non pone poi problemi la

disciplina della nullità del matrimonio: l'art. 129, ultimo comma, c.c.

(diritti dei coniugi in buona fede) rinvia — per i provvedimenti che il

giudice adotta rispetto ai figli — all'art. 155 c.c.; si tratta di un rinvio

chiaramente formale, sicché il riferimento si estende senz'altro alla nuova disciplina introdotta dalla 1. 54/06 (per altro verso anche l'art. 128 c.c., matrimonio putativo, richiama per i figli nati o concepiti du rante il matrimonio dichiarato la stessa disciplina del matrimonio vali

do). V. - Le nuove norme trovano applicazione, come detto, anche con ri

ferimento all'affidamento dei figli di genitori non coniugati (quindi nell'ipotesi di crisi della famiglia di fatto, con l'avvertenza che i geni tori dei figli naturali riconosciuti possono non aver mai convissuto).

Si tratta di un ulteriore passo verso l'equiparazione dei figli naturali

a quelli legittimi, come detto tutt'altro che compiuta. La nuova legge, sul punto chiaramente lacunosa e tecnicamente im

perfetta, ha lasciato però immodificato l'art. 38 disp. att. cit., né ha pre cisato se — e in che misura — è abrogato l'art. 317 bis cit.

Soprattutto, per i figli naturali, la legge non ha, almeno espressa mente, concentrato la competenza a decìdere sull'affidamento e sui

profili economici connessi (ivi compresa l'assegnazione dell'abitazione

familiare, se vi è stato un pregresso rapporto di convivenza; v. Corte

cost. 13 maggio 1998, n. 166, Foro it.. Rep. 1998, voce Separazione di

coniugi, n. 55) presso uno stesso giudice, superando l'assurdo riparto fino ad ora operante, sopra esaminato.

La dottrina ha però subito manifestato l'opinione che tale concentra

zione sia sottesa alla stessa ratio della legge; inoltre, in un'ottica di ef

fettiva equiparazione tra i figli naturali a quelli legittimi, sembra pre valere l'opinione che tale concentrazione di competenza si sia realiz

zata a favore del tribunale ordinario.

Il tribunale per i minorenni resterebbe allora competente, non diver

samente che con riferimento ai figli legittimi, pur in pendenza di sepa razione o di divorzio, per l'adozione dei provvedimenti di cui agli art.

330 e 333 c.c. In tal senso il provvedimento in rassegna, che peraltro recepisce,

Il Foro Italiano — 2006.

decreto stesso al Y e termine a quest'ultimo per replica, è stata

fissata l'udienza dell'8 maggio 2006 per la trattazione della

questione preliminare relativa alla competenza; che con comparsa di costituzione e risposta depositata in data

2 maggio 2006 dal padre del minore, è stata eccepita, in via

preliminare, l'incompetenza funzionale di questo tribunale per l'entrata in vigore, il 16 marzo 2006, della 1. 8 febbraio 2006 n.

54; nell'ipotesi in cui il tribunale per i minorenni avesse ritenuto

la propria competenza, il Y ha chiesto il rigetto della domanda

di affidamento esclusivo proposta in quanto infondata e non

adeguatamente motivata ai sensi dei novellati art. 155 e 155 bis

talora alla lettera, l'iter argomentativo espresso da Zamagni-Villa,

Affidamento condiviso: quale competenza per i figli naturali, in

<www.minoriefamiglia.it>. La prima autrice, d'altronde, è il giudice relatore/estensore del decreto milanese (di cui, peraltro, risulta esten sore anche il presidente del collegio decidente); non sfugge, d'altron

de, la impostazione (discutibilmente) dottrinale dello stesso, al punto che non mancano espressi riferimenti ad autori giuridici e note a piè di pagina (nonostante la previsione dell'art. 118, 3° comma, disp. att.

c.p.c.). Per la concentrazione della competenza presso il tribunale ordinario,

v. Bucci-Soldi, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2006, 148 (il primo autore è il presidente della sezione famiglia presso il Tri bunale ordinario di Roma).

Cfr., per ulteriori riferimenti, Casaburi, I nuovi istituti, cit., 43. VI. - L'eventuale concentrazione della competenza presso il giudice

ordinario lascia in ogni caso irrisolta la questione del rito applicabile. Prima della riforma la domanda di assegno di mantenimento per il fi

glio naturale (come quella di regresso per le somme già erogate, nonché

per l'assegnazione della casa familiare) era proposta con il rito ordina

rio; era peraltro ammesso, in via d'urgenza, anche ante causam, il ri corso al procedimento ex art. 700 c.p.c.

La 1. 54/06 è però riferita al procedimento ex art. 706 ss. c.p.c., non ché — per il divorzio — ex 1. 898/70, entrambi profondamente modifi cati dalla 1. 80/06. Nonostante l'integrale applicazione delle nuove di

sposizioni, anche quanto ai profili processuali, ai figli naturali, non sembra che le domande in oggetto (affidamento, mantenimento, ecc.)

possano essere avanzate con ricorso, non essendo oltretutto configura bile una udienza presidenziale per l'adozione dei provvedimenti prov visori ed urgenti. Né, d'altronde, in caso di accordo tra i genitori natu

rali, è stato configurato — allo stato — un procedimento di omologa

(pur se tali accordi comunque dovranno essere sottoposti al controlio

giudiziario). Da qui ulteriori profili di minorata tutela dei figli naturali, perduranti

anche in caso dì concentrazione della competenza presso il giudice or

dinario, e quindi la opportunità di un ulteriore intervento legislativo. Per altro verso va segnalato che la stessa Corte costituzionale, attra

verso un procedimento di «ingegneria normativa» ha esteso, ai figli naturali, garanzie processuali proprie dei figli legittimi, nell'ambito dei

procedimenti di separazione e di divorzio. Cfr. così Corte cost. 18

aprile 1997, n. 99, Foro it., 1998. I, 3074, che ha escluso l'incostituzio nalità dell'art. 156, 6° comma, c.c., nella parte in cui escluderebbe che

il provvedimento di sequestro ivi previsto possa essere disposto anche in favore di un figlio naturale riconosciuto, in riferimento agli art. 3, 1°

e 2° comma, e 30 Cost., ciò in quanto — secondo la corte — la disposi zione impugnata trova applicazione anche nelle controversie concer nenti il mantenimento dei figli naturali.

Da qui allora la possibilità, in via interpretativa, quantomeno di poter conseguire, in caso di sopravvenienze, la modifica dei provvedimenti relativi all'affidamento e al mantenimento di figli naturali con il duttile

procedimento dell'art. 710 c.p.c. VII. - In senso contrario al provvedimento in rassegna, per la con

centrazione sì della competenza, ma in capo al tribunale per i minoren

ni, si è pronunciato, ma solo implicitamente, e comunque senza parti colare motivazione, Trib. min. Trento, decr. 11 aprile 2006, pres. ed

est. Spina, <www.minoriefamiglia.it>. In dottrina, per la competenza esclusiva del giudice minorile, si è os

servato che l'abrogazione dell'art. 317 bis, oltretutto problematica e

non integrale, non avrebbe fatto venir meno la competenza del giudice

specializzato, perché il rinvio di cui all'art. 38 cit. è formale, ed è quin di ora riferito alle nuove disposizioni in materia di affidamento, di cui

alla 1. 54/06. Proprio il rinvio di cui all'art. 4 1. cit., anzi, varrebbe a

fondare la concentrazione innanzi al tribunale per i minorenni di tutte le

attribuzioni relative ai minori, anche con riferimento ai profili econo

mici. Cfr. Padalino, L'affidamento condiviso dei figli naturali, ibidr.

Dosi, Le nuove norme sull'affidamento e sul mantenimento dei figli e il

nuovo processo di separazione e di divorzio, relazione al convegno di

Roma del 29 maggio 2006 a cura dell'Associazione nazionale magi strati sul tema: «Affido condiviso: verso una prassi condivisibile». [G.

Casaburi]

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2207 PARTE PRIMA 2208

c.c., ritenendo in ogni caso l'incompetenza funzionale del tribu

nale per i minorenni a decidere in relazione alle domande di ca

rattere economico; che in data 8 maggio 2006 sono stati sentiti i procuratori delle

parti, alla presenza della sola ricorrente X; il difensore di que st'ultima ha rinunziato alla domanda relativa al mantenimento, insistendo peraltro per la decisione nel merito della domanda di

affidamento del minore e regolamentazione dei rapporti con i

genitori, evidenziando come la 1. 54/06 non abbia abrogato l'art.

38 disp. att. c.c. che espressamente attribuisce alla competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dal

l'art. 317 bis c.c. Il difensore del Y si è riportato a quanto de

dotto in comparsa insistendo viceversa per l'accoglimento della

eccezione preliminare di incompetenza funzionale; in data 9 maggio 2006 il p.m. in sede ha chiesto dichiararsi

l'incompetenza funzionale del tribunale per i minorenni, rite

nendo la competenza del tribunale ordinario a seguito dell'en

trata in vigore della 1. n. 54 cit., il cui art. 4, 2° comma, estende

anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati

l'applicazione delle disposizioni della legge stessa, e dunque della normativa di cui agli art. 155 ss. c.c. novellati. Tale arti

colato farebbe venir meno, per incompatibilità, gran parte delle

disposizioni di cui all'art. 317 bis c.c.; tanto premesso, il tribunale osserva: la 1. 8 febbraio 2006 n.

54 (disposizioni in materia di separazione dei genitori e affida

mento condiviso dei figli), che ha modificato l'art. 155 c.c., ha

inserito gli art. 155 bis, ter, quater, quinquies e sexies ed ha

modificato gli art. 708 e 709 bis c.p.c., è entrata in vigore il 16

marzo 2006, giorno in cui è stato depositato il ricorso in esame

e dunque trova piena applicazione nel caso di specie, sia con ri

ferimento agli aspetti sostanziali che processuali.

Un'interpretazione coerente e organica della novella, che ten

ga anche conto del sistema complessivo delle norme in materia

di potestà genitoriale e filiazione, induce questo tribunale a rite

nere che l'eccezione preliminare d'incompetenza funzionale

debba essere accolta.

Per effetto dell'art. 4, 2° comma, 1. cit. «le disposizioni della

presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, ces

sazione degli effetti civili, nullità del matrimonio, nonché ai

procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati». Vengo no pertanto uniformati i procedimenti relativi all'esercizio della

potestà sui figli naturali a quelli relativi ai figli legittimi non solo sotto il profilo sostanziale ma anche sotto il profilo proces suale, con un richiamo generale che modifica la disciplina sino

ad oggi applicata: «le disposizioni», quindi sia sostanziali che processuali, «della presente legge si applicano» (non, quindi, in

quanto compatibili) ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Ciò pone indubbiamente seri problemi interpre tativi con riferimento alle norme procedurali applicabili nel caso

di procedimenti relativi all'affidamento di figli naturali e, con

seguentemente, all'autorità giudiziaria competente a decidere.

E opportuno premettere che per la filiazione naturale l'art. 261 c.c. dispone che il riconoscimento comporta da parte del

genitore l'assunzione di tutti i doveri e diritti che ha nei con

fronti dei figli legittimi. Il riferimento è innanzitutto agli art.

147 c.c. e 148 c.c. che, nonostante siano posti nel capo IV del

titolo VI (del matrimonio), valgono per ogni rapporto di filia

zione. Le norme contenute nel titolo IX, specificamente dedi

cate alla potestà dei genitori, dettano le regole dell'esercizio di

tale potestà sia per i genitori coniugati che per i genitori naturali

(art. 316, 317 e 317 bis c.c.) regolamentando altresì l'intervento

dell'autorità giudiziaria, autorità da individuarsi pressoché esclusivamente nel tribunale per i minorenni per espresso ri

chiamo dell'art. 38 disp. att. c.c. Diversa disciplina è dettata per il caso in cui l'intervento dell'autorità giudiziaria in ordine al

l'esercizio della potestà sia determinato dalla domanda di sepa razione o divorzio (o scioglimento o annullamento del matrimo

nio). In tal caso infatti il legislatore ha attribuito la competenza a decidere in ordine all'esercizio della potestà sui figli legittimi all'autorità giudiziaria ordinaria, inserendo la relativa disciplina nell'art. 155 c.c. (art. 6 I. div.), richiamato dall'art. 317 c.c.

Per i figli naturali invece, la norma di riferimento è sempre stata unicamente l'art. 317 bis c.c.

Come pacificamente ritenuto in dottrina, la prima parte di tale

articolo disciplina una serie di situazioni di fatto che prescindo no e precedono l'intervento dell'autorità giudiziaria.

Il 1° comma si riferisce all'ipotesi in cui un solo genitore ab

bia riconosciuto il figlio con conseguente attribuzione a lui del

II Foro Italiano — 2006.

l'esercizio della potestà. In tal caso si prescinde dal criterio

della convivenza o meno del figlio con il genitore e l'esercizio

della potestà spetta pacificamente al genitore che lo ha ricono

sciuto.

Il 2° comma disciplina invece l'ipotesi di riconoscimento da

parte di entrambi i genitori: se i due genitori sono conviventi la

potestà spetta «congiuntamente» ad entrambi e si applicano le

disposizioni di cui all'art. 316 c.c. Si tratta di situazione del tutto analoga a quella dei figli legittimi per i quali la titolarità

della potestà coincide sempre con il suo esercizio sino ad even

tuale diversa pronuncia giudiziale (del tribunale per i minorenni

ex art. 330 ss.; del tribunale ordinario in sede di separazione o

divorzio). Si prevede poi la disciplina per i genitori non conviventi. In

tal caso diventa decisivo il criterio della convivenza del figlio naturale con il genitore. Se il minore convive con uno dei due

genitori l'esercizio della potestà spetta allo stesso. Per la meno

frequente ipotesi di non convivenza con nessuno dei due genito ri la potestà genitoriale è esercitata dal primo che ha effettuato il

riconoscimento. Al genitore che non esercita la potestà spetta

comunque il potere di vigilanza di cui all'ultimo comma della

norma.

Tale regolamentazione dell'esercizio della potestà da parte dei genitori naturali non conviventi prescinde dall'intervento

del giudice, cui il 2° comma dà però la possibilità di «disporre diversamente» nell'esclusivo interesse del figlio, attribuendo

quindi al tribunale per i minorenni, adito da uno dei genitori per la regolamentazione dell'esercizio della potestà, un potere deci

sorio del tutto speculare a quello posto in essere in caso di sepa razione e divorzio dall'autorità ordinaria (pur in assenza di ri

chiamo infatti i parametri di riferimento venivano infatti co

munque mutuati dagli art. 155 c.c. e 6 1. div.), tranne che per gli

aspetti patrimoniali. Questi ultimi infatti non trovano disciplina

specifica nell'art. 317 bis c.c., ma, in virtù del richiamo operato dall'art. 261 c.c., nell'art. 148 c.c. di competenza dell'autorità

giudiziaria ordinaria. L'art. 38 disp. att. c.c. prevede infatti la

competenza del tribunale ordinario per tutti i procedimenti per i

quali non è «espressamente» prevista la competenza di una di

versa autorità giudiziaria, escludendo pertanto la possibilità del

ricorso a interpretazioni estensive o analogiche.

Qualora i genitori naturali intendevano pertanto discostarsi

dalle soluzioni precostituite dall'art. 317 bis, e intendevano agi re per il contributo al mantenimento o assegnazione della casa

familiare dovevano adire due diverse autorità per vedere com

plessivamente regolato l'esercizio della potestà sui figli natura

li: il tribunale per i minorenni in ordine all'affidamento e al di

ritto di visita, il tribunale ordinario in ordine al mantenimento o

all'assegnazione della casa familiare.

Su tale quadro normativo si innesta la 1. 54/06 che, senza farsi

carico di intervenire capillarmente con abrogazioni o richiami

sulla complessiva normativa, ha utilizzato un richiamo diretto

all'applicabilità di tutte le disposizioni della legge anche ai pro cedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Sotto il profilo sostanziale, pertanto, il giudice adito dai ge nitori per la regolamentazione dell'esercizio della potestà dovrà, anche per i genitori non coniugati, fare riferimento agli art. 155

ss. c.c., e non più agli art. 317 bis e 148 c.c.

Tale richiamo comporta che parte del contenuto dell'art. 317

bis c.c., relativa all'ipotesi di intervento del giudice su istanza

dei genitori, è stato assorbito dalle nuove disposizioni, trattan

dosi di norme assolutamente incompatibile con la novella. Non

può infatti ritenersi che il giudice, nel caso di conflitto tra geni tori naturali sull'affidamento dei figli, possa «disporre diversa

mente» in base ad una valutazione ampiamente discrezionale

che ha come unico riferimento l'interesse esclusivo del minore, dovendosi invece rigorosamente attenere alla «griglia» argo mentativa di cui agli art. 155 ss. c.c. come novellati dalla 1.

54/06. L'art. 317 bis c.c. resta invece in vigore per le ipotesi di uni

co riconoscimento, per quelle di convivenza dei genitori che ab

biano entrambi riconosciuto, ovvero per i casi in cui, pur in as

senza di convivenza, i genitori non adiscano l'autorità per ri

chiedere la regolamentazione dell'esercizio della potestà. Per

questo l'art. 38 disp. att. c.c. non è stato opportunamente

espressamente abrogato. Si tratta di disciplina fondamentale per tutti i contrasti extragiudiziari che si verifichino tra i genitori (si

pensi ad esempio a quando uno dei due genitori chiede l'inter

vento dei servizi sociali, delle forze dell'ordine o dell'istituzio

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ne scolastica, perché è insorto un contrasto con l'altro genitore. Mancando un provvedimento dell'autorità giudiziaria il sog

getto istituzionale è comunque in grado di risolvere il conflitto

verificando la situazione di fatto con riferimento ai parametri dettati dall'art. 317 bis c.c.).

Non c'è dubbio pertanto che la normativa sostanziale appli cabile sia oggi unica ma il legislatore nulla ha detto in ordine a

quale sia l'autorità giudiziaria competente ad applicarla, autorità

prima sdoppiata come sopra ricordato.

La 1. 54/06 prevede una disciplina unitaria che si riferisce al

l'affidamento dei figli, al diritto di visita nonché al manteni

mento e all'assegnazione della casa: pertanto anche in relazione

ai genitori non coniugati la nuova normativa non sembra più consentire la scissione delle competenze, superando le difficoltà

che la precedente normativa aveva creato ai genitori naturali co

stretti ad adire diversi tribunali con evidente dilatazione di tem

pi e costi.

Emerge infatti dalla lettura dell'articolato la volontà del legis latore di concentrare le decisioni. Al 2° comma dell'art. 155 c.c.

si prevede che il giudice oltre a disporre sull'affidamento fissa

«altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contri

buire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione

dei figli». Evidente e manifesta è la necessità di una decisione

contestuale. E sempre contestuale deve essere la decisione sul

l'assegnazione della casa di cui all'art. 155 quater c.c., visto

che «dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori». Inoltre l'assegno periodi co va determinato considerando: 1) le attuali esigenze del figlio;

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza

con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun

genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la

valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da

ciascun genitore. Non sembra pertanto possibile scindere le de

cisioni relative all'affidamento da quelle relative alle questioni economiche con riferimento ai figli di genitori naturali.

Appare evidente, a parere di questo tribunale, la volontà di

una disciplina unitaria e di una decisione contestuale, essendo

unica la norma sostanziale di riferimento. Ciò comporta che la

divisione di competenze sino ad oggi esistente in relazione ai

procedimenti relativi ai figli naturali (avanti al tribunale per i minorenni per i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e avanti al tribunale ordinario per le domande di contenuto eco

nomico) è venuta meno.

Occorre quindi verificare quale sia l'autorità giudiziaria com

petente ad applicare la nuova disciplina nel caso di figli di ge nitori non coniugati, tenendo conto delle norme processuali contenute nella legge che determinano l'individuazione del rito

applicabile. Su tale ultimo punto non può infatti trascurarsi che

l'art. 4, 2° comma, 1. 54/06 richiama integralmente le norme

precedenti tanto sostanziali che processuali, senza neppure la

clausola «in quanto compatibili», e che queste ultime presup

pongono l'innesto su un rito ben preciso che è quello di cui agli art. 706 ss. c.p.c. Non sembra infatti condivisibile l'affermazio

ne di alcuni commentatori secondo la quale le norme proces suali della legge si innesterebbero, per i procedimenti relativi ai

figli di genitori non coniugati, sulla procedura camerale e ciò in

quanto l'art. 2 della legge intitolato «modifiche al codice di

procedura civile» contiene disposizioni che si inseriscono come

nuovi commi o come nuovi articoli all'interno della disciplina del capo I del titolo II del libro IV c.p.c. che quindi presuppon

gono. L'alternativa è pertanto quella di ritenere che la competenza

spetti integralmente o al tribunale per i minorenni ovvero al tri

bunale ordinario, ferma l'applicazione in tutti i casi del proce dimento di cui agli art. 706 ss. c.p.c.

A favore della prima tesi si sottolinea, da parte della ricor

rente, che non vi è stata una modifica espressa della competenza del tribunale per i minorenni con riferimento ai genitori naturali, non essendo stato modificato l'art. 38 disp. att. c.c. nella parte in cui richiama l'art. 317 bis c.c. Tale tesi, che sembra presup

porre che l'art. 317 bis c.c. assorba in sé la disciplina sostan

ziale dettata dalla nuova legge, non sembra fondata, al di là

della difficoltà di ritenere che oggi l'art. 317 bis ricomprenda in

sé una summa di altre disposizioni nel caso in cui l'intervento

del giudice sia attivato da uno dei genitori: l'art. 155, l'art. 155

bis e sexies (non comunque il ter, il quater e il quinquies). Si deve infatti osservare che sia il nuovo art. 155 che l'art. 4

Il Foro Italiano — 2006.

1. 54/06 nella parte in cui richiama «le disposizioni della pre sente legge», non sono richiamati dall'art. 38 disp. att. c.c., mentre sarebbe necessario, come già sottolineato, un richiamo

espresso per escludere la competenza del tribunale ordinario.

Inutili o fuorvianti paiono i richiami ai lavori preparatori. Dalla lettura degli stessi emerge che non vi è stato alcun reale

approfondimento del problema relativo alla competenza né può trarsi alcun orientamento interpretativo.

Non si ritiene inoltre dirimente né rilevante il richiamo al

l'espressione «procedimenti relativi ai figli di genitori non co

niugati» di cui all'art 4. Alcuni commentatori hanno osservato

che se il legislatore avesse voluto attribuire al tribunale ordina

rio la competenza, avrebbe stabilito l'applicabilità delle nuove

disposizioni anche ai «figli» di genitori non coniugati e non ai

«procedimenti», relativi ai figli di genitori non coniugati, rite

nendo che con tale espressione si sia voluto sottolineare l'inten

zione del legislatore di riferirsi ai «procedimenti già esistenti

aventi ad oggetto l'affidamento e l'esercizio della potestà pa rentale sui figli naturali e, quindi ai procedimenti di cui agli art.

317 bis e 336 c.c., già di competenza del tribunale per i mino

renni» (cfr. C. Padalino, L'affidamento condiviso dei figli na

turali, 2006, 6). Peraltro tale tesi trascura che alla luce della riforma sono in

dividuabili almeno sei distinti procedimenti, alcuni nuovi, altri

modificati sicché deve ritenersi che a tali procedimenti voglia riferirsi il richiamo contenuto nella disposizione finale della

legge. Tali procedimenti sono: — art. 155 c.c. e 706 ss. c.p.c.: separazione dei genitori; — art. 155 bis c.c. e 710 c.p.c.: opposizione all'affidamento

condiviso; — art. 155 ter c.c. e 710 c.p.c.: modifiche al provvedimento

di separazione; — art. 155 quater c.c. e 710 c.p.c.: modifica in materia di as

segnazione della casa; — art. 155 quinquies c.c.: disposizioni per i figli maggioren

ni; — art. 709 ter, 2° comma, c.p.c.: sanzioni, successive alla

separazione, per violazione delle condizioni di separazione. Come si vede non tutti i procedimenti concernono questioni

relative all'affidamento (ed in particolare assegnazione casa,

mantenimento, applicazioni di sanzioni al coniuge inadempien

te), ed un procedimento non riguarda il figlio minorenne. Si

tratta pertanto di vari «procedimenti» tutti applicabili ai figli di

genitori non coniugati. Deve altresì rilevarsi che l'individuazione nel tribunale per i

minorenni dell'organo competente determinerebbe una serie di

problemi non facilmente risolvibili in tema di rito. Laddove si richiama l'applicazione ai figli naturali delle «di

sposizioni della presente legge» non si fa alcuna distinzione tra

parte sostanziale e parte processuale che presuppone, come so

pra già detto, l'applicazione delle norme di cui agli art. 706 ss.

c.p.c. Non risulta però chiaro come si possa adattare tale procedura

senza stravolgere la natura del tribunale per i minorenni, e so

prattutto superare il dettato dell'art. 38 disp. att. c.c. che preve de che per tali procedimenti (e quindi anche per il 317 bis c.c.

così come ampliato nell'interpretazione qui non condivisa) si

provveda «in camera di consiglio sentito il pubblico ministero», conclusione incompatibile con la dettagliata procedura regolata

dagli art. 706 ss. c.p.c. Né si ritiene di poter adattare in questo caso volontaria giuris

dizione e natura contenziosa del rito. Si fa riferimento a quanto occorso in relazione al procedimento di cui all'art. 269 c.c. per il quale le sezioni unite della Cassazione (5629/96, Foro it.,

1996, I, 3070) hanno confermato la natura camerale del proce dimento pur con gli adattamenti necessari a garantire le parti in

ordine alla competenza per territorio, al diritto di difesa e di

prova, all'applicazione dei termini ordinari previsti dagli art.

325 e 327 c.p.c. In tal caso infatti la Suprema corte ha ritenuto

di potere/dovere affermare l'applicabilità del rito camerale, pur con gli opportuni adattamenti, alla tutela giurisdizionale dei di

ritti soggettivi, mentre nel caso in esame sarebbe necessario ab

bandonare il rito camerale al fine di applicare il rito di cui agli art. 706 ss. c.p.c. da parte di un organo, il tribunale per i mino

renni, che ha una specifica composizione, la cui peculiarità,

quanto alla presenza dei giudici onorari, è stata più volte sotto

lineata dalla Corte costituzionale come fondamentale all'interno

delle decisioni di competenza di questa autorità giudiziaria (cfr.

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PARTE PRIMA

Corte cost. 222/83, id., 1983, I, 2062 «la tutela dei minori si

colloca così tra gli interessi costituzionalmente garantiti, come

questa corte ha sottolineato in varie pronunzie (sentenze n. 25

del 1965, id., 1965, I, 936; nn. 16 e 17 del 1981, id., 1981, I, 601); e il tribunale per i minorenni, considerato nelle sue com

plessive attribuzioni, oltre che penali, civili e amministrative, bene può essere annoverato tra quegli 'istituti' dei quali la re

pubblica deve favorire lo sviluppo e il funzionamento, così

adempiendo al precetto costituzionale che la impegna alla 'pro tezione della gioventù'. A conferma di tale configurazione stan

no la particolare struttura del collegio giudicante (composto, ac

canto i magistrati togati, da esperti, benemeriti dell'assistenza

sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), gli altri organi che ne prepa rano o fiancheggiano l'operato nonché le peculiari garanzie che

assistono l'imputato minorenne nell'iter processuale davanti al

l'organo specializzato». Cfr. altresì Corte cost. 451/97, id.,

1998,1, 1377, e ord. 330/03, id., 2004,1, 329). Applicando la procedura di cui agli art. 706 ss. invece l'ap

porto dei giudici onorari verrebbe di fatto relegato alla fase fi

nale della decisione, attribuendo tali norme esclusivamente al

presidente prima e al giudice istruttore poi, un potere decisorio

sia in tema di provvedimenti provvisori che di istruttoria. La

presenza di un organo specializzato non avrebbe pertanto più senso alcuno.

Elemento ulteriore può desumersi dall'art. 708, 4° comma,

c.p.c. come novellato, che prevede che i provvedimenti provvi sori siano impugnabili innanzi alla «corte d'appello» senza al

cun riferimento alla sezione per i minorenni, presupponendo

quindi, per ognuno dei procedimenti individuati e disciplinato dalla nuova legge, la competenza del tribunale ordinario; diver

sa interpretazione sarebbe possibile se la legge avesse adottato

la stessa tecnica utilizzata nell'ultimo comma dell'art. 709 ter

c.p.c. dove si afferma che i provvedimenti sono impugnabili «nei modi ordinari». Se così fosse stato espresso si sarebbe po tuto ritenere operante comunque l'art. 38, 4° comma, disp. att.

c.c. ove si statuisce che quando il provvedimento è assunto dal

tribunale per i minorenni il «reclamo si propone davanti alla se

zione di corte d'appello per i minorenni». L'indicazione speci fica dell'art. 708, 4° comma, c.p.c., invece, porta ad escludere

che i provvedimenti impugnabili possano essere adottati dal tri

bunale per i minorenni.

E stata inoltre modificata la competenza per tutti i procedi menti ex art. 155 ter c.c. e 710 c.p.c., (compresi quelli relativi ai

figli di genitori non coniugati ex art. 4, 2° comma, della legge), da attribuirsi al tribunale del luogo di residenza del minore.

L'art. 710 c.p.c. è espressamente richiamato dall'art. 709 ter, 1°

comma, c.p.c. il quale ha innestato alcune modifiche alla disci

plina in atto ed ha introdotto una procedura del tutto nuova.

Nella prima parte si disciplina la soluzione delle controversie

insorte tra i genitori distinguendo tra l'ipotesi in cui sia pen dente un procedimento (per le quali è competente il giudice che

procede) e l'ipotesi in cui il giudizio di separazione sia esaurito. In quest'ultimo caso si prevede che la competenza sia del «tri

bunale del luogo di residenza del minore». Pertanto se in se

guito al provvedimento di separazione il minore ha cambiato re sidenza non sarà più competente il foro del convenuto. Il tribu nale di residenza del minore non può che essere il tribunale or dinario visto che le procedure ex art. 155 ter c.c. e 710 c.p.c. —

nonché le sanzioni e gli ammonimenti per il genitore inadem

piente dopo che si è esaurita la prima procedura di cui al 2°

comma dell'art. 709 ter c.p.c. — sono materia del tutto separata

(sia dal punto di vista sostanziale che procedurale) rispetto al

l'originario procedimento ex art. 155 c.c. e per la quale non vi è un richiamo dell'art. 38 disp. att.

Va osservato inoltre che appare irragionevole ritenere che

l'autorità ordinaria possa essere ritenuta competente per le mo

difiche di provvedimenti adottati dall'autorità minorile.

Ed altrettanto deve ritenersi quando uno dei due genitori ri

tiene di dover avviare il procedimento relativo all'attribuzione

della casa ai sensi dell'art. 155 quater a seguito del mutamento della situazione di fatto (nuovo matrimonio, nuova convivenza

more uxorio)', anche in tal caso si tratta di un procedimento di

modifica dei provvedimenti già in precedenza adottati, e per il

quale si applica l'art. 710 c.p.c. e quindi il foro della residenza del minore con relativo mancato richiamo da parte dell'art. 38

disp. att. Né può certo ritenersi la competenza del tribunale per i

minorenni per i figli maggiorenni (art. 155 quinquies). Il Foro Italiano — 2006.

Non può infine sottacersi che l'individuazione nel tribunale

ordinario del giudice competente evita finalmente ai genitori non coniugati la necessità di fare riferimento ad un tribunale di

strettuale con tutte le conseguenze in ordine ai tempi e costi dei

relativi spostamenti. Le considerazioni che precedono portano a ritenere più linea

re e sistematicamente coerente l'interpretazione che individua

quale unico giudice competente il tribunale ordinario.

Non vi sono motivi che possano indurre a ritenere come con

traria al sistema tale ipotesi ed è evidente che l'individuazione

dell'unico giudice competente nel tribunale ordinario non pone alcun problema in punto di rito. Tale soluzione interpretativa of

fre invece la possibilità di parificare effettivamente l'intervento

dell'autorità giudiziaria con riferimento ai genitori naturali e le

gittimi, superando una non più tollerabile disparità di tratta

mento, esigenza questa assai sentita.

A prescindere dal tipo di filiazione, legittima o naturale, i ge nitori si rivolgeranno al tribunale ordinario in tutti i casi in cui

sia richiesta la regolamentazione dell'esercizio della potestà

(con riferimento anche agli aspetti economici) e al tribunale per i minorenni in tutti i casi, diversi da quello indicato, in cui sia

necessario l'intervento dell'autorità giudiziaria per il controllo

dell'esercizio della potestà. Non si tratta certo di situazione nuova e non si ravvisano par

ticolari problemi di confine tra intervento del tribunale per i mi

norenni ed il tribunale ordinario perché si tratta di questione già nota e ampiamente trattata dalla giurisprudenza in relazione ai

figli legittimi per i quali — nel previgente testo — si riteneva

che l'art. 333 c.c., laddove richiama la tutela dei figli minori ri

spetto ad un ipotizzato pregiudizio, enuncia una situazione ri

compresa anche tra i presupposti della disciplina di cui agli art.

155, 1° comma, c.c. (vecchio testo) e 6 1. 898/70 (e successive

modifiche), atteso il richiamo ivi contenuto all'interesse morale

e materiale della prole (e quindi anche l'art. 710 c.p.c. che ri

chiama l'art. 155 c.c.). Tali norme avevano medesimo contenuto, pur prevedendo

fattispecie distinte, individuabili in astratto. In particolare si ri

teneva che mentre l'art. 333 c.c. presuppone la convivenza dei

genitori (essendo irrilevante l'esistenza del vincolo di coniugio) ovvero la loro separazione di fatto, gli art. 155 c.c., 710 c.p.c. e

6 1. 898/70 presupponevano l'esistenza di un giudizio di separa zione o divorzio (o di modifica delle corrispondenti condizioni), ovvero di una sentenza che li avesse definiti, incidendo sul vin

colo matrimoniale. L'art. 333 c.c. è stato così applicato soltanto

nei casi di coniugi non separati legalmente, ovvero di genitori

separati di fatto (indipendentemente dall'esistenza del vincolo

di coniugio), mentre per le altre fattispecie si è ritenuto che fos

se presupposto quantomeno la pendenza di una causa di separa zione o divorzio, o di modifica delle corrispondenti condizioni

(in questo senso, v. Cass. 11 aprile 1997, n. 3159, id., Rep. 1997, voce Competenza civile, n. 37), e quindi, in pendenza di

un simile giudizio, la competenza del tribunale per i minorenni

permaneva solo in relazione ad accertamenti e pronunce riguar danti la titolarità della potestà sui figli minori, stante la sua

competenza esclusiva in materia di provvedimenti ablativi della

potestà parentale sulla prole ai sensi dell'art. 330 c.c.

Dopo la novella tale orientamento deve essere esteso ai figli naturali una volta che uno dei due genitori attivi il procedimento contenzioso in materia di esercizio della potestà (richiesta di af

fidamento dei figli, regolamentazione dei rapporti con i genitori e conseguenti questioni di carattere economico).

In conclusione sembra doversi ritenere che il legislatore abbia

inteso dare per la prima volta una disciplina unitaria ai procedi menti in materia di filiazione naturale instaurati da uno dei ge nitori nei confronti dell'altro al fine di veder regolato, in tutti i

suoi aspetti, l'esercizio della potestà, parificando l'intervento

giudiziario, sotto il profilo sostanziale, processuale e di compe tenza, a quello previsto per i figli di genitori coniugati. La disci

plina fuoriesce, per così dire, dall'ambito dell'art. 317 bis c.c.

che rimane in vigore per le parti residue.

In accoglimento della eccezione proposta dal resistente il tri

bunale ritiene pertanto la propria incompetenza funzionale es

sendo competente il Tribunale ordinario di Milano.

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