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decreto 16 novembre 2002; Pres. ed est. Di Lalla; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c. Soc....

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decreto 16 novembre 2002; Pres. ed est. Di Lalla; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c. Soc. coop. Porcellane di Monopoli (Avv. Leone, Balena) Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 931/932-939/940 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197979 . Accessed: 28/06/2014 17:54 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.116 on Sat, 28 Jun 2014 17:54:54 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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decreto 16 novembre 2002; Pres. ed est. Di Lalla; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c.Soc. coop. Porcellane di Monopoli (Avv. Leone, Balena)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 931/932-939/940Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197979 .

Accessed: 28/06/2014 17:54

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PARTE PRIMA 932

l'accoglimento della domanda, quantomeno nell'an, salvo poi valutare il quantum.

Si rende pertanto necessario promuovere il giudizio della

Corte costituzionale.

II

(Omissis). 4. - Affermata, quindi, la necessità del deposito dell'estratto del foglio di mappa nel caso in esame, questo giu dice deve prendere in esame la richiesta di rimessione in termini

ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c. effettuata dal difensore del cre

ditore procedente all'udienza fissata ai sensi dell'art. 172 disp. att. c.p.c.

La Corte di cassazione ha lucidamente rilevato come, vero è

che l'art. 184 bis c.p.c., nella sua formulazione attuale, consente

alla parte che dimostri di essere incorsa in decadenze per causa

ad essa non imputabile, di chiedere al giudice di essere rimessa

in termini, ma che detta norma riguarda le sole ipotesi in cui le

parti costituite siano decadute dal potere di compiere determi

nate attività difensive nell'ambito della causa in trattazione, mentre non è invocabile per le situazioni esterne allo svolgi mento del giudizio per le quali vige, tuttora, la regola dell'im

prorogabilità dei termini perentori di cui all'art. 153 c.p.c. (cfr. Cass. 27 agosto 1999, n. 8999, Foro it., Rep. 1999, voce Proce

dimento civile, n. 247). La natura eccezionale della disposizione in esame, poi, non consentirebbe di applicare detta disposizione al processo di impugnazione (cfr. Cass. 25 maggio 1998, n.

5197, id., Rep. 1998, voce Cassazione civile, n. 256).

Orbene, quanto affermato dalla Suprema corte in ordine all'i

napplicabilità a situazioni non inquadrabili nello svolgimento di

un giudizio risulta essere del tutto conforme alla ratio dell'isti

tuto della rimessione in termini, che — come chiarito in dottrina — nasce dall'esigenza di assicurare la garanzia costituzionale di

effettività del contraddittorio in quei casi in cui la decadenza sia

dovuta ad un impedimento non imputabile, cioè non evitabile

con un comportamento diligente. In verità, la preordinazione stessa dell'istituto a garantire il

contraddittorio dovrebbe portare ad affermare l'inapplicabilità al processo di esecuzione solo laddove si aderisse all'orienta

mento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 24 luglio 1993, n. 8293, id., Rep. 1994, voce Esecuzione forzata in gene re, n. 48), peraltro condiviso da autorevole dottrina, secondo cui

il principio in parola rimarrebbe estraneo al processo esecutivo.

Anche laddove si ritenga —

più correttamente, ad avviso di

questo giudice, e concordemente da quanto affermato da recente

e migliore dottrina — che il principio del contraddittorio, da ri

tenere indefettibile corollario dell'esercizio del potere giurisdi zionale, soprattutto alla luce del nuovo testo dell'art. 111 Cost., debba necessariamente avere cittadinanza anche nel processo di

esecuzione, ciò non di meno deve negarsi la possibilità di di

sporre una rimessione in termini del creditore procedente per

l'integrazione della documentazione non depositata nel termine

perentorio di legge. Deve, infatti, tenersi costantemente in con

siderazione che oggetto del processo esecutivo in quanto tale

non è un diritto controverso, ma il bene del debitore che viene

assoggettato ad espropriazione. Vero è che, come dice autorevolissima e brillante dottrina, «le

teorìe che escludono il contraddittorio dall'esecuzione perché questa presuppone uno 'squilibrio' tra le parti trascurano di

considerare che quella disuguaglianza riguarda il risultato e lo

scopo del processo esecutivo, il quale ben può essere improntato — nell'iter formativo dei provvedimenti strumentali alla realiz

zazione di quel risultato — all'opposto principio della parità» e

che «la consapevolezza delle implicazioni della costruzione, ex

positivo iure, dell'esecuzione come processo comporta il rifiuto

delle teorie che ritengono concepibile il contraddittorio nell'at

tività giurisdizionale dichiarativa ed organizzato secondo le

modalità ordinarie», ma inevitabilmente nel processo di esecu

zione il rispetto di detto principio deve essere attuato in forme

necessariamente diverse da quelle proprie del processo ordinario di cognizione. In buona sostanza, proprio perché non si tratta di

accertare diritti e obblighi delle parti — e laddove ciò di fatto

avvenga, è solo in via per così dire sommaria e comunque non

definitiva, riservata ogni contestazione e, conseguentemente,

ogni e più ampia possibilità di contraddittorio, ad altra fase, che

rientra nell'ambito della cognizione — o di condannare, ma ap

II Foro Italiano — 2003.

punto di controllare che il soddisfacimento del diritto di credito

fatto valere avvenga nel rispetto delle norme previste dall'ordi

namento, in una situazione che non può che essere di «legittima

diseguaglianza», poiché ha origine e giustificazione proprio nelle pregresse vicende formative del titolo esecutivo, nel pro cesso esecutivo il contraddittorio viene assicurato attraverso

quel livello solo apparentemente minimale che, oggetto delle

citate pronunce della Cassazione, è stato escluso. In altri termi

ni, deve garantirsi — e, a ben vedere, le norme del codice del

1940 in gran parte garantiscono — la necessità che le parti del

processo e, principalmente, il debitore esecutato, vengano messi

in condizione di conoscere le «domande» proposte nei suoi con

fronti e di interloquire nelle fasi processuali in cui sulle stesse si

decide.

Nel caso di specie, quindi, in cui l'attività da svolgere entro il

termine perentorio scaduto non è finalizzata a consentire che le

parti giungano all'accertamento di una verità processuale, poi ché il processo esecutivo stesso ha fondamento proprio su un

atto ricognitivo di un diritto «certo», ma ha solo funzione di im

pulso, deve condividersi — alla luce del diritto positivo — l'o

pinione della giurisprudenza di legittimità secondo cui non può non trovare applicazione il divieto di cui all'art. 153 c.p.c.

Conseguentemente, la domandata rimessione in termini al fi

ne di produrre il foglio di mappa deve dichiararsi inammissibile.

I

TRIBUNALE DI BARI; decreto 16 novembre 2002; Pres. ed

est. Di Lalla; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c. Soc. coop. Porcellane di Monopoli (Avv. Leone, Balena).

TRIBUNALE DI BARI; i

Procedimenti cautelari — Inosservanza delle disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tribunale —

Disciplina (Cod. proc. civ., art. 21, 669 ter, disp. att. cod.

proc. civ., art. 83 ter, r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento

giudiziario, art. 48 quater).

L'art. 83 ter disp. att. c.p.c., che disciplina l'inosservanza delle

disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tri

bunale, trova applicazione con riferimento ai procedimenti cautelari e il presidente del tribunale, cui sia stata rimessa la

causa per la ritenuta inosservanza di tali disposizioni, ove

ravvisi il tempestivo rilievo del vizio e la sussistenza dello

stesso, deve rimettere la causa al giudice «competente» per la

valutazione degli effetti prodotti dal suddetto vizio sugli atti

nel frattempo posti in essere (nella specie, decreto di autoriz

zazione al sequestro). (1)

(1-3) Le pronunce si segnalano per essersi soffermate su taluni pro blemi posti dalla istituzione del giudice unico di primo grado con rife rimento ai procedimenti cautelari.

La seconda di esse, peraltro, si segnala altresì per essere ritornata sulla dibattuta questione relativa alla natura ed alle conseguenze del vi zio determinato dalla inosservanza delle disposizioni relative al riparto delle controversie fra sede principale del tribunale e sezioni distaccate, nonché fra queste ultime.

Su quest'ultimo profilo la Cassazione, con sentenza 14 giugno 2001, n. 8025 (Foro it., 2002,1, 1122, con nota di E. Fabiani, Sui rapporti fra sede principale del tribunale e sezioni distaccate dello stesso e su

quelli fra sezioni distaccate) ha avuto modo di ritenere che: «le que stioni riguardanti la ripartizione delle cause tra sede principale del tri bunale e sezioni distaccate dello stesso non si pongono in termini di

competenza territoriale ma di organizzazione interna dell'unico ufficio sulla base di disposizioni la cui violazione appartiene alla tipologia delle invalidità concernenti la costituzione del giudice, disciplinate non come nullità insanabili bensì come vizi da accertarsi in limine mediante uno speciale subprocedimento che sfocia in una pronuncia ordinatoria sottratta ai mezzi di gravame ordinari ed insuscettibile, perciò, di venire

impugnata con il regolamento di competenza». Il Tribunale di Bari, con la seconda delle due pronunce in epigrafe,

aderisce chiaramente, nella sostanza, a tale impostazione, pur critican do la citata sentenza della Cassazione nella parte in cui, pur ritenendo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

II

TRIBUNALE DI BARI; ordinanza 11 novembre 2002; Giud.

Labellarte; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c.

Soc. coop. Porcellane di Monopoli (Avv. Leone, Balena).

Procedimenti cautelari — Inosservanza delle disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tribunale —

Disciplina (Cod. proc. civ., art. 21, 669 ter; disp. att. cod.

proc. civ., art. 83 ter, r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, art. 48

quater). Procedimenti cautelari — Ricorso «ante causam» — Deposi

to — Sede principale del tribunale (Cod. proc. civ., art. 669

ter).

L'art. 83 ter disp. att. c.p.c., che disciplina l'inosservanza delle

disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tri

bunale, trova applicazione con riferimento ai procedimenti cautelari ma detta inosservanza non determina alcuna nulli

tà. (2) Il ricorso cautelare ante causam deve essere depositato, ai sensi

dell'art. 669 ter, 4° comma, c.p.c., presso la cancelleria della

sede principale del tribunale anche qualora il merito della

causa debba essere trattato da un giudice addetto ad una se

zione distaccata. (3)

I

Vista l'ordinanza 11 novembre 2002 (che segue), con la quale il giudice designato ha rimesso gli atti al presidente del tribu

nale per i provvedimenti a norma dell'art. 83 ter disp. att. c.p.c.; ritenuto che la disposizione dell'art. 83 ter cit. si applichi a

tutti i procedimenti a decisione monocratica — esclusi quelli che per espressa previsione normativa o tabellare debbano trat

tarsi presso la sede centrale — e quindi anche ai procedimenti cautelari;

considerato che la controversia, cui attiene la domanda cau

telare, rientra nel novero degli affari da trattarsi presso la sezio

ne distaccata di Monopoli, nella cui circoscrizione è ricompreso il luogo in ragione del quale sarebbe determinata la competenza

per territorio (art. 48 quater ord. giud.); ritenuto in particolare che, essendo la domanda di merito, cui

è collegata l'istanza cautelare, preordinata a conseguire, come

specificato in ricorso, la restituzione del complesso aziendale

per inadempimento da parte della s.r.l. Porcellane di Monopoli

degli obblighi derivanti dal contratto di «comodato precario oneroso», il luogo in cui resterebbe radicata l'ordinaria compe tenza per territorio (assunta come parametro per la distribuzione

degli affari tra le sezioni dello stesso tribunale) è in ogni caso, in relazione alle qualificazioni astrattamente possibili del rap

porto (comodato, affitto di azienda, contratto atipico a preva lente causa locativa), il territorio di Monopoli quale luogo di u

bicazione dell'immobile o dell'azienda, sulla base del criterio di

competenza territoriale di cui all'art. 21 c.p.c., come modificato

dall'art. 52 d.leg. 51/98;

inapplicabile al vizio in esame la nullità di cui all'art. 158 c.p.c., lo

qualifica comunque come vizio di costituzione del giudice. Sul punto, e dunque sulla natura e sulle conseguenze del vizio deter

minato dalla inosservanza delle disposizioni relative al riparto delle controversie fra sede principale del tribunale e sezioni distaccate, non ché fra queste ultime, si rinvia, anche per ampi riferimenti dottrinali, alla citata nota di E. Fabiani.

Più in generale, sui problemi in tema di competenza posti dalla istitu zione del giudice unico di primo grado, cfr. Giacalone, Giudice unico e

competenza, e Ancora su giudice unico e competenza: tra punti fermi e

questioni aperte, in Giust. civ., 2000,1, 993 e 1327. Sul diverso profilo relativo ai problemi posti dalla istituzione del

giudice unico con riferimento ai procedimenti cautelari, v., per tutti, in

dottrina, Olivieri, Il giudice unico di primo grado nel processo civile

(tribunale monocratico e collegiale, sede principale e sezioni distac

cate), id., 1998, II, 463 ss., spec. 478; Id., Giudice unico di primo gra do, voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 2001, aggiornamento V, 483 ss., spec. 502 s.; Damiani, in Cipriani (a cura di), Istituzione del

giudice unico di primo grado e processo civile, in Nuove leggi civ., 2000, spec. 215 s.; Luiso, Una vicenda (e un provvedimento) abnorme, in Giust. civ.. 2001, I, 232; in giurisprudenza, Trib. Napoli 27 giugno 2000, Giur. napoletana, 2000, 377; Trib. Lucca, ord. 2 ottobre 2000, Foro it.. Rep. 2001, voce Procedimento civile, n. 46, e Giust. civ., 2001,1, 231.

Il Foro Italiano — 2003.

considerato che il vizio attinente all'assegnazione del proce dimento è stato tempestivamente rilevato dal giudice origina riamente designato;

ritenuto che la questione relativa agli effetti del vizio riguardo al decreto di autorizzazione al sequestro debba essere esaminata

dal giudice della sezione di Monopoli; visto l'art. 83 ter, 2° comma, disp. att. c.p.c.;

per questi motivi, assegna la causa al giudice della sezione

distaccata di Monopoli, ordinando la trasmissione del fascicolo

alla sezione stessa.

II

E necessario delibare, preliminarmente, le eccezioni in rito

sollevate dalla resistente.

Essa sostiene: — che, poiché il compendio sequestrato è costituito da un'a

zienda sita in Monopoli, ai sensi degli art. 21, 669 ter c.p.c. e 48

quater ord. giud., sarebbe «competente» territorialmente in or

dine alla domanda cautelare, il giudice addetto alla sezione di

staccata di Monopoli del Tribunale di Bari, essendo il foro indi

viduato dall'art. 21 cit., esclusivo ed inderogabile (art. 447 bis

c.p.c.); — che non è invocabile l'art. 24 1. fall., inapplicabile alla

procedura del concordato preventivo, anche per la mancanza del

nesso di derivazione tra la predetta procedura concorsuale e la

domanda cautelare.

La resistente, inoltre, pur conscia del particolare regime det

tato dall'art. 83 ter disp. att. c.p.c. (relativo alla ripartizione de

gli affari tra sede principale e sezioni distaccate e tra sedi di

staccate) — diverso da quello della incompetenza in senso tec

nico — ritiene che detta norma sia inapplicabile alla materia

cautelare (in relazione alla quale, a mente dell'art. 28 c.p.c.,

l'incompetenza territoriale è inderogabile e la relativa violazio

ne è rilevabile ex officio dal giudice). La tesi dell'inapplicabilità dell'art. 83 ter fa leva sul dato

letterale della norma, secondo cui la violazione dei criteri di ri

partizione interna degli affari può essere rilevata non oltre la

«udienza di prima comparizione», dal che si desumerebbe che la

ridetta disposizione attuativa del codice di rito è applicabile solo

al giudizio cognitivo pieno. Ciò posto, la Porcellane di Monopoli assume che il vizio re

lativo alla violazione dei criteri di ripartizione degli affari non

può che condurre all'immediata revoca del sequestro concesso, inaudita altera parte, da questo giudice designato.

La procedura concorsuale ricorrente ha replicato che: — non è affatto vero che l'art. 83 ter sia inapplicabile alla

materia cautelare (essendo, invece, applicabile in via diretta o — in subordine — in via analogica), con la conseguenza che

spetta al presidente del tribunale decidere se la procedura cau

telare debba essere decisa dal giudice che egli stesso ha desi

gnato, ovvero dal giudice della sezione distaccata di Monopoli; —

quand'anche il presidente optasse per tale ultima soluzio

ne, tutti gli atti compiuti sinora sarebbero validi e spetterebbe al

giudice della predetta sezione distaccata deliberare in ordine alla

revoca, conferma o modifica del decreto di sequestro già emes

so; — non è pacifica l'applicabilità, in via esclusiva, dell'art. 21

c.p.c. in riferimento al forum rei sitae.

È opportuno partire dall'esame dell'art. 21 c.p.c. Certamente questa è la norma applicabile, a seguito della sua

modifica operata dall'art. 52 d.leg. 51/98, dal momento che essa

individua nel giudice ove è posto l'immobile, quello territorial

mente competente, con riguardo alle cause relative alla materia

del comodato d'immobili ed all'affitto di aziende.

Pertanto, sia che il contratto inter partes si qualifichi come

comodato precario oneroso, sia che lo si qualifichi affitto d'a

zienda, territorialmente competente è il giudice del luogo (nella

specie Monopoli) ove è posto l'immobile.

E, inoltre, esatto il rilievo della resistente, secondo cui si

tratta di foro esclusivo (Cass. 17 dicembre 1991, n. 13594, Foro

it., Rep. 1991, voce Competenza civile, n. 95). La sentenza 28 marzo 2001, n. 4503 della Cassazione (id.,

2001, I, 2209) — citata dalla ricorrente a sostegno della tesi

dell'inapplicabilità dell'art. 21 c.p.c. — non è conferente, per

ché essa riguarda l'ipotesi particolare di contratto di sfrutta

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PARTE PRIMA 936

mento di una cava di pietra, certamente diversa da quella qui in

esame.

Inoltre, seguendo tale tesi, la novella dell'art. 21 sarebbe del

tutto svuotata di significato. Ciò posto, occorre verificare quali conseguenze derivino dal

fatto che la domanda cautelare sia stata proposta davanti al Tri

bunale di Bari, in relazione al diverso luogo (Monopoli) ove si

trova l'immobile oggetto del contratto.

Le alternative sono, in realtà, due: — se si applica l'art. 83 ter disp. att. c.p.c., il procedimento

va trasmesso al presidente del tribunale, il quale, con decreto

non impugnabile, decide se la causa deve essere trattata in sede

centrale, ovvero se deve essere trattata in sede distaccata; — se l'art. 83 ter non si applica, l'art. 21 c.p.c. non sarebbe

violato, perché Monopoli rientra nell'ambito del circondario del

Tribunale di Bari ed è del tutto evidente che la competenza ter

ritoriale stricto sensu, cui fa riferimento l'art. 21 c.p.c., è solo

quella afferente i rapporti tra due o più uffici giudiziari distinti.

Nella specie, invece, si tratta di rapporti tra sede centrale di

un ufficio giudiziario e sede distaccata del medesimo ufficio

(Cass., sez. un.. 10 febbraio 1994, n. 1374, id., 1994,1, 1401; 14

giugno 2001, n. 8025, id., 2002,1, 1122). Pertanto, se si optasse per l'inapplicabilità dell'art. 83 ter, la

competenza territoriale resterebbe radicata nel Tribunale di Ba

ri.

Inoltre, non sembra accoglibile la tesi della resistente, secon

do cui, vi sarebbe, comunque, un vizio per violazione dell'art.

48 quater ord. giud., anche ritenendo inapplicabile l'art. 83 ter.

Infatti, detta ultima norma e l'art. 48 quater hanno alla base

la medesima ratio ed hanno un senso solo all'interno del siste

ma del giudice unico di primo grado. Invero, l'art. 83 ter è stato introdotto dall'art. 128 d.leg.

51/98, mentre l'art. 48 quater dall'art. 15 di detto decreto.

La resistente fonda il proprio assunto sul dato letterale del

l'art. 48 quater, secondo cui: «Nelle sezioni distaccate sono

trattati gli affari civili ... quando il luogo in ragione del quale è

determinata la competenza per territorio rientra nella circoscri

zione delle sezioni medesime», con la conseguenza che, il com

binato disposto di cui agli art. 21 c.p.c. e 48 quater comporte rebbe l'incompetenza territoriale del Tribunale di Bari.

Così non è, perché la locuzione «competenza per territorio»

di cui all'art. 48 quater non può essere intesa in senso tecnico, ma nel senso di individuazione dell'articolazione territoriale

delle sezioni distaccate, in rapporto alla sede centrale.

In definitiva, l'art. 48 quater detta i criteri di ripartizione in

terna degli affari, mentre l'art. 83 ter disciplina le conseguenze della violazione di quei medesimi criteri.

L'art. 83 ter, infatti, stabilisce: «L'inosservanza delle dispo sizioni di ordinamento giudiziario relative alla ripartizione tra

sede principale e sedi distaccate o tra diverse sedi distaccate ...

è rilevata non oltre l'udienza di prima comparizione». Ma la disposizione di ordinamento giudiziario cui fa riferi

mento l'art. 83 ter è proprio l'art. 48 quater. In definitiva, o dette due norme si applicano entrambe, ovve

ro non si applicano affatto, ma è assolutamente improponibile

l'interpretazione secondo cui sarebbe applicabile solo l'art. 48

quater che, letto insieme all'art. 21 c.p.c., condurrebbe all'in

competenza territoriale del Tribunale di Bari.

Ciò detto, va rilevato che certamente l'art. 83 ter è applica bile anche ai procedimenti cautelari, come ritiene parte della

dottrina (i cui autori non possono essere citati ex art. 118, 3°

comma, disp. att. c.p.c.) e come ha già statuito in un provvedi mento, così massimato: «In seguito alla istituzione delle sezioni

distaccate di tribunale, le domande cautelari (tipiche o atipiche) ante causam vanno proposte esclusivamente innanzi a tale uffi

cio, ove innanzi a quest'ultimo dovrà radicarsi l'eventuale suc

cessiva azione di merito, sempre che non esistano criteri di col

legamento con la sede centrale del tribunale (e sempre che si

tratti di controversia per la quale non è prevista riserva di colle

gialità). Tuttavia, non trattandosi di questione di competenza, il

giudice designato — ove riscontri l'assenza di criteri di colle

gamento con il proprio ufficio — non deve dichiararsi territo

rialmente incompetente, ma trasmettere il procedimento al pre sidente del tribunale perché provveda (nella specie, una doman

da cautelare a tutela di un modello di utilità e per conseguire la

repressione della competenza sleale era stata proposta innanzi al

Tribunale di Napoli, sede centrale, e non presso la sezione di

II Foro Italiano — 2003.

staccata nel cui ambito territoriale si era verificato l'illecito)»

(Trib. Napoli 27 giugno 2000; in senso analogo, in tema di rap

porti tra organi dello stesso ufficio in materia cautelare, Trib.

Bari 20 ottobre 1993, id., 1994, I, 231; lo stesso principio, se

pure nel sistema anteriore all'introduzione del procedimento cautelare uniforme, è stato affermato da Cass. 21 maggio 1980, n. 3347, id., Rep. 1980, voce cit., n. 185, secondo cui: «La que stione di competenza interna nell'ambito di un medesimo uffi

cio relativamente all'assegnazione delle cause attiene all'ordi

namento dell'ufficio stesso ed assume esclusivo carattere am

ministrativo in quanto la ripartizione interna delle cause è di

retta al fine di realizzare una migliore distribuzione del lavoro e

non incide sulla competenza dell'ufficio mantenendo inalterata

l'unità funzionale dei poteri giurisdizionali di esso. Pertanto,

poiché l'erronea ripartizione dei compiti tra giudici dello stesso

ufficio, in violazione di specifiche norme di legge, non coinvol

ge una questione di competenza in senso proprio, ma comporta un vizio procedurale denunciabile con i normali rimedi di impu

gnazione, non è proponibile il regolamento di competenza av

verso l'ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c. da un pretore non

competente per la causa di merito, in atto pendente davanti allo

stesso ufficio, ma presso altro giudice»). Né può valere ad escludere l'applicabilità dell'art. 83 ter il

fatto che il limite temporale posto dalla legge per rilevare l'i

nosservanza delle disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni

distaccate, è costituito dall'udienza di prima comparizione, che

non c'è nei procedimenti cautelari.

La norma, infatti, va intesa nel senso che detta udienza segna il termine ultimo per il rilievo, ma ciò non significa affatto che

l'eccezione non possa essere rilevata in un momento anteriore, come nell'ipotesi di domanda cautelare proposta ante causam.

La norma, infatti, non dice «all'udienza di prima comparizio ne», ma dice «non oltre l'udienza di prima comparizione».

Sono, a tal proposito, assolutamente fondati i rilievi della ri

corrente, la quale ha replicato che: — ai sensi dell'art. 48 ter ord. giud., l'istituzione, soppres

sione, o modifica delle circoscrizioni delle sedi distaccate è di

sposta con decreto del ministro della giustizia, di concerto col

ministro del tesoro, sì che — ove, nella specie, si trattasse di

questione di competenza stricto sensu — sarebbe violato l'art.

25 Cost, sulla precostituzione per legge del giudice naturale, dal

momento che il decreto ministeriale richiesto dall'art. 48 ter ha

carattere amministrativo e non legislativo; — moltissime norme sul processo di cognizione sono certa

mente applicabili anche ai procedimenti cautelari (art. 38, 39, a

mò di esempio), sì che il riferimento alla prima udienza di com

parizione non esclude affatto che l'art. 83 ter sia applicabile an

che ai procedimenti cautelari.

Concludendo, quindi, sul punto, a mente dell'art. 83 ter, il

processo cautelare qui in esame va rimesso al sig. presidente del

tribunale, perché egli provveda, con decreto non impugnabile, o

ad assegnare l'affare al giudice della sezione distaccata di Mo

nopoli, ovvero a restituirlo a questo giudice designato, essendo

evidente che il profilo attinente alla violazione delle norme sulle

attribuzioni delle sezioni distaccate non solo non è manifesta

mente infondata, ma — anzi — ha un evidente fondamento.

La resistente, nelle note di replica depositate il 9 novembre

2002, ha esposto ulteriori argomenti a sostegno della propria te

si, i quali però non valgono a contrastare le conclusioni cui si è

testé pervenuti. La Porcellane di Monopoli, dopo avere richiamato l'attenzio

ne sul fatto che, anche in tema di rapporti tra sezioni dello stes

so ufficio, può parlarsi d'incompetenza stricto sensu (come nel

caso di rapporti tra sezioni «ordinarie» e sezioni specializzate

agrarie), ha evidenziato che, nei procedimenti cautelari, il legis latore adopera il termine «competenza» in senso stretto nei

rapporti tra magistrati del medesimo ufficio (come nel caso di

rapporti tra giudice istruttore competente per il rilascio di misu

re in corso di causa, e giudice della cautela richiesta ante cau

sam, nonché in tema di declaratoria d'inefficacia, di revoca o

modifica, o di attuazione della misura cautelare). Ciò è vero, ma il termine «competenza» adoperato dal legis

latore in detti casi, riguarda il profilo funzionale della compe tenza, del tutto distinto dal profilo territoriale della stessa, pro filo quest'ultimo che, invece, viene disciplinato proprio dall'art.

83 ter.

La resistente, inoltre, assume che, nella specie, il decreto di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sequestro sarebbe nullo, addirittura per vizio di costituzione del

giudice, sulla base di un suggestivo ragionamento, ma ricono

sce, expressis verbis, che manca una norma ad hoc che sanzioni

così radicalmente il vizio.

Tale tesi non è accoglibile perché, per il sol fatto che la resi

stente ammette che la nullità deriva non da una norma espressa, essa contrasta col principio di cui all'art. 156 c.p.c., per il quale un atto processuale è nullo nei soli casi previsti dalla legge.

E vero che la sentenza della Cassazione 8025/01 (citata da

entrambe le parti) fa riferimento ad un vizio di costituzione del

giudice, ma è anche vero che essa ha stabilito che si tratta di un

tipo sui generis di nullità, diverso da quello di cui all'art. 158

c.p.c., perché può essere rilevato solo in limine litis.

Inoltre, non convince affatto l'affermazione che detto vizio

comporta la nullità degli atti.

La fattispecie esaminata dalla Suprema corte riguardava pro

prio il profilo della ripartizione degli affari tra sede distaccata e

sede centrale e, sul punto, il Supremo collegio ha così motivato:

«In questi termini, l'assunto del giudice a quo si palesa del

tutto corretto, onde l'inammissibilità dell'istanza per regola mento di competenza proposta dai ricorrenti, atteso che, avuto

riguardo all'organizzazione strutturale ed operativa, le sezioni

distaccate non assumono le caratteristiche di ufficio autonomo

rispetto alla sede principale, la quale costituisce pur sempre il

solo ufficio giudiziario, cosicché le questioni riguardanti la ri

partizione delle cause tra le une e l'altra, rivestendo il carattere

di una mera suddivisione di affari e non di una distinzione tra

differenti sfere di attribuzione, non si pongono in chiave di

competenza territoriale, ma di organizzazione interna dell'unico

ufficio sulla base di disposizioni la cui violazione appartiene alla tipologia delle invalidità concernenti la costituzione del

giudice, disciplinate non come nullità insanabili bensì come vizi

da accertarsi in limine mediante uno speciale sub procedimento che sfocia in una pronuncia ordinatoria del giudice sottratta ai

mezzi di gravame ordinari ed insuscettibile, perciò, di venire

impugnata con il regolamento di competenza (Cass. 13 luglio 1993, n. 7694, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 124; 10 febbraio

1994, n. 1374, cit.; 26 ottobre 1994, n. 8776, id., Rep. 1994, vo

ce cit., n. 56; 1° ottobre 1997, n. 9582, id., Rep. 1997, voce cit., n. 180; 15 settembre 1999, n. 9824, id., Rep. 1999, voce cit., n.

28; 11 gennaio 2000, n. 194, id., Rep. 2000, voce cit., n. 64; 4

agosto 2000, n. 10243, id., 2001,1, 3320)». Infatti, posto che l'art. 83 ter non commina alcuna nullità, a

mente dell'art. 156 c.p.c., la sentenza 8025/01 è fondata su ar

gomentazioni sganciate da qualunque previsione normativa, in

quanto dà per scontato che si tratti di vizio di costituzione del

giudice, senza spiegare come possa conciliarsi tale affermazione

col fatto che nessuna nullità è comminata dall'art. 83 ter disp. att. c.p.c. o dall'art. 48 quater ord. giud.

Infatti, la norma che disciplina la nullità derivante da vizi re

lativi alla costituzione del giudice è l'art. 158 c.p.c., in relazione

al quale la Suprema corte ha stabilito che:

«Il difetto di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 del

codice di rito è ravvisabile unicamente quando gli atti giudiziari siano posti in essere da persone estranee all'ufficio e non inve

stite della funzione esercitata, mentre non è riscontrabile quando si verifichi una sostituzione tra giudici di pari funzione e pari

competenza appartenenti al medesimo ufficio giudiziario anche

se non siano state osservate al riguardo le disposizioni previste dal c.p.c. ovvero dalle norme sull'ordinamento giudiziario, co

stituendo l'inosservanza del disposto degli art. 174 stesso codi

ce e 79 delle relative disposizioni di attuazione, in difetto di

un'espressa sanzione di nullità, una mera irregolarità di caratte

re interno, che non incide sulla validità dell'atto e non è causa

di nullità del giudizio o della sentenza» (Cass. 12 novembre

2001, n. 14006, id., Rep. 2001, voce Procedimento civile, n.

40). Ancora, si è ritenuto che non costituisce motivo di nullità del

procedimento e della sentenza la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna al medesimo

ufficio giudiziario, pur in mancanza di un formale provvedi mento di sostituzione da parte del presidente del tribunale, per

ché, ai sensi del 1° comma dell'art. 156 c.p.c. la nullità di un

atto per inosservanza di forme non può esser pronunciata se non

è comminata dalla legge e pertanto è configurabile una mera ir

regolarità, inidonea a produrre alcuna conseguenza negativa su

II Foro Italiano — 2003 — Pane /-18.

gli atti processuali o sulla sentenza (Cass. 22 maggio 2001, n.

6964, ibid., n. 224). Inoltre, la giurisprudenza

— sul tema assolutamente assimila

bile dei rapporti tra sede centrale e sezioni distaccate di pretura — ha escluso l'applicabilità dell'art. 158 c.p.c.

Infatti, si è ritenuto che non può porsi una questione di com

petenza relativamente alla ripartizione dei poteri attribuiti ai

magistrati fra pretura circondariale e sezioni distaccate, assu

mendo la prima, alla luce della 1. 30/89, la competenza anche

per le cause radicate nei distaccamenti; pertanto, il mezzo tecni

co per rimettere una causa ad una sezione distaccata è fornito,

per analogia, dagli art. 426 e 427 c.p.c., mentre è inapplicabile l'art. 158 c.p.c. (fattispecie in tema di procedimento per conva

lida di sfratto, in ordine al quale è stata ritenuta, ferma restando

la competenza della pretura circondariale, l'attribuzione della

causa alla sezione distaccata del luogo in cui si trovava l'immo

bile locato, ai sensi dell'art. 661 c.p.c. e dell'art. 9 r.d. 30 di

cembre 1923 n. 2785) (Pret. Pistoia 20 marzo 1990, id., Rep. 1991, voce Competenza civile, n. 31; analogamente, Pret. Mon

za 15 marzo 1991, id., 1991,1, 2250). Vanno fatte, sul punto, due ultime considerazioni.

La prima è che, il 4° comma dell'art. 669 ter c.p.c., stabilisce

che il ricorso cautelare ante causam va presentato nella cancel

leria del presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione della causa.

La norma, non è stata modificata dal d.leg. 51/98 (salvo che

per l'abrogazione del riferimento al pretore dirigente), sì che

manca la previsione che, se per il merito la causa deve essere

trattata dal giudice addetto ad una sezione distaccata, il ricorso

va presentato nella cancelleria del predetto giudice.

Conseguentemente, la ricorrente — come dalla stessa eviden

ziato nella memoria depositata il 7 novembre 2002 — ha retta

mente presentato il ricorso cautelare nella cancelleria del Tribu

nale di Bari (invero, la prassi secondo cui, di fatto, i ricorsi

cautelari vengono presentati ugualmente presso le cancellerie

delle sezioni distaccate, non è sorretta da alcun dato normativo). Se così è, sarebbe assai grave far ricadere sulla ricorrente le

conseguenze della nullità degli atti, per un vizio cui essa non ha

dato causa, giacché è il presidente del tribunale che, ricevuto il

ricorso, avrebbe dovuto (a seguire la tesi della odierna resisten

te) trasmettere il fascicolo al giudice della sezione distaccata.

Nell'ordinanza 20 ottobre 1993 di questo tribunale {id., 1994,

I, 231), prima citata, si fa esplicitamente riferimento alla salva

guardia del principio per cui non possono farsi ricadere sulla

parte incolpevole, eventuali errori degli organi giudiziari. La seconda è che, se fosse fondata la tesi della resistente, la

nullità conseguirebbe solo se il presidente del tribunale rimet

tesse gli atti al giudice della sezione distaccata di Monopoli; se,

invece, li restituisse a questo giudice designato nessuna nullità

si sarebbe verificata (non potendosi sostenere che, con la resti

tuzione degli atti, questo giudice designato tratterebbe la do

manda cautelare, continuando ad emettere atti nulli, e giacché, con la restituzione degli atti il presidente avrebbe escluso la sus

sistenza del vizio). Se così è, la nullità degli atti dipenderebbe da un provvedi

mento ordinatorio, espressamente dichiarato non impugnabile dall'art. 83 ter più volte citato.

Tale conseguenza si commenta da sé.

In ogni caso, a tutto concedere, se vi fosse nullità (cosa che

deve sicuramente escludersi per tutto quello che si è detto), que sta non potrebbe essere dichiarata in questa sede, cioè prima che

il presidente del tribunale decida.

Infine, ove questo giudice designato dichiarasse nulli gli atti

ed il presidente del tribunale ritenesse di restituirli a questo giu dice designato, si verificherebbe una inammissibile anomalia,

giacché la declaratoria di nullità verrebbe travolta dal provve dimento presidenziale.

Si pone, a questo punto, la delicata questione della sorte del

decreto emesso da questo giudice designato inaudita altera

parte, nelle more della decisione del presidente del tribunale.

La ricorrente sostiene che sulla revoca, conferma o modifica

del decreto di sequestro provvederà il giudice designato dal pre sidente del tribunale, mentre la resistente assume che debba es

sere questo giudice designato a revocare il decreto, conseguendo la revoca al fatto che questo giudice designato si è spogliato dell'affare, nonché sulla base del principio che un provvedi mento può essere revocato solo dal giudice che lo ha emesso.

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939 PARTE PRIMA 940

Non consta che dottrina e giurisprudenza si siano mai occu

pate, ex professo, del tema, ma — sulla base dei principi gene rali in tema di procedimenti cautelari, ed anche sulla base di ar

gomentazioni logico-sistematiche —

questo giudice designato è

fermamente convinto che non si debba provvedere, in questa sede, alla revoca del decreto di sequestro.

In primo luogo, con la trasmissione del fascicolo al presidente del tribunale, questo giudice designato non si spoglia del proce dimento, potendo il presidente decidere nel senso di restituire

gli atti, senza trasmetterli alla sezione distaccata di Monopoli. Tale evenienza — non sindacabile in questa sede perché

qualsiasi sindacato invaderebbe la sfera di attribuzioni del pre sidente —

comporterebbe che, ove questo giudice designato re

vocasse, col presente provvedimento, il decreto, dovrebbe nuo

vamente decidere sulla sua revoca, conferma o modifica, una

volta superata l'eccezione preliminare. Tale conseguenza sarebbe contraria a tutti i principi. In secondo luogo, non può revocarsi in dubbio che è imma

nente, nel sistema, il principio per cui — una volta accordata la

cautela con decreto — non può esservi alcuno iato temporale tra

la fase cautelare decisoria senza contraddittorio e quella di con

ferma, revoca o modifica, all'esito del contraddittorio.

Le esigenze del ricorrente vittorioso (sia pure in via provviso ria) sarebbero del tutto frustrate se si disponesse la revoca della

cautela solo per questioni di rito, nell'ipotesi in cui, all'esito del

contraddittorio sul «merito» cautelare (intesa l'espressione in

senso atecnico, come contrapposta al «rito»), la cautela conces

sa inaudita altera parte venisse confermata.

Nelle more, il soccombente potrebbe — in astratto — sottrar

re, in tutto o in parte, il compendio sequestrato, con la grave

conseguenza che il provvedimento di conferma non servirebbe a

nulla.

Va, inoltre, aggiunto che, nel sistema, si rinviene una serie di

norme da cui si ricava il principio per cui le esigenze cautelari, una volta ritenute esistenti, prevalgono su ogni altro aspetto

processuale. Vi è, infatti, l'art. 48, 2° comma, c.p.c., il quale prescrive che,

durante la sospensione dei processi relativamente ai quali è

chiesto il regolamento di competenza, possono essere emessi

provvedimenti urgenti.

Analogo principio è stabilito dagli art. 298 e 304 c.p.c., ri

spettivamente, in tema di sospensione ed interruzione del pro cesso.

Ancora, l'art. 669 quater, 2° comma, c.p.c. ammette la possi bilità di emettere provvedimenti cautelari, quando il giudizio è

sospeso o interrotto.

Se il legislatore ha stabilito la prevalenza delle ragioni di ur

genza, anche nelle ipotesi in cui il processo cognitivo è sospeso o interrotto, a maggior ragione, deve ritenersi che una misura

cautelare già concessa, inaudita altera parte, debba conservare i

propri effetti (sino a che non si decida sulla sua revoca, confer

ma o modifica), quando sono stati violati i criteri di ripartizione interna degli affari nell'ambito del medesimo ufficio giudizia rio.

Se, poi, si volge lo sguardo al sistema giuridico in una pro

spettiva più ampia, ci si avvede che — in materia penale (nella

quale le misure cautelari hanno un'incidenza ben maggiore ri

spetto alla materia civile, incidendo sulla libertà personale, tan

t'è che la Costituzione tutela la detta libertà all'art. 13) — vi è

l'art. 27 c.p.p., per il quale le misure cautelari disposte dal giu dice dichiaratosi incompetente conservano efficacia, la quale cessa solo se il giudice dichiarato competente non provvede, nei

venti giorni dall'ordinanza declaratoria dell'incompetenza con

cui gli sono stati trasmessi gli atti, sulla misura cautelare.

Pertanto, il decreto di sequestro non va revocato da questo

giudice designato e sulla sua revoca, conferma o modifica prov vederà il giudice designato dal presidente del tribunale.

Il Foro Italiano — 2003.

TRIBUNALE DI IVREA; ordinanza 22 ottobre 2002; Giud.

Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa di

risparmio di Torino (Avv. Novo).

TRIBUNALE DI IVREA;

Procedimento civile — Decisione a seguito di trattazione

scritta — Causa d'interruzione — Notifica successiva al

l'udienza di precisazione delle conclusioni — Effetti —

Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 189, 190, 281 quinquies,

300).

Nei procedimenti da decidersi a seguito di trattazione scritta la

notifica, successiva all'udienza di precisazione delle conclu

sioni ma anteriore alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, ed il successivo deposito in cancel

leria di atto contenente la comunicazione di un evento inter

ruttivo comporta l'interruzione del processo (nella specie, con l'atto notificato il difensore aveva comunicato e docu

mentato l'avvenuta fusione per incorporazione chiedendo

l'interruzione; a seguito del deposito in cancelleria dell'atto

il giudice aveva invitato l'altra parte ad assumere posizione, nella propria memoria di replica, sull'istanza di interruzione,

poi pronunciata). (1)

(1)1. - In senso sostanzialmente conforme. Trib. Torino, ord. 5 mar zo 2002, Foro it., 2002, I, 3231, con ampia nota di richiami ed osserva zioni di M. Iozzo, alla quale si rinvia per indicazioni di precedenti e di dottrina sull'argomento.

Detto precedente, al pari di altri, ha ritenuto idonea a comportare l'interruzione del processo la dichiarazione dell'avvenuto fallimento della parte contenuta nella comparsa conclusionale, sul rilievo — con diviso anche dalla sentenza in rassegna — che al limite temporale della «chiusura della discussione davanti al collegio», di cui all'art. 300, ul timo comma, c.p.c., «deve equipararsi la scadenza del termine perento rio previsto per il deposito della memoria di replica, in quanto fino alla scadenza di tale termine permane l'esigenza di salvaguardare l'integrità del contraddittorio».

Sul rilievo — del tutto similare — che sino alla scadenza del termine

per il deposito della memoria di replica «la parte deve essere ancora

posta nelle condizioni di difendersi con l'assistenza ed il ministero di un difensore», sempre Trib. Torino, ord. 30 novembre 2001 (ibid., 697) ha dichiarato l'interruzione del processo in caso di morte del difensore

prima della scadenza del termine per il deposito delle memorie di repli ca (in tal caso della morte del difensore — che ai sensi dell'art. 301

c.p.c. rileva anche d'ufficio quale causa di interruzione, prescindendo dalla formale dichiarazione — era stato dato atto dal sostituto proces suale del defunto con dichiarazione depositata in cancelleria).

Nel caso dell'ordinanza in rassegna l'evento interruttivo, attinente la

parte e non il difensore, era stato notificato alla controparte (in stretta aderenza a quanto previsto dall'art. 300, 1° comma, c.p.c., in alternati va alla «dichiarazione in udienza») con atto poi depositato in cancelle

ria, non già dichiarato nella comparsa conclusionale. A seguito del deposito dell'atto in cancelleria, il giudice aveva invi

tato, con apposita ordinanza, la controparte ad assumere posizione sulla richiesta di interruzione nella propria memoria di replica; detta ordi nanza sembra riconducibile all'esercizio del potere di direzione del

procedimento di cui all'art. 175 c.p.c. che, nella specie, ha consentito lo

sviluppo di un effettivo contraddittorio sulla questione, altrimenti non

garantito dalla circostanza che l'evento interruttivo non era stato di chiarato dalla parte interessata nella propria comparsa conclusionale; in tal modo, invero, il giudice unico, constatata la pendenza del termine

per il deposito delle repliche, ha potuto contemperare l'esigenza di tu tela della parte interessata alla declaratoria di interruzione con quella di

rispetto del contraddittorio sulla relativa istanza.

E, tuttavia, il caso di rilevare che l'esercizio del potere d'ufficio è stato reso possibile, nella specie, dalla duplice circostanza che la parte controinteressata all'interruzione non aveva ancora depositato la pro pria memoria di replica e che la cancelleria aveva trasmesso al giudice, dopo il deposito, l'atto notificato contenente la dichiarazione dell'e vento interruttivo con relativa documentazione allegata.

E altresì da rilevare che, a cospetto della previsione dell'art. 300, 1°

comma, c.p.c., la notifica di apposito atto è l'unica modalità certamente rituale per dedurre la causa d'interruzione, in alternativa alla dichiara zione in udienza (che in casi assimilabili a quello della decisione in ras

segna non è, ovviamente, possibile): la giurisprudenza della Cassazio

ne, contrariamente a quanto ritenuto da Trib. Torino, ord. 5 marzo

2002, cit., non è univoca nel ritenere efficace la dichiarazione dell'e vento in conclusionale: depone, infatti, in senso favorevole, Cass. 27

gennaio 1984, n. 632, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 22, nel mentre, contrarie, v. le successive sentenze 22 gennaio 1993, n.

782, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 183, e 23 novembre 2000, n. 15131, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 378, che ribadiscono la necessità della di chiarazione in udienza o tramite specifico atto notificato.

Da ciò consegue che l'orientamento recepito (anche) dal provvedi

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