decreto 16 novembre 2002; Pres. ed est. Di Lalla; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c.Soc. coop. Porcellane di Monopoli (Avv. Leone, Balena)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 931/932-939/940Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197979 .
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PARTE PRIMA 932
l'accoglimento della domanda, quantomeno nell'an, salvo poi valutare il quantum.
Si rende pertanto necessario promuovere il giudizio della
Corte costituzionale.
II
(Omissis). 4. - Affermata, quindi, la necessità del deposito dell'estratto del foglio di mappa nel caso in esame, questo giu dice deve prendere in esame la richiesta di rimessione in termini
ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c. effettuata dal difensore del cre
ditore procedente all'udienza fissata ai sensi dell'art. 172 disp. att. c.p.c.
La Corte di cassazione ha lucidamente rilevato come, vero è
che l'art. 184 bis c.p.c., nella sua formulazione attuale, consente
alla parte che dimostri di essere incorsa in decadenze per causa
ad essa non imputabile, di chiedere al giudice di essere rimessa
in termini, ma che detta norma riguarda le sole ipotesi in cui le
parti costituite siano decadute dal potere di compiere determi
nate attività difensive nell'ambito della causa in trattazione, mentre non è invocabile per le situazioni esterne allo svolgi mento del giudizio per le quali vige, tuttora, la regola dell'im
prorogabilità dei termini perentori di cui all'art. 153 c.p.c. (cfr. Cass. 27 agosto 1999, n. 8999, Foro it., Rep. 1999, voce Proce
dimento civile, n. 247). La natura eccezionale della disposizione in esame, poi, non consentirebbe di applicare detta disposizione al processo di impugnazione (cfr. Cass. 25 maggio 1998, n.
5197, id., Rep. 1998, voce Cassazione civile, n. 256).
Orbene, quanto affermato dalla Suprema corte in ordine all'i
napplicabilità a situazioni non inquadrabili nello svolgimento di
un giudizio risulta essere del tutto conforme alla ratio dell'isti
tuto della rimessione in termini, che — come chiarito in dottrina — nasce dall'esigenza di assicurare la garanzia costituzionale di
effettività del contraddittorio in quei casi in cui la decadenza sia
dovuta ad un impedimento non imputabile, cioè non evitabile
con un comportamento diligente. In verità, la preordinazione stessa dell'istituto a garantire il
contraddittorio dovrebbe portare ad affermare l'inapplicabilità al processo di esecuzione solo laddove si aderisse all'orienta
mento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 24 luglio 1993, n. 8293, id., Rep. 1994, voce Esecuzione forzata in gene re, n. 48), peraltro condiviso da autorevole dottrina, secondo cui
il principio in parola rimarrebbe estraneo al processo esecutivo.
Anche laddove si ritenga —
più correttamente, ad avviso di
questo giudice, e concordemente da quanto affermato da recente
e migliore dottrina — che il principio del contraddittorio, da ri
tenere indefettibile corollario dell'esercizio del potere giurisdi zionale, soprattutto alla luce del nuovo testo dell'art. 111 Cost., debba necessariamente avere cittadinanza anche nel processo di
esecuzione, ciò non di meno deve negarsi la possibilità di di
sporre una rimessione in termini del creditore procedente per
l'integrazione della documentazione non depositata nel termine
perentorio di legge. Deve, infatti, tenersi costantemente in con
siderazione che oggetto del processo esecutivo in quanto tale
non è un diritto controverso, ma il bene del debitore che viene
assoggettato ad espropriazione. Vero è che, come dice autorevolissima e brillante dottrina, «le
teorìe che escludono il contraddittorio dall'esecuzione perché questa presuppone uno 'squilibrio' tra le parti trascurano di
considerare che quella disuguaglianza riguarda il risultato e lo
scopo del processo esecutivo, il quale ben può essere improntato — nell'iter formativo dei provvedimenti strumentali alla realiz
zazione di quel risultato — all'opposto principio della parità» e
che «la consapevolezza delle implicazioni della costruzione, ex
positivo iure, dell'esecuzione come processo comporta il rifiuto
delle teorie che ritengono concepibile il contraddittorio nell'at
tività giurisdizionale dichiarativa ed organizzato secondo le
modalità ordinarie», ma inevitabilmente nel processo di esecu
zione il rispetto di detto principio deve essere attuato in forme
necessariamente diverse da quelle proprie del processo ordinario di cognizione. In buona sostanza, proprio perché non si tratta di
accertare diritti e obblighi delle parti — e laddove ciò di fatto
avvenga, è solo in via per così dire sommaria e comunque non
definitiva, riservata ogni contestazione e, conseguentemente,
ogni e più ampia possibilità di contraddittorio, ad altra fase, che
rientra nell'ambito della cognizione — o di condannare, ma ap
II Foro Italiano — 2003.
punto di controllare che il soddisfacimento del diritto di credito
fatto valere avvenga nel rispetto delle norme previste dall'ordi
namento, in una situazione che non può che essere di «legittima
diseguaglianza», poiché ha origine e giustificazione proprio nelle pregresse vicende formative del titolo esecutivo, nel pro cesso esecutivo il contraddittorio viene assicurato attraverso
quel livello solo apparentemente minimale che, oggetto delle
citate pronunce della Cassazione, è stato escluso. In altri termi
ni, deve garantirsi — e, a ben vedere, le norme del codice del
1940 in gran parte garantiscono — la necessità che le parti del
processo e, principalmente, il debitore esecutato, vengano messi
in condizione di conoscere le «domande» proposte nei suoi con
fronti e di interloquire nelle fasi processuali in cui sulle stesse si
decide.
Nel caso di specie, quindi, in cui l'attività da svolgere entro il
termine perentorio scaduto non è finalizzata a consentire che le
parti giungano all'accertamento di una verità processuale, poi ché il processo esecutivo stesso ha fondamento proprio su un
atto ricognitivo di un diritto «certo», ma ha solo funzione di im
pulso, deve condividersi — alla luce del diritto positivo — l'o
pinione della giurisprudenza di legittimità secondo cui non può non trovare applicazione il divieto di cui all'art. 153 c.p.c.
Conseguentemente, la domandata rimessione in termini al fi
ne di produrre il foglio di mappa deve dichiararsi inammissibile.
I
TRIBUNALE DI BARI; decreto 16 novembre 2002; Pres. ed
est. Di Lalla; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c. Soc. coop. Porcellane di Monopoli (Avv. Leone, Balena).
TRIBUNALE DI BARI; i
Procedimenti cautelari — Inosservanza delle disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tribunale —
Disciplina (Cod. proc. civ., art. 21, 669 ter, disp. att. cod.
proc. civ., art. 83 ter, r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento
giudiziario, art. 48 quater).
L'art. 83 ter disp. att. c.p.c., che disciplina l'inosservanza delle
disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tri
bunale, trova applicazione con riferimento ai procedimenti cautelari e il presidente del tribunale, cui sia stata rimessa la
causa per la ritenuta inosservanza di tali disposizioni, ove
ravvisi il tempestivo rilievo del vizio e la sussistenza dello
stesso, deve rimettere la causa al giudice «competente» per la
valutazione degli effetti prodotti dal suddetto vizio sugli atti
nel frattempo posti in essere (nella specie, decreto di autoriz
zazione al sequestro). (1)
(1-3) Le pronunce si segnalano per essersi soffermate su taluni pro blemi posti dalla istituzione del giudice unico di primo grado con rife rimento ai procedimenti cautelari.
La seconda di esse, peraltro, si segnala altresì per essere ritornata sulla dibattuta questione relativa alla natura ed alle conseguenze del vi zio determinato dalla inosservanza delle disposizioni relative al riparto delle controversie fra sede principale del tribunale e sezioni distaccate, nonché fra queste ultime.
Su quest'ultimo profilo la Cassazione, con sentenza 14 giugno 2001, n. 8025 (Foro it., 2002,1, 1122, con nota di E. Fabiani, Sui rapporti fra sede principale del tribunale e sezioni distaccate dello stesso e su
quelli fra sezioni distaccate) ha avuto modo di ritenere che: «le que stioni riguardanti la ripartizione delle cause tra sede principale del tri bunale e sezioni distaccate dello stesso non si pongono in termini di
competenza territoriale ma di organizzazione interna dell'unico ufficio sulla base di disposizioni la cui violazione appartiene alla tipologia delle invalidità concernenti la costituzione del giudice, disciplinate non come nullità insanabili bensì come vizi da accertarsi in limine mediante uno speciale subprocedimento che sfocia in una pronuncia ordinatoria sottratta ai mezzi di gravame ordinari ed insuscettibile, perciò, di venire
impugnata con il regolamento di competenza». Il Tribunale di Bari, con la seconda delle due pronunce in epigrafe,
aderisce chiaramente, nella sostanza, a tale impostazione, pur critican do la citata sentenza della Cassazione nella parte in cui, pur ritenendo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
TRIBUNALE DI BARI; ordinanza 11 novembre 2002; Giud.
Labellarte; Soc. Ceramiche Puglie (Avv. G. Costantino) c.
Soc. coop. Porcellane di Monopoli (Avv. Leone, Balena).
Procedimenti cautelari — Inosservanza delle disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tribunale —
Disciplina (Cod. proc. civ., art. 21, 669 ter; disp. att. cod.
proc. civ., art. 83 ter, r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, art. 48
quater). Procedimenti cautelari — Ricorso «ante causam» — Deposi
to — Sede principale del tribunale (Cod. proc. civ., art. 669
ter).
L'art. 83 ter disp. att. c.p.c., che disciplina l'inosservanza delle
disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tri
bunale, trova applicazione con riferimento ai procedimenti cautelari ma detta inosservanza non determina alcuna nulli
tà. (2) Il ricorso cautelare ante causam deve essere depositato, ai sensi
dell'art. 669 ter, 4° comma, c.p.c., presso la cancelleria della
sede principale del tribunale anche qualora il merito della
causa debba essere trattato da un giudice addetto ad una se
zione distaccata. (3)
I
Vista l'ordinanza 11 novembre 2002 (che segue), con la quale il giudice designato ha rimesso gli atti al presidente del tribu
nale per i provvedimenti a norma dell'art. 83 ter disp. att. c.p.c.; ritenuto che la disposizione dell'art. 83 ter cit. si applichi a
tutti i procedimenti a decisione monocratica — esclusi quelli che per espressa previsione normativa o tabellare debbano trat
tarsi presso la sede centrale — e quindi anche ai procedimenti cautelari;
considerato che la controversia, cui attiene la domanda cau
telare, rientra nel novero degli affari da trattarsi presso la sezio
ne distaccata di Monopoli, nella cui circoscrizione è ricompreso il luogo in ragione del quale sarebbe determinata la competenza
per territorio (art. 48 quater ord. giud.); ritenuto in particolare che, essendo la domanda di merito, cui
è collegata l'istanza cautelare, preordinata a conseguire, come
specificato in ricorso, la restituzione del complesso aziendale
per inadempimento da parte della s.r.l. Porcellane di Monopoli
degli obblighi derivanti dal contratto di «comodato precario oneroso», il luogo in cui resterebbe radicata l'ordinaria compe tenza per territorio (assunta come parametro per la distribuzione
degli affari tra le sezioni dello stesso tribunale) è in ogni caso, in relazione alle qualificazioni astrattamente possibili del rap
porto (comodato, affitto di azienda, contratto atipico a preva lente causa locativa), il territorio di Monopoli quale luogo di u
bicazione dell'immobile o dell'azienda, sulla base del criterio di
competenza territoriale di cui all'art. 21 c.p.c., come modificato
dall'art. 52 d.leg. 51/98;
inapplicabile al vizio in esame la nullità di cui all'art. 158 c.p.c., lo
qualifica comunque come vizio di costituzione del giudice. Sul punto, e dunque sulla natura e sulle conseguenze del vizio deter
minato dalla inosservanza delle disposizioni relative al riparto delle controversie fra sede principale del tribunale e sezioni distaccate, non ché fra queste ultime, si rinvia, anche per ampi riferimenti dottrinali, alla citata nota di E. Fabiani.
Più in generale, sui problemi in tema di competenza posti dalla istitu zione del giudice unico di primo grado, cfr. Giacalone, Giudice unico e
competenza, e Ancora su giudice unico e competenza: tra punti fermi e
questioni aperte, in Giust. civ., 2000,1, 993 e 1327. Sul diverso profilo relativo ai problemi posti dalla istituzione del
giudice unico con riferimento ai procedimenti cautelari, v., per tutti, in
dottrina, Olivieri, Il giudice unico di primo grado nel processo civile
(tribunale monocratico e collegiale, sede principale e sezioni distac
cate), id., 1998, II, 463 ss., spec. 478; Id., Giudice unico di primo gra do, voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 2001, aggiornamento V, 483 ss., spec. 502 s.; Damiani, in Cipriani (a cura di), Istituzione del
giudice unico di primo grado e processo civile, in Nuove leggi civ., 2000, spec. 215 s.; Luiso, Una vicenda (e un provvedimento) abnorme, in Giust. civ.. 2001, I, 232; in giurisprudenza, Trib. Napoli 27 giugno 2000, Giur. napoletana, 2000, 377; Trib. Lucca, ord. 2 ottobre 2000, Foro it.. Rep. 2001, voce Procedimento civile, n. 46, e Giust. civ., 2001,1, 231.
Il Foro Italiano — 2003.
considerato che il vizio attinente all'assegnazione del proce dimento è stato tempestivamente rilevato dal giudice origina riamente designato;
ritenuto che la questione relativa agli effetti del vizio riguardo al decreto di autorizzazione al sequestro debba essere esaminata
dal giudice della sezione di Monopoli; visto l'art. 83 ter, 2° comma, disp. att. c.p.c.;
per questi motivi, assegna la causa al giudice della sezione
distaccata di Monopoli, ordinando la trasmissione del fascicolo
alla sezione stessa.
II
E necessario delibare, preliminarmente, le eccezioni in rito
sollevate dalla resistente.
Essa sostiene: — che, poiché il compendio sequestrato è costituito da un'a
zienda sita in Monopoli, ai sensi degli art. 21, 669 ter c.p.c. e 48
quater ord. giud., sarebbe «competente» territorialmente in or
dine alla domanda cautelare, il giudice addetto alla sezione di
staccata di Monopoli del Tribunale di Bari, essendo il foro indi
viduato dall'art. 21 cit., esclusivo ed inderogabile (art. 447 bis
c.p.c.); — che non è invocabile l'art. 24 1. fall., inapplicabile alla
procedura del concordato preventivo, anche per la mancanza del
nesso di derivazione tra la predetta procedura concorsuale e la
domanda cautelare.
La resistente, inoltre, pur conscia del particolare regime det
tato dall'art. 83 ter disp. att. c.p.c. (relativo alla ripartizione de
gli affari tra sede principale e sezioni distaccate e tra sedi di
staccate) — diverso da quello della incompetenza in senso tec
nico — ritiene che detta norma sia inapplicabile alla materia
cautelare (in relazione alla quale, a mente dell'art. 28 c.p.c.,
l'incompetenza territoriale è inderogabile e la relativa violazio
ne è rilevabile ex officio dal giudice). La tesi dell'inapplicabilità dell'art. 83 ter fa leva sul dato
letterale della norma, secondo cui la violazione dei criteri di ri
partizione interna degli affari può essere rilevata non oltre la
«udienza di prima comparizione», dal che si desumerebbe che la
ridetta disposizione attuativa del codice di rito è applicabile solo
al giudizio cognitivo pieno. Ciò posto, la Porcellane di Monopoli assume che il vizio re
lativo alla violazione dei criteri di ripartizione degli affari non
può che condurre all'immediata revoca del sequestro concesso, inaudita altera parte, da questo giudice designato.
La procedura concorsuale ricorrente ha replicato che: — non è affatto vero che l'art. 83 ter sia inapplicabile alla
materia cautelare (essendo, invece, applicabile in via diretta o — in subordine — in via analogica), con la conseguenza che
spetta al presidente del tribunale decidere se la procedura cau
telare debba essere decisa dal giudice che egli stesso ha desi
gnato, ovvero dal giudice della sezione distaccata di Monopoli; —
quand'anche il presidente optasse per tale ultima soluzio
ne, tutti gli atti compiuti sinora sarebbero validi e spetterebbe al
giudice della predetta sezione distaccata deliberare in ordine alla
revoca, conferma o modifica del decreto di sequestro già emes
so; — non è pacifica l'applicabilità, in via esclusiva, dell'art. 21
c.p.c. in riferimento al forum rei sitae.
È opportuno partire dall'esame dell'art. 21 c.p.c. Certamente questa è la norma applicabile, a seguito della sua
modifica operata dall'art. 52 d.leg. 51/98, dal momento che essa
individua nel giudice ove è posto l'immobile, quello territorial
mente competente, con riguardo alle cause relative alla materia
del comodato d'immobili ed all'affitto di aziende.
Pertanto, sia che il contratto inter partes si qualifichi come
comodato precario oneroso, sia che lo si qualifichi affitto d'a
zienda, territorialmente competente è il giudice del luogo (nella
specie Monopoli) ove è posto l'immobile.
E, inoltre, esatto il rilievo della resistente, secondo cui si
tratta di foro esclusivo (Cass. 17 dicembre 1991, n. 13594, Foro
it., Rep. 1991, voce Competenza civile, n. 95). La sentenza 28 marzo 2001, n. 4503 della Cassazione (id.,
2001, I, 2209) — citata dalla ricorrente a sostegno della tesi
dell'inapplicabilità dell'art. 21 c.p.c. — non è conferente, per
ché essa riguarda l'ipotesi particolare di contratto di sfrutta
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PARTE PRIMA 936
mento di una cava di pietra, certamente diversa da quella qui in
esame.
Inoltre, seguendo tale tesi, la novella dell'art. 21 sarebbe del
tutto svuotata di significato. Ciò posto, occorre verificare quali conseguenze derivino dal
fatto che la domanda cautelare sia stata proposta davanti al Tri
bunale di Bari, in relazione al diverso luogo (Monopoli) ove si
trova l'immobile oggetto del contratto.
Le alternative sono, in realtà, due: — se si applica l'art. 83 ter disp. att. c.p.c., il procedimento
va trasmesso al presidente del tribunale, il quale, con decreto
non impugnabile, decide se la causa deve essere trattata in sede
centrale, ovvero se deve essere trattata in sede distaccata; — se l'art. 83 ter non si applica, l'art. 21 c.p.c. non sarebbe
violato, perché Monopoli rientra nell'ambito del circondario del
Tribunale di Bari ed è del tutto evidente che la competenza ter
ritoriale stricto sensu, cui fa riferimento l'art. 21 c.p.c., è solo
quella afferente i rapporti tra due o più uffici giudiziari distinti.
Nella specie, invece, si tratta di rapporti tra sede centrale di
un ufficio giudiziario e sede distaccata del medesimo ufficio
(Cass., sez. un.. 10 febbraio 1994, n. 1374, id., 1994,1, 1401; 14
giugno 2001, n. 8025, id., 2002,1, 1122). Pertanto, se si optasse per l'inapplicabilità dell'art. 83 ter, la
competenza territoriale resterebbe radicata nel Tribunale di Ba
ri.
Inoltre, non sembra accoglibile la tesi della resistente, secon
do cui, vi sarebbe, comunque, un vizio per violazione dell'art.
48 quater ord. giud., anche ritenendo inapplicabile l'art. 83 ter.
Infatti, detta ultima norma e l'art. 48 quater hanno alla base
la medesima ratio ed hanno un senso solo all'interno del siste
ma del giudice unico di primo grado. Invero, l'art. 83 ter è stato introdotto dall'art. 128 d.leg.
51/98, mentre l'art. 48 quater dall'art. 15 di detto decreto.
La resistente fonda il proprio assunto sul dato letterale del
l'art. 48 quater, secondo cui: «Nelle sezioni distaccate sono
trattati gli affari civili ... quando il luogo in ragione del quale è
determinata la competenza per territorio rientra nella circoscri
zione delle sezioni medesime», con la conseguenza che, il com
binato disposto di cui agli art. 21 c.p.c. e 48 quater comporte rebbe l'incompetenza territoriale del Tribunale di Bari.
Così non è, perché la locuzione «competenza per territorio»
di cui all'art. 48 quater non può essere intesa in senso tecnico, ma nel senso di individuazione dell'articolazione territoriale
delle sezioni distaccate, in rapporto alla sede centrale.
In definitiva, l'art. 48 quater detta i criteri di ripartizione in
terna degli affari, mentre l'art. 83 ter disciplina le conseguenze della violazione di quei medesimi criteri.
L'art. 83 ter, infatti, stabilisce: «L'inosservanza delle dispo sizioni di ordinamento giudiziario relative alla ripartizione tra
sede principale e sedi distaccate o tra diverse sedi distaccate ...
è rilevata non oltre l'udienza di prima comparizione». Ma la disposizione di ordinamento giudiziario cui fa riferi
mento l'art. 83 ter è proprio l'art. 48 quater. In definitiva, o dette due norme si applicano entrambe, ovve
ro non si applicano affatto, ma è assolutamente improponibile
l'interpretazione secondo cui sarebbe applicabile solo l'art. 48
quater che, letto insieme all'art. 21 c.p.c., condurrebbe all'in
competenza territoriale del Tribunale di Bari.
Ciò detto, va rilevato che certamente l'art. 83 ter è applica bile anche ai procedimenti cautelari, come ritiene parte della
dottrina (i cui autori non possono essere citati ex art. 118, 3°
comma, disp. att. c.p.c.) e come ha già statuito in un provvedi mento, così massimato: «In seguito alla istituzione delle sezioni
distaccate di tribunale, le domande cautelari (tipiche o atipiche) ante causam vanno proposte esclusivamente innanzi a tale uffi
cio, ove innanzi a quest'ultimo dovrà radicarsi l'eventuale suc
cessiva azione di merito, sempre che non esistano criteri di col
legamento con la sede centrale del tribunale (e sempre che si
tratti di controversia per la quale non è prevista riserva di colle
gialità). Tuttavia, non trattandosi di questione di competenza, il
giudice designato — ove riscontri l'assenza di criteri di colle
gamento con il proprio ufficio — non deve dichiararsi territo
rialmente incompetente, ma trasmettere il procedimento al pre sidente del tribunale perché provveda (nella specie, una doman
da cautelare a tutela di un modello di utilità e per conseguire la
repressione della competenza sleale era stata proposta innanzi al
Tribunale di Napoli, sede centrale, e non presso la sezione di
II Foro Italiano — 2003.
staccata nel cui ambito territoriale si era verificato l'illecito)»
(Trib. Napoli 27 giugno 2000; in senso analogo, in tema di rap
porti tra organi dello stesso ufficio in materia cautelare, Trib.
Bari 20 ottobre 1993, id., 1994, I, 231; lo stesso principio, se
pure nel sistema anteriore all'introduzione del procedimento cautelare uniforme, è stato affermato da Cass. 21 maggio 1980, n. 3347, id., Rep. 1980, voce cit., n. 185, secondo cui: «La que stione di competenza interna nell'ambito di un medesimo uffi
cio relativamente all'assegnazione delle cause attiene all'ordi
namento dell'ufficio stesso ed assume esclusivo carattere am
ministrativo in quanto la ripartizione interna delle cause è di
retta al fine di realizzare una migliore distribuzione del lavoro e
non incide sulla competenza dell'ufficio mantenendo inalterata
l'unità funzionale dei poteri giurisdizionali di esso. Pertanto,
poiché l'erronea ripartizione dei compiti tra giudici dello stesso
ufficio, in violazione di specifiche norme di legge, non coinvol
ge una questione di competenza in senso proprio, ma comporta un vizio procedurale denunciabile con i normali rimedi di impu
gnazione, non è proponibile il regolamento di competenza av
verso l'ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c. da un pretore non
competente per la causa di merito, in atto pendente davanti allo
stesso ufficio, ma presso altro giudice»). Né può valere ad escludere l'applicabilità dell'art. 83 ter il
fatto che il limite temporale posto dalla legge per rilevare l'i
nosservanza delle disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni
distaccate, è costituito dall'udienza di prima comparizione, che
non c'è nei procedimenti cautelari.
La norma, infatti, va intesa nel senso che detta udienza segna il termine ultimo per il rilievo, ma ciò non significa affatto che
l'eccezione non possa essere rilevata in un momento anteriore, come nell'ipotesi di domanda cautelare proposta ante causam.
La norma, infatti, non dice «all'udienza di prima comparizio ne», ma dice «non oltre l'udienza di prima comparizione».
Sono, a tal proposito, assolutamente fondati i rilievi della ri
corrente, la quale ha replicato che: — ai sensi dell'art. 48 ter ord. giud., l'istituzione, soppres
sione, o modifica delle circoscrizioni delle sedi distaccate è di
sposta con decreto del ministro della giustizia, di concerto col
ministro del tesoro, sì che — ove, nella specie, si trattasse di
questione di competenza stricto sensu — sarebbe violato l'art.
25 Cost, sulla precostituzione per legge del giudice naturale, dal
momento che il decreto ministeriale richiesto dall'art. 48 ter ha
carattere amministrativo e non legislativo; — moltissime norme sul processo di cognizione sono certa
mente applicabili anche ai procedimenti cautelari (art. 38, 39, a
mò di esempio), sì che il riferimento alla prima udienza di com
parizione non esclude affatto che l'art. 83 ter sia applicabile an
che ai procedimenti cautelari.
Concludendo, quindi, sul punto, a mente dell'art. 83 ter, il
processo cautelare qui in esame va rimesso al sig. presidente del
tribunale, perché egli provveda, con decreto non impugnabile, o
ad assegnare l'affare al giudice della sezione distaccata di Mo
nopoli, ovvero a restituirlo a questo giudice designato, essendo
evidente che il profilo attinente alla violazione delle norme sulle
attribuzioni delle sezioni distaccate non solo non è manifesta
mente infondata, ma — anzi — ha un evidente fondamento.
La resistente, nelle note di replica depositate il 9 novembre
2002, ha esposto ulteriori argomenti a sostegno della propria te
si, i quali però non valgono a contrastare le conclusioni cui si è
testé pervenuti. La Porcellane di Monopoli, dopo avere richiamato l'attenzio
ne sul fatto che, anche in tema di rapporti tra sezioni dello stes
so ufficio, può parlarsi d'incompetenza stricto sensu (come nel
caso di rapporti tra sezioni «ordinarie» e sezioni specializzate
agrarie), ha evidenziato che, nei procedimenti cautelari, il legis latore adopera il termine «competenza» in senso stretto nei
rapporti tra magistrati del medesimo ufficio (come nel caso di
rapporti tra giudice istruttore competente per il rilascio di misu
re in corso di causa, e giudice della cautela richiesta ante cau
sam, nonché in tema di declaratoria d'inefficacia, di revoca o
modifica, o di attuazione della misura cautelare). Ciò è vero, ma il termine «competenza» adoperato dal legis
latore in detti casi, riguarda il profilo funzionale della compe tenza, del tutto distinto dal profilo territoriale della stessa, pro filo quest'ultimo che, invece, viene disciplinato proprio dall'art.
83 ter.
La resistente, inoltre, assume che, nella specie, il decreto di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sequestro sarebbe nullo, addirittura per vizio di costituzione del
giudice, sulla base di un suggestivo ragionamento, ma ricono
sce, expressis verbis, che manca una norma ad hoc che sanzioni
così radicalmente il vizio.
Tale tesi non è accoglibile perché, per il sol fatto che la resi
stente ammette che la nullità deriva non da una norma espressa, essa contrasta col principio di cui all'art. 156 c.p.c., per il quale un atto processuale è nullo nei soli casi previsti dalla legge.
E vero che la sentenza della Cassazione 8025/01 (citata da
entrambe le parti) fa riferimento ad un vizio di costituzione del
giudice, ma è anche vero che essa ha stabilito che si tratta di un
tipo sui generis di nullità, diverso da quello di cui all'art. 158
c.p.c., perché può essere rilevato solo in limine litis.
Inoltre, non convince affatto l'affermazione che detto vizio
comporta la nullità degli atti.
La fattispecie esaminata dalla Suprema corte riguardava pro
prio il profilo della ripartizione degli affari tra sede distaccata e
sede centrale e, sul punto, il Supremo collegio ha così motivato:
«In questi termini, l'assunto del giudice a quo si palesa del
tutto corretto, onde l'inammissibilità dell'istanza per regola mento di competenza proposta dai ricorrenti, atteso che, avuto
riguardo all'organizzazione strutturale ed operativa, le sezioni
distaccate non assumono le caratteristiche di ufficio autonomo
rispetto alla sede principale, la quale costituisce pur sempre il
solo ufficio giudiziario, cosicché le questioni riguardanti la ri
partizione delle cause tra le une e l'altra, rivestendo il carattere
di una mera suddivisione di affari e non di una distinzione tra
differenti sfere di attribuzione, non si pongono in chiave di
competenza territoriale, ma di organizzazione interna dell'unico
ufficio sulla base di disposizioni la cui violazione appartiene alla tipologia delle invalidità concernenti la costituzione del
giudice, disciplinate non come nullità insanabili bensì come vizi
da accertarsi in limine mediante uno speciale sub procedimento che sfocia in una pronuncia ordinatoria del giudice sottratta ai
mezzi di gravame ordinari ed insuscettibile, perciò, di venire
impugnata con il regolamento di competenza (Cass. 13 luglio 1993, n. 7694, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 124; 10 febbraio
1994, n. 1374, cit.; 26 ottobre 1994, n. 8776, id., Rep. 1994, vo
ce cit., n. 56; 1° ottobre 1997, n. 9582, id., Rep. 1997, voce cit., n. 180; 15 settembre 1999, n. 9824, id., Rep. 1999, voce cit., n.
28; 11 gennaio 2000, n. 194, id., Rep. 2000, voce cit., n. 64; 4
agosto 2000, n. 10243, id., 2001,1, 3320)». Infatti, posto che l'art. 83 ter non commina alcuna nullità, a
mente dell'art. 156 c.p.c., la sentenza 8025/01 è fondata su ar
gomentazioni sganciate da qualunque previsione normativa, in
quanto dà per scontato che si tratti di vizio di costituzione del
giudice, senza spiegare come possa conciliarsi tale affermazione
col fatto che nessuna nullità è comminata dall'art. 83 ter disp. att. c.p.c. o dall'art. 48 quater ord. giud.
Infatti, la norma che disciplina la nullità derivante da vizi re
lativi alla costituzione del giudice è l'art. 158 c.p.c., in relazione
al quale la Suprema corte ha stabilito che:
«Il difetto di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 del
codice di rito è ravvisabile unicamente quando gli atti giudiziari siano posti in essere da persone estranee all'ufficio e non inve
stite della funzione esercitata, mentre non è riscontrabile quando si verifichi una sostituzione tra giudici di pari funzione e pari
competenza appartenenti al medesimo ufficio giudiziario anche
se non siano state osservate al riguardo le disposizioni previste dal c.p.c. ovvero dalle norme sull'ordinamento giudiziario, co
stituendo l'inosservanza del disposto degli art. 174 stesso codi
ce e 79 delle relative disposizioni di attuazione, in difetto di
un'espressa sanzione di nullità, una mera irregolarità di caratte
re interno, che non incide sulla validità dell'atto e non è causa
di nullità del giudizio o della sentenza» (Cass. 12 novembre
2001, n. 14006, id., Rep. 2001, voce Procedimento civile, n.
40). Ancora, si è ritenuto che non costituisce motivo di nullità del
procedimento e della sentenza la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna al medesimo
ufficio giudiziario, pur in mancanza di un formale provvedi mento di sostituzione da parte del presidente del tribunale, per
ché, ai sensi del 1° comma dell'art. 156 c.p.c. la nullità di un
atto per inosservanza di forme non può esser pronunciata se non
è comminata dalla legge e pertanto è configurabile una mera ir
regolarità, inidonea a produrre alcuna conseguenza negativa su
II Foro Italiano — 2003 — Pane /-18.
gli atti processuali o sulla sentenza (Cass. 22 maggio 2001, n.
6964, ibid., n. 224). Inoltre, la giurisprudenza
— sul tema assolutamente assimila
bile dei rapporti tra sede centrale e sezioni distaccate di pretura — ha escluso l'applicabilità dell'art. 158 c.p.c.
Infatti, si è ritenuto che non può porsi una questione di com
petenza relativamente alla ripartizione dei poteri attribuiti ai
magistrati fra pretura circondariale e sezioni distaccate, assu
mendo la prima, alla luce della 1. 30/89, la competenza anche
per le cause radicate nei distaccamenti; pertanto, il mezzo tecni
co per rimettere una causa ad una sezione distaccata è fornito,
per analogia, dagli art. 426 e 427 c.p.c., mentre è inapplicabile l'art. 158 c.p.c. (fattispecie in tema di procedimento per conva
lida di sfratto, in ordine al quale è stata ritenuta, ferma restando
la competenza della pretura circondariale, l'attribuzione della
causa alla sezione distaccata del luogo in cui si trovava l'immo
bile locato, ai sensi dell'art. 661 c.p.c. e dell'art. 9 r.d. 30 di
cembre 1923 n. 2785) (Pret. Pistoia 20 marzo 1990, id., Rep. 1991, voce Competenza civile, n. 31; analogamente, Pret. Mon
za 15 marzo 1991, id., 1991,1, 2250). Vanno fatte, sul punto, due ultime considerazioni.
La prima è che, il 4° comma dell'art. 669 ter c.p.c., stabilisce
che il ricorso cautelare ante causam va presentato nella cancel
leria del presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione della causa.
La norma, non è stata modificata dal d.leg. 51/98 (salvo che
per l'abrogazione del riferimento al pretore dirigente), sì che
manca la previsione che, se per il merito la causa deve essere
trattata dal giudice addetto ad una sezione distaccata, il ricorso
va presentato nella cancelleria del predetto giudice.
Conseguentemente, la ricorrente — come dalla stessa eviden
ziato nella memoria depositata il 7 novembre 2002 — ha retta
mente presentato il ricorso cautelare nella cancelleria del Tribu
nale di Bari (invero, la prassi secondo cui, di fatto, i ricorsi
cautelari vengono presentati ugualmente presso le cancellerie
delle sezioni distaccate, non è sorretta da alcun dato normativo). Se così è, sarebbe assai grave far ricadere sulla ricorrente le
conseguenze della nullità degli atti, per un vizio cui essa non ha
dato causa, giacché è il presidente del tribunale che, ricevuto il
ricorso, avrebbe dovuto (a seguire la tesi della odierna resisten
te) trasmettere il fascicolo al giudice della sezione distaccata.
Nell'ordinanza 20 ottobre 1993 di questo tribunale {id., 1994,
I, 231), prima citata, si fa esplicitamente riferimento alla salva
guardia del principio per cui non possono farsi ricadere sulla
parte incolpevole, eventuali errori degli organi giudiziari. La seconda è che, se fosse fondata la tesi della resistente, la
nullità conseguirebbe solo se il presidente del tribunale rimet
tesse gli atti al giudice della sezione distaccata di Monopoli; se,
invece, li restituisse a questo giudice designato nessuna nullità
si sarebbe verificata (non potendosi sostenere che, con la resti
tuzione degli atti, questo giudice designato tratterebbe la do
manda cautelare, continuando ad emettere atti nulli, e giacché, con la restituzione degli atti il presidente avrebbe escluso la sus
sistenza del vizio). Se così è, la nullità degli atti dipenderebbe da un provvedi
mento ordinatorio, espressamente dichiarato non impugnabile dall'art. 83 ter più volte citato.
Tale conseguenza si commenta da sé.
In ogni caso, a tutto concedere, se vi fosse nullità (cosa che
deve sicuramente escludersi per tutto quello che si è detto), que sta non potrebbe essere dichiarata in questa sede, cioè prima che
il presidente del tribunale decida.
Infine, ove questo giudice designato dichiarasse nulli gli atti
ed il presidente del tribunale ritenesse di restituirli a questo giu dice designato, si verificherebbe una inammissibile anomalia,
giacché la declaratoria di nullità verrebbe travolta dal provve dimento presidenziale.
Si pone, a questo punto, la delicata questione della sorte del
decreto emesso da questo giudice designato inaudita altera
parte, nelle more della decisione del presidente del tribunale.
La ricorrente sostiene che sulla revoca, conferma o modifica
del decreto di sequestro provvederà il giudice designato dal pre sidente del tribunale, mentre la resistente assume che debba es
sere questo giudice designato a revocare il decreto, conseguendo la revoca al fatto che questo giudice designato si è spogliato dell'affare, nonché sulla base del principio che un provvedi mento può essere revocato solo dal giudice che lo ha emesso.
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939 PARTE PRIMA 940
Non consta che dottrina e giurisprudenza si siano mai occu
pate, ex professo, del tema, ma — sulla base dei principi gene rali in tema di procedimenti cautelari, ed anche sulla base di ar
gomentazioni logico-sistematiche —
questo giudice designato è
fermamente convinto che non si debba provvedere, in questa sede, alla revoca del decreto di sequestro.
In primo luogo, con la trasmissione del fascicolo al presidente del tribunale, questo giudice designato non si spoglia del proce dimento, potendo il presidente decidere nel senso di restituire
gli atti, senza trasmetterli alla sezione distaccata di Monopoli. Tale evenienza — non sindacabile in questa sede perché
qualsiasi sindacato invaderebbe la sfera di attribuzioni del pre sidente —
comporterebbe che, ove questo giudice designato re
vocasse, col presente provvedimento, il decreto, dovrebbe nuo
vamente decidere sulla sua revoca, conferma o modifica, una
volta superata l'eccezione preliminare. Tale conseguenza sarebbe contraria a tutti i principi. In secondo luogo, non può revocarsi in dubbio che è imma
nente, nel sistema, il principio per cui — una volta accordata la
cautela con decreto — non può esservi alcuno iato temporale tra
la fase cautelare decisoria senza contraddittorio e quella di con
ferma, revoca o modifica, all'esito del contraddittorio.
Le esigenze del ricorrente vittorioso (sia pure in via provviso ria) sarebbero del tutto frustrate se si disponesse la revoca della
cautela solo per questioni di rito, nell'ipotesi in cui, all'esito del
contraddittorio sul «merito» cautelare (intesa l'espressione in
senso atecnico, come contrapposta al «rito»), la cautela conces
sa inaudita altera parte venisse confermata.
Nelle more, il soccombente potrebbe — in astratto — sottrar
re, in tutto o in parte, il compendio sequestrato, con la grave
conseguenza che il provvedimento di conferma non servirebbe a
nulla.
Va, inoltre, aggiunto che, nel sistema, si rinviene una serie di
norme da cui si ricava il principio per cui le esigenze cautelari, una volta ritenute esistenti, prevalgono su ogni altro aspetto
processuale. Vi è, infatti, l'art. 48, 2° comma, c.p.c., il quale prescrive che,
durante la sospensione dei processi relativamente ai quali è
chiesto il regolamento di competenza, possono essere emessi
provvedimenti urgenti.
Analogo principio è stabilito dagli art. 298 e 304 c.p.c., ri
spettivamente, in tema di sospensione ed interruzione del pro cesso.
Ancora, l'art. 669 quater, 2° comma, c.p.c. ammette la possi bilità di emettere provvedimenti cautelari, quando il giudizio è
sospeso o interrotto.
Se il legislatore ha stabilito la prevalenza delle ragioni di ur
genza, anche nelle ipotesi in cui il processo cognitivo è sospeso o interrotto, a maggior ragione, deve ritenersi che una misura
cautelare già concessa, inaudita altera parte, debba conservare i
propri effetti (sino a che non si decida sulla sua revoca, confer
ma o modifica), quando sono stati violati i criteri di ripartizione interna degli affari nell'ambito del medesimo ufficio giudizia rio.
Se, poi, si volge lo sguardo al sistema giuridico in una pro
spettiva più ampia, ci si avvede che — in materia penale (nella
quale le misure cautelari hanno un'incidenza ben maggiore ri
spetto alla materia civile, incidendo sulla libertà personale, tan
t'è che la Costituzione tutela la detta libertà all'art. 13) — vi è
l'art. 27 c.p.p., per il quale le misure cautelari disposte dal giu dice dichiaratosi incompetente conservano efficacia, la quale cessa solo se il giudice dichiarato competente non provvede, nei
venti giorni dall'ordinanza declaratoria dell'incompetenza con
cui gli sono stati trasmessi gli atti, sulla misura cautelare.
Pertanto, il decreto di sequestro non va revocato da questo
giudice designato e sulla sua revoca, conferma o modifica prov vederà il giudice designato dal presidente del tribunale.
Il Foro Italiano — 2003.
TRIBUNALE DI IVREA; ordinanza 22 ottobre 2002; Giud.
Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa di
risparmio di Torino (Avv. Novo).
TRIBUNALE DI IVREA;
Procedimento civile — Decisione a seguito di trattazione
scritta — Causa d'interruzione — Notifica successiva al
l'udienza di precisazione delle conclusioni — Effetti —
Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 189, 190, 281 quinquies,
300).
Nei procedimenti da decidersi a seguito di trattazione scritta la
notifica, successiva all'udienza di precisazione delle conclu
sioni ma anteriore alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, ed il successivo deposito in cancel
leria di atto contenente la comunicazione di un evento inter
ruttivo comporta l'interruzione del processo (nella specie, con l'atto notificato il difensore aveva comunicato e docu
mentato l'avvenuta fusione per incorporazione chiedendo
l'interruzione; a seguito del deposito in cancelleria dell'atto
il giudice aveva invitato l'altra parte ad assumere posizione, nella propria memoria di replica, sull'istanza di interruzione,
poi pronunciata). (1)
(1)1. - In senso sostanzialmente conforme. Trib. Torino, ord. 5 mar zo 2002, Foro it., 2002, I, 3231, con ampia nota di richiami ed osserva zioni di M. Iozzo, alla quale si rinvia per indicazioni di precedenti e di dottrina sull'argomento.
Detto precedente, al pari di altri, ha ritenuto idonea a comportare l'interruzione del processo la dichiarazione dell'avvenuto fallimento della parte contenuta nella comparsa conclusionale, sul rilievo — con diviso anche dalla sentenza in rassegna — che al limite temporale della «chiusura della discussione davanti al collegio», di cui all'art. 300, ul timo comma, c.p.c., «deve equipararsi la scadenza del termine perento rio previsto per il deposito della memoria di replica, in quanto fino alla scadenza di tale termine permane l'esigenza di salvaguardare l'integrità del contraddittorio».
Sul rilievo — del tutto similare — che sino alla scadenza del termine
per il deposito della memoria di replica «la parte deve essere ancora
posta nelle condizioni di difendersi con l'assistenza ed il ministero di un difensore», sempre Trib. Torino, ord. 30 novembre 2001 (ibid., 697) ha dichiarato l'interruzione del processo in caso di morte del difensore
prima della scadenza del termine per il deposito delle memorie di repli ca (in tal caso della morte del difensore — che ai sensi dell'art. 301
c.p.c. rileva anche d'ufficio quale causa di interruzione, prescindendo dalla formale dichiarazione — era stato dato atto dal sostituto proces suale del defunto con dichiarazione depositata in cancelleria).
Nel caso dell'ordinanza in rassegna l'evento interruttivo, attinente la
parte e non il difensore, era stato notificato alla controparte (in stretta aderenza a quanto previsto dall'art. 300, 1° comma, c.p.c., in alternati va alla «dichiarazione in udienza») con atto poi depositato in cancelle
ria, non già dichiarato nella comparsa conclusionale. A seguito del deposito dell'atto in cancelleria, il giudice aveva invi
tato, con apposita ordinanza, la controparte ad assumere posizione sulla richiesta di interruzione nella propria memoria di replica; detta ordi nanza sembra riconducibile all'esercizio del potere di direzione del
procedimento di cui all'art. 175 c.p.c. che, nella specie, ha consentito lo
sviluppo di un effettivo contraddittorio sulla questione, altrimenti non
garantito dalla circostanza che l'evento interruttivo non era stato di chiarato dalla parte interessata nella propria comparsa conclusionale; in tal modo, invero, il giudice unico, constatata la pendenza del termine
per il deposito delle repliche, ha potuto contemperare l'esigenza di tu tela della parte interessata alla declaratoria di interruzione con quella di
rispetto del contraddittorio sulla relativa istanza.
E, tuttavia, il caso di rilevare che l'esercizio del potere d'ufficio è stato reso possibile, nella specie, dalla duplice circostanza che la parte controinteressata all'interruzione non aveva ancora depositato la pro pria memoria di replica e che la cancelleria aveva trasmesso al giudice, dopo il deposito, l'atto notificato contenente la dichiarazione dell'e vento interruttivo con relativa documentazione allegata.
E altresì da rilevare che, a cospetto della previsione dell'art. 300, 1°
comma, c.p.c., la notifica di apposito atto è l'unica modalità certamente rituale per dedurre la causa d'interruzione, in alternativa alla dichiara zione in udienza (che in casi assimilabili a quello della decisione in ras
segna non è, ovviamente, possibile): la giurisprudenza della Cassazio
ne, contrariamente a quanto ritenuto da Trib. Torino, ord. 5 marzo
2002, cit., non è univoca nel ritenere efficace la dichiarazione dell'e vento in conclusionale: depone, infatti, in senso favorevole, Cass. 27
gennaio 1984, n. 632, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 22, nel mentre, contrarie, v. le successive sentenze 22 gennaio 1993, n.
782, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 183, e 23 novembre 2000, n. 15131, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 378, che ribadiscono la necessità della di chiarazione in udienza o tramite specifico atto notificato.
Da ciò consegue che l'orientamento recepito (anche) dal provvedi
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