decreto 19 aprile 1980; Giud. Palminota; Sindacato provinciale di Roma dei lavoratori bancari(F.i.b. - C.i.s.l.) (Avv. Piano) c. Istituto federale di credito agrario per l'Italia centrale (Avv.Gentili)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 6 (GIUGNO 1981), pp. 1773/1774-1777/1778Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173190 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
L'eccezione di giudicato estemo è una eccezione in senso proprio
e, quindi, nel rito speciale del lavoro va proposta, a pena di
decadenza, nella memoria difensiva (nella specie, si è negato
all'I.n.p.s. il potere di eccepire l'esistenza di un precedente
giudicato che escludeva il diritto alla pensione). (1)
Il Pretore, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso
depositato il 14 aprile 1980, D'Attolico Laura conveniva in
giudizio dinanzi al Pretore di Bari, quale giudice del lavoro,
l'I.n.p.s. in persona del suo presidente pro tempore, per sentirlo
condannare alla corresponsione della pensione di invalidità, già inutilmente richiesta in sede amministrativa con domanda del 15
febbraio 1978, oltre gli interessi legali sui ratei scaduti ed il
rimborso delle spese del giudizio, da distrarre in favore del suo
procuratore. (Omissis)
Motivi della decisione. — La domanda ha giuridico fondamen
to. Ritiene il giudicante necessario, prima di passare alla valuta
zione della concreta fattispecie, in riferimento ai risultati della
consulenza di ufficio, ricordare brevemente quale sia il concetto
di capacità di guadagno, alla cui riduzione al di sotto dei limiti
fissati dal legislatore è legata la possibilità di ottenere il pensio namento anticipato.
Coma ha ripetutamente insegnato il Supremo collegio e la più
autorevole dottrina, capacità di guadagno è un concetto comples
so, che contiene in sé (e quindi non si identifica) quello di
capacità di .lavoro, inteso come dato meramente bio-fisico e che
forma oggetto dell'accertamento compiuto dal c.t.u.
Accanto a quest'ultimo devono essere tenuti presenti altri ele
menti che possono essere di carattere soggettivo (età, sesso,
attitudini lavorative) ed oggettivo (caratteristiche socio-economiche
del mercato di lavoro, sue capacità di assorbimento della mano
dopera, anche in settori diversi da quello dell'assicurato ma che
siano peraltro confacenti con le sue attitudini, senza usura, intesa
come abnorme logoramento delle residue energie lavorative, senza
declassamento e senza che la stessa sia frutto di situazioni
transitorie ovvero di particolare benevolenza del datore di lavoro.
Nel valutare inoltre lo stato di malattia si deve tener conto che la
stessa ha carattere permanente non quando il processo morboso
abbia un carattere irreversibile, ma quando la sua durata sia tale
da non poterne prevedere la fine; d'altra parte, eventuali miglio
fi) In termini, nel senso che il giudicato esterno non è rilevabile d'ufficio e va eccepito nei modi e nei tempi delle eccezioni di merito, Cass. 25 ottobre 1980, n. 5757, Foro it., Mass., 1110; 19 gennaio 1979, n. 402, id., Rep. 1979, voce Cosa giudicata civile, n. 14, per la quale (nel rito ordinario) « in grado di appello deve essere espressamente dedotto dall'appellante nei motivi di appello e dall'appellato almeno in sede di conclusioni »; 24 marzo 1978, n. 1433 (citata in motivazione), id., Rep. 1978, voce cit., n. 36, che ha affermato: « a differenza del
giudicato formatosi nello stesso giudizio (cosiddetto giudicato interno), il quale può essere rilevato d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, il giudicato formatosi in altro giudizio (cosiddetto giudicato esterno) dà
luogo ad una eccezione che deve essere proposta in sede di merito nei modi di rito»; 25 novembre 1977, n. 5145, id., Rep. 1977, voce cit., n.
20; 3 settembre 1976, n. 3080, id., Rep. 1976, voce cit., n. 34; e nel senso che, quindi, il giudicato c. d. esterno non è deducibile per la prima volta in sede di legittimità, Cass. 26 marzo 1980, n. 2013, id., Mass., 395; 12 gennaio 1978, n. 124, id., Rep. 1978, voce cit., n. 36, che ha specificato: « salva restando l'impugnativa per revocazione a norma dell'art. 395, n. 5, cod. proc. civ., per l'eventuale insorgenza del contrasto fra giudicati »; 10 luglio 1978, n. 3471, ibid., n. 41; 21 ottobre 1975, n. 3454, id., Rep. 1976, voce cit., n. 38; 5 novembre 1975, n. 3767, id., Rep. 1975, voce cit., n. 15; 24 aprile 1974, n. 1191, id., Rep. 1974, voce cit., n. 57; 2 febbraio 1974, n. 299, ibid., n. 58; 28 novembre
1974, n. 3896, ibid., n. 59; 26 novembre 1973, n. 3216, id., Rep. 1973, voce cit., n. 53; 16 novembre 1973, n. 3077, ibid., n. 52; 7 giugno 1973, n. 1643, ibid., n. 51; 26 febbraio 1972, n. 574, id., Rep. 1972, voce cit., n. 30; contra, in relazione ad una fattispecie identica a
quella decisa dalla sentenza riportata, v. Trib. Macerata 11 dicembre
1975, id., Rep. 1978, voce cit., n. 42, e in Giur. merito, 1977, 1075, con nota di Balmasso. Sulla rilevabilità d'ufficio in ogni stato e grado del processo del giudicato cosiddetto interno, v. Cass. 6 ottobre 1976, n. 3302, Foro it., 1977, I, 133, con nota di richiami; anche sui limiti
oggettivi del giudicato sul diritto alla pensione per invalidità, v. Cass. 21 luglio 1971, n. 2384 e 20 marzo 1971, id., 1972, I, 88, con nota di A. Proto Pisani, Osservazioni in tema di limiti oggettivi del giudicato.
In dottrina, in senso critico sulla distinzione fra giudicato interno ed esterno e sulla deducibilità di quest'ultimo solo ad istanza di parte, v.
Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 1981, II4, 447 ss.; v. anche Pasquariello, Limiti ed effetti del giudicato esterno nel proces so previdenziale in tema di pensione d'invalidità, in Nuovo dir. agr., 1978, 762 ss.
ramenti potrebbero dar luogo, ove si realizzino le condizioni di
legge, alla revoca della pensione. Tutto ciò premesso osserva il
giudicante, passando all'esame della concreta fattispecie, come le
condizioni generali del ricorrente giustifichino la richiesta di
pensionamento. Osserva, in proposito, il giudicante come le con
clusioni esposte in tal senso dal consulente tecnico d'ufficio non
siano state contestate dall'I.n.p.s. che, in sede di discussione ha
eccepito, per la prima volta, l'esistenza di un precedente giudicato tra le parti, chiedendo il rigetto della domanda sino all'epoca della
pronunzia di detta sentenza. L'eccezione dell'istituto convenuto
non può, peraltro, essere tenuta presente in quanto la stessa
avrebbe dovuto essere formulata con la memoria di costituzione,
depositata — oltre tutto — senza il rispetto dei termini di cui all'art. 416 cod. proc. civile. L'eccezione di giudicato « esterno » ,
e cioè di quello formatosi in altro giudizio, differisce da quello c. d. « interno », che si verifica nel corso dello stesso giudizio:
quest'ultimo è, infatti, rilevabile anche d'ufficio in qualsiasi fase e
grado del giudizio. Ha insegnato in proposito, il Supremo collegio che, a differenza del giudicato formatosi nello stesso giudizio
(cosiddetto giudicato interno), il quale può essere rilevato di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, il giudicato formatosi in altro
giudizio (cosiddetto giudicato esterno) dà luogo ad un'eccezione in
senso proprio, che deve perciò essere proposta in sede di merito
nei modi di rito (Cass., Sez. II, 24 marzo 1978, n. 1433, Foro it.,
Rep. 1978, voce Cosa giudicata civile, n. 37). Nella concreta
fattispecie, inoltre, è necessario sottolineare che l'I.n.p.s. ben
avrebbe potuto eccepire la sussistenza di un precedente giudicato in quanto lo stesso si era formato in epoca anteriore alla sua
costituzione in giudizio. La sentenza invocata risulta notificata,
infatti, il 10 settembre 1979' e, non essendo stata appellata, è
passata in giudicato il 10 ottobre successivo. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI ROMA; decreto 19 aprile 1980; Giud. Palmino
ta; Sindacato provinciale di Roma dei lavoratori bancari
(F.i.b. - C.i.s.l.) (Avv. Piano) c. Istituto federale di credito agra rio per l'Italia centrale (Avv. Gentili).
PRETURA DI ROMA;
Sindacati — Condotta antisindacale — Assenze per attività sin
dacale — Provvedimento disciplinare — Antisindacalità —
Insussistenza — Fattispecie '(Legge 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e della attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento, art. 23, 28). Sindacati — Rappresentanza sindacale aziendale — Requisiti —
Pluralità di iscritti al sindacato — Necessità (Legge 20 mag
gio 1970 n. 300, art. 19). Sindacati — Dirigente di rappresentanza sindacale aziendale —
Permessi retribuiti — Pluralità di componenti della rappresen tanza sindacale aziendale — Necessità (Legge 20 maggio 1970
n. 300, art. 23).
Non costituisce condotta antisindacale l'irrogazione di una sanzio ne disciplinare al dipendente che, volendo usufruire dei per messi retribuiti previsti per i dirigenti di rappresentanze sinda
cali aziendali, si assenti dal servizio dandone comunicazione
scritta all'azienda senza rispettare il termine delle ventiquattro ore precedenti di cui all'art. 23, ult. comma, dello statuto dei
lavoratori, e senza indicare specificamente le ragioni di ur
genza che potrebbero giustificare la deroga. (1) Per la costituzione di una rappresentanza sindacale aziendale non
basta, che un lavoratore dell'azienda e il sindacato cui appartie ne ne proclamino l'esistenza, ma occorre la presenza di una
pluralità di iscritti (almeno tre) a quel sindacato. (2) Per l'individuazione del dirigente di rappresentanza sindacale
aziendale avente diritto ai permessi retribuiti occorre che la
rappresentanza sindacale aziendale sia composta di almeno tre
delegati. (3)
(1) Non risultano precedenti in termini. In dottrina, in generale, v.
Germano, in Lo statuto dei lavoratori. Commentario, a cura di Giugni,
Milano, 1979, sub art. 23.
(2-3) In senso contrario Trib. Siracusa 4 gennaio 1973, Foro it., Rep. 1974, voce Sindacati, n. 83, che pare ammettere che la r.s.a. possa essere costituita da un solo lavoratore. In tal senso, esplicitamente, Pret. Milano 22 maggio 1972, id., 1973, I, 1313; Trib. Savona 23
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1775 PARTE PRIMA 1776
Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — Con ricorso depositato in
cancelleria il 17 marzo 1980 e iscritto al numero 64659 del ruolo
generale contenzioso, il sindacato provinciale di Roma dei lavora
tori bancari (facente parte della Federazione italiana banca
ri - F.i.b., a sua volta aderente alla Confederazione italiana dei
sindacati dei lavoratori - C.i.s.l.) chiedeva al Pretore di Roma in
funzione di giudice del lavoro, di emettere, nei confronti dell'Isti
tuto federale di credito agrario per l'Italia centrale, i provvedi menti previsti dall'art. 28 legge 20 maggio 1970 n. 300, in
repressione' della condotta antisindacale che il medesimo istituto
avrebbe tenuto in danno di esso sindacato ricorrente. Quest'ulti'
mo lamentava infatti che l'istituto avesse illegittimamente inflitto
il 5 febbraio 1980 la sanzione disciplinare della deplorazione scritta nei confronti dell'impiegata dipendente Elena Spanò, diri
gente della rappresentanza sindacale aziendale dello stesso sinda
cato ricorrente, a motivo di due brevi assenze dal servizio,
verificatesi entrambe il 22 novembre 1979, le quali, lungi dall'esse
re ingiustificate (come aveva ritenuto l'istituto), erano state invece
determinate dall'esercizio di una legittima attività sindacale. Si
faceva inoltre rilevare che il carattere antisindacale della sanzione
disciplinare anzidetta (illegittimamente inflitta, e impugnata dal
l'interessata) era confermato dal comportamento discriminatorio
tenuto dall'istituto il quale, mentre da un lato, aveva proceduto
con rigore nei confronti del dirigente della rappresentanza sinda
cale aziendale del sindacato ricorrente, aveva invece, d'altro lato,
largheggiato in permessi a vantaggio degli attivisti (anch'essi suoi
dipendenti) di un sedicente sindacato autonomo aziendale.
Insieme con questo ricorso venivano depositati in cancelleria
alcuni documenti.
Con decreto del 21 marzo 1980 il pretore disponeva che le
parti comparissero dinanzi a sé in camera di consiglio il 14 aprile
1980, e che copia del ricorso e del decreto fosse notificata, a cura
del ricorrente, all'istituto sunnominato entro il 31 marzo 1980.
In effetti la notificazione avveniva il 27 marzo 1980.
L'11 aprile 1980 l'Istituto federale di credito agrario per l'Italia
centrale depositava in cancelleria una memoria difensiva e alcuni
documenti. Esso chiedeva respingersi il ricorso avversario, e
sosteneva la piena legittimità del provvedimento disciplinare adot
tato nei confronti della dipendente Elena Spanò, in quanto che le
due assenze, di circa due ore ciascuna, da costei fatte il mattino e
il pomeriggio del 22 novembre 1979, non avrebbero avuto alcuna
giustificazione. Infatti ella non avrebbe potuto usufruire di alcun
permesso sindacale, come dirigente di un rappresentanza sindacale
aziendale, in quanto che, in quell'epoca, ella era l'unica iscritta al
sindacato ricorrente, fra tutti i dipendenti dell'istituto; e in tanto
potrebbe ammettersi l'esistenza di una rappresentanza sindacale
aziendale, in quanto nell'azienda vi sia una pluralità di iscritti a
quel determinato sindacato. Inoltre, per quanto riguarda l'assenza
pomeridiana (che ex adverso si pretendeva di qualificare permesso sindacale), era stato dato preavviso scritto di pochi minuti appena e mai erano state indicate le ragioni d'urgenza che avrebbero potu
dicembre 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 102. Per quanto riguarda la nota questione della legittimità di pattuizioni collettive che prevedono un numero minimo di iscritti per la costituzione di r.s.a. v., da ultimo in senso affermativo, Cass. 17 maggio 1979, n. 2847, id., 1979, I, 1732, in contrasto con il precedente orientamento espresso da Cass. 5 novembre 1977, n. 4718, id., 1977, I, 2642.
Sul problema dell'individuazione dei dirigenti di r.s.a. aventi diritto ai permessi retribuiti ex art. 23 legge 300/1970, v. Pret. Milano 21 settembre 1978, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 68, 109, che afferma la competenza esclusiva del sindacato alla designazione e l'insindacabilità della scelta da parte del datore di lavoro.
Nel senso che l'azienda deve riconoscere i permessi retribuiti ai rappresentanti sindacali aziendali prendendo semplicemente atto delle comunicazioni degli interessati, purché queste rispettino i limiti di legge, v. Pret. Milano 2 dicembre 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 79; sul punto v. anche Pret. Iglesias 5 luglio 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 89 (per esteso in Orient, giur. lav., 1977, 739, con nota di Dalmasso), che afferma inoltre il diritto di tutti i delegati a beneficiare dei permessi retribuiti.
Per l'analisi dei vari problemi relativi al procedimento di formazione delle r.s.a. (ivi compreso quello attinente alla determinazione) dei limiti numerici, in dottrina v. Mancini (Ghezzi, Montuschi, Romagnoli), Statuto dei diritti dei lavoratori, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1972, sub art. 19, spec. 399 ss., che ritiene legittimamente costituita anche la r.s.a. composta da un solo lavoratore; Pera, Diritto del lavoro, Padova, 1980, 206, che, modificando una precedente impostazione, accoglie ora le tesi di Mancini. In senso dubitativo, in particolare, sulla legittimità delle clausole contrattuali che impongono limiti numerici alla costituzione di r.s.a., si esprime vicever sa Grandi, L'attività sindacale nell'impresa, Milano, 1976, 78 ss.
to consentire la deroga al rispetto del termine di ventiquattr'ore, stabilito dalla legge. Pertanto il permesso era stato negato, ma Elena Spanò se lo era preso ugualmente. Infine si faceva rilevare che per l'assenza antimeridiana non era stato neppure invocato ex
adverso il motivo del permesso sindacale. L'istituto negava poi di
aver mai posto in essere alcuna discriminazione tra il sindacato
ricorrente e il sindacato autonomo dipendenti I.f.c.a.i.c., e di aver mai favorito quest'ultimo. (Omissis)
Indipendentemente dalla buona o mala fede di Elena Sffanò
(che in questa sede non rileva), è oggettivamente ingiustificata la di lei assenza dal servizio, avvenuta il pomeriggio del 22 novem
bre 1979 e che costituisce uno dei fatti per i quali le è stata
inflitta la sanzione disciplinare di cui si è fatto cenno più sopra.
Detta assenza è ingiustificata per un duplice ordine di motivi.
In primo luogo Elena Spanò, come è stato ammesso dal
sindacato nel ricorso ora in esame, diede alla direzione dell'isti tuto datore di lavoro comunicazione scritta della propria volontà,
come dirigente di una rappresentanza sindacale aziendale, di
usufruire, quel pomeriggio, di un permesso sindacale retribuito di due ore, pochi minuti prima dell'inizio della durata del permesso stesso. Ora è ben vero che il termine di ventiquattr'ore, di cui all'ultima parte dell'art. 23 legge 20 maggio 1970 n. 300, non è
tassativo, ma è anche vero che per derogarvi occorrono motivi
d'urgenza, tanto più impellenti quanto più breve risulta il termine di preavviso. Neppure ora, nel corso del presente procedimento, il sindacato ricorrente ha indicato quali motivi d'urgenza potessero
giustificare la deroga. Questo comportamento processuale induce senz'altro a ritenere che nessun motivo d'urgenza in realtà sussi stesse (nessun motivo essendo stato addotto).
Poiché la norma sopra citata impone tassativamente la « co
municazione scritta » (le parole « di regola », e quindi la possibi lità di una deroga, si riferiscono soltanto al termine di « venti
quattr'ore prima »), è irrilevante accertare se, come sostiene il sindacato (ma l'istituto lo contesta), Elena Spanò abbia effettiva
mente dato il mattino di quello stesso giorno a un funzionario
dell'istituto una comunicazione verbale della propria volontà di
usufruire nel pomeriggio di un permesso sindacale retribuito di due ore. Inoltre, poiché è pacifico che il funzionario in questione (tale dott. De Blasi) non è il legale rappresentante dell'istituto (né un procuratore di esso), è irrilevante accertare se egli abbia davvero prestato acquiescenza, il mattino, alla comunicazione che Elena Spanò gli avrebbe verbalmente fatto (il sindacato sostiene
che egli avrebbe consentito senza riserve, ma l'istituto contesta
ciò). Invero, qualunque cosa quel funzionario possa averle detto, Elena Spanò non poteva ritenersi dispensata dall'obbligo della
comunicazione scritta (e in effetti ella più tardi vi provvide). Ulteriore motivo, che rende irrilevante indagare che cosa abbia effettivamente detto quella mattina Elena Spanò al dott. De Blasi, e che cosa questi le abbia risposto, è che, in ogni caso, quella mattina si era ormai fuori termini, rispetto al pomeriggio, con riferimento al termine legale delle ventiquattr'ore.
Il secondo ordine di motivi, che rende oggettivamente ingiu stificata l'assenza dal servizio di Elena Spanò il pomeriggio del 22 novembre 1979, consiste nella giuridica inesistenza, nell'ambito dell'Istituto federale di credito agrario per l'Italia centrale, quel
giorno, di una rappresentanza sindacale della Federazione italiana bancari (o di un sindacato a questa appartenente). Non esistendo
questa rappresentanza sindacale aziendale, ovviamente Elena Spa nò non poteva esserne un dirigente, e pertanto ella non aveva
diritto ad alcun permesso sindacale retribuito (essendo del tutto
pacifico che ella non faceva parte di alcun organo direttivo, o
provinciale o nazionale, di un'associazione sindacale).
E in verità, perché esista una rappresentanza sindacale azienda
le, nel senso inteso dall'art. 19 legge 20 maggio 1970 n. 300, non basta che un lavoratore dell'azienda e il sindacato cui egli appartiene ne proclamino l'esistenza, ma occorre che sussistano i
requisiti stabiliti dalla norma citata. Questi requisiti sono pochi, lasciando la norma un'ampia libertà di forme e ampio spazio all'autonomia sindacale, ma pur tuttavia esistono. Uno di questi è
la pluralità dei lavoratori iscritti a un sindacato, nel senso che, solo nel caso in cui nell'ambito dell'azienda vi siano almeno tre lavoratori iscritti a un sindacato, è consentito costituire una
rappresentanza sindacale aziendale (di quello stesso sindacato). Questo principio non si trova cosi letteralmente formulato nella norma di legge in esame (la cui formulazione, peraltro, è tecni camente infelice e imprecisa, come riconoscono pressoché unanimi
dottrina e giurisprudenza); ma è imposto all'interprete da impre scindibili esigenze logiche (prima ancora che dal plurale « lavora
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tori », che si legge nella prima parte dell'articolo, di per sé non
decisivo).
È chiaro innanzi tutto che, poiché la norma prescrive l'« inizia
tiva dei lavoratori » occupati nell'azienda, per costituire la
« rappresentanza sindacale aziendale », quest'ultima rappresenta in primo luogo i lavoratori di quell'azienda iscritti a quel sindaca
to, e solo in via mediata e indiretta (per il tramite cioè di quei
lavoratori iscritti) essa rappresenta il sindacato. Posto questo
principio, chiaramente espresso nella norma, è giocoforza postula
re, di conseguenza, la sussistenza di due cerchi concentrici: uno
più grande, comprendente tutti i lavoratori iscritti a un determi
nato sindacato e occupati in una determinata unità produttiva, e
uno più ristretto, comprendente i rappresentanti (o delegati) dei
primi, che è appunto la rappresentanza sindacale aziendale. Poi
ché trattasi di un istituto facoltativo, questa può anche mancare; ma è evidente che, se i lavoratori occupati nell'azienda e iscritti a
un sindacato omettano di costituire la loro rappresentanza, non
possono di certo godere come singoli, e neppure come gruppo, di
quei diritti che la legge riconosce soltanto alle rappresentanze sindacali aziendali (o addirittura soltanto ai dirigenti di esse). Ma, a parte ciò, preme porre in rilievo la logica impossibilità di una
totale identificazione tra rappresentante e rappresentato, di modo
che, dove esiste un solo lavoratore iscritto a un determinato
sindacato, nessuna rappresentanza sindacale aziendale può esiste
re. E anche dove i lavoratori iscritti al sindacato siano soltanto
due, ammettere che uno di costoro possa rappresentare se stesso e
l'altro sembra davvero un'ipotesi al limite della realtà, e comun
que in contrasto con lo spirito della norma.
Nel caso in esame è pacifico (lo stesso segretario del sindacato
ricorrente l'ha ammesso, quando è stato sentito in camera di
consiglio) che il 22 novembre 1979 Elena Spanò era l'unico
dipendente dell'Istituto federale di credito agrario per l'Italia
centrale iscritto alla Federazione italiana bancari, e che solo in
epoca successiva si iscrisse a questa un secondo lavoratore.
Perciò deve escludersi che il 22 novembre 1979 Elena Spanò fosse un rappresentante sindacale aziendale.
Nella discussione orale, in camera di consiglio, il difensore del
sindacato ha adombrato la suggestiva tesi, secondo cui Elena
Spanò avrebbe, comunque, ricevuto un mandato sindacale di
rappresentanza da parte di una pluralità di lavoratori dell'istituto,
quantunque non iscritti al sindacato ricorrente (o non iscritti ad
alcun sindacato). L'assunto è del tutto sfornito di prova; ma
comunque, anche se fosse vero, sarebbe irrilevante. Infatti il
sindacato ricorrente ha sempre sostenuto (e sostiene ancora ades
so) che Elena Spanò era rappresentante sindacale aziendale di
esso stesso sindacato ricorrente; e altrettanto ha sempre sostenuto
la stessa signora Spanò, secondo quanto risulta dai documenti in
atti; d'altra parte, se cosi non fosse, il sindacato ricorrente non
avrebbe titolo per ricorrere al giudice ai sensi dell'art. 28 legge 20
maggio 1970 n. 300. Orbene l'art. 19 della stessa legge dispone, come è del resto ovvio, che soltanto i lavoratori iscritti a uno dei
sindacati ivi indicati possono costituire una rappresentanza sinda
cale aziendale (ovviamente riferita a quel sindacato di cui fanno
parte). È vero che l'iscrizione (meglio si direbbe appartenenza o
adesione) a un determinato sindacato, attesa la totale carenza di
una normativa al riguardo, non è soggetta ad alcuna formalità,
salvo quelle che siano eventualmente stabilite dallo statuto dello
stesso sindacato; ma è pur vero che, secondo i principi generali, deve comunque esistere una chiara manifestazione di vblontà del
singolo lavoratore di aderire a quel determinato sindacato.
Nel caso in esame (ripetesi), il segretario del sindacato ricorren
te ha ammesso che il 22 novembre 1979 lo stesso sindacato aveva
un solo aderente (Elena Spanò) fra i lavoratori dipendenti dell'I
stituto federale di credito agrario per l'Italia centrale.
Può aggiungersi che l'art. 23 della legge citata conferisce il
diritto ai permessi sindacali retribuiti non a tutti i membri della
rappresentanza sindacale aziendale, ma soltanto a uno o più « dirigenti » della stessa rappresentanza (secondo alcune precise
proporzioni, indicate nella norma, in relazione al numero dei
lavoratori occupati nell'azienda). Ora, se le parole hanno un
senso, in tanto può ammettersi l'esistenza di un « dirigente », in
quanto vi siano persone per cosi' dire « dirette » dallo stesso,
ossia, in altri termini, che una rappresentanza sindacale aziendale
in tanto possa avere un dirigente, in quanto sia (essa stessa
rappresentanza) composta di almeno tre persone. Nulla vieta che
la rappresentanza sindacale aziendale sia composta di una sola
persona, ma non sembra che in tale ipotesi costui possa essere
considerato un « dirigente ». Pertanto, anche sotto questo profilo,
deve escludersi che Elena Spanò potesse avere diritto a permessi sindacali retribuiti.
Considerato adunque che il provvedimento disciplinare adottato
nei confronti di Elena Spanò aveva un fondamento oggettivo nel
più grave degli addebiti contestati, tanto basta per escludere che la sua adozione costituisca comportamento antisindacale; ed è
irrilevante in questa sede indagare se sussistano eventuali motivi di illegittimità del provvedimento stesso (peraltro non dedotti dal
ricorrente), come del pari irrilevante è indagare se l'assenza
antimeridiana dal servizio (il mattino di quello stesso giorno: 22
novembre 1979) di Elena Spanò fosse, o meno, giustificata. Al
riguardo basta osservare che l'addebito, fondato o infondato che
sia, non è comunque pretestuoso, giacché lo stesso sindacato ricor
rente ammette che Elena Spanò si assentò effettivamente quella mattina per qualche tempo dal servizio (pur sostenendo che ella
aveva buoni motivi per fare ciò). In ogni caso, la sanzione inflitta
(deplorazione scritta) non appare ictu oculi sproporzionata, anche se l'assenza ingiustificata fosse soltanto quella del pomeriggio (che tra l'altro, come è pacifico, fu anche la più lunga).
Solo in maniera generica e senza indicare alcun concreto
episodio, il sindacato ricorrente ha accusato l'Istituto federale di
credito agrario per l'Italia centrale di aver tenuto un comporta mento discriminatorio tra esso stesso sindacato e il sindacato
autonomo dipendenti I.f.c.a.i.g., a tutto favore di quest'ultimo. D'altronde, si è visto che la sanzione disciplinare adottata nei
confronti di Elena Spanò, unica dipendente iscritta al sindacato
ricorrente, ha una obiettiva giustificazione, mentre, d'altro lato, eventuali permessi concessi a dipendenti iscritti al sindacato
antagonista (sui quali permessi nulla, peraltro, è stato precisato dal ricorrente) possono trovare agevole giustificazione nel fatto, ammesso dal ricorrente, dell'avere detto sindacato numerosi ade
renti tra i dipendenti dell'istituto (quest'ultimo ha sostenuto che
erano trenta su ottanta, e queste cifre non sono state contestate dal ricorrente), di modo che esso poteva avere una sua rappresen tanza sindacale aziendale, a sua volta fornita di un dirigente. Quanto all'opera di proselitismo, consentita agli iscritti al sindaca
to autonomo, non risulta che essa sia stata mai impedita o limitata alla signora Spanò.
Perciò, anche sotto l'aspetto degli atti discriminatori, il compor tamento antisindacale dell'istituto non sussiste.
Concludendo, la domanda del sindacato ricorrente deve essere
integralmente respinta. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile
Lavoro e previdenza ((controversie in materia di) — Crediti di
lavoro — Maggior danno da svalutazione monetaria — Pa
gamento di provvisionale a favore del lavoratore — Sentenza di condanna — Esecuzione provvisoria — Risarcimento danni — Condanna — Mancata previsione della rivalutazione mone
taria — Questioni inammissibili di costituzionalità (Cost., art.
3; cod. proc. civ., art. 277, 423, 429, 431).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Crediti di
lavoro — Maggior danno da svalutazione monetaria — Esclu
sione della prova — Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 1, 3, 4, 35; cod. proc. civ., art. 429).
Lavoro e previdenza /(controversie in materia di) — Crediti di
lavoro — Rivalutazione monetaria — Rapporti di lavoro auto
nomo — Applicazione idi ufficio — Questione infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 1, 3, 4, 35; cod. proc. civ., art. 409,
429).
Esecuzione provvisoria — Crediti pecuniari non di lavoro —
Inapplicabilità dell'art. 431 cod. proc. civ. — Questione infon
data di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. proc. civ., art. 282,
431). Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Crediti di
lavoro — Pagamento di somme a titolo provvisorio — Ordi
nanza — Revoca solo con la sentenza di merito — Questio
ne infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 102; cod.
proc. civ., art. 423).
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