Decreto 20 marzo 1961; Pres. Terranova P., Est. Burgio; ric. Soc. Siciliana azionaria elementiprefabbricati (S.a.e.p.)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 4 (1962), pp. 817/818-819/820Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150461 .
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817 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 818
fatta dal vigente codice civile agli art. 2044 e 2222, appare evidente che quello che discrimina la locatio operarum dalla locatio operis e la subordinazione del prestatore di
lavoro alia direzione dell'imprenditore. Xel contratto cinematografico, difatti, si ritrovano i due
elementi: subordinazione e rischio, che rappresentano i
lati caratteristici del contratto di lavoro. Quanto al primo elemento, esso deriva dal fatto ebe il coautore del film
rimane pur sempre un prestatore d'opera subordinato, non
essendo egli svincolato dal piano organizzativo e dal cri
terio direttivo del produttore del film o di chi per lui, e
non essendo le prestazioni di lavoro dell'artista del cinema,
per quanto elevate e pregiate, la sola esclusiva determina
zione del risultato dell'opera. Ed e proprio in questo il
carattere distintivo della locatio operarum dalla locatio operis.
Riguardo all'altro estremo, esso si ricava dal fatto che
l'autore dell'opera cinematografica, nella specie, lo sceneg
giatore non partecipa ai rischi dell'impresa, cbe, invece, e organizzata dal produttore, il quale fornisce i capitali
necessari; e la sopportazione del riscbio giustifica la subor
dinazione ed i poteri dell'imprenditore. N6 si obietti che la particolare figura del produttore
snaturi il contratto di lavoro. Basta in proposito conside
rare che se, de iure condendo, il complesso problema concer
nente l'inquadramento giuridico della figura del produttore merita il piu attento esame, anche in relazione al preva lente indirizzo della dottrina intesa ad ottenere, sotto la
spinta delle organizzazioni internazionali dei produttori ci
nematografici, il riconoscimento al produttore della qua lifica di autore, e vano il negare che, con il sistema attuale
vigente in Italia, nel produttore si accentua l'esercizio dei
diritti di utilizzazione economica. Egli, difatti, pur rice
vendo dagli autori i contributi fondamentali per la produ zione dell'opera cinematografica, ha facolta di scelta e di
coordinamento, ed assume il rischio del processo produt tivo del film, ft questa caratteristica che da struttura essen
ziale ai contratti stipulati dal produttore con i coautori
del film, a nulla rilevando la questione se il produttore,
per lo sfruttamento economico dell'opera da lui condotta a
termine con i suoi mezzi, agisca per mandato ex lege o sia
titolare di un diritto di godimento iure proprio. Le clausole contenute nella scrittura privata intercorsa
tra le parti dimostrano agevolmente la natura del con
tratto in controversia.
Con esso difatti l'attore s'impegnava a prestare la sua
opera a favore della C.i.n.e.s. per la stesura del soggetto, del trattamento e della sceneggiatura definitiva di un film,
il cui argomento concerneva l'attivita spirituale di uno o
piu sacerdoti e sui problemi inerenti all'esercizio di tale
missione.
L'obbligo, quindi, assunto dall'attore era caratteristico
dell'opera svolta dallo scenografo, per essersi il Giagni
impegnato a creare il soggetto, ad elaborarlo in forma cinema
tografica e a costituire il piano particolareggiato delle di
verse serie di scene. II fatto, poi, secondo il quale l'attore
avrebbe compiuto la sua opera, « seguendo gl'indirizzi e le
iudicazioni del produttore e del regista », vieppiü dimostra
come lo sceneggiatore sia un prestatore d'opera subordi
nato ed il ruolo assolutamente preponderante che il regista assume su quello degli altri autori nella fase di esecuzione
dell'opera ed in quella particolarmente delicata della sua
immediata preparazione. D'altra parte, per quanto concerne il produttore, la sua
posizione si spiega con il fatto, che, assumendo egli il ri
schio dell'impresa e spettandogli, a termini dell'art. 46,
1° comma, legge cit., lo sfruttamento cinematografico del
l'opera prodotta, egli deve assicurarsi le migliori condizioni
per il piii intenso sfruttamento del prodotto della sua im
presa ; da ciõ deriva il suo diritto a richiedere la coopera
zione degli artisti e degli operatori, in modo da creare un
complesso organizzato di mezzi e di prestazioni adeguate
alle finalitä previste. Xe tale criterio direttivo, che compete
al produttore, vulnera il titolo originario del diritto d'autore,
costituito, aisensi dell'art. 6 legge cit , dalla creazione del
l'opera, quale particolare espressione del lavoro intellet
tuale, in quanto, se il coautore dell'opera, nella specie,
lo scenografo, e vincolato ai piano organizzativo del pro duttore, Pattivitä di questi in ordine alle modificazioni
inoontra sempre i limiti di cui all'art. 46 stessa legge, ehe
consentono modifiche puramente tecniche, giustificate da
esigenze eeonomiche.
Riguardo all'altro aspetto della clausola, la posizione di prevalenza del regista nei confronti dello sceneggiatore 6 determinata dal fatto ehe il regista, procedendo ad un
incisivo lavoro di rielaborazione, di coordinamento e di
direzione, imprime all'opera in corso di produzione il tim
bro talora prepotente e, comunque sempre inconfondibile, della sua personalita e del suo particolare ingegno creativo.
Ciõ stabilito quanto alla natura del contratto, giova osservare come la facoltä di recesso del committente, pre vista dall'art. 2227 cod. civ., trovi la sua giustificazione nel carattere fiduciario del rapporto.
La risoluzione, quindi, puõ avere luogo senza una giusta causa e senza ehe il committente sia obbligato a darne
comunicazione. L'esercizio della facoltä di recesso obbliga,
perõ, il committente a retribuire il lavoratore per la parte del lavoro eseguito e a tenerlo indenne del lucro cessante
o mancato guadagno, eon il criterio dell'arbitritim boni
viri, indipendentemente dalla utilitä ricavatane. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI PALERMO.
Decreto 20 marzo 1961 ; Pres. Terra nova P., Est. Burgio ; ric. Soe. Siciliana azionaria elementi prefabbricati
(S.a.e.p.).
Soeietä — Soeietä per azioni — Mancata determina
zione statutaria «lella ripartizione de<|li 111 iii —
Integrazione mediante esercizio della deleya ad
apportare modiliehe — Ammissibilitä — Liiniti
(Cod. civ., art. 2328, n. 7, 2428).
Ghi, nell'atto costitwtivo di soeietä, e stato delegato ad apportarvi le modificazioni eventualmente suggerite dal tribunale in
sede d'omologazione, pud giovarsi di detta delega per
integrate la mancanza, nello statuto, di clausole relative
alla ripartizione degli utili, assegnandone il 5% ai fondo di riserva, e il rimanente alle azioni, salvo le detrazioni
deliberate dalVasscmblea. (1)
Il Tribunale, ecc. — L'atto eostitutivo e lo statuto
della Siciliana azionaria elementi prefabbricati non con
tengono, contro il disposto dell'art. 2328, 1° comma, n. 7,
le norme relative alla ripartizione degli utili. Di seguito ai rilievo in sede di omologazione, 1'ist ante Giuseppe Fer
raro, avvalendosi dei poteri a lui conferiti dall'art. 10
(1) Siill';inmiissibi 1 it a della delega, di solito conferita ad
alcuni degli amministratori, ad apportare all^atto eostitutivo
le modificazioni richieste dal giudice in sede d'omologazione, su cui s'indugia il decreto riportato, cons. Trib. Lucera 15 aprile 1948 (Foto it., Rep. 1948, voce Soeietä, n. 87), pronunciato su
ricorso del notaro A. Giuliani, il quale, in nota ai presente decreto (Riv. notariato, 1961, 914), ritiene ingiustificato il rilievo
inteso dal Tribunale di Palermo a provocare il successivo atto
di rettifica dal momento ehe i soci, non avendo disciplinato la ripartizione degli utili, si erano rimessi ai regime di legge,
poi espletato dal delegato in sede di rettifica.
Graziani, Diritto delle soeietä, 1960, pag. 209, richiamando
il decreto del Tribunale di Lucera, considera indubbiamente
valida la clausola ; Romano Pavoni, in Riv. dir. comm., 1951,
II, 275, la ritiene autonoma rispetto ai negozio eostitutivo della
soeietä ; Frž, Soeietä per azioni2, pag. 74 in nota (Commentario del
eodiee civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, sub art. 2330),
precisa ehe con la delega « non si attribuisce una vera e propria facolta di modificare lo statuto, ma soltanto quella di apportare a questo atto le modificazioni strettamente necessarie per otte
nere 1'approvazione dell'autoritä giudiziaria »(ivi citazioni di dot
trina, tra cui A. Scialoja, Saggi di vario diritto, II, pag. 147, e
di giurisprudenza correnti sotto il codice di commercio abrogato).
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819 PARTE PRIMA 820
dell'atto costitutivo, per il quale i soci gli conferivano
mandato di apportare all'atto stesso ed alio statuto «tutte
le modifiche, aggiunte o soppressioni ehe potessero essere
eventualmente richioste dalla competente autorita giudi ziaria in sede di omologazione », con atto di sua delibera
zione in data 8 marzo 1961, avanti il notar V. Di Giovanni, modified lo statuto per la eitata Society, statuendo aggiun
gere all'art. 23 le norme per la ripartizione degli utili:
5% al fondo""di riserva ed il rimanente alio azioni salvo
le detrazioni deliberate dall'assemblea.
Ora il mandato, ehe nel contratto di societä viene a
taluno conferito per le eventuali modificbe da apportare, in eseeuzione delle presorizioni delPautoritä giudiziaria, deve intendersi strettamente legato alle divergenze tra le
convenzioni e norme di cui al contratto e alio statuto
e le disposizioni non derogabili di legge, talehö i limiti
del mandato sono, in pratica, ben precisi, sebbene la for
mula, con cui il mandato viene conferito, appaia generica. Il mandatario poträ, e dovrä infatti render conforme a
legge quella norma contrattuale e statutaria che non lo 6, di tanto modificandola di quanto b necessario alio scopo.
In sostanza 6 un mandato di errata corrige, dal quale si desume che i contraenti vogliono cbe l'atto abbia efficacia
e vogliono cbe nei punti, nei quali dalla legge si discosta, ad essa sia reso conforme, mentre demandano, per brevity, al mandatario, il compito di operare la modifica, material
mente esecutiva di una volontä giä, espressa. Esula pertanto dai cennati confini una attivitä del
mandatario, che valga ad aggiungere, non giä una norma
che abbia valore correttivo e di chiarimento, bensi che
valga a colmare un vuoto nel quale la volontä, delle parti
poteva liberamente determinarsi in una vasta gamma di
possibility dalla legge previste. Cosi, nella fattispecie, il
compito di determinare in che modo gli utili soeiali vanno
suddivisi, laddove il contratto e lo statuto nulla dispone vano (tranne un mero rinvio alle decisioni dell'assemblea), vari essendo i possibili criteri, tutti leciti, di ripartizione, esula certamente da un mandato formalistico qual'e quello in esame, eccede il previsto limite di correzione o di aggiunta
magari, se questa õ dalla legge determinata nel contenuto, ed esige il rispetto delle norme relative a mandato generale
(art. 1708 cod. civ.), per le quali non e lecito al mandatario
completare atti di disposizione (ripartizione degli utili), se tale facoltä, in relazione ai singoli atti, non gli e espres samente concessa.
iSott'altro aspetto, tuttavia, non avendo i consociati
stabilito in che modo dovesse avvenire la ripartizione
degli utili, puõ ritenersi che, in realtä, costoro abbiano
voluto che la divisione avvenisse nei modi nei quali avrebbe
dovuto presumersi disposta se, per fortuito, l'atto da
loro predisposto fosse rimasto, nonostante il controllo
delPautoritä, giudiziaria. nella sua originaria forma. E tali modi son quelli dell'attribuzione alle azioni, fatta ecce
zione della riserva legale e degli eventuali ulteriori' accan
tonamenti disposti dall'assemblea con la maggioranza di
legge. Ora il mandatario, nel modificare in tale senso lo statuto,
ha reso esplicita la presumibile volontä, dei soci, e, conse
guentemente, puõ ritenersi non si sia discostato dai limiti del mandato in questione : egli avrebbe agito, com'era nei suoi poteri, in eseeuzione e non in sostituzione della
volorita dei mandanti.
Peraltro non potrebbe vedersi neU'attivita del man datario una contrattazione con se stesso fuor dai limiti di cui all'art. 1395 cod. civ., giacchö, anche sotto tale
profilo, l'atto compiuto mostra che il mandatario s'e de
terminato in modo da escludere la possibility di un con flitto di interessi.
Per quest i motivi, ecc.
TRIBUNALE DI TEHNI.
Sentenza 28 febbraio 1961 ; Pres. Gagliabdi P., Est. Dini ; Pelini (Aw. Cicciola) c. Pall. Pelini e Soc. Pavesi (Aw. Caristia, CtEraldini).
Fallimento — Sentenza dichiarativa — Opposizione del debitore — Onere della prova (Cod. civ., art.
2697 ; r. d. 16 marzo 1942 n. 267, disoiplina del falli
mento, art. 18). Fallimento — Sentenza dichiarativa — Opposizione
del debitore — Fascicolo fallimentare — Valore di prova « ex officio ».
Orava sul debitore, che ha proposto opposizione alia sentenza
dichiarativa di fallimento, Vonere della prova della insus
sistenza dei presupposti del fallimento. (1) Nel giudizio di opposizione alia sentenza dichiarativa di
fallimento, gli accertamenti definitivi contenuti nel fa seieolo fallimentare costituiscono prova piena. (2)
Il Tribunale, eec. — II giudizio di opposizione alia sen
tenza dichiarativa di fallimento, e un giudizio di cognizione
piena : conseguenza immediata della natura ordinaria del
procedimento e che 1'onere della prova soggiace alle norme
generali. II giudizio di opposizione ripropone l'esame dei presup
posti, sia di legittimitä sia di merito, die sono alia base
della dichiarazione di fallimento. Con il contraddittorio,
l'indagine stessa non ha, ne puõ avere piu, quel carattere sommario tipico degli accertamenti che preludono alia
sentenza dichiarativa. Il tribunale fallimentare, che giudica sull'opposizione, perde il potere inquisitorio ed officioso che la legge gli attribuisce nella fase istruttoria che precede la
dichiarazione di fallimento; rimane, ex officio, l'unica
potestä di valutare, ai fini del giudizio, le risultanze degli accertamenti consacrati negli atti che fanno parte del fa
seieolo fallimentare. Tanto che 6 pacifico, in dottrina e
giurisprudenza, che le dette risultanze costituiscono piena prova nel giudizio di opposizione.
Fonte principale di prova, b indubbiamente, il proce dimento di accertamento del passivo, che costituisce l'ele mento fondamentale per stabilire il numero e 1'entitä dei
debiti, l'origine delle insolvenze, la natura delle esposizioni debitorie, le circostanze in cui furono create le obbliga zioni e le cause che sono alia base dell'inadempimento.
Onere del fallito opponente 6 di provare l'insussistenza dei presupposti del fallimento : contrariamente ai principi fondamentali, pur restando fermo il principio onus probandi incumbit ei qui dicit, l'opponente (ed ecco perche il gravame e una tipica opposizione) dovrä anche dare la prova nega tiva. Nel senso che dovrä, dimostrare l'insussistenza di quei presupposti che il tribunale fallimentare ha vagliato prima di pronunciare la sentenza dichiarativa.
N6, d'altronde, il creditore opposto puõ essere esonerato
(1) Conf. Trib. Roma 10 maggio 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Fallimento, n. 185 e, in motivazione, Oass. 7 luglio 1958, n. 2451, id., 1958, I, 1639, con nota di richiami sulla questione.
(2) Conf. Cass. 18 maggio 1961, n. 1186, Foro it., Mass., 295 ; 7 novembre 1960, n. 3092, id., Rep. 1960, voce Fallimento, n. 217 ; 21 luglio 1960, n. 1061, ibid., n. 219 ; App. Milano 26 febbraio 1960, ibid., n. 222 ; App. Trieste 11 gennaio 1960, ibid., n. 220 ; Trib. Salerno 12 giugno 1959, ibid., n. 221 ; Cass. 3 aprile 1959, n. 982, id., Rep. 1959, voce cit., n. 157 ; App. Milano 8 aprile 1959, ibid., n. 158 ; Trib. Milano 16 aprile 1959, ibid., n. 159, annotata da Pa jardi, Sulla ripartizione delVonere pro batorio nel giudizio di opposizione a fallimento, in Mon. trib., 1960, 225 ; Cass. 25 luglio 1958, n. 2694, Foro it., 1958, I, 1639, con nota di richiami, cui adde Tedeschi, L'istruzione del giudizio di opposizione alia sentenza dichiarativa di fallimento, in Biv. dir. civ., 1960, II, 260 ; Cass. 7 luglio 1958, n. 2451, Foro it., 1958, I, 1639 ; entrambe queste ultime sentenze sono annotate da Zapfaroli, Principio del contraddittorio e principio inquisitorio nel giudizio di opposizione alia sentenza dichiarativa di fallimento, ibid., 1806, e da Carnelutti, Onere della prova in tema di op posizione a sentenza di fallimento, in Riv. dir. proc., 1959, 630.
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