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Decreto 22 luglio 1961; Pres. ed est. Pratis P., P. M. Caccia (concl. diff.); C. (Avv. Fiasconaro,...

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Decreto 22 luglio 1961; Pres. ed est. Pratis P., P. M. Caccia (concl. diff.); C. (Avv. Fiasconaro, Montel, Varetto) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 2033/2034-2041/2042 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151579 . Accessed: 25/06/2014 06:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 06:04:34 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Decreto 22 luglio 1961; Pres. ed est. Pratis P., P. M. Caccia (concl. diff.); C. (Avv. Fiasconaro, Montel, Varetto)

Decreto 22 luglio 1961; Pres. ed est. Pratis P., P. M. Caccia (concl. diff.); C. (Avv. Fiasconaro,Montel, Varetto)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 2033/2034-2041/2042Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151579 .

Accessed: 25/06/2014 06:04

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sensi dell'art. 543 cod. proc. civ., si sarà attuata quella particolare cautela costituita dalla intimazione di non con

segnare al socio debitore i beni, che gli spetteranno una volta

espletata la liquidazione. Trattandosi, però, di un diritto

eventuale, la dichiarazione richiesta dall'art. 547 cod. proc. civ., come è avvenuto nella specie, non potrà che limitarsi ad accertare se il debitore, quale socio, si trovi attualmente in ima situazione giuridica tale che gli consenta, alla fine

della società, di godere di una quota di ricavo netto.

L'accertamento specifico dei crediti sarà possibile sol

tanto alla fine delle operazioni di liquidazione e mediante

un'ulteriore dichiarazione da parte della società, resa obbli

gatoria dalla stessa intimazione contenuta nell'atto di pigno ramento. Nè diversa, del resto, sarebbe la procedura, ove

fosse stato eseguito il sequestro. In conclusione, l'art. 2270, 1° comma, non vieta la pignorabilità della quota spettante al socio nella liquidazione, ed è, pertanto, legittima la proce dura esecutiva della Mobiloil, tenuta presente la dichiara zione della Società pignorata, dalla quale risulta ammessa la

sussistenza di un credito, sia pure eventuale, a favore del

Galletti.

Per questi motivi, ecc.

I

TRIBUNALE DI TORINO.

Decreto 22 luglio 1961 ; Pres. ed est. Pkatis P., P. M. Cac

cia (conci, cliff.) ; C. (Avv. Fiasconabo, Montel, "Va

retto).

Filiazione — Filiazione naturale — Denuncia <li na

scita (presentata dal padre) di figlio avuto da

donna che non consente di essere nominata —

Mancata indicazione dello stato di costei — Ri

iiuto dell'ufficiale di stato civile — Illegittimità

(Cod. civ., art. 231, 252, 253 ; r. d. 9 luglio 1939 il.

1238, ordinamento dello stato civile, art. 83).

L'ufficiale di stato civile non può rifiutarsi di ricevere la

denunzia, presentata dal padre naturale di figlio avuto

da donna che non consente di essere nominata, se il padre si limita a declinare il proprio stato libero e non fornisce indicazioni sullo stato■ di nubile o di coniugata della

donna. (1)

II

TRIBUNALE DI MODENA.

Sentenza 29 aprile 1961 ; Pres. Makiani P., Est. Pagliari ; G. (Aw. PlGHl) 0. G. (Aw. SlLINGABDl), C. (Aw. LeONI), G. (Avv. Ghittoni), Finanze (Avv. dello Stato Fontana).

Filiazione — Filiazione naturale — Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità

Fattispecie (Cod. civ., art. 231, 250, 263).

Poiché l'atto di nascita da donna coniugata costituisce il

titolo di stato di figlio legittimo, è infondata l'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, se il difetto di

veridicità vien fatto consistere in ciò che il padre natu

rale aveva denunciato come avuto da donna non nomi

nata il figlio procreato con donna coniugata con altri. (2)

(1-2) Pubblichiamo insieme le due decisioni, che si riallac ciano alla proposizione che per l'esistenza dello stato di figlio legittimo non è sufficiente il fatto della nascita da donna coniu

gata, ma è necessario che tale fatto risulti dall'atto di nascita, che costituisce il titolo di stato.

Come avverte (nel decreto, criticamente annotato da Gius.

Azzariti, in Giur. it., 1961, I, 2, 681) lo stesso Tribunale di

Torino, il quale ha provveduto sul reclamo avverso il rifiuto del l'ufficiale di stato civile, previsto dall'art. 83 dell'ordinamento dello stato civile, il precedente in termine è dato dalla conforme

Il Foro Italiano — Volume LXXXIV — Parte /-ISO.

T

Il Tribunale, ecc. — Il problema che si propone all'esame del Tribunale si identifica nel quesito se l'ufficiale dello stato civile, di fronte alla denuncia di nascita ed all'impli cita dichiarazione di riconoscimento fatto da un padre, non

legato da vincolo di matrimonio, relativamente ad un figlio avuto da donna che non consente di essere nominata, possa rifiutarsi di ricevere la denuncia e la contestuale dichiara

zione di riconoscimento, per non avere il dichiarante for nito le indicazioni relative allo stato di nubile o di coniugata della donna non nominata.

Va rilevato, anzitutto, che, a norma dell'art. 83 dell'or

dinamento dello stato civile, l'ufficiale dello stato civile

può rifiutare la ricezione della dichiarazione di riconosci

mento, nel caso di mancata dimostrazione da parte del

genitore, che nulla osta al riconoscimento stesso ai sensi di

legge. Secondo l'assunto del P. m., nella specie, l'omessa indi

cazione dello stato di nubile o coniugata della donna non

nominata si risolverebbe, appunto, nella mancata di

mostrazione dell'assenza di ostacoli al riconoscimento, in quanto, nel caso che detta donna fosse coniugata, il riconoscimento del figlio sarebbe ammesso, da parte del padre adulterino non legato da vincolo matrimoniale, soltanto dopo che il figlio avesse perduto lo stato di figlio

legittimo a seguito di azione di disconoscimento da parte del marito, cui era attribuita la paternità a norma dell'art. 231 cod. civile.

Pertanto il padre naturale, per poter effettuare il ri

conoscimento, non dovrebbe limitarsi a dar la prova di

non essere egli legato da vincolo matrimoniale, ma dovrebbe

altresì dichiarare se la donna, dalla quale il figlio è nato, sia coniugata o meno, fornendo inoltre, in caso afferma

tivo, la prova che « si tratta di figlio adulterino cui il ma

rito della madre non attribuisce lo stato di figlio legittimo». Il P. m. interpreta il principio dell'art. 231, secondo

il quale « il marito è padre del figlio concepito durante

il matrimonio », nel modo più rigoroso, riconoscendo a

detto principio il valore di attribuzione legale al marito

(più che di presunzione) della paternità del nato da donna

coniugata, attribuzione solo dal marito vincibile nei casi

e con i limiti degli art. 235 e 244 cod. civile. Tale interpretazione dell'art. 231, peraltro, è da tempo

superata dall'evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni

civili della Suprema corte, cui si sono recentemente unifor

mate le Sezioni unite penali. Già sotto l'impero del codice civile del 1865 era stato

affermato che la presunzione di paternità del marito ri

spetto al figlio concepito durante il matrimonio (art. 159 di quel codice) non operava per il semplice fatto della pro creazione da donna coniugata, ma solo in quanto vi fosse

un atto di nascita che dichiarasse detta procreazione, o

in mancanza vi fosse il possesso di stato di figlio legittimo (Cass. 17 gennaio 1933, n. 177, Foro it., Eep. 1933, voce

Filiazione, nn. 11, 12 ; 15 marzo 1934, n. 828, id., 1934,

I, 652 : questa ultima sentenza, in particolare, traeva la

conseguenza che, senza l'atto di nascita, che conferisce il

titolo di figlio legittimo o senza il relativo possesso di stato,

sentenza 23 luglio 1942 della Corte d'appello di Bologna, rip. in Foro it., 1943, I, 281, con nota di De Francisco.

Le cinque sentenze 30 maggio 1959 e 15 marzo 1960 delle Sezioni unite penali della Cassazione, alle quali i due Tribunali si riferiscono, sono rispettivamente riprodotte in Foro it., 1959, II, 201 e in questo volume, II, 8, con note di L. De Villa, ai cui riferimenti dottrinali va aggiunta (successiva in ordine di

tempo) la nota di Bbicola, in Foro padano, 1961, I, 707.

Sull'impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, che il Tribunale di Modena respinge per non sussistere lo stato di figlio legittimo, che avrebbe comprovato il difetto di veridicità del riconoscimento effettuato dal padre naturale, cons., App. Roma 30 luglio 1960, retro, 133, il quale ha ritenuto ammissibile la prova, dedotta dagli eredi dell'autore del riconoscimento al fine di accertare che il figlio riconosciuto era stato in realtà procreato da donna coniugata in costanza di matrimonio.

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2035 PARTE PRIMA 2036

fosse inammissibile un'azione di disconoscimento di una

paternità mai attribuita).

L'interpretazione veniva ribadita, dopo l'entrata in

vigore del nuovo codice, dal costante insegnamento del

Supremo collegio in sede civile (sent. 29 marzo 1943, n. 740, Foro it., Rep. 1943-45, voce cit., nn. 69-73 ; 14 ottobre

1946, n. 1318, id., 1944-46, I, 905 ; 13 agosto 1947, n. 1518,

id., 1948, I, 631 ; 15 aprile 1949, n. 914, id., Rep. 1949, voce cit., n. 23 bis ; 26 luglio 1949, n. 2006, id., 1950, I, 182 ; 12 marzo 1953, n. 583, id., Rep. 1953, voce cit., nn.

28,29). In contrasto con il deciso orientamento della Cassa

zione civile, le Sezioni penali, interpretando invece il prin

cipio stabilito dall'art. 231 come attributivo dello stato di

figlio legittimo (salva la prova contraria, da fornirsi dal ma

rito della madre in sede di disconoscimento della paternità), ritenevano la sussistenza del reato di alterazione di stato

nell'ipotesi della denuncia del figlio di donna coniugata, come nato da padre naturale e da donna che non intende

essere nominata ; oppure come nato da genitori naturali

(sottacendosi lo stato di coniugata della madre), oppure, infine, come figlio di ignoti (contra, e quindi nel senso della

Cassazione civile, tuttavia : Cass. pen. 10 giugno 1949, finir.

Gass. pen., 1949, 2, 406). Tale indirizzo delle Sezioni penali fu peraltro decisa

mente mutato con la sentenza delle Sezioni unite 30 maggio 1959 (Foro it., 1959, II, 201), che, espressamente aderendo

all'insegnamento della Cassazione civile (in senso conforme

vedi le quattro successive sentenze delle Sezioni unite pe nali 17 giugno 1960, id., 1961, II, 8, nonché la sentenza 9

luglio 1960, id., Rep. 1960, voce Swpposizione distato, n. 10), ritenne che non costituisce delitto di alterazione di stato

la denuncia da parte del padre del nato da relazione adul

terina come figlio proprio e di donna che non intende essere

nominata.

Con il nuovo indirizzo della Cassazione penale si è, per tanto, attuata quell'uniformità di interpretazione della

legge, che era sommamente auspicabile in ossequio al prin

cipio dell'unità della funzione giurisdizionale. Nè ritiene

il Collegio che possa seguirsi l'opinione del P. m., quando osserva che il recente indirizzo giurisprudenziale in sede

penale lascia in sostanza impregiudicata la questione di

specie relativa alla possibilità della attribuzione, in sede

di formazione di atto di nascita, della qualifica di figlio naturale al nato da una coniugata, per il solo fatto che il dichiarante lo denunci e lo riconosca come tale.

La questione di specie non può invero non essere in

quadrata nel problema più generale, e la decisione sulla

prima non può non discendere rigorosamente dalla risolu

zione adottata in merito al secondo.

Potrebbe, a questo punto, sembrare sufficiente un ri

chiamo ai concetti, che formarono oggetto di ponderato esame da parte della Suprema corte, sia in sede civile sia

in sede penale, per giungere all'attuale uniforme indirizzo.

Tuttavia il Collegio, ravvisando la possibilità di ulte

riormente sviluppare taluni aspetti del problema relativo

all'interpretazione del principio posto dall'art. 231, ed in

considerazione inoltre della peculiarità della connessa que stione di specie (mai esaminata dalla Suprema corte e sulla

quale risulta un solo ormai lontano precedente edito di una

Corte di merito: App. Bologna 23 luglio 1942, Foro it., 1943,

I, 281), ritiene di dover riesaminare succintamente, anzi

tutto, detto problema, per trarne poi le necessarie conse

guenze, in ordine alla fattispecie che forma oggetto del ri

corso.

Sono note le dispute dottrinali sulla norma dell'art. 231

e non è certo il caso di richiamarle in questa sede. È noto

altresì che, a favore delle due tesi contrapposte, si è tratto

argomento da difformi interpretazioni di altre singole norme in materia di filiazione.

È ovvio, peraltro, che la risoluzione della questione non

può fondarsi sull'esame di singole norme, considerate come

a sè stanti, ma deve derivare dall'interpretazione armonica

mente coordinata dal complesso delle norme che compon

gono il sistema, per dedurne il vero spirito informatore della

legge.

Ciò posto, va rilevato ohe soltanto un'interpretazione letterale della norma dell'art. 231, singolarmente presa, potrebbe indurre a ritenere clie il legislatore abbia inteso dare alla norma stessa quel significato di attribuzione al marito

(più ancora di presunzione) della paternità del figlio con

cepito durante il matrimonio, così come opina il P. m. È facile rilevare che l'espressione attribuzione viene a

perdere il proprio significato e ad acquistare quello di una presunzione iuris tantum, quando si ammette, e non

può non ammettersi, che essa è vincibile dal marito nei casi previsti dall'art. 235 cod. civile.

La conclusione, poi, che tale presunzione sia vincibile soltanto dal marito nei suddetti casi, è ima inesatta illa zione derivante dal coordinamento delle sole norme degli art. 231 e 235, senza tener conto delle altre norme che com

pongono il sistema.

Per un'esatta impostazione della questione, va notato :

1) che il concepimento durante il matrimonio, di cui

parla l'art. 231, è un fatto il quale, come tale, deve essere

provato da chi ne afferma la sussistenza ;

2) che, provato tale fatto, ha bensì piena validità la presunzione di paternità prevista dal suddetto articolo, ma, trattandosi di presunzione iuris tantum, essa prevale soltanto nei limiti previsti dalla legge.

Ne deriva la necessità di accertare, anzitutto, come sia

regolata la prova del fatto del concepimento durante il ma trimonio e, in secondo luogo, quali siano i limiti della pre sunzione di paternità nelle varie ipotesi, in cui questa può farsi valere.

Sul primo punto la regolamentazione non è espressa, ma risulta implicitamente dalle disposizioni relative alle

prove della filiazione legittima. In proposito la legge dichiara che la filiazione legittima

si prova, anzitutto, con l'atto di nascita, iscritto nei registri dello stato civile (art. 216, 1° comma, cod. civile).

Orbene, l'interpretazione di questa norma non può andare disgiunta da quelle norme che regolano la formazione

degli atti di nascita, e che dispongono che, soltanto quando la nascita è da unione legittima, si devono enunciare il nome e il cognome (oltre ad altri dati) del padre e della

madre, mentre, se la nascita è da unione illegittima, le enun ciazioni del nome e del cognome (e degli altri dati) dovranno essere fatte soltanto per il genitore o per i genitori, che per sonalmente rendono la dichiarazione di nascita, o che hanno fatto constare per atto pubblico del proprio consenso ad essere nominati, ferma la disposizione (della prima parte dell'art. 83 dell'ordinamento), che esige da parte dei geni tori naturali la dimostrazione che nulla osta al riconosci mento (art. 73 dell'ordinamento dello stato civile).

La prova, pertanto, del concepimento durante il ma trimonio è data, in via principale, dall'atto di nascita, il

quale, nel caso di nascita da unione legittima, fa constare della maternità della donna coniugata e, conseguentemente, attribuisce la paternità al marito.

Il significato che il P. m. vorrebbe dare alla di zione « nascita da unione legittima » di « nascita da donna

coniugata », per affermare che, in quest'ultimo caso, l'atto di nascita deve contenere tutte le indicazioni relative alla madre e al marito, è un'evidente forzatura dell'espres sione della legge, tendente a dare per dimostrato ciò che ancora deve esserlo.

La ragione, per la quale il legislatore attribuisce tanta rilevanza all'atto di nascita, sino a considerarlo titolo cer tificativo erga omnes dello stato di filiazione legittima, e

prova principale di questa fra gli interessati all'afferma zione o alla negazione di tale stato, va cercata nel fatto che

quell'atto (il quale, come tutti gli atti dello stato civile, adempie anche, e soprattutto, ad una funzione extrapro cessuale di accertamento dello stato di fronte ai terzi) deve enunziare la verità reale.

Chi rende infatti la denuncia di nascita, ne assume la

responsabilità, e, ove scientemente renda false attestazioni, incorre, quanto meno, nel reato previsto e punito dall'art. 495 cod. pen., se non anche in altre più gravi violazioni della legge penale. Ciò spiega e dimostra come la presunzione

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ex art. 231 divenga operante, anzitutto (pur se non esclu

sivamente), in presenza di un atto di nascita, che conferisca il titolo di figlio legittimo.

Qualora manchi l'atto di nascita, la legge ammette ohe la prova della filiazione legittima possa venir data con il

possesso continuo dello stato di figlio legittimo, possesso che deve risultare da una serie di fatti, i quali, nel loro com

plesso, valgono a dimostrare le relazioni di filiazione e di

parentela (art. 236, 2° comma, 237 cod. civile). Mancando, infine, l'atto di nascita ed il possesso di

stato, o quando il figlio fu iscritto sotto falsi nomi o come

nato da genitori ignoti, la prova della filiazione può darsi

col mezzo di testimoni (purché, tuttavia, vi sia un principio di prova per iscritto, oppure presunzioni o indizi abbastanza

gravi) (art. 241). In questo caso è evidente che, tra le prove testimoniali da fornirsi, potrà pure esservi quella relativa al fatto della nascita (nei limiti temporali indicati dall'art.

232) dalla moglie del preteso padre legittimo. Qualora tale

prova sia raggiunta, entrerà in campo la presunzione di

paternità ex art. 231, ma, in tal caso, la prova contraria alla filiazione legittima potrà essere data con tutti i mezzi, atti a dimostrare che l'interessato non è il figlio del marito

della madre (art. 234). La possibilità di fornire questa prova contraria con tutti

i mezzi vale ad escludere che siano applicate le restrizioni di prova previste dall'art. 235 per il caso dell'azione di

disconoscimento, nè può accogliersi l'opinione contraria, secondo la quale i limiti dell'art. 235 debbono ritenersi

sottintesi anche nel disposto dell'art. 243.

Non è possibile, infatti, estendere la portata di restri

zioni di prova previste, senza possibilità di equivoci, per la sola azione di disconoscimento ad altre azioni pure ten

denti ad un accertamento sullo stato, tanto più che la

differenza di trattamento ha una sua precisa giustifica zione (chi agisce per il disconoscimento del figlio attri

buitogli si trova, a differenza di colui che si oppone al

reclamo di stato, di fronte ad una presunzione di legitti mità già operante, in presenza dell'atto di nascita o del

possesso di stato che la comprovano). È facile trarre, a questo punto, le conclusioni circa i

limiti della presunzione di paternità, nelle ipotesi in cui

essa può farsi valere. Quando vi è un atto di nascita che, oltre a costituire prova della maternità, conferisce erga omnes il titolo di figlio legittimo, la presunzione di pater nità è realmente vincibile soltanto dal padre, nei casi e con

i limiti previsti dagli art. 233, 235 e 244.

Analoghe conseguenze si verificano, se sussiste il pos sesso di stato (del quale, peraltro, l'interessato dovrà dare

la prova). Se invece manca l'atto di nascita, che conferisca

erga omnes il titolo di figlio legittimo, e non sussistendo

neppure il relativo possesso di stato, poiché la presunzione iuris tantum, salva diversa, disposizione di legge, agisce soltanto nel campo probatorio, quale mezzo posto a dispo sizione di chi intende giovarsene, anzitutto la presunzione ex art. 231 non potrà operare sino a quando non sarà ef fettivamente fatta valere da olii ne lia l'interesse, e se non

dopo che ne sarà stato provato il presupposto (concepi mento durante il matrimonio). In secondo luogo, quando sarà provato tale presupposto, la presunzione di paternità sarà vincibile con la prova contraria da fornirsi dall'inte

ressato con ogni mezzo e senza limiti.

Le suesposte considerazioni autorizzano a ritenere che, nel sistema vigente, il legislatore non ha inteso dare la pre valenza ad un'attribuzione di paternità legittima presunta, nonostante la realtà di una diversa paternità naturale già venuta altrimenti alla luce, ma anzi ha inteso dare piena efficacia, in linea di principio, alla realtà dell'effettivo

rapporto di procreazione (lasciando libertà di accertamento

e di attestazione in proposito), salvi i casi in cui sia vietato

il riconoscimento della prole naturale o sino a quando non

ci si trovi già di fronte ad un titolo certificante lo stato

di figlio legittimo, qual'è l'atto'di nascita, oppure di fronte

ad un possesso di stato avente i requisiti di cui all'art. 237.

Sulla base di tale principio va risolto ogni possibile

conflitto, relativo all'accertamento dello stato di figlio

legittimo o di quello di figlio naturale riconosciuto, d'una

determinata persona. In particolare, su tale base, è pos sibile pervenire, nel caso in esame, ad una corretta inter

pretazione del 1° comma dell'art. 252,in relazione all'art. 253. Tali norme, delle quali la prima stabilisce che i figli

adulterini possono essere riconosciuti dal genitore, che al

tempo del concepimento non era unito in matrimonio, e

la seconda prevede, che, in nessun caso, è ammesso il ri

conoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo in cui la persona si trova, non possono essere interpretate nel senso restrittivo, voluto dal P. m., nel senso cioè che

il riconoscimento del figlio adulterino da parte del padre fruente di stato libero sia possibile soltanto dopo che il

suddetto figlio abbia perduto lo stato di figlio legittimo, a

seguito di azione di disconoscimento. Un tal modo di vedere dà ancora una volta per certa,

senza darsi carico della relativa dimostrazione, l'interpre tazione dell'art. 231, nel senso che il fatto stesso della na

scita da donna coniugata a seguito di concepimento av

venuto durante il matrimonio, operi ex lege un'attribuzione

di paternità, alla quale soltanto il presunto padre legittimo

potrebbe opporsi. I motivi più sopra svolti per dimostrare l'erroneità di

quest'ultima petizione di principio permettono invece di

concludere che il padre non legato da vincolo matrimo

niale può riconoscere il figlio adulterino, sino a che non vi

sia un titolo che investa il destinatario del riconoscimento

dello stato di figlio legittimo. Da ciò discende chiaramente che il 1° comma dell'art. 83

dell'ordinamento dello stato civile deve essere, a sua volta,

interpretato nel senso che la dimostrazione da darsi al

l'ufficiale di stato civile da parte del padre naturale, in

merito all'assenza di ostacoli al riconoscimento, si deve

riferire soltanto alla sussistenza dello stato libero del di

chiarante e all'inesistenza di vincoli di parentela od affi

nità con la madre del neonato, nei gradi contemplati come

causa preclusiva dall'art. 251, e non ha invece alcun rife

rimento alla qualità di nubile o coniugata della madre

che non intende essere nominata, trattandosi di circostanza

indifferente agli effetti del riconoscimento di cui si tratta.

Poiché, anzi, la norma dell'art. 258, 2° comma, stabilisce

che l'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore (e ciò in

relazione all'art. 278, che inibisce le indagini sulla paternità o sulla maternità nei casi in cui il riconoscimento è vietato), deve ritenersi inammissibile ogni indicazione riferentesi

al genitore che non riconosce, quando non sia strettamente

necessaria ad accertare la mancanza di ostacoli al ricono

scimento del genitore, che l'effettua (così, ad esempio, non

si potrà fare a meno di dare indicazioni sulla assenza di

vincoli di parentela od affinità con l'altro genitore che. se

sussistenti, precluderebbero il riconoscimento). Deve, pertanto, ritenersi contra legem (o, quanto meno,

extra legem) l'indicazione « non coniugata » riferita alla

madre, e prevista dalla formula n. 26 del formulario degli atti dello stato civile (approvato con decreto min. 7 luglio 1958), in relazione al riconoscimento del padre naturale

nel caso in cui la madre non consenta di essere nominata.

II ricorso deve di conseguenza essere accolto, disat

tendendosi le richieste del P. m.

Per questi motivi, ecc.

II

II Tribunale, ecc. — In ordine all'ammissibilità dell'in

staurata azione, si osserva che gli attori hanno fondato la

medesima non sull'inesistenza del rapporto di procreazione, ma sul riconoscimento contro il divieto di legge e sulla sus

sistenza di un falso, che abbia fatto attribuire ad una per sona uno stato civile non rispondente al vero.

Ora è bensì vero che la proponibilità dell'azione è stata

riconosciuta anche nel caso in cui il riconoscimento sia

avvenuto contro il divieto di legge, mediante dichiarazioni

false o reticenti (v. Cass. 26"ottobre 1955, Massoli-Catta

pan, Foro it., Eep. 1955, voce Filiazione, nn. 63, 64ì sì

da far configurare il reato di alterazione di statofdi cui

all'art. 567, capov., cod. pen., identificandosi detto caso

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2039 PARTE PRIMA 2040

liei fatto che il genitore naturale abbia effettuato il rico

noscimento nell'atto di nascita in cui si dà atto clie il

figlio è nato dall'unione del dichiarante con donna non co

niugata o che non intende essere nominata, ma non sembra

che siffatto caso ricorra nella specie in cui, come emerge dalla prodotta copia integrale dell'atto di nascita, non si

fa alcuna menzione della madre.

Ma, pure ammettendo che nella mancata assoluta men

zione della madre possa configurarsi una reticenza del

dichiarante, tale da rendere ammissibile l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, l'azione me

desima non appare in alcun modo fondata.

La risoluzione della questione dipende dalla determi

nazione degli elementi integrativi dello stato di figlio le

gittimo, e più ancora dal titolo di detto stato. In ordine

a tale determinazione due diversi orientamenti sono stati

prospettati, accolti rispettivamente dalle Sezioni civili della

Suprema corte o dalle Sezioni penali. Secondo la Cassazione civile, ed autorevole dottrina,

facente capo ad uno dei più insigni studiosi dei problemi del diritto di famiglia, si è considerato (Cass. 26 luglio 1949, n. 2006, Foro it., 1950, I, 182) che lo stato di legitti mità del figlio, in tanto può spiegare effetti, in quanto ri

sulti da un corrispondente titolo : ora, secondo il sistema

del nostro codice, titoli idonei sono l'atto di nascita e,

sussidiariamente, il possesso di stato (art. 236 cod. civ.), il che è confermato dall'art. 238, che non ammette reclamo

di stato in contrasto con quanto risulta dall'atto di

nascita e da conforme possesso di stato. Non vale invece a costituire detto titolo la ricorrenza della presunzione di

paternità del marito di cui all'art. 231, collegata a sua volta

a quella di concepimento durante il matrimonio, di cui

all'art. 232, sicché non è sufficiente a costituire la legitti mità del figlio la corrispondente presunzione, non docu mentata dall'atto di nascita. Da ciò discende che il figlio denunciato allo stato civile come figlio di ignoti, anche

se sia stato concepito in costanza di matrimonio da donna

maritata, non può considerarsi come figlio legittimo, ma

anzi deve presumersi non appartenente al matrimonio.

D'altra parte, se il titolo di stato legittimo si affidasse uni

camente al fatto dell'essere stato l'infante partorito da

donna coniugata, non si comprenderebbe per quale ra

gione due degli elementi costitutivi del possesso di stato, e

precisamente il nomen ed il tractatws, fossero richiesti dal

l'art. 237 nei confronti del padre e non invece nei confronti

della madre, con successiva entrata in funzione della pre sunzione di paternità e conseguente costituzione del titolo

di stato legittimo. Inoltre si rileva ohe il carattere integra tivo della presunzione di paternità da attribuirsi all'atto di

nascita, risulta dalla facoltà, riconosciuta dall'art. 252, 1° comma, cod. civ. al genitore non unito in matri monio al tempo del concepimento, di riconoscere i figli adulterini e dall'analoga facoltà, riconosciuta dal 2° comma di detta disposizione al genitore che era unito in matri

monio al detto tempo, esercitabile dopo lo scioglimento del matrimonio per effetto della morte dell'altro coniuge : se il figlio avesse lo stato legittimo per il solo effetto della nascita da donna coniugata, nè potrebbe il genitore libero

procedere al riconoscimento, che sarebbe, ai sensi dell'art.

253, inammissibile perchè in contrasto con lo stato di figlio

legittimo in cui il figlio si troverebbe, nè potrebbe la madre,

dopo lo scioglimento del matrimonio, effettuare il ricono scimento di colui che godrebbe già, per essere stato parto rito da donna vincolata da matrimonio, dello stato di figlio

legittimo.

All'opposto, da parte delle Sezioni penali della Corte

suprema e delle stesse Sezioni penali unite, si è quasi co

stantemente ravvisato il reato di alterazione di stato nel

comportamento di colui che denunzi all'ufficiale dello stato civile, come nato da genitore naturale e da madre

ignota, il figlio procreato da donna coniugata e da uomo

non vincolato da matrimonio (Cass, pen., Sez. unite, 24

giugno 1950, ric. Giannini, Foro it., 1950, II, 153). Da dette

Sezioni si è insistito nel rilevare come lo stato di figlio legit timo preesista alla compilazione dell'atto di nascita, in virtù

delle menzionate presunzioni di cui agli art. 231 e 232, origi

nandosi col semplice fatto della nascita, anzi del concepi mento da donna maritata : l'atto di nascita sarebbe unica mente dichiarativo e certificativo della filiazione legittima, ma non costitutivo, come emergerebbe dall'essere contenute le disposizioni che lo concernono nella sezione II del titolo 7° del 1° libro del codice civile, attinente alle « prove della

filiazione legittima », in contrapposizione alle disposizioni relative alle presunzioni di paternità del marito e di con

cepimento nel matrimonio, contenute nella sezione I atti nente allo « stato di figlio legittimo ».

Sulla base pertanto del principio della preesistenza dello stato di figlio legittimo alla formazione dell'atto di na

scita, discenderebbe che se in sede di dichiarazione di na

scita si omettesse il nome della madre coniugata, non consenziente ad essere nominata, si verrebbe ad alterare 10 stato civile del neonato, obliterandosi l'interesse pub blico preminente alla formazione, nei modi di legge, della

prova dell'appartenenza del neonato ad una data fami

glia, attribuendosi al contrario uno stato non conforme a legge, con conseguente commissione del reato di altera zione di stato ed obbligandosi in siffatto modo il figlio ad un reclamo di stato, in cui la paternità legittima po trebbe essere negata (art. 243), senza quei limiti di prova o

quei termini dai quali la presunzione di paternità legittima sarebbe stata protetta, se l'atto di nascita fosse stato for mato nei modi e termini prescritti dall'ordinamento dello stato civile.

Senonchè tale orientamento delle Sezioni penali della Corte suprema è stato superato più recentemente dalle Sezioni penali unite, con la sentenza 30 maggio 1959 (ric. Marchi ed altri, Foro it.. 1959, II, 201) in cui, accoglien dosi gli esposti rilievi delle Sezioni civili, si è osservato prin cipalmente che, avendosi « stato di figlio legittimo » allorché 11 concepimento avvenga da donna coniugata, ad opera del

marito, ma non potendosi documentare nell'atto di nascita ad opera di chi sia avvenuto il concepimento medesimo, l'atto di nascita viene ad assurgere a «titolo di stato legit timo » quando da esso risulti la nascita da donna coniu

gata, perchè esso è integrato dalle presunzioni di cui agli art. 231 e 232, mentre in assenza di atto di nascita, vale a costituire detto titolo il possesso di stato ; e salva la pos sibilità di sollevare una questione sullo stato.

La menzionata pronuncia non ha tuttavia posto fine a diverse valutazioni (v. ad esempio, Trib. Yerbania 1° di cembre 1959, imp. Rondoni e Caielli, Foro it., 1960, II. 76), in cui pur riconoscendosi in concreto l'esimente dell'errore di fatto, si è in astratto affermata la sussistenza del reato nella denuncia di figlio adulterino come figlio naturale di

padre celibe, e si è attribuito valore fondamentale alla pre sunzione di cui all'art. 231, anche agli effetti di far consi derare colui a cui favore ricorra detta presunzione, come trovantesi nello stato di figlio legittimo, e pertanto con ef fetto preclusivo del riconoscimento nei suoi confronti, ai sensi dell'art. 253, perchè in contrasto con lo stato di figlio legittimo, ponendosi ancora in rilievo che solo con l'azione di disconoscimento di paternità può essere superata la pre •

sunzione di che all'art. 231 cod. civ., costitutiva dello stato di figlio legittimo.

Ritiene il Collegio che la specie debba essere decisa, fa cendo applicazione dei principi accolti dalle Sezioni civili della Suprema corte, e dalla più recente pronuncia delle Sezioni unite penali.

Va premesso che non è in discussione l'astratta appli cabilità nel caso del 1° comma dell'art. 252 cod. civ., che consente al genitore non unito in matrimonio al tempo del

concepimento di riconoscere i figli adulterini, non potendosi, ai sensi del 2° comma dell'art. 122 delle disposizioni transito rie relative al codice civile, annullare il riconoscimento com

piuto prima del 1° luglio 1939, se, al tempo in cui fu fatto, ricorrevano le condizioni per cui sarebbe ammissibile se condo le disposizioni del codice stesso.

Ciò premesso, si osserva che, per quanto sia esatto che lo stato di figlio legittimo è costituito sostanzialmente dal concepimento, in matrimonio, ad opera del marito,

pure l'atto di nascita, che non valendo di per sè a docu mentare ad^opera di chi sia avvenuto il concepimento,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

quando faccia risultare la maternità da donna coniugata, per la presunzione che deriva in ordine al normale svol

gimento della vita coniugale, e pertanto alla paternità del

marito, ha funzione integratrice, oltreché documentatrice dello stato legittimo, sicché la carenza del titolo, appunto costituito dall'atto di nascita o sussidiariamente dal pos sesso di stato, impedisce la valida dimostrazione dello

stato. È per tale ragione che non può ritenersi nella specie la sussistenza di inammissibilità del riconoscimento ex

art. 253, e conseguentemente la validità dell'impugnazione' di esso ex art. 263, in dipendenza di un assunto contrasto

con lo stato di figlio legittimo in cui la persona si trova :

non può infatti trovarsi nello stato di figlio legittimo, chi

non è legalmente investito dal titolo relativo, come le Se

zioni penali unite hanno osservato : che non sussiste sif

fatto titolo quando nell'atto di nascita non risulti la ma

ternità di donna coniugata, che, sola valendo a collegare l'atto alle presunzioni di cui agli art. 231 e 232, consente

all'atto di nascita di divenire insieme documento integra tore dello stato di figlio legittimo.

Discende da ciò che il riconoscimento nella specie non

doveva essere preceduto dal vittorioso esperimento del

l'azione di disconoscimento di paternità, azione che pre

suppone la sussistenza della legittimazione del figlio. Né potrebbe desumersi dal fatto della decorrenza del

termine per l'azione di disconoscimento, dalla data della

nascita del figlio, ima ammissione implicita nella legge

dell'acquisto dello stato di legittimità dal momento della

nascita : è infatti ritenuto che l'azione di disconoscimento

possa esercitarsi solo in quanto vi sia un atto di nascita

od un possesso di stato, dai quali risulti la legittimità del figlio ; ed invero, in base agli esposti rilievi sulla ne

cessità del titolo di stato legittimo, la sussistenza del

l'atto di nascita o del possesso di stato appare indispensabile. Né l'affermazione che l'azione predetta possa esercitarsi

anche in mancanza dell'atto di nascita o del possesso di

stato, sulla base di un interesse del padre, a precludere un'eventuale azione di reclamo di legittimità, a cui in

seguito non si potrebbe più opporre la prova contraria

della non paternità, appare convincente. Il fatto invero che

il termine per la proposta dell'azione di disconoscimento

decorra, in caso di presenza del padre nel luogo di nascita

del figlio, dal giorno della nascita di esso, non prova in

alcun modo che non occorra l'atto di nascita od il possesso di stato per l'instaurazione dell'azione, essendo il termine

posto solo in funzione dell'esigenza di non lasciare incerto

lo stato del figlio, ed al tutto al di fuori dagli accennati

presupposti dell'azione. Né appare esatto affermare l'am

missibilità dell'azione sulla base del menzionato interesse, volta che tratterebbesi pur sempre di un interesse non at

tuale, e pertanto non idoneo alla legittimazione all'azione.

Ed ancora l'argomentare in base al rilievo che legittimato all'azione di contestazione è, ai sensi dell'art. 248 cod. civ., colui che dall'atto di nascita del figlio risulti suo geni

tore, per contrapporvi la legittimazione all'azione di di

sconoscimento, per la quale non si fa menzione della ne

cessità che la paternità del marito della madre risulti dal

l'atto di nascita, significa bensì mettere in evidenza ele

menti propri dell'azione di contestazione, in ordine alla

quale l'apparente genitore contestante non ha da infrangere una presunzione di paternità, onde quest'ultima, al di

fuori della presunzione legale, si fonda esclusivamente

sull'atto di nascita, ma tanto non vale a dar dimostra

zione della non necessità per l'esercizio dell'azione di di

sconoscimento, o di un atto di nascita del figlio, attri

butivo di legittimità, non di per sé solo, ma in appoggio alle presunzioni di cui agli art. 231 e 232, o del possesso di stato.

Va infine rilevato che altro argomento a favore della

dipendenza dello stato di legittimità dal titolo costituito

ordinariamente dall'atto di nascita, si ha a contrario dalla

disciplina dettata dal legislatore in ordine all'azione di

reclamo di stato : dispone infatti l'art. 243 che la prova contraria al reclamato stato di legittimità può essere data

con tutti i mezzi atti a dimostrare che il reclamante non

è figlio del marito della madre. Ora se fossero sufficienti

ad attribuire lo stato legittimo le presunzioni di che agli art. 231 e 232, dovrebbe la prova contraria essere contenuta nei limiti posti dall'art. 235 per il caso di disconoscimento di paternità, mentre la prova contraria può essere data, senza limitazioni, dagli eredi e non dal solo marito e dai

discendenti ed ascendenti, come per l'azione di discono

scimento. Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI PISTOIA.

Ordinanza 26 luglio 1961 : Gìud. istr. Santini ; Aronni c. Minnetti.

Esibizione delle prove — Controversia individuale di

lavoro — Documenti dell'imprenditore, depositati

presso banche — Ordine d'esibizione — Ammissi

bilità (Cod. proc. civ., art. 210, 439 ; 1. 7 aprile 1938

n. 636, disposizioni per la difesa del risparmio, ecc., art. 10).

Nella controversia individ'uale del lavoro, avente ad oggetto il

pagamento di gratifiche annuali commisurate ai redditi

dell'azienda, il giudice istruttore può ordinare alle banche, cui erano stati consegnati dall' imprenditore per conseguire

fidi, di esibire i documenti della contabilità « reale ». ( 1 )

Il Giudice istruttore, ecc. — (Omissis). Viste le dedu

zioni e le controdeduzioni degli Istituti bancari intervenuti, ai sensi dell'art. 211, 2° comma, cod. proc. civ.. per opporsi alla ordinanza di esibizione dei documenti in data 1 dicem

bre 1960, confermata, con aggiunta, in sede di reclamo, dal

Collegio in data 16 gennaio 1961 e modificata, solo in ordine

ai termini di presentazione dei documenti, ecc., con ordi

nanza di esso Giudice istruttore in data 1 febbraio 1961 ; visti gli atti e documenti di causa e gli art. 210, 118 e 211

cod. proc. civile ; ritenuta la propria competenza a decidere la contro

versia incidentale sorta tra gli Istituti bancari opponenti (Banca nazionale del lavoro, Banco di Roma, Cassa di

risparmio di Pistoia e Pescia, Credito italiano, Monte dei

Paschi di Siena) e l'Aronni, circa il suddetto ordine di esi

bizione, attenendo la controversia stessa semplicemente ad

un particolare istruttorio della causa di merito ; osserva :

1) Gli interventi in opposizione a detto ordine sono

ammissibili, come tempestivamente proposti, ai sensi del

l'art. 211, 2° comma, cod. proc. civ., entro il termine del

15 marzo 1961 stabilito da esso Giudice istruttore con la

ordinanza 1 febbraio 1961 di modificazione, per esigenze

pratiche evidenti, del termine del 25 gennaio 1961 già fissato con la propria ordinanza 1 dicembre 1960, a seguito della sospensione della esecuzione di questa ultima (nei confronti logicamente anche degli intimati Istituti) dipesa

dall'interposto reclamo ; va dunque respinta l'eccezione

preliminare di inammissibilità per tardività di proposizione dei predetti interventi avanzata dall'Aronni.

2) L'art. 210 parla di acquisizione al processo che il

giudice istruttore ritenga « necessaria » (e non « indispen sabile » come dice l'art. 118 circa l'ispezione) : pertanto gli stessi « limiti », di che all'art. 118 cod. proc. civ. richiamato

dall'art. 210 circa l'ordine di esibizione di documenti o

cose, vanno identificati soltanto nell'assenza di « grave danno» per l'intimato e nell'assenza di violazione di uno

dei segreti previsti dagli art. 351 e 352 cod. proc. pen., richiamati dall'art. 118 cod. proc. civile.

(1) Sull'argomento del segreto bancario, cui si riferisce

l'ordinanza riportata, v. Trib. Firenze 10 aprile 1954, Foro it.,

1954, I, 662, con nota di richiami, cui adde Crespi, id., 1955,

I, 142 ; Biv. dir. civ., 1956, I, 188 ; Banca, borsa, ecc., 1961,

II, 406 (nota alla presente ordinanza) ; Montesano, id., 1955, II, 243 ; Mazzini, in Bass. giur. umbra, 1957, 304 ; N. Proto Pi

sani, in Dir. e giur., 1959, 244 ; Pisapia, Il segreto istruttorio

nel processo penale, Milano, I960, 178,

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