Decreto 22 luglio 1961; Pres. ed est. Pratis P., P. M. Caccia (concl. diff.); C. (Avv. Fiasconaro,Montel, Varetto)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 2033/2034-2041/2042Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151579 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sensi dell'art. 543 cod. proc. civ., si sarà attuata quella particolare cautela costituita dalla intimazione di non con
segnare al socio debitore i beni, che gli spetteranno una volta
espletata la liquidazione. Trattandosi, però, di un diritto
eventuale, la dichiarazione richiesta dall'art. 547 cod. proc. civ., come è avvenuto nella specie, non potrà che limitarsi ad accertare se il debitore, quale socio, si trovi attualmente in ima situazione giuridica tale che gli consenta, alla fine
della società, di godere di una quota di ricavo netto.
L'accertamento specifico dei crediti sarà possibile sol
tanto alla fine delle operazioni di liquidazione e mediante
un'ulteriore dichiarazione da parte della società, resa obbli
gatoria dalla stessa intimazione contenuta nell'atto di pigno ramento. Nè diversa, del resto, sarebbe la procedura, ove
fosse stato eseguito il sequestro. In conclusione, l'art. 2270, 1° comma, non vieta la pignorabilità della quota spettante al socio nella liquidazione, ed è, pertanto, legittima la proce dura esecutiva della Mobiloil, tenuta presente la dichiara zione della Società pignorata, dalla quale risulta ammessa la
sussistenza di un credito, sia pure eventuale, a favore del
Galletti.
Per questi motivi, ecc.
I
TRIBUNALE DI TORINO.
Decreto 22 luglio 1961 ; Pres. ed est. Pkatis P., P. M. Cac
cia (conci, cliff.) ; C. (Avv. Fiasconabo, Montel, "Va
retto).
Filiazione — Filiazione naturale — Denuncia <li na
scita (presentata dal padre) di figlio avuto da
donna che non consente di essere nominata —
Mancata indicazione dello stato di costei — Ri
iiuto dell'ufficiale di stato civile — Illegittimità
(Cod. civ., art. 231, 252, 253 ; r. d. 9 luglio 1939 il.
1238, ordinamento dello stato civile, art. 83).
L'ufficiale di stato civile non può rifiutarsi di ricevere la
denunzia, presentata dal padre naturale di figlio avuto
da donna che non consente di essere nominata, se il padre si limita a declinare il proprio stato libero e non fornisce indicazioni sullo stato■ di nubile o di coniugata della
donna. (1)
II
TRIBUNALE DI MODENA.
Sentenza 29 aprile 1961 ; Pres. Makiani P., Est. Pagliari ; G. (Aw. PlGHl) 0. G. (Aw. SlLINGABDl), C. (Aw. LeONI), G. (Avv. Ghittoni), Finanze (Avv. dello Stato Fontana).
Filiazione — Filiazione naturale — Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità
Fattispecie (Cod. civ., art. 231, 250, 263).
Poiché l'atto di nascita da donna coniugata costituisce il
titolo di stato di figlio legittimo, è infondata l'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, se il difetto di
veridicità vien fatto consistere in ciò che il padre natu
rale aveva denunciato come avuto da donna non nomi
nata il figlio procreato con donna coniugata con altri. (2)
(1-2) Pubblichiamo insieme le due decisioni, che si riallac ciano alla proposizione che per l'esistenza dello stato di figlio legittimo non è sufficiente il fatto della nascita da donna coniu
gata, ma è necessario che tale fatto risulti dall'atto di nascita, che costituisce il titolo di stato.
Come avverte (nel decreto, criticamente annotato da Gius.
Azzariti, in Giur. it., 1961, I, 2, 681) lo stesso Tribunale di
Torino, il quale ha provveduto sul reclamo avverso il rifiuto del l'ufficiale di stato civile, previsto dall'art. 83 dell'ordinamento dello stato civile, il precedente in termine è dato dalla conforme
Il Foro Italiano — Volume LXXXIV — Parte /-ISO.
T
Il Tribunale, ecc. — Il problema che si propone all'esame del Tribunale si identifica nel quesito se l'ufficiale dello stato civile, di fronte alla denuncia di nascita ed all'impli cita dichiarazione di riconoscimento fatto da un padre, non
legato da vincolo di matrimonio, relativamente ad un figlio avuto da donna che non consente di essere nominata, possa rifiutarsi di ricevere la denuncia e la contestuale dichiara
zione di riconoscimento, per non avere il dichiarante for nito le indicazioni relative allo stato di nubile o di coniugata della donna non nominata.
Va rilevato, anzitutto, che, a norma dell'art. 83 dell'or
dinamento dello stato civile, l'ufficiale dello stato civile
può rifiutare la ricezione della dichiarazione di riconosci
mento, nel caso di mancata dimostrazione da parte del
genitore, che nulla osta al riconoscimento stesso ai sensi di
legge. Secondo l'assunto del P. m., nella specie, l'omessa indi
cazione dello stato di nubile o coniugata della donna non
nominata si risolverebbe, appunto, nella mancata di
mostrazione dell'assenza di ostacoli al riconoscimento, in quanto, nel caso che detta donna fosse coniugata, il riconoscimento del figlio sarebbe ammesso, da parte del padre adulterino non legato da vincolo matrimoniale, soltanto dopo che il figlio avesse perduto lo stato di figlio
legittimo a seguito di azione di disconoscimento da parte del marito, cui era attribuita la paternità a norma dell'art. 231 cod. civile.
Pertanto il padre naturale, per poter effettuare il ri
conoscimento, non dovrebbe limitarsi a dar la prova di
non essere egli legato da vincolo matrimoniale, ma dovrebbe
altresì dichiarare se la donna, dalla quale il figlio è nato, sia coniugata o meno, fornendo inoltre, in caso afferma
tivo, la prova che « si tratta di figlio adulterino cui il ma
rito della madre non attribuisce lo stato di figlio legittimo». Il P. m. interpreta il principio dell'art. 231, secondo
il quale « il marito è padre del figlio concepito durante
il matrimonio », nel modo più rigoroso, riconoscendo a
detto principio il valore di attribuzione legale al marito
(più che di presunzione) della paternità del nato da donna
coniugata, attribuzione solo dal marito vincibile nei casi
e con i limiti degli art. 235 e 244 cod. civile. Tale interpretazione dell'art. 231, peraltro, è da tempo
superata dall'evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni
civili della Suprema corte, cui si sono recentemente unifor
mate le Sezioni unite penali. Già sotto l'impero del codice civile del 1865 era stato
affermato che la presunzione di paternità del marito ri
spetto al figlio concepito durante il matrimonio (art. 159 di quel codice) non operava per il semplice fatto della pro creazione da donna coniugata, ma solo in quanto vi fosse
un atto di nascita che dichiarasse detta procreazione, o
in mancanza vi fosse il possesso di stato di figlio legittimo (Cass. 17 gennaio 1933, n. 177, Foro it., Eep. 1933, voce
Filiazione, nn. 11, 12 ; 15 marzo 1934, n. 828, id., 1934,
I, 652 : questa ultima sentenza, in particolare, traeva la
conseguenza che, senza l'atto di nascita, che conferisce il
titolo di figlio legittimo o senza il relativo possesso di stato,
sentenza 23 luglio 1942 della Corte d'appello di Bologna, rip. in Foro it., 1943, I, 281, con nota di De Francisco.
Le cinque sentenze 30 maggio 1959 e 15 marzo 1960 delle Sezioni unite penali della Cassazione, alle quali i due Tribunali si riferiscono, sono rispettivamente riprodotte in Foro it., 1959, II, 201 e in questo volume, II, 8, con note di L. De Villa, ai cui riferimenti dottrinali va aggiunta (successiva in ordine di
tempo) la nota di Bbicola, in Foro padano, 1961, I, 707.
Sull'impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, che il Tribunale di Modena respinge per non sussistere lo stato di figlio legittimo, che avrebbe comprovato il difetto di veridicità del riconoscimento effettuato dal padre naturale, cons., App. Roma 30 luglio 1960, retro, 133, il quale ha ritenuto ammissibile la prova, dedotta dagli eredi dell'autore del riconoscimento al fine di accertare che il figlio riconosciuto era stato in realtà procreato da donna coniugata in costanza di matrimonio.
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2035 PARTE PRIMA 2036
fosse inammissibile un'azione di disconoscimento di una
paternità mai attribuita).
L'interpretazione veniva ribadita, dopo l'entrata in
vigore del nuovo codice, dal costante insegnamento del
Supremo collegio in sede civile (sent. 29 marzo 1943, n. 740, Foro it., Rep. 1943-45, voce cit., nn. 69-73 ; 14 ottobre
1946, n. 1318, id., 1944-46, I, 905 ; 13 agosto 1947, n. 1518,
id., 1948, I, 631 ; 15 aprile 1949, n. 914, id., Rep. 1949, voce cit., n. 23 bis ; 26 luglio 1949, n. 2006, id., 1950, I, 182 ; 12 marzo 1953, n. 583, id., Rep. 1953, voce cit., nn.
28,29). In contrasto con il deciso orientamento della Cassa
zione civile, le Sezioni penali, interpretando invece il prin
cipio stabilito dall'art. 231 come attributivo dello stato di
figlio legittimo (salva la prova contraria, da fornirsi dal ma
rito della madre in sede di disconoscimento della paternità), ritenevano la sussistenza del reato di alterazione di stato
nell'ipotesi della denuncia del figlio di donna coniugata, come nato da padre naturale e da donna che non intende
essere nominata ; oppure come nato da genitori naturali
(sottacendosi lo stato di coniugata della madre), oppure, infine, come figlio di ignoti (contra, e quindi nel senso della
Cassazione civile, tuttavia : Cass. pen. 10 giugno 1949, finir.
Gass. pen., 1949, 2, 406). Tale indirizzo delle Sezioni penali fu peraltro decisa
mente mutato con la sentenza delle Sezioni unite 30 maggio 1959 (Foro it., 1959, II, 201), che, espressamente aderendo
all'insegnamento della Cassazione civile (in senso conforme
vedi le quattro successive sentenze delle Sezioni unite pe nali 17 giugno 1960, id., 1961, II, 8, nonché la sentenza 9
luglio 1960, id., Rep. 1960, voce Swpposizione distato, n. 10), ritenne che non costituisce delitto di alterazione di stato
la denuncia da parte del padre del nato da relazione adul
terina come figlio proprio e di donna che non intende essere
nominata.
Con il nuovo indirizzo della Cassazione penale si è, per tanto, attuata quell'uniformità di interpretazione della
legge, che era sommamente auspicabile in ossequio al prin
cipio dell'unità della funzione giurisdizionale. Nè ritiene
il Collegio che possa seguirsi l'opinione del P. m., quando osserva che il recente indirizzo giurisprudenziale in sede
penale lascia in sostanza impregiudicata la questione di
specie relativa alla possibilità della attribuzione, in sede
di formazione di atto di nascita, della qualifica di figlio naturale al nato da una coniugata, per il solo fatto che il dichiarante lo denunci e lo riconosca come tale.
La questione di specie non può invero non essere in
quadrata nel problema più generale, e la decisione sulla
prima non può non discendere rigorosamente dalla risolu
zione adottata in merito al secondo.
Potrebbe, a questo punto, sembrare sufficiente un ri
chiamo ai concetti, che formarono oggetto di ponderato esame da parte della Suprema corte, sia in sede civile sia
in sede penale, per giungere all'attuale uniforme indirizzo.
Tuttavia il Collegio, ravvisando la possibilità di ulte
riormente sviluppare taluni aspetti del problema relativo
all'interpretazione del principio posto dall'art. 231, ed in
considerazione inoltre della peculiarità della connessa que stione di specie (mai esaminata dalla Suprema corte e sulla
quale risulta un solo ormai lontano precedente edito di una
Corte di merito: App. Bologna 23 luglio 1942, Foro it., 1943,
I, 281), ritiene di dover riesaminare succintamente, anzi
tutto, detto problema, per trarne poi le necessarie conse
guenze, in ordine alla fattispecie che forma oggetto del ri
corso.
Sono note le dispute dottrinali sulla norma dell'art. 231
e non è certo il caso di richiamarle in questa sede. È noto
altresì che, a favore delle due tesi contrapposte, si è tratto
argomento da difformi interpretazioni di altre singole norme in materia di filiazione.
È ovvio, peraltro, che la risoluzione della questione non
può fondarsi sull'esame di singole norme, considerate come
a sè stanti, ma deve derivare dall'interpretazione armonica
mente coordinata dal complesso delle norme che compon
gono il sistema, per dedurne il vero spirito informatore della
legge.
Ciò posto, va rilevato ohe soltanto un'interpretazione letterale della norma dell'art. 231, singolarmente presa, potrebbe indurre a ritenere clie il legislatore abbia inteso dare alla norma stessa quel significato di attribuzione al marito
(più ancora di presunzione) della paternità del figlio con
cepito durante il matrimonio, così come opina il P. m. È facile rilevare che l'espressione attribuzione viene a
perdere il proprio significato e ad acquistare quello di una presunzione iuris tantum, quando si ammette, e non
può non ammettersi, che essa è vincibile dal marito nei casi previsti dall'art. 235 cod. civile.
La conclusione, poi, che tale presunzione sia vincibile soltanto dal marito nei suddetti casi, è ima inesatta illa zione derivante dal coordinamento delle sole norme degli art. 231 e 235, senza tener conto delle altre norme che com
pongono il sistema.
Per un'esatta impostazione della questione, va notato :
1) che il concepimento durante il matrimonio, di cui
parla l'art. 231, è un fatto il quale, come tale, deve essere
provato da chi ne afferma la sussistenza ;
2) che, provato tale fatto, ha bensì piena validità la presunzione di paternità prevista dal suddetto articolo, ma, trattandosi di presunzione iuris tantum, essa prevale soltanto nei limiti previsti dalla legge.
Ne deriva la necessità di accertare, anzitutto, come sia
regolata la prova del fatto del concepimento durante il ma trimonio e, in secondo luogo, quali siano i limiti della pre sunzione di paternità nelle varie ipotesi, in cui questa può farsi valere.
Sul primo punto la regolamentazione non è espressa, ma risulta implicitamente dalle disposizioni relative alle
prove della filiazione legittima. In proposito la legge dichiara che la filiazione legittima
si prova, anzitutto, con l'atto di nascita, iscritto nei registri dello stato civile (art. 216, 1° comma, cod. civile).
Orbene, l'interpretazione di questa norma non può andare disgiunta da quelle norme che regolano la formazione
degli atti di nascita, e che dispongono che, soltanto quando la nascita è da unione legittima, si devono enunciare il nome e il cognome (oltre ad altri dati) del padre e della
madre, mentre, se la nascita è da unione illegittima, le enun ciazioni del nome e del cognome (e degli altri dati) dovranno essere fatte soltanto per il genitore o per i genitori, che per sonalmente rendono la dichiarazione di nascita, o che hanno fatto constare per atto pubblico del proprio consenso ad essere nominati, ferma la disposizione (della prima parte dell'art. 83 dell'ordinamento), che esige da parte dei geni tori naturali la dimostrazione che nulla osta al riconosci mento (art. 73 dell'ordinamento dello stato civile).
La prova, pertanto, del concepimento durante il ma trimonio è data, in via principale, dall'atto di nascita, il
quale, nel caso di nascita da unione legittima, fa constare della maternità della donna coniugata e, conseguentemente, attribuisce la paternità al marito.
Il significato che il P. m. vorrebbe dare alla di zione « nascita da unione legittima » di « nascita da donna
coniugata », per affermare che, in quest'ultimo caso, l'atto di nascita deve contenere tutte le indicazioni relative alla madre e al marito, è un'evidente forzatura dell'espres sione della legge, tendente a dare per dimostrato ciò che ancora deve esserlo.
La ragione, per la quale il legislatore attribuisce tanta rilevanza all'atto di nascita, sino a considerarlo titolo cer tificativo erga omnes dello stato di filiazione legittima, e
prova principale di questa fra gli interessati all'afferma zione o alla negazione di tale stato, va cercata nel fatto che
quell'atto (il quale, come tutti gli atti dello stato civile, adempie anche, e soprattutto, ad una funzione extrapro cessuale di accertamento dello stato di fronte ai terzi) deve enunziare la verità reale.
Chi rende infatti la denuncia di nascita, ne assume la
responsabilità, e, ove scientemente renda false attestazioni, incorre, quanto meno, nel reato previsto e punito dall'art. 495 cod. pen., se non anche in altre più gravi violazioni della legge penale. Ciò spiega e dimostra come la presunzione
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ex art. 231 divenga operante, anzitutto (pur se non esclu
sivamente), in presenza di un atto di nascita, che conferisca il titolo di figlio legittimo.
Qualora manchi l'atto di nascita, la legge ammette ohe la prova della filiazione legittima possa venir data con il
possesso continuo dello stato di figlio legittimo, possesso che deve risultare da una serie di fatti, i quali, nel loro com
plesso, valgono a dimostrare le relazioni di filiazione e di
parentela (art. 236, 2° comma, 237 cod. civile). Mancando, infine, l'atto di nascita ed il possesso di
stato, o quando il figlio fu iscritto sotto falsi nomi o come
nato da genitori ignoti, la prova della filiazione può darsi
col mezzo di testimoni (purché, tuttavia, vi sia un principio di prova per iscritto, oppure presunzioni o indizi abbastanza
gravi) (art. 241). In questo caso è evidente che, tra le prove testimoniali da fornirsi, potrà pure esservi quella relativa al fatto della nascita (nei limiti temporali indicati dall'art.
232) dalla moglie del preteso padre legittimo. Qualora tale
prova sia raggiunta, entrerà in campo la presunzione di
paternità ex art. 231, ma, in tal caso, la prova contraria alla filiazione legittima potrà essere data con tutti i mezzi, atti a dimostrare che l'interessato non è il figlio del marito
della madre (art. 234). La possibilità di fornire questa prova contraria con tutti
i mezzi vale ad escludere che siano applicate le restrizioni di prova previste dall'art. 235 per il caso dell'azione di
disconoscimento, nè può accogliersi l'opinione contraria, secondo la quale i limiti dell'art. 235 debbono ritenersi
sottintesi anche nel disposto dell'art. 243.
Non è possibile, infatti, estendere la portata di restri
zioni di prova previste, senza possibilità di equivoci, per la sola azione di disconoscimento ad altre azioni pure ten
denti ad un accertamento sullo stato, tanto più che la
differenza di trattamento ha una sua precisa giustifica zione (chi agisce per il disconoscimento del figlio attri
buitogli si trova, a differenza di colui che si oppone al
reclamo di stato, di fronte ad una presunzione di legitti mità già operante, in presenza dell'atto di nascita o del
possesso di stato che la comprovano). È facile trarre, a questo punto, le conclusioni circa i
limiti della presunzione di paternità, nelle ipotesi in cui
essa può farsi valere. Quando vi è un atto di nascita che, oltre a costituire prova della maternità, conferisce erga omnes il titolo di figlio legittimo, la presunzione di pater nità è realmente vincibile soltanto dal padre, nei casi e con
i limiti previsti dagli art. 233, 235 e 244.
Analoghe conseguenze si verificano, se sussiste il pos sesso di stato (del quale, peraltro, l'interessato dovrà dare
la prova). Se invece manca l'atto di nascita, che conferisca
erga omnes il titolo di figlio legittimo, e non sussistendo
neppure il relativo possesso di stato, poiché la presunzione iuris tantum, salva diversa, disposizione di legge, agisce soltanto nel campo probatorio, quale mezzo posto a dispo sizione di chi intende giovarsene, anzitutto la presunzione ex art. 231 non potrà operare sino a quando non sarà ef fettivamente fatta valere da olii ne lia l'interesse, e se non
dopo che ne sarà stato provato il presupposto (concepi mento durante il matrimonio). In secondo luogo, quando sarà provato tale presupposto, la presunzione di paternità sarà vincibile con la prova contraria da fornirsi dall'inte
ressato con ogni mezzo e senza limiti.
Le suesposte considerazioni autorizzano a ritenere che, nel sistema vigente, il legislatore non ha inteso dare la pre valenza ad un'attribuzione di paternità legittima presunta, nonostante la realtà di una diversa paternità naturale già venuta altrimenti alla luce, ma anzi ha inteso dare piena efficacia, in linea di principio, alla realtà dell'effettivo
rapporto di procreazione (lasciando libertà di accertamento
e di attestazione in proposito), salvi i casi in cui sia vietato
il riconoscimento della prole naturale o sino a quando non
ci si trovi già di fronte ad un titolo certificante lo stato
di figlio legittimo, qual'è l'atto'di nascita, oppure di fronte
ad un possesso di stato avente i requisiti di cui all'art. 237.
Sulla base di tale principio va risolto ogni possibile
conflitto, relativo all'accertamento dello stato di figlio
legittimo o di quello di figlio naturale riconosciuto, d'una
determinata persona. In particolare, su tale base, è pos sibile pervenire, nel caso in esame, ad una corretta inter
pretazione del 1° comma dell'art. 252,in relazione all'art. 253. Tali norme, delle quali la prima stabilisce che i figli
adulterini possono essere riconosciuti dal genitore, che al
tempo del concepimento non era unito in matrimonio, e
la seconda prevede, che, in nessun caso, è ammesso il ri
conoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo in cui la persona si trova, non possono essere interpretate nel senso restrittivo, voluto dal P. m., nel senso cioè che
il riconoscimento del figlio adulterino da parte del padre fruente di stato libero sia possibile soltanto dopo che il
suddetto figlio abbia perduto lo stato di figlio legittimo, a
seguito di azione di disconoscimento. Un tal modo di vedere dà ancora una volta per certa,
senza darsi carico della relativa dimostrazione, l'interpre tazione dell'art. 231, nel senso che il fatto stesso della na
scita da donna coniugata a seguito di concepimento av
venuto durante il matrimonio, operi ex lege un'attribuzione
di paternità, alla quale soltanto il presunto padre legittimo
potrebbe opporsi. I motivi più sopra svolti per dimostrare l'erroneità di
quest'ultima petizione di principio permettono invece di
concludere che il padre non legato da vincolo matrimo
niale può riconoscere il figlio adulterino, sino a che non vi
sia un titolo che investa il destinatario del riconoscimento
dello stato di figlio legittimo. Da ciò discende chiaramente che il 1° comma dell'art. 83
dell'ordinamento dello stato civile deve essere, a sua volta,
interpretato nel senso che la dimostrazione da darsi al
l'ufficiale di stato civile da parte del padre naturale, in
merito all'assenza di ostacoli al riconoscimento, si deve
riferire soltanto alla sussistenza dello stato libero del di
chiarante e all'inesistenza di vincoli di parentela od affi
nità con la madre del neonato, nei gradi contemplati come
causa preclusiva dall'art. 251, e non ha invece alcun rife
rimento alla qualità di nubile o coniugata della madre
che non intende essere nominata, trattandosi di circostanza
indifferente agli effetti del riconoscimento di cui si tratta.
Poiché, anzi, la norma dell'art. 258, 2° comma, stabilisce
che l'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore (e ciò in
relazione all'art. 278, che inibisce le indagini sulla paternità o sulla maternità nei casi in cui il riconoscimento è vietato), deve ritenersi inammissibile ogni indicazione riferentesi
al genitore che non riconosce, quando non sia strettamente
necessaria ad accertare la mancanza di ostacoli al ricono
scimento del genitore, che l'effettua (così, ad esempio, non
si potrà fare a meno di dare indicazioni sulla assenza di
vincoli di parentela od affinità con l'altro genitore che. se
sussistenti, precluderebbero il riconoscimento). Deve, pertanto, ritenersi contra legem (o, quanto meno,
extra legem) l'indicazione « non coniugata » riferita alla
madre, e prevista dalla formula n. 26 del formulario degli atti dello stato civile (approvato con decreto min. 7 luglio 1958), in relazione al riconoscimento del padre naturale
nel caso in cui la madre non consenta di essere nominata.
II ricorso deve di conseguenza essere accolto, disat
tendendosi le richieste del P. m.
Per questi motivi, ecc.
II
II Tribunale, ecc. — In ordine all'ammissibilità dell'in
staurata azione, si osserva che gli attori hanno fondato la
medesima non sull'inesistenza del rapporto di procreazione, ma sul riconoscimento contro il divieto di legge e sulla sus
sistenza di un falso, che abbia fatto attribuire ad una per sona uno stato civile non rispondente al vero.
Ora è bensì vero che la proponibilità dell'azione è stata
riconosciuta anche nel caso in cui il riconoscimento sia
avvenuto contro il divieto di legge, mediante dichiarazioni
false o reticenti (v. Cass. 26"ottobre 1955, Massoli-Catta
pan, Foro it., Eep. 1955, voce Filiazione, nn. 63, 64ì sì
da far configurare il reato di alterazione di statofdi cui
all'art. 567, capov., cod. pen., identificandosi detto caso
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2039 PARTE PRIMA 2040
liei fatto che il genitore naturale abbia effettuato il rico
noscimento nell'atto di nascita in cui si dà atto clie il
figlio è nato dall'unione del dichiarante con donna non co
niugata o che non intende essere nominata, ma non sembra
che siffatto caso ricorra nella specie in cui, come emerge dalla prodotta copia integrale dell'atto di nascita, non si
fa alcuna menzione della madre.
Ma, pure ammettendo che nella mancata assoluta men
zione della madre possa configurarsi una reticenza del
dichiarante, tale da rendere ammissibile l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, l'azione me
desima non appare in alcun modo fondata.
La risoluzione della questione dipende dalla determi
nazione degli elementi integrativi dello stato di figlio le
gittimo, e più ancora dal titolo di detto stato. In ordine
a tale determinazione due diversi orientamenti sono stati
prospettati, accolti rispettivamente dalle Sezioni civili della
Suprema corte o dalle Sezioni penali. Secondo la Cassazione civile, ed autorevole dottrina,
facente capo ad uno dei più insigni studiosi dei problemi del diritto di famiglia, si è considerato (Cass. 26 luglio 1949, n. 2006, Foro it., 1950, I, 182) che lo stato di legitti mità del figlio, in tanto può spiegare effetti, in quanto ri
sulti da un corrispondente titolo : ora, secondo il sistema
del nostro codice, titoli idonei sono l'atto di nascita e,
sussidiariamente, il possesso di stato (art. 236 cod. civ.), il che è confermato dall'art. 238, che non ammette reclamo
di stato in contrasto con quanto risulta dall'atto di
nascita e da conforme possesso di stato. Non vale invece a costituire detto titolo la ricorrenza della presunzione di
paternità del marito di cui all'art. 231, collegata a sua volta
a quella di concepimento durante il matrimonio, di cui
all'art. 232, sicché non è sufficiente a costituire la legitti mità del figlio la corrispondente presunzione, non docu mentata dall'atto di nascita. Da ciò discende che il figlio denunciato allo stato civile come figlio di ignoti, anche
se sia stato concepito in costanza di matrimonio da donna
maritata, non può considerarsi come figlio legittimo, ma
anzi deve presumersi non appartenente al matrimonio.
D'altra parte, se il titolo di stato legittimo si affidasse uni
camente al fatto dell'essere stato l'infante partorito da
donna coniugata, non si comprenderebbe per quale ra
gione due degli elementi costitutivi del possesso di stato, e
precisamente il nomen ed il tractatws, fossero richiesti dal
l'art. 237 nei confronti del padre e non invece nei confronti
della madre, con successiva entrata in funzione della pre sunzione di paternità e conseguente costituzione del titolo
di stato legittimo. Inoltre si rileva ohe il carattere integra tivo della presunzione di paternità da attribuirsi all'atto di
nascita, risulta dalla facoltà, riconosciuta dall'art. 252, 1° comma, cod. civ. al genitore non unito in matri monio al tempo del concepimento, di riconoscere i figli adulterini e dall'analoga facoltà, riconosciuta dal 2° comma di detta disposizione al genitore che era unito in matri
monio al detto tempo, esercitabile dopo lo scioglimento del matrimonio per effetto della morte dell'altro coniuge : se il figlio avesse lo stato legittimo per il solo effetto della nascita da donna coniugata, nè potrebbe il genitore libero
procedere al riconoscimento, che sarebbe, ai sensi dell'art.
253, inammissibile perchè in contrasto con lo stato di figlio
legittimo in cui il figlio si troverebbe, nè potrebbe la madre,
dopo lo scioglimento del matrimonio, effettuare il ricono scimento di colui che godrebbe già, per essere stato parto rito da donna vincolata da matrimonio, dello stato di figlio
legittimo.
All'opposto, da parte delle Sezioni penali della Corte
suprema e delle stesse Sezioni penali unite, si è quasi co
stantemente ravvisato il reato di alterazione di stato nel
comportamento di colui che denunzi all'ufficiale dello stato civile, come nato da genitore naturale e da madre
ignota, il figlio procreato da donna coniugata e da uomo
non vincolato da matrimonio (Cass, pen., Sez. unite, 24
giugno 1950, ric. Giannini, Foro it., 1950, II, 153). Da dette
Sezioni si è insistito nel rilevare come lo stato di figlio legit timo preesista alla compilazione dell'atto di nascita, in virtù
delle menzionate presunzioni di cui agli art. 231 e 232, origi
nandosi col semplice fatto della nascita, anzi del concepi mento da donna maritata : l'atto di nascita sarebbe unica mente dichiarativo e certificativo della filiazione legittima, ma non costitutivo, come emergerebbe dall'essere contenute le disposizioni che lo concernono nella sezione II del titolo 7° del 1° libro del codice civile, attinente alle « prove della
filiazione legittima », in contrapposizione alle disposizioni relative alle presunzioni di paternità del marito e di con
cepimento nel matrimonio, contenute nella sezione I atti nente allo « stato di figlio legittimo ».
Sulla base pertanto del principio della preesistenza dello stato di figlio legittimo alla formazione dell'atto di na
scita, discenderebbe che se in sede di dichiarazione di na
scita si omettesse il nome della madre coniugata, non consenziente ad essere nominata, si verrebbe ad alterare 10 stato civile del neonato, obliterandosi l'interesse pub blico preminente alla formazione, nei modi di legge, della
prova dell'appartenenza del neonato ad una data fami
glia, attribuendosi al contrario uno stato non conforme a legge, con conseguente commissione del reato di altera zione di stato ed obbligandosi in siffatto modo il figlio ad un reclamo di stato, in cui la paternità legittima po trebbe essere negata (art. 243), senza quei limiti di prova o
quei termini dai quali la presunzione di paternità legittima sarebbe stata protetta, se l'atto di nascita fosse stato for mato nei modi e termini prescritti dall'ordinamento dello stato civile.
Senonchè tale orientamento delle Sezioni penali della Corte suprema è stato superato più recentemente dalle Sezioni penali unite, con la sentenza 30 maggio 1959 (ric. Marchi ed altri, Foro it.. 1959, II, 201) in cui, accoglien dosi gli esposti rilievi delle Sezioni civili, si è osservato prin cipalmente che, avendosi « stato di figlio legittimo » allorché 11 concepimento avvenga da donna coniugata, ad opera del
marito, ma non potendosi documentare nell'atto di nascita ad opera di chi sia avvenuto il concepimento medesimo, l'atto di nascita viene ad assurgere a «titolo di stato legit timo » quando da esso risulti la nascita da donna coniu
gata, perchè esso è integrato dalle presunzioni di cui agli art. 231 e 232, mentre in assenza di atto di nascita, vale a costituire detto titolo il possesso di stato ; e salva la pos sibilità di sollevare una questione sullo stato.
La menzionata pronuncia non ha tuttavia posto fine a diverse valutazioni (v. ad esempio, Trib. Yerbania 1° di cembre 1959, imp. Rondoni e Caielli, Foro it., 1960, II. 76), in cui pur riconoscendosi in concreto l'esimente dell'errore di fatto, si è in astratto affermata la sussistenza del reato nella denuncia di figlio adulterino come figlio naturale di
padre celibe, e si è attribuito valore fondamentale alla pre sunzione di cui all'art. 231, anche agli effetti di far consi derare colui a cui favore ricorra detta presunzione, come trovantesi nello stato di figlio legittimo, e pertanto con ef fetto preclusivo del riconoscimento nei suoi confronti, ai sensi dell'art. 253, perchè in contrasto con lo stato di figlio legittimo, ponendosi ancora in rilievo che solo con l'azione di disconoscimento di paternità può essere superata la pre •
sunzione di che all'art. 231 cod. civ., costitutiva dello stato di figlio legittimo.
Ritiene il Collegio che la specie debba essere decisa, fa cendo applicazione dei principi accolti dalle Sezioni civili della Suprema corte, e dalla più recente pronuncia delle Sezioni unite penali.
Va premesso che non è in discussione l'astratta appli cabilità nel caso del 1° comma dell'art. 252 cod. civ., che consente al genitore non unito in matrimonio al tempo del
concepimento di riconoscere i figli adulterini, non potendosi, ai sensi del 2° comma dell'art. 122 delle disposizioni transito rie relative al codice civile, annullare il riconoscimento com
piuto prima del 1° luglio 1939, se, al tempo in cui fu fatto, ricorrevano le condizioni per cui sarebbe ammissibile se condo le disposizioni del codice stesso.
Ciò premesso, si osserva che, per quanto sia esatto che lo stato di figlio legittimo è costituito sostanzialmente dal concepimento, in matrimonio, ad opera del marito,
pure l'atto di nascita, che non valendo di per sè a docu mentare ad^opera di chi sia avvenuto il concepimento,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quando faccia risultare la maternità da donna coniugata, per la presunzione che deriva in ordine al normale svol
gimento della vita coniugale, e pertanto alla paternità del
marito, ha funzione integratrice, oltreché documentatrice dello stato legittimo, sicché la carenza del titolo, appunto costituito dall'atto di nascita o sussidiariamente dal pos sesso di stato, impedisce la valida dimostrazione dello
stato. È per tale ragione che non può ritenersi nella specie la sussistenza di inammissibilità del riconoscimento ex
art. 253, e conseguentemente la validità dell'impugnazione' di esso ex art. 263, in dipendenza di un assunto contrasto
con lo stato di figlio legittimo in cui la persona si trova :
non può infatti trovarsi nello stato di figlio legittimo, chi
non è legalmente investito dal titolo relativo, come le Se
zioni penali unite hanno osservato : che non sussiste sif
fatto titolo quando nell'atto di nascita non risulti la ma
ternità di donna coniugata, che, sola valendo a collegare l'atto alle presunzioni di cui agli art. 231 e 232, consente
all'atto di nascita di divenire insieme documento integra tore dello stato di figlio legittimo.
Discende da ciò che il riconoscimento nella specie non
doveva essere preceduto dal vittorioso esperimento del
l'azione di disconoscimento di paternità, azione che pre
suppone la sussistenza della legittimazione del figlio. Né potrebbe desumersi dal fatto della decorrenza del
termine per l'azione di disconoscimento, dalla data della
nascita del figlio, ima ammissione implicita nella legge
dell'acquisto dello stato di legittimità dal momento della
nascita : è infatti ritenuto che l'azione di disconoscimento
possa esercitarsi solo in quanto vi sia un atto di nascita
od un possesso di stato, dai quali risulti la legittimità del figlio ; ed invero, in base agli esposti rilievi sulla ne
cessità del titolo di stato legittimo, la sussistenza del
l'atto di nascita o del possesso di stato appare indispensabile. Né l'affermazione che l'azione predetta possa esercitarsi
anche in mancanza dell'atto di nascita o del possesso di
stato, sulla base di un interesse del padre, a precludere un'eventuale azione di reclamo di legittimità, a cui in
seguito non si potrebbe più opporre la prova contraria
della non paternità, appare convincente. Il fatto invero che
il termine per la proposta dell'azione di disconoscimento
decorra, in caso di presenza del padre nel luogo di nascita
del figlio, dal giorno della nascita di esso, non prova in
alcun modo che non occorra l'atto di nascita od il possesso di stato per l'instaurazione dell'azione, essendo il termine
posto solo in funzione dell'esigenza di non lasciare incerto
lo stato del figlio, ed al tutto al di fuori dagli accennati
presupposti dell'azione. Né appare esatto affermare l'am
missibilità dell'azione sulla base del menzionato interesse, volta che tratterebbesi pur sempre di un interesse non at
tuale, e pertanto non idoneo alla legittimazione all'azione.
Ed ancora l'argomentare in base al rilievo che legittimato all'azione di contestazione è, ai sensi dell'art. 248 cod. civ., colui che dall'atto di nascita del figlio risulti suo geni
tore, per contrapporvi la legittimazione all'azione di di
sconoscimento, per la quale non si fa menzione della ne
cessità che la paternità del marito della madre risulti dal
l'atto di nascita, significa bensì mettere in evidenza ele
menti propri dell'azione di contestazione, in ordine alla
quale l'apparente genitore contestante non ha da infrangere una presunzione di paternità, onde quest'ultima, al di
fuori della presunzione legale, si fonda esclusivamente
sull'atto di nascita, ma tanto non vale a dar dimostra
zione della non necessità per l'esercizio dell'azione di di
sconoscimento, o di un atto di nascita del figlio, attri
butivo di legittimità, non di per sé solo, ma in appoggio alle presunzioni di cui agli art. 231 e 232, o del possesso di stato.
Va infine rilevato che altro argomento a favore della
dipendenza dello stato di legittimità dal titolo costituito
ordinariamente dall'atto di nascita, si ha a contrario dalla
disciplina dettata dal legislatore in ordine all'azione di
reclamo di stato : dispone infatti l'art. 243 che la prova contraria al reclamato stato di legittimità può essere data
con tutti i mezzi atti a dimostrare che il reclamante non
è figlio del marito della madre. Ora se fossero sufficienti
ad attribuire lo stato legittimo le presunzioni di che agli art. 231 e 232, dovrebbe la prova contraria essere contenuta nei limiti posti dall'art. 235 per il caso di disconoscimento di paternità, mentre la prova contraria può essere data, senza limitazioni, dagli eredi e non dal solo marito e dai
discendenti ed ascendenti, come per l'azione di discono
scimento. Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI PISTOIA.
Ordinanza 26 luglio 1961 : Gìud. istr. Santini ; Aronni c. Minnetti.
Esibizione delle prove — Controversia individuale di
lavoro — Documenti dell'imprenditore, depositati
presso banche — Ordine d'esibizione — Ammissi
bilità (Cod. proc. civ., art. 210, 439 ; 1. 7 aprile 1938
n. 636, disposizioni per la difesa del risparmio, ecc., art. 10).
Nella controversia individ'uale del lavoro, avente ad oggetto il
pagamento di gratifiche annuali commisurate ai redditi
dell'azienda, il giudice istruttore può ordinare alle banche, cui erano stati consegnati dall' imprenditore per conseguire
fidi, di esibire i documenti della contabilità « reale ». ( 1 )
Il Giudice istruttore, ecc. — (Omissis). Viste le dedu
zioni e le controdeduzioni degli Istituti bancari intervenuti, ai sensi dell'art. 211, 2° comma, cod. proc. civ.. per opporsi alla ordinanza di esibizione dei documenti in data 1 dicem
bre 1960, confermata, con aggiunta, in sede di reclamo, dal
Collegio in data 16 gennaio 1961 e modificata, solo in ordine
ai termini di presentazione dei documenti, ecc., con ordi
nanza di esso Giudice istruttore in data 1 febbraio 1961 ; visti gli atti e documenti di causa e gli art. 210, 118 e 211
cod. proc. civile ; ritenuta la propria competenza a decidere la contro
versia incidentale sorta tra gli Istituti bancari opponenti (Banca nazionale del lavoro, Banco di Roma, Cassa di
risparmio di Pistoia e Pescia, Credito italiano, Monte dei
Paschi di Siena) e l'Aronni, circa il suddetto ordine di esi
bizione, attenendo la controversia stessa semplicemente ad
un particolare istruttorio della causa di merito ; osserva :
1) Gli interventi in opposizione a detto ordine sono
ammissibili, come tempestivamente proposti, ai sensi del
l'art. 211, 2° comma, cod. proc. civ., entro il termine del
15 marzo 1961 stabilito da esso Giudice istruttore con la
ordinanza 1 febbraio 1961 di modificazione, per esigenze
pratiche evidenti, del termine del 25 gennaio 1961 già fissato con la propria ordinanza 1 dicembre 1960, a seguito della sospensione della esecuzione di questa ultima (nei confronti logicamente anche degli intimati Istituti) dipesa
dall'interposto reclamo ; va dunque respinta l'eccezione
preliminare di inammissibilità per tardività di proposizione dei predetti interventi avanzata dall'Aronni.
2) L'art. 210 parla di acquisizione al processo che il
giudice istruttore ritenga « necessaria » (e non « indispen sabile » come dice l'art. 118 circa l'ispezione) : pertanto gli stessi « limiti », di che all'art. 118 cod. proc. civ. richiamato
dall'art. 210 circa l'ordine di esibizione di documenti o
cose, vanno identificati soltanto nell'assenza di « grave danno» per l'intimato e nell'assenza di violazione di uno
dei segreti previsti dagli art. 351 e 352 cod. proc. pen., richiamati dall'art. 118 cod. proc. civile.
(1) Sull'argomento del segreto bancario, cui si riferisce
l'ordinanza riportata, v. Trib. Firenze 10 aprile 1954, Foro it.,
1954, I, 662, con nota di richiami, cui adde Crespi, id., 1955,
I, 142 ; Biv. dir. civ., 1956, I, 188 ; Banca, borsa, ecc., 1961,
II, 406 (nota alla presente ordinanza) ; Montesano, id., 1955, II, 243 ; Mazzini, in Bass. giur. umbra, 1957, 304 ; N. Proto Pi
sani, in Dir. e giur., 1959, 244 ; Pisapia, Il segreto istruttorio
nel processo penale, Milano, I960, 178,
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