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Decreto 29 luglio 1963; Pres. Maltese P., Est. Geri; Debellich c. CentroneSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 2 (1964), pp. 379/380-381/382Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156051 .
Accessed: 28/06/2014 17:03
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379 PARTE PRIMA 380
la posizione dell'espropriante, il quale (sempre secondo
i concetti vigenti all'epoca della legge del 1865) se non
trova conveniente la indennità di espropriazione stabilita
con la perizia giudiziale può rinunziare alla esecuzione
dell'opera, dichiarata di pubblica utilità ma la cui realiz
zazione, evidentemente, può essere differita od addirittura
abbandonata se il costo la renda impossibile o non con
veniente per l'espropriante. Questo sistema potrà dirsi
non più rispondente alle moderne concezioni in tema di
funzione sociale della proprietà e di doveri sociali dello
Stato ; ma in sè considerato non è affatto claudicante nè
illogico : la diversità di poteri conferiti ad espropriato ed
espropriante corrisponde esattamente alla diversa posi zione dei due soggetti nei confronti della indennità di espro
priazione ; indennità che, ripetesi, l'uno è obbligato a
percepire e l'altro è facoltizzato a pagare nel caso che la
trovi per i suoi scopi conveniente. Deve pertanto affer
marsi che non solo la lettera ma anche lo spirito della
legge 25 giugno 1865 n. 2359 impongono di ritenere con
sicurezza che tale legge non previde il potere dell'espro
priante di impugnare la perizia giudiziale di fissazione
della indennità di esproprio. Con ciò, naturalmente, la Corte non vuole affermare
che siffatto potere non esista. A parte, infatti, la conside
razione che nemmeno il Nannipieri nega la esistenza di
esso, sia pure con le note restrizioni, è comunque da rico
noscersi l'unanime consenso di dottrina e giurisprudenza in proposito ed il formarsi di una consuetudine interpre tativa che renderebbe sterile ogni tentativo di dissenso.
Il concetto moderno della espropriazione per pubblica
utilità, informato al principio della funzione sociale della
proprietà, rende ormai indefettibile l'obbligo dello Stato, o dell'altro ente pubblico espropriante, di eseguire l'opera
pubblica ; e pertanto il ragionamento sopra prospettato sulla base della alternativa concessa all'espropriante con
la facoltà di non eseguire l'opera, permeato com'è della
concezione individualistica e privatistica ancora imperante in materia all'epoca della emanazione della legge del 1865, deve ormai ritenersi inattuale e superato : l'espropriante deve comunque eseguire l'opera e deve quindi avere anche
egli il diritto ad una tutela giurisdizionale completa della
sua pretesa di pagare il minor indennizzo possibile. Il diritto a tale tutela, però, deve trarsi da altra fonte
legislativa che non sia la legge del 1865 medesima : la
interpretazione estensiva del disposto di legge, anche se
si applichi il criterio sociologico, trova infatti limiti
invalicabili quando la perfetta coincidenza della lettera
della norma con la ratio legis inibisca la possibilità di at
tribuire alla norma stessa un significato che evidentemente
essa non ha voluto avere. E d'altra parte non vi sono davvero difficoltà ad in
quadrare nel sistema anche al di fuori della legge del 1865 il diritto dell'espropriante a far determinare con un
regolare e completo procedimento giurisdizionale il quantum della indennità da lui dovuta, il precetto relativo può trarsi dall'insieme dei principi costituzionali e generali che spingono oggi la materia della espropriazione ben oltre i limiti della vetusta legge del 1865 ; o, meglio an
cora, dal più generale precetto che concede lo ius perse quendi iudicio quod, sibi debetur ; se il diritto ad un giusto indennizzo è un diritto soggettivo, come generalmente si
ritiene, non vi è motivo perchè il soggetto che dall'eser
cizio di codesto diritto viene patrimonialmente diminuito
(e cioè l'espropriante) non dovrebbe esser facoltizzato ad
adire il giudice ordinario, con pienezza normale di poteri,
per far stabilire nel caso di specie i limiti precisi del diritto
stesso.
Ciò posto, la conseguenza che ne deriva sulla questione
sottoposta alla corte è di palmare evidenza ; se il potere di impugnativa della perizia è conferito all'espropriante non dalla legge del 1865 che non lo prevede, bensì da prin cipi giuridici di più ampia portata e di diversa origine, addirittura assurda appare la pretesa di imporre a co
desto potere limiti e preclusioni previste dalla legge stessa
per una ipotesi del tutto diversa ed autonoma ; se si
ammette, ed il Nannipieri lo ammette, il potere di ricorso
dell'espropriante, codesto potere non può essere esercitato
se non fruendo della illimitata tutela che il 1° comma
dell'art. 24 della Costituzione concede ad ogni soggetto di diritto. Non è quindi dubbio clic, sotto questo generale
profilo, il primo motivo di appello debba essere respinto.
Miglior sorte non può avere nemmeno il secondo argo mento dedotto dall'appellante col prospettare il difetto
di interesse alla impugnazione della perizia prima del
decreto di espropriazione. Codesto difetto di interesse
può ipotizzarsi per il privato che, almeno in teoria, finché
non è soggetto all'esproprio effettivo, non riceve quella lesione diretta ed attuale del proprio diritto che giustifica il ricorso alla azione in giudizio ex art. 100 cod. proc. civ. ; ma non per l'espropriante che, per il solo fatto di dover
depositare subito la somma necessaria perchè venga ema
nato il decreto di esproprio, già riceve danno attuale ed
effettivo dalla pronunzia dei periti giudiziali che, ove sia
esclusa la possibilità di immediato reclamo, gli imporrebbe il deposito di una somma che egli ritiene superiore al
giusto prima di procedere oltre nella esecuzione dell'opera di pubblica utilità cui è tenuto in adempimento dei propri
compiti istituzionali.
La imposizione di un simile obbligo (che si risolverebbe
nella incongrua creazione di una specie di solve et recete alla rovescia) all'ente pubblico espropriante appare, sotto
questo profilo, nonché lesiva dell'interesse giuridico del
l'ente stesso, addirittura aberrante dai principi del si
stema. Se di difetto di interesse giuridico nella specie si
può parlare, ripetesi, è solo per la posizione di chi resiste
alla domanda intesa a fare giudizialmente accertare subito, con efficacia di pronunzia definitiva, l'ammontare della
indennità ; poiché l'esproprio non è ancora avvenuto, solo scopo del proprietario ancora in bonis per opporsi a questo giudizio, non può essere che quello di creare
difficoltà economiche all'espropriante costringendolo a de
positare una ingente somma prima dell'inizio di un giu dizio che può essere lungo e difficile, e di cercare di in
durre l'espropriante stesso ad aumentare l'offerta di
indennizzo o a desistere dalla esecuzione dell'opera ;
scopo questo che ha un contenuto economico apprezza bile ma che certo non può assurgere alla dignità d'interesse
giuridico. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI TRIESTE.
Decreto 29 luglio 1963 ; Pres. Maltese P., Est. Gerì ; Debellieh c. Centrone.
Società — Società per azioni — Denuncia di irre
golarità di organi esecutivi — Decreto di ispe zione giudiziale — Irreclamabilità (Cod. civ., art. 2409).
Il provvedimento di ispezione dell'amministrazione di so cietà per azioni, disposta a seguito di denuncia di irre
golarità degli organi esecutivi, non è soggetto a reclamo. (1)
La Corte, ecc. — Il Tribunale di Trieste, in accogli mento del ricorso 11 giugno 1963 di Centrone Teresa Ines, con decreto 26 giugno 1963 ordinava l'ispezione della amministrazione della soc. a r. 1. So.Ra.Ga. ai sensi del l'art. 2409 cod. civ., fornendo il provvedimento di effi
(1) In senso contrario, App. Roma 11 gennaio 1960, e, per implicito, App. Milano 6 gennaio 1960, Foro it., 1960, I, 829 e 830, con nota di richiami, cui adde, sulla natura del decreto che ordina la ispezione, Cass. 23 ottobre 1961, n. 2343 e 20 set tembre 1961, n. 2035, id., 1962, I, 507, annotata, quest'ultima, da Provinciali, in Dir. fallim., 1961, II, 417 ; da Jannttzzi, in Giust. civ., 1961, I, 2000.
In dottrina, v., da ultimo, per la reclamabilità immediata del decreto depositavo dell'ispezione, Andrioli, Commento, IV®, pag. 543,
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381 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 382
cacia immediata a norma del 2° comma dell'art. 741
cod. proc. civile.
Contro detto decreto ha proposto reclamo il De
bellici. in proprio e quale amministratore della So.R.a.Ga.
per una serie di motivi, negando che ricorressero gli estremi
giustificativi della citata ispezione, e invocando in via
preliminare che fosse disposta la sospensione della prov visoria esecuzione concessa al decreto ex art. 741 cod.
proc. civ. ; in via principale che fosse revocato total
mente il provvedimento impugnato ; in via subordinata
che l'ispezione fosse limitata all'esercizio in corso, postochè sul finire dell'anno 1962 venne cambiato l'amministratore
e la Centrone aveva approvato incondizionatamente il
bilancio sociale al 31 dicembre 1962.
Resiste al gravame la Centrone medesima, rilevando
che il nuovo amministratore altro non è che Valter ergo del vecchio ; che non si provvide a redigere il bilancio 1962
se non dopo il ricorso da essa resistente presentato contro
la nuova amministrazione ; che in detto bilancio risulta
del tutto omessa l'annotazione del proprio apporto per oltre quattro milioni ; che vi sarebbero sufficienti ra
gioni per sospettare, anche in relazione al comportamento in assemblea del nuovo amministratore, sull'ammanco o
perdita di alcune decine di milioni, ivi compresi quelli da lei apportati. Pertanto nessuna censura avrebbe com
portato l'impugnato provvedimento. Nulla di nuovo è emerso, oltre quanto esposto da
ciascuna delle parti nelle rispettive difese, dalla loro com
parizione in camera di consiglio il 25 luglio 1963.
Già altra volta, in epoca recente, questa corte in
seguito ad analoga impugnazione da parte della stessa
società di un decreto ispettivo emesso dal tribunale su
ricorso della medesima socia Centrone, ebbe ad entrare
nel merito del mezzo d'impugnazione per rigettarlo. Nè
ora sorge, nè allora sorse questione sulla impugnabilità di un provvedimento del genere. Ripetendosi però la
medesima ipotesi e prospettandosi la possibilità che ogni, sia pur minima, decisione interlocutoria del tribunale
venga sottoposta a reclamo, gravemente pregiudicando la speditezza del procedimento previsto dall'art. 2409
cod. civ., ritiene il collegio di dover portare il proprio esame sulla questione, peraltro rilevabile d'ufficio perchè attinente ai limiti dei poteri conferiti dalla legge al giu dice d'appello.
Nel silenzio dell'art. 2409 cod. civ. non è mancato un
autorevole indirizzo della dottrina contrario alla impugna bilità dei provvedimenti previsti in detta disposizione.
La giurisprudenza viceversa, con prevalente riferi
mento alle decisioni definitive del tribunale, soprattutto in tema di revoca degli amministratori e dei sindaci e
della nomina di un amministratore giudiziario, abilitato
persino a proporre azione di responsabilità contro i primi, ha affermato la loro reclamabilità davanti alla corte
d'appello. Il collegio non ha motivi per discostarsi da
questo orientamento, relativo peraltro a fattispecie diversa
da quella che interessa nel presente caso, nè di aggiungere altri argomenti a suo sostegno.
Diversa è però l'ipotesi secondo la quale sia gravato non già un provvedimento di carattere definitivo, bensì
un provvedimento interlocutorio di natura strumentale
ed istruttoria, quale è quello che dispone un'indagine
ispettiva dell'amministrazione sociale. In tale caso in
fatti il primo giudice, ritenendo di non poter provvedere in via definitiva alla revoca prevista in legge o ad altre
misure equipollenti, adotta quegli adeguati mezzi di ac
certamento, quale è appunto l'ispezione, che gli consen
tano di decidere circa i finali provvedimenti richiestigli con piena cognizione di causa, senza correre inutilmente
il rischio di porre in crisi l'organismo sociale.
Detti provvedimenti istruttori non possono ritenersi
soggetti separatamente a reclamo davanti ad un giudice diverso e superiore, senza violare il principio di concentra
zione processuale, realizzando non soltanto un incongruo frazionamento del processo, ma rendendo spesso difficile
se non impossibile il raggiungimento dei suoi naturali
fini attraverso una serie incontrollata di gravami per ogni,
sia pur minima, decisione istruttoria dei primi giudici. Ne risulterebbe altrettanto compromessa l'esigenza
di prontezza e celerità, alle quali è improntato il sistema nell'intento di stroncare quanto prima è possibile le de
nunziate irregolarità amministrative.
Non si dimentichi peraltro, traendo a tal fine ispira zione del meccanismo dell'indagine probatoria nel pro cesso civile, che tutti i provvedimenti istruttori e quindi di natura strumentale non sono soggetti ad impugnazione autonoma davanti ad un giudice diverso e superiore da
quello adito, se non con quelli che definiscono in tutto o
in parte il procedimento. Anzi a detto principio di con
centrazione, tendente ad evitare la suddivisione del pro cesso in numerose procedure separate e contingenti, ri
sponde persino il sistema della impugnabilità delle sen
tenze non definitive, le quali, salvo diversa volontà delle
parti, sono impugnabili in linea di massima insieme con
la sentenza che definisce il processo. Di tale esigenza si rese ben conto il primo giudice,
ricorrendo all'espediente di rendere immediatamente ese
cutivo il proprio decreto a norma dell'art. 741, 2° comma, cod. proc. civ., appunto per evitare l'intralcio che avrebbe
potuto conseguire ad inammissibili, ma fortunati, reclami
d'una delle parti. Poiché il decreto che dispone l'ispezione, dato il suo carattere istruttorio, non può ritenersi soggetto a reclamo per le già illustrate ragioni, ed è quindi immedia
tamente esecutivo, la concessione al medesimo dell'imme
diata esecutività rappresenta una aggiunta inutile e su
perflua, non suscettibile di toccare la compiutezza del
provvedimento. Ritiene dunque il collegio che il reclamo deve essere
dichiarato inammissibile in ogni sua parte e rispetto ad
ogni istanza preliminare o subordinata in esso contenuta.
Resta assorbita ogni altra questione. Per questi motivi, dichiara inammissibile, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA.
Sentenza 17 luglio 1963 ; Pres. De Rosa P., Est. Pasca
lino ; Fedrigo (Avv. Paterni) c. Polioni (Aw. Re
gard).
Rinvio eivile —- Atto di riassunzione — Mancata
costituzione — Riassunzione dopo il termine
di un anno dalla pubblicazione della sentenza di
cassazione — Estinzione dell'intero processo
(Cod. proc. civ., art. 307, 392, 393).
L'intero processo si estingue se, non essendosi le parti co
stituite a seguito del primo atto di riassunzione del giu dizio di rinvio tempestivamente notificato, siasi di nuovo
proceduto alla riassunzione nel termine di un anno dal
giorno stabilito per la costituzione del convenuto, an
ziché in quello di un anno dalla pubblicazione della
sentenza della Cassazione. (1)
La Corte, eoo. — È necessario innanzi tutto ricordare
che Fedrigo E velina ha notificato all'avversario ben quattro atti di citazione a comparire davanti il giudice di rinvio.
Il primo venne notificato in data 15 giugno 1961, ma,
(1) Non esiste altro precedente specifico all'infuori della
conforme Cass. 23 gennaio 1946, n. 66 (Foro it., 1944-46, I, 182, con ampia nota di richiami), citata nella motivazione della
pronuncia riportata. Nel senso che all'atto di riassunzione si applichi l'art. 125
disp. att., Satta, Commentario, II, 1, pag. 299 ; nel senso, che non il giudizio di rinvio, ma l'intero giudizio penda dalla pubbli cazione della sentenza della Cassazione, FazzaIìARI, Giudizio civile di cassazione, 1960, pag. 186 ; nel senso, infine, che, pur pendendo il giudizio di rinvio dalla pubblicazione della sentenza della Cassazione, gli si applichi la disciplina della costituzione delle parti, descritta negli art. 171 e 307, A\11Hioli, Commento, l i3,
pag. 598, 618.
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