decreto 4 febbraio 1981; Pres. A. Mancini; ric. Salasco ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 2 (FEBBRAIO 1981), pp. 517/518-519/520Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171372 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
esaminarsi la prova della simulazione anche alla luce del dispo sto dell'art. 2704, nei confronti del terzo-curatore. Poiché tale in dagine è stata omessa dal giudice di merito, fuorviato dall'ine satto principio giuridico che il curatore non fosse terzo, ma fosse da equiparare alla parte, il rilievo della violazione di legge com
piuta comporta la cassazione della sentenza sul punto, perché l'errore di diritto è stato determinante nella ratio del decidere. È ovvio che non possono essere prese in considerazione, in
questa sede, le questioni sulla certezza della data in concreto, sollevate dal fallimento nella seconda parte della memoria, ap punto perché, come riconosce il curatore, la corte di Lecce non s'è posto neppure il problema della data certa, ritenendolo supe rato dall'assunto che il curatore fosse parte del giudizio di riso
luzione, nella stessa posizione dell'Albanese. Il problema do vrà essere esaminato, quindi dalla corte di rinvio che si designa in quella di Bari alla luce dei principi giuridici opposti enun ciati nella presente sentenza, nell'ultima parte della trattazione del primo motivo di ricorso, in cui si è anticipata la soluzione del problema della prova (con atto scritto di data certa) della simulazione inerente al pagamento del prezzo, nei confronti del curatore. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO iDI ROMA; decreto 4 febbraio 1981; Pres. A. Mancini; ric. Salasco ed altri.
CORTE D'APPELLO iDI ROMA;
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straor dinaria delle grandi imprese in crisi — Rigetto della domanda
di ammissione — Impugnazione — Legittimazione — Fat
tispecie (D. 1. 30 gennaio 1979 n. 26, provvedimenti urgenti
per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
crisi, art. 1; legge 3 aprile 1979 n. 95, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26).
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straor
dinaria delle grandi imprese in crisi — Rigetto della domanda
di ammissione — Impugnazione — Liquidatore di società
soggetta alla stessa direzione e già ammessa alla procedura —
Legittimazione (D.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. 1, 3; legge 3 aprile 1979 n. 95).
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straor
dinaria delle grandi imprese in crisi — Impresa individuale
controllante società sottoposte alla procedura — Assoggettabi lità (D.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. 1, 3; legge 3 aprile 1979 n. 95).
Soltanto coloro che hanno già maturato effettive ragioni di cre
dito nei confronti dell'impresa insolvente sono legittimati ad
impugnare la sentenza con la quale il tribunale ha respinto la
domanda di ammissione alla procedura di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi (nella specie, la
corte d'appello ha negato tale legittimazione agli ex dipendenti
dell'impresa). (1) Il commissario liquidatore della società assoggettata ad ammi
nistrazione straordinaria per grandi imprese in crisi è legitti mato ad impugnare il provvedimento con il quale il tribunale
ha respinto la domanda di ammissione alla medesima proce dura dell'impresa controllata o collegata o soggetta alla stessa
direzione della società in amministrazione straordinaria. (2) È assoggettabile alla procedura di amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in crisi l'impresa individuale che, eser
citando un diretto controllo su altre società già tutte sottopo ste alla procedura di amministrazione straordinaria, faccia
parte dello stesso gruppo. (3)
La Corte, ecc. — Esaminati i ricorsi presentati — a norma
degli art. 22 e 195 1. fall., richiamati dall'art. I, 3" comma, leg-*
ge n. 95 del 1979 — dai signori Salasco Pasqualino ed altri,
nonché dal commissario della s.p.a. Genghini, avverso il de
creto emesso dal Tribunale fallimentare di Roma in data 15-19
novembre 1980 (Foro it., 1981, I, 266).
Osserva: I suddetti ricorsi, essendo entrambi diretti allo
scopo di ottenere la riforma del medesimo provvedimento, deb
bono essere riuniti alla stregua del disposto di cui all'art. 335
cod. proc. civ., applicabile in via analogica nel caso di specie.
Ciò premesso, va pregiudizialmente esaminata l'eccezione at
(1-3) Sulle prime due massime non constano precedenti. Sulla terza massima cfr. la sentenza riformata Trib. Roma 19 no
vembre 1980, Foro it., 1981. 1, 266, con nota di richiami, cui adde,
per qualche riferimento, P. G. Jaeger, / « gruppi » tra diritto in
terno e prospettive comunitarie, in Giur. comm.. 1980, 1, 916 ss.
tinente alla pretesa carenza di legittimazione attiva dei ricor
renti, sollevata dalla difesa della resistente curatela fallimenta re: è agevole dimostrare la fondatezza della cennata eccezione,
per quanto attiene al ricorso presentato dai signori Salasco
Pasqualino, Porcaro Carmine, Salasco Vittorio e Crispo Gino. Costoro hanno sostenuto di essere legittimati ad impugnare il citato provvedimento del tribunale romano, nella loro qualità di
ex dipendenti dell'impresa Mario Genghini, ed hanno dedotto che quest'ultima impresa, allorquando fu perfezionata la ces
sione di un ramo della sua azienda commerciale in favore della
società G.a.m., non avrebbe corrisposto l'indennità di liquida zione ai prestatori di lavoro trasferiti alla dipendenze della
nuova società, e sarebbe perciò rimasta solidalmente obbligata (ex art. 2112 cod. civ.) per il pagamento delle indennità di fine
rapporto in favore dei quattro attuali ricorrenti. È facile però obiettare che allorquando la vigente legge fallimentare impiega la locuzione « creditore istante » intende riferirsi — come è
stato riconosciuto dalla dottrina più qualificata e dalla giuris
prudenza più autorevole — esclusivamente ai creditori che ri
sultino portatori di ragioni valide a far considerare la loro pre tesa come certa e prontamente liquidabile. È dunque evidente
che il richiamo all'art. 6 1. fall., contenuto nel comma 2° del
l'art. 1 legge n. 95, va inteso nel senso che soltanto ai soggetti che abbiano già maturato effettive ragioni di credito nei con
fronti dell'impresa insolvente, (e non anche a coloro che possa
no, tutt'al più, essere considerati come creditori meramente
ipotetici) può essere riconosciuto sia lo ius postulandi sia la
conseguente facoltà di proporre i gravami che si rendessero
necessari nel corso del procedimento; un siffatto potere di ini
ziativa non è stato invece attribuito dal legislatore « a qualun
que interessato » (secondo la dizione recepita in altre disposi zioni contenute nella legge fallimentare e nella stessa legge n.
95), sicché appare ineluttabile la conclusione che il sig. Sala
sco ed i suoi litisconsorti sono del tutto privi della necessaria
capacità a proporre le istanze che nel caso di specie sono state
presentate agli organi giurisdizionali aditi.
Diversa è la posizione del commissario della s.p.a. Genghini, cui l'art. 3, 2° comma, legge n. 95 affida anche il compito di
richiedere al competente tribunale gli accertamenti giudiziari
indispensabili per assoggettare alla più recente procedura con
corsuale tutte le imprese controllate, collegate o « sottoposte alla stessa direzione della società in amministrazione straordi
naria ». È intuitivo che, una volta attribuito al predetto com
missario il potere di iniziativa di cui s'è detto, ed una volta
stabilito (art. 1, 3° comma, del testo legislativo in esame) che
l'intera procedura « è disciplinata dagli art. 195 segg. 1. fall. »,
non può più disconoscersi al commissario medesimo la facoltà
di rivolgersi — in sede di gravame ex art. 22 1. fall. — alla com
petente corte d'appello: tale conclusione trova pieno conforto
nella nota ed unanime elaborazione giurisprudenziale che si
è venuta via via formando sul tema della « estensione » del
fallimento ex art. 147, 2° comma, 1. fall, (cfr., per tutte, Cass.
17 marzo 1978, n. 1335, id., Rep. 1978, voce Fallimento, n.
419), dato che quest'ultima problematica presenta evidenti ana
logie con la questione che è stata ora sollevata dalla difesa
del resistente fallimento.
Passando, quindi, a trattare il merito del gravame proposto dal commissario della s.p.a. Genghini, la corte è d'avviso che le
censure mosse all'impugnato provvedimento del tribunale ro
mano abbiano serio fondamento. I primi giudici hanno, in buona sostanza, basato la loro
pronuncia su due basilari osservazioni: I) l'interpretazione let
terale delle norme contenute negli art. 3 segg. legge n. 95/1979
(nelle quali è contenuto un costante ed espresso richiamo alle
società regolarmente costituite) indurrebbe ad escludere dal no
vero del «gruppo» le imprese individuali; 11) la preesistente
disciplina dei gruppi di società (che, nel nostro ordinamento, concerne esclusivamente le società di capitali) non può essere
agevolmente estesa ad aziende diversamente strutturate.
Né l'uno né l'altro argomento sembrano, però, a questa cor
te risolutivi.
II censurabile livello tecnico del testo legislativo in esame
(rilevato non soltanto dai primi giudici ma anche dalla vasta
dottrina che si è già diffusamente occupata dell'argomento) non
consente di arrestare l'indagine ermeneutica al significato espli cito delle singole espressioni usate dal legislatore, ma costringe a ricercare con particolare cura la ratio della norma, dalla quale soltanto può trarre adeguato conforto una interpretazione preoc
cupata di cogliere il senso profondo del testo, che va inqua drato nel disegno — questo, sf, evidentissimo — perseguito dai
suoi compilatori. Orbene, la finalità della disciplina in esame,
come è stato autorevolmente osservato, è quella « di ricondur
re il gruppo in crisi ad unicità di governo non diversa da quel
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PARTE PRIMA
la che esso aveva nel suo stato fisiologico »; in tale ottica, ciò
che conta è individuare quali aziende fossero sottoposte, ante
riormente alla instaurazione della (nuova) procedura concorsua
le nei confronti di una consorella del gruppo, ad una effettiva
guida unitaria, dovendo fare necessario riferimento ad un uni
co centro direzionale è del tutto ovvio che, una volta accet
tato tale criterio di individuazione del « gruppo » evocato dal
l'art. 3 leggq n. 95, balza finalmente in primo piano la figura del « maitre de l'affaire », in quanto è proprio dalle caratteri
stiche personali dell'amministratole l(o degli (amministratori) che possono trarsi gli elementi più significativi per individuare
le imprese da assoggettare all'unica procedura concorsuale, cui
il legislatore ha inteso dar vita in un estremo tentativo di ope rare il salvataggio di un vasto complesso imprenditoriale in crisi.
Non può quindi dubitarsi che; il nuovo istituto dell'amministra
zione straordinaria sia stato concepito in vista della possibilità (verosimilmente alquanto remota, ma comunque tenacemente
perseguita dal legislatore) di restituire — nel pubblico inte
resse — vitalità ed efficienza ad un gruppo di aziende che abbia
subito un tracollo finanziario imputabile ad errori di condu
zione imprenditoriale o ad una gestione indirizzata soprattutto al raggiungimento degli egoistici interessi personali dell'effetti
vo titolare del gruppo. Se ciò è vero, appare allora non produ csnte operare una qualsiasi distinzione (come è stato strenua
mente tentato dalla difesa della resistente curatela fallimentare) tra le imprese costituite in forma societaria e le altre, che pur presentandosi in fogge diverse, risultino tuttavia sicuramente ri
conducibili ad un unico centro direzionale. Né vale opporre, alle ragioni fin qui esposte, che al nostro
ordinamento è estraneo un concetto di « gruppo » nel quale possano trovare comoda collocazione anche le impresei prive di una loro autonoma personalità: un argomento siffatto appare, invero, viziato da una palese petizione di principio, in quanto, non è stato per nulla dimostrato (ed è stato, anzi, fermamente contestato in dottrina) che esista davvero nel nostro sistema
giuridico un'unica nozione di « gruppo di imprese » ed un'unica nozione di « controllo » tra società collegate; ciò non senza dire che è ancor meno dimostrato che il legislatore del 1979 tenesse realmente lo sguardo rivolto verso le norme comuni richiamate dai primi giudici (art. 2359 segg. cod. civ., come modificati dalla legge 7 giugno 1974 n. 216), ed abbia inteso
quindi stabilire un qualsiasi collegamento tra tali norme e la
speciale disciplina del nuovo istituto. È appena il caso di soggiungere, infine, par rispondere ad una
argomentazione sulla quale si è particolarmente soffermata l'au torevole difesa della resistente curatela, che è certo innegabile che il semplice possesso di quote o di partecipazioni azionarie da parte di una persona fisica non può comportare l'ammissio ne di quest'ultima alla procedura di amministrazione straordi naria ma non v'è chi non veda come a diversa conclusione si debba pervenire allorquando al soggetto in questione possa es sere pacificamente attribuita la qualifica di imprenditore com
merciale, trattandosi di persona precipuamente dedita (aperta mente ovvero al riparo del fragile schermo costituito da un
gruppo di società di comodo) ad un'attività mercantile. Cosi impostato il problema, nei suoi termini generali, v'è
solo da aggiungere che — per quanto attiene allo specifico caso di specie — è incontroverso: I) che il sig. Mario Gen
ghini debba essere qualificato imprenditore commerciale in
quanto titolare di una importante impresa operante nel settore
dell'edilizia; II) che lo stesso Genghini esercitava un controllo diretto e pregnante sulle altre società collegate, già tutte sot toposte alla procedura di amministrazione straordinaria. Tali circostanze possono ritenersi pacificamente ammesse dalla stes sa difesa della resistente curatala (a pag. 12-13 della seconda memoria di replica si dice infatti che « il sig. Mario Genghini è anche titolare di una impresa » e si soggiunge che « egli è
sempre identicamenta il centro di interessi al quale fanno capo tutte le società da lui controllate o dirette »), e trovano, poi, puntuale riscontro nell'ampia motivazione della sentenza 2-6 dicembre 1980 dello stesso Tribunale di Roma, con la quale si è dichiarata la soc. G.a.m. soggetta alla procedura de qua. In quest'ultima pronuncia sono diffusamente illustrati i lega mi esistenti tra il Genghini (« effettivo gestore della s.p.a. G'.a.m. », e « unico e vero dominus della s.p.a. Genghini ») e le altre società collegate, i cui pacchetti azionari erano soli damente posseduti dal Genghini medesimo, talvolta per una quòta pari all'89,75 %, talaltra in ragione del 90 %.
Per kj considerazioni tutte che precedono, il ricorso proposto dal commissario della s.p.a. Genghini deve essere accolto e gli atti vanno perciò restituiti al Tribunale di Roma, affinché adotti i provvedimenti previsti dagli art. 3 e 4 legge n. 95 del 1979.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 10 novembre 1980; Pres. A. Mancini, Est. Pittiruti; Soc. Teleregione (Avv. Ge
raci, Minucci) c. Lega nazionale settore professionisti della
Federazione italiana giuoco calcio (Avv. Persichelli, Fusi); Soc. Roma calcio (Avv. E. Conte) e Soc. Lazio (Avv. E.
Conte, Persichelli).
Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza sleale — Emit
tente televisiva privata — Incontro di calcio organizzato da
impresa di spettacoli sportivi — Trasmissione televisiva —
Illiceità (Cod. civ., art. 2598).
In difetto di autorizzazione della società organizzatrice, la tra
smissione televisiva di un incontro calcistico, ad opera di una
emittente privata, è illecita. (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto 11/12 ottobre 1978, la s.p.a. Teleregione proponeva appello, dinanzi a
questa corte, contro la sentenza 21 luglio 1978 (Foro it., 1978, I,
2318), con la quale il Tribunale di Roma, nelle due cause riunite
rispettivamente promosse dalla s.p.a. Teleregione contro la s.p.a. associazione sportiva Roma con citazione 23 dicembre 1977 e da
questa contro quella con citazione 29 dicembre 1977, aveva dichia
rato ammissibile l'intervento volontario della lega nazionale settore
professionisti della F.i.g.c. e della società sportiva Lazio; aveva di
chiarato il diritto della s.p.a. Teleregione, quale organo d'infor
mazione televisiva, di accedere allo stadio Olimpico in Roma
per la ripresa degli avvenimenti agonistici ivi organizzati dalla
A. S. Roma o dalla S. S. Lazio; aveva dichiarato che l'utilizza
zione, da parte della emittente televisiva, delle sequenze filmate
doveva essere effettuata « in differita » e contenuta in una bre
ve sintesi, della durata strettamente necessaria a dare notizia
dell'avvenimento sportivo; aveva dichiarato che la teletrasmis
sione, «in diretta» o «in differita», per una durata eccedente
quella strettamente necessaria all'esercizio della cronaca spor
tiva, costituiva atto di concorrenza sleale in danno della socie
tà sportiva organizzatrice; aveva dichiarato che la s.p.a. Tele
regione si era resa responsabile di concorrenza sleale in danno
della S. S. Lazio e, di conseguenza, le aveva inibito la conti
nuazione dell'attività concorrenziale e l'aveva condannata a ri
sarcire il danno cosi' cagionato, rinviandone la liquidazione a
separato giudizio; aveva respinto ogni altra domanda e aveva
condannato la s.p.a. Teleregione al pagamento delle spese del
giudizio. (Omissis) Motivi della decisione. — Non vi è alcun dubbio che l'appel
lo, proposto con atto 11/12 ottobre 1978 contro la sentenza no
tificata l'8 settembre precedente, sia tempestivo nei confronti di
tutti gli appellati, atteso che il termine breve per impugnare,
per effetto della sospensione durante il periodo feriale (legge 7 ottobre 1969 n. 742), cominciò a decorrere il 16 settembre
e scadeva quindi il 16 ottobre. Non è sostenibile l'inapplicabi lità della sospensione, ai sensi dell'art. 3 della citata legge in
riferimento all'art. 92 dell'ordinamento giudiziario (r. d. 30 gen naio 1941 n. 12), mediante coercizione dell'attuale causa in gra do di appello tra i procedimenti cautelari, rapportandola cioè
alla pregressa fase svoltasi dinanzi al pretore ex art. 700 cod.
proc. civ., poiché l'inapplicabilità opera esclusivamente con ri
guardo alla fase a carattere sommario, intrinsecamente caratte
rizzata dal requisito dell'urgenza, non invece nella successiva
fase a rito ordinario, nella quale quell'urgenza viene per defini
zione a cadere, caducando quindi anche la ratio del particolare
(1) La sentenza di primo grado (Trib. Roma 21 luglio 1978, Foro il., 1978, 1, 2318 [con nota di richiami di giurisprudenza e
dottrina, cui adde G. Oppo, Creazione intellettuale, creazione indu striale e diritti di utilizzazione economica, in Riv. dir. civ., 1969, 1, 1, 29-30 e nota 89] e in Riv. dir. sport., 1979, 69 [con erronea in dicazione di data — 30 giugno 1978 — e commento critico di A. Marani Toro, Care di calcio e diritto di cronaca televisiva, che fa leva sull'art. 62 del regolamento settore professionisti F.i.g.c. per postulare « il diritto dell'ordinamento [sportivo] di riservarsi in esclu siva tutti i compiti che rientrano nell'attività di informazione giorna listica, cinematografica, radiotelevisiva, in merito alle ' gare
' svolte dai suoi soggetti»]) aveva riconosciuto un «potere dispositivo» sullo
spettacolo sportivo a favore di chi lo organizza, subordinandolo però — in ragione della « vasta risonanza » dell'avvenimento — alle esi genze della cronaca, a loro volta contenute entro termini rigorosi.
La pronunzia che si riporta conferma quella decisione, non senza riecheggiare le osservazioni (di Cuffaro, Manifestazione sportiva, cronaca televisiva e concorrenza sleale, in Dir. radiodiffusioni, 1978, 711; M. Fabiani, Ripresa televisiva di manifestazioni sportive e concorrenza sleale, ibid., 719, e E. Santoro, Manifestazioni spor tive e cronaca televisiva, in Riv. dir. sport., 1979, 46) circa la na tura e l'oggetto del potere dispositivo dell'organizzatore, e i rilievi critici (di Santoro, cit., specie 54 ss.) sull'eccessiva latitudine del diritto di cronaca come ricostruito dai giudici del tribunale.
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