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decreto 6 giugno 1983; Pres. Baldi, Rel. Rodorf; ric. P.m., Credito svizzero c. Soc. Finomnia, Soc....

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decreto 6 giugno 1983; Pres. Baldi, Rel. Rodorf; ric. P.m., Credito svizzero c. Soc. Finomnia, Soc. Cliff Bay, Soc. Portoro Residence Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 4 (APRILE 1984), pp. 1121/1122-1129/1130 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176039 . Accessed: 25/06/2014 02:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.251 on Wed, 25 Jun 2014 02:30:53 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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decreto 6 giugno 1983; Pres. Baldi, Rel. Rodorf; ric. P.m., Credito svizzero c. Soc. Finomnia,Soc. Cliff Bay, Soc. Portoro ResidenceSource: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 4 (APRILE 1984), pp. 1121/1122-1129/1130Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176039 .

Accessed: 25/06/2014 02:30

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GIURISPRUDENZA, COSTITUZIONALE E CIVILE

sostenute e per escludere al contempo che di esse venga a lucrare

l'assicuratore responsabile del danno, nei cui confronti quelle

spese non sono ovviamente ripetibili dal danneggiato che non le

ha sostenute.

Qualunque sia la spiegazione del fenomeno surrogatorio in

esame, certo è, dunque, che in esso l'esborso della spesa assume

rilievo non sotto il profilo del danno economico subito dalla

regione, il cui decremento economico, essendo legato al compi mento di un servizio pubblico, non può in alcun modo conside

rarsi ingiusto, ma sotto il profilo della individuazione del soggetto

che, nell'ipotesi di danno attribuibile ad un terzo, debba in

definitiva subirne il costo. In quest'ottica appare del tutto coeren

te la lettera della sopra citata norma che, consentendo la succes

sione della regione nei diritti del danneggiato verso l'assicuratore

del danneggiante, ne esprime il limite in termini pecuniari. Questa interpretazione non è contraddetta dal carattere deriva

tivo del diritto che, per effetto della surroga, la regione acquista nei confronti dell'assicuratore del danneggiante, il quale, come è

noto, è debitore di valore e non di valuta, verso il danneggiato. Il predetto carattere derivativo non implica, infatti, necessaria

mente anche il trasferimento della natura non pecuniaria del

credito originario trasferito, essendo con esso (carattere) del tutto

compatibile il trasferimento di una precisa parte della norma che

esprime il credito originario, di una parte, cioè, individuata in un

ammontare espresso in termini pecuniari, che cosi riduca l'origi nario credito di valore solo del relativo importo monetario.

Ciò che, del resto, è la caratteristica comune a tutte le ipotesi di surroga previste dall'art. 1203 c.c., alle quali, nonostante la

diversità dei presupposti che la determinano, deve ritenersi, in

carenza di speciali disposizioni derogative, che si uniformi la

disciplina degli effetti della surroga prevista dall'art. 4 più volte

citato: anche nelle predette ipotesi, invero, la successione del

terzo nel credito opera sempre nei limiti della somma da

quest'ultimo sborsata con il pagamento, prescindendosi dalla na

tura pecuniaria o meno del debito pagato. Dalla natura sopra precisata del credito della regione siciliana

deriva l'infondatezza della pretesa di quest'ultima alla rivaluta

zione automatica.

(Il maggior danno avrebbe potuto essere liquidato solo in

presenza dei presupposti voluti dall'art. 1224 c.c., che la regione siciliana non ha neppure dedotto. Ai sensi dell'art. 1224 c.c.,

spettano, invece, alla regione siciliana gli interessi moratori dalla

data in cui questa ha chiesto alla società convenuta il pagamento del debito, costituendola in mora, con lettera raccomandata del

25 settembre 1979. (Omissis)

TRIBUNALE DI RIMINI; decreto 31 ottobre 1983; Pres. Al

berici, Est. Ziniti.

TRIBUNALE DI RIMINI;

Notaio — Atto rogato all'estero — Deposito in Italia — Omis

sione — Conseguenze (Cod. civ., art. 1418; 1. 16 febbraio

1913 n. 89, ordinamento del notariato e degli archivi notarili,

art. 52, 54, 106; r.d. 10 settembre 1914 n. 1326, regolamento di esecuzione della 1. 16 gennaio 1913 n. 89, art. 68, 146).

La allegazione di una procura notarile straniera non depositata in

Italia ai sensi della legge notarile implica la nullità dell'atto

posto in essere dal procuratore. (1)

(1) Nulla in termini. L'argomento a base della decisione è che il

deposito serve a garantire il controllo di legittimità sostanziale degli atti

esteri, al fine di assicurarne la conformità all'ordine pubblico e al buon costume ai sensi dell'art. 31 disp. prel. c.c. Nello stesso senso, sull'obbligo di deposito degli atti notarili stranieri presso l'archivio notarile o presso un notaio prima dell'uso nello Stato, ai sensi e con le modalità di cui agli art. 106, n. 4, 68 e 146 del regolamento notarile, quale mezzo per valutare la conformità all'ordine pubblico e

al buon costume (anche in relazione all'art. 28, n. 1, 1. notarile), nonché quale strumento di conservazione e custodia degli atti stessi a

garanzia della fede pubblica, e sulla persistenza dell'obbligo stesso

malgrado la semplificazione delle formalità di legalizzazione degli atti

esteri disposta dalle convenzioni internazionali, cfr. E. Protettì-C. Di

Zenzo, La legge notarile, 1981, 303 ss. Sulla inefficacia della procura alle liti rilasciata all'estero senza la prescritta legalizzazione, cfr. Cass.

6 maggio 1980, n. 2987, Foro it., 1980, I, 2818, con nota di

richiami, in tema di necessità di legalizzazione di atti pubblici stranieri. Sulla esigenza di traduzione in lingua italiana anche della

procura allegata all'atto rogato in lingua straniera, cfr. Cass. 3 agosto

1962, n. 2322, id., Rep. 1962, voce Notaio, n. 22. Per altri riferimenti, cif. App. Napoli 22 marzo 1980, id., Rep. 1981, voce Diritto interna

zionale privato, n. 29, sulla forma della procura conferita al broker

per la stipulazione di un contratto di noleggio; Cass. 1° aprile 1980,

Visto il ricorso che precede ed esaminati i documenti allegati; sentiti il p.m. e il relatore osserva: nel verbale di assemblea

straordinaria in data 22 settembre 1983 della società Howema

Italia s.r.l. con sede in Rimini, avanti al notaio rogante Matteo

Zambelli di Forlì (repertorio n. 65226; race. n. 18173) si sono

costituiti i soci Livernini Stefano e Wittenborn Rolf., quest'ultimo in proprio e quale procuratore di Hans Edel, in virtù di delega,

autenticata nella firma dal notaio Karl Eugene Haux di Nurtingen

(R.T.F.) in data 16 ottobre 1983, rep. n. 1205/83 (allegata al

rogito sotto la lettera A). L'atto notarile estero non risulta, peraltro, sia stato previamente

depositato in Italia o nell'archivio notarile distrettuale o presso un notaio esercente. L'art. 106, n. 4, 1. 16 febbraio 1913 n. 89

(ordinamento del notariato e degli archivi notarili) prescrive,

viceversa, che « negli archivi notarili distrettuali sono depositati e

conservati: gli originali e le copie degli atti notarili rogati in

paese estero prima di farne uso nel regno, semprechè non siano

già depositati presso un notaio esercente ».

L'art. 68 r.d. 10 settembre 1914 n. 1326 (regolamento per l'ese

cuzione della legge sul notariato) recita: « il notaio può ricevere

in deposito, in originale od in copia, atti rogati in paese estero

redigendo apposito verbale, che dev'essere annotato a repertorio». L'art. 146 sempre r.d. 10 settembre 1914 n. 1326 statuisce: « per

il deposito in archivio degli originali e delle copie di atti notarili

rogati in paese estero in conformità dell'art. 106, n. 4, della legge,

deve redigersi apposito verbale con le norme e nelle forme

prescritte per gli atti notarili; e deve osservarsi quanto altro è

disposto nell'art. 68 del presente regolamento ».

La ratio delle citate nome è duplice: assicurare il deposito e la

conservazione degli atti; consentire il controllo di legittimità sostanziale degli atti esteri, in analogia a quanto disposto dall'art.

804 c.p.c., al fine di assicurare la conformità all'ordine pubblico e

al buon costume, ex art. 31 preleggi.

L'allegazione della procura ex art. 51, n. 3, 1. 16 febbraio 1913

n. 89 a giustificazione dei poteri del procuratore (cfr. art. 54 r.d.

10 settembre 1914 n. 1326) costituisce senz'altro «uso» dell'atto

estero, e non può, d'altra parte, considerarsi « equipollente » del

deposito, attesa la diversa struttura e ratio dei due istituti, e

difettando comunque (nella mera allegazione) il responsabile e

penetrante esame di cui all'art. 31 disp. sulla legge in generale,

imposto, viceversa, al notaio o al conservatore in esercizio dal

l'art. 106, n. 4, 1. sul notariato. Non può dubitarsi della perdurante

operatività di detto precetto, atteso il disposto della 1. 23 dicem

bre 1977 n. 952 (modificazione delle norme sulla registrazione degli

atti da prodursi al P.R.A.) che, per la formalità di registrazione del

le scritture straniere di trasferimento di autoveicoli stabilisce all'art.

2, 2° comma, la condizione: « ferma restando l'applicazione

dell'art. 106, n. 4, 1. 16 febbraio 1913 n. 89 per le scritture

estere », e atteso il tenore della 1. 13 marzo 1980 n. 73 (adegua

mento dei termini in materia di pubblicità di atti formati

all'estero) che dispone che per gli atti ricevuti all'estero i termini

per i conseguenti adempimenti pubblicitari: decorrono dalla data

del deposito da effettuarsi a norma dell'art. 106, n. 4, legge

sopracitata. Trattandosi di norme imperative, deve riconoscersi

che l'allegazione di procura estera non depositata in Italia,

implica nullità ex art. 1418 c.c. dell'atto posto in essere dal

procuratore (e non la semplice inefficacia di cui all'art. 1394 c.c.)

L'istanza di omologazione va, pertanto, rigettata ex art. 2436 c.c.

n. 2094, id., Rep. 1980, voce cit., n. 18, sul contenuto sostanziale della

procura alle liti conferita allo straniero perché spieghi efficacia in un

processo dinanzi al giudice italiano. Sul divieto del notaio di ricevere

atti manifestamente contrari all'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 28, n.

1, quali in particolare le deposizioni testimoniali, cfr. Cass. 20 aprile

1963, n. 977, id., 1963, I, 1721. Sulla nozione di ordine pubblico ex

art. 31 disp. prel. c.c., cfr. Cass. 24 dicembre 1982, n. 7128, id., 1983,

I, 36; 1° ottobre 1982, n. 5026, id., 1982, I, 2799; 15 maggio 1982, n.

3024, ibid., 1880, con nota di richiami. Per altri riferimenti sul tema

di cui alla massima, cfr. Protettì-Di Zenzo, op. cit., 124 ss., 187 ss.

TRIBUNALE DI MILANO; decreto 6 giugno 1983; Pres. Bal

di, Rei. Rodorf; ric. P.m., Credito svizzero c. Soc. Finomnia,

Soc. Cliff Bay, Soc. Portoro Residence.

TRIBUNALE DI MILANO;

Società — Società di capitali — Denuncia al tribunale di gravi

irregolarità — Ricorso del pubblico ministero — Sollecitazione

da parte di terzi non soci — Legittimazione — Sussistenza

(Cod. civ., art. 2409, 2488). Società — Società di capitali — Denuncia al tribunale di gravi

irregolarità — Ricorso del pubblico ministero — Successivo

ricorso del socio titolare di almeno un decimo del capitale —

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1123 PARTE PRIMA

Ammissibilità — Riunione (Cod. civ., art. 2409, 2488; cod.

proc. civ., art. 105, 737 ss.). Società — Società di capitali — Denuncia al tribunale di gravi

irregolarità — Successivo scioglimento della società — Sostitu

zione di amministratori e sindaci — Conseguenze (Cod. civ., art. 2409, 2488).

Società — Società di capitali — Denuncia al tribunale — Gravi

irregolarità — Fattispecie (Cod. civ., art. 2409, 2488).

Il pubblico ministero, poiché agisce sempre a tutela di un

interesse pubblico, è legittimato a promuovere il procedimento

previsto dall'art. 2409 c.c. senza necessità di una preventiva denuncia da parte di soci od altri soggetti qualificati. (1)

La domanda proposta da un terzo in un procedimento di

denunzia al tribunale per gravi irregolarità già promosso dal

pubblico ministero è ammissibile, in quanto il terzo sia titolare

di almeno un decimo del capitale, ma non configura intervento, bensì autonoma istanza che va riunita a quella del pubblico ministero. (2)

Sono irrilevanti, ai fini della prosecuzione del procedimento pre visto dall'art. 2409 c.c., la sostituzione di amministratori e

sindaci e lo scioglimento della società, deliberati dall'assemblea, nelle more del procedimento stesso. (3)

(1) Il provvedimento affronta anzitutto il problema della legittima zione del pubblico ministero ad instaurare il procedimento previsto dall'art. 2409 c.c.: problema disputato, poiché da una parte si sostiene che i poteri attribuiti al p.m. si commisurano ad un interesse generale di carattere pubblico; mentre, d'altra parte, si reputa che tali poteri possano venire esercitati soltanto con il limite dell'interesse della società. Il decreto in epigrafe sembra inserirsi nell'ambito della prima tendenza, cui si richiama anche Trib. Milano 20 novembre 1968, Foro it., Rep. 1969, voce Società, n. 230 e in Riv. dir. comm., 1969, l'I, 221, con nota di M. J. Bonell (che reputa ammissibile l'istanza del p.m. quando sia sollecitato dalla polizia tributaria, ed anche quando la società abbia un solo socio) oltreché la giurisprudenza più antica. In senso opposto, e dunque con esclusivo riguardo all'interesse societario, sono Trib. Roma 28 gennaio 1972, Foro it., 1974, I, 2674; App. Milano 5 marzo 1969, id., 1969, I, 1991, con nota di richiami, nonché in Riv. dir. comm., cit., con nota di Bonell, in riforma di Trib. Milano 20 novembre 1968, cit.

Va poi osservato che, nello stesso senso del decreto qui riportato, appaiono orientati la relazione al codice civile, n. 985 e, alla stregua di essa, Brunetti, Trattato del diritto delle società, 1948, II, 410; Pettiti, Sul procedimento di denuncia al tribunale ai sensi dell'art. 2409, in Riv. dir. comm., 1952, l'I, 279; Id., Ancora sul procedimento dell'art. 2409, id., 1961, II, 54; Panuccio, Il procedimento disciplinato dall'art. 2409 nel sistema dei controlli sulle società per azioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1954, 692. In contrario avviso si ricordano invece per tutti F. Ferrara jr., Imprenditori e società, 1978, 526; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, 1980, 404; mentre su posizioni eclettiche è G. U. Tedeschi, Il controllo giudiziario sull'amministrazio ne delle società di capitali, 1965, 130.

(2) La partecipazione di un terzo al procedimento instaurato in seguito a denuncia ex art. 2409 c.c., partecipazione che il decreto qui riportato giudica possibile se ed in quanto il terzo possegga i requisiti che legittimerebbero una proposizione della domanda a titolo princi pale, viene in vario modo valutata nella giurisprudenza: cosi Trib. Milano 24 novembre 1978, Foro it., Rep. 1981, voce Società, n. 193 e in Riv. dir. comm., 1980, II, 283, con nota di G. Ferri, reputa inammissibile l'intervento — nel procedimento promosso dal p.m. — di soci che non abbiano partecipato alla reintegrazione del capitale sociale a seguito di riduzione (da essi non impugnata); per App. Palermo 20 luglio 1973, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n. 233, è invece inammissibile nel procedimento promosso da un socio, poi rivelatosi non legittimato, la proposizione di una denunzia da parte di altro socio legittimato. Più radicalmente, secondo App. Bologna 21 novembre 1967, id., Rep. 1968, voce Camera di consiglio, n. 5, l'intervento di un terzo nei procedimenti in camera di consiglio non è tout court ammissibile.

(3) Nel senso della irrilevanza del rinnovo degli organi inquisiti, nelle more del procedimento ex art. 2409, App. Palermo 20 luglio 1973, Foro it., Rep. 1974, voce Società, n. 239; Trib. Palermo 1° dicembre 1972, ibid., n. 237; Trib. Roma 10 gennaio 1973, ibid., n. 238; App. Venezia 26 gennaio 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 226 e in Corti Brescia, Venezia e Trieste, 1972, 50, con nota di Brighenti; App. Milano 11 luglio 1969, Foro it., Rep. 1969, voce cit., n. 233; Trib. Roma 20 febbraio 1964, id., 1965, I, 197, con nota di richiami e in Riv. dir. comm., 1964, II, 424, con nota di Vitale. Nega invece si possa promuovere il procedimento ex art. 2409 c.c., qualora le presunte irregolarità siano imputate ad amministratori o sindaci ormai cessati o sostituiti, App. Cagliari 3 settembre 1976, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 248; ed improcedibile dichiara il ricorso Trib. Milano 12 febbraio 1973, id., 1973, I, 1257, nel caso in cui la società si trasformi in società di persone.

Quanto alla messa in liquidazione della società, secondo Trib. Roma 4 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 235, ed in armonia col decreto qui riportato, tale evento non impedisce la prosecuzione del procedimento; contra, Trib. Roma 10 ottobre 1981, id., 1982, I, 324, con nota di richiami.

Costituiscono gravi irregolarità nella gestione societaria, tali da

imporre la revoca degli amministratori e dei sindaci e la

nomina di un amministratore giudiziario, la cessione di azioni, costituenti la parte principale del patrimonio della società, ad

altra società del medesimo gruppo e verso un corrispettivo

fittizio; la compensazione di poste di bilancio e la mancata

rispondenza tra partite debitorie e creditorie, correnti tra

società appartenenti ad un medesimo gruppo, nei rispettivi

bilanci; la locazione di un immobile di proprietà sociale

all'amministratore unico della società stessa, per un canone

irrisorio in rapporto ai prezzi del libero mercato. (4)

Il presente procedimento, a seguito di una denuncia presentata dal Banco di Roma per la Svizzera s.a. di Lugano, è stato pro mosso dal p.m. con rituale ricorso ai sensi dell'art. 2409 c.c.

Come prescritto da detta norma, in data 15 aprile 1983 il

tribunale ha provveduto a sentire in camera di consiglio la sig. Maria Cristina Canovai Ambrosio, che in quel momento ricopriva la carica di amministratrice unica della Finanziaria s.r.l., del

la Cliff Bay s.r.l. e della Portoro Residence s.p.a., nonché

i sindaci di quest'ultima società, Sebastiano Bengala e Die

go Martini (il terzo sindaco Vincenzo Gagliardi, anch'egli

comparso in camera di consiglio, si è allontanato per impegni

personali prima di poter essere interpellato dal tribunale). Nella

medesima occasione è intervenuto anche un procuratore rappre sentante il Credito svizzero s.a. di Chiasso, il quale si è qualifica to titolare di 475.000 azioni della società Portoro Residence, su

un totale di 500.000 azioni, ed ha chiesto, a propria volta, la

revoca dell'amministratore e dei sindaci di tale società e la

conseguente nomina di un amministratore giudiziario. Su richiesta del legale che assiste la sig. Canovai, l'udienza è

stata aggiornata al 20 maggio 1983 per dar modo ai difensori di

sviluppare compiutamente le proprie argomentazioni. Il 20 maggio 1983 sono quindi nuovamente comparsi in camera

di consiglio i già menzionati sindaci della Portoro Residence, assistiti da un legale, nonché i procuratori della Canovai e del

Credito svizzero ed il p.m., i quali, avendo tutti già in preceden za prodotto documenti e depositato memorie, hanno concluso

come da verbale.

Ciò premesso, rileva in primo luogo il tribunale — con

riferimento ad un'obiezione sollevata dal legale della Canovai —

che non può essere posta in dubbio la legittimazione (o l'interes

se) del p.m. a proporre il ricorso di cui trattasi, sol perché l'iniziativa è stata sollecitata da una denuncia proveniente da un

(4) La valutazione della gravità delle irregolarità denunziate viene

espressa, per fattispecie analoghe a quelle prospettate nel decreto che si riporta ed in senso affermativo, per quanto attiene alla non corretta redazione del bilancio, e, più in generale, alla non corretta tenuta della contabilità, da Trib. Roma 12 agosto 1978, Foro it., Rep. 1979, voce Società, n. 202; Trib. Pavia 20 giugno 1977, id., Rep. 1978, voce

cit., n. 222 e in Giur. comm., 1978, II, 400, con nota di Cera; App. Cagliari 3 settembre 1976, cit. (occultamento di utili); App. Bologna 27 giugno 1973, Foro it., Rep. 1973, voce cit., n. 240; App. Palermo 20 luglio 1973, id., Rep. 1974, voce cit., n. 241; App. Venezia 26 gennaio 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 229 (con generico riferimen to alla tenuta della contabilità); App. Catania 20 dicembre 1969, id., Rep. 1970, voce cit., n. 273 (in un caso di mancata presentazione dei bilanci nei termini); App. Milano 2 luglio 1968, id., 1968, I, 3090; contra, nel senso che l'intempestiva e non corretta redazione del bilancio non sia, per sé sola, sufficiente a configurare irregolarità grave ai sensi dell'art. 2409, Trib. Aosta 6 luglio 1971, id., Rep. 1972, voce

cit., nn. 222-225, ed altresì' App. Bologna 9 maggio 1975, id., Rep. 1975, voce cit., n. 250 (in tema d'irregolare tenuta della contabilità). Cosi, per la locazione di immobili sociali ad altra società rappresentata da un soggetto che sia simultaneamente amministratore della prima (una fattispecie, dunque, assai simile a quella contemplata nel provve dimento in epigrafe), nel senso che configuri grave irregolarità, v. Trib. Torino 18 febbraio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 253.

Ancora e più genericamente, possono costituire gravi irregolarità anche meri inadempimenti, o adempimenti tardivi e inadeguati dei doveri degli amministratori: App. Milano 26 ottobre 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 233 e in Giur. comm., 1980, II, 745, con nota di

Allegri; Cass. 19 maggio 1972, n. 1530, Foro it., 1973, I, 1908; ma non costituiscono, di per sé sole, gravi irregolarità, né la violazione del divieto di non concorrenza, né l'infedele verbalizzazione di delibere assembleari (secondo Trib. Napoli 22 novembre 1971, id., Rep. 1973, voce cit., n. 166 e in Riv. dir. comm., 1973, II, 50, con nota di Patroni Griffi; App. Torino 5 dicembre 1969, Foro it., Rep. 1970, voce cit., n. 266), né la riscossione da parte dell'amministratore di un

compenso in misura superiore a quella prevista statutariamente (secon do Trib. Trapani 31 ottobre 1968, id., Rep. 1969, voce cit., n. 234).

Giova infine ricordare come in dottrina si precisi che l'intervento dell'autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 2409 c.c., può investire solo censure di legittimità dell'operato di amministratori e sindaci, non mai il merito della gestione: Galgano, Diritto commerciale. Le società, 1982, 334.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

soggetto, il Banco di Roma per la Svizzera s.a., che non appare essere socio di alcuna delle tre società cui il ricorso si riferisce. Non può invero assolutamente condividersi la tesi secondo la

quale la legittimazione a proporre ricorso al tribunale ex art. 2409 c.c. sarebbe stata attribuita al p.m. (in alternativa ai soci titolari di almeno un decimo del capitale sociale) solo a tutela di

più esigue minoranze sociali e quindi solo a condizione che da tali minoranze promani una sollecitazione all'iniziativa dello stes so p.m. È al contrario evidente che, per la funzione istituzionale che gli è propria, il p.m. agisce sempre a tutela di un interesse

pubblico, qui agevolmente identificabile con l'esigenza di carattere

generale, che il legislatore ha avvertito, di assicurare un corretto funzionamento degli organi delle società di capitali, in vista delle

ripercussioni che ne possono derivare nei confronti dei creditori e dei terzi in genere. Non diverso, del resto, è il fondamento anche di tutti gli altri poteri di intervento o di inziativa che la legge attribuisce al p.m. in tema di società di capitali (ad es.: art. 2446, 2° comma, oppure art. 2450, 4° comma, c.c.), o in materia di pro cedure concorsuali (ad es.: art. 6 r.d. 16 marzo 1942 n. 267).

Deve perciò ritenersi che la legittimazione del p.m., rispetto al

procedimento in discorso, sia del tutto svincolata dalla necessità di una preventiva denuncia da parte dei soggetti in qualche modo qualificati e possa liberamente esplicarsi, ove lo stesso p.m. ravvisi la sussistenza di un interesse pubblico da tutelare, indi

pendentemente dalla fonte della notizia da cui eventualmente abbia preso avvio l'iniziativa.

Una seconda questione preliminare sulla quale è necessario soffermarsi attiene alla posizione del Credito svizzero, al cui intervento nel presente procedimento si è ripetutamente opposto il difensore della Canovai.

'È quanto meno dubbio che in un simile procedimento, cui si vuole riconoscere il carattere della cosi detta volontaria giurisdi zione, possa ammettersi un intervento volontario nelle forme e

per gli scopi menzionati dall'art. 105 c.p.c., che sembrano neces sariamente presupporre la pendenza tra due o più parti di un vero e proprio rapporto processuale contenzioso. Tuttavia, quan do nel corso di un procedimento ex art. 2409 c.c., già promosso dal p.m., il terzo che propone una propria autonoma istanza sia

per parte sua legittimato attivamente al ricorso, essendo titolare di oltre il 10 % del capitale della società di cui si discute, non c'è ragione che osti alla trattazione ed alla decisione unitaria di tale nuova istanza e dell'originario ricorso. Un ovvio principio di economia processuale, che non è certo estraneo all'ambito della

giurisdizione volontaria, impone infatti di riunire quelle domande

che, pur provenendo da soggetti diversi, siano volte ad ottenere dal giudice un medesimo provvedimento; e dunque non vi sareb be motivo per non utilizzare il procedimento già in corso anche in relazione alla istanza successivamente proposta da altro legit timato.

Nella specie risulta ampiamente dimostrato che il Credito

svizzero è titolare di 475.000 azioni della Portoro Residence, su un capitale rappresentato complessivamente da 500.000 azioni

(vedi le annotazioni sul libro soci documentate in allegato alla memoria depositata il 25 marzo 1983 dai sindaci della società e

le dichiarazioni rese dalla Canovai in camera di consiglio in data

15 aprile 1983), sicché non è dubbia la autonoma legittimazione dell'istante a proporre ricorso ex art. 2409 c.c. La circostanza che

le predette azioni, secondo ogni verosimiglianza, siano state a

suo tempo cedute al Credito svizzero dalla Canovai a scopo di

garanzia non ha alcun rilievo in questa sede. Quali che fossero i

patti intercorsi tra le parti al momento della cessione, fatto sta che al Credito svizzero non è stato attribuito un mero diritto di

pegno sulle azioni, bensì la piena proprietà di esse, con la

conseguente titolarità di tutti i diritti e le facoltà che competono all'azionista.

È poi appena il caso di aggiungere che, ovviamente, non essendo il Credito svizzero titolare anche di quote della Finomnia s.r.l. e della Cliff Bay s.r.l., le sue istanze non possono riguardare

queste società. Ciò non fa tuttavia venir meno l'opportunità di

trattare unitariamente le questioni relative a tali ultime società ed

alla Portoro Residence s.p.a., seguendo la falsariga del ricorso

proposto dal p.m., stante la indubbia connessione tra dette

questioni e sussistendo perciò anche a questo proposito una

evidente esigenza di economia processuale. Prima di esaminare il merito dei ricorsi, occorre ancora rilevare

che, nell'intervallo di tempo trascorso tra la prima e la seconda

udienza camerale in cui si è articolato il procedimento, si è

riunita l'assemblea della Portoro Residence, che ha accettato le

dimissioni della Canovai dalla carica di amministratrice unica, nominando in sua vece il dott. Silvio Doria, ed ha altresì sostituito

i membri dimissionari del collegio sindacale, che è ora composto dal dott. Angelo Puglisi, dal dott. Bruno Boiani e dal dott. Carlo

Boido. Negli stessi giorni risultano essersi riunite anche le assem

blee delle società Cliff Bay e Finomnia. La prima ha nominato

amministratore unico, in luogo della Canovai dimissionaria, il sig. Aldo Greco; mentre la seconda ha deliberato lo scioglimento della società, nominando liquidatore la stessa Canovai, poi dimes sasi e sostituita dal già citato dott. Carlo Boido.

Reputa il tribunale che i descritti eventi siano peraltro privi di rilevanza almeno per quel che riguarda l'aspetto procedurale fin qui in esame. S'è infatti già ricordato che il procedimento promosso ai sensi dell'art. 2409 c.c. non ha natura contenziosa e quindi non implica l'instaurarsi di un vero e proprio rapporto processuale, facente capo all'amministratore o ai sindaci della società di cui si discute. Atteso il carattere di giurisdizione volontaria che lo contraddistingue, è lecito affermare che il procedimento ha un ambito e delle finalità più ampie, essendo destinato a rimuovere le eventuali anomalie che si siano verificate nel funzionamento degli organi gestori e di controllo della socie tà, per consentire un più corretto svolgimento del rapporto societario anche in funzione dell'interesse dei creditori e dei terzi. Si giustifica in questo contesto logico l'opinione, dominante in dottrina e giurisprudenza, secondo la quale compete al tribunale la potestà di adottare provvedimenti diversi da quelli richiesti dal ricorrente, nonché di assumere anche d'ufficio iniziative di carat tere istruttorio, operando dunque del tutto al di fuori degli schemi tipici del rapporto processuale contenzioso.

Ma se non può dirsi che il ricorso ex art 2409 c.c. sia specificamente rivolto nei confronti di coloro che in un determi nato momento rivestono la qualifica di amministratori o sindaci della società (l'eventuale esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti di quei soggetti essendo un fatto ipotetico e comunque successivo al procedimento in discorso), allo stesso modo non potrebbe evidentemente desumersi dalla sopravvenuta perdita di tale qualifica da parte loro il venir meno di una pretesa legittimazione passiva dei destinatari del ricorso, o co munque una qualsiasi causa di improseguibilità del procedimento.

Naturalmente la sostituzione spontanea degli amministratori o dei sindaci della società potrebbe ben risultare rilevante, ai fini del provvedimento che il tribunale è chiamato ad adottare, ogni qual volta essa si dimostra sufficiente a far venire meno in concreto le cause e gli efletti delle eventuali precedenti irregolari tà di gestione. È questo, però, un problema di fatto, e non v'è dubbio che il tribunale debba provvedere ugualmente alla revoca degli amministratori e dei sindaci subentrati nella carica, nomi nando in loro vece un amministratore giudiziario, ove vi sia ragione di ritenere che la sostituzione spontanea operata dalla società non valga ad eliminare le anomalie riscontrate.

Sempre sul medesimo tema, va ancora osservato che, qualora la spontanea sostituzione degli amministratori e dei sindaci avvenga nel corso del procedimento, dopo che il tribunale abbia già provveduto a sentire in camera di consiglio coloro che in quel momento ricoprivano le suddette cariche, non appare necessario procedere anche alla audizione dei nuovi amministratori e dei nuovi sindaci della società. La prescrizione in proposito dettata dal 2° comma dell'art. 2409, infatti, non può che essere riferita a coloro che rivestono la qualità di amministratore o sindaco all'atto della loro convocazione in camera di consiglio per essere sentiti. Diversamente opinando, si finirebbe per lasciare all'arbi trio della società interessata la possibilità di procrastinare indefinitamente la conclusione del procedimento, rinnovando di continuo le cariche sociali. D'altro canto, i nuovi amministratori e sindaci non possono non essere tenuti ad accettare il procedimen to, per ciò che può riflettersi sulla loro personale posizione, nello stato e nel grado in cui esso è pervenuto al momento della loro nomina; né potrebbero per ciò vantare un diritto a far rinnovare un atto già ritualmente compiuto da parte del tribunale.

Sotto un profilo di opportunità, d'altronde, neppure vi sono ragioni che inducano a convocare per un'audizione i nuovi amministratori e sindaci delle tre società di cui qui si discute, perché essi hanno preso possesso delle rispettive cariche da cosi breve tempo, da far ragionevolmente supporre che nessun nuovo elemento utile possa essere da loro apportato al procedimento.

Quanto poi alla particolare situazione della Finomnia s.r.l., che si è visto essere stata frattanto posta in liquidazione, basterà qui sinteticamente richiamare l'orientamento già altre volte espresso da questo tribunale circa la non incompatibilità della fase della

liquidazione con i provvedimenti di cui all'art. 2409 c.c. e circa la conseguente possibilità che, ricorrendone gli estremi, anche il

liquidatore sia revocato e sostituito con un amministratore giudi ziario per il tempo occorrente ad eliminare le anomalie verificate si nella gestione della società (per una più esauriente motivazione sul punto, vedi Trib. Milano 14 settembre 1981, Foro it., Rep. 1982, voce Società, n. 363).

Sgombrato cosi il terreno dagli aspetti procedurali, è tempo ora di esaminare nel merito le questioni poste dai ricorsi del p.m. e

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1127 PARTE PRIMA 1128

dal Credito svizzero tenendo distinte, per quanto possibile, le

posizioni delle tre società di cui si discute.

Per la Portoro Residence, innanzitutto, è stata denunciata dai

ricorrenti l'irregolarità di un'operazione compiuta sul finire del

l'anno 1*979, consistita nella cessione del 95 % delle azioni della

società Cliff Bay (che a quel tempo aveva appunto forma di società

per azioni), allora possedute dalla Portoro Residence. Questa

operazione, a giudizio dei ricorrenti, configurerebbe un vero e

proprio atto di spoliazione del patrimonio della alienante: atto di

notevole rilevanza economica, se si considera che la Cliff Bay, a

propria volta, era ed è proprietaria di una lussuosissima villa in

Portofino, nota persino alle cronache dei giornali quotidiani per le sontuose feste che vi usava dare anni fa la famiglia Ambrosio.

Ora bisogna dire subito che i contorni della operazione di cui

trattasi appaiono effettivamente assai confusi.

Già non è chiara del tutto nemmeno l'identità dell'acquirente delle azioni Cliff Bay, che i ricorrenti hanno ritenuto di indivi duare nella Finomnia s.r.l., laddove la Canovai e gli allora sindaci

della Portoro Residence lo identificano in altra società, anch'essa

comunque facente capo alla Canovai, cioè nella Fintotal s.p.a. Alla seconda memoria, depositata dai componenti il collegio sindacale in data 12 maggio 1983, sono allegati estratti autentici

dei libri e delle scritture contabili della Portoro Residence e della

Fintotal, dai quali risulta appunto che la cessione delle azioni

Cliff Bay sarebbe avvenuta il 10 dicembre 1979 tra le due

predette società e che il relativo prezzo sarebbe stato paga to dalla Fintotal accollandosi dei debiti della Portoro Residence

verso terzi. Su questo meccanismo di pagamento sarà necessario

tornare in seguito; qui intanto va osservato che le menzionate

annotazioni dei libri sociali si pongono in singolare contrasto con

quanto indicato nella relazione dell'amministratore al bilancio

della Fintotal per l'esercizio chiuso il 30 giugno 1980, laddove si

parla dell'incremento delle partecipazioni di detta società e si fa

in proposito menzione dell'acquisto di azioni della A.T.A. s.p.a., ma si tace del tutto in ordine al preteso acquisto anche delle azioni Cliff Bay, che sarebbero state vendute dalla Portoro

Residence, nonché dell'accollo di un debito che avrebbe costituito il prezzo di tale acquisto. Naturalmente in questa sede non

interessano le eventuali irregolarità o imprecisioni contabili e di

bilancio concernenti la Fintotal, che è estranea all'ambito del

presente procedimento; e tuttavia, se si tien conto che alla data in cui è stato redatto il citato bilancio della Fintotal l'amministra

trice ed i sindaci di tale società erano i medesimi della Portoro Residence (nonché della Finomnia e della stessa Cliff Bay), non

può negarsi che l'incoerenza delle summenzionate indicazioni getti una prima ombra di dubbio sulla complessiva attendibilità delle annotazioni che si leggono sui libri contabili di tutte le predette società.

Siffatto dubbio è destinato ad accrescersi non poco se si

procede oltre all'esame della operazione di cui trattasi. Ciò che

maggiormente rileva — ove pur si ammetta che la cessione delle

azioni Cliff Bay sia avvenuta in favore della Fintotal — non è

tanto il fatto in sé che venditore ed acquirente siano stati

rappresentati nel contratto dal medesimo soggetto, amministratore di entrambe le società, quanto piuttosto l'impossibilità di rico struire in modo completo e convincente il meccanismo attraverso il quale la Portoro Residence avrebbe acquisito al proprio patrimonio il controvalore delle azioni cedute.

Mentre l'amministratrice Canovai non è stata in grado di

fornire la benché minima spiegazione al riguardo, i componenti del collegio sindacale hanno sostenuto, nella memoria depositata il 25 marzo 1983 e poi verbalmente in camera di consiglio, che in pagamento delle azioni Cliff Bay la Fintotal si sarebbe accolla

ta un debito della Portoro Residence verso la Finomnia per circa lire 426 milioni. Richiesti maggiori chiarimenti sul punto, gli stessi sindaci hanno esibito al tribunale il libro degli inventari della società Portoro Residence, anche perché nel bilancio al 31

dicembre 1978 di detta società i debiti verso controllate e

collegate apparivano iscritti per un minor importo (lire 408.914.886). È cosi risultato che tale iscrizione è in realtà frutto

di una compensazione di partite debitorie e creditorie e, più esattamente, del già ricordato debito di lire 426.664.886 verso la

Finomnia, da cui è stato detratto un credito verso la Cliff Bay di

lire 17.750.000.

Da ciò emerge uan prima indubbia irregolarità, per violazione del precetto contenuto nel penultimo comma dell'art. 2424 c.c.

Ripercorrendo ancora a ritroso le annotazioni del libro degli inventari della citata società, si è potuto accertare che il debito

verso la Finomnia — che, come s'è visto, costituisce il fulcro del

meccanismo di pagamento del prezzo delle azioni Cliff Bay cedute dalla Portoro Residence — è registrato per la prima volta nel 1975 ed ha acquisito la dimensione di oltre 426 milioni

attraverso lievi incrementi verificatisi nel corso degli esercizi 1976

e 1977. Poiché i ricorrenti hanno messo in dubbio la corrispon denza a realtà di tali annotazioni di debito e poiché trattasi di annotazioni riguardanti rapporti che si assumono essere intercorsi tra società di un medesimo gruppo, amministrate e controllate nel

tempo sempre dalle medesime persone, è parso ovvio cercare di

indagare oltre per individuare l'origine del menzionato debito della Portoro Residence verso la Finomnia, tanto più che esso risale a meno di dieci anni fa e quindi dovrebbe poter trovare riscontro in fatture o in altri documenti contabili tuttora conser vati dalle società interessate. Eppure, nonostante i dubbi al

riguardo fossero stati affacciati sin nel ricorso introduttivo del

procedimento, e quantunque già nella udienza camerale del 15

aprile 1983 fossero state rivolte specifiche domande sul punto all'amministratrice ed ai sindaci delle società predette, né l'una né

gli altri (che pure hanno presentato ben due memorie ciascuno nel corso del procedimento) hanno saputo fornire la benché minima indicazione circa la natura e l'origine del più volte menzionato debito. E si noti poi che neppure le vicende successi ve del medesimo debito sono tali da tranquillizzare sulla sua

effettività, perché esso non è stato estinto mediante pagamento da

parte dell'accollante Fintotal, ma è stato invece utilizzato dalla creditrice Finomnia in sottoscrizione di aumenti del capitale della medesima Fintotal: cioè, in definitiva, è stato eliminato attraverso

un'operazione di compensazione risolta sul piano esclusivamente contabile.

A tanto aggiungasi che, nell'ultima memoria depositata il 12

maggio 1983, i sindaci Bengala, Gagliardi e Martini, contraddi cendo quanto da loro stessi in precedenza affermato, hanno dato una versione in parte ancora diversa del meccanismo con il

quale la Fintotal avrebbe pagato il corrispettivo delle azioni Cliff

Bay alla Portoro Residence. Essi hanno infatti sostenuto che

l'acquirente, oltre ad accollarsi il già ricordato debito verso la

Finomnia, si sarebbe accollato anche un ulteriore debito della Portoro Residence verso Francesco Ambrosio per lire 71.085.114 e, nel contempo, avrebbe ottenuto la cessione in proprio favore del credito della Portoro Residence verso la Cliff Bay per lire

17.500.000, pure già in precedenza ricordato. Ma questa nuova versione dell'accaduto, in forza della quale il corrispettivo per la vendita delle azioni Cliff Bay risulterebbe pari a lire 480 milioni (in luogo dei 426 milioni circa indicati nella prima memoria ed in sede di deposizione verbale), suscita molte più perplessità di

quante ne vorrebbe dissipare. Mentre infatti, per un verso, nessuna luce viene così gettata sulla effettiva origine e sulla natura dei debiti sopra menzionati, per altro verso non può non

apparire alquanto singolare che di un'operazione economica assai

rilevante, anche in rapporto al capitale delle società interessate, al totale silenzio dell'amministratrice unica facciano riscontro due diverse versioni rese dai sindaci a brevissimo tempo l'una dall'al tra.

Tutto questo va poi inquadrato in un contesto più generale di notevole approssimazione e conseguente grave inattendibilità di tutte le appostazioni contabili delle società. Basterà in proposito menzionare la presenza nel bilancio al 30 giugno 1979 della Finomnia di un ulteriore credito di circa lire 101 milioni verso la Portoro Residence, che però non trova alcun riscontro nel corri

spondente bilancio di periodo di quest'ultima società (per poi sparire senza motivazione anche dal successivo bilancio della

Finomnia); rispetto al quale non può ritenersi plausibile la laconica spiegazione dei sindaci — secondo i quali « il debito non è stato riconosciuto da Portoro ed è stato conseguentemente stornato » — se solo si pone mente ai rapporti intercorrenti tra le predette società ed alla conduzione sostanzialmente unitaria delle stesse.

Conclusivamente, può dunque affermarsi che sono emersi ele menti tali da far ragionevolmente ritenere che la cessione delle azioni Cliff Bay non trovi corrispondenza nella acquisizione di un

corrispettivo reale (ciò che rende superfluo soffermarsi a verificare se il corrispettivo dichiarato sia congruo, o meno).

Può altresì affermarsi che, in linea generale, sono assolutamente

poco attendibili le registrazioni contabili ed i bilanci della Porto ro Residence, sia per la accertata compensazione di partite, sia

per la non corrispondenza con i dati correlativi dei bilanci delle altre società dello stesso gruppo, sia, infine, per la lacunosità e la

genericità delle indicazioni contenute nelle relazioni che accom

pagnano i bilanci.

Ancora con riferimento ai bilanci della Portoro Residence

s.p.a., va da ultimo rilevato che nel raffronto tra il bilancio relativo all'esercizio 1978 e quello relativo al 1979 emerge una riduzione della riserva « sovrapprezzo azioni » da lire 330.000.000 a lire 191.034.638, che non trova spiegazione di sorta nelle già citate relazioni, né contropartita contabile in altre voci del

passivo della situazione patrimoniale o in una eventuale copertura di perdite. È dunque giocoforza ritenere che la parte di sovrap

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

prezzo non più riportata nel bilancio dell'esercizio 1979 sia stata

distribuita ai soci, in violazione del cogente precetto dettato dall'art. 2430 c.c., non risultando la riserva legale pari al quinto del capitale della società.

Passando ora ad esaminare la situazione della ClifT Bay s.r.l.,

appare subito evidente che la società ha accumulato ingenti perdite negli anni 1979 e 1980, soprattutto a causa di una drastica riduzione del canone percepito per la locazione della già ricordata villa di Portofino, che costituisce il maggior cespite del suo patrimonio.

Nella memoria depositata il 12 maggio 1983 dai sindaci della

Portoro Residence (che erano stati in passato anche sindaci della Cliff Bay) è chiarito infatti che da un canone di affitto di lire 33 milioni annui nel 1978, si è passati ad un canone di poco superiore ai 17 milioni di lire nell'anno 1979 e di appena lire

14.500.000 nell'anno 1980. Trattandosi di una sontuosa villa condotta in locazione da quella stessa Canovai, che per gran parte del periodo considerato ha rivestito la carica di amministra trice unica della Cliff Bay, non pare azzardato affermare che è stata compiuta una vera e propria distrazione di reddito locativo della società in favore della amministratrice.

Sorprendentemente la Canovai non ha neppure tentato di dare una qualche spiegazione di quanto sopra, mentre hanno provato a farlo i sindaci Bengala, Gagliardi e Martini, a detta dei quali la

riduzione del canone di locazione della villa sarebbe conseguente alla entrata in vigore della I. n. 392 del 1978 (c.d. legge dell'equo canone). È però questa una giustificazione palesemente insosteni

bile, perché, contrariamente a quanto scritto dai sindaci nella già citata memoria del 12 maggio 1983, l'immobile in questione, essendo una abitazione in villa, è incluso nella categoria catastale

A/8, cui non si applicano le disposizioni limitative del canone, ai

sensi dell'art. 26, lett. d), della menzionata 1. n. 392 (che la villa di cui trattasi rientri nella categoria catastale A/8 risulta anche

dalla relazione dell'U.T.E. di Genova, allegata alla precedente memoria degli stessi sindaci).

D'altro canto è sufficiente leggere la relazione dello studio

Morandotti (prodotta ancora una volta dai sindaci medesimi), per rendersi conto che per una villa situata in comune di Portofino, in una posizione definita « unica ed irripetibile », composta di

quattro piani a picco sul mare per un totale di ben 24 vani, su

una superficie complessiva di circa 1460 mq., con annessi un'au

torimessa ed un fabbricato per ricovero barche e completa di

mobilia pregiata, il canone di locazione percepito dalla società è

stato assolutamente irrisorio, rispetto ai prezzi del libero mercato.

Un altro elemento di irregolarità, questa volta di tipo contabile

ed analogo a quelli già riscontrati parlando della Portoro Resi

dence, è desumibile dal raffronto tra i bilanci della Cliff Bay e

quella della Finomnia. Infatti, dalle relazioni che accompagnano i

due successivi bilanci di quest'ultima società, rispettivamente chiusi al 30 giugno 1979 ed al 30 giugno 1980, risulta l'esistenza

di un credito verso la collegata Cliff Bay originariamente pari a

lire 230.153.090, poi ridotto nel secondo esercizio a sole lire

37.599.162.

L'esame comparato dei bilanci della Cliff Bay, viceversa, fa

registrare al 31 dicembre 1979 debiti verso controllate e collegate

per complessive lire 247.903.090 (di cui lire 230.153.090 per debito verso Finomnia e lire 17.500.000 per debito verso Portoro, secondo un'annotazione che appare aggiunta a margine sulla

copia allegata alla seconda memoria dei sindaci della Portoro

Residence) e consente di rilevare che tale appostazione è rimasta

immutata anche nei successivi bilanci al 31 dicembre 1980 ed al

31 dicembre 1981, con evidente incoerenza rispetto ai dati della

creditrice Finomnia. Di tali incoerenze inutilmente si cercherebbero spiegazioni nelle

relazioni ai bilanci, che sono infatti per la Cliff Bay — come del

resto anche la Finomnia — non meno generiche e lacunose di

quelle già ricordate della Portoro Residence.

Dell'inattendibilità delle registrazioni contabili e dei dati di

bilancio della Finomnia s.r.l., s'è finito già di dire, incidentalmen

te, parlando delle due altre società. Varrà ancora solo la pena di

aggiungere che un'ulteriore incongruenza è riscontrabile nella

relazione allegata al bilancio della Finomnia al 30 giugno 1979,

laddove essa indica in lire 700 milioni la partecipazione al

capitale della Fintotal, mentre dai verbali di assemblea di que st'ultima società risulta che nel primo semestre del 1979 la

Finomnia avrebbe sottoscritto aumenti di capitale, mediante ri

nuncia a propri crediti, per complessive lire 800 milioni.

Tirando ora le fila del discorso sin qui svolto, si può senz'altro

affermare che l'esame compiuto ha posto in luce un quadro di

gravi e ripetute irregolarità di gestione in tutte le società conside

rate; sia con riferimento a situazioni contabili e di bilancio

confuso incoerenti ed assolutamente poco attendibili; sia con

riguardo ad atti di sostanziale spoliazione del patrimonio della

Portoro Residence e del reddito della Cliff Bay, compiuti in

evidente violazione dei doveri di diligenza imposti all'amministra

tore di società dal 1° comma dell'art. 2392 c.c., con potenziale

pregiudizio anche per i terzi creditori.

Il numero e la gravità delle irregolarità riscontrate rende

chiara, a giudizio del tribunale, la necessità di procedere alla

revoca degli amministratori della Portoro Residence e della Cliff

Bay, nonché del liquidatore della Finomnia e dei sindaci della

stessa Portoro Residence, anche perché solo la nomina di un

amministratore giudiziario per tutte le tre suddette società appare essere strumento idoneo ad eliminare le anomalie di cui s'è

riferito.

Per contro, la rinnovazione delle cariche sociali da ultimo

spontaneamente deliberata dalle assemblee delle tre società inte

ressate ed i propositi di revisione contabile e di futuro esperi mento di ipotetiche azioni di responsabilità contro i precedenti

amministratori, contemporaneamente manifestati dalle stesse

assemblee, non appaiono accadimenti tali da giustificare una

conclusione diversa da quella dianzi enunciata. Certamente le tre

società hanno cosi' posto rimedio alla palese inadeguatezza della Ca

novai ai compiti di amministrazione che formalmente le erano attri

buiti. Ma ciò non basta di per sé ad eliminare le pregresse irregola rità di gestione, i cui effetti sono tuttora in gran parte attuali e per la cui rimozione non possono evidentemente offrire sufficienti

garanzie delle iniziative promananti da quelle stesse compagini sociali nel cui ambito le irregolarità si sono prodotte.

Quanto poi alla posizione del ricorrente Credito svizzero, sulla

quale si è soffermato nella discussione orale il procuratore della

Canovai, può sicuramente destare sorpresa il fatto che esso non

abbia finora esercitato nella Portoro Residence quei poteri che il

pacchetto azionario in suo possesso legittimerebbero. Tuttavia siffat

ta circostanza appare del tutto irrilevante in un procedimento che

è stato originariamente promosso dal p.m. e che — come già s'è

detto — è caratterizzato anche da finalità che trascendono il

men) interesse dei soci.

Reputa in conclusione il tribunale che sia necessario procedere

alla nomina di un unico amministratore giudiziario per le tre

società in questione, attese le interconnessioni riscontrate tra le

contabilità delle stesse. Tale amministratore dovrà provvedere alla

ordinaria gestione delle menzionate società; verificare e ripristina

re la regolarità dei libri sociali e dei bilanci, sulla scorta dei

documenti contabili ritualmente acquisiti e conservati dalle socie

tà; esperire direttamente, se ne ravviserà gli estremi, azione di

responsabilità nei confronti degli amministratori (o liquidatori) e

dei sindaci delle società in carica fino alla data di inizio di

questo procedimento; esperire altresì', se del caso, ulteriori azioni

recuperatorie a beneficio dei patrimoni sociali, ricorrendo even

tualmente alla procedura di nomina di un curatore speciale, ex

art. 78 c.p.c., qualora alcuna di dette azioni dovesse essere

promossa nei confronti di un'altra tra le società sottoposte alla

sua amministrazione giudiziaria; convocare infine le assemblee

delle società per la nomina di nuovi amministratori (o liquidato

ri) e sindaci, che assumeranno la carica alla scadenza del suo

mandato.

PRETURA DI FIRENZE; sentenza 20 febbraio 1984; Giud. So

resina; Targetti (Avv. Bellotti) c. Soc. C.A.B. (Avv. Ciuti

Salvetti, Salvetti).

PRETURA DI FIRENZE;

Lavoro (rapporto) — Licenziamento illegittimo — Unica unità

produttiva con più di quindici dipendenti — Reintegrazione — Ammissibilità (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela

della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e

dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul colloca

mento, art. 18, 35). Lavoro (rapporto) — Licenziamenti individuali — Reintegrazione

— Limiti di applicazione — Dimensione dell'impresa datrice di

lavoro — Numero dei dipendenti occupati — Collaboratori ester

ni — Computabilità — Condizioni (L. 20 maggio 1970 n. 300,

art. 35).

Ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro il lavoratore

illegittimamente licenziato da impresa (industriale o commerciale)

che, nell'unica unità produttiva in cui essa è organizzata,

occupi più di quindici, ma meno di trentacinque dipendenti. (1)

(1-2) Con l'affermazione del principio formulato nella prima massima — di cui costituiscono precedenti in termini Cass. 9 marzo 1983, n.

1756, Foro it., Mass., 365 (per altra parte riprodotta id., 1983, I, 888) e

25 febbraio 1983, n. 1453, id., 1984, I, 143, cui adde, Cass. 13 gennaio

Il Foro Italiano — 1984 — Parte I

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