+ All Categories
Home > Documents > decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. Italconserve

decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. Italconserve

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: truongtu
View: 215 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
4

Click here to load reader

Transcript
Page 1: decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. Italconserve

decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. ItalconserveSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 2541/2542-2545/2546Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172951 .

Accessed: 28/06/2014 18:22

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 18:22:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. Italconserve

I

CORTE D'APPELLO DI BARI; decreto 7 febbraio 1981; Pres.

Mezzina, Rei. M. Cecere; Soc. Italconserve. CORTE D'APPELLO DI BARI;

Società — Società a responsabilità limitata — Aumento del ca

pitale — Versamento dei tre decimi presso le casse sociali —

Legittimità (Cod. civ., art. 2329, 2439, 2475, 2495).

È omologabile la deliberazione di aumento del capitale di società

a responsabilità limitata ove i tre decimi del capitale sotto

scritto siano stati versati presso le casse sociali. (1)

(1-2) 11 Tribunale di Foggia ribadisce il proprio orientamento

(precedentemente espresso con decreto 16 luglio 1980, Foro it., 1980, I, 2595, e in Giust. civ., 1980, I, 2806, con nota criti ca di A. Schermi, Deliberazione assembleare di aumento del ca

pitale sociale mediante emissione di nuove azioni: modalità del ver samento dei tre decimi del valore nominale e condizioni per l'ordine di iscrizione nel registro delle imprese) che incontra il dissenso della Corte d'appello di Bari, la quale si allinea con l'indirizzo prevalente (cfr. le sentenze citate in motivazione; in dottrina vedi A. Graziani,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nullità delle clausole di esonero da responsabilità per dolo o

colpa grave. L'adito tribunale con sentenza 24 febbraio 1969 accoglieva la

domanda dell'I.n.a.i.l. e la domanda di manleva dell'amministra

zione ferroviaria, ma in sede di gravame la Corte d'appello di

Torino con la sentenza 15 maggio 1970 respingeva quest'ul tima domanda.

Su ricorso dell'amministrazione ferroviaria tale sentenza veni

va annullata da questa corte che riaffermava il principio secondo

cui è valida la clausola di manleva inserita nel contratto di ap

palto di lavori e servizi per conto delle ferrovie dello Stato, allor

quando, lasciando ferma la responsabilità dell'amministrazione

verso i dipendenti dell'appaltatore o del concessionario danneg

giati dal fatto colposo dell'amministrazione stessa, consenta tut

tavia a questa di riversare su altri, e quindi anche sullo stesso

appaltatore o concessionario, gli oneri derivanti dalla propria re

sponsabilità, purché il terzo assuntore di tali oneri vi abbia inte

resse, in difetto del quale il patto sarebbe nullo per mancanza

o illiceità della causa (sent. 16 febbraio 1974, n. 434, Foro it.,

Rep. 1974, voce Ferrovie e tramvie, n. 104).

Sulla base di tale principio rinviava la causa ad altra sezione

della corte di Torino perché accertasse se l'impresa si fosse in

concreto assicurato un vantaggio patrimoniale che condizionasse

la legittimità in concreto della clausola in contestazione, nonché

per l'esame di tutte quelle questioni prospettate dall'impresa

Maspoli, tendenti ad inficiare la validità della ripetuta clausola,

e che non avevano formato oggetto di esame perché assorbite.

La Corte d'appello di Torino, in sede di rinvio, in conformità

del principio enunciato da questa corte con la sentenza 12 feb

braio 1976 ora impugnata ha respinto l'appello del Maspoli An

tonio avverso la sentenza del Tribunale di Torino.

Ha considerato la corte in motivazione che i contraenti ave

vano considerato che gli impegni assunti con la clausola di man

leva trovavano contropartita nell'economia del contratto, né oc

correva spingere l'indagine per acclarare se la clausola di man

leva trovasse un suo specifico e sostanziale compenso patrimo

niale, poiché, in tal modo, si sarebbe attribuita al giudice una

valutazione sulla convenienza economica del rapporto, che com

pete invece alle parti. Ha proposto ricorso il Maspoli deducendo due motivi di cas

sazione ai quali l'azienda ferroviaria ha replicato con contro

ricorso.

Motivi della decisione. — Col primo mezzo di ricorso, denun

ciandosi la violazione dell'art. 1418 cod. civ., si sostiene che la

corte di merito avrebbe eluso i principi posti dalla sentenza di

annullamento, la quale aveva demandato al giudice di rinvio di

accertare se l'onere assunto dall'appaltatore con la clausola di

manleva a favore dell'amministrazione trovasse una controparti ta in un concreto vantaggio patrimoniale che ne giustificasse la

legittimità. Al contrario, la corte d'appello si sarebbe limitata ad accer

tare se le parti, nella loro autonomia contrattuale, avessero o

meno ritenuto compensato l'onere a carico dell'appaltatore dal

complesso dei vantaggi economici pattuiti a suo favore: esau

rendo quindi l'indagine in una mera interpretazione della vo

lontà negoziale.

Le censure non possono essere accolte. 11 c. d. patto di man

leva ha per contenuto il dovere di sollevare altri dalle conse

guenze di un fatto dannoso, e quindi realizza un'assunzione di

garanzia da parte dell'obbligato che, pur presentando qualche affinità con la fideiussione, non può tuttavia identificarsi con

questa. Dal punto di vista oggettivo, infatti, l'obbligazione di manleva

è eventuale e condizionata, mentre il fideiussore si obbliga pari

gradu e negli stessi termini del debitore principale: tuttavia que sto connotato, anche se normale, non è decisivo, poiché in ipo tesi anche la fideiussione può essere assunta per una obbliga

zione futura o condizionale (art. 1938 cod. civile).

Più rilevante è la diversità strutturale consistente in ciò che

la fideiussione riguarda un obbligo assunto dal garante verso il

creditore, e non già verso l'obbligato principale (art. 1936 cod.

civ.), mentre l'obbligazione di manleva è assunta nei confronti e

a beneficio del garantito-debitore.

Trattandosi dunque di un contratto atipico, la validità di esso,

ai sensi degli art. 1322, 1343, 1418 cod. civ., è condizionata al

perseguimento di interessi meritevoli di tutela secondo l'ordi

namento. Nella specie, l'indagine demandata al giudice di rinvio con

cerneva appunto l'esistenza di tale condizione con riferimento al

contratto di appalto, nel quale l'obbligazione di manleva era

inserita.

A tale indagine la sentenza impugnata ha dato soluzione po

sitiva, e la valutazione delle condizioni di liceità della causa, in

volgendo una questione di merito, non è sindacabile in sede di

legittimità. Infatti, con riguardo alla congruità della motivazione, va

rilevato che, trattandosi di un obbligo collegato e accessorio ri

spetto al contratto di appalto, esso riceveva una giustificazione

oggettiva e funzionale dallo svolgimento di tale rapporto, di cui

tendeva a realizzare il fine, scindendo la responsabilità patrimo niale del committente da quella dell'appaltatore per i fatti e i

danni inerenti alla esecuzione dell'opera appaltata. Non può costituire poi vizio logico della sentenza l'aver posto

l'accento sulla valutazione che le stesse parti avevano dato del

bilanciamento delle rispettive prestazioni, anche con riguardo al

l'obbligo di manleva: infatti, anche dalla considerazione fatta dai

contraenti si possono trarre elementi di giudizio sulla finalità e

sulla causa del negozio, specialmente se manchino concreti ele

menti addotti dalla parte che pretende di farne dichiarare la

invalidità.

Col secondo motivo si deduce la violazione degli art. 1229

e 2043 cod. civ.: erroneamente e senza valida motivazione il

giudice di merito avrebbe disatteso l'eccezione di nullità dell'art.

9 del capitolato di appalto. La nullità era, al contrario, sussistente per il contrasto con il

principio secondo il quale sono nulli i patti -di preventivo eso

nero da responsabilità per dolo o colpa grave, o per fatti che vio

lino norme di ordine pubblico: e sotto questo profilo non si po

trebbe fondatamente escludere, secondo il ricorrente, che l'art.

2043 cod. civ. appartenga a tale categoria. Il motivo è infondato. Il divieto, sancito dall'art. 1229 cod.

civ., di stipulare patti preventivi di irresponsabilità trae ragione

dall'esigenza di non consentire l'indiretta acquiescenza alla vio

lazione di norme fondamentali per la convivenza sociale o di

eliminare una remora alla colpa grave e al dolo.

Esso però, in quanto limitativo del generale principio di au

tonomia negoziale, non si estende ai patti coi quali si conviene

il trasferimento ad altri dell'incidenza economica del danno, poi ché un tal genere di patto non produce alcuna irresponsabilità, ma solo ne riversa .le conseguenze patrimoniali su di un altro

soggetto, senza violare il diritto del danneggiato. Il divieto, quindi, nella specie, non aveva alcuna incidenza sul

contratto in questione, poiché l'obbligazione di manleva si rife

riva all'assunzione delle conseguenze patrimoniali dei danni su

biti da terzi.

È ben vero che era prevista anche una regolamentazione per i danni che, eventualmente, avesse di persona subito l'appalta tore: ma tale ipotesi, che non viene in considerazione nel caso

in esame, non potrebbe di per sé sola invalidare 'l'intera clausola,

se non in concorso di specifiche condizioni che non vengono

neppure dedotte.

Al di fuori di tale ipotesi, il disposto dell'art. 1229 cod. civ.

non incide dunque sull'efficacia del capitolato, e ciò indipenden temente dal rilievo secondo cui la norma di ordine pubblico, cui

fa richiamo la citata disposizione, non può coincidere con il ge nerale precetto del neminem laedere, ma si riferisce alla specifica

prescrizione dalla cui violazione sia sorta la violazione dell'altrui

diritto.

Il ricorso va pertanto respinto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 18:22:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. Italconserve

2543 PARTE PRIMA 2544

II

TRIBUNALE DI FOGGIA; decreto 29 ottobre 1980; Pres. V.

Magrone, Rei. Rizzi; Soc. Italconserve.

Società — Società a responsabilità limitata — Aumento del ca

pitale — Versamento dei tre decimi presso l'istituto di emis sione — Necessità (Cod. civ., art. 2329, 2439, 2475, 2495).

Non può essere omologata la deliberazione di aumento del ca

pitale di società a responsabilità limitata ove i tre decimi del

capitale sottoscritto non siano stati versati presso l'istituto di

emissione. (2)

I

La Corte, ecc. — In data 13 ottobre 1980 l'assemblea della

Italconserve, società a responsabilità limitata con sede in Ca

rapelle a via Daunia 29, dopo aver preso atto che nel corso della

gestione i soci avevano versato direttamente nelle casse sociali la somma di lire 729.000.000, regolarmente iscritta in bilancio come « anticipazioni soci in conto aumento capitale sociale », deliberava di porre a capitale dette anticipazioni, senza procedere al rim borso. Nella stessa occasione, l'assemblea predetta deliberava di

modificare l'atto costitutivo oltre che nella indicazione del capitale sociale, anche per quanto si riferiva alla sede sociale, che ve niva trasferita presso lo stabilimento industriale in Ordona, km.

1,500, e per quanto si riferiva alla composizione del collegio sindacale.

Il Tribunale di Foggia, cui la delibera veniva presentata per

l'omologazione, ne rifiutava però l'iscrizione nel registro delle im

prese, osservando che il deliberato aumento non era stato pre ceduto dal versamento dei tre decimi presso l'istituto di emis sione, mentre questa formalità, in applicazione analogica del l'art. 2329, n. 2, cod. civ., doveva ritenersi necessaria anche per la validità della deliberazione di aumento del capitale sociale.

Contro il suddetto decreto proponeva reclamo la società Ital conserve e ne deduceva la palese illegittimità, stante l'assoluta mancanza dei presupposti per l'applicazione analogica della nor ma richiamata dai primi giudici.

Il reclamo è fondato e merita accoglimento. L'art. 2439 cod. civ. non prescrive affatto che il versamento

dei decimi del valore sottoscritto, da eseguirsi anche in sede di aumento di capitale, debba effettuarsi presso l'istituto di

emissione, come è invece per i conferimenti iniziali (art. 2329, n. 2, cod. civ.), e perciò nulla vieta che tale versamento sia ese

guito presso le casse della società. Peraltro, il suddetto versa mento deve avvenire al momento della sottoscrizione ed attiene

perciò alla fase esecutiva della deliberazione, sicché nemmeno deve darsene la prova ai fini della omologazione della delibera zione di aumento. Non è possibile, infine, stabilire alcun paral lelismo tra la fattispecie relativa alla costituzione della società e quella relativa all'aumento del capitale sociale, che presuppo ne già esistente la società, per ritenere, cosi come ha argomen tato il tribunale, che debbano estendersi alla seconda in via

analogica le stesse garanzie e cautele richieste per la prima, poi ché si verte in situazioni giuridiche del tutto diverse e poiché altre norme assicurano l'adempimento della delibera di aumen to e garantiscono i terzi contro abusi nella formazione del ca

pitale sociale.

Risultando, nella specie, che l'intero valore risulta versato sotto forma di anticipazioni, in riforma del provvedimento im

pugnato deve disporsi l'iscrizione della relativa deliberazione assembleare nel registro delle imprese.

Trattandosi di provvedimento emesso in sede di reclamo, esso

è fornito ex se di efficacia immediata.

Per questi motivi, ecc.

II

Il Tribunale, ecc. — Letta l'istanza con cui il notaio Marino

Stelio Romagnoli, in data 20 ottobre 1980, ha chiesto la omologa zione e la iscrizione nel registro della società del verbale di as

semblea straordinaria della s.r.l. Italconserve di Foggia con cui, oltre al trasferimento della sede sociale ed alla nomina del colle

gio sindacale, è stato deliberato l'aumento del capitale sociale

da lire 21.000.000 a lire 750.000.000, nelle casse sociali a se

guito di delibere assembleari; visto il parere favorevole del pub blico ministero ed udita la relazione del giudice delegato dott.

Diritto delle società, 5" ed., 1961, 302; G. Santini, Società a respon sabilità limitata, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, 2*

ed., 1971, 277-278; A. Schermi, cit., 2808).

Rizzi, osserva: la richiesta non può accogliersi in difetto del Ver

samento dei 3/10 del capitale aumentato, nei limiti in cui è stato

sottoscritto, presso l'istituto di emissione, ex art. 2439, 1° comma, cod. civ., in relazione all'art. 2329, 2° comma, cod. civile.

Sul punto va ribadita l'opinione già espressa da questo tribu

nale con decreto 16 luglio 1980 (Foro it., 1980, I, 2595) in sede

di reclamo riformato dalla Corte d'appello di Bari con decreto

dell'8 ottobre 1980, n. 66/80. Non ignora il tribunale il diverso orientamento prevalente al

riguardo, ribadito da ultimo nella menzionata decisione della

Corte d'appello di Bari (vedi Trib. Bari 16 marzo 1961, id.,

1961, I, 1266; App. Bologna 23 giugno 1960, id., Rep. 1960, voce

Società, n. 357; App. Roma 20 aprile 1949, id., 1949, I, 1016;

App. Firenze 24 settembre 1951, id., 1952, I, 540; App. Roma 10

luglio 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 166; Trib. Torino 14 gen naio 1947 e App. Torino 11 marzo 1947, id., Rep. 1948, voce

cit., nn. 117, 118; App. Bologna 7 luglio 1960, id., Rep. 1961, voce cit., n. 275).

Isolate per contro, sono le decisioni (Trib. Perugia 20 marzo

1948 e 24 aprile 1948, id., 1948, I, 94; App. Roma 20 aprile 1949,

id., 1949, I, 1016) conformi all'orientamento di questo tribunale

e con cui si è ritenuta condizione per la omologazione della

delibera di aumento di capitale sociale il versamento dei 3/10 del capitale sottoscritto presso l'istituto di emissione, non rite

nendosi equipollente il versamento a mani degli stessi ammini

stratori.

Si sostiene dalla prevalente opinione che l'obbligo del versa

mento dei decimi — per i conferimenti in denaro — è voluto dalla legge (art. 2329, 2° comma, cod. civ.) quale condizione pei la costituzione della società di capitali.

Tale condizione invece la legge non richiede in occasione

dell'aumento di capitale, la relativa norma (art. 2439 cod. civ.) non imponendolo espressamente né richiamando al riguardo la

disposizione contenuta nell'art. 2329, 2° comma, cod. civile.

Conseguentemente si ritiene che il capitale sottoscritto in au

mento possa essere versato direttamente presso le casse sociali

agli amministratori, per l'intero o nei limiti dei 3/10.

Si è anche sostenuto dalla Corte d'appello di Bari, nel men

zionato recentissimo provvedimento, che il versamento deve

avvenire al momento della sottoscrizione ed attiene alla fase

esecutiva della delibera, per cui da un lato non deve darsene

la prova ai fini della omologazione e dall'altro vi sono altre

norme che assicurano l'adempimento della delibera e garan tiscono i terzi contro abusi nella formazione del capitale so

ciale. Conseguentemente non è ipotizzabile alcun parallelismo tra l'ipotesi della costituzione della società e quella dell'au

mento del capitale sociale, che presuppone già esistente la so

cietà.

Rilevato che la questione appare limitata al capitale che sia

contestualmente sottoscritto, atteso che diverso è il caso di de

lega agli amministratori, regolato dagli art. 2443 e 2444 cod.

civ., ritiene il tribunale di non poter condividere l'orientamento

suddetto.

Sembra, infatti, che nella specie debba farsi ricorso alla ana

logia per individuare la modalità del versamento dei decimi in

sede di aumento di capitale. Pare abbastanza evidente la ratio

della norma che impone all'atto della costituzione della società

di capitali il versamento di almeno i 3/10 del capitale stesso pres so l'istituto di emissione. La esigenza, cioè, che la società di

sponga realmente di almeno una parte del capitale sottoscritto

e non di meri crediti verso i soci sottoscrittori, crediti che in pro

sieguo della vita della società potrebbero in concreto risultare

irrecuperabili, con le ovvie conseguenze negative sul piano fi

nanziario e dell'affidamento dei terzi.

E v'è l'altra esigenza di evitare che la stessa società possa go dere di un credito verso i terzi, sulla base della mera apparenza dell'esistenza di un patrimonio sociale, sicché l'imposto versa

mento di una parte del capitale sottoscritto costituisce per i terzi

e per gli stessi soci un affidamento certo dell'esistenza concreta

di almeno una parte del capitale nella disponibilità degli ammi

nistratori. Né tali esigenze vengono meno in occasione della deli

bera di aumento del capitale sociale, per il fatto che la società

giuridicamente esista già. Pare al tribunale, anzi, che la prospettata esigenza si mani

festi ancor maggiormente in occasione degli aumenti di capita

le, dal momento che è proprio in tale occasione, come ap

pare sicuramente verificabile in concreto da qualsiasi operato re del settore, che l'iniziale capitale sociale, di solito nel mini

mo imposto dalla legge all'atto della costituzione, viene aumen

tato ad importi assai rilevanti. Ed appare agevolmente verifica

bile dagli operatori che proprio per evitare il versamento dei

decimi imposti per la costituzione della società, ma dalla giù

This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 18:22:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. Italconserve

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

risprudenza non ritenuto necessario per l'aumento del capitale,

quest'ultimo viene determinato in dimensioni cospicue e di

fatto più adeguato agli scopi sociali, solo in sede di aumento.

Con la conseguenza che l'esigenza innanzi prospettata a garan zia dei terzi soprattutto, viene frustrata da un comodo espe diente che ad avviso di questo tribunale non appare accetta

bile. E che trattasi di un espediente, utilizzato talora per occultare

la concreta inesistenza del versamento del capitale sottoscritto, al di là delle attestazioni formali contenute nel verbale di as

semblea, sembra potersi desumere dalla considerazione che se

il capitale sottoscritto è stato realmente versato nelle mani de

gli amministratori, non si vede quale sia l'ostacolo acché i 3/10 del capitale versato siano depositati presso l'istituto di emis

sione per il periodo, neppure eccessivamente lungo, per chie

dere ed ottenere le formalità prevedute dalla legge, e quindi riot

tenere la disponibilità della parte di capitale depositato, attra

verso gli amministratori, solitamente delegati alla riscossione.

Laddove la resistenza di talune società ad ottemperare alla

richiesta di deposito dei decimi del capitale sottoscritto in sede

di aumento di capitale fa ragionevolmente intuire che non trat

tasi di mera questione di principio, bensì della impossibilità o

difficoltà di effettuare il versamento richiesto proprio perché, ad onta delle contrarie affermazioni contenute nel verbale di

assemblea, assai spesso il capitale sottoscritto non è stato ver

sato o non lo è stato che in parte.

E non trattasi di una mera ipotesi poiché una tale situazione

di fatto risulta spesso sussistente in seguito al fallimento della

società di capitali. Né la possibilità successiva del recupero del

le quote del capitale sottoscritto e non versato con il decreto

ingiuntivo emesso dal giudice delegato al fallimento o con la

sussistenza di eventuali responsabilità penali per gli ammini

stratori e per i sindaci soddisfa le esigenze di cui si è innanzi

fatto cenno per la concreta impossibilità, pure troppo spesso

verificatasi, di recuperare dai sottoscrittori le quote non versate,

o per ottenere il ristoro dei danni con la costituzione di parte

civile in sede penale o con l'esperimento delle notoriamente

diffìcili azioni di responsabilità verso gli amministratori.

Deve inoltre il tribunale insistere nel non ritenere risolutivo

l'argomento « letterale », cui la dottrina e la giurisprudenza fan

no costante riferimento, compresa la Corte d'appello di Bari

nel provvedimento innanzi menzionato, per sostenere la non

necessità del versamento presso l'istituto di emissione e rite

nere invece sufficiente quello nelle casse sociali. La tesi in que

stione si basa in sostanza sulla circostanza che l'art. 2039 cod.

civ., prescrivendo l'obbligo del versamento dei 3/10 del capi

tale sottoscritto in sede di aumento, a differenza di quanto di

spone l'art. 2329 cod. civ. per la costituzione della società, non

impone che detti decimi siano versati presso un istituto di

credito.

Tale argomentazione ad avviso del tribunale non convince

affatto. In tema di società di capitali, infatti, l'unica norma che

preveda le «modalità» del versamento dei decimi del capi

tale è proprio l'art. 2329 cod. civile.

Sembra al collegio che, in via di normale interpretazione del

l'intento del legislatore, in riferimento alla ratio che impose la

esigenza di versare almeno i 3/10 del capitale, debba necessa

riamente farsi riferimento all'art. 2329, n. 2, cod. civ. quando

si debbano individuare in concreto le modalità del versamento

dei decimi, pure imposto per l'ipotesi dell'aumento di capitale.

Sicché, allorché l'art. 2439 cod. civ. impone il versamento dei

decimi per l'aumento del capitale sottoscritto, sembra del tutto

logico ritenere che i decimi debbano versarsi seguendo le « uni

che modalità » in concreto dettate dal legislatore, in difetto di

qualsiasi diversa disposizione che consenta il versamento diret

tamente nelle casse sociali.

In ordine agli altri due rilievi prospettati dalla Corte d'ap

pello di Bari si osserva che certo il versamento deve avvenire

al momento della sottoscrizione, ma tale circostanza non è in

contrasto con la convinzione di questo tribunale, atteso che,

come si è già precisato innanzi, il versamento dei 3/10 riguarda

appunto il capitale « sottoscritto » e non quello di cui si è de

liberato l'aumento senza che sia ancora sottoscritto.

Quanto al secondo rilievo, circa la esistenza di altre norme

che assicurano l'adempimento della delibera e garantiscono i

terzi contro abusi nella formazione del capitale, va osservato

che non sembra che la esistenza di tali norme sia o debba rite

nersi incompatibile con la esigenza qui ritenuta e che del capi

tale sottoscritto vi sia certezza del versamento di almeno i 3/10,

il che sembra al tribunale una apprezzabile garanzia per gli

stessi soci e per i terzi.

Per questi motivi, ecc.

I

CORTE D'APPELLO DI GENOVA; ordinanza 11 novembre

1980; Pres. Moreno, Rei. Maganza; Gentili c. Istituto auto

nomo per le case popolari di Massa e Carrara.

CORTE D'APPELLO DI GENOVA;

Espropriazione per pubblico interesse — Indennità — Determina

zione — Norme provvisorie — Questione non manifestamente

infondata di costituzionalità (Cost., art. 24, 42; legge 29

luglio 1980 n. 385, norme provvisorie sulla indennità di espro

priazione di aree edifìcabili nonché modificazioni di termini

previsti dalle leggi 28 gennaio 1977 n. 10, 5 agosto 1978 n. 457

e 15 febbraio 1980 n. 25, art. 1).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame

alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del

l'art. 1 legge 29 luglio 1980 n. 385 nella parte in cui determina

l'indennità provvisoria di esproprio secondo criteri corrispon

denti a quelli posti dalle norme dichiarate illegittime da Cor

te cost. n. 5 del 1980, prevede l'assoggettabilità dell'importo cosi calcolato a conguaglio secondo quanto stabilito dalla ema

nando legge sostitutiva e limita la libera e incondizionata azio

nabilità in giudizio dei diritti dell'espropriato, in riferimento

agli art. 24, 1" comma, e 42, 3" comma, Cost. (1)

II

CORTE D'APPELLO DI TRENTO; ordinanza 14 ottobre 1980;

Pres. Ciacci; De Cles c. Comune di Mezzolombardo.

Espropriazione per pubblico interesse — Provincia di Trento —

Indennità — Determinazione — Questione non manifestamen

te infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 42; legge prov. Trento 30 dicembre 1972 n. 31, riordinamento della disciplina in materia di edilizia abitativa e norme sull'espropriazione

per pubblica utilità, art. 28).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame

alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del

l'art. 28 legge prov. Trento 30 dicembre 1972 n. 31 e successi

ve modifiche, nella parte in cui commisura l'indennità di espro

prio al valore agricolo dell'area, sia pure prevedendo specifi che maggiorazioni in funzione dell'ubicazione di essa nel cen

tro edificato, senza tener conto della effettiva destinazione del

l'area medesima, in riferimento agli art. 3, 1° comma, e 42, 3° comma, Cost. (2)

(1-2) La Corte d'appello di Roma con ordinanza del 1° dicembre 1980, Foro it., 1981, I, 258, con nota di richiami (e con altra, iden

tica, del 9 dicembre 1980, in Giust. civ., 1981, I, 1768), ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli art. 1, 2 e 3 legge 29 luglio 1980 n. 385, nella parte in cui non garantiscono uguale trattamento ai soggetti colpiti da identici provvedimenti ablatori adottati in epoche diverse e prevedono per gli espropriati la liquida zione futura ed incerta, perché condizionata all'emanazione di una successiva legge, delle indennità in riferimento agli art. 3 e 42 Cost.

Ai richiami, tra i quali Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5 conte nuti in tale nota, adde in dottrinakA. M. Sandulli, Il regime dei suoli

dopo il nuovo intervento della corte, in Riv. giur. edilizia, 1980, II, 89; F. Lucarelli, Principio di eguaglianza e indennità di esproprio, in Rass. dir. civ., 1980, 515; M. Luciani, Vecchi e nuovi principi in materia di espropriazione e indennizzo, in Giur. costit., 1980, I, 40; Alpa, Proprietà edilizia e misura della indennità di esproprio, in

Impresa, ambiente e pubbl. amm., 1980, fase. 4/5, 287 ss. L'ordinanza della Corte d'appello di Genova, riportata pure in

Giust. civ., 1981, I, 377, con nota di Alpa, Una questione di legit timità costituzionale della legge n. 385 del 1980 sui criteri di valuta zione della indennità per l'esproprio di aree edificabili, per la parte relativa all'art. 1, 2° comma, legge n. 385 del 1980 (esaminata da

Paternò, in Rass. giur. Enel, 1980, 437) si ricollega ai ricordati provve dimenti dei giudici romani ma per il resto se ne discosta. La corte

genovese ravvisa, infatti, nelle norme di quest'ultima legge la « pra tica riproduzione » delle disposizioni dichiarate incostituzionali con l'anzidetta sent. n. 5 del 1980, laddove i giudici romani ritengono che « non vi è alcuna identità sostanziale tra le norme promulgate con tale legge e quelle contenute nelle precedenti leggi n. 865 del 1971 e n. 10 del 1977 (ormai caducate) in quanto il testo vigente disciplina soltanto la liquidazione di un acconto, mentre le norme

precedenti regolavano il computo della indennità definitiva di espro prio »; la stessa corte genovese reputa, poi, non manifestamente in

fondato un profilo di incostituzionalità del ripetuto art. 1 correlato all'art. 24, 1° comma, Cost., mentre i giudici romani non fanno

neppure cenno di tale profilo. L'ordinanza della Corte d'appello di Trento ritiene, infine, non

manifestamente infondata la questione riassunta nella massima in

considerazione dei principi enunciati dalla ripetuta sent. n. 5 del

1980, (principi) che, secondo la corte trentina, fanno dubitare della

legittimità del metodo adottato dal legislatore provinciale, sebbene « la questione di rilevanza qui in esame presenti un qualche margine di opinabilità».

È il caso di notare a questo punto, per i possibili collegamenti

This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 18:22:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended