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decreto 7 febbraio 1981; Pres. Mezzina, Rel. M. Cecere; Soc. ItalconserveSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 2541/2542-2545/2546Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172951 .
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I
CORTE D'APPELLO DI BARI; decreto 7 febbraio 1981; Pres.
Mezzina, Rei. M. Cecere; Soc. Italconserve. CORTE D'APPELLO DI BARI;
Società — Società a responsabilità limitata — Aumento del ca
pitale — Versamento dei tre decimi presso le casse sociali —
Legittimità (Cod. civ., art. 2329, 2439, 2475, 2495).
È omologabile la deliberazione di aumento del capitale di società
a responsabilità limitata ove i tre decimi del capitale sotto
scritto siano stati versati presso le casse sociali. (1)
(1-2) 11 Tribunale di Foggia ribadisce il proprio orientamento
(precedentemente espresso con decreto 16 luglio 1980, Foro it., 1980, I, 2595, e in Giust. civ., 1980, I, 2806, con nota criti ca di A. Schermi, Deliberazione assembleare di aumento del ca
pitale sociale mediante emissione di nuove azioni: modalità del ver samento dei tre decimi del valore nominale e condizioni per l'ordine di iscrizione nel registro delle imprese) che incontra il dissenso della Corte d'appello di Bari, la quale si allinea con l'indirizzo prevalente (cfr. le sentenze citate in motivazione; in dottrina vedi A. Graziani,
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nullità delle clausole di esonero da responsabilità per dolo o
colpa grave. L'adito tribunale con sentenza 24 febbraio 1969 accoglieva la
domanda dell'I.n.a.i.l. e la domanda di manleva dell'amministra
zione ferroviaria, ma in sede di gravame la Corte d'appello di
Torino con la sentenza 15 maggio 1970 respingeva quest'ul tima domanda.
Su ricorso dell'amministrazione ferroviaria tale sentenza veni
va annullata da questa corte che riaffermava il principio secondo
cui è valida la clausola di manleva inserita nel contratto di ap
palto di lavori e servizi per conto delle ferrovie dello Stato, allor
quando, lasciando ferma la responsabilità dell'amministrazione
verso i dipendenti dell'appaltatore o del concessionario danneg
giati dal fatto colposo dell'amministrazione stessa, consenta tut
tavia a questa di riversare su altri, e quindi anche sullo stesso
appaltatore o concessionario, gli oneri derivanti dalla propria re
sponsabilità, purché il terzo assuntore di tali oneri vi abbia inte
resse, in difetto del quale il patto sarebbe nullo per mancanza
o illiceità della causa (sent. 16 febbraio 1974, n. 434, Foro it.,
Rep. 1974, voce Ferrovie e tramvie, n. 104).
Sulla base di tale principio rinviava la causa ad altra sezione
della corte di Torino perché accertasse se l'impresa si fosse in
concreto assicurato un vantaggio patrimoniale che condizionasse
la legittimità in concreto della clausola in contestazione, nonché
per l'esame di tutte quelle questioni prospettate dall'impresa
Maspoli, tendenti ad inficiare la validità della ripetuta clausola,
e che non avevano formato oggetto di esame perché assorbite.
La Corte d'appello di Torino, in sede di rinvio, in conformità
del principio enunciato da questa corte con la sentenza 12 feb
braio 1976 ora impugnata ha respinto l'appello del Maspoli An
tonio avverso la sentenza del Tribunale di Torino.
Ha considerato la corte in motivazione che i contraenti ave
vano considerato che gli impegni assunti con la clausola di man
leva trovavano contropartita nell'economia del contratto, né oc
correva spingere l'indagine per acclarare se la clausola di man
leva trovasse un suo specifico e sostanziale compenso patrimo
niale, poiché, in tal modo, si sarebbe attribuita al giudice una
valutazione sulla convenienza economica del rapporto, che com
pete invece alle parti. Ha proposto ricorso il Maspoli deducendo due motivi di cas
sazione ai quali l'azienda ferroviaria ha replicato con contro
ricorso.
Motivi della decisione. — Col primo mezzo di ricorso, denun
ciandosi la violazione dell'art. 1418 cod. civ., si sostiene che la
corte di merito avrebbe eluso i principi posti dalla sentenza di
annullamento, la quale aveva demandato al giudice di rinvio di
accertare se l'onere assunto dall'appaltatore con la clausola di
manleva a favore dell'amministrazione trovasse una controparti ta in un concreto vantaggio patrimoniale che ne giustificasse la
legittimità. Al contrario, la corte d'appello si sarebbe limitata ad accer
tare se le parti, nella loro autonomia contrattuale, avessero o
meno ritenuto compensato l'onere a carico dell'appaltatore dal
complesso dei vantaggi economici pattuiti a suo favore: esau
rendo quindi l'indagine in una mera interpretazione della vo
lontà negoziale.
Le censure non possono essere accolte. 11 c. d. patto di man
leva ha per contenuto il dovere di sollevare altri dalle conse
guenze di un fatto dannoso, e quindi realizza un'assunzione di
garanzia da parte dell'obbligato che, pur presentando qualche affinità con la fideiussione, non può tuttavia identificarsi con
questa. Dal punto di vista oggettivo, infatti, l'obbligazione di manleva
è eventuale e condizionata, mentre il fideiussore si obbliga pari
gradu e negli stessi termini del debitore principale: tuttavia que sto connotato, anche se normale, non è decisivo, poiché in ipo tesi anche la fideiussione può essere assunta per una obbliga
zione futura o condizionale (art. 1938 cod. civile).
Più rilevante è la diversità strutturale consistente in ciò che
la fideiussione riguarda un obbligo assunto dal garante verso il
creditore, e non già verso l'obbligato principale (art. 1936 cod.
civ.), mentre l'obbligazione di manleva è assunta nei confronti e
a beneficio del garantito-debitore.
Trattandosi dunque di un contratto atipico, la validità di esso,
ai sensi degli art. 1322, 1343, 1418 cod. civ., è condizionata al
perseguimento di interessi meritevoli di tutela secondo l'ordi
namento. Nella specie, l'indagine demandata al giudice di rinvio con
cerneva appunto l'esistenza di tale condizione con riferimento al
contratto di appalto, nel quale l'obbligazione di manleva era
inserita.
A tale indagine la sentenza impugnata ha dato soluzione po
sitiva, e la valutazione delle condizioni di liceità della causa, in
volgendo una questione di merito, non è sindacabile in sede di
legittimità. Infatti, con riguardo alla congruità della motivazione, va
rilevato che, trattandosi di un obbligo collegato e accessorio ri
spetto al contratto di appalto, esso riceveva una giustificazione
oggettiva e funzionale dallo svolgimento di tale rapporto, di cui
tendeva a realizzare il fine, scindendo la responsabilità patrimo niale del committente da quella dell'appaltatore per i fatti e i
danni inerenti alla esecuzione dell'opera appaltata. Non può costituire poi vizio logico della sentenza l'aver posto
l'accento sulla valutazione che le stesse parti avevano dato del
bilanciamento delle rispettive prestazioni, anche con riguardo al
l'obbligo di manleva: infatti, anche dalla considerazione fatta dai
contraenti si possono trarre elementi di giudizio sulla finalità e
sulla causa del negozio, specialmente se manchino concreti ele
menti addotti dalla parte che pretende di farne dichiarare la
invalidità.
Col secondo motivo si deduce la violazione degli art. 1229
e 2043 cod. civ.: erroneamente e senza valida motivazione il
giudice di merito avrebbe disatteso l'eccezione di nullità dell'art.
9 del capitolato di appalto. La nullità era, al contrario, sussistente per il contrasto con il
principio secondo il quale sono nulli i patti -di preventivo eso
nero da responsabilità per dolo o colpa grave, o per fatti che vio
lino norme di ordine pubblico: e sotto questo profilo non si po
trebbe fondatamente escludere, secondo il ricorrente, che l'art.
2043 cod. civ. appartenga a tale categoria. Il motivo è infondato. Il divieto, sancito dall'art. 1229 cod.
civ., di stipulare patti preventivi di irresponsabilità trae ragione
dall'esigenza di non consentire l'indiretta acquiescenza alla vio
lazione di norme fondamentali per la convivenza sociale o di
eliminare una remora alla colpa grave e al dolo.
Esso però, in quanto limitativo del generale principio di au
tonomia negoziale, non si estende ai patti coi quali si conviene
il trasferimento ad altri dell'incidenza economica del danno, poi ché un tal genere di patto non produce alcuna irresponsabilità, ma solo ne riversa .le conseguenze patrimoniali su di un altro
soggetto, senza violare il diritto del danneggiato. Il divieto, quindi, nella specie, non aveva alcuna incidenza sul
contratto in questione, poiché l'obbligazione di manleva si rife
riva all'assunzione delle conseguenze patrimoniali dei danni su
biti da terzi.
È ben vero che era prevista anche una regolamentazione per i danni che, eventualmente, avesse di persona subito l'appalta tore: ma tale ipotesi, che non viene in considerazione nel caso
in esame, non potrebbe di per sé sola invalidare 'l'intera clausola,
se non in concorso di specifiche condizioni che non vengono
neppure dedotte.
Al di fuori di tale ipotesi, il disposto dell'art. 1229 cod. civ.
non incide dunque sull'efficacia del capitolato, e ciò indipenden temente dal rilievo secondo cui la norma di ordine pubblico, cui
fa richiamo la citata disposizione, non può coincidere con il ge nerale precetto del neminem laedere, ma si riferisce alla specifica
prescrizione dalla cui violazione sia sorta la violazione dell'altrui
diritto.
Il ricorso va pertanto respinto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
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2543 PARTE PRIMA 2544
II
TRIBUNALE DI FOGGIA; decreto 29 ottobre 1980; Pres. V.
Magrone, Rei. Rizzi; Soc. Italconserve.
Società — Società a responsabilità limitata — Aumento del ca
pitale — Versamento dei tre decimi presso l'istituto di emis sione — Necessità (Cod. civ., art. 2329, 2439, 2475, 2495).
Non può essere omologata la deliberazione di aumento del ca
pitale di società a responsabilità limitata ove i tre decimi del
capitale sottoscritto non siano stati versati presso l'istituto di
emissione. (2)
I
La Corte, ecc. — In data 13 ottobre 1980 l'assemblea della
Italconserve, società a responsabilità limitata con sede in Ca
rapelle a via Daunia 29, dopo aver preso atto che nel corso della
gestione i soci avevano versato direttamente nelle casse sociali la somma di lire 729.000.000, regolarmente iscritta in bilancio come « anticipazioni soci in conto aumento capitale sociale », deliberava di porre a capitale dette anticipazioni, senza procedere al rim borso. Nella stessa occasione, l'assemblea predetta deliberava di
modificare l'atto costitutivo oltre che nella indicazione del capitale sociale, anche per quanto si riferiva alla sede sociale, che ve niva trasferita presso lo stabilimento industriale in Ordona, km.
1,500, e per quanto si riferiva alla composizione del collegio sindacale.
Il Tribunale di Foggia, cui la delibera veniva presentata per
l'omologazione, ne rifiutava però l'iscrizione nel registro delle im
prese, osservando che il deliberato aumento non era stato pre ceduto dal versamento dei tre decimi presso l'istituto di emis sione, mentre questa formalità, in applicazione analogica del l'art. 2329, n. 2, cod. civ., doveva ritenersi necessaria anche per la validità della deliberazione di aumento del capitale sociale.
Contro il suddetto decreto proponeva reclamo la società Ital conserve e ne deduceva la palese illegittimità, stante l'assoluta mancanza dei presupposti per l'applicazione analogica della nor ma richiamata dai primi giudici.
Il reclamo è fondato e merita accoglimento. L'art. 2439 cod. civ. non prescrive affatto che il versamento
dei decimi del valore sottoscritto, da eseguirsi anche in sede di aumento di capitale, debba effettuarsi presso l'istituto di
emissione, come è invece per i conferimenti iniziali (art. 2329, n. 2, cod. civ.), e perciò nulla vieta che tale versamento sia ese
guito presso le casse della società. Peraltro, il suddetto versa mento deve avvenire al momento della sottoscrizione ed attiene
perciò alla fase esecutiva della deliberazione, sicché nemmeno deve darsene la prova ai fini della omologazione della delibera zione di aumento. Non è possibile, infine, stabilire alcun paral lelismo tra la fattispecie relativa alla costituzione della società e quella relativa all'aumento del capitale sociale, che presuppo ne già esistente la società, per ritenere, cosi come ha argomen tato il tribunale, che debbano estendersi alla seconda in via
analogica le stesse garanzie e cautele richieste per la prima, poi ché si verte in situazioni giuridiche del tutto diverse e poiché altre norme assicurano l'adempimento della delibera di aumen to e garantiscono i terzi contro abusi nella formazione del ca
pitale sociale.
Risultando, nella specie, che l'intero valore risulta versato sotto forma di anticipazioni, in riforma del provvedimento im
pugnato deve disporsi l'iscrizione della relativa deliberazione assembleare nel registro delle imprese.
Trattandosi di provvedimento emesso in sede di reclamo, esso
è fornito ex se di efficacia immediata.
Per questi motivi, ecc.
II
Il Tribunale, ecc. — Letta l'istanza con cui il notaio Marino
Stelio Romagnoli, in data 20 ottobre 1980, ha chiesto la omologa zione e la iscrizione nel registro della società del verbale di as
semblea straordinaria della s.r.l. Italconserve di Foggia con cui, oltre al trasferimento della sede sociale ed alla nomina del colle
gio sindacale, è stato deliberato l'aumento del capitale sociale
da lire 21.000.000 a lire 750.000.000, nelle casse sociali a se
guito di delibere assembleari; visto il parere favorevole del pub blico ministero ed udita la relazione del giudice delegato dott.
Diritto delle società, 5" ed., 1961, 302; G. Santini, Società a respon sabilità limitata, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, 2*
ed., 1971, 277-278; A. Schermi, cit., 2808).
Rizzi, osserva: la richiesta non può accogliersi in difetto del Ver
samento dei 3/10 del capitale aumentato, nei limiti in cui è stato
sottoscritto, presso l'istituto di emissione, ex art. 2439, 1° comma, cod. civ., in relazione all'art. 2329, 2° comma, cod. civile.
Sul punto va ribadita l'opinione già espressa da questo tribu
nale con decreto 16 luglio 1980 (Foro it., 1980, I, 2595) in sede
di reclamo riformato dalla Corte d'appello di Bari con decreto
dell'8 ottobre 1980, n. 66/80. Non ignora il tribunale il diverso orientamento prevalente al
riguardo, ribadito da ultimo nella menzionata decisione della
Corte d'appello di Bari (vedi Trib. Bari 16 marzo 1961, id.,
1961, I, 1266; App. Bologna 23 giugno 1960, id., Rep. 1960, voce
Società, n. 357; App. Roma 20 aprile 1949, id., 1949, I, 1016;
App. Firenze 24 settembre 1951, id., 1952, I, 540; App. Roma 10
luglio 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 166; Trib. Torino 14 gen naio 1947 e App. Torino 11 marzo 1947, id., Rep. 1948, voce
cit., nn. 117, 118; App. Bologna 7 luglio 1960, id., Rep. 1961, voce cit., n. 275).
Isolate per contro, sono le decisioni (Trib. Perugia 20 marzo
1948 e 24 aprile 1948, id., 1948, I, 94; App. Roma 20 aprile 1949,
id., 1949, I, 1016) conformi all'orientamento di questo tribunale
e con cui si è ritenuta condizione per la omologazione della
delibera di aumento di capitale sociale il versamento dei 3/10 del capitale sottoscritto presso l'istituto di emissione, non rite
nendosi equipollente il versamento a mani degli stessi ammini
stratori.
Si sostiene dalla prevalente opinione che l'obbligo del versa
mento dei decimi — per i conferimenti in denaro — è voluto dalla legge (art. 2329, 2° comma, cod. civ.) quale condizione pei la costituzione della società di capitali.
Tale condizione invece la legge non richiede in occasione
dell'aumento di capitale, la relativa norma (art. 2439 cod. civ.) non imponendolo espressamente né richiamando al riguardo la
disposizione contenuta nell'art. 2329, 2° comma, cod. civile.
Conseguentemente si ritiene che il capitale sottoscritto in au
mento possa essere versato direttamente presso le casse sociali
agli amministratori, per l'intero o nei limiti dei 3/10.
Si è anche sostenuto dalla Corte d'appello di Bari, nel men
zionato recentissimo provvedimento, che il versamento deve
avvenire al momento della sottoscrizione ed attiene alla fase
esecutiva della delibera, per cui da un lato non deve darsene
la prova ai fini della omologazione e dall'altro vi sono altre
norme che assicurano l'adempimento della delibera e garan tiscono i terzi contro abusi nella formazione del capitale so
ciale. Conseguentemente non è ipotizzabile alcun parallelismo tra l'ipotesi della costituzione della società e quella dell'au
mento del capitale sociale, che presuppone già esistente la so
cietà.
Rilevato che la questione appare limitata al capitale che sia
contestualmente sottoscritto, atteso che diverso è il caso di de
lega agli amministratori, regolato dagli art. 2443 e 2444 cod.
civ., ritiene il tribunale di non poter condividere l'orientamento
suddetto.
Sembra, infatti, che nella specie debba farsi ricorso alla ana
logia per individuare la modalità del versamento dei decimi in
sede di aumento di capitale. Pare abbastanza evidente la ratio
della norma che impone all'atto della costituzione della società
di capitali il versamento di almeno i 3/10 del capitale stesso pres so l'istituto di emissione. La esigenza, cioè, che la società di
sponga realmente di almeno una parte del capitale sottoscritto
e non di meri crediti verso i soci sottoscrittori, crediti che in pro
sieguo della vita della società potrebbero in concreto risultare
irrecuperabili, con le ovvie conseguenze negative sul piano fi
nanziario e dell'affidamento dei terzi.
E v'è l'altra esigenza di evitare che la stessa società possa go dere di un credito verso i terzi, sulla base della mera apparenza dell'esistenza di un patrimonio sociale, sicché l'imposto versa
mento di una parte del capitale sottoscritto costituisce per i terzi
e per gli stessi soci un affidamento certo dell'esistenza concreta
di almeno una parte del capitale nella disponibilità degli ammi
nistratori. Né tali esigenze vengono meno in occasione della deli
bera di aumento del capitale sociale, per il fatto che la società
giuridicamente esista già. Pare al tribunale, anzi, che la prospettata esigenza si mani
festi ancor maggiormente in occasione degli aumenti di capita
le, dal momento che è proprio in tale occasione, come ap
pare sicuramente verificabile in concreto da qualsiasi operato re del settore, che l'iniziale capitale sociale, di solito nel mini
mo imposto dalla legge all'atto della costituzione, viene aumen
tato ad importi assai rilevanti. Ed appare agevolmente verifica
bile dagli operatori che proprio per evitare il versamento dei
decimi imposti per la costituzione della società, ma dalla giù
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
risprudenza non ritenuto necessario per l'aumento del capitale,
quest'ultimo viene determinato in dimensioni cospicue e di
fatto più adeguato agli scopi sociali, solo in sede di aumento.
Con la conseguenza che l'esigenza innanzi prospettata a garan zia dei terzi soprattutto, viene frustrata da un comodo espe diente che ad avviso di questo tribunale non appare accetta
bile. E che trattasi di un espediente, utilizzato talora per occultare
la concreta inesistenza del versamento del capitale sottoscritto, al di là delle attestazioni formali contenute nel verbale di as
semblea, sembra potersi desumere dalla considerazione che se
il capitale sottoscritto è stato realmente versato nelle mani de
gli amministratori, non si vede quale sia l'ostacolo acché i 3/10 del capitale versato siano depositati presso l'istituto di emis
sione per il periodo, neppure eccessivamente lungo, per chie
dere ed ottenere le formalità prevedute dalla legge, e quindi riot
tenere la disponibilità della parte di capitale depositato, attra
verso gli amministratori, solitamente delegati alla riscossione.
Laddove la resistenza di talune società ad ottemperare alla
richiesta di deposito dei decimi del capitale sottoscritto in sede
di aumento di capitale fa ragionevolmente intuire che non trat
tasi di mera questione di principio, bensì della impossibilità o
difficoltà di effettuare il versamento richiesto proprio perché, ad onta delle contrarie affermazioni contenute nel verbale di
assemblea, assai spesso il capitale sottoscritto non è stato ver
sato o non lo è stato che in parte.
E non trattasi di una mera ipotesi poiché una tale situazione
di fatto risulta spesso sussistente in seguito al fallimento della
società di capitali. Né la possibilità successiva del recupero del
le quote del capitale sottoscritto e non versato con il decreto
ingiuntivo emesso dal giudice delegato al fallimento o con la
sussistenza di eventuali responsabilità penali per gli ammini
stratori e per i sindaci soddisfa le esigenze di cui si è innanzi
fatto cenno per la concreta impossibilità, pure troppo spesso
verificatasi, di recuperare dai sottoscrittori le quote non versate,
o per ottenere il ristoro dei danni con la costituzione di parte
civile in sede penale o con l'esperimento delle notoriamente
diffìcili azioni di responsabilità verso gli amministratori.
Deve inoltre il tribunale insistere nel non ritenere risolutivo
l'argomento « letterale », cui la dottrina e la giurisprudenza fan
no costante riferimento, compresa la Corte d'appello di Bari
nel provvedimento innanzi menzionato, per sostenere la non
necessità del versamento presso l'istituto di emissione e rite
nere invece sufficiente quello nelle casse sociali. La tesi in que
stione si basa in sostanza sulla circostanza che l'art. 2039 cod.
civ., prescrivendo l'obbligo del versamento dei 3/10 del capi
tale sottoscritto in sede di aumento, a differenza di quanto di
spone l'art. 2329 cod. civ. per la costituzione della società, non
impone che detti decimi siano versati presso un istituto di
credito.
Tale argomentazione ad avviso del tribunale non convince
affatto. In tema di società di capitali, infatti, l'unica norma che
preveda le «modalità» del versamento dei decimi del capi
tale è proprio l'art. 2329 cod. civile.
Sembra al collegio che, in via di normale interpretazione del
l'intento del legislatore, in riferimento alla ratio che impose la
esigenza di versare almeno i 3/10 del capitale, debba necessa
riamente farsi riferimento all'art. 2329, n. 2, cod. civ. quando
si debbano individuare in concreto le modalità del versamento
dei decimi, pure imposto per l'ipotesi dell'aumento di capitale.
Sicché, allorché l'art. 2439 cod. civ. impone il versamento dei
decimi per l'aumento del capitale sottoscritto, sembra del tutto
logico ritenere che i decimi debbano versarsi seguendo le « uni
che modalità » in concreto dettate dal legislatore, in difetto di
qualsiasi diversa disposizione che consenta il versamento diret
tamente nelle casse sociali.
In ordine agli altri due rilievi prospettati dalla Corte d'ap
pello di Bari si osserva che certo il versamento deve avvenire
al momento della sottoscrizione, ma tale circostanza non è in
contrasto con la convinzione di questo tribunale, atteso che,
come si è già precisato innanzi, il versamento dei 3/10 riguarda
appunto il capitale « sottoscritto » e non quello di cui si è de
liberato l'aumento senza che sia ancora sottoscritto.
Quanto al secondo rilievo, circa la esistenza di altre norme
che assicurano l'adempimento della delibera e garantiscono i
terzi contro abusi nella formazione del capitale, va osservato
che non sembra che la esistenza di tali norme sia o debba rite
nersi incompatibile con la esigenza qui ritenuta e che del capi
tale sottoscritto vi sia certezza del versamento di almeno i 3/10,
il che sembra al tribunale una apprezzabile garanzia per gli
stessi soci e per i terzi.
Per questi motivi, ecc.
I
CORTE D'APPELLO DI GENOVA; ordinanza 11 novembre
1980; Pres. Moreno, Rei. Maganza; Gentili c. Istituto auto
nomo per le case popolari di Massa e Carrara.
CORTE D'APPELLO DI GENOVA;
Espropriazione per pubblico interesse — Indennità — Determina
zione — Norme provvisorie — Questione non manifestamente
infondata di costituzionalità (Cost., art. 24, 42; legge 29
luglio 1980 n. 385, norme provvisorie sulla indennità di espro
priazione di aree edifìcabili nonché modificazioni di termini
previsti dalle leggi 28 gennaio 1977 n. 10, 5 agosto 1978 n. 457
e 15 febbraio 1980 n. 25, art. 1).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame
alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del
l'art. 1 legge 29 luglio 1980 n. 385 nella parte in cui determina
l'indennità provvisoria di esproprio secondo criteri corrispon
denti a quelli posti dalle norme dichiarate illegittime da Cor
te cost. n. 5 del 1980, prevede l'assoggettabilità dell'importo cosi calcolato a conguaglio secondo quanto stabilito dalla ema
nando legge sostitutiva e limita la libera e incondizionata azio
nabilità in giudizio dei diritti dell'espropriato, in riferimento
agli art. 24, 1" comma, e 42, 3" comma, Cost. (1)
II
CORTE D'APPELLO DI TRENTO; ordinanza 14 ottobre 1980;
Pres. Ciacci; De Cles c. Comune di Mezzolombardo.
Espropriazione per pubblico interesse — Provincia di Trento —
Indennità — Determinazione — Questione non manifestamen
te infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 42; legge prov. Trento 30 dicembre 1972 n. 31, riordinamento della disciplina in materia di edilizia abitativa e norme sull'espropriazione
per pubblica utilità, art. 28).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame
alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del
l'art. 28 legge prov. Trento 30 dicembre 1972 n. 31 e successi
ve modifiche, nella parte in cui commisura l'indennità di espro
prio al valore agricolo dell'area, sia pure prevedendo specifi che maggiorazioni in funzione dell'ubicazione di essa nel cen
tro edificato, senza tener conto della effettiva destinazione del
l'area medesima, in riferimento agli art. 3, 1° comma, e 42, 3° comma, Cost. (2)
(1-2) La Corte d'appello di Roma con ordinanza del 1° dicembre 1980, Foro it., 1981, I, 258, con nota di richiami (e con altra, iden
tica, del 9 dicembre 1980, in Giust. civ., 1981, I, 1768), ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli art. 1, 2 e 3 legge 29 luglio 1980 n. 385, nella parte in cui non garantiscono uguale trattamento ai soggetti colpiti da identici provvedimenti ablatori adottati in epoche diverse e prevedono per gli espropriati la liquida zione futura ed incerta, perché condizionata all'emanazione di una successiva legge, delle indennità in riferimento agli art. 3 e 42 Cost.
Ai richiami, tra i quali Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5 conte nuti in tale nota, adde in dottrinakA. M. Sandulli, Il regime dei suoli
dopo il nuovo intervento della corte, in Riv. giur. edilizia, 1980, II, 89; F. Lucarelli, Principio di eguaglianza e indennità di esproprio, in Rass. dir. civ., 1980, 515; M. Luciani, Vecchi e nuovi principi in materia di espropriazione e indennizzo, in Giur. costit., 1980, I, 40; Alpa, Proprietà edilizia e misura della indennità di esproprio, in
Impresa, ambiente e pubbl. amm., 1980, fase. 4/5, 287 ss. L'ordinanza della Corte d'appello di Genova, riportata pure in
Giust. civ., 1981, I, 377, con nota di Alpa, Una questione di legit timità costituzionale della legge n. 385 del 1980 sui criteri di valuta zione della indennità per l'esproprio di aree edificabili, per la parte relativa all'art. 1, 2° comma, legge n. 385 del 1980 (esaminata da
Paternò, in Rass. giur. Enel, 1980, 437) si ricollega ai ricordati provve dimenti dei giudici romani ma per il resto se ne discosta. La corte
genovese ravvisa, infatti, nelle norme di quest'ultima legge la « pra tica riproduzione » delle disposizioni dichiarate incostituzionali con l'anzidetta sent. n. 5 del 1980, laddove i giudici romani ritengono che « non vi è alcuna identità sostanziale tra le norme promulgate con tale legge e quelle contenute nelle precedenti leggi n. 865 del 1971 e n. 10 del 1977 (ormai caducate) in quanto il testo vigente disciplina soltanto la liquidazione di un acconto, mentre le norme
precedenti regolavano il computo della indennità definitiva di espro prio »; la stessa corte genovese reputa, poi, non manifestamente in
fondato un profilo di incostituzionalità del ripetuto art. 1 correlato all'art. 24, 1° comma, Cost., mentre i giudici romani non fanno
neppure cenno di tale profilo. L'ordinanza della Corte d'appello di Trento ritiene, infine, non
manifestamente infondata la questione riassunta nella massima in
considerazione dei principi enunciati dalla ripetuta sent. n. 5 del
1980, (principi) che, secondo la corte trentina, fanno dubitare della
legittimità del metodo adottato dal legislatore provinciale, sebbene « la questione di rilevanza qui in esame presenti un qualche margine di opinabilità».
È il caso di notare a questo punto, per i possibili collegamenti
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